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1 La logodicea di Leibniz e l'originario della libertà Il miglior antidoto ...

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<strong>La</strong> <strong>logo<strong>di</strong>cea</strong> <strong>di</strong> <strong>Leibniz</strong> e l’originario <strong>della</strong> <strong>libertà</strong><br />

<strong>Il</strong> <strong>miglior</strong> <strong>antidoto</strong> alla ragion pigra è una completa razionalizzazione 1 , che applichi<br />

il metodo geometrico alle questioni metafisiche, avendo cura dell’esattezza delle<br />

definizioni 2 e sviluppando un ragionamento rigoroso.<br />

<strong>La</strong> teo<strong>di</strong>cea proposta da <strong>Leibniz</strong> è il cuore del <strong>di</strong>segno apologetico <strong>di</strong> una ragione al<br />

servizio <strong>della</strong> fede. Concepiti principalmente come un <strong>di</strong>alogo ed una replica al<br />

Dictionnaire <strong>di</strong> P. Bayle, i Saggi <strong>di</strong> <strong>Leibniz</strong> ne confutano la tesi centrale, secondo cui la<br />

ragione sarebbe ingannevole e dovrebbe lasciare il posto alla fede. Per <strong>Leibniz</strong>, invece,<br />

è sul piano stesso <strong>della</strong> ragione che la conciliazione con la fede deve e può risultare<br />

evidente. Egli conta <strong>di</strong> poterlo mostrare me<strong>di</strong>ante un argomentare analitico-deduttivo<br />

che scioglie ogni contrapposizione e svolge un <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> rilievo universale.<br />

1. L’ordo metafisico <strong>di</strong> riferimento. Secondo <strong>Leibniz</strong>, la nozione <strong>di</strong> Dio gode <strong>di</strong><br />

evidenza. Dal momento che si assume la possibilità <strong>di</strong> tutto ciò che non è<br />

contrad<strong>di</strong>ttorio e la possibilità <strong>di</strong> ciò che non implica alcun limite, conseguita l’idea <strong>di</strong><br />

un Essere perfettissimo, dobbiamo concludere che è esistente 3 . Tutte le altre essenze si<br />

possono concepire anche senza Dio: basta la loro non contrad<strong>di</strong>ttorietà. Dipende da Dio,<br />

però, che venga loro conferita l’esistenza e ne venga stabilito un ordo; soltanto l’Essere<br />

perfettissimo, infatti, garantisce la realtà dei possibili nel loro conatus existen<strong>di</strong> 4 . Quin<strong>di</strong><br />

il vincolo originario tra Dio e tutto ciò che esiste non attiene al piano ideale, ma a quello<br />

esistenziale 5 . <strong>Il</strong> conferimento dell’esistenza si iscrive in una prospettiva panlogistica.<br />

Per illustrare come Dio realizzi la funzione esistenzializzante si deve tener conto delle<br />

leggi <strong>di</strong> saturazione (ogni mondo possibile non deve poter contenere alcun possibile<br />

oltre a quelli che contiene) 6 e <strong>di</strong> coerenza (nessun possibile appartenente ad un mondo<br />

deve poter appartenere al tempo stesso anche ad un altro), vigenti nell’ambito dei mon<strong>di</strong><br />

possibili. <strong>Il</strong> passaggio all’esistenza <strong>di</strong> un sistema or<strong>di</strong>nato (“mondo”) ancora nel regime<br />

<strong>della</strong> possibilità non è necessario – come invece sostiene Spinoza (il cui necessitarismo<br />

1 Cfr. Prefazione, in G.W. LEIBNIZ, Saggi <strong>di</strong> teo<strong>di</strong>cea sulla bontà <strong>di</strong> Dio, sulla <strong>libertà</strong> dell’uomo,<br />

sull’origine del male, a cura <strong>di</strong> S. Cariati, Bompiani, Milano 2005, n. 8, 30, p. 15; ed. a cura <strong>di</strong> V.<br />

Mathieu, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1994, p. 106. <strong>Il</strong> volume sarà d’ora in poi abbreviato con la<br />

sigla “SagTeol”, seguita dall’in<strong>di</strong>cazione in numero romano <strong>della</strong> parte e del capitolo in numeri arabi.<br />

Salvo in<strong>di</strong>cazioni contrarie, la traduzione si riferisce sempre all’e<strong>di</strong>zione italiana a cura <strong>di</strong> S. Cariati.<br />

2 Cfr. Nota aggiunta al manoscritto, in SagTeol III, 392, ed. Mathieu, p. 474 nota n. 183.<br />

3 Cfr. l’argomentazione esposta nel § 45 <strong>della</strong> Monadologia (ed. Cariati, Rusconi, Milano 1997, 76s) e già<br />

nel Discorso <strong>di</strong> Metafisica al § 23 (ed. Cariati, Rusconi, Milano 1998, 146s). Vien da chiedersi, però,<br />

come si giustifichi l’inferenza da “perfettissimo” ad “esistente”: che l’esistenza si riferisca ad un “<strong>di</strong> più”<br />

<strong>di</strong> essere non è un giu<strong>di</strong>zio puramente logico. Piuttosto – come si dovrà esplicitare –, rinvia ad una<br />

comprensione del reale nell’orizzonte del senso, per rapporto ad una me<strong>di</strong>azione antropologica il cui<br />

statuto rimane da determinare.<br />

4 Si dovrà tornare su questa tendenza. Come si giustifica? <strong>La</strong> sua menzione sul piano metafisico non<br />

rinvia al presupposto che l’esistenza costituisce “un <strong>di</strong> più” ontologico rispetto al mero reale possibile?<br />

5 Sul piano logico le essenze sono cooriginarie a Dio; in virtù <strong>di</strong> tale cooriginarietà si dà <strong>di</strong>fferenza solo <strong>di</strong><br />

grado e non <strong>di</strong> natura tra la funzione (matematica) <strong>di</strong> Dio e le funzioni accessibili ad ogni altra essenza<br />

raziocinante.<br />

6 Nessun mondo <strong>di</strong>fferisce da un altro per un particolare senza <strong>di</strong>fferire da esso completamente, in ragione<br />

del legame universale <strong>di</strong> tutte le cose. Per <strong>Leibniz</strong>, il mondo è l’universitas creaturarum, è un tutt’uno<br />

nel quale le parti sono legate. Si deve quin<strong>di</strong> supporre una con<strong>di</strong>zione delle essenze possibili<br />

originariamente non isolata ma aggregata.<br />

1


non <strong>di</strong>stingue in Dio tra intelletto e volontà), non riconoscendo a Dio una <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />

eccellenza, poiché coincide con la natura (Deus sive natura) 7 –, ma subor<strong>di</strong>nato alla<br />

ponderazione da parte <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong> quale sia l’insieme (il mondo) maggiormente ricco <strong>di</strong><br />

essenza. Tra i mon<strong>di</strong> possibili si stabilisce un conflitto (cfr. SagTeol II, 201), perché<br />

secondo la logica combinatoria il loro esistere insieme è incompossibile. Spetta solo a<br />

Dio far passare all’esistenza e, conformemente alla sua saggezza, farà esistere il mondo<br />

più ricco <strong>di</strong> essenza. Vi deve essere un massimo <strong>della</strong> bontà possibile e non può che<br />

essere unico, perché se non vi fosse un mondo <strong>miglior</strong>e <strong>di</strong> tutti gli altri nessun mondo<br />

sarebbe stato creato (cfr. SagTeol I, 8), non essendoci una ragione sufficiente <strong>di</strong> scelta.<br />

Delle determinazioni <strong>di</strong> cui facciamo esperienza come esistenti dobbiamo <strong>di</strong>re che<br />

fanno parte del <strong>miglior</strong>e dei mon<strong>di</strong> possibili. In questo mondo (che è il <strong>miglior</strong>e, ma la<br />

stessa regola vale per ogni altro mondo possibile) non si può staccare un particolare<br />

dall’altro 8 . Quando Dio fa passare all’esistenza opera secondo saggezza conformandosi<br />

ad una legge universale; ma che lo faccia, <strong>di</strong>pende dalla sua volontà 9 : soltanto Dio può<br />

stabilire che esista qualcosa piuttosto che nulla. Non è il meccanismo logico-formale a<br />

stabilire che il mondo debba esistere; però determina quale, ovvero il mondo più ricco<br />

<strong>di</strong> essenza tra i mon<strong>di</strong> possibili 10 . Quando Dio fa passare all’esistenza, opera secondo la<br />

saggezza vincolata ad una legge universale. Che lo faccia <strong>di</strong>pende dalla sua volontà.<br />

Così si avrà una necessità delle essenze ed una contingenza degli esistenti 11 . E Dio<br />

7 «[…] Spinoza (così come vuole un antico peripatetico <strong>di</strong> nome Stratone) vuole pressappoco che tutto<br />

derivi dalla causa prima o dalla natura originaria, in virtù <strong>di</strong> una necessità cieca e puramente geometrica,<br />

senza che questo principio primo delle cose sia capace <strong>di</strong> scelta, <strong>di</strong> bontà e intelligenza.» (SagTeol,<br />

Prefazione, ed. Cariati n. 32 [44], p. 51; ed. Mathieu p. 122). Dunque, secondo Spinoza il mondo sarebbe<br />

l’attualizzazione <strong>di</strong> tutto il possibile.<br />

8 «<strong>Il</strong> contenuto <strong>di</strong> un universo è determinato fin nel minimo dettaglio, <strong>di</strong> modo che forma una serie <strong>di</strong> cose<br />

del tutto singolare e unica» (P. RATEAU, Ce qui fait un monde. Compossibilité, perfection et harmonie, in<br />

ID. (ed.), Lectures et interprétations des Essais de théo<strong>di</strong>cée de G.W. <strong>Leibniz</strong>, [= Stu<strong>di</strong>a Leibnitiana –<br />

Sonderhefte, 40], Steiner, Stuttgart 2011, 51). Nell’universitas creaturarum tutte le costituenti sono<br />

connesse; nessun ente può essere mo<strong>di</strong>ficato o soppresso, ché, altrimenti, il mondo <strong>di</strong>venterebbe un altro.<br />

«Le monde est un certain ordre intelligible et rationnel, où tout est parfaitement lié, où chaque chose (être,<br />

accident, événement) a une place déterminée, assignée, où rien n’est in<strong>di</strong>fférent ni interchangeable.<br />

L’espace et le temps sont cet ordre, tel qu’il apparaît et se déroule sur le plan phénoménal. <strong>Il</strong>s n’ont<br />

pourtant aucune réalité en eux-mêmes. Leur vérité est celle des rapports qu’ils expriment, en tant que<br />

ceux-ci sont fondés métaphysiquement, c’est-à-<strong>di</strong>re reflètent l’activité des monades. L’univers n’est fait<br />

que de substances et d’assemblages de substances, avec tous leurs états (perceptions), tendances et efforts<br />

(appétitions). En dernière instance, le rapport de coexistence (espace) et de succession (temps) renvoie à<br />

un rapport logique (donc non spatial et intemporel) de compossibilité et de causalité.» (P. RATEAU, Ce qui<br />

fait un monde. Compossibilité, perfection et harmonie, cit. 56).<br />

9 «[…] Quanto più […] una volontà è perfetta, tanto meno si determina in vista <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso<br />

dall’optimum. Se non ci fosse un mondo <strong>miglior</strong>e <strong>di</strong> ogni altro, Dio non ne creerebbe nessuno: egli non<br />

avrebbe una ragione sufficiente per crearne uno piuttosto che un altro; e Dio non fa mai nulla senza<br />

ragion sufficiente.» (V. MATHIEU, <strong>La</strong> conciliazione <strong>di</strong> ragione e fede punto culminante <strong>della</strong> riflessione<br />

leibniziana, in G.W. LEIBNIZ, Saggi <strong>di</strong> teo<strong>di</strong>cea sulla bontà <strong>di</strong> Dio, sulla <strong>libertà</strong> dell’uomo, sull’origine<br />

del male, San Paolo, Cinisello Balsamo [Mi] 1994, 27). L’argomentazione è stringente solo supponendo<br />

che l’esistere vada nella <strong>di</strong>rezione dell’optimum. Ma va da sé che l’esistenza sia un positivo, un bene? Lo<br />

si può stabilire a priori? Se sì, allora la qualità <strong>di</strong> ogni vissuto rimane subor<strong>di</strong>nata a questa evidenza?<br />

Certamente non è <strong>di</strong> questo avviso la me<strong>di</strong>tazione che LEOPARDI sviluppa ne <strong>Il</strong> giar<strong>di</strong>no sofferente, del<br />

suo Zibaldone, 19-22 aprile 1826, Sansoni, Firenze 1969, 104-107.<br />

10 Dio può volere o non volere che i possibili esistano; ma non può volere o non volere che siano<br />

possibili. Dio, infatti, non è autore del proprio intelletto. Cfr. SagTeol III, 380.<br />

11 In <strong>Leibniz</strong>, il passaggio all’esistenza non rappresenta un incremento sul piano ontologico, perché<br />

l’effettività dell’esistenza non costituisce un novum per la verità delle cose. <strong>La</strong> prospettiva essenziale<br />

2


conosce a priori anche il contingente, perché: «[…] nella nozione perfetta <strong>della</strong> sostanza<br />

in<strong>di</strong>viduale, considerata da Dio allo stato puro <strong>di</strong> possibilità, prima <strong>di</strong> ogni attuale<br />

decreto <strong>di</strong> esistenza, è contenuto già tutto quanto a quella sostanza accadrà» 12 .<br />

Nella taxis metafisica illustrata come viene a soluzione la problematica <strong>di</strong> teo<strong>di</strong>cea?<br />

<strong>La</strong> tesi da sottoporre ad esplicazione analitica può essere così enunciata: dato che Dio ha<br />

fatto tutto ciò che poteva, e ciò che ha fatto è il meglio possibile, il male viene a<br />

<strong>di</strong>ssolversi nell’illusione <strong>di</strong> un punto <strong>di</strong> vista limitato 13 .<br />

2. L’optimum, il contingente e l’esistente. “<strong>Il</strong> gran principio dei nostri ragionamenti è<br />

che nulla accade senza qualche causa o ragione sufficiente” 14 . Siccome tutto ciò che<br />

esiste è contingente e non ha nulla in sé che renda la sua esistenza necessaria, la ragione<br />

dell’esistenza del mondo va cercata nella sostanza che ha in sé la ragione <strong>della</strong> propria<br />

esistenza e quin<strong>di</strong> è necessaria ed eterna, oltre che intelligente, perché ha ponderato tutti<br />

i mon<strong>di</strong> possibili per sceglierne uno, il <strong>miglior</strong>e 15 . <strong>La</strong> qualità <strong>di</strong> optimum pertiene ad un<br />

mondo come insieme strutturato <strong>di</strong> tutte le cose esistenti 16 . Rispetto ad esso si dà una<br />

tende ad assorbire quella esistenziale, razionalizzandola completamente. Salvo però ammettere un<br />

conatus existen<strong>di</strong> che va nella <strong>di</strong>rezione dell’optimum.<br />

12 G.W. LEIBNIZ, Specimen inventorum de admiran<strong>di</strong>s naturae Generalis arcanis, citato da V. MATHIEU,<br />

<strong>La</strong> conciliazione <strong>di</strong> ragione e fede punto culminante <strong>della</strong> riflessione leibniziana, cit., 45. «[…] <strong>Il</strong><br />

concetto <strong>di</strong> una sostanza in<strong>di</strong>viduale implica, una volta per tutte, tutto ciò che le può accadere, per cui<br />

basta considerare tale concetto per scorgervi tutto ciò che è possibile enunciare con verità <strong>di</strong> essa – allo<br />

stesso modo in cui possiamo vedere nella natura del cerchio tutte le proprietà che se ne possono dedurre.»<br />

(G.W. LEIBNIZ, Discorso <strong>di</strong> Metafisica, § 13, ed. Cariati, Rusconi, Milano 1998, 94s). In un modello<br />

geometrico <strong>della</strong> verità il piano dell’accadere è contenuto analiticamente nella natura/essenza <strong>di</strong> ogni<br />

cosa.<br />

13 «[…] Noi non abbiamo bisogno <strong>della</strong> fede rivelata per sapere che esiste un siffatto principio unico <strong>di</strong><br />

tutte le cose, perfettamente buono e saggio. <strong>La</strong> ragione ce lo insegna con <strong>di</strong>mostrazioni infallibili, e, <strong>di</strong><br />

conseguenza, tutte le obiezioni tratte dall’andamento delle cose, in cui riscontriamo imperfezioni, non<br />

sono fondate che su false apparenze. Infatti, se fossimo capaci d’intendere l’Armonia universale,<br />

vedremmo che quanto siamo tentati <strong>di</strong> biasimare è connesso con il piano più degno <strong>di</strong> essere scelto. In<br />

una parola, vedremmo, e non crederemmo soltanto, che quanto Dio fa è il meglio. Chiamo vedere, qui, ciò<br />

che si conosce a priori me<strong>di</strong>ante le cause […].» (SagTeol, Discorso preliminare § 44, ed. Cariati p. 135;<br />

ed. Mathieu pp. 160s).<br />

14 Cfr. SagTeol, Appen<strong>di</strong>ce III (Osservazioni sul libro intorno all’origine del male, recentemente<br />

pubblicato in Inghilterra), § 3. «Per meglio comprendere questo punto, bisogna considerare che ci sono<br />

due gran<strong>di</strong> princìpi su cui si fondano i nostri ragionamenti: uno è il principio <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zione, secondo<br />

il quale <strong>di</strong> due proposizioni contrad<strong>di</strong>ttorie l’una è vera e l’altra è falsa; l’altro è il principio <strong>di</strong> ragione<br />

determinante, secondo il quale non accade mai niente senza che ci sia una causa o almeno una ragione<br />

determinante, ossia qualcosa che possa servire a rendere ragione a priori del perché una data cosa è<br />

esistente piuttosto che non esistente e del perché è così e non in tutt’altro modo. Questo grande principio<br />

si applica a tutti gli eventi e non se ne darà mai un esempio contrario: e sebbene il più delle volte queste<br />

ragioni determinanti non ci siano note a sufficienza, intrave<strong>di</strong>amo pur sempre che ce ne sono.» (SagTeol<br />

I, 44).<br />

15 Cfr. SagTeol I, 7; II, 116. Si intravede la replica <strong>di</strong> <strong>Leibniz</strong> al <strong>di</strong>lemma <strong>di</strong> Epicuro («<strong>La</strong> <strong>di</strong>vinità o vuole<br />

abolire il male e non può; o può e non vuole; o non vuole né può; o vuole e può. Se vuole e non può,<br />

bisogna ammettere che sia impotente, il che è in contrasto con la nozione <strong>di</strong> <strong>di</strong>vinità; se può e non vuole,<br />

che sia malvagia, il che è ugualmente estraneo all’essenza <strong>di</strong>vina; se non vuole e non può, che sia insieme<br />

impotente e malvagia; se poi vuole e può, sola cosa conveniente alla sua essenza, donde provengono i<br />

mali e perché non li abolisce?», frammento 374 dell’e<strong>di</strong>zione a cura <strong>di</strong> H. Usener – che riprende<br />

<strong>La</strong>ttanzio, De ira Dei, 13, p. 19 – citato nella traduzione <strong>di</strong> M. Isnar<strong>di</strong> Parente, in EPICURO, Opere, UTET,<br />

Torino 1974, 389): la congiunzione in Dio <strong>di</strong> potenza e bontà è regolata dall’intelligenza che ottempera<br />

alla suprema ragione.<br />

16 «Bisogna infatti sapere che tutto è legato in ciascuno dei mon<strong>di</strong> possibili: l’universo, quale che possa<br />

essere, è tutto continuo, come un oceano: il minimo movimento vi estende il proprio effetto a qualunque<br />

3


<strong>libertà</strong> <strong>di</strong> contingenza (si possono pensare infiniti altri mon<strong>di</strong> senza cadere in<br />

contrad<strong>di</strong>zione 17 ); però, rispetto al <strong>miglior</strong>e non si dà in<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> equilibrio 18 , perché<br />

la <strong>libertà</strong> non può essere confusa con il modo <strong>di</strong> agire irragionevole (cfr. SagTeol III,<br />

339). Essendo che la verità <strong>di</strong> un insieme organizzato non si decide sul piano storico,<br />

ma su quello ideale, dal momento in cui un mondo esiste non può che essere il <strong>miglior</strong>e.<br />

Tutto è regolato fin dal principio, ma gli eventi rimangono in se stessi contingenti.<br />

Tutto è dunque certo e determinato in anticipo nell’uomo, come del resto in ogni altra<br />

realtà, e l’anima umana è una sorta <strong>di</strong> automa spirituale, benché le azioni contingenti in<br />

generale, e le azioni libere in particolare, non siano per questo necessarie <strong>di</strong> una necessità<br />

assoluta, la quale sarebbe davvero incompatibile con la contingenza. Pertanto, né la<br />

futurizione in se stessa, per certa che sia, né la previsione infallibile <strong>di</strong> Dio, né la<br />

predeterminazione delle cause, né quella dei decreti <strong>di</strong>vini <strong>di</strong>struggono tale contingenza e<br />

tale <strong>libertà</strong>. (SagTeol I, 52) 19<br />

L’istanza <strong>di</strong> razionalizzazione istruita secondo un modello analitico-deduttivo<br />

conduce <strong>Leibniz</strong> a considerare il singolare concreto come l’esistenzializzazione <strong>di</strong> un<br />

ideale particolare, <strong>di</strong> modo che l’esistere è mera modalizzazione <strong>di</strong> una verità<br />

essenziale. Già nell’illustrazione dell’assetto metafisico <strong>di</strong> <strong>Leibniz</strong> si era rilevata una<br />

incongruenza: da una parte, egli sostiene che, per il principio dell’armonia, è bene che<br />

esista quanta più essenza possibile (ma ciò può essere affermato solo a con<strong>di</strong>zione che si<br />

reputi l’esistenza un reale incremento veritativo; come dare conto <strong>della</strong> preminenza del<br />

concreto?); dall’altra, però, il passaggio all’esistenza ha per <strong>Leibniz</strong> il valore <strong>di</strong> una<br />

semplice trasposizione dell’essenza. Come a <strong>di</strong>re che l’effettività non concorre alla<br />

definizione <strong>della</strong> verità delle componenti <strong>di</strong> un mondo (l’effettivo ha soltanto un rilievo<br />

manifestativo), perché la loro verità è presupposta in quanto determinata a priori. Ci si<br />

chiede se sul piano ideale <strong>della</strong> determinazione si possa ancora parlare <strong>di</strong> un dramma,<br />

<strong>di</strong>stanza – sebbene tale effetto <strong>di</strong>venti meno sensibile in proporzione alla <strong>di</strong>stanza.» (SagTeol I, 9). In<br />

ciascuna serie tutto è legato (cfr. SagTeol I, 84) ed ogni in<strong>di</strong>vidualità è funzionale all’optimum ch’è la<br />

dote del tutto. E la regola del meglio non conosce eccezione né <strong>di</strong>spensa. Cfr. SagTeol I, 25.<br />

17<br />

<strong>Il</strong> canone <strong>della</strong> necessità, infatti, è quello “logico, geometrico o metafisico”, il cui opposto implica<br />

contrad<strong>di</strong>zione. Cfr. SagTeol III, 282.<br />

18<br />

Cfr. SagTeol I, 46; si vedano anche SagTeol II, 199 e III, 320 sull’in<strong>di</strong>fferenza vaga.<br />

19<br />

«Si <strong>di</strong>rà pure che, se tutto è regolato, allora Dio non potrebbe fare miracoli. Ma bisogna sapere che i<br />

miracoli che accadono nel mondo erano già inclusi e rappresentati come possibili in questo stesso mondo,<br />

considerato nello stato <strong>di</strong> pura possibilità; e Dio, che li ha fatti in seguito, ha decretato <strong>di</strong> farli fin d’allora,<br />

quando ha scelto questo mondo. Si obietterà ancora che i voti e le preghiere, i meriti e i demeriti, le buone<br />

e le cattive azioni non servono a niente, poiché niente può esser cambiato. Questa obiezione è quella che<br />

più imbarazza le persone comuni, e tuttavia non è che un mero sofisma. Le preghiere, i voti, le buone e le<br />

cattive azioni che si fanno oggi, erano già davanti a Dio, quando prese la risoluzione <strong>di</strong> regolare le cose.<br />

Quelle che avvengono nel mondo attuale, erano rappresentate nell’idea <strong>di</strong> questo stesso mondo ancora<br />

possibile, insieme con i loro effetti e le loro conseguenze; esse vi erano rappresentate già in modo da<br />

attirare la grazia <strong>di</strong> Dio, sia naturale sia soprannaturale, da esigere i castighi, da richiedere le ricompense,<br />

così come effettivamente avviene in questo mondo, dopo che Dio l’ha scelto. <strong>La</strong> preghiera e la buona<br />

azione erano fin da allora una causa o con<strong>di</strong>zione ideale, cioè una ragione inclinante che poteva<br />

contribuire alla grazia <strong>di</strong> Dio, o alla ricompensa, come fa adesso in un modo attuale. E poiché tutto è<br />

legato saggiamente nel mondo, è evidente che Dio, prevedendo ciò che sarebbe accaduto liberamente, ha<br />

regolato su <strong>di</strong> ciò in anticipo anche il resto delle cose, ovvero, il che è lo stesso, ha scelto questo mondo<br />

possibile, nel quale tutto era regolato in tal modo.» (SagTeol I, 54; corsivi miei). «Tutto l’avvenire è<br />

determinato, non c’è dubbio: ma poiché non sappiamo in che modo lo sia, né cosa sia previsto o deciso,<br />

dobbiamo fare il nostro dovere, seguendo la ragione che Dio ci ha dato e le regole che ci ha prescritto;<br />

dopo <strong>di</strong> che, dobbiamo avere l’animo tranquillo e lasciare a Dio stesso la cura del successo.» (SagTeol I,<br />

58).<br />

4


ovvero <strong>di</strong> una responsabilità e del realismo <strong>della</strong> sua attuazione 20 . Alla verifica cruciale<br />

<strong>della</strong> consequenzialità dell’argomentazione leibniziana si accede nella trattazione <strong>della</strong><br />

problematica del male, ben sapendo che la spiegazione dovrà essere cercata nella natura<br />

ideale <strong>della</strong> creatura.<br />

3. <strong>Il</strong> logos del male. <strong>La</strong> ra<strong>di</strong>ce metafisica del male risale all’imperfezione originaria<br />

nella creatura, prima ancora del peccato, poiché ogni creatura è per essenza limitata 21 :<br />

«Dio infatti non poteva darle tutto senza farne un Dio; e dunque era necessario che vi<br />

fossero gra<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti nella perfezione delle cose, e che vi fossero anche limitazioni <strong>di</strong><br />

ogni sorta» 22 . Anche la <strong>di</strong>stinzione tra male fisico (sofferenza) e morale (peccato)<br />

subisce attrazione verso la con<strong>di</strong>zione metafisica <strong>della</strong> loro possibilità (la necessaria<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> limitazione stabilita a priori 23 ).<br />

Secondo <strong>Leibniz</strong>, in Dio si deve <strong>di</strong>stinguere tra volontà antecedente e volontà<br />

conseguente. In rapporto alla prima Dio tende ad ogni bene in quanto bene.<br />

Egli ha una seria inclinazione a santificare e a salvare tutti gli uomini, a escludere il peccato<br />

e a impe<strong>di</strong>re la dannazione. Si può anzi <strong>di</strong>re che questa volontà è efficace <strong>di</strong> per sé (per se),<br />

cioè tale che l’effetto seguirebbe, se non ci fosse qualche ragione più forte che lo<br />

impe<strong>di</strong>sce. Questa volontà, infatti, non si spinge fino a realizzare il massimo sforzo (ad<br />

summum conatum), altrimenti non mancherebbe mai <strong>di</strong> produrre il proprio effetto pieno,<br />

giacché Dio è il signore <strong>di</strong> tutte le cose. <strong>Il</strong> successo completo e infallibile appartiene solo a<br />

quella che viene chiamata volontà conseguente. Soltanto questa è piena, e riguardo a essa<br />

vale la regola secondo cui non si manca mai <strong>di</strong> realizzare ciò che si vuole, quando lo si può.<br />

Ora, questa volontà conseguente, finale e decisiva, risulta dal conflitto <strong>di</strong> tutte le volontà<br />

antecedenti, tanto <strong>di</strong> quelle che tendono verso il bene, quanto <strong>di</strong> quelle che respingono il<br />

male: ed è dal concorso <strong>di</strong> tutte queste volontà particolari che scaturisce la volontà totale,<br />

allo stesso modo in cui, in meccanica, il movimento composto risulta da tutte le tendenze<br />

che concorrono in uno stesso mobile, e sod<strong>di</strong>sfa ugualmente a ciascuna, per quanto lo<br />

consenta la loro simultanea presenza […]. (SagTeol I, 22) 24<br />

20 Delle <strong>di</strong>fficoltà interne al sistema leibniziano (la <strong>libertà</strong> non <strong>di</strong>venta forse un’illusione?) è teste<br />

emblematico il mito finale <strong>di</strong> Sesto che Pallade spiega a Teodoro. Cfr. SagTeol III, 413-417. «[…] Non è<br />

<strong>di</strong>fficile vedere il paralogismo che vi si cela: dapprima, situando tutte le possibilità sul piano delle<br />

essenze, <strong>Leibniz</strong> otteneva che non vi si possa più variare nulla, perché tutto ciò che costì si trova è quello<br />

che è, per definizione. Poi, ponendo un sottoinsieme <strong>di</strong> quelle essenze (mondo) sul piano dell’esistenza,<br />

<strong>Leibniz</strong> osservava che a esso se ne potrebbe sostituire un altro, tanto o poco <strong>di</strong>verso. Però non c’è nessun<br />

piano in cui le due assunzioni possano valere a un tempo. Lo scambio viene in luce non appena si chieda:<br />

in che sede non ha senso variare un mondo, perché un mondo <strong>di</strong>verso è sempre un altro mondo? Ché<br />

allora bisogna rispondere: sul piano delle essenze e su esso soltanto (dato il modo in cui quella<br />

invariabilità è stata ottenuta). E se si domanda ancora: in che sede ha senso parlare <strong>di</strong> sostituire una cosa<br />

al posto <strong>di</strong> un’altra? Ecco che bisogna rispondere: sul piano dell’esistenza, e su esso soltanto, poiché sul<br />

piano delle essenze non c’è un “posto” che non coincida con l’essenza medesima. Non c’è, dunque,<br />

nessun piano su cui il mondo possa essere sostituito, ma non variato. L’espe<strong>di</strong>ente a cui <strong>Leibniz</strong> si<br />

affidava per <strong>di</strong>chiarare contingente (leggi: sostituibile) il mondo, benché neppure Dio possa variarlo senza<br />

sostituirlo, consiste in un’illecita mistione tra ciò che vale per le essenze e ciò che vale per le esistenze»<br />

(V. MATHIEU, <strong>La</strong> conciliazione <strong>di</strong> ragione e fede punto culminante <strong>della</strong> riflessione leibniziana, cit., 48s).<br />

21 Cfr. SagTeol I, 20; ma anche: II, 263; II, 156; III, 288.<br />

22 SagTeol I, 31. Sul male come conseguenza <strong>di</strong> una privazione cfr. anche SagTeol III, 378.<br />

23 Si veda la famosa metafora del battello, in SagTeol I, 30. Cfr. anche la nota 183 alle pp. 473s<br />

dell’e<strong>di</strong>zione a cura <strong>di</strong> V. Mathieu e l’Obiezione V alle pp. 500 <strong>della</strong> stessa e<strong>di</strong>zione.<br />

24 «<strong>La</strong> volontà antecedente originaria ha per oggetto ciascun bene e ciascun male in sé, separati da<br />

qualsiasi combinazione, e tende a favorire il bene e a impe<strong>di</strong>re il male. <strong>La</strong> volontà me<strong>di</strong>a concerne le<br />

combinazioni, come quando si unisce un bene a un male: così, per esempio, quando il bene supera il<br />

male, la volontà avrà allora una qualche tendenza verso tale combinazione. <strong>La</strong> volontà finale e decretoria<br />

risulta invece dalla considerazione <strong>di</strong> tutti i beni e <strong>di</strong> tutti i mali che entrano nella deliberazione: risulta<br />

5


<strong>La</strong> bontà dell’agire <strong>di</strong> Dio si deve valutare in riferimento all’insieme e ad una<br />

deliberazione che si produce sul piano ideale. Ma come può il modello meccanicofunzionale<br />

leibniziano dell’interazione delle volontà antecedenti dare conto delle<br />

determinazioni al male sul piano ideale? Se Dio vuole antecedentemente il bene e<br />

conseguentemente il meglio, in mezzo c’è solo l’imperfezione <strong>della</strong> con<strong>di</strong>zione finita o<br />

anche altro? <strong>La</strong> determinazione al male già posta sul piano ideale a quale atto fa<br />

riferimento e a chi deve essere imputato?<br />

<strong>Il</strong> male <strong>di</strong>pende da Dio; ma soltanto nel senso che Dio permette che passi<br />

all’esistenza un mondo nel quale vi è anche il male, in quanto quel mondo è il <strong>miglior</strong>e<br />

possibile. <strong>Leibniz</strong> non si sofferma a considerare la <strong>libertà</strong> – nel suo esercizio sul piano<br />

ideale – come un positivo che non può mancare all’optimum 25 . Egli ha sempre <strong>di</strong> mira<br />

l’insieme (l’optimum è relativo all’armonia dei beni), la cui fisionomia è ricavata dalla<br />

nostra esperienza (quin<strong>di</strong> a posteriori) <strong>di</strong> un mondo nel quale si fa appello al merito e<br />

alla colpa; ma l’obiettivo è <strong>di</strong> fornirne una spiegazione a priori.<br />

Ed è appunto in questo senso che Dio permette il peccato: egli infatti verrebbe meno a ciò<br />

che deve a se stesso, alla propria saggezza, alla propria bontà, alla propria perfezione, se<br />

non seguisse il grande risultato <strong>di</strong> tutte le sue tendenze al bene e se non scegliesse ciò che è<br />

assolutamente il meglio, nonostante il male <strong>di</strong> colpa che vi si trova incluso in virtù <strong>della</strong><br />

suprema necessità delle verità eterne. Da tutto ciò bisogna concludere che Dio vuole tutto il<br />

bene in sé antecedentemente, che vuole il meglio conseguentemente come fine, che talvolta<br />

vuole l’in<strong>di</strong>fferente e il male fisico come mezzo, ma che non vuole permettere il male<br />

morale se non a titolo <strong>di</strong> sine quo non, o <strong>di</strong> necessità ipotetica, che lo lega al meglio. Per<br />

questo la volontà conseguente <strong>di</strong> Dio che ha per oggetto il peccato non è che permissiva.<br />

(SagTeol I, 25)<br />

<strong>Il</strong> mistero del male e l’enigma <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> sono risolti rinviando alla “suprema<br />

necessità delle verità eterne”. <strong>La</strong> catena delle <strong>di</strong>scolpe si applica all’interno <strong>di</strong> un piano<br />

generale, nel quale si rileva una concomitanza tra l’obliterazione <strong>della</strong> drammaticità<br />

dell’esistenza umana e la subor<strong>di</strong>nazione <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> <strong>di</strong> Dio ad un logos universale. <strong>Il</strong><br />

Dio <strong>di</strong> <strong>Leibniz</strong>, infatti, è un grande architetto, il quale, considerando tutte le azioni delle<br />

creature ancora allo stato <strong>di</strong> pura possibilità, <strong>di</strong>segna saggiamente come un bel palazzo<br />

(cfr. SagTeol I, 78; III, 247), confrontando le varie serie <strong>di</strong> cose possibili e decretando<br />

l’esistenza <strong>della</strong> serie <strong>miglior</strong>e 26 . Nel sistema dell’armonia generale (cfr. SagTeol III,<br />

cioè da una combinazione totale.[…] Così il male, o la mescolanza <strong>di</strong> beni e <strong>di</strong> mali in cui il male prevale,<br />

non avviene che per concomitanza, poiché è legato a beni più gran<strong>di</strong> che si trovano fuori <strong>di</strong> tale<br />

mescolanza. <strong>La</strong> mescolanza dunque, o composto, non deve esser considerata come una grazia o come un<br />

dono che Dio ci faccia: però il bene che vi si trova mescolato non cesserà per questo <strong>di</strong> essere un bene.<br />

[…] […] Dire che Dio non debba dare un bene <strong>di</strong> cui sa che una cattiva volontà ne farà un cattivo uso,<br />

quando invece il piano generale delle cose richiede che lo <strong>di</strong>a; o <strong>di</strong>re che debba dare mezzi sicuri per<br />

impe<strong>di</strong>rlo, anche se contrari a questo stesso or<strong>di</strong>ne generale, significa (come ho già osservato) volere che<br />

Dio stesso <strong>di</strong>venga degno <strong>di</strong> biasimo, per impe<strong>di</strong>re che lo sia l’uomo. Obiettare, come si fa qui, che la<br />

bontà <strong>di</strong> Dio sarebbe minore <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> un altro benefattore che facesse un dono più utile, significa non<br />

considerare che la bontà <strong>di</strong> un benefattore non si misura in base a un solo beneficio. Accade facilmente<br />

che il dono <strong>di</strong> un privato sia più grande <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> un principe, ma tutti i doni <strong>di</strong> quel privato saranno<br />

assai inferiore a tutti i doni del principe. Così, non si possono stimare abbastanza i beni che Dio fa, se non<br />

considerandone tutta l’estensione e rapportandoli all’intero universo» (SagTeol II, 119).<br />

25 È quanto farà Kreiner…<br />

26 Quin<strong>di</strong> non è una questione <strong>di</strong> duplice effetto, ma <strong>di</strong> meccanismo <strong>miglior</strong>e. «Tutto è legato nella natura;<br />

e se un abile artigiano, un ingegnere, un architetto, un accorto politico fanno spesso servire una medesima<br />

cosa a più fini, se prendono due piccioni con una fava, quando ciò sia facilmente ottenibile, si può <strong>di</strong>re<br />

che Dio, la cui saggezza e potenza sono perfette, lo fa sempre. […] Dio ha più <strong>di</strong> una mira nei suoi<br />

progetti. <strong>La</strong> felicità <strong>di</strong> tutte le creature razionali è una degli scopi verso cui tende, ma non è affatto l’unico<br />

né l’ultimo suo scopo. È per questo che l’infelicità <strong>di</strong> alcune <strong>di</strong> tali creature può prodursi per<br />

6


360) ogni singola realtà è funzionale alla connessione del tutto 27 . «Dio vuole l’or<strong>di</strong>ne e<br />

il bene, ma talvolta accade che quello che è <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne nella parte sia or<strong>di</strong>ne nel tutto» 28 .<br />

Ogni decreto particolare, in rapporto ad una creatura o ad un evento preso a parte, non<br />

lo è che in senso relativo: non è altro che il decreto universale considerato “da un certo<br />

punto <strong>di</strong> vista” 29 . Nell’or<strong>di</strong>ne combinatorio <strong>di</strong> <strong>Leibniz</strong> ogni singolare viene considerato<br />

un particolare subor<strong>di</strong>nato alle esigenze dell’insieme generale 30 .<br />

Ne segue che il male che si trova nelle creature razionali non sopravviene che per<br />

concomitanza: non in base a volontà antecedenti, ma in virtù <strong>di</strong> una volontà conseguente, in<br />

quanto incluso nel <strong>miglior</strong> piano possibile. E il bene metafisico, che comprende tutto, è<br />

causa del fatto che bisogna talvolta dare spazio al male fisico e al male morale […].<br />

(SagTeol II, 209)<br />

<strong>La</strong> sofferenza e il peccato trovano spiegazione adeguata nella con<strong>di</strong>zione metafisica<br />

<strong>della</strong> loro possibilità (la finitezza apprezzata sotto il profilo <strong>della</strong> limitazione) e la<br />

responsabilità <strong>di</strong> Dio viene qualificata nei termini <strong>di</strong> una permissione, regolata da<br />

ragioni superiori invincibili 31 . Quin<strong>di</strong>, permettere il male nel modo in cui Dio lo<br />

permette è la più grande bontà (cfr. SagTeol II, 121). Dio non dà la felicità a tutti (Dio<br />

non vuole la salvezza <strong>di</strong> tutti; cfr. SagTeol III, 282) – benché dobbiamo pensare che lo<br />

voglia –, perché non si de<strong>di</strong>ca interamente “all’affare corrente” (ovvero al singolo ed<br />

alla sua unicità concreta; immaginarselo così, significherebbe per <strong>Leibniz</strong> peccare <strong>di</strong><br />

antropomorfismo), quanto piuttosto all’insieme dei beni maggiori (cfr. SagTeol II, 122),<br />

nel quale il male entra solo per concomitanza 32 .<br />

concomitanza, e come conseguenza <strong>di</strong> altri beni più gran<strong>di</strong> […].» (SagTeol II, 119). Cfr. anche II,194:<br />

«[…] Ricor<strong>di</strong>amoci che l’universo non è fatto soltanto per noi».<br />

27 Cfr. SagTeol I, 105; II, 202. «[…] Secondo i miei principi, tutti gli eventi in<strong>di</strong>viduali, senza eccezione,<br />

sono conseguenze <strong>di</strong> volontà generali.» (SagTeol III, 241). Analoga risoluzione generalista del mistero<br />

del male si rileva nello scientismo naturalista. <strong>Il</strong> parallelo non tra<strong>di</strong>sce un comune <strong>di</strong>fetto razionalistico?<br />

28 SagTeol II, 128. Del resto, anche noi facciamo esperienza che una <strong>di</strong>ssonanza inserita al punto giusto<br />

dà risalto all’armonia. Cfr. anche SagTeol II, 145 («Niente impe<strong>di</strong>sce che un certo male particolare sia<br />

legato con ciò che, in generale, è il meglio»); II, 146; II, 161; Obiezione VII (che uno si trovi in<br />

circostanze più favorevoli <strong>di</strong> un altro <strong>di</strong>pende dall’armonia universale).<br />

29 Anche le sofferenze e i mostri fanno parte dell’or<strong>di</strong>ne; cfr. SagTeol III, 241.<br />

30 «On peut donc légitimement admettre des lois in<strong>di</strong>viduelles, régissant chaque monade, mais reflétant<br />

toutes, d’un point de vue particulier, un système de lois d’ensemble constitutives du dessein <strong>di</strong>vin incarné<br />

dans l’univers créé. Ces lois sont évidemment celles de l’harmonie générale, celles d’une volonté<br />

conséquente traduisant la combinaison optimale des volontés antécédentes relatives aux possibles,<br />

aboutissant aux unités formelles de la nature. […] Les lois particulières potentielles se trouvent rattachées<br />

dans chaque monde à un ordre combinatoire, sans doute exprimable en lois générales subsumant les lois<br />

particulières de façon à constituer un «système général» possible, lequel est en quelque sorte le «plan» du<br />

monde correspondant.» (F. DUCHESNEAU, Autonomie des âmes et devenir des corps dans les Essais de<br />

Théo<strong>di</strong>cée, in P. RATEAU [ed.], Lectures et interprétations des Essais de théo<strong>di</strong>cée de G.W. <strong>Leibniz</strong>, [=<br />

Stu<strong>di</strong>a Leibnitiana – Sonderhefte, 40], Steiner, Stuttgart 2011,107)<br />

31 Cfr. SagTeol II, 114. «[…] Dio concorre moralmente al male morale – vale a <strong>di</strong>re al peccato – senza<br />

essere l’autore del peccato e senza neppure esserne complice.» (SagTeol II, 107). «Egli fa ciò<br />

permettendolo con ragione, e <strong>di</strong>rigendolo saggiamente al bene […]» (SagTeol II, 108). Cfr. anche<br />

SagTeol I, 22.<br />

32 Cfr. SagTeol II, 119; III, 335. «[…] <strong>La</strong> decisione <strong>miglior</strong>e non sempre è quella che tende a evitare il<br />

male, poiché è possibile che il male sia accompagnato da un bene più grande […]. Ciò è stato mostrato<br />

più <strong>di</strong>ffusamente nella presente opera, facendo anche vedere, me<strong>di</strong>ante esempi tratti dalle matematiche,<br />

che l’imperfezione in una parte può essere richiesta da una maggiore perfezione nel tutto. In questo ho<br />

seguito l’opinione <strong>di</strong> sant’Agostino, il quale ha detto un’infinità <strong>di</strong> volte che Dio ha permesso il male per<br />

trarne un bene, ossia un bene più grande; e quella <strong>di</strong> Tommaso d’Aquino (Scriptum super Sententiis, lib.<br />

2, <strong>di</strong>sto 32, q. 1, a. 1), il quale sostiene che la permissione del male tende al bene dell’universo. Ho<br />

7


Ma allora dove nasce il male?<br />

L’uomo è egli stesso la fonte dei propri mali: qual egli è, lo era già nelle idee. Dio, mosso<br />

da ragioni inderogabili <strong>di</strong> saggezza, decretò che passasse all’esistenza tal quale era.<br />

(SagTeol II, 151)<br />

Abbiamo stabilito che il libero arbitrio è la causa prossima del male <strong>di</strong> colpa e, <strong>di</strong><br />

conseguenza, del male <strong>di</strong> pena, anche se è vero che l’imperfezione originaria delle creature,<br />

che si trova rappresentata nelle idee eterne, ne è la causa prima e più lontana. (SagTeol III,<br />

288)<br />

E quanto alla causa del male, è vero che il <strong>di</strong>avolo è l’autore del peccato: ma l’origine del<br />

peccato è più remota, la sua fonte risiede nell’imperfezione originaria delle creature: è ciò a<br />

renderle capaci <strong>di</strong> peccare; e ci sono circostanze, nella serie delle cose, che fanno sì che<br />

questa potenza sia messa in atto. (SagTeol II, 156)<br />

Se la ratio del male è l’imperfezione originaria – e necessaria – delle creature, la<br />

spiegazione viene raggiunta sul piano metafisico <strong>di</strong> un ordo e non <strong>di</strong> un atto. Salvo<br />

ammettere (cfr. il brano citato da SagTeol II, 156) che si danno circostanze che fanno sì<br />

che questa potenza iscritta nel limite creaturale venga attivata. Tali “circostanze” sono<br />

storiche o si determinano previamente alla storia stessa? Sono riconducibili ad un<br />

esercizio <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> e imputabili ad una soggettività? Si tratta <strong>di</strong> interrogativi che<br />

investigano lo statuto (solo apparentemente?) drammatico del male in rapporto alla<br />

<strong>libertà</strong> come un originario 33 .<br />

Non c’è bisogno <strong>di</strong> scienza infinita per vedere che la prescienza e la provvidenza <strong>di</strong>vine<br />

lasciano la <strong>libertà</strong> alle nostre azioni, dato che Dio le ha previste, nelle sue idee, così come<br />

esse sono, vale a <strong>di</strong>re libere. […] <strong>Il</strong> decreto <strong>di</strong> far esistere una determinata azione non ne<br />

muta la natura, non più <strong>di</strong> quanto lo faccia la semplice conoscenza che se ne ha. (SagTeol<br />

III, 365).<br />

Quando Dio produce la cosa, la produce come un in<strong>di</strong>viduo, e non come un universale <strong>della</strong><br />

logica (lo riconosco); ma ne produce l’essenza prima degli accidenti, la natura prima delle<br />

operazioni, secondo la priorità <strong>della</strong> loro natura, e in signo anteriore rationis. Si vede <strong>di</strong> qui<br />

in che senso la creatura possa essere la vera causa del peccato, senza che la conservazione<br />

da parte <strong>di</strong> Dio lo impe<strong>di</strong>sca: egli infatti si regola sullo stato precedente <strong>della</strong> medesima<br />

creatura, per seguire le leggi <strong>della</strong> propria saggezza, nonostante il peccato che verrà<br />

imme<strong>di</strong>atamente prodotto dalla creatura. È vero però che Dio, all’inizio, non avrebbe creato<br />

l’anima in uno stato nel quale avrebbe peccato fin dal primo momento, come hanno<br />

osservato assai bene gli scolastici: infatti non c’è nulla nelle leggi <strong>della</strong> sua saggezza che<br />

avrebbe potuto portarlo a ciò. (SagTeol III, 390)<br />

È sul piano ideale dello stato precedente <strong>di</strong> ogni creatura (prima che Dio decreti <strong>di</strong><br />

crearla; cfr. SagTeol II, 181) e in rapporto alle limitazioni che essa racchiude (cfr.<br />

SagTeol III, 377) che <strong>Leibniz</strong> situa l’origine del male. Si tratta <strong>di</strong> una determinazione<br />

valida da tutta l’eternità (cfr. SagTeol III, 323), nella regione dei possibili (cfr. SagTeol<br />

III, 350) o delle essenze, <strong>di</strong> cui Dio non è affatto l’autore (cfr. SagTeol III, 335).<br />

L’unico vero fatum che fornisce le regole è l’intelletto <strong>di</strong>vino, <strong>di</strong> cui Dio non è creatore<br />

(cfr. SagTeol II, 191) 34 . <strong>Leibniz</strong> ammette che nel mondo che Dio ha fatto passare<br />

mostrato che gli antichi chiamavano la caduta <strong>di</strong> Adamo felix culpa, un peccato fortunato, essendo stato<br />

riparato con immenso vantaggio dall’incarnazione del Figlio <strong>di</strong> Dio, il quale ha donato all’universo<br />

qualcosa <strong>di</strong> più nobile <strong>di</strong> tutto ciò che, altrimenti, avrebbero potuto contenere le creature.» (Obiezione I,<br />

pp. 873-875). Cfr. anche SagTeol I, 10.<br />

33 È ciò che riven<strong>di</strong>cherà Kreiner, ma semantizzandola a priori…<br />

34 «Non ci si deve stupire che io cerchi <strong>di</strong> chiarire queste cose me<strong>di</strong>ante paragoni tratti dalle matematiche<br />

pure, nelle quali tutto procede con or<strong>di</strong>ne e dove c’è modo <strong>di</strong> risolvere le questioni attraverso una<br />

riflessione esatta, che ci fa godere, per così <strong>di</strong>re, <strong>della</strong> vista delle idee <strong>di</strong> Dio.» (SagTeol III, 242).<br />

8


all’esistenza c’è del male e che sarebbe stato possibile fare un mondo privo <strong>di</strong> male o<br />

ad<strong>di</strong>rittura non creare alcun mondo (cfr Obiezione I), però non siamo autorizzati a<br />

concludere che Dio non abbia preso la decisione <strong>miglior</strong>e. <strong>Il</strong> determinismo ideale <strong>di</strong><br />

<strong>Leibniz</strong> sviluppa una formidabile strategia <strong>di</strong> immunizzazione, ma a prezzo <strong>di</strong> una<br />

riduzione intellettualistica e destoricizzante <strong>della</strong> <strong>libertà</strong>, <strong>di</strong> Dio e dell’uomo.<br />

Abbiamo fatto vedere che la <strong>libertà</strong>, quale la si esige nelle scuole teologiche, consiste:<br />

nell’intelligenza, che implica una conoscenza <strong>di</strong>stinta dell’oggetto <strong>della</strong> deliberazione; nella<br />

spontaneità, con la quale noi ci determiniamo; e nella contingenza, cioè nell’esclusione<br />

<strong>della</strong> necessità logica o metafisica. L’intelligenza è come l’anima <strong>della</strong> <strong>libertà</strong>, e il resto ne<br />

è come il corpo e la base. <strong>La</strong> sostanza libera si determina da se stessa, seguendo in ciò il<br />

motivo del bene appercepito dall’intelletto, che la inclina senza necessitarla – e tutte le<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> sono comprese in queste poche parole. È bene tuttavia mostrare che<br />

l’imperfezione che si trova nelle nostre conoscenze e nella nostra spontaneità, e la<br />

determinazione infallibile racchiusa nella nostra contingenza, non <strong>di</strong>struggono né la <strong>libertà</strong><br />

né la contingenza. (SagTeol III, 288; cfr. anche III, 302)<br />

Ora, poiché Dio non è autore del suo intelletto, e la regola del bene e del meglio gli è<br />

essenziale perché proviene dalla sua natura con una forza paragonabile alla necessità<br />

metafisica delle verità matematiche, l’agire <strong>di</strong> Dio appare sottomesso ad una<br />

legislazione generale universale, ad una taxis nella quale la <strong>di</strong>fferenza tra Dio e gli<br />

uomini è solo quantitativa e non qualitativa, dato che non si dà eccezione al principio <strong>di</strong><br />

ragion sufficiente. Dio non è altro che la Ragione, il grande calcolatore 35 , subor<strong>di</strong>nato<br />

ad un ordo che lo include 36 . L’originalità <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> sembra ridursi all’ambito <strong>della</strong><br />

contingenza 37 , ovvero <strong>di</strong> ciò che in sé non è contrad<strong>di</strong>ttorio, dal momento che il rilievo<br />

ontologico dell’attuazione libera è derivato da una necessità <strong>di</strong> tipo logico-matematico<br />

(quin<strong>di</strong> rimane esterno – in quanto predeterminato – alla sua effettività). Al limite, il<br />

35 «<strong>La</strong> saggezza <strong>di</strong> Dio, non contenta <strong>di</strong> abbracciare tutti i possibili, li penetra, li confronta, li pesa gli uni<br />

con gli altri, per valutarne i gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> perfezione o <strong>di</strong> imperfezione, la forza e la debolezza, il bene e il<br />

male: essa si spinge anche al <strong>di</strong> là delle combinazioni finite, ne fa un’infinità <strong>di</strong> infinite, ossia un’infinità<br />

<strong>di</strong> serie possibili dell’universo, ciascuna delle quali contiene un’infinità <strong>di</strong> creature; e, con questo mezzo,<br />

la saggezza <strong>di</strong>vina <strong>di</strong>stribuisce tutti i possibili che aveva già esaminato a parte, in altrettanti sistemi<br />

universali che confronta ancora tra loro. <strong>Il</strong> risultato <strong>di</strong> tutte queste comparazioni e riflessioni è la scelta<br />

del <strong>miglior</strong>e fra tutti quei sistemi possibili, scelta che la saggezza compie per sod<strong>di</strong>sfare pienamente alla<br />

bontà: e questo è esattamente il piano dell’universo attuale. Tutte queste operazioni dell’intelletto <strong>di</strong>vino,<br />

sebbene abbiano tra loro un or<strong>di</strong>ne e una priorità <strong>di</strong> natura, avvengono sempre simultaneamente, senza<br />

cioè che ci sia tra <strong>di</strong> esse alcuna priorità <strong>di</strong> tempo.» (SagTeol II,225). Cfr. J.A. NICOLAS, Le mal comme<br />

limite du Principe de raison, in P. RATEAU (ed.), Lectures et interprétations des Essais de théo<strong>di</strong>cée de<br />

G.W. <strong>Leibniz</strong>, [= Stu<strong>di</strong>a Leibnitiana – Sonderhefte, 40], Steiner, Stuttgart 2011, 223.<br />

36 «Fondamentalement, le principe de raison est à la fois un principe logique au sens large, comme une<br />

règle universelle de recherche des vérités selon leur enchaînement, et un principe ontologique: Dieu,<br />

raison de toutes les vérités, est lui-même une raison.» (M. FICHANT, Vérité, foi et raison dans la<br />

Théo<strong>di</strong>cée, in P. RATEAU (ed.), Lectures et interprétations des Essais de théo<strong>di</strong>cée de G.W. <strong>Leibniz</strong>, [=<br />

Stu<strong>di</strong>a Leibnitiana – Sonderhefte, 40], Steiner, Stuttgart 2011, 249). Nell’argomentazione leibniziana,<br />

secondo cui la presenza effettiva del male si deve ad una regola <strong>di</strong> calcolabilità (si tratta <strong>di</strong> ottenere il più<br />

grande bene possibile con il minimo <strong>di</strong> male inevitabile) non vi sono i prodromi del pragmatismo<br />

contemporaneo? Cfr. J.A. NICOLAS, Le mal comme limite du Principe de raison, cit. 226.<br />

37 «<strong>La</strong> contingence ne peut être connotée que négativement, en un double sens ontologique et moral: Dieu<br />

ne choisit pas les vérités mathématiques, qui ont en elles-mêmes la raison entière de leur existence idéale,<br />

mais il choisit ou non les vérités contingentes, qui deviennent réelles seulement grâce à son décret et qui<br />

peuvent être autrement, parce qu’elles n’ont pas de raison absolue d’exister.» (G. MORMINO, <strong>La</strong><br />

contingence dans les Essais de théo<strong>di</strong>cée de G.W. <strong>Leibniz</strong>: un réquisit de la liberté, in P. RATEAU (ed.),<br />

Lectures et interprétations des Essais de théo<strong>di</strong>cée de G.W. <strong>Leibniz</strong>, [= Stu<strong>di</strong>a Leibnitiana – Sonderhefte,<br />

40], Steiner, Stuttgart 2011, 184).<br />

9


contingente può essere assimilato all’accidentale 38 e gli accidenti sono solamente<br />

mo<strong>di</strong>ficazioni <strong>della</strong> sostanza, momenti particolari dello sviluppo <strong>di</strong> una “legge <strong>di</strong><br />

serie” 39 .<br />

4. <strong>Il</strong> razionalismo alla prova del male. L’argomentazione leibniziana si regge<br />

sull’identificazione tra verità e ragione logico-formale. Ma è proprio questa<br />

identificazione che la tematica del male mette in questione. Riallacciandoci agli<br />

interrogativi già posti: se l’origine del male risiede nella con<strong>di</strong>zione ideale <strong>della</strong><br />

creatura, su quel piano si consuma un dramma oppure la determinazione malvagia è<br />

adeguatamente inferita dalla con<strong>di</strong>zione metafisica <strong>della</strong> sua possibilità (ogni creatura,<br />

infatti, anche quando è solo possibile, è comunque finita)? Se il rinvio alla con<strong>di</strong>zione<br />

metafisica <strong>della</strong> finitezza spiegasse esaustivamente l’esperienza del male, si dovrebbe<br />

concludere che tutti i mali sono riconducibili ad un’unica con<strong>di</strong>zione universale: non<br />

essere come Dio. Allora, però, non si darebbe scampo a questa alternativa: o il male non<br />

deve essere censurato come un’ingiustizia (quin<strong>di</strong> verrebbe <strong>di</strong>ssimulato, perché il male<br />

fisico sarebbe da ascrivere ad un <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> comprensione ed il male morale da<br />

considerare un perturbamento passeggero apparente 40 ) oppure protestare contro chi non<br />

ci ha fatti come lui, sfidando inutilmente un’impossibilità logica: la moltiplicabilità <strong>di</strong><br />

Dio.<br />

Nella razionalizzazione leibniziana ve<strong>di</strong>amo intrecciate la concezione <strong>della</strong><br />

soggettività <strong>di</strong> Dio nei termini <strong>di</strong> una funzione calcolante (l’imputazione del male a Dio<br />

viene superata nel rinvio ad un piano generale, innervato su <strong>di</strong> una legge <strong>di</strong> necessità) e<br />

la spiegazione ideale (an-istorica) <strong>della</strong> responsabilità umana. <strong>La</strong> soluzione <strong>della</strong><br />

problematicità del male avviene a priori. <strong>La</strong> forza analitica <strong>della</strong> conclusione è<br />

<strong>di</strong>rettamente proporzionale ad una concezione dell’effettività dell’esperienza come<br />

modalizzazione accidentale dell’essenza. A questa soluzione oppone resistenza<br />

l’esperienza del male compresa non a monte <strong>della</strong> sua datità fenomenologica. Ogni<br />

prospettiva razionalistica è reificante, poiché non coglie che nell’evidenza del male il<br />

punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong> soggettività è determinante 41 . <strong>Il</strong> fenomeno del male pone in<br />

questione una relazione, dato che attiene ad un rapporto: quello tra il singolo soggetto<br />

attestato nella sua unicità ed un or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> giustizia percepito come violato (quin<strong>di</strong> un<br />

or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> relazioni percepito non come ciò che custo<strong>di</strong>sce ma minaccia la mia unicità).<br />

<strong>Il</strong> vissuto del male mette allo scoperto – rivelandola ferita – la relazionalità originaria<br />

<strong>della</strong> quale il sé sempre vive, ma che qui patisce come lacerazione dell’alleanza<br />

necessaria per vivere. Proprio perché l’esperienza del male riguarda il conflitto tra il<br />

telos <strong>della</strong> mia autodeterminazione e le con<strong>di</strong>zioni relazionali effettive <strong>della</strong> sua<br />

38 Cfr. G. MORMINO, <strong>La</strong> contingence dans les Essais de théo<strong>di</strong>cée de G.W. <strong>Leibniz</strong>: un réquisit de la<br />

liberté, cit., 187. Anche secondo A. ECHAVARRIA, <strong>Leibniz</strong>’s concept of God’s Permissive Will, in P.<br />

RATEAU (ed.), Lectures et interprétations des Essais de théo<strong>di</strong>cée de G.W. <strong>Leibniz</strong>, [= Stu<strong>di</strong>a Leibnitiana<br />

– Sonderhefte, 40], Steiner, Stuttgart 2011, 191-209, in <strong>Leibniz</strong> alla <strong>libertà</strong> spetta soltanto una causalità<br />

per accidens.<br />

39 L’accidente è un momento <strong>della</strong> serie, ma la sostanza è il principio <strong>della</strong> serie nella sua integralità e la<br />

legge <strong>di</strong> questa serie è contenuta nella forma sostanziale o entelechia <strong>della</strong> sostanza in<strong>di</strong>viduale o monade,<br />

che riflette l’armonia del <strong>miglior</strong> mondo possibile. Cfr. F. PIRO, L’action des créature set le concours de<br />

Dieu chez <strong>Leibniz</strong>: entre transcréationistes et duran<strong>di</strong>ens, in P. RATEAU (ed.), Lectures et interprétations<br />

des Essais de théo<strong>di</strong>cée de G.W. <strong>Leibniz</strong>, [= Stu<strong>di</strong>a Leibnitiana – Sonderhefte, 40], Steiner, Stuttgart 2011,<br />

79-93.<br />

40 Una ripresa ed un rafforzamento <strong>di</strong> queste tesi sono ravvisabili nel razionalismo <strong>di</strong> C. Wolff.<br />

41 Riprendo qui alcune considerazioni già esposte in M. EPIS, Sulla “circolarità” <strong>di</strong> teologia e filosofia,<br />

«Teologia» 37, 1 (2012) 62-66.<br />

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ealizzazione pensare <strong>di</strong> venirne a capo su <strong>di</strong> un piano formale-essenziale<br />

significherebbe sospendere la verità <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> personale. <strong>La</strong> questione del male<br />

troverebbe soluzione a prezzo dell’epoché dell’alveo relazionale <strong>della</strong> soggettività libera<br />

e <strong>della</strong> storicità <strong>della</strong> sua realizzazione. Nel para<strong>di</strong>gma razionalistico <strong>della</strong> teo<strong>di</strong>cea<br />

viene fallito il piano del senso, perché all’interrogativo sulla bontà dell’essere nato (la<br />

verità <strong>di</strong> me trova definizione a monte <strong>della</strong> mia determinazione?) e sulla speranza del<br />

compimento possibile (è la questione <strong>della</strong> salvezza come questione del senso ra<strong>di</strong>cale<br />

del dramma nel quale mi scopro posto come responsabile) verrebbe prospettata una<br />

soluzione che rimane esterna all’effettività dell’attuazione storica <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> 42 .<br />

Con<strong>di</strong>zione irrinunciabile per mettere a tema l’originarietà <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> (pena una<br />

<strong>di</strong>ssimulazione del male come problema 43 ) è <strong>di</strong> ripensare la forma propria del primato<br />

<strong>della</strong> verità, precisando che solo se il nesso tra l’attuazione <strong>della</strong> mia <strong>libertà</strong> e la verità<br />

incon<strong>di</strong>zionata è originario trova legittimazione una in<strong>di</strong>gnazione e/o un pentimento nei<br />

confronti del male. Riconoscere l’inclusione come originaria per un verso aggrava la<br />

questione del male, perché impone <strong>di</strong> riconoscerlo nel suo rilievo ontologico proprio in<br />

quanto chiama in causa un plesso <strong>di</strong> attuazioni libere (cfr. la ra<strong>di</strong>cale alternativa<br />

buddhista).<br />

Sotto il profilo teorico veniamo orientati ad un modello ontologico <strong>di</strong> tipo<br />

drammatico (nel quale il primato dell’essere viene pensato istitutivo <strong>della</strong> <strong>libertà</strong> come<br />

determinante il senso <strong>della</strong> verità) e non semplicemente essenziale. In una ontologia<br />

<strong>della</strong> storicità, del senso dell’intreccio tra la <strong>libertà</strong> finita e l’origine che la abita – è su<br />

questo intreccio che fa leva la problematica <strong>di</strong> teo<strong>di</strong>cea – non è praticabile alcuna<br />

semantizzazione a priori, poiché non può essere anticipato al dramma effettivo <strong>della</strong><br />

loro interazione. <strong>La</strong> deduzione all’altezza <strong>di</strong> una teo<strong>di</strong>cea informata<br />

fenomenologicamente è un’antropo<strong>di</strong>cea, la quale nella non-esteriorità dell’ipseità<br />

rispetto alla verità raggiunge la res teologica senza poterla predeterminare. <strong>Il</strong> tema del<br />

male svela che la nominazione <strong>di</strong> Dio è inseparabile dalle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> attestazione<br />

dell’unicità personale, perché mette allo scoperto una originaria relazione non<br />

simmetrica: la verità, che è istitutiva <strong>della</strong> <strong>libertà</strong>, la istituisce come capace <strong>di</strong><br />

determinare la verità.<br />

Nello sviluppo dei Saggi <strong>di</strong> teo<strong>di</strong>cea non manca il riconoscimento <strong>della</strong> scandalosità<br />

del male e dell’importanza delle virtù (cfr., tra gli altri, SagTeol I, 9; I, 54); però<br />

vengono subito <strong>di</strong>mensionati all’interno <strong>di</strong> una legalità preor<strong>di</strong>nata come necessaria. <strong>Il</strong><br />

rilievo veritativo dello storico si riduce all’effettività <strong>di</strong> un virtuale 44 . Nella<br />

razionalizzazione operata da <strong>Leibniz</strong>, la teologia naturale – ma meglio sarebbe <strong>di</strong>re: la<br />

<strong>logo<strong>di</strong>cea</strong> – elaborata dalla ragione calcolante 45 ha il sopravvento sulla teologia<br />

dell’evento <strong>di</strong> Dio 46 .<br />

42 <strong>Il</strong> tema del male è generativo del <strong>di</strong>scorso ontologico, proprio perché il regime del senso non si riduce a<br />

determinazione regionale <strong>della</strong> metafisica, giacché costituisce la matrice <strong>della</strong> filosofia prima. Detto<br />

altrimenti, nell’istruzione <strong>della</strong> metafisica dell’essere la questione antropologica è originaria e non trova<br />

soluzione in via analitica.<br />

43 «Le scandal de l’univers n’est pas la souffrance, c’est la liberté» (G. BERNANOS, Nos amis les saints, in<br />

<strong>La</strong> liberté pourquoi faire? Recueil des conferences, Gallimard, Paris 1995 [ed. orig. 1953], 224).<br />

44 «[…] Secondo il sistema dell’armonia prestabilita, l’anima trova in se stessa e nella propria natura<br />

ideale, anteriore all’esistenza, le ragioni delle proprie determinazioni, regolate su tutto ciò che la<br />

circonderà. Perciò essa era determinata da tutta l’eternità, nel suo stato <strong>di</strong> pura possibilità, ad agire<br />

liberamente, come farà nel tempo, quando perverrà all’esistenza.» (SagTeol III, 323).<br />

45 «[…] Je trouve que les hommes bien souvent n’emploient pas assez la raison pour bien connaître et<br />

pour bien honorer l’auteur de la Raison. On envoie des missionnaires jusqu’à la Chine pour prêcher la<br />

religion chrétienne, et l’on fait bien, mais […] il nous faudrait des Missionnaires de la Raison en Europe,<br />

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pour prêcher la Religion naturelle, sur laquelle la Révélation même est fondée, et sans laquelle la<br />

Révélation sera toujours mal prise. <strong>La</strong> Religion de la raison est éternelle, et Dieu l’a gravée dans nos<br />

cœurs […].» (G.W. LEIBNIZ, lettera All’elettrice Sofia, <strong>di</strong>cembre 1709; cit. in M. FICHANT, Vérité, foi et<br />

raison dans la Théo<strong>di</strong>cée, in P. RATEAU [ed.], Lectures et interprétations des Essais de théo<strong>di</strong>cée de G.W.<br />

<strong>Leibniz</strong>, [= Stu<strong>di</strong>a Leibnitiana – Sonderhefte, 40], Steiner, Stuttgart 2011, 262).<br />

46 Ne dà conferma la comprensione <strong>di</strong> Gesù Cristo come maxima ratio <strong>della</strong> serie delle cose create. Cfr.<br />

G.W. LEIBNIZ, Causa Dei (1710), § 49 (GP VI, 446/SF III, 410); tr. it. in G.W. LEIBNIZ, Scritti filosofici,<br />

Utet, Torino 2000, vol. III, 410. Cfr. anche SagTeol I, 84. «Certamente mai una filosofia cristiana è<br />

apparsa sulla scena con una pretesa così trionfale <strong>di</strong> totalità quanto il sistema che tutto sa e tutto pondera e<br />

concilia <strong>di</strong> <strong>Leibniz</strong>, l’homo davvero universalis del barocco; egli è l’avvocato legale <strong>di</strong>fensore <strong>di</strong> Dio e<br />

del suo mondo che sostiene come in un tribunale la causa Dei. Lo splendore <strong>della</strong> sua forza <strong>di</strong><br />

penetrazione e <strong>della</strong> sua eloquenza speculativa irra<strong>di</strong>a nella certezza <strong>della</strong> vittoria la gloria Dei, per la<br />

quale egli combatte, in tutti i campi <strong>della</strong> filosofia e <strong>della</strong> teologia, <strong>della</strong> metafisica tramandata degli<br />

antichi, dei padri <strong>della</strong> chiesa e degli scolastici, fino alla neoscolastica barocca, ed egualmente, anzi più<br />

incisivamente in tutti i settori <strong>della</strong> moderna ricerca scientifico-naturale, matematica, fisica, biologica,<br />

<strong>della</strong> tecnica, <strong>della</strong> scienza giuri<strong>di</strong>ca e storica, <strong>della</strong> politica europea, e naturalmente anche, e del tutto in<br />

corrispondenza al suo pensiero universalistico, dell’ecumenismo ecclesiastico. Solo Hegel innalzerà<br />

ancora per una volta una simile pretesa <strong>di</strong> universalità, ma <strong>Leibniz</strong> ha su <strong>di</strong> lui il vantaggio <strong>della</strong><br />

competenza anche nei campi <strong>della</strong> ricerca e <strong>della</strong> scoperta scientifica esatta. L’ethos <strong>di</strong> tutto questo suo<br />

attivismo speculativo è l’illimitata affermazione <strong>di</strong> ogni (parziale) verità, il coraggio e la volontà per una<br />

sua illacunosa integrazione.» (H.U. VON BALTHASAR, Gloria V. Nello spazio <strong>della</strong> metafisica. L’epoca<br />

moderna [1965], Jaca Book, Milano 1991, 419s). «Questo trionfalismo nella <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> Dio contro ogni<br />

possibile obiezione da parte delle sue creature corrisponde pienamente all’apriorismo filosofico il quale –<br />

presumibilmente senza rischio per la <strong>libertà</strong> <strong>di</strong>vina e umana – ricostruisce il mondo nello spirito <strong>di</strong>vino<br />

(tra l’intelletto <strong>di</strong> Dio e la sua volontà) in base a eterne necessità.» (Ivi, 426). «Questo “protezionismo”<br />

autarchico, questa situazione <strong>di</strong> “non-esponibilità” dell’esistenza conferisce alla “coscienza <strong>della</strong> gloria”<br />

<strong>di</strong> <strong>Leibniz</strong> un carattere <strong>di</strong> intangibilità da parte <strong>di</strong> qualsiasi elemento tragico.» (Ivi, 427). «Come nella<br />

concezione sacralistica del primo me<strong>di</strong>oevo <strong>Leibniz</strong> costruisce un ostensorio gran<strong>di</strong>oso, ma ciò che<br />

dovrebbe mostrare nel suo centro, la notte <strong>della</strong> Passione, vi manca.» (Ivi, 429). Per riprendere una<br />

classificazione ancora balthasariana, <strong>Leibniz</strong> rimane nella prospettiva <strong>di</strong> una “riduzione cosmologica”.<br />

Cfr. H.U. VON BALTHASAR, Glaubhaft ist nur Liebe, Johannes Verlag, Einsiedeln 1963, 16.<br />

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