1 1. Deissi ed elementi indicali Nel nostro percorso pecedente ...
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LINGUISTICA GENERALE, MODULO B<br />
LA PRAGMATICA<br />
<strong>1.</strong> <strong>Deissi</strong> <strong>ed</strong> <strong>elementi</strong> <strong>indicali</strong><br />
<strong>Nel</strong> <strong>nostro</strong> <strong>percorso</strong> pec<strong>ed</strong>ente, abbiamo separato il livello della semantica composizionale da<br />
quello della pragmatica, rifacendoci ad una distinzione introdotta originariamente dal Charles<br />
Morris. Secondo questo punto di vista,<br />
<strong>1.</strong> la SINTASSI si occupa dei segni in quanto tali e della loro combinazione (prescindendo dalla loro<br />
interpretazione e uso)<br />
2. la SEMANTICA si occupa del significato dei segni<br />
3. la PRAGMATICA si occupa degli impieghi concreti dei segni, dei loro usi <strong>ed</strong> effetti entro il<br />
comportamento in cui ricorrono.<br />
Secondo questa distinzione, il livello della semantica determina il “significato letterale” degli<br />
enunciati (le condizioni di verità); il lovello della pragmatica, invece, ne determina il “significato<br />
comunicativo” in un senso più ampio, che non può prescindere dall’uso dell’enunciato in uno<br />
scambio comunicativo che coinvolge agenti razionali. La distinzione suggerisce che sia sempre<br />
possibile determinare il “significato letterale” di un enunciato prescindendo dalla situazione<br />
comunicativa. Consideriamo però un enunciato come (1):<br />
(1) Io insegno linguistica generale.<br />
Quali sono le condizioni di verità espresse da (1)?<br />
La risposta è che (1) non esprime condizioni di verità determinate se lo interpretiamo al di fuori di<br />
una situazione comunicativa. Ciò che salta agli occhi in modo evidente è il pronome di prima<br />
persona io: questo pronome non si riferisce in modo rigido ad un singolo individuo (come fanno,<br />
invece, i nomi propri), ma denota individui diversi in situazioni comunicative diverse. Il pronome io<br />
esprime un’unica informazione: esso denota il parlante (o, in senso più ampio, “autore”)<br />
dell’enunciazione; se enunciato dalla sottoscritta, (1) esprime le condizioni di verità equivalenti a<br />
“Valentina Bianchi insegna linguistica generale”. Ma l’identità del parlante può essere determinata<br />
solo ENTRO UNO SPECIFICO CONTESTO COMUNICATIVO. Si comporta analogamente il pronome di<br />
seconda persona:<br />
(2) Tu studi linguistica generale.<br />
In questo caso, il pronome si riferisce all’interlocutore al quale è rivolta l’enunciazione. Si tratta in<br />
genere di un essere razionale – in grado di ascoltare e di rispondere – ma in alcuni casi limite, come<br />
nei testi letterari, non è così:<br />
(3) Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai, / silenziosa luna?<br />
(G. Leopardi, Canto di un pastore errante, 1-2)<br />
(4) ut te postremo donarem munere mortis/ et mutam nequiquam adloquerer cinerem.<br />
(Catullo, Carmina 101, 3-4)<br />
I pronomi plurali noi e voi si riferiscono a pluralità di individui che includono, rispettivamente, il<br />
parlante (con o senza l’interlocutore) e l’interlocutore (senza il parlante).<br />
Questi <strong>elementi</strong> vengono chiamati deittici o <strong>indicali</strong>:<br />
1
Gli <strong>elementi</strong> INDICALI possono essere interpretati soltanto attraverso il riferimento al CONTESTO<br />
COMUNICATIVO, che comprende almeno un parlante/autore (e uno o più interlocutori).<br />
Osservando meglio, ci accorgiamo che (1) contiene un altro elemento deittico:<br />
(1) Io insegno linguistica generale.<br />
Si confronti (1) con (5):<br />
(5) Io insegnavo linguistica generale.<br />
Abbiamo già visto (dispensa_morfologia) che il tempo è una delle categorie flessive inerenti del<br />
verbo. In (5), l’informazione temporale 1 è espressa dal suffisso imperfettivo –(a)v- ; in (1), il tempo<br />
presente invece non è marcato da alcun morfema esplicito (esponenza zero).<br />
La dimensione temporale può essere efficacemente rappresentata come una retta orientata, sulla<br />
quale ciascun punto rappresenta un istante temporale (t, t’, t’’...) 2 e la prec<strong>ed</strong>enza geometrica<br />
rappresenta la prec<strong>ed</strong>enza temporale:<br />
t tʹ′ tʹ′ʹ′ tʹ′ʹ′ʹ′ …<br />
Possiamo quindi definire il passato di un qualsiasi istante, ad es. tʹ′ʹ′, come l’insieme degli istanti che<br />
prec<strong>ed</strong>ono tʹ′ʹ′, e il futuro di tʹ′ʹ′ come l’insieme degli istanti che tʹ′ʹ′ prec<strong>ed</strong>e; il presente indica<br />
(approssimativamente) sovrapposizione con l’istante tʹ′ʹ′.<br />
Ma queste nozioni rimandano ad un istante arbitrario sull’asse del tempo; il presente e il passato in<br />
(1) e (2), invece, rimandano ad un “punto di origine” ben preciso, che è, molto semplicemente, il<br />
MOMENTO DELL’ENUNCIAZIONE (ME). (1) indica che l’insegnare linguistica generale si sovrappone<br />
temporalmente al momento in cui l’enunciato viene emesso, mentre nel caso di (2), lo stesso evento<br />
è collocato nel passato rispetto al momento di enunciazione. Gli avverbi deittici ora e adesso si<br />
riferiscono esplicitamente ad ME; l’avverbio ieri indica un intervallo temporale delimitato che è<br />
situato interamente nel passato rispetto ad ME:<br />
(6) Io ora insegno linguistica generale.<br />
(7) Io ieri insegnavo linguistica generale.<br />
Anche il tempo, quindi, è una categoria deittica come la persona grammaticale, che si ancora ad una<br />
coordinata del contesto comunicativo:<br />
Il CONTESTO COMUNICATIVO comprende almeno un parlante/autore (e uno o più interlocutori) e un<br />
comento di enunciazione.<br />
Natutralmente esistono anche avverbi e modificatori deittici di tipo spaziale, come qui, questo (che<br />
indivano prossimità spaziale al parlante) e là, quello (che indicano distanziamento spaziale).<br />
Tuttavia, l’informazione spaziale non è sempre pertinente per qualsiasi tipo di enunciato; ad es, le<br />
condizioni di verità di un enunciato come Valentina è italiana non fanno riferimento ad una<br />
1 Questa è una semplificazione, ma sufficiente per i nostri scopi introduttivi.<br />
2 Questa rappresentazione del tempo come una successione di istanti discreti, anziché come una<br />
dimensione continua, è una semplificazione sufficiente per i nostri scopi introduttivi.<br />
2
collocazione nello spazio. Al contrario, la categoria del tempo è inerente a qualsiasi enunciato nella<br />
stragrande maggioranza de (o forse tutte) le lingue naturali (benché in alcune lingue non sia<br />
espressa tramite morfologia flessiva: cf. dispensa_morfologia). E’ per questo motivo che la testa di<br />
Tempo viene assunta come l’elemento portante che proietta la categoria dell’enunciato (=TP), cfr.<br />
Sintassi.<br />
Si noti che il sistema di riferimento che ne risulta non ha un punto di origine fisso (al contrario di<br />
sistemi di riferimento come la numerazione degli anni rispetto alla nascita di Cristo, o alla<br />
fondazione di Roma): per ciascuna enunciazione, il punto di origine è unico <strong>ed</strong> è fissato dal<br />
contesto, ma esso varia da una enunciazione all’altra.<br />
A prima vista, questo sembra implicare che non è possibile avere una localizzazione temporale<br />
assoluta, indipendente dal contesto. In realtà è possibile esprimere linguisticamente una<br />
localizzazione assoluta , ad esempio attraverso la datazione esplicita:<br />
(8) Morte di Napoleone: 5 maggio 182<strong>1.</strong><br />
Ma il punto è che un gran numero di enunciati delle lingue naturali fa a meno di una localizzazione<br />
temporale assoluta, e si limita a collocare l’evento o stato di cose descritto nel passato, presente o<br />
futuro del ME.<br />
In conclusione, il contesto di enunciazione costituisce il centro di un articolato sistema di<br />
riferimento che, pur non avendo coordinate fisse, sembra essere del tutto imprescindibile: questo è<br />
uno degli aspetti più interessanti del linguaggio dal punto di vista cognitivo.<br />
2. Gli atti linguistici<br />
Oltre all’ancoraggio deitratti deittici, il contesto comunicativo svolge un ruolo ben più ampio nel<br />
processo di interpretazione.<br />
Abbiamo riflettuto (dispensa_semantica, § 3.2) sul fatto che un enunciato come (1) può avere<br />
svariati « significati pratici » in contesti comunicativi diversi, tutti basati su uno stesso « significato<br />
letterale » :<br />
(9) La birra è finita.<br />
Veniamo ora ad occuparci più da vicino dell’uso delle espressioni linguistiche entro un contesto<br />
comunicativo.<br />
Come punto di partenza, adottiamo una ulteriore distinzione proposta da John Langshaw Austin<br />
(1955/62) “How to do things with words”: parlare è un tipo di azione, è uno dei modi in cui<br />
modifichiamo il mondo, cercando di ottenere degli effetti. Una enunciazione da parte di un parlante<br />
comporta tre atti linguistici distinti:<br />
– ATTO LOCUTIVO: l’emissione di una espressione linguistica<br />
– ATTO ILLOCUTIVO: il tipo di azione che il parlante intende compiere emettendo un’espressione<br />
(ordinare, chi<strong>ed</strong>ere, congetturare, …): questo atto è sotto il controllo del parlante<br />
– ATTO PERLOCUTIVO: gli effetti prodotti sull’interlocutore, sia intenzionali che non (es.<br />
convincere, spaventare...); essi non sono sotto il controllo del parlante.<br />
<strong>Nel</strong> <strong>nostro</strong> esempio prec<strong>ed</strong>ente, l’atto locutivo consiste nell’enunciazione dell’espressione (9).<br />
Come abbiamo visto, l’atto illocutivo associato può essere di vari tipi: una constatazione, un<br />
avvertimento, o una risposta negativa ad una richiesta di una birra. Anche gli effetti perlocutivi<br />
possono essere diversi nei vari contesti: l’interlocutore può limitarsi a commentare “peccato”<br />
oppure può uscire per andare a comprare della birra.<br />
3
Malgrado questa variazione, un aspetto sembra essere grammaticale nella forma dell’enunciato,<br />
cioé la cosiddetta FORZA ILLOCUTIVA. Un enunciato dichiarativo come (9) è primariamente una<br />
descrizione di uno stato di cose. Un enunciato interrogativo come (10) è invece primariamente una<br />
richiesta di informazione all’interlocutore – sebbene possa anche esprimere un atto illocutivo di<br />
richiesta di una birra.<br />
(10) La birra è finita?<br />
Infine, un enunciato imperativo come (11) è primariamente un ordine – sebbene possa piuttosto<br />
esprimere, in determinati contesti, un’offerta.<br />
(11) Prendi una birra!<br />
La forza illocutiva (DICHIARATIVA, INTERROGATIVA, IMPERATIVA) è quindi una PROPRIETÀ<br />
GRAMMATICALE degli enunciati, che non ha però una relazione diretta e univoca con un solo tipo di<br />
atto illocutivo. John Searle (1969) parla a questo proposito di ATTI LINGUISTICI INDIRETTI. Ecco un<br />
esempio molto chiaro, in cui la forza illocutiva dichiarativa corrisponde ad un atto illocutivo di<br />
ordine (vattene!):<br />
(12) Quella è la porta.<br />
<strong>1.</strong><strong>1.</strong> Gli enunciati performativi<br />
Un caso particolare è quello degli ENUNCIATI PERFORMATIVI:<br />
(13) Prometto di aiutarti.<br />
(14) Vi dichiaro marito e moglie. (detto dal sindaco)<br />
(15) Sei licenziato. (detto dal capo-ufficio all’impiegato)<br />
(16) Rigore! (detto dall’arbitro ai giocatori in campo)<br />
Questi enunciati non descrivono uno stato di cose, e di conseguenza non sono né veri né falsi; al<br />
contrario, la loro enunciazione PONE IN ESSERE uno stato di cose, istituendo una promessa (13), un<br />
vincolo legale di matrimonio (14), sciogliendo un rapporto lavorativo (15), ecc.<br />
L’utilizzo degli enunciati performativi è convenzionale, cioé è soggetto a delle CONDIZIONI DI<br />
APPROPRIATEZZA (felicity conditions) che devono essere condivise da tutti i partecipanti. Ad<br />
esempio, (14) richi<strong>ed</strong>e che il parlante sia rivestito dell’autorità legale necessaria per istituire un<br />
vincolo matrimoniale; (15) richi<strong>ed</strong>e che il parlante rivesta uno specifico ruolo gerarchico rispetto<br />
all’interlocutore, ecc. La differenza fra gli enunciati performativi (13)-(16) e un enunciato<br />
descrittivo come (17) è evidente: l’enunciazione di (17), al contrario di (13), non istituisce alcun<br />
impegno.<br />
(17) Gianni ha promesso di aiutarti.<br />
3. Il principio di cooperazione<br />
Gli atti linguistici vengono compiuti entro un contesto comunicativo che consiste, essenzialmente,<br />
in uno scambio fra interlocutori. In alcuni casi – come ora, mentre scrivo questa dispensa – lo<br />
scambio è rinviato in quanto l’interlocutore (il lettore) non è presente, ma leggerà il mio testo in un<br />
momento successivo. Tuttavia, il funzionamento ordinario del linguaggio ha come caso centrale la<br />
conversazione, cioé lo scambio diretto fra due o più interlocutori.<br />
4
Il filosofo inglese Paul Grice ha sviluppato la concezione della conversazione come ATTIVITÀ<br />
RAZIONALE E COOPERATIVA, ossia una attività che coinvolge agenti razionali che cooperano per<br />
perseguire uno scopo comune. Questa concezione è espressa nel principio di cooperazione:<br />
Principio di cooperazione di Grice<br />
Fa’ in modo che il tuo contributo alla conversazione si conformi a ciò che è richiesto, allo<br />
stadio in cui occorre, dallo scopo o direzione condivisa dello scambio linguistico in cui sei<br />
coinvolto. (Grice 1967a/1989, 26; trad. mia)<br />
Il principio viene articolato nelle seguenti MASSIME CONVERSAZIONALI:<br />
QUANTITÀ: Fa’ in modo che il tuo contributo sia tanto informativo quanto è richiesto (dagli scopi<br />
della conversazione). Non rendere il tuo contributo più informativo di quanto è richiesto.<br />
QUALITÀ: cerca di dare un contributo che sia vero. (Non dire ciò che cr<strong>ed</strong>i essere falso, o ciò per cui<br />
non hai sufficiente evidenza.)<br />
RELAZIONE: Sii pertinente (rispetto allo scopo o argomento della conversazione).<br />
MODALITÀ: Sii chiaro e ordinato; evita oscurità e ambiguità.<br />
Queste massime regolano il comportamento degli interlocutori impegnati in una conversazione in<br />
modo CONDIVISO: ciascuno, cioé, si impegna a rispettare il principio di cooperazione e presuppone<br />
che anche gli altri lo facciano. In effetti, se scopro che nel corso di una conversazione un<br />
interlocutore non mi ha rivelato una parte di informazione di cui era a conoscenza, e che era<br />
pertinente, ho ragione di protestare, poiché è stata violata la massima della quantità. Analogamente,<br />
se scopro che il mio interlocutore ha mentito, cioé mi ha trasmesso come vere informazioni che<br />
sapeva essere false, ho ragione di protestare in quanto è stata violata la massima della qualità.<br />
Gli effetti delle massime di Grice si esplicano in particolare nel fenomeno dell’implicatura, di cui<br />
qui accenneremo un esempio. Supponiamo che un parlante asserisca:<br />
(18) [Obama ha visitato la Francia] o [(ha visitato) la Germania].<br />
Come abbiamo visto (dispensa_semantica, §6), le condizioni di verità della disgiunzione logica<br />
sono inclusive: la disgiunzione è vera quando almeno uno dei due disgiunti è vero, oppure entrambi<br />
sono veri, come mostra la tavola di verità della disgiunzione, riprodotta per comodità: 3<br />
p<br />
[Obama ha visitato la<br />
Francia]<br />
q<br />
[Obama ha visitato la<br />
Germania]<br />
V V V<br />
V F V<br />
F V V<br />
F F F<br />
p∨q<br />
3 La prima riga corrisponde alle circostanze ‘inclusive’ in cui sia p che q sono vere, mentre la<br />
seconda e terza riga corrispondono alle circostanze esclusive, in cui solo uno dei disgiunti è vero.<br />
5
Tuttavia, se un parlante asserisce (18), gli ascoltatori normalmente ne inferiscono che Obama non<br />
ha visitato sia la Francia che la Germania. In altri termini, la disgiunzione si considera vera nelle<br />
circostanze che corrispondono alla seconda e alla terza riga della tavola di verità, ma non nelle<br />
circostanze che corrispondono alla prima riga. Perché c’è questa differenza fra le proprietà logiche<br />
della disgiunzione e l’uso che ne facciamo nel linguaggio ordinario?<br />
L’osservazione cruciale è che le circostanze corrispondenti alla prima riga sono anche le uniche<br />
nelle quali risulta vera la CONGIUNZIONE dei due enunciati (18’), come si v<strong>ed</strong>e dalla tavola di verità<br />
della congiunzione, qui riprodotta per comodità:<br />
(18’) [Obama ha visitato la Francia] e [(ha visitato) la Germania]<br />
P<br />
[Obama ha visitato la<br />
Francia]<br />
Q<br />
[Obama ha visitato<br />
la Germania]<br />
V V V<br />
V F F<br />
F V F<br />
F F F<br />
Tavola 2: Congiunzione<br />
p&q<br />
In altri termini, l’interpretazione esclusiva della disgiunzione corrisponde al fatto che la<br />
proposizione espressa da (18) comprende le circostanze che rendono vera la disgiunzione logica dei<br />
due enunciati semplici MENO le circostanze ‘inclusive’ che rendono vera la loro congiunzione (18’).<br />
Questo deriva da una implicatura basata sulla massima di quantità: le circostanze che verificano la<br />
congiunzione p&q (prima riga della tav. 2) sono un sotto-insieme delle circostanze che soddisfano<br />
la disgiunzione p∨q (prima, seconda e terza riga della tav. 1). Le condizioni di verità della<br />
congiunzione sono più restrittive, e dunque la congiunzione è PIÙ INFORMATIVA della disgiunzione.<br />
L’ascoltatore che sente enunciare la disgiunzione (18) ragiona quindi in questo modo: se il parlante<br />
avesse avuto informazioni che lo autorizzavano ad asserire la congiunzione, per la massima della<br />
quantità avrebbe dovuto farlo (asserendo (18’): Obama ha visitato la Francia e la Germania). Se<br />
dunque il parlante non ha asserito la congiunzione, è perché non può asserirla; se non può asserirla,<br />
è perché, a sua conoscenza, le condizioni di verità della congiunzione non sono soddisfatte. In<br />
questo modo, le circostanze ‘inclusive’ (quelle che verificano sia la disgiunzione che la<br />
congiunzione) vengono escluse per una implicatura basata sulla massima di quantità, benché siano<br />
compatibili con la semantica della disgiunzione che, dal punto di vista strettamente logico, è<br />
inclusiva.<br />
Un altro esempio è l’interpretazione della congiunzione. Abbiamo già notato (dispensa_semantica,<br />
§6) che la congiunzione è, dal punto di vista logico, un connettivo SIMMETRICO: scambiando<br />
l’ordine di p e q , il valore di verità dell’intera congiunzione non cambia:<br />
6
P<br />
[Obama ha visitato la<br />
Francia]<br />
Q<br />
[Obama ha visitato<br />
la Germania]<br />
p&q q&p<br />
V V V V<br />
V F F F<br />
F V F F<br />
F F F F<br />
Tuttavia, nelle lingue naturali la congiunzione spesso sembra avere un comportamento asimmetrico,<br />
cf. gli esempi (36)-(37) della dispensa_semantica, riprodotti qui:<br />
(19) [Tebaldo uccide Mercuzio] e [Romeo uccide Tebaldo].<br />
(20) ! [Romeo uccide Tebaldo] e [Tebaldo uccide Mercuzio].<br />
In (19), la successione dei congiunti viene interpretata come “parallela” alla successione<br />
cronologica degli eventi – di qui la stranezza di (20). Questa interpretazione può essere ricollegata<br />
alla massima della modalità, che richi<strong>ed</strong>e al parlante di essere ordinato nell’esposizione: in base a<br />
questa massima, la successione dei congiunti viene interpretata (per default) come successione<br />
temporale degli eventi corrispondenti; talvolta, alla successione temporale viene anche associata<br />
una interpretazione causale. Tuttavia, la massima non si applica in modo tassativo:<br />
(21) Lisa Simpson: Bart, Fluffy di<strong>ed</strong>. Dad buri<strong>ed</strong> him in the backyard, but not in<br />
that order. (ricerca Google per “not in that order”)<br />
Questo esempio mostra che gli effetti delle massime di Grice non hanno la rigidità tipica delle vere<br />
e proprie relazioni logiche, come l’implicazione: per questo si parla piuttosto di IMPLICATURE.<br />
Le implicature associate all’uso della disgiunzione e della congiunzione sono in qualche misura<br />
convenzionalizzate, poiché sorgono tendenzialmente in un ampio numero di contesti comunicativi.<br />
In altri casi, invece, le implicature sorgono in virtù di una VIOLAZIONE ESPLICITA di una massima<br />
conversazionale, che il parlante compie sapendo che essa verrà riconosciuta dall’interlocutore. La<br />
violazione consapevole di una massima, una volta rilevata, spinge l’interlocutore a ricavare un<br />
‘sovrappiù di significato’ che giustifichi il comportamento APPARENTEMENTE NON COOPERATIVO del<br />
parlante. Si consideri uno scambio come (22):<br />
(22) A: Sai niente del nuovo direttore?<br />
B: Oh, ho proprio voglia di un caffè!<br />
Il parlante B viola in maniera evidente la massima della pertinenza, in quanto la sua replica non<br />
risponde in alcun modo alla domanda posta da A. (Ritorneremo più avanti sugli scambi domandarisposta.)<br />
Questa violazione viene interpretata dal parlante A come una indicazione del fatto che B<br />
non può o non vuole rispondere alla sua domanda, e che non è il caso di insistere sull’argomento.<br />
L’implicatura, in questo caso, non è associata convenzionalmente all’uso di un particolare elemento<br />
linguistico (come la disgiunzione ola congiunzione), ma sorge dal meccanismo della conversazione.<br />
7
In sintesi:<br />
– Il principio di cooperazione caratterizza la conversazione come attività cooperativa fra agenti<br />
razionali<br />
– Il principio si articola in quattro massime (quantità, qualità, relazione e modalità)<br />
– Le massime possono dare luogo ad implicature, in alcuni casi associate convenzionalmente ad un<br />
certo elemento lessicale (ad es. congiunzone, disgiunzione), in altri casi basate sul<br />
riconoscimento di una violazione esplicita di una massima.<br />
4. Modellizzare la conversazione<br />
<strong>Nel</strong> fenomeno della deissi (§1), il contesto comunicativo contribuisce direttamente a determinare le<br />
condizioni di verità espresse da un enunciato; tuttavia, dal punto di vista del suo contenuto, esso è<br />
riducibile semplicemente ad una sequenza di coordinate o “punti di ancoraggio” (individui, istante<br />
temporale). <strong>Nel</strong>la concezione di Grice, invece, il contesto comunicativo entra in gioco come<br />
qualcosa di intrinsecamente più ricco, che include il parlante e gli interlocutori non solo come entità<br />
designabili, ma in quanto agenti razionali, dotati di cr<strong>ed</strong>enze, di scopi e di intenzioni comunicative.<br />
Se la conversazione è una attività razionale e cooperativa, possiamo assimilarla metaforicamente ad<br />
un gioco strutturato (game), come il calcio, la pallavolo, o perfino il domino o gli scacchi. 4 Una<br />
importante differenza è che questi giochi hanno praticamente tutti una natura intrinsecamente<br />
competitiva, mentre questo non vale per la conversazione (che può essere conflittuale – come in un<br />
litigio – ma non è inerentemente competitiva). Tuttavia, possiamo individuare alcuni parallelismi<br />
attraverso le seguenti domande:<br />
– quale è il terreno di gioco?<br />
– quali sono gli obiettivi da raggiungere?<br />
– quali sono le regole del gioco? (Quali sono, di conseguenza, le mosse possibili?)<br />
4.<strong>1.</strong> Il terreno di gioco: il common ground<br />
Così come un gioco si svolge su un campo da gioco o una scacchiera – in uno spazio strutturato –<br />
anche la conversazione ha un ‘terreno di gioco’: il cosiddetto COMMON GROUND (CG, ‘terreno<br />
comune’). Si tratta di un insieme di informazioni che i partecipanti alla conversazione condividono<br />
già nel momento in cui la conversazione ha inizio.<br />
Le informazioni condivise sono di vario tipo. In parte, riguardano la situazione comunicativa stessa<br />
(il luogo e il momento in cui la conversazione si svolge; la lingua in cui la comversazione si svolge;<br />
ciò che sta avvenendo nell’ambiente circostante, ecc.). Se i partecipanti si conoscono già,<br />
condividono anche un certo insieme di informazioni sull’identità e la storia personale di ciascuno:<br />
queste informazioni possono essere superficiali o via via più ricche, a seconda della natura del<br />
rapporto personale. E’ un’esperienza comune il fatto che, quando ci capita di inserirci come nuovo<br />
membro in un gruppo già affiatato, proviamo una sensazione di disagio, in quanto talvolta non<br />
riusciamo ad afferrare una parte della conversazione – proprio perché ci manca una parte del<br />
common ground. (Naturalmente, i membri del gruppo sono consapevoli di questa asimmetria e<br />
possono svolgere la conversazione in modo più o meno ‘esclusivo’!). Anche laddove i partecipanti<br />
non si conoscono personalmente, spesso possono ricavare un common ground a partire dalla<br />
4 Cf. David Lewis, Scorekeeping in a language game, Journal of Philosophical Logic 8 (1979), pp.<br />
339-359.<br />
8
situazione comunicativa: se mi rivolgo allo sportello di una biglietteria per comprare il biglietto del<br />
treno, i ruoli relativi (di addetto allo sportello e di acquirente) ci permettono di identificare un<br />
insieme pertinente di informazioni condivise (ad es. l’orario dei treni, la stazione di partenza ecc.)<br />
Vi sono poi informazioni che sono condivise in base alla conoscenza generale del mondo, con<br />
aspetti molto generali (ad es. la differenza fra notte e giorno) e altre assai più specifiche, che<br />
possono essere legate ad una specifica cultura (ad es. le vacanze di Natale e di Pasqua) o addirittura<br />
ad un tipo specifico di situazione comunicativa (ad es. una lezione di cucina).<br />
Il common ground di una conversazione è un insieme di informazioni condivise dai partecipanti<br />
che sono PERTINENTI PER GLI SCOPI di quella specifica conversazione. E’ quindi un sottoinsieme<br />
delle informazioni che ciascun singolo partecipante ha a disposizione.<br />
Ma che cosa significa assumere che le informazioni del common ground sono “condivise da tutti i<br />
partecipanti”?<br />
Le informazioni contenute nel common ground sono quelle che tutti i partecipanti ACCETTANO<br />
COME VERE nella circostanza della conversazione: 5 ossia, ciascuno si comporta come se queste<br />
informazioni fossero vere e presuppone che anche gli altri partecipanti facciano altrettanto.<br />
Notate che questo non richi<strong>ed</strong>e che tutti i partecipanti conoscano effettivamente la verità delle<br />
informazioni, e neppure che le cr<strong>ed</strong>ano vere. In effetti, è del tutto possibile che uno o più<br />
partecipanti fingano di accettare come vere delle informazioni che, in cuor loro, sanno essere false,<br />
per gli scopi di una specifica conversazione (ad esempio, quando si vuole nascondere ad un<br />
bambino un fatto doloroso).<br />
Tecnicamente, il common ground è caratterizzato come un INSIEME DI PROPOSIZIONI, dove ogni<br />
proposizione è un insieme di circostanze possibili (cf. dispensa_semantica, §6).<br />
Le proposizioni del common ground sono PRESUPPOSTE: i partecipanti si comportano come se<br />
queste proposizioni fossero vere nella circostanza attuale della conversazione (ovvero, come se le<br />
condizioni di verità espresse da ciascuna proposizione fossero soddisfatte nella circostanza attuale).<br />
A questo punto, possiamo riconsiderare una delle relazioni fra enunciati che avevamo lasciato in<br />
sospeso nella dispensa_semantica, cioé la presupposizione (cf. dispensa_semantica, esempi (11)-<br />
(15), ripetuti qui):<br />
(23) L’attuale re di Francia è calvo.<br />
(24) L’attuale re di Francia non è calvo.<br />
Sia (23) che (24) presuppongono che la Francia abbia attualmente un monarca. Di conseguenza,<br />
(23) o (24) possono essere ENUNCIATE APPROPRIATAMENTE nel corso di una conversazione solo se<br />
questa informazione – l’esistenza di un monarca nella Francia attuale – fa parte del common<br />
ground. Poiché la Francia attualmente è una repubblica, un common ground ordinario esclude<br />
questa presupposizione: si parla in questo caso di FALLIMENTO DI PRESUPPOSIZIONE.<br />
Può accadere talora che le presupposizioni dei partecipanti non siano perfettamente allineate, senza<br />
che i partecipanti stessi se ne rendano conto: si ha in questo caso un COMMON GROUND DIFETTIVO.<br />
Quando questo emerge, ad esempio perché l’enunciazione di un parlante comporta un fallimento di<br />
presupposizione, avviene in genere un meccanismo di “riparazione” con cui i partecipanti cercano<br />
di riallineare le informazioni nel common ground.<br />
5 Questa caratterizzazione è dovuta al filosofo Robert Stalnaker.<br />
9
4.2. Gli obiettivi del gioco<br />
Come abbiamo visto (§2), vi è una grande varietà di atti illocutivi che possono essere compiuti dai<br />
partecipanti. Ila parlare è un tipo di azione, è un modo per modificare il mondo intorno a noi. Per il<br />
<strong>nostro</strong> discorso introduttivo, ci limiteremo a considerare quelli che si possono definire OBIETTIVI<br />
INFORMATIVI: il tentativo di ottenere, attraverso la conversazione, uno scambio di informazioni<br />
fattuali.<br />
<strong>Nel</strong>la pratica effettiva delle conversazioni, lo scambio di informazioni fattuali è molto spesso<br />
mescolato con l’espressione e la condivisione di opinioni, cioé di valutazioni degli stati di cose: ad<br />
es. “E’ grave che l’Italia sia ancora senza un nuovo governo” (scritto alle ore 13:31 del 27 marzo<br />
2013) rispetto a “L’Italia è senza un nuovo governo” (pura informazione fattuale) 6 . Faremo<br />
astrazione da questo aspetto, che è troppo complesso per un discorso introduttivo; immaginiamo<br />
delle conversazioni ‘anonime’, come una richiesta di indicazioni stradali ad un passante.<br />
Come possiamo caratterizzare meglio gli obiettivi informativi?<br />
L’idea fondamentale, dovuta di nuovo a Robert Stalnaker, è la seguente:<br />
Obiettivi informativi: aumentare le informazioni significa RESTRINGERE LO SPAZIO DELLE<br />
POSSIBILITÀ.<br />
Per capire meglio questa idea, ricordiamo che il common ground definisce uno stato di<br />
informazione condiviso, che consiste in un insieme di proposizioni. Immaginiamo che il<br />
common ground di una conversazione comprenda soltanto le due proposizioni p1 e p2, che<br />
espliciteremo informalmente: 7<br />
p<strong>1.</strong> Valentina Bianchi è italiana.<br />
p2. Valentina Bianchi insegna linguistica generale.<br />
Ciascuna proposizione comprende un insieme molto vasto di mondi possibili: ad es., p1<br />
comprende circostanze in cui VB è italiana ma lavora come architetto, fa la casalinga, ecc;<br />
viceversa, p2 comprende circostanze in cui VB insegna linguistica generale ma risi<strong>ed</strong>e<br />
all’estero. Lo stato informazionale caratterizzato dal common ground {p1, p2} corrisponde<br />
alla congiunzione, cioé all’intersezione delle due proposizioni:<br />
W<br />
p1 p2<br />
SI<br />
6<br />
Purché non intervengani altri segnali linguistici, al livello dell’intonazione (fonologia prosodica):<br />
“L’Italia è ancora senza un governo!!”.<br />
7<br />
Ma si v<strong>ed</strong>a dispensa_semantica per una formulazione più precisa delle condizioni di verità.<br />
Ad es., p1 caratterizza l’insieme delle circostanze in cui l’individuo denotato dal nome proprio<br />
“Valentina Bianchi” appartiene all’insieme denotato dall’aggettivo “italiano”.<br />
10
Generalizzando:<br />
Lo stato informazionale definito dalle proposizioni del common ground è l’insieme dei<br />
mondi possibili in cui sono verificate le condizioni di verità espresse da tutte le proposizioni.<br />
Lo chiameremo INSIEME-CONTESTO.<br />
Intuitivamente, l’insieme-contesto comprende tutte le circostanze possibili che sono compatibili con<br />
le informazioni che gli interlocutori condividono (per gli scopi di una specifica conversazione).<br />
Ciascuna circostanza corrisponde a uno dei modi in cui il mondo potrebbe essere. Gli obiettivi<br />
informativi tendono a distinguere fra queste circostanze possibili, in modo da escluderne alcune e<br />
limitare così lo spazio delle possibilità.<br />
Naturalmente, non prenderemo in considerazione dei common ground assurdi, che comtengono cioé<br />
due proposizioni che sono in contraddizione fra loro. Un common ground assurdo caratterizza un<br />
insieme-contesto vuoto, poiché nessuna circostanza può appartenere contemporaneamente a due<br />
proposizioni contraddittorie.<br />
4.3. L’asserzione<br />
Riprendiamo ora il <strong>nostro</strong> semplicissimo common ground {p1, p2}. Supponiamo che, partendo da<br />
questo common ground, un parlante asserisca (25):<br />
(25) Valentina Bianchi è single.<br />
L’atto di asserzione è espresso da un enunciato dichiarativo, come (25), pronunciato con una<br />
intonazione discendente (cfr. invece la domanda: “Valentina Bianchi ha tre figli?”, dove<br />
l’intonazione è ascendente). Non staremo a definire i criteri per identificare l’atto di asserzione,<br />
assumendo che tutti quanti, essendo parlanti competenti, siamo in grado di riconoscerlo.<br />
L’asserzione è una mossa possibile nel gioco della conversazione. Consideriamo prima il suo<br />
effetto, in vista degli obiettivi informativi, e v<strong>ed</strong>remo poi le condizioni a cui è soggetta.<br />
Un effetto imm<strong>ed</strong>iato dell’asserzione è che il parlante SI IMPEGNA PERSONALMENTE riguardo<br />
alla verità dell’enunciato asserito nella circostanza della conversazione.<br />
In effetti, dopo aver asserito (25) il parlante non potrebbe continuare la conversazione<br />
comportandosi come se ritenesse falso che Valentina Bianchi ha tre figli.<br />
Ma l’atto di asserzione ha anche un effetto di portata più ampia, che coinvolge anche gli altri<br />
partecipanti:<br />
L’effetto essenziale dell’asserzione è che il parlante propone agli interlocutori di aggiungere<br />
al common ground la proposizione espressa, rendendola così informazione condivisa da quel<br />
momento in poi.<br />
Questo effetto più generale non è imm<strong>ed</strong>iato: il common ground viene effettivamente aggiornato<br />
soltanto se nessun partecipante si oppone rifiutando l’asserzione. In (26), ad esempio, il parlante B<br />
rifiuta l’asserzione di A, e propone inoltre una asserzione alternativa:<br />
(26) A: Valentina Bianchi è single.<br />
B: Non è vero! Valentina Bianchi è sposata e ha tre figli.<br />
11
Supponiamo invece che nessun interlocutori rifiuti l’asserzione di (25). In questo caso, l’asserzione<br />
ha un effetto di aggiornamento del common ground. Sia p3 la proposizione espressa dall’enunciato<br />
(25): il common ground risultante sarà:<br />
CG= {p1, p2, p3}<br />
Questo implica anche un aggiornamento dell’insieme-contesto, che però va nella direzione opposta:<br />
ricordiamo che quante più proposizioni aggiungiamo, tanto più l’insieme-contesto viene ridotto (per<br />
intersezione). Se l’insieme-contesto di partenza era IC1:<br />
W<br />
L’insieme-contesto risultante dall’effetto dell’asserzione di (25) sarà IC2, l’intersezione dei tre<br />
cerchi nel grafico seguente:<br />
W<br />
p1<br />
p1<br />
IC1<br />
IC2 comprende soltanto circostanze in cui Valentina P3<br />
Bianchi è italiana, insegna linguistica generale,<br />
<strong>ed</strong> è single.<br />
In sintesi:<br />
L’effetto essenziale di una asserzione – se accettata da tutti i partecipanti – è quello di aggiungere<br />
una proposizione al common-ground, e contemporaneamente scartare dall’insieme-contesto tutte<br />
le circostanze che non ne soddisfano le condizioni di verità.<br />
Questa analisi ha due conseguenze importanti:<br />
<strong>1.</strong> L’aumento di informazione corrisponde effettivamente alla restrizione dello spazio logico delle<br />
alternative possibili.<br />
2. Il processo è INCREMENTALE: dopo che l’asserzione (25) ha aggiornato l’insieme contesto,<br />
producendo IC2, l’asserzione successiva viene interpretata in relazione al nuovo IC2 e lo aggiorna<br />
ulteriormente. Questo permette di rendere conto del graduale accumularsi dell’informazione<br />
condivisa nel corso di una conversazione.<br />
12<br />
IC2<br />
p3<br />
p2<br />
p2
A quali condizioni è soggetta la mossa di asserzione? Quali condizioni devono essere soddisfatte<br />
perché un atto di asserzione sia appropriato in un contesto conversazionale?<br />
Come abbiamo già visto (esempi (23)-(24)), vi è una prima CONDIZIONE DI APPROPRIATEZZA:<br />
Condizione di appropriatezza: Perché un enunciato possa essere asserito appropriatamente, tutte le<br />
sue presupposizioni devono essere soddisfatte nel contesto.<br />
Quindi, (23)-(24) possono essere asserite appropriatamente soltanto se in tutti i mondi dell’insiemecontesto,<br />
la Francia ha un monarca.<br />
La seconda condizione è che l’asserzione DEVE ESSERE INFORMATIVA: questo implica che, da un<br />
lato, la proposizione espressa non fa già parte del common ground – se così fosse, l’asserzione non<br />
aggiungerebbe nulla di nuovo – e dall’altro, la proposizione espressa non può essere in<br />
contraddizione con ciò che è già contenuto nel common ground: se così fosse, si arriverebbe ad un<br />
common ground assurdo.<br />
Condizione di informatività: la proposizione espressa comprende almeno alcuni ma non tutti i<br />
mondi dell’insieme-contesto.<br />
La condizione di informatività può essere vista come una espressione in termini formali principio di<br />
cooperazione di Grice: se l’obiettivo della conversazione è aumentare le informazioni condivise,<br />
una mossa cooperativa deve essere informativa.<br />
Notiamo a margine che, in alcuni contesti, un parlante può asserire una proposizione che è in<br />
contraddizione con il common ground (27), o addirittura è inerentemente contraddittoria (28):<br />
(27) (A a B): Tu sei morto.<br />
(28) I am not what I am. (W. Shakespeare, Othello I, i, 66)<br />
Come abbiamo visto, la violazione esplicita del principio di cooperazione (qui, della condizione di<br />
informatività) induce l’interlocutore a ricavare un significato ulteriore, tramite un meccanismo di<br />
implicatura. L’asserzione (27) viene interpretata, con tutta probabilità, come una minaccia. Quanto<br />
all’asserzione di Iago (28), lasciamo il campo ai filosofi e ai critici letterari...<br />
Infine, un ultimo aspetto interessante di questa analisi è l’idea che il common ground viene<br />
aggiornato accumulando non soltanto le informazioni che sono oggetto effettivo dello scambio (ad<br />
es: informazioni riguardo a Valentina Bianchi), ma anche le informazioni che riguardano lo<br />
svolgimento stesso della conversazione. Ad esempio, nello scambio (26) i partecipanti A e B<br />
assumono due posizioni opposte riguardo alla verità della proposizione ‘VB è single’, e se non<br />
giungono ad un accordo, nessuna delle due asserzioni verrà effettivamente aggiunta al common<br />
ground; tuttavia, nel common ground rimarrà l’informazione che ciascuno dei due partecipanti si è<br />
impegnato personalmente riguardo alla verità di una certa proposizione.<br />
4.4. Domande e risposte<br />
<strong>Nel</strong>le conversazioni ordinarie, le asserzioni sono raramente una mossa prodotta spontaneamente da<br />
un parlante. <strong>Nel</strong>la maggioranza dei casi, una asserzione viene fatta in risposta ad una domanda:<br />
(29) A: Che cosa insegna Valentina Bianchi?<br />
B: (Valentina Bianchi) insegna linguistica generale.<br />
13
(30) A: Che fai di bello oggi? B: Vado al mare.<br />
All’interno del gioco conversazionale, la domanda costituisce una “mossa di avvio”, nel senso che<br />
introduce la richiesta di una risposta. Se l’interlocutore non replica con una asserzione – al limite<br />
anche un’asserzione non informativa come: Non so –, ma ignora semplicemente la domanda, questo<br />
costituisce chiaramente un comportamento non cooperativo.<br />
D’altra parte, l’asserzione costituisce la “mossa di reazione” attesa alla domanda. Per questo,<br />
nell’analisi della conversazione si fa riferimento alle COPPIE DOMANDA-RISPOSTA. Le strategie<br />
conversazionali possono essere più complesse – ad esempio, si può rispondere ad una domanda con<br />
un’altra domanda:<br />
(31) A: Che cosa possiamo cucinare per cena? B: C’è ancora del pesce?<br />
ma è intuitivamente chiaro che la domanda di B fa parte di una strategia per cercare di rispondere<br />
alla domanda di A.<br />
Per modellizzare la dinamica domanda-risposta, dobbiamo prima di tutto definire quale è il<br />
significato di una domanda. Finora ci siamo occupati soltanto di enunciati dichiarativi, e abbiamo<br />
assunto che essi esprimano una proposizione, cioé un sottoinsieme di circostanze possibili:<br />
(25) Valentina Bianchi è single.<br />
Consideriamo la corrispondente frase interrogativa:<br />
W<br />
(32) Valentina Bianchi è single?<br />
Intuitivamente, la domanda richi<strong>ed</strong>e all’interlocutore di scegliere uno dei due disgiunti di (33):<br />
(33) [Valentina Bianchi è single] oppure [Valentina Bianchi non è single].<br />
Possiamo quindi rappresentare l’interrogativa sì/no come una PARTIZIONE dell’insieme delle<br />
circostanze possibili: 8<br />
W<br />
VB è single<br />
VB è single VB non è single<br />
8 Per semplicità, ignoreremo le circostanze possibili in cui Valentina Bianchi non esiste ;-)<br />
14
Consideriamo ora il caso un po’ più complesso delle INTERROGATIVE PARZIALI, cioé quelle che<br />
contengono un sintagma interrogativo spostato all’inizio della frase (cf. Sintassi):<br />
(34) A: Chi insegna linguistica generale?<br />
Per semplicità, immaginiamo che il <strong>nostro</strong> universo di discorso comprenda soltanto due individui:<br />
Valentina Bianchi e Luigi Rizzi. Questi sostituiscono il pronome interrogativo chi nelle possibili<br />
risposte:<br />
(34) B1: Luigi Rizzi e Valentina Bianchi.<br />
B2: Valentina Bianchi.<br />
B3: Luigi Rizzi.<br />
B4: Nessuno dei due.<br />
In questo caso, dunque, l’interlocutore deve scegliere fra questi quattro disgiunti:<br />
(35) [VB insegna linguistica generale & LR insegna linguistica generale] oppure<br />
[VB insegna linguistica generale & LR non insegna linguistica generale] oppure<br />
[LR insegna linguistica generale & VB non insegna linguistica generale] oppure<br />
[VB non insegna linguistica generale & LR non insegna linguistica generale]<br />
(34A) determina dunque la seguente partizione nell’insieme delle circostanze possibili:<br />
VB insegna & VB non insegna &<br />
LR insegna LR insegna<br />
VB insegna & VB non insegna &<br />
LR non insegna LR non insegna<br />
Ciascuna delle risposte (34B1-B4) corrisponde univocamente ad una specifica “cella” della<br />
partizione, dove ogni “cella” (ricordiamolo!) è un insieme di circostanze possibili.<br />
Riassumendo:<br />
Una frase interrogativa determina una partizione nell’insieme delle circostanze possibili. Ciascuna<br />
“cella” della partizione corrisponde ad una possibile risposta.<br />
La domanda è una mossa conversazionale (un atto illocutivo, nella terminologia del §2) espressa<br />
da una frase interrogativa, con la quale il parlante chi<strong>ed</strong>e all’interlocutore di identificare, se gli è<br />
possibile, una delle celle della partizione.<br />
In generale, è sempre ammessa anche la risposta non informativa (Non so), che indica che<br />
l’interlocutore non è in grado di rispondere alla domanda.<br />
15<br />
W
Si noti che le risposte in (34) sono interpretate come RISPOSTE ESAUSTIVE, che identificano una sola<br />
cella della partizione. Talvolta, però, l’interlocutore può fornire una RISPOSTA PARZIALE alla<br />
domanda, ad es.:<br />
(34) A: Chi insegna linguistica generale?<br />
B5: Luigi Rizzi sì, la insegna.<br />
La particolare forma della risposta (B5) – con un profilo intonativo speciale sul soggetto – significa<br />
che la risposta non è intesa come risposta esaustiva: il parlante B asserisce che Luigi Rizzi insegna<br />
linguistica generale, ma non è in grado di dire se anche Valentina Bianchi lo fa. Guardando lo<br />
schema soprastante, v<strong>ed</strong>iamo che la risposta parziale esclude le due celle inferiori della partizione, e<br />
tuttavia non permette di scegliere fra le due celle superiori. La risposta parziale è comunque<br />
informativa perché permette di restringere, almeno parzialmente, lo spazio logico delle possibilità.<br />
Naturalmente, la massima della quantità di Grice (cf. §3) impone all’interlocutore di dare la risposta<br />
più informativa possibile. 9<br />
4.4.<strong>1.</strong> La congruenza domanda-risposta<br />
Consideriamo i seguenti scambi conversazionali, dove l’accento acuto indica la sillaba che è<br />
realizzata con la massima prominenza intonativa:<br />
(36) A: Chi è fuggito a Mantova?<br />
B: Roméo è fuggito a Mantova.<br />
B’: # Romeo è fuggito a Mántova.<br />
(37) A. Dove è fuggito Romeo?<br />
B: # Roméo è fuggito a Mantova.<br />
B’: Romeo è fuggito a Mántova.<br />
Le risposte in B e B’ sono equivalenti dal punto di vista descrittivo: esprimono cioé le stesse<br />
condizioni di verità. Tuttavia, la diversa collocazione della prominenza intonativa le rende nonequivalenti<br />
in relazione alla domanda prec<strong>ed</strong>ente. 10 I parlanti nativi avvertono che nel caso di<br />
(36A), (36B) è una risposta appropriata, mentre (36B’) non lo è (l’inappropriatezza è indicata dal<br />
sinbolo #). All’inverso, nel caso della domanda (37A) risulta appropriata la risposta (37B’), ma non<br />
(37B).<br />
Diremo (semplificando un po’ il discorso) che la massima prominenza intonativa identifica il<br />
FOCUS dell’enunciato.<br />
Quale generalizzazione emerge, allora, dal confronto fra (36) e (37)?<br />
9<br />
D’altra parte, non tutte le domande richi<strong>ed</strong>ono una risposta esaustiva. Si consideri una domanda<br />
come (i):<br />
(i) A: Dove posso trovare un benzinaio?<br />
Una risposta appropriata è l’indicazione di un singolo benzinaio, anche se colui che risponde<br />
conosce una decina di benzinai diversi. Questo è dovuto al riconoscimento dello scopo per cui la<br />
domanda è posta: il parlante vuole fare rifornimento di benzina, e in questo caso la risposta più<br />
cooperativa è quella che indica il benzinaio più vicino.<br />
10<br />
La collocazione della massima prominenza intonativa è oggetto di studio della fonologia<br />
prosodica. Qui ci baseremo sulla nostra capacità intuitiva di identificarla (il che è parte della nostra<br />
competenza fonologica).<br />
16
Congruenza domanda-risposta: il focus nella risposta deve corrispondere all’elemento<br />
interrogativo nella domanda (il soggetto in (36), il complemento locativo in (37)).<br />
Questa restrizione conferma l’idea che la coppia domanda-risposta costituisce un SEGMENTO<br />
SIGNIFICATIVO della conversazione: Il parlante che fa una domanda è un po’ come il tennista che<br />
lancia la palla nel campo dell’avversario, e la “mossa di reazione” prevista è che l’avversario, a sua<br />
volta, rilanci indietro la palla.<br />
Sulla base di questo criterio di congruenza, Craige Roberts ha proposto una riformulazione della<br />
nozione di pertinenza (ingl. relevance), introdotta dalla massima di relazione di Grice (cf. §3).<br />
Secondo questa concezione, lo “scopo o direzione” di una conversazione, ad un dato punto, può<br />
essere definito come LA DOMANDA A CUI SI STA CERCANDO DI RISPONDERE. 11 Secondo questa<br />
concezione, una mossa conversazionale è PERTINENTE se e soltanto se<br />
(a) fornisce una risposta esaustiva o parziale alla domanda (nel caso di una mossa assertiva), oppure<br />
(b) fa parte di una strategia volta a formire una risposta alla domanda (nel caso di una mossa<br />
interrogativa, come nell’es. (31)).<br />
Normalmente, la domanda che definisce lo scopo della conversazione viene perseguita, fino a<br />
quando si è ottenuta una risposta completa, oppure si è appurato che non è possibile fornire una<br />
risposta completa (in base alle informazioni che i partecipanti possono mettere in comune). In<br />
effetti, questa è una rappresentazione un po’ idealizzata della conversazione, che prescinde da<br />
fenomeni molto comuni – soprattutto quando i partecipanti sono più di due –come le interruzioni, i<br />
cambiamenti improvvisi di argomento, le sovrapposizioni fra linee di conversazione diverse, ecc.<br />
Tuttavia, questa analisi cattura certamente un aspetto fondamentale della dinamica conversazionale.<br />
11 Definita, in inglese, la question under discussion o current question. Roberts, C. 1996.<br />
Information structure: Towards an integrat<strong>ed</strong> formal theory of pragmatics. www.ling.ohiostate.<strong>ed</strong>u/~croberts/infostr.pdf.<br />
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