18.06.2013 Views

Commenti al Vangelo del giorno - Padre Lino Pedron

Commenti al Vangelo del giorno - Padre Lino Pedron

Commenti al Vangelo del giorno - Padre Lino Pedron

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

«Dacci oggi il nostro pane quotidiano»<br />

Il <strong>Vangelo</strong> <strong>del</strong>la liturgia <strong>del</strong> <strong>giorno</strong><br />

commentato da p. <strong>Lino</strong> <strong>Pedron</strong><br />

<strong>Commenti</strong> <strong>al</strong> <strong>Vangelo</strong> <strong>del</strong> <strong>giorno</strong> <strong>del</strong> mese di Giugno 2013<br />

(Le letture sono tratte d<strong>al</strong> Nuovo Lezionario - Testo CEI2008)<br />

Sabato 1 Giugno 2013<br />

Mc 11,27-33<br />

Con qu<strong>al</strong>e autorità fai queste cose?<br />

27 Andarono di nuovo a Gerus<strong>al</strong>emme. E, mentre egli camminava nel tempio, vennero<br />

da lui i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani 28 e gli dissero: «Con qu<strong>al</strong>e autorità fai<br />

queste cose? O chi ti ha dato l'autorità di farle?». 29 Ma Gesù disse loro: «Vi farò una sola<br />

domanda. Se mi rispondete, vi dirò con qu<strong>al</strong>e autorità faccio questo. 30 Il battesimo di Giovanni<br />

veniva d<strong>al</strong> cielo o dagli uomini? Rispondetemi». 31 Essi discutevano fra loro dicendo:<br />

«Se diciamo: «D<strong>al</strong> cielo», risponderà: «Perché <strong>al</strong>lora non gli avete creduto?». 32 Diciamo<br />

dunque: «Dagli uomini»?». Ma temevano la folla, perché tutti ritenevano che Giovanni<br />

fosse veramente un profeta. 33 Rispondendo a Gesù dissero: «Non lo sappiamo». E Gesù<br />

disse loro: «Neanche io vi dico con qu<strong>al</strong>e autorità faccio queste cose».<br />

Nei primi 26 versetti di questo capitolo Gesù aveva espresso il suo giudizio su Gerus<strong>al</strong>emme, il tempio e la f<strong>al</strong>sa<br />

religiosità, con dei gesti, dei fatti (entrata in Gerus<strong>al</strong>emme, fico seccato, purificazione <strong>del</strong> tempio). Da 11,27 a 12,37<br />

il suo giudizio viene espresso con le parole.<br />

L'agire di Gesù ha suscitato una reazione violenta da parte dei padroni <strong>del</strong>la religione. Era entrato nel tempio<br />

senza chiedere permesso, come uno che entra in casa propria; aveva scacciato venditori e cambiav<strong>al</strong>ute muniti di<br />

regolare permesso rilasciato d<strong>al</strong>l'autorità; aveva messo sotto accusa il modo di far religione: il tempio non era più<br />

casa di preghiera, ma spelonca di ladri. Davanti a una simile accusa il potere costituito non poteva tacere. E non<br />

tacque.<br />

"Con qu<strong>al</strong>e autorità fai queste cose? O chi ti ha dato l'autorità per farle?" Nel contesto, la domanda si riferisce<br />

<strong>al</strong>l'ingresso di Gesù in Gerus<strong>al</strong>emme e <strong>al</strong>l'espulsione dei mercati d<strong>al</strong> tempio. Ma in pratica viene coinvolta tutta la<br />

sua attività. Perciò anche la domanda <strong>del</strong>le autorità giudaiche supera il quadro immediato nel qu<strong>al</strong>e è stata posta: il<br />

processo contro Gesù è già iniziato.<br />

"Vi farò anch'io una domanda". Il processo si capovolge e gli accusatori sono messi sotto accusa e invitati a<br />

rendere conto <strong>del</strong> loro comportamento. Gesù non pone una contro-domanda per sfuggire <strong>al</strong>le domande dei suoi<br />

avversari, ma per rendere possibile una risposta: non si capisce Gesù se prima non si è capito Giovanni il Battista.<br />

Se infatti Giovanni è venuto da Dio per preparare la strada <strong>al</strong> Messia, Gesù agisce con l'autorità che gli compete<br />

come Messia, ed è Dio che gli ha dato questa autorità. Ora essi non vogliono assolutamente ammettere questo:<br />

per loro Gesù non rivela il vero volto di Dio e perciò deve morire perché è un bestemmiatore. Su questa loro decisione<br />

essi non sono disposti a ritornare e rimangono ostili <strong>al</strong>la rivelazione di Gesù.<br />

Cosa farà Gesù? Li lascerà senza una risposta? Sembrerebbe di sì: "Gesù disse loro: 'Neanch'io vi dico con<br />

qu<strong>al</strong>e autorità faccio queste cose' ". In re<strong>al</strong>tà Gesù risponde con la parabola dei vignaioli omicidi, che troviamo immediatamente<br />

dopo questo brano. E tutti e tre i sinottici dichiarano che i suoi interlocutori compresero che aveva<br />

detto quella parabola per loro (Mt 21,45; Mc 12,12; Lc 20,19).<br />

Domenica 2 Giugno 2013 - SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO C)<br />

Lc 9,11-17<br />

Tutti mangiarono a sazietà<br />

11 Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro<br />

<strong>del</strong> regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.<br />

12 Il <strong>giorno</strong> cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la<br />

folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per <strong>al</strong>loggiare e trovare cibo:<br />

qui siamo in una zona deserta». 13 Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare».<br />

Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo<br />

noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14 C'erano infatti circa cinquemila uomini.<br />

Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15 Fecero così e li<br />

fecero sedere tutti quanti. 16 Egli prese i cinque pani e i due pesci, <strong>al</strong>zò gli occhi <strong>al</strong> cielo,<br />

recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero <strong>al</strong>la<br />

folla. 17 Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.<br />

1


Questo banchetto segna il punto d'arrivo <strong>del</strong>la missione degli apostoli: l'attività missionaria infatti porta a conoscere<br />

il Signore Gesù e ha il suo culmine e coronamento nell'eucaristia. Essa è il fondamento e il compimento <strong>del</strong>la<br />

Chiesa, è suo principio e suo fine.<br />

Il racconto ha come sottofondo il banchetto che Dio imbandì nel deserto per il suo popolo (Is 25,6ss; Os 11,4;<br />

S<strong>al</strong> 23; ecc.). T<strong>al</strong>e banchetto (cf. Nm11,4 ss; Es 16; Dt 8,13) chiarisce molti dettagli di questo racconto, la cui struttura<br />

è simile <strong>al</strong>la moltiplicazione dei pani di 2Re 4, 42-44. Gesù è presentato come Dio stesso che sazia e s<strong>al</strong>va.<br />

Gesù accoglie le folle. Questa accoglienza, che prepara <strong>al</strong> banchetto, ha due aspetti: "Parlava loro <strong>del</strong> regno di<br />

Dio" e "guariva quanti avevano bisogno di cure". Luca mette in evidenza la cura di Gesù come di un medico verso i<br />

bisognosi, gli esclusi, gli infelici, i m<strong>al</strong>ati, i peccatori.<br />

Il declinare <strong>del</strong> <strong>giorno</strong> è l'ora in cui Gesù fu invitato a "rimanere" dai discepoli di Emmaus (Lc 24,29). E' la stessa<br />

ora <strong>del</strong> banchetto eucaristico che, come quello pasqu<strong>al</strong>e, si celebra <strong>al</strong> tramonto <strong>del</strong> sole.<br />

I Dodici, che in At 6,2 vedremo deputati <strong>al</strong> servizio <strong>del</strong>le mense, ora si rivolgono a Gesù e lo consigliano di<br />

mandare via la gente invece di accoglierla.<br />

Gesù dà ai discepoli lo stesso ordine che aveva dato Eliseo (2Re 4,43-44). I discepoli fanno i c<strong>al</strong>coli sulle loro<br />

possibilità. Non sanno ancora contare sul dono di Dio.<br />

Per la parola di Gesù, la folla disordinata diventa popolo ordinato. Il pasto viene consumato comodamente<br />

sdraiati e non più in piedi e in fretta come nel primo esodo (Es 12,11): con Gesù sono ormai nel riposo <strong>del</strong>la terra<br />

promessa.<br />

Questo pane donato da Gesù è il vertice di tutto il creato perché in esso tutta la materia inanimata diventa Cristo<br />

che si fa nutrimento completo <strong>del</strong>l'uomo: è il punto di congiunzione tra creazione e Creatore in Gesù, che si fa<br />

pane per unirsi <strong>al</strong>l'uomo sua creatura prediletta.<br />

Solo mangiando Gesù l'uomo è sazio di vita e vince la morte. Questo pane lo si può conservare, a differenza<br />

<strong>del</strong>la manna che perisce, perché è il pane <strong>del</strong>la vita eterna (Gv 6,12). Lo si conserva dandolo e lo si moltiplica dividendolo.<br />

Le dodici ceste di pezzi, una per tribù, indicano che il pane di Cristo è sovrabbondante: ce n'è per tutti e<br />

per sempre.<br />

Lunedì 3 Giugno 2013<br />

Mc 12,1-12<br />

Presero il figlio amato, lo uccisero e lo gettarono fuori <strong>del</strong>la vigna.<br />

2<br />

1 Si mise a parlare loro con parabole: «Un uomo piantò una vigna, la circondò con una<br />

siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini<br />

e se ne andò lontano. 2 Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da<br />

loro la sua parte <strong>del</strong> raccolto <strong>del</strong>la vigna. 3 Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono<br />

via a mani vuote. 4 Mandò loro di nuovo un <strong>al</strong>tro servo: anche quello lo picchiarono<br />

sulla testa e lo insultarono. 5 Ne mandò un <strong>al</strong>tro, e questo lo uccisero; poi molti <strong>al</strong>tri: <strong>al</strong>cuni<br />

li bastonarono, <strong>al</strong>tri li uccisero. 6 Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo,<br />

dicendo: «Avranno rispetto per mio figlio!». 7 Ma quei contadini dissero tra loro: «Costui<br />

è l'erede. Su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra!». 8 Lo presero, lo uccisero e lo gettarono<br />

fuori <strong>del</strong>la vigna. 9 Che cosa farà dunque il padrone <strong>del</strong>la vigna? Verrà e farà morire<br />

i contadini e darà la vigna ad <strong>al</strong>tri. 10 Non avete letto questa Scrittura:<br />

La pietra che i costruttori hanno scartato<br />

è diventata la pietra d'angolo;<br />

11 questo è stato fatto d<strong>al</strong> Signore<br />

ed è una meraviglia ai nostri occhi?».<br />

12 E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura <strong>del</strong>la folla; avevano capito infatti che aveva<br />

detto quella parabola contro di loro. Lo lasciarono e se ne andarono.<br />

L’immagine <strong>del</strong>la vigna, designa spesso nei profeti il popolo di Israele. Il cantico <strong>del</strong>la vigna (Is 5,1-7) era nella<br />

memoria di tutti: il profeta ne aveva fatto una parabola di giudizio per i capi di Gerus<strong>al</strong>emme e gli abitanti <strong>del</strong>la Giudea.<br />

Non c’è molta differenza tra questi vignaioli e i f<strong>al</strong>si pastori di Ez 34, che invece di pascere le pecore pascono<br />

se stessi. Nell’uno e nell’<strong>al</strong>tro caso, coloro che Dio ha posto come suoi rappresentanti in mezzo <strong>al</strong> popolo sfruttano<br />

la loro posizione a proprio beneficio.<br />

La citazione <strong>del</strong> s<strong>al</strong>mo 118: "La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo" vuol dire che<br />

Dio è capace di annullare l’azione degli uomini e di capovolgerne il risultato. Gli uomini hanno ucciso suo Figlio, ma<br />

Dio l’ha risuscitato: "D<strong>al</strong> Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri!".<br />

Con questa parabola <strong>al</strong>legorica, Gesù dà la chiave di lettura <strong>del</strong>la storia di Israele e <strong>del</strong>la storia di ogni uomo,<br />

come scontro senza incontro tra la fe<strong>del</strong>tà di Dio e l’infe<strong>del</strong>tà <strong>del</strong>l’uomo. La sua offerta d’amore si trova sempre davanti<br />

il muro <strong>del</strong> nostro rifiuto ostinato.<br />

Alla sua crescente bontà corrisponde un crescendo <strong>del</strong>la nostra cattiveria. Sembra proprio un amore infelice,<br />

senza possibilità di riuscita. Ma il Signore opera una meraviglia ai nostri occhi, facendo <strong>del</strong>la croce, che è il vertice


<strong>del</strong> nostro m<strong>al</strong>e e <strong>del</strong> nostro peccato, il dono <strong>del</strong> suo massimo amore e <strong>del</strong> suo perdono. Noi lo uccidiamo togliendogli<br />

la vita, e lui ci fa vivere donandoci la sua vita.<br />

La nostra m<strong>al</strong>vagità non vanifica il suo piano di s<strong>al</strong>vezza. Tutto il nostro m<strong>al</strong>e e quello <strong>del</strong>la storia umana non fa<br />

f<strong>al</strong>lire il disegno di Dio, ma lo compie in un modo più sublime, mostrando il suo potere che è solo e tutto misericordia.<br />

Il potere <strong>del</strong>l’uomo è quello di fare il m<strong>al</strong>e d<strong>al</strong> bene; quello di Dio è di fare il bene d<strong>al</strong> m<strong>al</strong>e. Egli vorrebbe diversamente,<br />

ma rispetta la nostra libertà. Egli è Dio proprio perché sa colmare la nostra miseria con la sua misericordia,<br />

rispondendo <strong>al</strong> nostro rifiuto con la sua offerta incondizionata d’amore. E’ la vittoria <strong>del</strong>la croce, scontro inevitabile,<br />

che diventa incontro definitivo.<br />

Gesù è il Figlio unigenito che si è fatto servo e ultimo di tutti, dando la vita per noi che gli diamo la morte. Questo<br />

è il suo potere: la sua fe<strong>del</strong>tà <strong>al</strong> di là di ogni nostra infe<strong>del</strong>tà.<br />

Martedì 4 Giugno 2013<br />

Mc 12,13-17<br />

Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio.<br />

13 Mandarono da lui <strong>al</strong>cuni farisei ed erodiani, per coglierlo in f<strong>al</strong>lo nel discorso.<br />

14 Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di <strong>al</strong>cuno,<br />

perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È<br />

lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». 15 Ma egli, conoscendo<br />

la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi <strong>al</strong>la prova? Portatemi un denaro: voglio<br />

vederlo». 16 Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l'iscrizione,<br />

di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». 17 Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare<br />

rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.<br />

I farisei e gli erodiani cercano di cogliere in f<strong>al</strong>lo Gesù ponendogli una domanda <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e sembra impossibile<br />

rispondere senza incorrere in gravi conseguenze: "E’ lecito o no dare il tributo a Cesare?".<br />

Rispondere di no sarebbe pericoloso perché trasformerebbe Gesù in un sobillatore politico; rispondere di sì sarebbe<br />

<strong>al</strong>trettanto pericoloso perché lo farebbe apparire come un collaborazionista, amico degli odiati occupanti romani.<br />

La risposta supera il livello <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e il problema era stato posto. Gesù non dà una ricetta per un comportamento<br />

civico; non raccomanda né la rassegnazione di fronte <strong>al</strong>l’ordine costituito (punto di vista dei farisei) né il rifiuto (opinione<br />

degli zeloti) e neppure benedice lo stato imperi<strong>al</strong>e (tendenza degli erodiani).<br />

La sua duplice dichiarazione constata, da una parte, l’esistenza di regole provvisorie sulla terra e, d<strong>al</strong>l’<strong>al</strong>tra, invita<br />

ad adottare nei confronti di esse un atteggiamento critico: distinguere tra l’accessorio e il princip<strong>al</strong>e, tra il relativo<br />

e l’assoluto, tra il transeunte e l’eterno, tra le re<strong>al</strong>tà penultime e quelle ultime.<br />

La decisione apolitica di Gesù contiene un invito <strong>al</strong>l’azione responsabile in favore <strong>del</strong>la società umana, senza<br />

riduzioni o es<strong>al</strong>tazioni indebite, conformemente <strong>al</strong>la volontà di Dio.<br />

La risposta di Gesù non è una semplice astuzia per eludere il problema e non cadere nel tranello teso dai farisei<br />

e dagli erodiani. Non dice semplicemente: "Date a ciascuno ciò che gli spetta", senza determinare ciò che spetta a<br />

ciascuno.<br />

A quei tempi il dominio di un sovrano si estendeva ovunque la sua moneta aveva corso leg<strong>al</strong>e. Era ovvio che<br />

dove circolava la moneta di Cesare, si sottostava <strong>al</strong> dominio di Cesare e si rispettavano le regole <strong>del</strong> gioco, tra le<br />

qu<strong>al</strong>i quella di pagargli il tributo (cfr Rm 13,1-7; 1Pt 2,13ss).<br />

Per Gesù il problema è un <strong>al</strong>tro: dare a Dio ciò che è di Dio. Come la moneta <strong>del</strong> tributo porta l’immagine di Cesare<br />

e appartiene a Cesare, così l’uomo è immagine di Dio e appartiene a Dio. Il tributo da pagargli è quello di darsi<br />

a lui, amando lui con tutto il cuore e il prossimo come se stessi (Mc 12,30-31).<br />

Circa l’autorità civile, è giusto distinguere il contenuto d<strong>al</strong> modo. Il suo contenuto è quello di servire <strong>al</strong> bene comune;<br />

in questo senso, anche se le sue forme sono storicamente più o meno imperfette, è legittimamente voluta<br />

da Dio (cfr Rm 13,1-4).<br />

Norm<strong>al</strong>mente, il modo nel qu<strong>al</strong>e è esercitata è quello dei capi <strong>del</strong>le nazioni (cfr Mc 10,42), che bramano l’avere,<br />

il potere e l’apparire. Questo modo non è voluto da Dio. Esso schiavizza tutti, sia chi lo esercita sia chi lo subisce,<br />

togliendo a tutti, dominatori e dominati, la libertà, che è proprio ciò per cui siamo a immagine e somiglianza di Dio.<br />

Questo brano ci aiuta a capire il "potere" di Cristo che mette sempre in crisi quello <strong>del</strong>l’uomo. Esso infatti è amore,<br />

servizio e umiltà.<br />

Gesù ci dà un criterio in base <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e fare le nostre scelte: prima dare a Dio ciò che è di Dio. Solo così sapremo<br />

cosa dare <strong>al</strong> Cesare di turno.<br />

L’uso <strong>del</strong> denaro è l’accettazione implicita <strong>del</strong> potere di chi l’ha coniato. Gesù non ha con sé la moneta, a differenza<br />

dei farisei e degli erodiani. Le loro parole non presentano quindi un vero problema per loro, che possiedono<br />

molto volentieri le monete con l’iscrizione di Cesare. Le tasse fanno problema a quelli che hanno i soldi, non ai poveri.<br />

Inoltre l’iscrizione sulla moneta porta il nome e il ruolo divino <strong>del</strong>l’imperatore: Tiberio Cesare Imperatore, figlio<br />

<strong>del</strong> divino Augusto.<br />

Il titolo reg<strong>al</strong>e di Gesù non lo troveremo scritto su <strong>al</strong>cuna moneta, ma sulla croce (Mc 15,26). Chi ha orecchi per<br />

intendere, intenda!<br />

Ma il problema fondament<strong>al</strong>e è che l’uomo, immagine di Dio, è di Dio e deve ritornare a lui.<br />

3


Mercoledì 5 Giugno 2013<br />

Mc 12,18-27<br />

Non è Dio dei morti, ma dei viventi!<br />

4<br />

18 Vennero da lui <strong>al</strong>cuni sadducei - i qu<strong>al</strong>i dicono che non c'è risurrezione - e lo interrogavano<br />

dicendo: 19 «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qu<strong>al</strong>cuno<br />

e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza <strong>al</strong><br />

proprio fratello. 20 C'erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza.<br />

21 Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo ugu<strong>al</strong>mente,<br />

22 e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna.<br />

23 Alla risurrezione, quando risorgeranno, di qu<strong>al</strong>e di loro sarà moglie? Poiché tutti e<br />

sette l'hanno avuta in moglie». 24 Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in<br />

errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? 25 Quando risorgeranno<br />

dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.<br />

26 Riguardo <strong>al</strong> fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto <strong>del</strong><br />

roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di<br />

Giacobbe? 27 Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore».<br />

Anche i sadducei contestano Gesù: essi non credono <strong>al</strong>la risurrezione dei morti. La risposta di Gesù considera<br />

due momenti. Anzitutto egli fonda la fede nella risurrezione sul rapporto che Dio ha stabilito con gli uomini: un rapporto<br />

di <strong>al</strong>leanza, di amicizia, di solidarietà, di vita. Dio non è impotente di fronte <strong>al</strong>la morte, "non è il Dio dei morti,<br />

ma dei viventi" (v. 27).<br />

Citando Esodo 3, che è un testo su Dio e non sulla risurrezione dei morti, Gesù riconduce il dibattito <strong>al</strong>l’amore di<br />

Dio e <strong>al</strong>la sua fe<strong>del</strong>tà: se Dio ama l’uomo non può abbandonarlo in potere <strong>del</strong>la morte.<br />

Gesù inoltre corregge l’<strong>al</strong>tro errore dei sadducei che pensano <strong>al</strong>la risurrezione come a una semplice continuazione<br />

<strong>del</strong>la vita attu<strong>al</strong>e, con gli stessi tipi di rapporti. Pensando in questo modo, essi non tengono conto <strong>del</strong>la "potenza<br />

di Dio" (v. 24).<br />

La risurrezione non è una semplice continuazione <strong>del</strong>la vita attu<strong>al</strong>e, ma il passaggio a una vita nuova, creata<br />

d<strong>al</strong>la potenza di Dio. Non è la rianimazione di un cadavere: è una trasformazione qu<strong>al</strong>itativa, è una nuova esistenza.<br />

La nostra risurrezione è il centro <strong>del</strong>la vita cristiana. Senza di essa " è vana la nostra predicazione ed è vana<br />

anche la vostra fede" scrive Paolo ai Corinti (1Cor 15,14).<br />

I sadducei assomigliano a tanti credenti <strong>del</strong> nostro tempo. Credono in Dio, ma non nella risurrezione dei morti.<br />

Chiusi nel materi<strong>al</strong>ismo, non credono, né teoricamente né praticamente, <strong>al</strong> fine a cui Dio ci ha destinati: la vita eterna.<br />

E’ l’<strong>al</strong>ienazione più tragica <strong>del</strong>l’uomo, che perde ciò per cui è fatto, l’orizzonte che dà senso <strong>al</strong>la vita. Tentare<br />

di superare la morte attraverso la generazione dei figli è un rimedio peggiore <strong>del</strong> m<strong>al</strong>e, una vittoria illusoria, perché<br />

non si fa che accrescere il numero dei destinati <strong>al</strong>la morte.<br />

La generazione dei figli ha senso solamente nella speranza che questi "destinati <strong>al</strong>la morte" incontrino Dio che<br />

dà loro la vita nella risurrezione.<br />

Giovedì 6 Giugno 2013<br />

Mc 12,28-34<br />

Non c’è <strong>al</strong>tro comandamento più grande di questi.<br />

28 Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva<br />

ben risposto a loro, gli domandò: «Qu<strong>al</strong> è il primo di tutti i comandamenti?». 29 Gesù rispose:<br />

«Il primo è:Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; 30 amerai il Signore<br />

tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con<br />

tutta la tua forza. 31 Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c'è<br />

<strong>al</strong>tro comandamento più grande di questi». 32 Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro,<br />

e secondo verità, che Egli è unico e non vi è <strong>al</strong>tri <strong>al</strong>l'infuori di lui; 33 amarlo con tutto il<br />

cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso v<strong>al</strong>e<br />

più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34 Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù<br />

gli disse: «Non sei lontano d<strong>al</strong> regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.<br />

La domanda che lo scriba pone a Gesù non è oziosa. Data la molteplicità <strong>del</strong>le prescrizioni <strong>del</strong>la legge (se ne<br />

contavano 613, ripartite in 365 proibizioni - quanti sono i giorni <strong>del</strong>l’anno - e 248 comandamenti positivi, quante si<br />

credeva fossero le parti <strong>del</strong> corpo umano), ci si poteva legittimamente interrogare sul loro v<strong>al</strong>ore e chiedersi qu<strong>al</strong>e<br />

fosse il comandamento più grande.<br />

La risposta di Gesù che pone nell’amore di Dio e <strong>del</strong> prossimo il centro <strong>del</strong>la legge, non è una novità assoluta:<br />

lo insegnavano anche i rabbini di <strong>al</strong>lora. La novità consiste nell’avere unificato il testo <strong>del</strong> Dt 6,4-5 con il testo <strong>del</strong> Lv<br />

19,18. Ma per cogliere questo centro sono necessarie due precisazioni. La Bibbia insegna che il nostro amore per<br />

Dio e per il prossimo suppone un fatto precedente, senza il qu<strong>al</strong>e tutto resterebbe incomprensibile: l’amore di Dio


per noi. Qui è l’origine e la misura <strong>del</strong> nostro amore. L’amore <strong>del</strong>l’uomo nasce d<strong>al</strong>l’amore di Dio e deve misurarsi su<br />

di esso. E qui si inserisce la seconda precisazione: chi è il prossimo da amare? La Bibbia risponde: ogni uomo che<br />

Dio ama, cioè tutti gli uomini, senza <strong>al</strong>cuna distinzione, perché Dio si è rivelato in Gesù come amore univers<strong>al</strong>e.<br />

La nostra vita è amare Dio e unirci a lui (Dt 30, 20), diventando per grazia ciò che lui è per natura. Il nostro amore<br />

per lui è la via per la nostra divinizzazione, perché uno diventa ciò che ama. Chi risponde a questo amore passa<br />

d<strong>al</strong>la morte <strong>al</strong>la vita, mentre chi non ama Dio e il prossimo rimane nella morte (1Gv 3,14). Dio è amore più forte<br />

<strong>del</strong>la morte (Ct 8, 6). La sua fe<strong>del</strong>tà dura in eterno (S<strong>al</strong> 117,2). Quando noi moriamo, egli ci ridà la vita. "Riconoscerete<br />

che io sono il Signore quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri" (Ez 37,13). Dio ha<br />

creato tutto per l’esistenza, perché è un Dio amante <strong>del</strong>la vita (cfr Sap 1,14; 11,26).<br />

L’amore per l’uomo non è in <strong>al</strong>ternativa a quello per Dio, ma scaturisce da esso come d<strong>al</strong>la sua sorgente. Si<br />

ama veramente il prossimo solo quando lo si aiuta a diventare se stesso, raggiungendo il fine per cui è stato creato,<br />

che è quello di amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stesso. Alla luce di questa verità, dobbiamo<br />

rivedere radic<strong>al</strong>mente il nostro modo di amare: molto <strong>del</strong> cosiddetto amore, che schiavizza sé e gli <strong>al</strong>tri, è una contraffazione<br />

<strong>del</strong>l’amore, è egoismo. Quanta purificazione, quanta grazia di Dio occorrono perché l’amore sia vero<br />

amore!<br />

Venerdì 7 Giugno 2013 - SACRATISSIMO CUORE DI GESU' (ANNO C)<br />

Lc 15,3-7<br />

R<strong>al</strong>legratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta.<br />

3 Ed egli disse loro questa parabola:<br />

4 «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto<br />

e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? 5 Quando l'ha trovata, pieno di gioia<br />

se la carica sulle sp<strong>al</strong>le, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: «R<strong>al</strong>legratevi<br />

con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta». 7 Io vi dico: così vi<br />

sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti<br />

i qu<strong>al</strong>i non hanno bisogno di conversione.<br />

I destinatari <strong>del</strong>l'insegnamento sono gli scribi e i farisei. Le parabole sono un invito ai giusti perché si convertano<br />

d<strong>al</strong>la propria giustizia che condanna i peccatori, <strong>al</strong>la giustizia <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> che li giustifica.<br />

Mentre il peccatore sente il bisogno <strong>del</strong>la misericordia di Dio, il giusto non la vuole né per sé né per gli <strong>al</strong>tri, anzi<br />

si irrita grandemente con Dio, come Giona (Gio 4,29). In questo modo rifiuta Dio, che è misericordia, in nome <strong>del</strong>la<br />

propria giustizia.<br />

La contrapposizione tra uno e tutti sottolinea la condizione di precedenza di chi è fuori strada, m<strong>al</strong>ato e infelice<br />

rispetto a chi è <strong>al</strong> sicuro, in s<strong>al</strong>ute e nella gioia.<br />

Nell'Antico Testamento il pastore è Dio (Ger 23,1-6; Ez 34,12-16; S<strong>al</strong> 23; ecc.), nel Nuovo è Gesù (Gv 10,11ss).<br />

Il cuore <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> si rivolge tutto verso l'unico figlio che manca. Non basta la presenza di tutti gli <strong>al</strong>tri per consolarlo.<br />

Egli ha un amore tot<strong>al</strong>e per ognuno. La sofferenza per la perdita di uno solo ci rivela quanto v<strong>al</strong>ore ha ognuno di<br />

noi ai suoi occhi di <strong>Padre</strong>.<br />

L'atteggiamento <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> si rivela nel comportamento di Gesù che cerca l'uomo perduto e invita gli amici e i vicini<br />

perché condividano la gioia <strong>del</strong> ritrovamento.<br />

L'iniziativa <strong>del</strong>la s<strong>al</strong>vezza è di Dio che non attende il ritorno <strong>del</strong> peccatore smarrito, ma gli va incontro e lo porta<br />

a casa sua. La gioia di Dio per il ritorno <strong>del</strong> peccatore sta nel vedere riconosciuta e accolta la sua misericordia.<br />

La gioia di Dio sarà piena quando tutti, anche i giusti, si convertiranno. Secondo Paolo il punto di arrivo <strong>del</strong>la<br />

storia è la conversione d'Israele (Rm 11,25-36). La gioia di Dio per la s<strong>al</strong>vezza di uno solo lascia intravedere la sofferenza<br />

divina <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> fino a quando non vede tutti i suoi figli nella sua casa.<br />

In re<strong>al</strong>tà la pecora non si è convertita. Non siamo noi che ritorniamo a Dio, ma è lui che viene a cercarci. Convertirsi<br />

è volgere il nostro sguardo d<strong>al</strong> proprio io a Dio, d<strong>al</strong>la nostra nudità <strong>al</strong>l'occhio di colui che da sempre ci guarda<br />

con amore.<br />

Nella parabola <strong>del</strong>la pecora perduta il protagonista era un uomo, figura di Dio, pastore d'Israele. Nella parabola<br />

<strong>del</strong>la dracma perduta è una donna, figura <strong>del</strong>l'amore materno di Dio. Dio mi è più madre di mia madre: è lui infatti<br />

che mi ha tessuto nel seno di mia madre (S<strong>al</strong> 139,13). Egli ama ciascuno di amore pieno e tot<strong>al</strong>e. Se ne manca<br />

uno solo, la sua casa è vuota. Perché ama ogni figlio più di se stesso.<br />

Dio non ci ama in questo modo infinito perché siamo bravi, ma perché siamo suoi figli. E il fatto che siamo peccatori,<br />

pecore perdute e dracme smarrite, ci rende oggetto di un amore più grande (Lc 5,32; 19,10). Il v<strong>al</strong>ore di ogni<br />

cosa e di ogni persona si rivela nella sua perdita; il nostro v<strong>al</strong>ore si è rivelato nella morte stessa di Dio che si è perduto<br />

per ritrovarci. Il nostro v<strong>al</strong>ore è infinito, pari <strong>al</strong>l'amore di Dio che l'ha portato a dare la vita per noi. Il Signore<br />

dice ad ogni uomo: "Tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stimai e ti amo" (Is 43,4).<br />

Sabato 8 Giugno 2013 - Cuore Immacolato <strong>del</strong>la Beata Vergine Maria<br />

Lc 2,41-51<br />

Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo.<br />

41 I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerus<strong>al</strong>emme per la festa di Pasqua.<br />

5


6<br />

42 Quando egli ebbe dodici anni, vi s<strong>al</strong>irono secondo la consuetudine <strong>del</strong>la festa. 43 Ma,<br />

trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via <strong>del</strong> ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerus<strong>al</strong>emme,<br />

senza che i genitori se ne accorgessero. 44 Credendo che egli fosse nella comitiva,<br />

fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti;<br />

45 non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerus<strong>al</strong>emme. 46 Dopo tre giorni lo trovarono<br />

nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. 47 E<br />

tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.<br />

48 Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo?<br />

Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». 49 Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate?<br />

Non sapevate che io devo occuparmi <strong>del</strong>le cose <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> mio?». 50 Ma essi non<br />

compresero ciò che aveva detto loro.<br />

51 Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre cu-<br />

stodiva tutte queste cose nel suo cuore.<br />

Tre volte <strong>al</strong>l’anno c’erano celebrazioni che richiamavano a Gerus<strong>al</strong>emme i pellegrini, secondo il comando <strong>del</strong><br />

Signore: "Tre volte <strong>al</strong>l’anno farai festa in mio onore: Osserverai la festa degli azzimi…Osserverai la festa <strong>del</strong>la mietitura…la<br />

festa <strong>del</strong> raccolto, <strong>al</strong> termine <strong>del</strong>l’anno, quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi. Tre volte<br />

<strong>al</strong>l’anno ogni tuo maschio comparirà <strong>al</strong>la presenza <strong>del</strong> Signore Dio" (Es 23,14-17).<br />

Il figlio Gesù perduto è ritrovato dopo tre giorni nel tempio cioè nella casa <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>, seduto. Questo fatto è preannuncio<br />

<strong>del</strong>la pasqua di Gesù risorto e seduto <strong>al</strong>la destra <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>.<br />

Luca narra l’infanzia <strong>del</strong> S<strong>al</strong>vatore <strong>al</strong>la luce degli avvenimenti <strong>del</strong>la sua pasqua di risurrezione. Il racconto che<br />

ha sfiorato, con le parole di Simeone, il dramma <strong>del</strong>la passione (la spada), si chiude con l’annuncio <strong>del</strong>la risurrezione.<br />

Il quadro <strong>del</strong>lo smarrimento e <strong>del</strong> ritrovamento presenta anticipatamente il mistero <strong>del</strong>la morte e <strong>del</strong>la risurrezione<br />

di Gesù. Maria e Giuseppe rappresentano la comunità cristiana, che ha perso improvvisamente il suo maestro,<br />

ma dopo "tre giorni" di attesa e di ricerca riesce a ritrovarlo risuscitato nella gloria <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>.<br />

Qui Gesù nomina per la prima volta il <strong>Padre</strong>. Le prime e le ultime parole di Gesù riguardano il <strong>Padre</strong> (Lc 2,49 e<br />

23,46). La paternità di Dio fa da inclusione a tutto il vangelo di Gesù secondo Luca. Gesù "deve" occuparsi <strong>del</strong>le<br />

cose <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>, essere presso il <strong>Padre</strong>, ascoltare il <strong>Padre</strong> e rispondere a ciò che il <strong>Padre</strong> ha detto.<br />

L’espressione <strong>del</strong> testo origin<strong>al</strong>e greco en tois tou patros mou dei einai me (v. 49) non significa devo occuparmi<br />

<strong>del</strong>le cose <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> mio, ma devo essere presso il <strong>Padre</strong> mio.<br />

Non deve meravigliare che Maria e Giuseppe "non compresero le sue parole" (v. 50). Il cammino <strong>del</strong>la rivelazione<br />

è ancora lungo. Siamo solo agli inizi.<br />

Maria non comprende subito il grande mistero dei tre giorni di Gesù col <strong>Padre</strong>, ma custodisce nel suo cuore i<br />

detti e i fatti. In questo ricordo costante <strong>del</strong>la Parola accolta, il cuore progressivamente si illumina nella conoscenza<br />

<strong>del</strong> Signore.<br />

Il racconto <strong>del</strong>l’infanzia si conclude con il ritorno a Nazaret. Per tutto il resto <strong>del</strong>l’adolescenza e <strong>del</strong>la giovinezza<br />

di Gesù Luca non ha nulla di straordinario da segn<strong>al</strong>arci <strong>al</strong>l’infuori <strong>del</strong>la sua umile sottomissione ai genitori. Nella<br />

famiglia egli ha preso il suo posto di figlio rispettoso e obbediente verso quelli che, per volontà <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>, hanno la<br />

responsabilità su di lui.<br />

L’evangelista conclude annotando che Gesù cresceva in sapienza, in statura e grazia. Egli si rivela sempre più<br />

assennato e nello stesso tempo piacevole, amabile. Vi è certamente anche un riflesso <strong>del</strong>la sua bontà e <strong>del</strong>la sua<br />

santità, ma non è detto esplicitamente.<br />

I cristiani sono chiamati a ripercorrere l’esperienza di Maria per diventare come lei, figura e madre di ogni credente.<br />

Quanto si racconta di Maria in questi due capitoli è quanto deve fare il cristiano. Ma il mo<strong>del</strong>lo sublime da<br />

imitare e da incarnare fino <strong>al</strong>la perfezione è soprattutto e sopra tutti il nostro Signore Gesù Cristo.<br />

Domenica 9 Giugno 2013 - X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)<br />

Lc 7,11-17<br />

Ragazzo, dico a te, <strong>al</strong>zati!<br />

11 In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli<br />

e una grande folla. 12 Quando fu vicino <strong>al</strong>la porta <strong>del</strong>la città, ecco, veniva portato<br />

<strong>al</strong>la tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente <strong>del</strong>la città<br />

era con lei. 13 Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse:<br />

«Non piangere!». 14 Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse:<br />

«Ragazzo, dico a te, àlzati!». 15 Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì<br />

a sua madre. 16 Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande<br />

profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17 Questa fama di lui si diffuse<br />

per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.<br />

Questo fatto raccontato da Luca ci richiama due episodi <strong>del</strong>l'Antico Testamento: quello di Elia che restituisce la<br />

vita <strong>al</strong> figlio unico <strong>del</strong>la vedova di Sarepta (1Re 17,17-24) e quello di Eliseo che risveglia d<strong>al</strong>la morte il figlio <strong>del</strong>la<br />

Sunammita (2Re 4,32-37).<br />

Questo racconto mette in evidenza la potenza di Gesù e la sua misericordia. Egli previene senza richiesta, preghiera<br />

o fede chi è tot<strong>al</strong>mente perduto e non è più capace di chiedere, di pregare o di credere.


Apparentemente Gesù è in cammino senza meta. In re<strong>al</strong>tà, arriva inaspettato dove c'è bisogno di lui. La sua misericordia<br />

è c<strong>al</strong>amitata d<strong>al</strong>la nostra miseria. Gesù che vede, si commuove e si accosta <strong>al</strong>le persone morte o sofferenti<br />

è l'immagine <strong>del</strong> Dio misericordioso, che sente compassione per l'uomo, suo figlio perduto. Solo vedendo<br />

questo Dio in Gesù si riesce a passare d<strong>al</strong>la paura di Dio <strong>al</strong>la fiducia, d<strong>al</strong>la morte <strong>al</strong>la vita, d<strong>al</strong>la legge <strong>al</strong> <strong>Vangelo</strong>.<br />

Dio patisce con noi la stessa pena e condivide con noi la stessa morte, per liberarci d<strong>al</strong>la pena e d<strong>al</strong>la morte. La<br />

sua parola che ha creato d<strong>al</strong> nulla tutte le cose, risuscita la vita d<strong>al</strong>la morte. Vincendo la morte, Gesù ci libera d<strong>al</strong>la<br />

nostra peggiore schiavitù, che è la paura <strong>del</strong>la morte (cf. Eb 2,14-15).<br />

Alla porta <strong>del</strong>la città di Nain si incontrano due cortei: il corteo di Gesù che dona la vita e il corteo d<strong>al</strong>la morte. La<br />

folla che accompagna questa vedova poteva forse consolarla un po', ma non poteva risolvere il suo problema. Gesù,<br />

invece, sente una compassione che ha la potenza di risolvere i problemi. Egli che aveva detto: "Beati voi che<br />

ora piangete, perché riderete" (Lc 6,21), ora porta concretamente la misericordia di Dio a coloro che gemono e<br />

piangono. Dio inaugura il suo regno con la misericordia per gli oppressi.<br />

La risurrezione di questo ragazzo è la dimostrazione <strong>del</strong>la potenza di Gesù e <strong>del</strong>la sua misericordia. La potenza<br />

di Dio è sempre <strong>al</strong> servizio <strong>del</strong>la sua misericordia, perché è la potenza <strong>del</strong>l'amore.<br />

Dio interviene con amore potente nella vita dei singoli e mostra la sua benevolenza verso il suo popolo. Trova<br />

così compimento ciò che Zaccaria aveva profetizzato: "Benedetto il Signore, Dio d'Israele, perché ha visitato e redento<br />

il suo popolo, e ha suscitato per noi un s<strong>al</strong>vatore potente nella casa di Davide, suo servo, ... per illuminare (=<br />

dare la vita) quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra <strong>del</strong>la morte" (Lc 1,68-69.79).<br />

Lunedì 10 Giugno 2013<br />

Mt 5,1-12<br />

Beati i poveri in spirito.<br />

1 Vedendo le folle, Gesù s<strong>al</strong>ì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi<br />

discepoli. 2 Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:<br />

3<br />

«Beati i poveri in spirito,<br />

perché di essi è il regno dei cieli.<br />

4<br />

Beati quelli che sono nel pianto,<br />

perché saranno consolati.<br />

5<br />

Beati i miti,<br />

perché avranno in eredità la terra.<br />

6<br />

Beati quelli che hanno fame e sete <strong>del</strong>la giustizia,<br />

perché saranno saziati.<br />

7<br />

Beati i misericordiosi,<br />

perché troveranno misericordia.<br />

8<br />

Beati i puri di cuore,<br />

perché vedranno Dio.<br />

9<br />

Beati gli operatori di pace,<br />

perché saranno chiamati figli di Dio.<br />

10<br />

Beati i perseguitati per la giustizia,<br />

perché di essi è il regno dei cieli.<br />

11<br />

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta<br />

di m<strong>al</strong>e contro di voi per causa mia. 12 R<strong>al</strong>legratevi ed esultate, perché grande è la vostra<br />

ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.<br />

In questo brano Matteo ha un’intenzione precisa: presentare Gesù come il nuovo Mosè, e il discorso di Gesù<br />

sulla montagna come il compimento <strong>del</strong>la legge <strong>del</strong> Sinai. Il suo messaggio si concentra sulla parola "beati". La<br />

beatitudine <strong>del</strong>l’uomo povero e sofferente ha il suo fondamento in Gesù: in lui Dio ci ha già dato tutto.<br />

Questo discorso traduce l’esperienza di Cristo, che può e deve diventare l’esperienza <strong>del</strong> cristiano. Non suggerisce<br />

le condizioni per essere frati o suore, ma semplicemente per essere cristiani.<br />

Gesù aveva detto <strong>al</strong> tentatore: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce d<strong>al</strong>la bocca<br />

di Dio" (Mt 4,4). Ora Gesù apre solennemente la bocca per dare la vita di Dio agli uomini per mezzo <strong>del</strong>la sua<br />

parola.<br />

"Beati i poveri in spirito". La povertà indica prima di tutto un atteggiamento spiritu<strong>al</strong>e nei confronti di Dio. I poveri<br />

in spirito attendono ogni aiuto da Dio. L’atteggiamento richiesto d<strong>al</strong>la prima beatitudine è come quello <strong>del</strong> bambino:<br />

"Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete<br />

come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino,<br />

sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie<br />

me"(Mt 18,2-5). La beatitudine dei poveri in spirito afferma in modo inequivocabile il primato <strong>del</strong>la grazia, non quello<br />

<strong>del</strong>le opere.<br />

Il povero in spirito è distaccato non solo dai beni materi<strong>al</strong>i, che sono i meno importanti, ma anche e soprattutto<br />

dai beni superiori <strong>del</strong>l’intelligenza e <strong>del</strong>la volontà, d<strong>al</strong>le proprie idee, d<strong>al</strong> proprio modo di sentire. Libero da se stesso,<br />

d<strong>al</strong>le sue vedute e aspirazioni umane, egli è pronto ad accogliere i beni <strong>del</strong> regno dei cieli. Questa disposizione<br />

7


interiore è indispensabile per chiunque voglia mettersi <strong>al</strong> seguito di Gesù. La s<strong>al</strong>vezza è una re<strong>al</strong>tà troppo grande<br />

per essere compresa d<strong>al</strong>la sola intelligenza umana. Chi pretende di ragionare troppo, e quindi a sproposito, rimane<br />

fuori da essa. Per questo, chi non è povero non può entrare nel regno dei cieli. Questa beatitudine è la caratteristica<br />

<strong>del</strong>la persona di Gesù che noi dobbiamo imitare: "Imparate da me che sono povero e umile di cuore" (Mt 11,29).<br />

Poveri in spirito non si nasce, ma si diventa, combattendo contro le istintive aspirazioni dei sensi, le pretese<br />

<strong>del</strong>l’intelligenza e le incomprensioni degli <strong>al</strong>tri. Il vero povero non è colui che Dio ha umiliato, ma colui che si è abbassato<br />

con l’amore di un figlio. La vita <strong>del</strong> povero è caratterizzata d<strong>al</strong>l’obbedienza, d<strong>al</strong>la sottomissione, d<strong>al</strong>la remissività,<br />

d<strong>al</strong>l’abbandono, d<strong>al</strong> silenzio. La povertà evangelica presenta l’ide<strong>al</strong>e religioso e spiritu<strong>al</strong>e nella sua duplice<br />

relazione. Verso Dio si esprime come umile e fe<strong>del</strong>e sottomissione, verso il prossimo come pacifica e cordi<strong>al</strong>e<br />

accoglienza.<br />

"Beati gli afflitti". Gesù non è stato mandato solo per annunciare il vangelo ai poveri, ma anche a consolare gli<br />

afflitti (cfr Is 61,2). Essi non sono t<strong>al</strong>i semplicemente per le disgrazie umane e le tribolazioni che affliggono tutti, ma<br />

soprattutto a causa <strong>del</strong>le oppressioni e <strong>del</strong>le ingiustizie subite per l’attuazione <strong>del</strong> piano di Dio. Sono afflitti perché il<br />

bene è deriso, perché la comunità cristiana è perseguitata e oppressa, perché Dio non è conosciuto e amato.<br />

"Beati i miti". Nell’Antico Testamento Mosè "era molto più mite di ogni uomo che è sulla terra" (Nm 12,3) e nel<br />

Nuovo Testamento Gesù si presenta "mite e umile di cuore" (Mt 11,29; cfr Mt 21,5). Il mite è colui che re<strong>al</strong>izza in sé<br />

l’esortazione <strong>del</strong> s<strong>al</strong>mo 37,7-11: "Sta’ in silenzio davanti <strong>al</strong> Signore e spera in lui; non irritarti per chi ha successo,<br />

per l’uomo che trama insidie. Desisti d<strong>al</strong>l’ira e deponi lo sdegno, non irritarti: faresti <strong>del</strong> m<strong>al</strong>e, poiché i m<strong>al</strong>vagi saranno<br />

sterminati, ma chi spera nel Signore possederà la terra. Ancora un poco e l’empio scompare, cerchi il suo<br />

posto e più non lo trovi. I miti invece possederanno la terra e godranno di una grande pace". Si tratta <strong>del</strong> possesso<br />

pieno e felice <strong>del</strong>la s<strong>al</strong>vezza promessa a quelli che seguono Gesù "mite e umile di cuore" (Mt 11,29).<br />

"Beati quelli che hanno fame e sete <strong>del</strong>la giustizia". La giustizia è l’attuazione completa e generosa <strong>del</strong>la volontà<br />

di Dio rivelata nel vangelo di Gesù. La fame e la sete indicano il desiderio di cercare e di attuare in se stessi questo<br />

progetto di Dio attraverso l’esercizio <strong>del</strong>l’amore (cfr Mt 25,37). Gli affamati e gli assetati <strong>del</strong>la giustizia sono coloro<br />

che hanno fatto <strong>del</strong> compimento <strong>del</strong>la volontà di Dio la massima aspirazione <strong>del</strong>la propria vita, a t<strong>al</strong> punto che per<br />

loro la ricerca <strong>del</strong> piano di Dio diventa vit<strong>al</strong>e come il mangiare e il bere. La ricompensa per quelli che hanno desiderato<br />

intensamente la giustizia di Dio è la sazietà, che significa la comunione piena e definitiva con Dio e con i fratelli.<br />

"Beati i misericordiosi". La prima ed essenzi<strong>al</strong>e esigenza <strong>del</strong> regno di Dio è la misericordia attiva che ha la sua<br />

fonte e il suo mo<strong>del</strong>lo nell’agire di Dio: "Siate misericordiosi, come è misericordioso il <strong>Padre</strong> vostro" (Lc 6,36).<br />

L’amore misericordioso e benevolo di Dio si manifesta princip<strong>al</strong>mente in due modi: perdona i peccati e soccorre e<br />

protegge i bisognosi. Perciò il giusto davanti a Dio lo imita nel suo agire verso il prossimo perdonando i torti ricevuti<br />

e impegnandosi a soccorrere generosamente gli indigenti. Questa è la condizione per trovare misericordia presso<br />

Dio. Matteo presenta Gesù come l’incarnazione <strong>del</strong>la bontà compassionevole di Dio nel modo di agire e nelle scelte<br />

che ha compiuto a favore dei peccatori e dei bisognosi (cfr Mt 9,13; 12,7; 23,23; ecc.).<br />

"Beati i puri di cuore". Il cuore come simbolo di interiorità spiritu<strong>al</strong>e e mor<strong>al</strong>e designa la dimensione profonda e<br />

person<strong>al</strong>e <strong>del</strong>la relazione religiosa con Dio e con il prossimo in contrapposizione <strong>al</strong>la superfici<strong>al</strong>ità e <strong>al</strong>l’esteriorità<br />

<strong>del</strong>le forme. I puri di cuore sono coloro che sanno accettare l’insegnamento di Gesù, la persona stessa di Gesù.<br />

Questa beatitudine richiede la piena adesione <strong>al</strong> vangelo. La visione di Dio promessa ai puri di cuore è la s<strong>al</strong>vezza<br />

definitiva <strong>del</strong> paradiso dove vedranno Dio "a faccia a faccia" (1Cor 13,12).<br />

"Beati gli operatori di pace". Gli operatori di pace sono i continuatori <strong>del</strong>l’opera di Gesù, gli annunciatori <strong>del</strong><br />

messaggio <strong>del</strong>la s<strong>al</strong>vezza. La pace è assenza di ogni inimicizia, è presenza di grazia e di santità. Solo chi vive nella<br />

pace di Dio può diventare strumento di pace umana. Gli apportatori <strong>del</strong>la pace sono gli annunciatori <strong>del</strong> vangelo,<br />

tutti coloro che lavorano per la venuta <strong>del</strong> regno di Dio sulla terra. Essi meritano l’appellativo di figli di Dio perché<br />

sono animati dagli stessi desideri di s<strong>al</strong>vezza e impegnati nella sua stessa opera. Solo la concordia e la riconciliazione<br />

con i fratelli rendono il culto accetto a Dio ed efficace la preghiera <strong>del</strong>la comunità (cfr Mt 5,23-24; 18,19-20).<br />

L’impegno di fare opera di pace tra le persone è un modo concreto di attuare l’amore <strong>del</strong> prossimo. A questi operatori<br />

di pace è promessa la re<strong>al</strong>izzazione <strong>del</strong> rapporto di piena comunione con Dio: essere riconosciuti come suoi<br />

figli.<br />

"Beati i perseguitati". Il messaggio <strong>del</strong>la s<strong>al</strong>vezza è imperniato sulla croce: chi lo annuncia e chi lo riceve<br />

dev’essere disposto a lasciarsi oltraggiare, c<strong>al</strong>unniare, spogliare, crocifiggere. La sofferenza <strong>del</strong>l’innocente è un<br />

mistero di cui l’uomo <strong>del</strong>l’Antico Testamento non ha saputo intravedere la soluzione (cfr Sap 3,4). La beatificazione<br />

<strong>del</strong> dolore che il Nuovo Testamento ribadisce in numerose occasioni è un paradosso che non trova la sua giustificazione<br />

nella logica umana, ma solo nell’esempio e nell’insegnamento di Gesù. La persecuzione è l’eredità che<br />

Gesù lascia ai suoi discepoli, il segno che autentica la loro chiamata, ma anche la via per conseguire la felicità e la<br />

gloria. Il testo tocca il messaggio centr<strong>al</strong>e <strong>del</strong> cristianesimo: la passione, morte e risurrezione di Cristo. La beatitudine<br />

e il possesso <strong>del</strong> regno dei cieli è la Pasqua di risurrezione <strong>del</strong> cristiano, ma per potervi giungere egli deve<br />

prima, necessariamente, passare attraverso la sofferenza e la morte. L’origin<strong>al</strong>ità di questa beatitudine è costituita<br />

d<strong>al</strong>le motivazioni che devono qu<strong>al</strong>ificare lo stile <strong>del</strong>la perseveranza cristiana: l’assimilazione interiore <strong>al</strong> destino di<br />

8


Cristo rifiutato e perseguitato (cfr Mt 10,24-25) e l’adesione integra e pratica <strong>al</strong>la volontà di Dio, concretizzata nel<br />

progetto di vita cristiana. La persecuzione dovrebbe provocare l’amarezza e l’abbattimento, invece produce la gioia<br />

per aver sopportato le sofferenze richieste d<strong>al</strong>la propria fe<strong>del</strong>tà <strong>al</strong>la verità e a Cristo. I fe<strong>del</strong>i sono invitati a gioire in<br />

mezzo <strong>al</strong>le persecuzioni perché in essi si compie il mistero di morte e di risurrezione che Gesù ha re<strong>al</strong>izzato per<br />

primo nella sua vita. Essi sono proclamati beati, felici, fortunati già ora in vista <strong>del</strong>la piena e definitiva felicità che è<br />

loro promessa da Dio.<br />

Le beatitudini evangeliche hanno il loro mo<strong>del</strong>lo e la garanzia <strong>del</strong>la loro re<strong>al</strong>izzazione in Gesù, il "povero e umile<br />

di cuore", rifiutato e perseguitato dagli uomini, ma riabilitato e glorificato da Dio (cfr At 5,31; Fil 2,9-11; ecc.).<br />

Martedì 11 Giugno 2013<br />

Mt 10,7-13<br />

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.<br />

7 Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8 Guarite gli infermi,<br />

risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto,<br />

gratuitamente date. 9 Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, 10 né<br />

sacca da viaggio, né due tuniche, né sand<strong>al</strong>i, né bastone, perché chi lavora ha diritto <strong>al</strong><br />

suo nutrimento.<br />

11 In qu<strong>al</strong>unque città o villaggio entriate, domandate chi là sia degno e rimanetevi finché<br />

non sarete partiti. 12 Entrando nella casa, rivolgetele il s<strong>al</strong>uto. 13 Se quella casa ne è<br />

degna, la vostra pace scenda su di essa; ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a<br />

voi.<br />

Andare in missione è ancora oggi il grande ide<strong>al</strong>e <strong>del</strong>la Chiesa, un ide<strong>al</strong>e che coinvolge tutti, chi va e chi resta.<br />

La predicazione apostolica riprende e continua gli annunci di Gesù e <strong>del</strong> Battista, cominciando d<strong>al</strong> regno dei<br />

cieli. L’annuncio è fatto con la parola (v. 7), con le opere di bene (v. 8a) e con la testimonianza <strong>del</strong>la vita (vv. 8b-<br />

10).<br />

La predicazione è il momento prioritario. La lieta notizia dev’essere anzitutto ascoltata e conosciuta per trovare<br />

risonanza nel cuore <strong>del</strong>l’uomo. Ma il vangelo è soprattutto una proposta di bene: per questo dev’essere tradotto in<br />

opere di s<strong>al</strong>vezza (esorcismi e guarigioni).<br />

Matteo elenca <strong>al</strong>cune norme che costituiscono lo stile missionario. La prima di esse è la povertà. Il discepolo di<br />

Cristo dona se stesso gratuitamente: è la povertà più vera e più profonda.<br />

Questa povertà si esprime nell’accontentarsi <strong>del</strong>lo stretto necessario (v. 9) e nel coraggio (che è fede) di affidare<br />

anche il problema di quel poco <strong>al</strong>la provvidenza di Dio.<br />

La ragione di questo comando riguardo <strong>al</strong>la povertà non è detta, ma scaturisce d<strong>al</strong> contesto evangelico. Nel discorso<br />

<strong>del</strong>la montagna viene annunciato il regno ai poveri (Mt 5,3) e i discepoli sono invitati a reprimere le eccessive<br />

preoccupazioni terrene facendo affidamento sulla bontà <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> celeste (Mt 6,25-34). Ma più ancora conta<br />

l’esempio di Gesù che vive in mezzo <strong>al</strong>la sua gente senza sapere dove posare il capo (Mt 8,20). Il missionario non<br />

può avere un comportamento diverso da quello <strong>del</strong> suo maestro (Mt 10,24) e difforme d<strong>al</strong> contenuto <strong>del</strong> messaggio<br />

che annuncia.<br />

La povertà e il distacco d<strong>al</strong>le preoccupazioni materi<strong>al</strong>i sottolineano l’urgenza <strong>del</strong>l’evangelizzazione. Chi è tot<strong>al</strong>mente<br />

assorbito d<strong>al</strong>l’annuncio <strong>del</strong> messaggio cristiano non può trascinarsi dietro bagagli né preoccuparsi di faccende<br />

materi<strong>al</strong>i e pecuniarie. Il missionario evangelico deve presentarsi agli uomini spoglio, umile e penitente come<br />

è richiesto d<strong>al</strong> discorso <strong>del</strong>la montagna.<br />

In qu<strong>al</strong>unque città o villaggio arriverà, l’apostolo dovrà farsi indicare qu<strong>al</strong>che persona degna presso la qu<strong>al</strong>e<br />

prendere <strong>al</strong>loggio (v. 11), cioè un luogo che non susciti pettegolezzi che renderebbero vana la predicazione.<br />

Augurare la pace significa comunicare la tot<strong>al</strong>ità dei beni promessi da Dio, cioè il regno dei cieli che si re<strong>al</strong>izza<br />

in Gesù.<br />

Mercoledì 12 Giugno 2013<br />

Mt 5,17-19<br />

Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.<br />

17 Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad<br />

abolire, ma a dare pieno compimento. 18 In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo<br />

e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino <strong>del</strong>la Legge, senza che tutto sia<br />

avvenuto. 19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli <strong>al</strong>tri<br />

a fare <strong>al</strong>trettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li<br />

insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.<br />

Gesù adempie le Scritture re<strong>al</strong>izzando nella sua persona ciò che esse dicevano di lui. L’adempimento <strong>del</strong>la<br />

Legge da parte di Gesù non è di ordine puramente dottrin<strong>al</strong>e: è l’impegno stesso <strong>del</strong>la sua vita e <strong>del</strong>la sua morte.<br />

Egli non è venuto per frustrare le attese <strong>del</strong>l’Antico Testamento, ma per re<strong>al</strong>izzarle: non vuota la Legge <strong>del</strong> suo<br />

9


contenuto, ma la riempie fino <strong>al</strong>l’ultimo livello, portandola fino <strong>al</strong>la sua più <strong>al</strong>ta espressione.<br />

Gesù non è un avversario di Mosè, ma non è nemmeno un suo discepolo; è <strong>al</strong> contrario il vero legislatore che<br />

Dio ha inviato agli uomini di tutti i tempi, di cui Mosè era solo un precursore.<br />

Alla venuta <strong>del</strong> Messia, Mosè è invitato a scomparire (cfr Mt 17,8). La Legge era incompleta non perché non<br />

esprimesse la volontà di Dio, ma perché la esprimeva in un modo imperfetto e inadeguato. Anche i minimi dettagli<br />

<strong>del</strong>la Legge conservano il loro eterno v<strong>al</strong>ore, soprattutto se la Legge è quella rinnovata da Cristo (v. 18).<br />

Gesù compie la Legge, che manifesta la volontà <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>, amando i fratelli. L’amore non trascura neanche un<br />

minimo dettaglio, anzi manifesta la propria grandezza nelle attenzioni minime.<br />

Le re<strong>al</strong>tà più solide, il cielo e la terra, potranno cadere ma non cadrà un iota, cioè la particella più piccola <strong>del</strong>la<br />

Legge, finché non sia attuata. Non si tratta di s<strong>al</strong>vaguardare l’adempimento <strong>del</strong> codice fin nelle sue minime prescrizioni,<br />

ma di comprenderne il profondo contenuto che sopravvive nel <strong>Vangelo</strong>: l’amore. Con la proclamazione <strong>del</strong><br />

<strong>Vangelo</strong> l’Antico Testamento non finisce, ma si attua nel Nuovo.<br />

Giovedì 13 Giugno 2013 - Sant’Antonio di Padova<br />

Mt 5,20-26<br />

Chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto <strong>al</strong> giudizio.<br />

10<br />

20<br />

Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei,<br />

non entrerete nel regno dei cieli.<br />

21<br />

Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere<br />

sottoposto <strong>al</strong> giudizio. 22 Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere<br />

sottoposto <strong>al</strong> giudizio. Chi poi dice <strong>al</strong> fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto <strong>al</strong> sinedrio;<br />

e chi gli dice: «Pazzo», sarà destinato <strong>al</strong> fuoco <strong>del</strong>la Geènna.<br />

23<br />

Se dunque tu presenti la tua offerta <strong>al</strong>l'<strong>al</strong>tare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qu<strong>al</strong>che<br />

cosa contro di te, 24 lascia lì il tuo dono davanti <strong>al</strong>l'<strong>al</strong>tare, va' prima a riconciliarti con il tuo<br />

fratello e poi torna a offrire il tuo dono.<br />

25<br />

Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché<br />

l'avversario non ti consegni <strong>al</strong> giudice e il giudice <strong>al</strong>la guardia, e tu venga gettato in prigione.<br />

26 In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino <strong>al</strong>l'ultimo spicciolo!<br />

La concezione <strong>del</strong>la giustizia secondo Matteo non può essere confusa con quella di Paolo. Per Paolo la giustizia<br />

è la giustificazione di Dio concessa per grazia <strong>al</strong>l'uomo; per Matteo è il retto agire richiesto da Dio <strong>al</strong>l'uomo.<br />

Gesù ha rimesso in vigore la Legge come legge di Dio e documento <strong>del</strong>l'<strong>al</strong>leanza, ripulita da tutte le storture e le<br />

aggiunte <strong>del</strong>le tradizioni umane e <strong>del</strong>le incrostazioni depositate dai secoli.<br />

La migliore giustizia, che deve superare quella degli scribi e dei farisei, richiesta da Cristo ai suoi discepoli sta<br />

anche nel fatto che Gesù ha ricondotto i singoli precetti a un principio dominante: l'esigenza <strong>del</strong>l'amore di Dio e <strong>del</strong><br />

prossimo, da cui dipendono la Legge e i Profeti.<br />

Gesù non propone una legge diversa, come appare chiaro in Mt 5,17: "Non pensate che io sia venuto ad abolire<br />

la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento".<br />

Gesù parla con autorità pari a quella di Dio che diede i Dieci Comandamenti. "Ma io vi dico" non contraddice<br />

quanto è stato detto, ma lo chiarisce, lo modifica in ciò che suona concessione, e passa d<strong>al</strong>le semplici azioni ai desideri<br />

<strong>del</strong> cuore, da cui tutto promana.<br />

"Ma io vi dico" non è un'antitesi, ma un completamento: l'uccisione fisica viene da un'uccisione interna <strong>del</strong>l'<strong>al</strong>tro:<br />

d<strong>al</strong>l'ira, d<strong>al</strong> disprezzo, d<strong>al</strong>la rottura <strong>del</strong>la fraternità nei suoi confronti. L'ira è l'uccisione <strong>del</strong>l'<strong>al</strong>tro nel proprio cuore. Il<br />

disprezzo è l'uccisione interiore che prepara e permette quella esteriore.<br />

Tutte le guerre sono precedute da una campagna denigratoria <strong>del</strong> nemico, considerato indegno di vivere e meritevole<br />

<strong>del</strong>la morte: di conseguenza, ucciderlo è un dovere; anzi, è un'opera gradita a Dio, come ci ha detto Gesù:<br />

"Verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio" (Gv 16,2).<br />

Il comandamento <strong>del</strong>l'amore <strong>del</strong> prossimo è superiore anche a quello <strong>del</strong> culto. La pace con il fratello è condizione<br />

indispensabile per la pace e l'incontro con il <strong>Padre</strong>. Ciò che impedisce il contatto con i fratelli impedisce anche<br />

il contatto con Dio.<br />

Non solo chi ha offeso, ma anche chi è stato offeso, deve riconciliarsi col fratello prima di prendere parte a un<br />

atto di culto. Non è questione di ragione o di torto; quando c'è qu<strong>al</strong>cosa che divide due membri <strong>del</strong>la stessa comunità,<br />

t<strong>al</strong>e ostacolo deve scomparire per poter comunicare con Dio.<br />

La vita è un cammino di riconciliazione con gli <strong>al</strong>tri. Non importa se si ha torto o ragione: se non si va d'accordo<br />

con i fratelli, non si è figli di Dio. La re<strong>al</strong>tà di figli di Dio si manifesta necessariamente nel vivere da fratelli in Cristo.<br />

Se non si passa d<strong>al</strong>la logica <strong>del</strong> debito a quella <strong>del</strong> dono e <strong>del</strong> perdono, si perde la vita di figli <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> (cf. Mt<br />

18,21-35).


Venerdì 14 Giugno 2013<br />

Mt 5,27-32<br />

Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio.<br />

27 Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. 28 Ma io vi dico: chiunque<br />

guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.<br />

29 Se il tuo occhio destro ti è motivo di scand<strong>al</strong>o, cav<strong>al</strong>o e gett<strong>al</strong>o via da te: ti conviene<br />

infatti perdere una <strong>del</strong>le tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella<br />

Geènna. 30 E se la tua mano destra ti è motivo di scand<strong>al</strong>o, tagli<strong>al</strong>a e gett<strong>al</strong>a via da te: ti<br />

conviene infatti perdere una <strong>del</strong>le tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire<br />

nella Geènna.<br />

31 Fu pure detto: «Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto <strong>del</strong> ripudio». 32 Ma io vi dico:<br />

chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone <strong>al</strong>l'adulterio,<br />

e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.<br />

Il brano di Matteo 5,21-48 è strutturato su sei antitesi: "fu detto/ io però vi dico". In re<strong>al</strong>tà non sono antitesi. Gesù<br />

non propone una legge diversa, come appare chiaro d<strong>al</strong> v. 17: "Non sono venuto ad abolire, ma a compiere la<br />

legge e i profeti". La legge non è nuova, ma antica. Il compimento però è nuovo: nessuno l’ha mai proposta e osservata<br />

in questo modo, che è quello <strong>del</strong> Figlio di Dio.<br />

Gesù non contraddice quanto è stato detto, ma lo chiarisce e passa d<strong>al</strong>le semplici azioni ai desideri <strong>del</strong> cuore,<br />

da cui tutto promana. Ma ciò che dice non è un’imposizione leg<strong>al</strong>istica, ancora più severa <strong>del</strong>la precedente. E’ invece<br />

la "buona notizia" di ciò che Dio opera in noi mediante queste stesse parole che hanno il potere di compiere<br />

ciò per cui sono state mandate. Vanno intese quindi non come un "codice" di leggi bellissime ma disumane, bensì<br />

come rivelazione e dono <strong>del</strong>la vita stessa <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> per noi.<br />

I vv. 27-32 di questo brano trattano il tema <strong>del</strong> rapporto tra uomo e donna nel matrimonio. Gesù insegna che<br />

non basta evitare ogni attentato esterno <strong>al</strong> matrimonio (l’adulterio consumato), ma che bisogna precludere la via<br />

agli appetiti sessu<strong>al</strong>i evitando le occasioni che possono svegliarli (lo sguardo) e i contatti pericolosi (la mano).<br />

Il verbo desiderare (in ebraico hamad) esprime un re<strong>al</strong>e compiacimento e una vera decisione peccaminosa e<br />

non un semplice sentimento o pensiero; vuol dire impadronirsi e prendere con prepotenza e quindi comporta atteggiamenti<br />

esterni. Ma Gesù va oltre. A Dio interessano i sentimenti, la purezza dei pensieri, la rettitudine <strong>del</strong>la volontà.<br />

Perché può accadere che un contegno esteriore irreprensibile nasconda una profonda corruzione nel cuore. Esterno<br />

e interno devono corrispondersi, pena la doppiezza di vita e la f<strong>al</strong>sità.<br />

L’adulterio non avviene per caso, ma viene preparato nel cuore. Un detto rabbinico dice: "L’occhio vede, il cuore<br />

desidera, il corpo commette il peccato". Rabbì Laqish asseriva: "Tu non devi dire che solo colui che viola il matrimonio<br />

con il corpo è adultero, lo è anche chi lo viola con gli occhi".<br />

Il comando di Gesù di cavarsi l’occhio destro (quello preferito) e di tagliarsi la mano destra (la migliore) vuol dire<br />

che può essere necessario sacrificare una parte preziosa di sé per evitare la perdita tot<strong>al</strong>e e definitiva di tutto se<br />

stesso.<br />

Il comando di rilasciare <strong>al</strong>la donna ripudiata un atto di ripudio è enunciato nel Libro <strong>del</strong> Deuteronomio 24,1-3.<br />

L’atto di ripudio doveva garantire <strong>al</strong>la donna la certezza giuridica e tutelarla d<strong>al</strong>l’accusa di adulterio nel caso si fosse<br />

risposata. Il ripudio <strong>del</strong>la moglie viene respinto da Gesù e condannato come adulterio, e la responsabilità ricade<br />

sul marito che ripudia la moglie e sull’uomo che sposa la donna ripudiata.<br />

L’espressione "eccetto il caso di concubinato" ha avuto numerose proposte di soluzione. Quella accolta d<strong>al</strong>la<br />

tradizione <strong>del</strong>la Chiesa cattolica intende il termine greco pornèia, qui tradotto con il termine concubinato, nel senso<br />

di matrimoni tra consanguinei.<br />

In concreto: nel caso risulti che la moglie è congiunta <strong>al</strong> marito con vincoli di parentela entro i gradi proibiti d<strong>al</strong><br />

Libro <strong>del</strong> Levitico 18,6-18, il marito avrebbe non solo la possibilità, ma il dovere di ripudiarla. Anche nel decreto apostolico<br />

degli Atti 15,28-29, pornèia sembra avere questo significato: matrimonio tra consanguinei.<br />

Il matrimonio tra consanguinei era abbastanza frequente presso i pagani. L’eccezione di Matteo forse riflette<br />

una situazione presente nella comunità cristiana primitiva dove si ricorreva con troppa disinvoltura <strong>al</strong> privilegio paolino<br />

(1Cor 7,12-16; cfr Lv 18,6-18) e quindi si abbandonava con facilità la moglie con cui si viveva prima <strong>del</strong>la conversione<br />

<strong>al</strong> cristianesimo.<br />

Matteo ribadisce che un cristiano può e deve abbandonare la propria moglie solo nel caso in cui egli provenga<br />

da un matrimonio con una consanguinea o da uno stato di poligamia, che la legge cristiana riteneva illegittimo e<br />

illecito, e per questo da sciogliere.<br />

Sabato 15 Giugno 2013<br />

Mt 5,33-37<br />

Io vi dico: non giurate affatto.<br />

33 Avete anche inteso che fu detto agli antichi: «Non giurerai il f<strong>al</strong>so, ma adempirai verso<br />

il Signore i tuoi giuramenti». 34 Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché<br />

è il trono di Dio, 35 né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerus<strong>al</strong>emme,<br />

perché è la città <strong>del</strong> grande Re. 36 Non giurare neppure per la tua testa, perché non<br />

11


12<br />

hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. 37 Sia invece il vostro parlare: «Sì,<br />

sì», «No, no»; il di più viene d<strong>al</strong> M<strong>al</strong>igno.<br />

Gesù proibisce ogni tipo di giuramento. Il divieto dev’essere interpretato in senso tot<strong>al</strong>e. Le quattro formule di<br />

giuramento riportate d<strong>al</strong> testo e proibite da Gesù rappresentavano tutte le formule di giuramento <strong>al</strong>lora in uso.<br />

Ogni asserzione che vada oltre il semplice sì e no ha la sua origine nel m<strong>al</strong>igno il qu<strong>al</strong>e "quando dice il f<strong>al</strong>so,<br />

parla <strong>del</strong> suo, perché è menzognero e padre <strong>del</strong>la menzogna" (Gv 8,44).<br />

Questo comandamento richiede la veridicità sia davanti a Dio che davanti agli uomini. Chi presta giuramento nel<br />

nome di Dio presenta una garanzia di cui assolutamente non dispone.<br />

I giudei giuravano "sulla vita <strong>del</strong>la mia testa". Ma neppure la nostra testa è nostra, ma di Dio. Solo Dio, il creatore,<br />

può disporre <strong>del</strong>l’uomo.<br />

Noi oggi ci troviamo di fronte <strong>al</strong>la pratica <strong>del</strong> giuramento. Essa è contraria <strong>al</strong> comandamento di Gesù: "Non giurate<br />

affatto".<br />

Domenica 16 Giugno 2013 - XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)<br />

Lc 7,36-8,3<br />

Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato.<br />

36 Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa <strong>del</strong> fariseo e si mise a<br />

tavola. 37 Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella<br />

casa <strong>del</strong> fariseo, portò un vaso di profumo; 38 stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo,<br />

cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva<br />

di profumo. 39 Vedendo questo, il fariseo che l'aveva invitato disse tra sé: «Se<br />

costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di qu<strong>al</strong>e genere è la donna che lo tocca: è una<br />

peccatrice!».<br />

40 Gesù <strong>al</strong>lora gli disse: «Simone, ho da dirti qu<strong>al</strong>cosa». Ed egli rispose: «Di' pure, maestro».<br />

41 «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l'<strong>al</strong>tro cinquanta.<br />

42 Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro<br />

dunque lo amerà di più?». 43 Simone rispose: «Suppongo sia colui <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e ha condonato<br />

di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44 E, volgendosi verso la donna, disse a<br />

Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l'acqua per i<br />

piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli.<br />

45 Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi<br />

i piedi. 46 Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di<br />

profumo. 47 Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato.<br />

Invece colui <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e si perdona poco, ama poco». 48 Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono<br />

perdonati». 49 Allora i commens<strong>al</strong>i cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona<br />

anche i peccati?». 50 Ma egli disse <strong>al</strong>la donna: «La tua fede ti ha s<strong>al</strong>vata; va' in pace!».<br />

8 1 In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona<br />

notizia <strong>del</strong> regno di Dio. C'erano con lui i Dodici 2 e <strong>al</strong>cune donne che erano state guarite<br />

da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Madd<strong>al</strong>ena, d<strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e erano usciti sette<br />

demòni; 3 Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte <strong>al</strong>tre, che<br />

li servivano con i loro beni.<br />

Nella casa <strong>del</strong> fariseo, dove era stato invitato, Gesù imbandisce il banchetto nuzi<strong>al</strong>e per la peccatrice inopportuna<br />

e indesiderata. Il fariseo tronfio <strong>del</strong>la sua giustizia non può partecipare <strong>al</strong>la danza <strong>del</strong>l'amore se prima non<br />

piange il suo peccato.<br />

Il racconto serve per persuadere il giusto di peccato di prostituzione perché vuole meritare l'amore di Dio che è<br />

gratuito. Questo peccato di "meretricio", di prostituzione è l'unico peccato diretto contro Dio che è amore.<br />

Questa donna è figura <strong>del</strong> vero popolo di Dio che si riconosce peccatore e bisognoso di perdono; è il simbolo<br />

<strong>del</strong>l'umanità peccatrice che ritorna <strong>al</strong> suo sposo, Dio.<br />

La presenza <strong>del</strong>la peccatrice che ama, mostra <strong>al</strong> giusto il suo peccato profondo, quello di non saper amare. D<strong>al</strong>la<br />

festa <strong>del</strong>l'amore resta escluso solo il giusto, che non ama perché non si sente amato, perché crede di non aver<br />

bisogno di essere amato. Ma anche il giusto può partecipare <strong>al</strong> banchetto <strong>del</strong>la vita nella misura in cui si riconosce<br />

prostituto, adultero e peccatore.<br />

Il peccato tipico <strong>del</strong> giusto è quello di comprarsi l'amore di Dio con la moneta sonante <strong>del</strong>le proprie buone opere.<br />

E' il peccato "natur<strong>al</strong>e" di tutte le religioni, che suppongono un Dio cattivo da imbonire.<br />

Gesù, in casa <strong>del</strong> fariseo, mostra a tutti la sua bontà: accetta e ama la donna che peccò di prostituzione con gli<br />

uomini, accetta e ama il fariseo che pecca di prostituzione nei confronti di Dio. Nei vv. 40-42 Gesù racconta una<br />

parabola che mette in gioco tutti. E' la parabola dei due debitori. Ogni uomo è debitore a Dio di tutto. Il vero peccato<br />

è quello di non accettare di essere debitori, ma voler restituire sotto forma di prestazioni di vario tipo, in modo di<br />

pareggiare il nostro conto con Dio, per sentirci liberi e indipendenti da lui a cui abbiamo dato tutto il dovuto, per<br />

sentirci nostri e non suoi.<br />

E' il tentativo di non essere più creature, ma di emanciparci d<strong>al</strong> Creatore per essere Dio come Dio, senza Dio e<br />

in contrapposizione a Dio. E' il peccato origin<strong>al</strong>e <strong>del</strong>l'uomo. Questa è la prostituzione religiosa, frutto <strong>del</strong>la non co-


noscenza di Dio, che produce tutti i peccati dei giusti e degli ingiusti. Il dono di Dio, <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e tutto dobbiamo, è un<br />

amore gratuito da accettare e a cui rispondere con <strong>al</strong>tro amore gratuito.<br />

Il contenuto <strong>del</strong>la parabola è nelle due espressioni "fare grazia" da parte <strong>del</strong> creditore e "amare di più" da parte<br />

<strong>del</strong> debitore graziato. Il più avvantaggiato in questa situazione è chi ha il debito maggiore, perché riceve un dono<br />

maggiore. Chi riceve un dono maggiore, un perdono maggiore fa esperienza di un amore più grande. Davanti a un<br />

Dio che riempie gratis <strong>del</strong> suo amore è una disgrazia essere pieni di sé.<br />

Gesù dà come mo<strong>del</strong>lo <strong>al</strong> fariseo la peccatrice perdonata che ama, colei che egli aveva giudicata e condannata,<br />

e che avrebbe voluto escludere d<strong>al</strong>la sua casa.<br />

Lunedì 17 Giugno 2013<br />

Mt 5,38-42<br />

Io vi dico di non opporvi <strong>al</strong> m<strong>al</strong>vagio.<br />

38 Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. 39 Ma io vi dico di non<br />

opporvi <strong>al</strong> m<strong>al</strong>vagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche<br />

l'<strong>al</strong>tra, 40 e a chi vuole portarti in tribun<strong>al</strong>e e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.<br />

41 E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42 Da' a chi<br />

ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le sp<strong>al</strong>le.<br />

La frase "occhio per occhio e dente per dente" riporta la legge <strong>del</strong> taglione (Es 19,15-51; 21,24; Lv 24,20). E’<br />

uno dei capis<strong>al</strong>di <strong>del</strong>le legislazioni antiche (Codice di Hammurabi e Legge <strong>del</strong>le dodici tavole). Essa doveva sostituire<br />

la legge <strong>del</strong>la vendetta di sangue (Gen 4,23). Al tempo di Gesù la legge <strong>del</strong> taglione era ancora vigente, ma<br />

poteva essere sostituita con un risarcimento in denaro.<br />

La non-violenza richiesta da Gesù non è vile rassegnazione, ma forza e intraprendenza <strong>del</strong>l’amore. La potenza<br />

<strong>del</strong>l’impotenza ha la sua più <strong>al</strong>ta manifestazione in Gesù che "fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza<br />

di Dio" (2Cor 13,4) e poggia sulla fede che l’impotenza <strong>del</strong>la croce vince il m<strong>al</strong>e.<br />

Con il principio <strong>del</strong>la non-violenza Gesù contrappone <strong>al</strong>la ment<strong>al</strong>ità giuridica <strong>del</strong>l’Antico Testamento il nuovo ide<strong>al</strong>e<br />

<strong>del</strong>l’amore. Il m<strong>al</strong>e perde la sua forza d’urto solo quando non trova resistenza.<br />

La Chiesa perseguitata ha assunto questo atteggiamento comandato da Gesù: "Gli apostoli se ne andarono d<strong>al</strong><br />

sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore <strong>del</strong> nome di Gesù" (At 5,41).<br />

I quattro esempi elencati da Matteo hanno lo scopo di illustrare il comandamento: "Ma io vi dico di non opporvi<br />

<strong>al</strong> m<strong>al</strong>vagio".<br />

Lo schiaffo sulla guancia destra è particolarmente doloroso e oltraggioso perché è un manrovescio. Gesù flagellato<br />

e schiaffeggiato conferma con il suo esempio la v<strong>al</strong>idità <strong>del</strong> suo insegnamento (Mt 26,67; Is 50,6).<br />

La lite giudiziaria con chi pretende la tunica come caparra o come risarcimento danni non ha più senso per il discepolo<br />

di Gesù, anzi, egli non farà v<strong>al</strong>ere per sé neppure il comandamento che vietava il pignoramento <strong>del</strong> mantello<br />

<strong>del</strong> povero e il dovere di restituirglielo prima <strong>del</strong> tramonto <strong>del</strong> sole (Es 22,25; Dt 24,13): egli darà la tunica e il<br />

mantello senza opporre resistenza.<br />

Il terzo esempio che mette il discepolo a confronto con la violenza è quello <strong>del</strong>la requisizione da parte di autorità<br />

militari o stat<strong>al</strong>i per costringerlo a prestazioni forzate. Ne abbiamo un esempio in Mt 27,32: "Mentre uscivano, incontrarono<br />

un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prendere su la croce di lui".<br />

Il miglio (1.478,70 metri) era una misura romana e quindi richiama concretamente la dominazione <strong>del</strong>l’impero di<br />

Roma <strong>al</strong> tempo di Gesù e <strong>del</strong>l’evangelista. Quando gli saranno imposte queste prestazioni forzate, il discepolo di<br />

Gesù non deve ribellarsi o coltivare astio nel cuore, ma prestarsi liberamente e di buon animo a fare con gioia il<br />

doppio di quanto esige da lui la prepotenza <strong>del</strong> m<strong>al</strong>vagio.<br />

Il quarto esempio ci presenta i poveri e i richiedenti. Essi non sono dei nemici o dei m<strong>al</strong>vagi, ma possono suscitare<br />

una reazione violenta a causa <strong>del</strong>le cattive esperienze fatte in precedenza. Leggiamo nel Libro <strong>del</strong> Siracide<br />

29,4-10: "Molti considerano il prestito come una cosa trovata e causano fastidi a coloro che li hanno aiutati. Prima<br />

di ricevere, ognuno bacia le mani <strong>del</strong> creditore, parla con tono umile per ottenere gli averi <strong>del</strong>l’amico; ma <strong>al</strong>la scadenza<br />

cerca di guadagnare tempo, restituisce piagnistei e incolpa le circostanze. Se riesce a pagare, il creditore<br />

riceverà appena la metà e dovrà considerarla come una cosa trovata. In caso contrario il creditore sarà frodato dei<br />

suoi averi e avrà senza motivo un nuovo nemico; m<strong>al</strong>edizioni e ingiurie gli restituirà, renderà insulti invece<br />

<strong>del</strong>l’onore dovuto. Tuttavia sii longanime con il misero e non fargli attendere troppo l’elemosina. Per il comandamento<br />

soccorri il povero secondo la sua necessità, non rimandarlo a mani vuote. Perdi pure denaro per un fratello<br />

e amico, non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra".<br />

La motivazione <strong>del</strong> comandamento: "Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le sp<strong>al</strong>le"<br />

sarà evidenziata nel seguito <strong>del</strong> vangelo da Gesù stesso che ci comanda la conformità con il comportamento<br />

<strong>del</strong> <strong>Padre</strong>: "Il <strong>Padre</strong> vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano" (Mt 7,11).<br />

Attraverso questi atteggiamenti i discepoli si dimostrano amici dei loro nemici e tentano di cooperare con Dio<br />

per il ravvedimento degli ingiusti e dei m<strong>al</strong>vagi come ha fatto Gesù. San Paolo ha sintetizzato questo insegnamento<br />

in Rm 12,21: "Non lasciarti vincere d<strong>al</strong> m<strong>al</strong>e, ma vinci con il bene il m<strong>al</strong>e".<br />

Se questi princìpi e questi comportamenti entrassero nella società, essa non solo non ne avrebbe un danno, ma<br />

vedrebbe migliorare i rapporti umani più di quanto possono ottenere tutti gli apparati <strong>del</strong>la giustizia, <strong>del</strong>la prevenzione<br />

e <strong>del</strong>la repressione.<br />

13


Martedì 18 Giugno 2013<br />

Mt 5,43-48<br />

Amate i vostri nemici.<br />

14<br />

43 Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44 Ma io vi<br />

dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45 affinché siate figli<br />

<strong>del</strong> <strong>Padre</strong> vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere<br />

sui giusti e sugli ingiusti. 46 Infatti, se amate quelli che vi amano, qu<strong>al</strong>e ricompensa<br />

ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47 E se date il s<strong>al</strong>uto soltanto ai vostri fratelli,<br />

che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48 Voi, dunque, siate<br />

perfetti come è perfetto il <strong>Padre</strong> vostro celeste.<br />

Il comandamento <strong>del</strong>l'amore, esteso indistintamente a tutti, è il supremo completamento <strong>del</strong>la Legge (v. 17). A<br />

questa conclusione Gesù è arrivato lentamente dopo aver parlato <strong>del</strong>l'astensione d<strong>al</strong>l'ira e <strong>del</strong>l'immediata riconciliazione<br />

(vv. 21-26), <strong>del</strong> rispetto verso la donna (vv. 27-30) e la propria moglie (vv. 31-32), <strong>del</strong>la verità e sincerità<br />

nei rapporti interperson<strong>al</strong>i (vv. 33-37), fino <strong>al</strong>la rinuncia <strong>al</strong>la vendetta e <strong>al</strong>le rivendicazioni (vv. 38-42).<br />

Il principio <strong>del</strong>l'amore <strong>del</strong> prossimo è illustrato con due esemplificazioni pratiche: pregare per i nemici e s<strong>al</strong>utare<br />

tutti senza discriminazione. La più grande sincerità di amore è chiedere a Dio benedizioni e grazie per il nemico.<br />

Questo vertice <strong>del</strong>l'ide<strong>al</strong>e evangelico si può comprendere solo <strong>al</strong>la luce <strong>del</strong>l'esempio di Cristo (cf. Lc 23,34) e dei<br />

suoi discepoli (cfr At 7,60). Colui che prega per il suo nemico viene a congiungersi con lui davanti a Dio. In senso<br />

cristiano la preghiera è la ricompensa che il nemico riceve in cambio <strong>del</strong> m<strong>al</strong>e che ha fatto.<br />

Il precetto <strong>del</strong>la carità non tiene conto <strong>del</strong>le antipatie person<strong>al</strong>i e dei comportamenti <strong>al</strong>trui. Il prossimo di qu<strong>al</strong>siasi<br />

colore, buono o cattivo, benevolo o ingrato dev'essere amato. Il nemico è colui che ha maggiormente bisogno di<br />

aiuto: per questo Gesù ci comanda di offrirgli il nostro soccorso.<br />

Il comandamento <strong>del</strong>l'amore dei nemici rivoluziona i comportamenti tradizion<strong>al</strong>i <strong>del</strong>l'uomo. La benevolenza cristiana<br />

non è filantropia, ma partecipazione <strong>al</strong>l'amore di Dio. La sua univers<strong>al</strong>ità si giustifica solo in questa luce: "affinché<br />

siate figli <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> vostro" (v. 45), e "siate perfetti come è perfetto il <strong>Padre</strong> vostro che è nei cieli" (v 48). Il<br />

cristiano esprime nel modo più sicuro e più vero la sua parentela con Dio amando indistintamente tutti.<br />

L'amore <strong>del</strong> nemico è l'essenza <strong>del</strong> cristianesimo. Sant'Agostino ci insegna che "la misura <strong>del</strong>l'amore è amare<br />

senza misura", ossia infinitamente, come ama Dio.<br />

In quanto figli di Dio i cristiani devono assomigliare <strong>al</strong> loro <strong>Padre</strong> nel modo di essere, di sentire e di agire. L'amore<br />

verso i nemici è la via per raggiungere la sua stessa perfezione.<br />

La perfezione di cui parla Matteo è l'imitazione <strong>del</strong>l'amore misericordioso di Dio verso tutti gli uomini, anche se<br />

ingiusti e m<strong>al</strong>vagi. Il cristiano è una nuova creatura (cf. 2Cor 5,17) e non può più agire secondo i suoi istinti e capricci,<br />

ma conformemente <strong>al</strong>la vita nuova in cui è stato rigenerato.<br />

Gesù pone come termine <strong>del</strong>la perfezione l'agire <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>, che è un punto inarrivabile. L'imitazione <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>,<br />

e conseguentemente di Gesù, è l'unica norma <strong>del</strong>l'agire cristiano, l'unica via per superare la mor<strong>al</strong>e farisaica. Essere<br />

perfetti come il <strong>Padre</strong> è in concreto imitare Cristo nella sua piena ed eroica sottomissione <strong>al</strong>la volontà <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>,<br />

e nella sua dedizione ai fratelli. E' perciò diventando perfetti imitatori di Cristo, che si diventa perfetti imitatori <strong>del</strong><br />

<strong>Padre</strong>.<br />

Mercoledì 19 Giugno 2013<br />

Mt 6,1-6.16-18<br />

Il <strong>Padre</strong> tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.<br />

1 State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati<br />

da loro, <strong>al</strong>trimenti non c'è ricompensa per voi presso il <strong>Padre</strong> vostro che è nei cieli.<br />

2 Dunque, quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti<br />

nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati d<strong>al</strong>la gente. In verità io vi dico: hanno<br />

già ricevuto la loro ricompensa. 3 Invece, mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua<br />

sinistra ciò che fa la tua destra, 4 perché la tua elemosina resti nel segreto; e il <strong>Padre</strong> tuo,<br />

che vede nel segreto, ti ricompenserà.<br />

5 E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli <strong>del</strong>le<br />

piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti d<strong>al</strong>la gente. In verità io vi dico: hanno<br />

già ricevuto la loro ricompensa. 6 Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera,<br />

chiudi la porta e prega il <strong>Padre</strong> tuo, che è nel segreto; e il <strong>Padre</strong> tuo, che vede nel segreto,<br />

ti ricompenserà.<br />

16 E quando digiunate, non diventate m<strong>al</strong>inconici come gli ipocriti, che assumono un'aria<br />

disfatta per far vedere agli <strong>al</strong>tri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la<br />

loro ricompensa. 17 Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, 18 perché la<br />

gente non veda che tu digiuni, ma solo il <strong>Padre</strong> tuo, che è nel segreto; e il <strong>Padre</strong> tuo, che<br />

vede nel segreto, ti ricompenserà.<br />

Il discorso riprende l'enunciato di 5,20; "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non


entrerete nel regno dei cieli". Il termine giustizia (sedaqah) è usato nella Bibbia per sintetizzare i rapporti <strong>del</strong>l'uomo<br />

con Dio, la pietà, la religiosità, la fede.<br />

I rapporti con Dio, nostro <strong>Padre</strong>, devono essere improntati <strong>al</strong>la fiducia, <strong>al</strong>la confidenza e soprattutto <strong>al</strong>la sincerità.<br />

L'autentica giustizia non ha come punto di riferimento gli uomini, ma va esercitata davanti <strong>al</strong> <strong>Padre</strong> che è nei<br />

cieli. Farsi notare dagli uomini è perdere ogni ricompensa presso il <strong>Padre</strong>.<br />

Matteo sottolinea la vanità di un gesto puramente umano: gli ipocriti, che cercano l'approvazione, hanno già ricevuto<br />

la loro ricompensa.<br />

L'ipocrisia consiste nel fatto che un'azione, che ha Dio come destinatario, viene deviata d<strong>al</strong> suo termine. L'elemosina,<br />

la preghiera e il digiuno devono essere fatti per il <strong>Padre</strong> che vede nel segreto.<br />

Queste azioni fatte "nel segreto" non significano necessariamente azioni segrete: indicano ogni azione, anche<br />

pubblica, fatta per il <strong>Padre</strong> e non per essere visti dagli uomini. E' l'intenzione profonda che conta perché la ricompensa<br />

si situa a questo livello: la ricompensa è l'autenticità <strong>del</strong> rapporto con il <strong>Padre</strong>.<br />

Il cristiano deve fare l'elemosina in modo da s<strong>al</strong>vaguardare la rettitudine <strong>del</strong>l'aiuto prestato <strong>al</strong> fratello per amore<br />

<strong>del</strong> <strong>Padre</strong>.<br />

La strument<strong>al</strong>izzazione <strong>del</strong>la preghiera è la deformazione più inspiegabile <strong>del</strong>la pietà, perché mette a proprio<br />

servizio anche ciò che è essenzi<strong>al</strong>mente di Dio.<br />

Gesù nel suo intervento non si propone di modificare il ritu<strong>al</strong>e <strong>del</strong>la preghiera giudaica, solo suggerisce un modo<br />

più retto di compierla, evitando l'ostentazione, il form<strong>al</strong>ismo, l'ipocrisia. Gli stessi rabbini insegnavano: "Colui<br />

che fa <strong>del</strong>la preghiera un dovere, che ritorna a ora fissa, non prega con il cuore".<br />

Il richiamo di Gesù è sulla stessa linea <strong>del</strong>la tradizione profetica e sapienzi<strong>al</strong>e e trova conferma nei suoi successivi<br />

insegnamenti e più ancora nella sua vita.<br />

Il digiuno è un'<strong>al</strong>tra importante pratica <strong>del</strong>la vecchia e <strong>del</strong>la nuova "giustizia". Esso è un atto penitenzi<strong>al</strong>e che<br />

completa e aiuta la preghiera.<br />

Gesù, come i profeti, non condanna il digiuno ma il modo nel qu<strong>al</strong>e era fatto. Invece di esprimere la propria umiliazione,<br />

esso diventava una manifestazione di orgoglio.<br />

Il digiuno cristiano, come l'elemosina e la preghiera, deve essere compiuto di nascosto. Il cristiano non deve fare<br />

ostentazione <strong>del</strong>la sua penitenza; deve anzi nasconderla con un atteggiamento gioioso.<br />

Il digiuno, come ogni <strong>al</strong>tra sofferenza, è una fonte di gioia perché ottiene un maggior avvicinamento a Dio. L'invito<br />

di Gesù ad assumere un atteggiamento giulivo invece che tetro, sottolinea il significato definitivo <strong>del</strong>la penitenza<br />

cristiana: poter soffrire è una grazia (cf. 1Pt 2,19).<br />

Anche qui, come nei casi precedenti, viene messo in confronto l'esempio cattivo con quello buono. Anche in<br />

questo caso l'esempio negativo è formulato in termini esagerati, in forma di caricatura. In greco c'è un gioco di parole<br />

tra afanízousin e fanosin: essi sfigurano (afanízousin) il loro volto e figurano (fanosin) davanti agli uomini come<br />

persone che digiunano. Come l'annunciare l'elemosina per strada e il pregare agli angoli <strong>del</strong>le piazze, si tratta di<br />

una messa in scena davanti <strong>al</strong>la gente. Poiché il loro agire non riguarda Dio, sono degli ipocriti: empi e commedianti.<br />

Anche l'Antico Testamento ha espresso <strong>del</strong>le critiche <strong>al</strong> digiuno esclusivamente esteriore (Is 58,6ss; Sir 34,31).<br />

Colui che digiuna per amore di Dio deve comportarsi come nel tempo <strong>del</strong>la gioia; deve avere il volto luminoso<br />

(Dn 1,15). Il rapporto intimo tra Dio e l'uomo non tollera <strong>al</strong>cuna occhiata di traverso rivolta agli uomini.<br />

Il brano non vieta il digiuno, ma il mostrare agli uomini che si digiuna. Tutte le pratiche <strong>del</strong>la religione cristiana<br />

devono essere fatte per Dio e non per un tornaconto person<strong>al</strong>e.<br />

Giovedì 20 Giugno 2013<br />

Mt 6,7-15<br />

Voi dunque pregate così.<br />

7 Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza<br />

di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il <strong>Padre</strong> vostro sa di qu<strong>al</strong>i cose avete bisogno<br />

prima ancora che gliele chiediate.<br />

9 Voi dunque pregate così:<br />

<strong>Padre</strong> nostro che sei nei cieli,<br />

sia santificato il tuo nome,<br />

10 venga il tuo regno,<br />

sia fatta la tua volontà,<br />

come in cielo così in terra.<br />

11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano,<br />

12 e rimetti a noi i nostri debiti<br />

come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,<br />

13 e non abbandonarci <strong>al</strong>la tentazione,<br />

ma liberaci d<strong>al</strong> m<strong>al</strong>e.<br />

14 Se voi infatti perdonerete agli <strong>al</strong>tri le loro colpe, il <strong>Padre</strong> vostro che è nei cieli perdo-<br />

15


16<br />

nerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli <strong>al</strong>tri, neppure il <strong>Padre</strong> vostro perdonerà<br />

le vostre colpe.<br />

Gesù ci insegna la preghiera cristiana, che si contrappone <strong>al</strong>la preghiera dei farisei e dei pagani: il <strong>Padre</strong> nostro.<br />

E' un testo di grande importanza che ci aiuta a comprendere chi è il cristiano. Il <strong>Padre</strong> nostro è una parola di Dio<br />

rivolta a noi, più che una nostra preghiera rivolta a lui. E' il riassunto di tutto il vangelo. Non è Dio che deve convertirsi,<br />

sollecitato d<strong>al</strong>le nostre preghiere: siamo noi che dobbiamo convertirci a lui.<br />

Il contenuto di questa preghiera è unico: il regno di Dio. Ciò è in perfetta consonanza con l'insegnamento di Gesù:<br />

"Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33).<br />

<strong>Padre</strong> nostro. Il discepolo ha diritto di pregare come figlio. E sta in questo nuovo rapporto l'origin<strong>al</strong>ità cristiana<br />

(cf. G<strong>al</strong> 4,6; Rm 8,15). La familiarità nel rapporto con Dio, che nasce d<strong>al</strong>la consapevolezza di essere figli amati d<strong>al</strong><br />

<strong>Padre</strong>, è espressa nel Nuovo Testamento con il termine parresía che può essere tradotto familiarità disinvolta e<br />

confidente (cf. Ef 3,11-12). L'aggettivo nostro esprime l'aspetto comunitario <strong>del</strong>la preghiera. Quando uno prega il<br />

<strong>Padre</strong>, tutti pregano in lui e con lui.<br />

L'espressione che sei nei cieli richiama la trascendenza e la signoria di Dio: egli è vicino e lontano, come noi e<br />

diverso da noi, <strong>Padre</strong> e Signore. Il sapere che Dio è <strong>Padre</strong> porta <strong>al</strong>la fiducia, <strong>al</strong>l'ottimismo, <strong>al</strong> senso <strong>del</strong>la provvidenza<br />

(cf. Mt 6,26-33).<br />

Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà. Il verbo <strong>del</strong>la prima invocazione è <strong>al</strong> passivo:<br />

ciò significa che il protagonista è Dio, non l'uomo. La santificazione <strong>del</strong> nome è opera di Dio. La preghiera è<br />

semplicemente un atteggiamento che fa spazio <strong>al</strong>l'azione di Dio, una disponibilità. L'espressione santificare il nome<br />

dev'essere intesa <strong>al</strong>la luce <strong>del</strong>l'Antico Testamento, in particolare di Ez 36,22-29. Essa indica un permettere a Dio di<br />

svelare il suo volto nella storia <strong>del</strong>la s<strong>al</strong>vezza e nella comunità credente. Il discepolo prega perché la comunità diventi<br />

un involucro trasparente che lasci intravedere la presenza <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>.<br />

La venuta <strong>del</strong> Regno comprende la vittoria definitiva sul m<strong>al</strong>e, sulla divisione, sul disordine e sulla morte. Il discepolo<br />

chiede e attende tutto questo. Ma la sua preghiera implica contemporaneamente un'assunzione di responsabilità:<br />

egli attende il Regno come un dono e insieme chiede il coraggio per costruirlo. La volontà di Dio è il disegno<br />

di s<strong>al</strong>vezza che deve re<strong>al</strong>izzarsi nella storia.<br />

Come in cielo, così in terra. Bisogna anticipare qui in terra la vita <strong>del</strong> mondo che verrà. La città terrestre deve<br />

costruirsi a imitazione <strong>del</strong>la città di Dio.<br />

Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Il nostro pane è frutto <strong>del</strong>la terra e <strong>del</strong> lavoro <strong>del</strong>l'uomo, ma è anche, e soprattutto,<br />

dono <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>. Nell'espressione c'è il senso <strong>del</strong>la comunitarietà (il nostro pane) e un senso di sobrietà (il<br />

pane per oggi). Il Regno è <strong>al</strong> primo posto: il resto in funzione <strong>del</strong> Regno.<br />

Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci d<strong>al</strong><br />

m<strong>al</strong>e. Anche queste tre ultime domande riguardano il regno di Dio, ma dentro di noi. Il Regno è innanzitutto l'avvento<br />

<strong>del</strong>la misericordia.<br />

Questa preghiera si apre con il <strong>Padre</strong> e termina con il m<strong>al</strong>igno. L'uomo è nel mezzo, conteso e sollecitato da entrambi.<br />

Nessun pessimismo, però. Il discepolo sa che niente e nessuno lo può separare d<strong>al</strong>l'amore di Dio e strappare<br />

d<strong>al</strong>le mani <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>.<br />

Matteo commenta il <strong>Padre</strong> nostro su un solo punto, rimetti a noi i nostri debiti…. Ecco il commento: "Se voi, infatti,<br />

perdonerete agli uomini le loro colpe, il <strong>Padre</strong> vostro celeste perdonerà anche a voi...".<br />

Nel capitolo precedente Matteo aveva messo in luce l'amore per tutti. Ora mette in luce la sua concreta manifestazione:<br />

il perdono.<br />

Venerdì 21 Giugno 2013<br />

Mt 6,19-23<br />

Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.<br />

19 Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove<br />

ladri scassìnano e rubano; 20 accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né<br />

ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. 21 Perché, dov'è il tuo tesoro,<br />

là sarà anche il tuo cuore.<br />

22 La lampada <strong>del</strong> corpo è l'occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo<br />

sarà luminoso; 23 ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque<br />

la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!<br />

In questo brano Gesù ci dà due comandamenti: "Non accumulatevi tesori sulla terra... Accumulatevi invece tesori<br />

nel cielo". L'accumulare tesori, il diventare ricco è l'aspirazione di ogni uomo. Nella ricchezza egli cerca di manifestare<br />

la sua potenza, la sua superiorità, la sua vanagloria, la sua superbia, ma soprattutto in essa cerca la sicurezza<br />

contro tutti i pericoli, compresa la morte, e la possibilità di avere tutte le soddisfazioni che il benessere economico<br />

può dare. La ricerca egoistica dei beni materi<strong>al</strong>i sottrae tempo ed energie <strong>al</strong>l'acquisizione dei beni <strong>del</strong> cielo<br />

e rende l'uomo schiavo <strong>del</strong>le cose che possiede e desidera. Inoltre, tignola, tarli e ladri minacciano in ogni momento<br />

la proprietà terrena.<br />

Ognuno deve avere qu<strong>al</strong>cosa o qu<strong>al</strong>cuno a cui dedicare le sue attenzioni e le sue forze. Il problema è la scelta<br />

di questo tesoro a cui attaccare il cuore. L'uomo diventa ciò che ama. Se ama le cose diventa come le cose, se


ama Dio diventa come Dio.<br />

L'uso <strong>del</strong>le cose è buono fino a quando non diventa ostacolo per seguire Cristo e amare i fratelli. Il cristiano non<br />

può essere schiavo di nulla e di nessuno perché "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi" (G<strong>al</strong> 5,1).<br />

Praticare la misericordia è un tema dominante <strong>del</strong> <strong>Vangelo</strong> secondo Matteo: "Vendi quello che possiedi e d<strong>al</strong>lo<br />

ai poveri e avrai un tesoro nei cieli" (19,21). Il cristiano dona l'avere per ottenere l'essere: essere come il <strong>Padre</strong>.<br />

Il detto evangelico <strong>del</strong>la lucerna <strong>del</strong> corpo ci presenta la necessità <strong>del</strong>la chiarezza nell'orientamento <strong>del</strong>la vita.<br />

La vera luce è Gesù (Mt 4,16; Gv 1,9; 8,12; ecc.). L'occhio buono è quello che accoglie la luce <strong>del</strong>la rivelazione di<br />

Gesù; l'occhio cattivo, quello che la rifiuta. L'occhio che lascia entrare questa luce immerge tutta la persona nella<br />

luce, l'occhio che non lascia entrare questa luce immerge tutta la persona nelle tenebre.<br />

L'occhio viene presentato come il simbolo <strong>del</strong> cuore, <strong>del</strong>la mente. Il cuore <strong>del</strong>l'uomo dev'essere orientato a Dio<br />

e vivere nella ricerca dei tesori <strong>del</strong> cielo, <strong>al</strong>lora tutto l'uomo è nella luce. Se invece si perde nella ricerca dei beni<br />

materi<strong>al</strong>i diventa cieco e tutta la sua persona è immersa nelle tenebre.<br />

Nella Bibbia l'occhio esprime l'orientamento spiritu<strong>al</strong>e <strong>del</strong>la persona. L'occhio buono esprime la giusta relazione<br />

con Dio, d<strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e l'uomo viene tot<strong>al</strong>mente illuminato (S<strong>al</strong> 4,7; 36,10). L'occhio cattivo esprime l'opposizione <strong>del</strong>lo<br />

spirito <strong>del</strong>l'uomo nei confronti di Dio.<br />

Nel vangelo di Matteo l'occhio cattivo è simbolo <strong>del</strong>l'invidia, <strong>del</strong>l'avarizia, <strong>del</strong>l'egoismo (20,15). L'occhio che non<br />

accoglie la luce <strong>del</strong>la rivelazione di Gesù diventa ottenebrato. La tenebra tot<strong>al</strong>e e definitiva è la perdizione eterna.<br />

Sabato 22 Giugno 2013<br />

Mt 6,24-34<br />

Non preoccupatevi <strong>del</strong> domani.<br />

24 Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'<strong>al</strong>tro, oppure si affezionerà<br />

<strong>al</strong>l'uno e disprezzerà l'<strong>al</strong>tro. Non potete servire Dio e la ricchezza.<br />

25 Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete,<br />

né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non v<strong>al</strong>e forse più <strong>del</strong> cibo e<br />

il corpo più <strong>del</strong> vestito? 26 Guardate gli uccelli <strong>del</strong> cielo: non séminano e non mietono, né<br />

raccolgono nei granai; eppure il <strong>Padre</strong> vostro celeste li nutre. Non v<strong>al</strong>ete forse più di loro?<br />

27 E chi di voi, per quanto si preoccupi, può <strong>al</strong>lungare anche di poco la propria vita? 28 E<br />

per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli <strong>del</strong> campo: non faticano<br />

e non filano. 29 Eppure io vi dico che neanche S<strong>al</strong>omone, con tutta la sua gloria,<br />

vestiva come uno di loro. 30 Ora, se Dio veste così l'erba <strong>del</strong> campo, che oggi c'è e domani<br />

si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31 Non preoccupatevi<br />

dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?».<br />

32 Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il <strong>Padre</strong> vostro celeste, infatti, sa<br />

che ne avete bisogno. 33 Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte<br />

queste cose vi saranno date in aggiunta. 34 Non preoccupatevi dunque <strong>del</strong> domani, perché<br />

il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun <strong>giorno</strong> basta la sua pena.<br />

Dio vuole per sé tutto l'uomo e non tollera compromessi: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con<br />

tutta la tua anima e con tutta la tua mente" (Mt 22,37). Dietro tutte le forme di idolatria si nasconde il m<strong>al</strong>igno. Egli<br />

si nasconde dietro il mammona, che è l'insieme <strong>del</strong>le cose che possediamo. Chi adora il mammona, adora satana.<br />

Il detto intende provocare nell'ascoltatore una decisione chiara: o Dio o il possesso. Quando si cerca di accumulare<br />

ricchezza, questa diventa un idolo e Dio viene dimenticato.<br />

Questo detto trova una clamorosa dimostrazione nel racconto di Mt 19,16-30. Il ricco che non accoglie la chiamata<br />

di Gesù indica l'impossibilità di vivere secondo il vangelo e di restare contemporaneamente attaccati <strong>al</strong>le proprie<br />

ricchezze. La conquista <strong>del</strong> mondo è il comando dato da Dio agli uomini (Gen 1,28). L'uso <strong>del</strong>le cose è legittimo,<br />

ma esse devono restare <strong>al</strong> nostro servizio e non noi <strong>al</strong> loro. Quando il possesso <strong>del</strong>le cose impedisce o ritarda<br />

il cammino verso Dio e il prossimo, <strong>al</strong>lora abbiamo la riprova che il mammona è più importante di Dio e dei fratelli. Il<br />

peccato è amare le creature <strong>al</strong> posto <strong>del</strong> Creatore. Tutto deve essere sacrificato per il raggiungimento <strong>del</strong> fine ultimo<br />

che è Dio (Mt 5,29-30).<br />

Chi vive tot<strong>al</strong>mente orientato a Dio, come ci ha insegnato il vangelo fino a questo punto, deve evitare l'affanno<br />

per le necessità materi<strong>al</strong>i. Dio che ci ha già dato il più (la vita) ci darà anche il meno (il cibo e il vestito). Affannarsi è<br />

mancanza di fede nell'amore infinito e provvidente <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>. In queste preoccupazioni inutili possono cadere ugu<strong>al</strong>mente,<br />

anche se per motivi opposti, il povero e il ricco.<br />

Il senso <strong>del</strong>la vita non può ridursi <strong>al</strong>la sola ricerca dei beni materi<strong>al</strong>i e <strong>al</strong>l'appagamento dei bisogni fisici. Gesù ci<br />

ha già insegnato in Mt 4,4: "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce d<strong>al</strong>la bocca di Dio".<br />

I motivi per cui dobbiamo liberarci dai desideri di possedere e d<strong>al</strong>le preoccupazioni materi<strong>al</strong>i sono due: la conoscenza<br />

<strong>del</strong> vero Dio, nostro <strong>Padre</strong>, provvidente e buono, e il compito prioritario che Dio ci ha affidato di cercare il<br />

suo regno e la sua giustizia.<br />

I pagani sono tutti coloro che non conoscono Dio come loro <strong>Padre</strong> provvidente e s<strong>al</strong>vatore e di conseguenza si<br />

agitano come se fossero degli orfani che devono confidare esclusivamente nelle proprie forze.<br />

Gesù non vuole assolutamente distogliere l'uomo d<strong>al</strong> lavoro. Sta scritto infatti: "Il Signore Dio prese l'uomo e lo<br />

pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse" (Gen 2,15). Egli vuole insegnarci a vivere bene,<br />

come persone intelligenti e illuminate d<strong>al</strong>la fede.<br />

17


Infatti affannarsi è inutile e dannoso. L'affanno guasta l'uomo e gli accorcia la vita: "Qu<strong>al</strong>e profitto c'è per l'uomo<br />

in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno <strong>del</strong> suo cuore in cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che<br />

dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questa è vanità" (Qo 2,22-23).<br />

Dopo averci ripetutamente comandato di non affannarci per l'oggi, Gesù ci comanda di non affannarci neppure<br />

per il domani perché è un atteggiamento sciocco: "E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola<br />

<strong>al</strong>la sua vita?" (Mt 6,27).<br />

Il <strong>Padre</strong> nostro celeste, che ha cura <strong>del</strong> nostro presente, avrà cura anche <strong>del</strong> nostro domani.<br />

Domenica 23 Giugno 2013 - XII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)<br />

Lc 9,18-24<br />

Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio <strong>del</strong>l’uomo deve soffrire molto.<br />

18<br />

18 Un <strong>giorno</strong> Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed<br />

egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19 Essi risposero: «Giovanni<br />

il Battista; <strong>al</strong>tri dicono Elia; <strong>al</strong>tri uno degli antichi profeti che è risorto». 20 Allora domandò<br />

loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».<br />

21 Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad <strong>al</strong>cuno.<br />

22 «Il Figlio <strong>del</strong>l'uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi<br />

dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo <strong>giorno</strong>».<br />

23 Poi, a tutti, diceva: «Se qu<strong>al</strong>cuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda<br />

la sua croce ogni <strong>giorno</strong> e mi segua. 24 Chi vuole s<strong>al</strong>vare la propria vita, la perderà, ma<br />

chi perderà la propria vita per causa mia, la s<strong>al</strong>verà.<br />

Fino a questo punto <strong>del</strong> vangelo erano gli uomini che si interrogavano su Gesù e lo interrogavano. Ora è Gesù<br />

che interroga. Egli esige la nostra risposta.<br />

Il nodo centr<strong>al</strong>e di questo brano è il passaggio d<strong>al</strong>la risposta di Pietro a quella di Cristo: si passa da un messianismo<br />

glorioso a quello <strong>del</strong> Servo sofferente di Dio che si consegna <strong>al</strong> <strong>Padre</strong>. E' il mistero <strong>del</strong>la croce che fa da discriminante<br />

nella fede in Gesù. E' lo scand<strong>al</strong>o che esige conversione profonda e continua. La fede e la sequela di<br />

Cristo si decidono sulla strettoia <strong>del</strong>la croce.<br />

Il discepolo non è colui che mette in questione Gesù, ma colui che si lascia mettere in questione da lui.<br />

La domanda è rivolta ai "voi", ai discepoli nettamente distinti d<strong>al</strong>la folla. Di conseguenza, la risposta di Pietro è a<br />

nome di tutti: egli esprime la fede <strong>del</strong>la Chiesa. Nel vangelo di Luca la funzione di Pietro è assai evidenziata. La<br />

sua risposta riconosce in Gesù il Cristo, il Messia atteso, colui che deve venire secondo la promessa di Dio (Lc<br />

23,35).<br />

Ma Dio esaudisce la sua promessa, non i nostri desideri. Per questo Gesù, come Cristo di Dio, <strong>del</strong>uderà le attese<br />

messianiche <strong>del</strong>l'uomo (Lc 23,35-39; 24,21). E' il Cristo che viene da Dio e torna a Dio portando con sé anche<br />

noi. Questa opera di Cristo, che è la s<strong>al</strong>vezza, compie ciò che noi non osavamo sperare in un modo che non sapevamo<br />

pensare.<br />

Sinceramente ognuno di noi avrebbe fatto un progetto diverso da quello di Dio per s<strong>al</strong>vare il mondo e, in buona<br />

fede, lo avrebbe ritenuto più intelligente, migliore e più spiccio di quello escogitato d<strong>al</strong>la sapienza <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> (cf.<br />

1Cor 1,18-25).<br />

Il problema non è tanto il riconoscere che Gesù è il Cristo di Dio, ma "come" è il Cristo di Dio. Gesù non è il Cristo<br />

<strong>del</strong>l'attesa umana, ma il Figlio <strong>del</strong>l'uomo che affronta il cammino <strong>del</strong> Servo sofferente di Dio: è la prima autorivelazione<br />

piena di Gesù, il nocciolo <strong>del</strong>la fede cristiana, il suo mistero di morte e di risurrezione redentrice.<br />

Il "bisogna" indica il compimento <strong>del</strong>la volontà di Dio rivelata nella Scrittura. T<strong>al</strong>e volontà nasce d<strong>al</strong>la sua essenza,<br />

che è il suo amore riversato su di noi peccatori. Dio "deve" morire in croce per noi peccatori, perché ci ama<br />

e noi siamo sulla croce.<br />

Il mistero di Gesù è la sofferenza <strong>del</strong> Servo di Dio che ama il <strong>Padre</strong> e i fratelli. La croce è il nostro m<strong>al</strong>e che lui<br />

si addossa perché ci ama: è il suo perdersi per s<strong>al</strong>varci. La sua sofferenza è prodotta da tutte le forme <strong>del</strong> m<strong>al</strong>e<br />

che abbiamo escogitato per s<strong>al</strong>varci: l'avere, il potere e il sapere o, in <strong>al</strong>tri termini, la ricchezza, la vanagloria e la<br />

superbia (cf. 1Gv 2,16). Per questo il potere rifiuta Gesù e poi lo uccide. Ma l'ultima parola non è "morte", ma "risurrezione".<br />

Questo volto di Gesù, il Figlio obbediente di cui qui sono tracciati i lineamenti netti e duri, sarà presentato sempre<br />

più chiaramente in tutta la seconda parte <strong>del</strong> vangelo di Luca.<br />

L'invito di Gesù: "Se qu<strong>al</strong>cuno vuol venire dietro a me…" è una chiamata univers<strong>al</strong>e a entrare con lui nel suo<br />

cammino verso il <strong>Padre</strong>. Per condividere il destino di Gesù in cammino verso il <strong>Padre</strong> bisogna rinnegare se stessi e<br />

portare ogni <strong>giorno</strong> la propria croce.<br />

Rinnegare se stessi significa ricevere la propria vita come grazia di cui non si dispone da padroni, portare ogni<br />

<strong>giorno</strong> il peso <strong>del</strong> servizio ai fratelli e <strong>del</strong> dono <strong>del</strong>la vita per gli <strong>al</strong>tri, e addossarsi il far<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>le prove, <strong>del</strong>le contraddizioni<br />

e <strong>del</strong>le persecuzioni.<br />

La via <strong>del</strong> Regno è quella <strong>del</strong>la croce, sia per Cristo che per i cristiani.<br />

L'unico problema fondament<strong>al</strong>e per l'uomo è s<strong>al</strong>vare o perdere la vita. Quindi seguire Gesù e rinnegare se stessi<br />

è la questione fondament<strong>al</strong>e <strong>del</strong>la vita: è questione di vita o di morte.<br />

L'uomo non può essere il s<strong>al</strong>vatore di se stesso, non ha in sé la sorgente <strong>del</strong>la propria vita: non è il Creatore,


ma una creatura. La s<strong>al</strong>vezza è accettare Dio che mi ama e pensa a me.<br />

L'uomo si re<strong>al</strong>izza amando. Amando Dio si re<strong>al</strong>izza come Dio. Ma per amare bisogna essere amati. Il cristiano<br />

può amare Gesù e perdere la vita per lui perché Gesù per primo l'ha amato e ha dato se stesso per lui (cfr G<strong>al</strong><br />

2,20). Il credente si affida a lui, nella vita e nella morte, perché Cristo è morto per tutti vincendo le barriere <strong>del</strong> m<strong>al</strong>e<br />

e <strong>del</strong>la paura.<br />

"Che giova <strong>al</strong>l'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde o rovina se stesso?" (v. 25). Il primo tentativo <strong>del</strong>l'uomo<br />

per s<strong>al</strong>vare se stesso è quello di accumulare dei beni. Insidiato d<strong>al</strong> suo limite, l'uomo si garantisce cibo e<br />

vita guadagnando, accumulando e divorando tutto. E' la f<strong>al</strong>sa sicurezza dei beni (cf. Lc 12,15-21; S<strong>al</strong> 49): ciò che<br />

uno ha deve riempire il vuoto di ciò che non è. L'insaziabilità di beni è via <strong>al</strong>la perdizione: "L'attaccamento <strong>al</strong> denaro<br />

è la radice di tutti i m<strong>al</strong>i" (1Tm 6,10). Gli unici beni che troveremo nell'eternità saranno quelli che abbiamo donato<br />

per misericordia nella vita presente.<br />

La presa di posizione nei confronti di Gesù e <strong>del</strong>le sue parole è decisiva per il futuro. Dio non giudica nessuno:<br />

s<strong>al</strong>va tutti mediante suo Figlio. Un giudizio però c'è. Ma non è Dio a farlo: lo facciamo noi qui e ora su suo Figlio.<br />

Accettarlo o rifiutarlo è ricevere o no la sua gloria nel futuro. Il giudizio futuro lo facciamo noi nella storia presente. Il<br />

risultato <strong>del</strong>la partita è dato solo <strong>al</strong>la fine, ma viene giocato tutto prima, in ognuno dei minuti di gioco, dei qu<strong>al</strong>i nessuno<br />

è insignificante.<br />

Lunedì 24 Giugno 2013 - NATIVITA' DI SAN GIOVANNI BATTISTA<br />

Lc 1,57-66.80<br />

Giovanni è il suo nome.<br />

57 Per Elisabetta intanto si compì il tempo <strong>del</strong> parto e diede <strong>al</strong>la luce un figlio. 58 I vicini<br />

e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si<br />

r<strong>al</strong>legravano con lei.<br />

59 Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il<br />

nome di suo padre, Zaccaria. 60 Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni».<br />

61 Le dissero: «Non c'è nessuno <strong>del</strong>la tua parentela che si chiami con questo nome».<br />

62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63 Egli chiese<br />

una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64 All'istante<br />

gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65 Tutti i loro vicini<br />

furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa <strong>del</strong>la Giudea si discorreva di tutte<br />

queste cose. 66 Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà<br />

mai questo bambino?». E davvero la mano <strong>del</strong> Signore era con lui.<br />

80 Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino <strong>al</strong> gior-<br />

no <strong>del</strong>la sua manifestazione a Israele.<br />

L’attuazione <strong>del</strong>la s<strong>al</strong>vezza comincia con la nascita di Giovanni. Essa riempie gli animi di gioia e li spinge ad elevare<br />

un canto di ringraziamento a Dio e a ricolmare di felicitazioni la madre <strong>del</strong> bambino.<br />

Il centro di questo racconto è la questione <strong>del</strong> nome da dare <strong>al</strong> bambino. Il nome indica la natura <strong>del</strong>la persona,<br />

la sua missione, il suo v<strong>al</strong>ore unico e irripetibile. Giovanni significa "Dio fa grazia"; significa dono, grazia, amore di<br />

Dio.<br />

Il rito <strong>del</strong>la circoncisione è movimentato. Tutto serve per mettere in rilievo la vocazione e la missione di Giovanni.<br />

Nel suo nome, che significa "Dio fa grazia", c’è tutto il programma che è chiamato a re<strong>al</strong>izzare. Esso indica che<br />

Dio sta per dare una prova inaudita <strong>del</strong>la sua misericordia verso gli uomini.<br />

L’uso ebraico di imporre <strong>al</strong> neonato il nome <strong>del</strong> genitore o di un antenato voleva indicare la continuità con il<br />

passato. Qui viene interrotto perché questo bambino ha un cammino proprio da percorrere indipendentemente d<strong>al</strong>la<br />

parentela o discendenza carn<strong>al</strong>e.<br />

Ogni vita, ogni nascita è dono di Dio. La nascita di un uomo non è mai un caso, è sempre il compimento di un<br />

disegno d’amore di Dio. Il Signore mi ha disegnato con amore sul p<strong>al</strong>mo <strong>del</strong>la sua mano (Is 49,16), fin d<strong>al</strong> grembo<br />

di mia madre ha pronunciato il mio nome (Is 49,1), è lui che ha creato le mie viscere e mi ha tessuto nel grembo di<br />

mia madre (S<strong>al</strong> 139,13).<br />

L’uomo è il prodigio <strong>del</strong>l’amore di Dio: "Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio" (S<strong>al</strong> 139,14). Dio dice ad<br />

ogni uomo: "Tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e ti amo" (Is 43,4). La nostra dignità si comprende<br />

solo se guardiamo a Colui d<strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e abbiamo avuto inizio e <strong>al</strong> qu<strong>al</strong>e ritorniamo: <strong>al</strong>la fine Dio sarà tutto in tutti<br />

(1Cor 15,28).<br />

Ogni nascita è una dilatazione <strong>del</strong>l’amore e <strong>del</strong>la misericordia <strong>del</strong> Signore, la cui tenerezza si espande su tutte<br />

le creature (S<strong>al</strong> 145,9). Solo se si capisce così una nascita, si può comprendere il vero v<strong>al</strong>ore e il vero spessore di<br />

una vita.<br />

I vicini e i parenti si r<strong>al</strong>legrano con Elisabetta perché il Signore ha manifestato in lei la sua grande misericordia.<br />

Il credente è colui che vede l’azione di Dio dove il non credente vede solo l’azione <strong>del</strong>l’uomo.<br />

Il nome di Giovanni viene da Dio (Lc 1,13). Il nome di ogni figlio, il suo essere, la sua vocazione, il suo destino<br />

vengono da Dio.<br />

La meraviglia di tutti (v. 63) sta nella scoperta che Dio è grazia, misericordia e tenerezza.<br />

19


Il v. 66 ci presenta un tema caro a Luca: l’ascolto <strong>del</strong>la parola di Dio deve mettere radice nel cuore, crescere e<br />

fruttificare (cfr Lc 8,12ss).<br />

Nel bambino Giovanni si manifestano la potenza e la mano di Dio per portare avanti la sua crescita e così prepararlo<br />

convenientemente ai suoi compiti futuri.<br />

20<br />

Nel v.80 ci viene presentato il Battista che si forma e cresce come gli antichi profeti.<br />

Martedì 25 Giugno 2013<br />

Mt 7,6.12-14<br />

Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.<br />

6 Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché<br />

non le c<strong>al</strong>pestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.<br />

12<br />

Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti<br />

è la Legge e i Profeti.<br />

13<br />

Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce <strong>al</strong>la<br />

perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. 14 Quanto stretta è la porta e angusta la<br />

via che conduce <strong>al</strong>la vita, e pochi sono quelli che la trovano!<br />

Il comando <strong>del</strong> v. 6 è rivolto a tutti coloro che annunciano la parola di Dio. I discepoli devono avere sempre presenti<br />

queste due cose: il dovere di predicare il vangelo e il dovere di non esporre <strong>al</strong>la profanazione la parola di Dio.<br />

I cani e i porci sono gli ignoranti, gli empi, i pagani. Le cose sante e le perle sono l’annuncio <strong>del</strong> regno di Dio. Il<br />

vangelo va annunciato a tutti, ma va anche difeso da coloro che lo rifiutano e lo deridono.<br />

La regola d’oro <strong>del</strong> v. 12 ci spinge verso un’operosità libera e creativa per il bene <strong>del</strong> prossimo. Essa è espressa<br />

in forma positiva e ci sprona a fare tutto il bene possibile a tutti. Ci invita a trasferirci con amore e fantasia nella situazione<br />

degli <strong>al</strong>tri, nei panni degli <strong>al</strong>tri. La mancanza di fantasia e di inventiva è mancanza d'amore.<br />

Il verbo "fare" indica un amore concreto e tangibile, come ci insegna anche la 1Gv 3,16-18: "Da questo abbiamo<br />

conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno<br />

ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui<br />

l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità".<br />

La novità <strong>del</strong> vangelo sta nella concentrazione di tutta la volontà di Dio nel comandamento <strong>del</strong>l'amore. Questo<br />

amore, manifestato a noi in Cristo, ha la sua sorgente e il suo mo<strong>del</strong>lo nel <strong>Padre</strong> (Mt 5,43-48).<br />

La "via" (v. 13) è il simbolo <strong>del</strong> cammino mor<strong>al</strong>e <strong>del</strong>l'uomo. La "via che conduce <strong>al</strong>la vita" è quella <strong>del</strong> vangelo, è<br />

Gesù in persona (Gv 14,6). La porta stretta e la via angusta significano le rinunce e le persecuzioni connesse con<br />

la scelta di vita cristiana.<br />

L'ingresso attraverso la porta stretta è l’ingresso nel regno di Dio (Mt 5,20; 18,1; ecc.), nella vita (Mt 18,8-9;<br />

19,17), nella s<strong>al</strong>a <strong>del</strong>le nozze (Mt 25,10) e nella gioia <strong>del</strong> Signore (Mt 25,21.23). In questo contesto <strong>del</strong> discorso<br />

<strong>del</strong>la montagna, l'imperativo "entrate" significa: fate la volontà <strong>del</strong> <strong>Padre</strong>. Solo facendo la volontà <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> si entra<br />

nel regno di Dio (Mt 7,21).<br />

Il discorso sui "molti" e sui "pochi" si riferisce <strong>al</strong>la situazione presente e non a quella definitiva dopo il giudizio.<br />

La via comoda <strong>del</strong>la mediocrità, <strong>del</strong> peccato e <strong>del</strong>l’egoismo è molto affollata. Il sentiero stretto e ripido che porta a<br />

Dio, tracciato d<strong>al</strong> discorso <strong>del</strong>la montagna, sembra poco battuto. Gesù quindi ci esorta: "Entrate per la porta stretta".<br />

Il tema <strong>del</strong>la s<strong>al</strong>vezza sarà ripreso in Mt 19,16-26. Alla domanda dei discepoli: "Chi si potrà dunque s<strong>al</strong>vare?"<br />

Gesù risponde: "Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile".<br />

Qui, come in 22,14, Matteo recepisce la concezione pessimistica <strong>del</strong>l'apoc<strong>al</strong>ittica extra-biblica: "L'Altissimo ha<br />

creato questo mondo per molti, ma quello futuro per pochi" (4 Esd 8,1) non per ragguagliarci sul numero dei s<strong>al</strong>vati,<br />

ma per spronarci <strong>al</strong>l'impegno.<br />

Gesù offre la s<strong>al</strong>vezza a tutti (Mt 26,28), ma tocca ai singoli accoglierla con decisione libera e responsabile.<br />

Mercoledì 26 Giugno 2013<br />

Mt 7,15-20<br />

Dai loro frutti li riconoscerete.<br />

15 Guardatevi dai f<strong>al</strong>si profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi<br />

rapaci! 16 Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi?<br />

17 Così ogni <strong>al</strong>bero buono produce frutti buoni e ogni <strong>al</strong>bero cattivo produce frutti cattivi;<br />

18 un <strong>al</strong>bero buono non può produrre frutti cattivi, né un <strong>al</strong>bero cattivo produrre frutti<br />

buoni. 19 Ogni <strong>al</strong>bero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 20 Dai loro<br />

frutti dunque li riconoscerete.<br />

I profeti cristiani sono i missionari e i predicatori itineranti (Mt 10,41), ma sono, ugu<strong>al</strong>mente, i maestri e le guide<br />

<strong>del</strong>la comunità. Criterio pratico per verificare la loro autenticità è la coerenza tra quello che annunciano e quello


che vivono.<br />

Il cristiano dev'essere santamente critico anche nei confronti dei maestri e <strong>del</strong>le guide <strong>del</strong>la comunità. Vera guida<br />

è colui che "fa frutti degni di conversione" (Mt 3,8), colui che vive il comandamento di Gesù: "Convertitevi" (Mt<br />

4,17). Se <strong>al</strong>la sua parola non si accompagna la testimonianza <strong>del</strong>la vita, è un f<strong>al</strong>so profeta.<br />

F<strong>al</strong>si profeti sono però anche tutti quei membri <strong>del</strong>la comunità che riducono la fede <strong>al</strong>le belle parole, ma non vivono<br />

una vita coerente col vangelo.<br />

L'accusa di lupo rapace indica la sete di denaro: "i suoi capi in mezzo ad essa erano come lupi che dilaniano la<br />

preda…, per ottenere un ingiusto guadagno" (Ez 22,27).<br />

Giovedì 27 Giugno 2013<br />

Mt 7,21-29<br />

La casa costruita sulla roccia e la casa costruita sulla sabbia.<br />

21 Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che<br />

fa la volontà <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> mio che è nei cieli. 22 In quel <strong>giorno</strong> molti mi diranno: «Signore, Signore,<br />

non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse<br />

scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?». 23 Ma <strong>al</strong>lora<br />

io dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità!».<br />

24 Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un<br />

uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25 Cadde la pioggia, strariparono i<br />

fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era<br />

fondata sulla roccia. 26 Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà<br />

simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27 Cadde la pioggia,<br />

strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la<br />

sua rovina fu grande».<br />

28 Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi, le folle erano stupite <strong>del</strong> suo insegnamento:<br />

29 egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi.<br />

Gesù ci insegna che la preghiera deve andare in perfetta sintonia con la pratica <strong>del</strong>la vita cristiana. Se non si<br />

compie la volontà <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> celeste, la preghiera non serve a nulla.<br />

La volontà <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> è il suo disegno di s<strong>al</strong>vezza. La preghiera richiesta da Gesù deve portare il cristiano a impegnarsi<br />

con entusiasmo e fino <strong>al</strong>la morte nell’opera <strong>del</strong>la s<strong>al</strong>vezza. Dio non sa cosa farsene <strong>del</strong>le belle parole di<br />

preghiera se non sono seguite d<strong>al</strong>le opere <strong>del</strong>l’amore.<br />

La dissociazione tra culto e vita è la m<strong>al</strong>attia dei farisei (Mt 23,3-4). L'unico criterio di v<strong>al</strong>utazione nel giudizio fin<strong>al</strong>e<br />

sarà quello <strong>del</strong>le opere di misericordia (Mt 25,31-46).<br />

Molto probabilmente Matteo polemizza con certi carismatici che avevano sempre sulle labbra in nome <strong>del</strong> Signore,<br />

ma non facevano mai nulla di utile per il prossimo. Nel <strong>giorno</strong> <strong>del</strong> giudizio non saremo giudicati sul folclore<br />

religioso o sulle azioni prodigiose; il giudizio verterà unicamente sull'attuazione <strong>del</strong>la volontà <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> che ha il<br />

suo centro nell’amore fattivo per il prossimo (Mt 25,31-46).<br />

Nella parabola (vv. 24-27) viene riassunto il significato di tutto il discorso <strong>del</strong>la montagna. Non basta ascoltare le<br />

parole di Gesù, bisogna anche metterle in pratica.<br />

La roccia che dà stabilità <strong>al</strong> cristiano è Cristo. La parabola ci indica le due condizioni necessarie perché la vita<br />

cristiana risulti solida: deve fondarsi su Cristo e passare d<strong>al</strong>le parole ai fatti. Non c'è vera adesione a Cristo senza<br />

l'impegno mor<strong>al</strong>e.<br />

Il fondamento sicuro <strong>del</strong>la vita cristiana è la pratica degli insegnamenti di Gesù. L'ascolto è necessario, ma quel<br />

che più conta è l’esecuzione di ciò che è stato ascoltato.<br />

Nei vv. 28-29 Gesù ci viene presentato come il Maestro che nel discorso <strong>del</strong>la montagna ha dato l'interpretazione<br />

autorevole e definitiva <strong>del</strong>la volontà di Dio.<br />

L'insegnamento di Gesù si differenzia da quello degli scribi perché egli non ripete ciò che hanno detto i maestri<br />

<strong>del</strong> passato, ma parla in nome proprio: "Avete inteso che fu detto agli antichi... Ma io vi dico" (Mt 5,21-22; ecc.). Egli<br />

ha ricevuto d<strong>al</strong> <strong>Padre</strong> l'autorità su tutto l'universo (Mt 28,16).<br />

Gesù non è solamente un esegeta <strong>del</strong>la Legge e dei Profeti, ma l’esegesi, il compimento <strong>del</strong>la Legge e dei Profeti.<br />

Coloro che hanno capito che Gesù è l’adempimento definitivo di tutto l'agire di Dio possono discendere con lui<br />

d<strong>al</strong>la montagna e seguirlo.<br />

Venerdì 28 Giugno 2013<br />

Mt 8,1-4<br />

Se vuoi, puoi purificarmi.<br />

1 Scese d<strong>al</strong> monte e molta folla lo seguì. 2 Ed ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò<br />

davanti a lui e disse: «Signore, se vuoi, puoi purificarmi». 3 Tese la mano e lo toccò dicendo:<br />

«Lo voglio: sii purificato!». E subito la sua lebbra fu guarita. 4 Poi Gesù gli disse:<br />

«Guàrdati bene d<strong>al</strong> dirlo a qu<strong>al</strong>cuno; va' invece a mostrarti <strong>al</strong> sacerdote e presenta l'offer-<br />

21


22<br />

ta prescritta da Mosè come testimonianza per loro».<br />

I cap. 5-7 ci hanno riferito gli insegnamenti di Gesù; i capitoli 8-9 ci riferiscono le sue opere meravigliose. Nel discorso<br />

<strong>del</strong>la montagna Gesù ci ha insegnato che non basta ascoltare la sua parola, ma bisogna soprattutto fare i<br />

fatti. E ora Gesù ci dà l’esempio facendo i fatti. Il messaggio che ha appena finito di esprimere con le parole, ora lo<br />

esprime con le opere. Gesù è il Messia <strong>del</strong>la parola e <strong>del</strong>l’azione.<br />

Secondo Matteo il primo miracolo di Gesù fu per un lebbroso, il secondo per un pagano, il terzo per una donna.<br />

Il lebbroso era uno scomunicato, il pagano era considerato un cane o un porco, la donna non aveva <strong>al</strong>cuna considerazione.<br />

Essi sono i rappresentanti di tutte le vittime dei pregiudizi umani.<br />

Guarire d<strong>al</strong>la lebbra era quasi come risuscitare d<strong>al</strong>la morte. Il lebbroso, credendo che Gesù ha la capacità di<br />

guarirlo, dà prova di una grande fede.<br />

Secondo la legislazione ebraica, il sacerdote aveva il compito di dichiarare immondo chi era colpito d<strong>al</strong>la lebbra<br />

e di riconoscere, eventu<strong>al</strong>mente, la sua avvenuta guarigione perché potesse ritornare a vivere tra la sua gente (Lv<br />

14).<br />

L’espressione "a testimonianza per loro" forse ha un senso apologetico: vedete che Gesù osserva la Legge.<br />

Matteo ha posto il racconto <strong>del</strong>la guarigione <strong>del</strong> lebbroso qui <strong>al</strong> primo posto, subito dopo il discorso <strong>del</strong>la montagna,<br />

per la sua connessione con la Legge. Gesù ha annunciato il compimento <strong>del</strong>la Legge e non la sua abolizione<br />

(Mt 5,17ss.).<br />

Sabato 29 Giugno 2013 - SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI<br />

Mt 16,13-19<br />

Tu sei Pietro, a te darò le chiavi <strong>del</strong> regno dei cieli.<br />

13 Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La<br />

gente, chi dice che sia il Figlio <strong>del</strong>l'uomo?». 14 Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista,<br />

<strong>al</strong>tri Elia, <strong>al</strong>tri Geremia o qu<strong>al</strong>cuno dei profeti». 15 Disse loro: «Ma voi, chi dite che io<br />

sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio <strong>del</strong> Dio vivente». 17 E Gesù gli<br />

disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato,<br />

ma il <strong>Padre</strong> mio che è nei cieli. 18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò<br />

la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le<br />

chiavi <strong>del</strong> regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò<br />

che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».<br />

Gesù pone la domanda fondament<strong>al</strong>e, sulla qu<strong>al</strong>e si decide il destino di ogni uomo: "Voi chi dite che io sia?". Dire<br />

chi è Gesù è collocare la propria esistenza su un terreno solido, incrollabile.<br />

La risposta di Pietro è decisa e sicura. Ma il suo discernimento non deriva d<strong>al</strong>la "carne" e d<strong>al</strong> "sangue", cioè d<strong>al</strong>le<br />

proprie forze, ma d<strong>al</strong> fatto che ha accolto in sé la fede che il <strong>Padre</strong> dona.<br />

Gesù costituisce Pietro come roccia <strong>del</strong>la sua Chiesa: la casa fondata sopra la roccia (cfr 7,24) comincia a<br />

prendere il suo vero significato.<br />

Non è fuori luogo chiedersi se Pietro era pienamente cosciente di ciò che gli veniva rivelato e di ciò che diceva.<br />

Notiamo il forte contrasto tra questa professione di fede seguita d<strong>al</strong>l’elogio di Gesù: "Beato te, Simone…" e<br />

l’incomprensione <strong>del</strong> v. 22: "Dio te ne scampi, Signore…" e infine l’aspro rimprovero di Gesù: "Via da me, satana!<br />

Tu mi sei di scand<strong>al</strong>o, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".<br />

Questo contrasto mette in evidenza la differenza tra la fede apparente e quella vera: non basta professare la<br />

messianicità di Gesù. Bisogna credere e accettare che il progetto <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> si re<strong>al</strong>izza attraverso la morte e la risurrezione<br />

<strong>del</strong> Figlio.<br />

Pietro riceve le chiavi <strong>del</strong> regno dei cieli. Le chiavi sono segno di sovranità e di potere. Pietro dunque insieme<br />

<strong>al</strong>le chiavi riceve piena autorità sul regno dei cieli. Egli esercita t<strong>al</strong>e autorità sulla terra e non in funzione di portinaio<br />

<strong>del</strong> cielo, come comunemente si pensa. In qu<strong>al</strong>ità di trasmettitore e garante <strong>del</strong>la dottrina e dei comandamenti di<br />

Gesù, la cui osservanza apre <strong>al</strong>l’uomo il regno dei cieli, egli vincola <strong>al</strong>la loro osservanza.<br />

Gli scribi e i farisei, in quanto detentori <strong>del</strong>le chiavi fino a quel momento, avevano esercitato la medesima autorità.<br />

Ma, rifiutando il vangelo, essi non fanno <strong>al</strong>tro che chiudere il regno dei cieli agli uomini. Simon Pietro subentra <strong>al</strong><br />

loro posto.<br />

Se si considera attentamente questa contrapposizione, risulta che il compito princip<strong>al</strong>e di cui è incaricato Pietro<br />

è quello di aprire il regno dei cieli. Il suo incarico va descritto in senso positivo.<br />

Non si potrà identificare la Chiesa con il regno dei cieli. Ma il loro accostamento in quest’unico brano <strong>del</strong> vangelo<br />

offre l’opportunità di riflettere sul loro reciproco rapporto. Alla Chiesa, qu<strong>al</strong>e popolo di Dio, è affidato il regno dei<br />

cieli (cfr 21,43). In essa vivono gli uomini destinati <strong>al</strong> Regno. Pietro assolve il proprio sevizio nella Chiesa quando<br />

invita a ricordarsi <strong>del</strong>la dottrina di Gesù, che permette agli uomini l’ingresso nel Regno.<br />

Nel giudaismo, gli equiv<strong>al</strong>enti di legare e sciogliere (‘asar e sherà’) hanno il significato specifico di proibire e<br />

permettere, in riferimento ai pronunciamenti dottrin<strong>al</strong>i. Accanto <strong>al</strong> potere di magistero si pone quello disciplinare. In<br />

questo campo i due verbi hanno il senso di scomunicare e togliere la scomunica.<br />

Questo duplice potere viene assegnato a Pietro. Non è il caso di separare il potere di magistero da quello disciplinare<br />

e riferire l’uno a 16,19 e l’<strong>al</strong>tro a 18,18. Ma non è possibile negare che in questo versetto 19 il potere dottrin<strong>al</strong>e,<br />

speci<strong>al</strong>mente nel senso <strong>del</strong>la fissazione <strong>del</strong>la dottrina, sta in primo piano.


Pietro è presentato come maestro supremo, tuttavia con una differenza non trascurabile rispetto <strong>al</strong> giudaismo: il<br />

ministero di Pietro non è ordinato <strong>al</strong>la legge, ma <strong>al</strong>la direttiva e <strong>al</strong>l’insegnamento di Gesù.<br />

Il legare e lo sciogliere di Pietro viene riconosciuto in cielo, cioè le decisioni di carattere dottrin<strong>al</strong>e prese da Pietro<br />

vengono confermate nel presente da Dio. L’idea <strong>del</strong> giudizio fin<strong>al</strong>e è più lontana, proprio se si includono anche<br />

decisioni disciplinari.<br />

Nel vangelo di Matteo, Pietro viene presentato come il discepolo che fa da esempio. Ciò che gli è accaduto è<br />

trasferibile ad ogni discepolo. Questo v<strong>al</strong>e sia per i suoi pregi sia per le sue deficienze, che vengono impietosamente<br />

riferite. Ma a Pietro rimane una funzione esclusiva ed unica: egli è e resta la roccia <strong>del</strong>la Chiesa <strong>del</strong> Messia<br />

Gesù. Pietro è il garante <strong>del</strong>la tradizione su Cristo com’è presentata d<strong>al</strong> vangelo di Matteo.<br />

Nel suo ufficio egli subentra agli scribi e ai farisei, che finora hanno portato le chiavi <strong>del</strong> regno dei cieli. A lui tocca<br />

far v<strong>al</strong>ere integro l’insegnamento di Gesù in tutta la sua forza.<br />

Domenica 30 Giugno 2013 - XIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)<br />

Lc 9,51-62<br />

Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerus<strong>al</strong>emme. Ti seguirò ovunque tu vada.<br />

51 Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in <strong>al</strong>to, egli prese la<br />

ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerus<strong>al</strong>emme 52 e mandò messaggeri davanti<br />

a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli<br />

l'ingresso. 53 Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso<br />

Gerus<strong>al</strong>emme. 54 Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore,<br />

vuoi che diciamo che scenda un fuoco d<strong>al</strong> cielo e li consumi?». 55 Si voltò e li rimproverò.<br />

56 E si misero in cammino verso un <strong>al</strong>tro villaggio.<br />

57 Mentre camminavano per la strada, un t<strong>al</strong>e gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada».<br />

58 E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli <strong>del</strong> cielo i loro nidi, ma il Figlio<br />

<strong>del</strong>l'uomo non ha dove posare il capo». 59 A un <strong>al</strong>tro disse: «Seguimi». E costui rispose:<br />

«Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60 Gli replicò: «Lascia<br />

che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio». 61 Un <strong>al</strong>tro<br />

disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia».<br />

62 Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano <strong>al</strong>l'aratro e poi si volge indietro è adat-<br />

to per il regno di Dio».<br />

Gesù, che si dirige coraggiosamente verso Gerus<strong>al</strong>emme, esprime la sua decisione tot<strong>al</strong>e di fare la volontà <strong>del</strong><br />

<strong>Padre</strong>, morendo per amore sulla croce. Il verbo "sarebbe stato tolto d<strong>al</strong> mondo" (v. 51) indica il compiersi <strong>del</strong> disegno<br />

di Dio. Gesù viene tolto d<strong>al</strong> mondo dagli uomini ed elevato fino <strong>al</strong> cielo da Dio. La stessa parola esprime le due<br />

facce di un'unica re<strong>al</strong>tà, vista rispettivamente come azione <strong>del</strong>l'uomo e come azione di Dio. L'uomo compie il sommo<br />

m<strong>al</strong>e togliendo di mezzo il Figlio di Dio e Dio compie il sommo bene inn<strong>al</strong>zandolo a sé nella gloria.<br />

Gesù è l'inviato <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> che accoglie tutti e proprio per questo non viene accolto (quasi) da nessuno. Il peccato<br />

di tutti è il non accogliere la piccolezza di Dio in Gesù; è questa piccolezza la sua vera grandezza!<br />

Giacomo e Giovanni si sentono associati con Gesù, ma non capiscono che l'unico suo potere è l'impotenza di<br />

uno che si consegna per amore.<br />

Egli non porta il fuoco che brucia i nemici, ma l'amore che li perdona. Lo zelo senza discernimento, principio di<br />

tutti i roghi di tutti i tempi, è esattamente il contrario <strong>del</strong>lo Spirito di Cristo. Giovanni, più tardi (At 8,15-17), ritornerà<br />

in Samaria con Pietro, e invocherà sugli stessi samaritani l'Amore <strong>del</strong> <strong>Padre</strong> e <strong>del</strong> Figlio: il fuoco <strong>del</strong>lo Spirito, l'unico<br />

che Dio conosce e che il discepolo deve invocare sui nemici. Gesù è la misericordia che vince il m<strong>al</strong>e non solo<br />

dei samaritani, ma anche e prima ancora, dei suoi discepoli. Egli rivela un Dio di compassione e di tenerezza, ignoto<br />

a tutti, ai vicini e ai lontani. Anche se a lunga scadenza, l'impotenza di un Dio che ama avrà l'ultima parola, perché<br />

l'ultima parola è Amore.<br />

Luca vuole ricordare l'insuccesso con cui si apre questo ultimo viaggio di Gesù. Il primo viaggio era cominciato<br />

con il rifiuto dei g<strong>al</strong>ilei, suoi compaesani di Nazaret (4,30), questo con l'ostilità e la mancanza di ospit<strong>al</strong>ità da parte<br />

dei samaritani. Questi due fatti anticipano il rifiuto fin<strong>al</strong>e degli ebrei di Gerus<strong>al</strong>emme.<br />

La reazione degli apostoli rispecchia una ment<strong>al</strong>ità bellicosa che Gesù contraddice senza lasciare la ben che<br />

minima possibilità di fraintendimenti o di eccezioni. I samaritani respingono il suo invito, ma egli non respinge i samaritani<br />

e tanto meno si vendicherà di loro. Egli combatte in modo energico l'opinione dei suoi discepoli che si ostinano<br />

a pensare <strong>al</strong> Messia potente, sempre vittorioso e imbattibile, che dispone di fuoco e fulmini per distruggere<br />

tutto e tutti. Un t<strong>al</strong>e modo di pensare è proprio di satana, che aveva invitato Gesù a ricorrere ai prodigi per imporre<br />

la sua credibilità (cf. Lc 4,1-13). Ma egli non ha assecondato l'istigazione <strong>del</strong> demonio <strong>al</strong>lora, né asseconda quella<br />

dei discepoli ora, perché provengono ambedue d<strong>al</strong>la stessa matrice, quella di imporre il bene con la forza, che è<br />

sempre una forma di violenza. Un sistema missionario che Gesù non adotta e non approva, ma che affiorerà di<br />

frequente nel corso dei secoli. Il vangelo è una proposta che deve farsi strada da sé, con la forza <strong>del</strong> suo contenuto,<br />

e non con imposizioni esterne fisiche o mor<strong>al</strong>i.<br />

La nostra intelligenza è ottusa perché la nostra volontà ha dei desideri e <strong>del</strong>le priorità che si oppongono <strong>al</strong>la sequela<br />

di Cristo. La nostra volontà è divisa tra il desiderio di seguire lui e quello di tenere le nostre sicurezze materi<strong>al</strong>i,<br />

affettive e person<strong>al</strong>i. Siamo chiamati a prendere <strong>del</strong>le decisioni e a superare le ambiguità <strong>del</strong>la nostra volontà.<br />

23


Essa vorrebbe il fine, ma senza volere i mezzi.<br />

E' necessaria una decisione che rompa con i condizionamenti <strong>del</strong> proprio io: in <strong>al</strong>tre parole bisogna vivere la<br />

povertà, la castità e l'obbedienza, senza le qu<strong>al</strong>i non si riesce a seguire Gesù.<br />

Essere discepoli significa avere lo stesso destino <strong>del</strong> Maestro. Egli è un ripudiato, un respinto dagli uomini, un<br />

senza-patria, un uomo continuamente in viaggio che opera instancabilmente la s<strong>al</strong>vezza.<br />

Per gli uomini è duro essere senza patria, non potersi rifugiare sotto un tetto protettore, non poter sostare in un<br />

accampamento ospit<strong>al</strong>e. Persino gli anim<strong>al</strong>i più irrequieti, come le volpi e gli uccelli, hanno una dimora. Il discepolo<br />

di Gesù deve essere pronto ad andare, ad essere respinto, a rinunciare <strong>al</strong> rifugio di una casa.<br />

Il chiamato dei vv. 59-60 è pronto, ma non immediatamente. Vuole soltanto compiere prima il suo dovere di<br />

seppellire suo padre. La richiesta di una dilazione appare quindi più che giustificata. Ma Gesù non ammette nessun<br />

rinvio. Esige che lo segua incondizionatamente.<br />

E' una risposta che sembra spietata, assolutamente estranea <strong>al</strong> sentimento e <strong>al</strong> buon senso umano, quasi <strong>del</strong><br />

tutto immor<strong>al</strong>e. Ma non è così. Questo t<strong>al</strong>e chiede di fare "prima" la sua volontà e poi quella di Dio. Gesù aveva insegnato:<br />

"Cercate prima il regno di Dio" (Mt 6,33). Diversamente c'è sempre qu<strong>al</strong>cos'<strong>al</strong>tro prima <strong>del</strong> Signore e il Signore<br />

non è più il Signore.<br />

Seppellire il padre è un dovere di pietà fili<strong>al</strong>e (Es 20,12; Lv 19,3). Ma anche un dovere, posto come prioritario,<br />

<strong>al</strong>lontana d<strong>al</strong> regno di Dio. E' il dramma <strong>del</strong>la fede di Abramo: prima l'amore per il figlio promesso da Dio o l'amore<br />

per Dio che l'ha promesso? Prima il dono o il Donatore?<br />

La re<strong>al</strong>tà umana, anche la più grande, non va assolutizzata. Porre la creatura prima <strong>del</strong> Creatore è invertire il<br />

rapporto vit<strong>al</strong>e uomo-Dio. La chiamata <strong>al</strong> regno di Dio esige che nessun affetto sia mai prioritario e assolutizzato<br />

rispetto a Dio. E' la "castità" <strong>del</strong>l'uomo, che è la sposa di Dio e deve amare solo lui in modo assoluto. Il resto lo<br />

ama in lui e per lui. Egli deve vedere in ogni dono il Donatore e amare, attraverso il dono, Colui che dona. Ciò che<br />

occupa il primo posto nel nostro tempo e nei nostri programmi è l'oggetto princip<strong>al</strong>e <strong>del</strong> nostro amore, è il nostro<br />

Dio. Per questo t<strong>al</strong>e, il padre morto era più importante <strong>del</strong> Dio vivo.<br />

Annunciare la vita ai morti nello spirito e risuscitarli è più importante che seppellire i morti nel corpo.<br />

La terza figura <strong>del</strong> discepolo, presentata nei vv. 61-62, assomma le difficoltà dei primi due. E' lui che si propone<br />

ed è lui che pone la priorità. Questo episodio richiama la vocazione di Eliseo da parte di Elia che concesse <strong>al</strong> discepolo<br />

di congedarsi dai suoi (1Re 19,19ss). Ma ora qui c'è ben più che Elia (cf. Lc 11,31-32): c'è il Figlio che va<br />

ascoltato (cf. Lc 9,35). La sua presenza esige obbedienza assoluta.<br />

La risposta di Gesù parte ancora da un'immagine suggerita d<strong>al</strong>la vocazione di Eliseo, chiamato mentre stava<br />

arando con dodici paia di buoi: egli bruciò il suo aratro e sacrificò i suoi buoi per un'<strong>al</strong>tra semina, quella <strong>del</strong>la parola<br />

di Dio.<br />

Volgersi indietro è l'atteggiamento <strong>del</strong> rimpianto, <strong>del</strong>l'esitazione. Quando arriva Gesù non c'è tempo da perdere.<br />

Questa scelta per Cristo esige una frattura con il passato. Chi ara e guarda indietro per continuare diritto il solco<br />

già tracciato non è adatto per il regno di Dio. L'obbedienza a Gesù esige che ognuno lasci il solco tracciato fino a<br />

questo momento: è la conversione continua. Chi è attaccato a persone, a cose o <strong>al</strong> proprio io, e cerca <strong>al</strong>tre sicurezze<br />

che non siano l'obbedienza <strong>al</strong>la Parola (cf. Lc 9,35), è messo m<strong>al</strong>e per il regno di Dio.<br />

La radice comune di tutte le tentazioni è l'attaccamento <strong>al</strong> proprio io. Chi supera questa tentazione ha superato<br />

anche tutte le <strong>al</strong>tre. Per questo Gesù dice: "Se qu<strong>al</strong>cuno vuole venire dietro a me rinneghi se stesso" (Lc 9,23).<br />

24<br />

<strong>Commenti</strong> <strong>al</strong> <strong>Vangelo</strong> tratti da: http://www.padrelinopedron.it<br />

http://proposta.dehoniani.it/bio/pedron.html

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!