Storia Palazzo Bevilacqua - ITCS Lorgna - Pindemonte
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<strong>Storia</strong> PALAZZO PALAZZO PALAZZO PALAZZO BEVILACQUA<br />
BEVILACQUA<br />
BEVILACQUA<br />
BEVILACQUA<br />
Ad arricchire una delle più belle strade rinascimentali di Verona - e cioè l'attuale Corso Cavour dalla Porta<br />
dei Borsari all'Arco dei Gavi - era stata costruita nel secolo XVI, su progetto di Michele Sanmicheli, la<br />
sontuosa dimora di una delle più antiche e prestigiose famiglie veronesi, vale a dire quella dei <strong>Bevilacqua</strong>.<br />
Famiglia antica: che già la sua presenza è testimoniata in zona, e precisamente in questa contrada di San<br />
Michele alla Porta, ancora nel 1146 quando il fondatore della stirpe "Guillelmo qui Bivilacqua dicitur de<br />
Sancto Michaele ad Portam Verone" è fra gli astanti nel palazzo Vescovile di Verona alla risoluzione di una<br />
lite fra Ugone rettore e amministratore della chiesa di Santa Croce e i lebbrosi del suddetto ospedale.<br />
Famiglia prestigiosa pure: commercianti di legname e radaroli (da rates = zattera) in relazioni d’affari con il<br />
Trentino donde erano originari (si dice da Ala), ma anche già in età scaligera, in grado di passare, per gli<br />
appoggi dati ai Signori di Verona, da radaroli a milites, rimanendo tuttavia sempre inseriti nell'attività del<br />
commercio del legname. Francesco <strong>Bevilacqua</strong> divenne familiaris degli Scaligeri e svolse mansioni di<br />
ambaxator, nuncius e procurator dei Signori. Ed è proprio di questo periodo l'acquisizione del giuspatronato<br />
dei <strong>Bevilacqua</strong> sulla Chiesa delle Sante Teuteria e Tosca, annessa alla chiesa dei Santi Apostoli, dove sono<br />
anche le monumentali sepolture di famiglia. Sempre restando nella contrada di San Michele alla Porta i<br />
<strong>Bevilacqua</strong> acquistarono qui, via via, numerose case e altre ne costruirono erodendo progressivamente le<br />
aree esistenti grossomodo fra le chiese dei Santi Apostoli e di Santa Maria della Fratta, dove tuttora è<br />
palazzo <strong>Bevilacqua</strong>. Altre case essi acquistarono a San Martino Aquaro nella zona compresa fra San<br />
Lorenzo e l'attuale Castelvecchio.<br />
Relativamente al bel palazzo progettato dal Sanmicheli, laconico è Giorgio Vasari e tuttavia molto icastico:<br />
"Di ordine del medesimo [Ludovico di Canossa, vescovo di Bayeux] fu rifatta la facciata dei Conti<br />
<strong>Bevilacqua</strong>". Il che fa commentare a Licisco Magagnato: "Con questa brevissima frase il Vasari, certo in<br />
base alle notizie dei suoi sempre precisi informatori di cose sanmicheliane, ci permette di conoscere la parte<br />
avuta dal vescovo di Bayeux anche per questa commissione e le ragioni del carattere di incompiutezza
dell'opera. L'esame di pianta però ci fa pensare che non un semplice rifacimento o restauro il Sanmicheli<br />
dev'essersi proposto di compiere: è, infatti, impensabile che egli abbia proposto tanta pompa di facciata per<br />
rivestire le poche stanze che si trovano all'interno, mentre un'ala del palazzo verso gli orti e un braccio di<br />
scala ora addossato ad un corpo più recente di edificio, inducono a credere che l'architetto avesse concepito<br />
un progetto ambizioso del quale la facciata compiuta doveva essere solo il primo lotto di lavori. E’ evidente,<br />
infatti, che il completamento interno attuale snatura lo sviluppo planimetrico ideato, che doveva avanzare<br />
verso gli orti con due ali simmetriche somiglianti a quelle di <strong>Palazzo</strong> Canossa, serranti in mezzo due aeree<br />
rampe di scala a tenaglia". Attorno agli anni Trenta del secolo XVI i <strong>Bevilacqua</strong> vennero dunque nella<br />
determinazione di riordinare, anche con abbattimenti e successive ricostruzioni, il patrimonio immobiliare<br />
acquisito dai loro avi nel corso di più operazioni, dal secolo XII fino a quel momento. Fra le ragioni che<br />
suggeriscono questa data Paul Davies e David Hemsoll hanno riproposto anche quella di una possibile<br />
emulazione dei <strong>Bevilacqua</strong> nei confronti dei Canossa: "E’ possibile che i <strong>Bevilacqua</strong> abbiano temuto una<br />
perdita di prestigio pubblico per l'arrivo della famiglia Canossa nella contrada: questa, infatti, cominciò a<br />
costruire un palazzo veramente monumentale a meno di cento metri di distanza. Inoltre una data intorno al<br />
1530 si accorderebbe con i miglioramenti sostanziali apportati dal Comune di Verona al Corso, nei primi anni<br />
del quarto decennio del secolo. La strada fu restaurata e lastricata fra la porta dei Borsari e l'arco dei Gavi,<br />
con la stessa caratteristica pietra nera usata originariamente dai romani". Ma, sempre come i due storici<br />
dell'architettura hanno precisato: "l'indicazione più importante trova nei documenti. Nel testamento di<br />
Giovanni <strong>Bevilacqua</strong>, del 1508, e anche in documenti anteriori, la casa si chiamava "domus habitationis".<br />
D'altra parte nel testamento di Gianfrancesco <strong>Bevilacqua</strong> redatto nel 1534, e così pure nei testamenti<br />
successivi dei fratelli e dei loro figli, la casa è costantemente designata "palatium habitationis". E’ molto raro<br />
che una dimora veneta nella prima metà del Cinquecento sia indicata in questi termini. Ancora alla metà del<br />
secolo, per esempio, uno dei palazzi più splendidi e più grandi di Vicenza, palazzo Thiene, era indicato<br />
come "casa" o "domus". Ne consegue che nel 1534 i <strong>Bevilacqua</strong> possedevano una casa di straordinario<br />
valore e che quindi la facciata sanmicheliana era finita o quasi finita". Quasi finita era la facciata attuale, ma<br />
non era completato il progetto che, sempre per stare ai prospetti, i proprietari della casa avevano<br />
commissionato a Michele Sanmicheli. E’ ormai assodato infatti che il palazzo - mediante l'acquisto di case di<br />
proprietà dei Lodron - avrebbe dovuto spingersi fino alla piazzetta dei Santi Apostoli, sviluppando una<br />
facciata più che raddoppiata rispetto a quella realizzata, forse anche un analogo prospetto su un lato della<br />
piazzetta dei Santi Apostoli, dall'angolo verso il corso all'angolo verso la chiesa. Esistono documenti con<br />
richieste in tal senso da parte dei <strong>Bevilacqua</strong> ai reggitori della città, poiché l'operazione avrebbe anche<br />
comportato l'occupazione di piccole porzioni di suolo pubblico. Anche se oggi riesce non del tutto facile<br />
immaginare quale potesse essere il progetto complessivo di Michele Sanmicheli per palazzo <strong>Bevilacqua</strong>, ci<br />
sono dunque elementi sufficienti probanti per star sicuri che la fronte del palazzo doveva nelle intenzioni dei<br />
committenti giungere fino all'angolo con la piazza dei Santi Apostoli. Del resto materiali da costruzione erano<br />
già stati predisposti alla bisogna, ivi comprese chiavi d'arco per l'ordine inferiore, con busti di Cesari (a<br />
completamento di quelli effettivamente messi in opera), approdati dalla collezione Monga al Museo di<br />
Castelvecchio e da qui nel salone di piano terra dell'atrio sanmicheliano, già "ridotto" musicale del palazzo.<br />
Che con tutta probabilità questa facciata a due ordini (quello inferiore massiccio e chiuso, quello superiore<br />
slanciatissimo, elegantissimo , e tutto forato) dovesse rappresentare soltanto una quinta sul corso per una<br />
ben più profonda serie di edifici che si sarebbero dovuti inoltrare nel cuore dell'isolato, è detto anche dallo<br />
scarso spessore sia della loggia inferiore interna e sia, per logica conseguenza, degli ambienti superiori,<br />
forse pensati come una «galleria» aperta - per mezzo dei grandiosi finestroni poi tamponati da serramenti<br />
lignei - sulla balconata continua. Quest'ultima infatti non si giustificherebbe - secondo gli storici<br />
dell'architettura sanmicheliana - se non in presenza di una loggia aperta. Ben si sa che il progetto primitivo<br />
rimase incompiuto, nonostante che si fossero ottenuti dai <strong>Bevilacqua</strong> i necessari permessi, e ciò nel 1564,<br />
del Patrio Consiglio. Accanto a semplici ragioni di economia, la decisione di non costruire fu probabilmente<br />
anche determinata sia dai lavori intrapresi da Mario <strong>Bevilacqua</strong> al castello di <strong>Bevilacqua</strong> sia dalle spese<br />
dovute alla sua passione per il collezionismo, anch'essa ampiamente documentata. Lionello Puppi ha del<br />
resto giustamente ricordato come «Da Persico lo supponeva [il palazzo] non sufficientemente strutturato in<br />
maniera da spingere la facciata fino al limite della piazza SS. Apostoli, ma definito dalla previsione di un<br />
ulteriore prospetto su quello slargo», e sottolinea che «in tal modo sarebbero stati raggiunti i risultati di<br />
esaltare nei corpi frontali, con senso di figuratività monumentale, il programma di fastosa rappresentanza<br />
che il palazzo doveva esaudire: di un allineamento con vicolo S. Lorenzo drizzato all'Adige: infine di una<br />
sistemazione organica di piazza SS. Appostoli, quale capitale centro di richiamo per un pertinente<br />
collegamento con la Brà». Sicché «del complesso pensiero progettuale trova quindi concreta traduzione solo<br />
un episodio quantitativamente modesto, il cui significato urbanistico, tuttavia, resta imperioso proprio per il<br />
suo consistere in una porzione di facciata come quinta opposta a quella di casa Canossa, delegata a fissare<br />
irreversibilmente il carattere di direzionalità impresso dall'iter Porta Borsari-Castelvecchio» . Realizzato solo<br />
in parte, lo spazio della "loggia" superiore avrebbe dovuto essere destinato, come in effetti lo fu, ad ospitare<br />
la galleria delle sculture accanto al "ridotto musicale", entrambi voluti da Mario <strong>Bevilacqua</strong>, e sui quali si sono<br />
di recente soffermati rispettivamente Lanfranco Franzoni ed Enrico Paganuzzi. Lo studio della collezione
<strong>Bevilacqua</strong>, a suo tempo auspicato anche dal Beschi, ha avuto origine dal ritrovamento, da parte di<br />
Franzoni, in un fondo di «Varietà», presso l’Archivio di Stato di Verona, di due manoscritti della fine del<br />
Cinquecento, contenenti due inventari della galleria allora fondata dal conte Mario in questa dimora che il<br />
Sanmicheli aveva da poco eretto per la nobile famiglia, e precisamente nel salone centrale della "loggia"<br />
che, come hanno lasciato scritto Scipione Maffei e quindi Francesco Ronzani, «altra destinazione non ebbe<br />
che la custodia di oggetti d'arte, congiuntasi la biblioteca». Il primo e più esteso di questi manoscritti, datato<br />
nell'ottobre 1589, non è firmato; tuttavia si è rivelato autografo del conte Mario <strong>Bevilacqua</strong>, creatore della<br />
galleria. Il secondo manoscritto fu steso da Marc'Antonio da Monte all'inizio del 1594. Entrambi ci forniscono<br />
per i pezzi indicati una stima in scudi d'oro: complessivamente sono indicate sessantasette sculture,<br />
compresi i piccoli bronzi, e più di quattrocento monete, per una stima complessiva di 10.000 scudi d'oro. Da<br />
qui l'indagine del Franzoni per inquadrare storicamente nella seconda metà del Cinquecento a Verona la<br />
figura di Mario <strong>Bevilacqua</strong>, la consistenza della fortuna economica della sua famiglia, e quindi le tristi<br />
vicende giudiziarie con i nipoti che lo accusavano di sperperare il loro patrimonio. Si pone in chiaro tra l'altro<br />
come, nonostante la lunga serie di azioni civili successive alla morte di Mario <strong>Bevilacqua</strong>, la galleria<br />
antiquaria da lui creata fosse rimasta quasi intatta nel palazzo sanmicheliano fino al 1803, quando il conte<br />
Ernesto <strong>Bevilacqua</strong> offrì al Comune la parte più cospicua della raccolta, e cioè un gruppo di trenta sculture<br />
per lire venete 30.074. Qui la raccolta fu vista da Scipione Maffei, che si sofferma nel 1782 a descriverla con<br />
insolita larghezza nella sua Verona illustrata. Della galleria l'erudito veronese ci ricorda complessivamente<br />
quarantasei sculture, quindici delle quali riprodusse nei magnifici rami ricavati da disegni che egli stesso<br />
probabilmente commissionò a Giambattista Tiepolo. Anche Goethe, di passaggio da Verona nel settembre<br />
del 1788, ammirò la magnifica raccolta di antichità in casa <strong>Bevilacqua</strong> e vi notò, come opere di speciale<br />
pregio, un Figlio di Niobe disteso a terra ed un Augusto con la corona civica, così come si può leggere nel<br />
suo Italienische Reise. Ma che fu dell'offerta del conte Ernesto <strong>Bevilacqua</strong> al Comune di Verona? E’ presto<br />
detto che purtroppo il Consiglio Comunale respinse la proposta di acquisto e le sculture furono comperate da<br />
un gruppo di privati cittadini che nel 1811 le vendettero al principe Ludwig l di Baviera. Adesso esse<br />
arricchiscono così - in massima parte - la gliptoteca di Monaco di Baviera voluta da quel principe a seguito<br />
del viaggio da lui compiuto a Roma nel 1805, mentre un pezzo illustre come l'Efebo orante in bronzo<br />
proveniente da Rodi, ora ai Musei di Berlino, che Mario <strong>Bevilacqua</strong> aveva acquistato a Venezia dagli eredi<br />
del cavaliere gerosolimitano Benedetto Martini, aveva lasciato palazzo <strong>Bevilacqua</strong> per quello Canossa per<br />
disposizioni testamentarie dello stesso conte Mario. Ricorda ancora Lanfranco Franzoni come la biblioteca<br />
del conte Mario <strong>Bevilacqua</strong> non sia andata del tutto dispersa, la parte più cospicua di essa, rappresentata da<br />
oltre cinquanta codici, essendo pervenuta alla Capitolare di Verona attraverso il lascito Maffei. Tra gli altri, vi<br />
si trovano tre codici rinascimentali miniati di Tito Livio, già appartenuti alla biblioteca di Mattia Corvino e<br />
donati a Mario <strong>Bevilacqua</strong> da Marcantonio da Monte nel 1580. Oltre a sculture e a libri rari, il palazzo<br />
accoglieva anche celebri dipinti. Consulente nella formazione della pinacoteca fu il pittore Orlando Flacco<br />
(1530-1592 ca.), anch'egli già legato alla famiglia <strong>Bevilacqua</strong> fin dal tempo del conte Antonio (1492-1557),<br />
del quale eseguì il ritratto, ora a Castelvecchio, dove costui appare con collana d'oro di cavaliere,<br />
onorificenza ch'egli ottenne nel 1554 dal doge Francesco Venier. Fra questi dipinti vale la pena di ricordare -<br />
con Lanfranco Franzoni - La pietà della lacrima di Francesco Caroto (ora a Castelvecchio), il San Gerolamo<br />
di ignoto (ora a Lovere), il San Guglielmo e il San Francesco di Domenico Brusasorzi (sempre a Lovere), il<br />
Paradiso del Tintoretto (ora al Louvre), un ritratto di Donna con bambino di Paolo Veronese (sempre al<br />
Louvre) con altre opere disperse in varie collezioni italiane e straniere. Oggi palazzo <strong>Bevilacqua</strong>, estinto<br />
questo ramo della famiglia, ospita l'Istituto Commerciale "Ippolito <strong>Pindemonte</strong>", ma da anni si attende la<br />
possibilità di recuperare parte degli attuali spazi ospitanti la segreteria della scuola, per istituirvi una "sala<br />
sanmicheliana", vale a dire un richiamo all'originale decoro musicale del palazzo e un omaggio al nome del<br />
grande architetto che lo ebbe a progettare.<br />
Fonte: www.verona.com Notiziaro BPV numero 3 anno 1995