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geologia delle prealpi carniche - Udine Cultura

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GEOLOGIA DELLE<br />

PREALPI CARNICHE<br />

Pubblicazione n. 44<br />

COMUNE DI UDINE<br />

Edizioni del Museo Friulano di Storia Naturale<br />

2000


2<br />

In copertina: il versante settentrionale del Monte Caserine e la conca di Senons.<br />

Le foto sono di: G.B. Carulli, G. Muscio, F. Podda, M. Ponton, E. Turco.<br />

Direzione e Redazione:<br />

Carlo Morandini (Direttore)<br />

Maria Manuela Giovannelli<br />

Giuseppe Muscio<br />

Stefania Nardini<br />

Museo Friulano di Storia Naturale - Via Grazzano 1, I-33100 UDINE<br />

tel. 0432/510221-504256, fax 0432/504109<br />

Riproduzione anche parziale vietata. Tutti i diritti riservati.


Giovanni Battista CARULLI, Andrea COZZI, Giorgio LONGO SALVADOR,<br />

Enrico PERNARCIC, Fulvio PODDA, Maurizio PONTON<br />

NOTE ILLUSTRATIVE ALLA CARTA GEOLOGICA<br />

DELLE PREALPI CARNICHE<br />

1. Premessa<br />

La letteratura geologica sulle Prealpi Carniche<br />

non è molto ricca di voci. Probabilmente ciò è<br />

dovuto al fatto che questo settore di catena, oltre<br />

ad essere caratterizzato da indubbie difficoltà di<br />

accesso, di percorribilità e di logistica, ha sempre<br />

presentato interesse limitato per i ricercatori, almeno<br />

fino a circa metà del ‘900, a causa di un’apparente<br />

monotonia geologica. Questo aspetto è stato<br />

ancor più esasperato, ma a torto, dalla vicinanza<br />

con la ben più famosa <strong>geologia</strong> <strong>delle</strong> Alpi Carniche<br />

solo apparentemente di richiamo e gratificante<br />

per la varietà <strong>delle</strong> formazioni, la complessità dei<br />

loro rapporti, il ricco contenuto paleontologico e<br />

il complesso assetto strutturale colà dominante. Lo<br />

stesso Gortani, senza dubbio insigne studioso del<br />

Paleozoico ma al tempo stesso geologo carnico<br />

per eccellenza, dedica alle Prealpi pochi contributi,<br />

il più importante dei quali (GORTANI, 1910),<br />

utile ai soli fini stratigrafici del presente lavoro,<br />

riguarda il Retico, il Lias ed il Giura <strong>delle</strong> Prealpi<br />

dell’Arzino.<br />

L’interesse per questo settore di catena sud-alpina<br />

da parte del Dipartimento di Scienze Geologiche,<br />

Ambientali e Marine dell’Università di Trieste<br />

deriva dai primi rilevamenti dell’area inizialmente<br />

condotti, una decina di anni addietro, nell’ambito di<br />

un Contratto di ricerca stipulato fra l’allora Istituto di<br />

Geologia e Paleontologia dell’Università di Trieste e<br />

l’AGIP s.p.a. (che qui si ringrazia per aver concesso<br />

la pubblicazione dei dati geologici) e avente per<br />

tema la “Ricerca geologica sulla Dolomia di Forni”.<br />

Più o meno parallelamente, ma specie successivamente<br />

a seguito della spinta dei risultati innovativi<br />

ottenuti con tale ricerca, i rilevamenti geologici sono<br />

proseguiti anche attraverso le tesi di laurea inedite<br />

di TURCO (1985), SCAREL (1988), POLONIA (1990),<br />

COZZI (1994), PASCOLO (1994), PERNARCIC (1996),<br />

MAURO (1996), FUSETTI (1997), PIANO (1998),<br />

LOSS (1999), TORRESIN (1999) e RIULINI (1999),<br />

nonché con le tesi inedite di Dottorato di Ricerca<br />

di PODDA (1998) e di COZZI (1999) e quella in corso<br />

di PERNARCIC.<br />

Le situazioni geologiche affascinanti qui riscontrate,<br />

specie se studiate con una visione ed una<br />

interpretazione più moderna di quanto si potesse<br />

fare anni addietro, hanno rivelato un quadro fortemente<br />

innovativo rispetto allo stato generale <strong>delle</strong><br />

conoscenze sull’area. Tale risultato ci ha convinto<br />

che esso fosse degno di essere illustrato, tramite<br />

la sia pur ampia sintesi rappresentata dalla Carta<br />

geologica <strong>delle</strong> Prealpi Carniche in scala 1:50.000<br />

(sintesi però di rilevamenti effettuati alla scala<br />

1:10.000), non solo alla comunità scientifica ma<br />

anche a tutti coloro, studiosi, amministratori, pianificatori,<br />

liberi professionisti, semplici appassionati<br />

cui sta a cuore la conoscenza e la conseguente<br />

gestione e tutela del territorio.<br />

2. Inquadramento geografico<br />

Il settore geografico coperto dalla ricerca, che<br />

interessa un’area di oltre 850 km 2 , è ubicato nella<br />

porzione nord-occidentale della Regione Friuli-<br />

Venezia Giulia e, dal punto di vista amministrativo,<br />

si estende principalmente nella provincia di Pordenone,<br />

interessando buona parte del suo territorio<br />

montano, e in parte in quella di <strong>Udine</strong>.<br />

Orograficamente si sviluppa quasi per intero<br />

nelle Prealpi Carniche interessandole quasi totalmente,<br />

fatta eccezione per i rilievi pedemon-tani<br />

più esterni. Per una piccola parte, a settentrione,<br />

l’area ricade nelle Alpi Carniche meridionali (o<br />

Alpi Tolmezzine). Incidentalmente si ricorda che le<br />

Prealpi Carniche, riprendendo la distinzione in unità<br />

orografiche del Friuli fatta da MARINELLI (1888),<br />

occupano quel settore montano che si estende a<br />

Sud dell’alto corso del fiume Tagliamento fino ad<br />

3


4<br />

affacciarsi sull’alta pianura friulana occidentale.<br />

Più precisamente, l’area rilevata ha il suo limite<br />

settentrionale rappresentato dall’alto corso del<br />

massimo fiume regionale, quello orientale dato<br />

all’incirca dalla sponda occidentale del Lago di<br />

Cavazzo (o dei Tre Comuni) mentre ad occidente<br />

il limite è dato più o meno dal meridiano passante<br />

per l’abitato di Claut. Il limite meridionale è costituito<br />

da una spezzata irregolare, ad andamento<br />

longitudinale, congiungente le pendici meridionali<br />

del gruppo del M. Resettum, a O, con quelle dei<br />

M.ti Cuar-Covria, a E, passando per gli abitati di<br />

Andreis e Frisanco ed al piede dei versanti settentrionali<br />

dei M.ti Ciaurlec e Pala.<br />

Nonostante il termine di Prealpi, apparentemente<br />

riduttivo per quanto attiene l’altimetria, le quote<br />

vanno dai 310 m del fondo valle del Tagliamento,<br />

all’estremità nord-orientale dell’area, ai 2479 m<br />

della cima del M. Pramaggiore, con decisa prevalenza<br />

<strong>delle</strong> quote maggiori. Inoltre, la presenza di<br />

numerose valli sia longitudinali sia trasversali (con<br />

quote di fondo variabili dai 400 agli 800 m circa) e<br />

di creste che le delimitano (sviluppate quasi sempre<br />

sulle quote dei 2000-2300 m) rende il territorio<br />

estremamente articolato e con pendenze molto<br />

elevate, spesso insu-perabili. A queste difficili<br />

condizioni naturali si aggiunge una rete viaria, di<br />

accesso e di attraversamento, estremamente ridotta<br />

ed una rete di sentieri spesso ormai inesistenti od<br />

impercorribili dato l’abbandono della montagna.<br />

Come riferimenti cartografici l’area ricade<br />

(estendendosi essenzialmente a cavallo dei due)<br />

nei fogli I.G.M. 4c-13 “M. Cavallino-Ampezzo”<br />

e 24 “Maniago” e, in minima parte, nell’estremo<br />

sud-occidentale del foglio 14 “Pontebba”. Le<br />

tavolette I.G.M. interessate sono, da O a E e da N<br />

a S: Monte Pramaggiore 13 III SO, Forni di Sotto<br />

13 III SE, Ampezzo 13 II SO, Villa Santina 13 II<br />

SE, Tolmezzo 14 III SO, Claut 24 IV NO, Forcella<br />

Clautana 24 IV NE, Tramonti di Sotto 24 I NO,<br />

Pielungo 24 I NE, Andreis 24 IV SE e Maniago<br />

24 I SW.<br />

I rilevamenti geologici sono stati eseguiti in scala<br />

1:10.000 ed a tale scopo è stata usata come base<br />

cartografica la Carta Tecnica Regionale (C.T.R.),<br />

edita dalla Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia,<br />

e più precisamente, procedendo da O a E e da<br />

N a S, le sue sezioni: Forni di Sopra 030150, Andrazza<br />

030160, Monte Tinisa O31130, Ampezzo<br />

031140, Enemonzo 031150, Villa Santina 031160,<br />

Monte Pramaggiore 047030, Vico 047040, Forni di<br />

Sotto 048010, Caprizzi 048020, Socchieve-Preone<br />

048030, Verzegnis 048040, Monte Turlon 047070,<br />

Monte Caserine Alte 047080, Monte Frascola<br />

048050, Tramonti di Sopra 048060, Pozzis 048070,<br />

San Francesco 048080, Claut 047110, Monte<br />

Dosaip 047120, Chievolis 048090 e Tramonti di<br />

Sotto 048100.<br />

3. Stato <strong>delle</strong> conoscenze<br />

Come già accennato la bibliografia geologica<br />

relativa alle Prealpi Carniche, per i motivi esposti in<br />

premessa, non è particolarmente ricca di voci.<br />

Di fondamentale importanza per la conoscenza<br />

della <strong>geologia</strong> <strong>delle</strong> Prealpi Carniche sono due<br />

capisaldi della ricerca regionale, cioè le rigorose<br />

e precise opere di FERUGLIO (1925; 1929) e di<br />

COUSIN (1981), tutte sulle Prealpi Friulane nella<br />

loro interezza.<br />

Per quanto riguarda la copertura di precedenti rilevamenti<br />

geologici di carattere generale si ricordano la<br />

I edizione del Foglio 4c-13 “M. Cavallino -Ampezzo”<br />

della Carta Geologica d’Italia (GORTANI et al., 1933) e<br />

la II edizione dello stesso (AA. VV., 1971), così come<br />

le Note illustrative relative a quest’ultima, ad opera<br />

di BRAGA et al.(1971). Risalgono ben al 1929, invece,<br />

il Foglio 24 “Maniago” della Carta Geologica <strong>delle</strong><br />

Tre Venezie nonché le Note illustrative, ambedue<br />

opera della ZENARI, ed addirittura al 1927 il Foglio<br />

“Pontebba” di GORTANI & DESIO.<br />

L’interpretazione moderna in chiave strutturale<br />

di questi fogli, ma ad una scala alquanto piccola<br />

(1:200.000), si deve rispettivamente a FRASCARI<br />

et al. (1981) ed a CAVALLIN (1981). Del 1963, ad<br />

opera di SELLI, è lo “Schema geologico <strong>delle</strong> Alpi<br />

Carniche e Giulie occidentali”, il cui limite meridionale<br />

però coincide con quello del F° 13 per cui<br />

esclude le aree di affioramento che ricadono nei<br />

sottostanti F i “Maniago” e “<strong>Udine</strong>”.<br />

Di altre carte geologiche, a scala minore, che<br />

ricoprano in toto o in parte le aree rilevate nell’allegata<br />

carta geologica si ricorda quella relativa al<br />

territorio compreso fra il T. Arzino ed il T. Meduna<br />

(ROSSI et al., 1988), che ricopre un piccolo settore<br />

centro meridionale dell’area indagata, e quella di<br />

FERASIN et al. (1969), anche se limitata alla sua<br />

porzione settentrionale A questi ultimi Autori si<br />

deve anche il merito di avere per primi affrontato lo<br />

studio, sia pur succinto, di quell’unità tardo-triassica<br />

da essi definita informalmente con il nome di<br />

“Calcare di Caprizzi”, della quale viene affermata<br />

l’individualità nonché riconosciuta la posizione<br />

e la funzione di facies eteropica alla Dolomia<br />

Principale. Gli studi petrografici e sedimentologici


più approfonditi dell’unità e la denominazione<br />

più ricorrente, anche se parimenti informale, di<br />

“Dolomia di Forni” spettano invece a MATTAVELLI<br />

& RIZZINI (1974) che differenziano sei litofacies<br />

nei vari affioramenti studiati fra i quali la classica<br />

successione del Rio Seazza a S dell’abitato di<br />

Preone (Ampezzo). Questa, in precedenza (BRAGA,<br />

1966), ma specie successivamente (CALZAVARA<br />

et al., 1981; WILD, 1984; PINNA, 1987; MUSCIO,<br />

1988; DELLA VECCHIA et al., 1989; 1990; DELLA<br />

VECCHIA & MUSCIO, 1990; ROGHI et al., 1995), è<br />

stata oggetto di fruttuose ricerche paleontologiche<br />

conseguenti alla ricchezza <strong>delle</strong> sue faune. Sempre<br />

agli affioramenti di questa classica successione<br />

sono dedicati gli studi sedimentologici, stratigrafici<br />

e paleontologici di DALLA VECCHIA (1991, 1996).<br />

Alla Dolomia di Forni è dedicato il più completo<br />

lavoro specifico di CARULLI et al. (1997).<br />

Negli anni ‘90, anche a seguito <strong>delle</strong> ricerche<br />

innescate su questa unità, il gruppo di lavoro del<br />

Dipartimento di Scienze Geologiche, Ambientali e<br />

Marine dell’Università di Trieste pubblica una serie<br />

di contributi sui rapporti fra piattaforma e bacini<br />

tardo-triassici (CARULLI et al., 1994; PONTON &<br />

PODDA, 1995; CARULLI et al., 1997; COZZI & PODDA,<br />

1997) fino a giungere ad una proposta di evoluzione<br />

paleogeografica e paleostrutturale <strong>delle</strong> Prealpi<br />

Carniche settentrionali al passaggio Trias-Giura<br />

(PODDA & PONTON, 1997; COZZI et al., 1999) ed<br />

alla revisione stratigrafica del Triassico dell’intero<br />

Sudalpino orientale (CARULLI et al., 1998).<br />

Altri lavori sull’area sono relativi ad argomenti<br />

specifici (GNACCOLINI & MARTINIS, 1974; CARRARO<br />

& POLINO, 1976; VENTURINI, 1986; PONTON, 1989;<br />

CARULLI & POLONIA, 1992) od a settori molto<br />

limitati (CAVALLIN & MARTINIS, 1974; CAVALLIN,<br />

1976) o periferici (LARGAIOLLI & SEMENZA, 1966;<br />

PISA, 1972). Per gli altri lavori qui non riportati si<br />

rimanda alle citazioni nel testo.<br />

4. La serie dei terreni<br />

Nell’area rilevata affiora una successione stratigrafica<br />

continua che va dal Carnico inferiore al<br />

Miocene, oltre alla copertura quaternaria in varie<br />

facies. Il quadro stratigrafico è complicato, oltre<br />

che dalla intensa tettonizzazione dell’area, che porta<br />

a numerose ripetizioni <strong>delle</strong> serie, anche e specialmente<br />

dalle complesse eteropie con cui molte <strong>delle</strong><br />

unità si presentano.<br />

Nell’area rilevata, in armonia con la distribuzione<br />

regionale dei terreni conseguente anche al motivo<br />

generale dell’assetto strutturale, le diverse unità<br />

5<br />

stratigrafiche presenti sono, grosso modo, distribuite<br />

secondo fasce allungate in senso longitudinale e,<br />

sempre in linea di massima, via via più recenti<br />

(a meno di sovrapposizioni di carattere tettonico)<br />

mano a mano che si procede verso Sud. Di seguito<br />

vengono descritte le diverse unità affioranti.<br />

Calcari scuri, marne, arenarie, dolomie (IR) e<br />

gessi (G)<br />

I termini più antichi affioranti nell’area sono<br />

i calcari scuri, marne, arenarie e dolomie del<br />

Carnico inferiore. Essi affiorano in lembi isolati<br />

lungo l’alta Valle del F. Tagliamento presso Forni<br />

di Sotto e presso Ponte Avons (con intercalate<br />

vulcanoclastiti), a S di Tolmezzo. Seguono i gessi,<br />

attribuibili al Carnico superiore-medio, affioranti<br />

anch’essi nell’alta Valle del F. Tagliamento e<br />

spesso coperti da depositi quaternari. Sono quasi<br />

sempre molto tettonizzati in quanto costituiscono<br />

il livello preferenziale di scollamento. Fanno parte<br />

della sequenza superiore del Carnico assieme alle<br />

dolomie cariate.<br />

Dolomie cariate, brecce dolomitiche e marne<br />

(DC)<br />

Caratteri litologici. Questa unità, facente parte<br />

del Gruppo di Raibl di PISA et al. (1980), è costituita<br />

da un’alternanza molto variata di litologie<br />

tipicamente evaporitiche rappresentate in prevalenza<br />

da:<br />

- dolomie marnose associate a brecce dolomi-tiche,<br />

con clasti grigio-giallastri piuttosto friabili che<br />

nelle parti dolomitiche più fragili danno origine a<br />

vere e proprie dolomie cariate;<br />

- marne dolomitiche grigio-giallastre generalmente<br />

friabili e farinose, ma talvolta anche molto<br />

compatte;<br />

- brecce cariate con clasti talora dolomitici talora<br />

marnosi per lo più spigolosi di dimensioni medie<br />

di 2-5 cm, disposte in masse caotiche di difficile<br />

definizione geometrica, associate ad argille e marne<br />

nere, verdi e rosso-giallastre.<br />

Limiti. L’unità poggia sui gessi saccaroidi del Carnico<br />

sup. ed è limitata al tetto dalle facies di rampa<br />

carbonatica della Formazione del Monticello.<br />

Spessore. Essendo presente sempre lungo fasce<br />

di intensa tettonizzazione, affiora nell’area con<br />

spessori reali non valutabili. Tuttavia PISA (1972)<br />

stima in circa 200-300 m lo spessore dei gessi nei<br />

dintorni di Forni di Sotto.


6<br />

Età. Questa unità, essendo priva di fossili, viene<br />

datata sulla base dei rapporti con le altre formazioni.<br />

Inizialmente ritenuta genericamente carnica da<br />

vari Autori (SELLI, 1963; SEMENZA & LARGAIOLLI,<br />

1966) è stata poi attribuita più specificatamente<br />

al Carnico sup. da CARLONI & GHIRETTI (1966) e<br />

da PISA (1972).<br />

Recentemente sono state effettuate analisi polliniche<br />

su alcuni campioni raccolti in Val Silisia<br />

al tetto dell’unità in esame. Quattro sono risultati<br />

sterili mentre un campione presenta bisaccati del<br />

gruppo Alisporites sp.(Cirilli, com. pers.). L’associazione<br />

però è molto povera e di conseguenza<br />

poco indicativa.<br />

Interpretazione paleoambientale. Le dolomie<br />

cariate fanno parte di una sequenza tipicamente<br />

evaporitica, caratteristica di un ambiente di laguna<br />

sovrassalata con circolazione <strong>delle</strong> acque<br />

scarsa o quasi assente. Sensibile doveva essere<br />

l’evaporazione che permetteva la precipitazione<br />

in un primo momento dei solfati che, conseguentemente<br />

ad un succedersi regolare di ingressioni<br />

marine, venivano ricoperti dalle dolomie marnose<br />

sottilmente stratificate.<br />

Contemporaneamente queste ultime si frattura-vano<br />

originando le caratteristiche brecce vacuolari, come<br />

conseguenza probabile di una parziale dissoluzione<br />

dei gessi sottostanti (“brecce di collasso” di STANTON,<br />

1966) o seguendo un meccanismo di “fratturazione<br />

idraulica” (MASSON, 1972).<br />

Formazione del Monticello (M)<br />

Caratteri litologici. Questa formazione è stata<br />

istituita informalmente da CARULLI et al. (1987),<br />

nella Carnia orientale e nelle Alpi e Prealpi Giulie.<br />

Successivamente CARULLI et al. (1998), estendono<br />

questo termine litostratigrafico anche nel settore<br />

<strong>delle</strong> Prealpi Carniche suggerendone l’equivalenza<br />

stratigrafica con la Dolomia di Forni inferiore<br />

(CARULLI et al., 1994) o Membro inferiore della<br />

Dolomia di Forni (CARULLI et al., 1997) data la<br />

comune organizzazione interna dei depositi.<br />

Nell’area <strong>delle</strong> Prealpi Carniche la Formazione<br />

del Monticello è costituita in gran parte da dolomie<br />

non laminate e prive di strutture e si caratterizza<br />

per il colore tendenzialmente grigio chiaro dei<br />

litotipi. La stratificazione è netta, 30-100 cm<br />

di spessore, con giunti di strato piano-paralleli.<br />

Subordinatamente sono presenti strati dolomitici<br />

potenti 20-40 cm, caratterizzati da una regolare<br />

alternanza di lamine millimetriche chiare e scure<br />

per concentrazione differenziata di sostanza organica,<br />

talora interrotte da straterelli più chiari, con<br />

spessore di 5-20 mm. Nella parte alta dell’unità<br />

sono presenti livelli stromatolitici che possono<br />

costituire successioni di spessore metrico. Ancor<br />

più rari sono i livelli dolomitici con noduli e/o lenti<br />

di selce nera e le dolomie marnose, nere o brune,<br />

fittamente laminate e fissili, presenti per lo più<br />

come intercalazioni millimetrico-centimetriche.<br />

Nel settore nord-occidentale (Rio di Purone)<br />

sono stati ritrovati banconi plurimetrici di megabrecce<br />

costituite da grossi clasti di dolomia cristallina<br />

grigio scura, in certi casi plurideci-metrici, a<br />

spigoli debolmente smussati. Limitati episodi di<br />

debris flow sono stati osservati nella successione<br />

a NE del M. Verzegnis.<br />

Le dolomie affioranti nei settori più meridionali<br />

presentano generalmente gli strati con uno spessore<br />

dai 20 ai 50 cm, massimo 1 m, sono raramente laminate<br />

e poco selcifere. Si segnalano alcune intercalazioni<br />

calcaree, fossilifere, alternate a livelli marnosi<br />

(molto simili a certe facies del Raibliano). Alla base<br />

le dolomie sono intercalate con livelli marnosi inizialmente<br />

di circa 30 cm di spessore che poi si vanno<br />

riducendo verso l’alto fino a scomparire (es. Val<br />

Silisia). L’unica eccezione è data dall’affioramento<br />

presso Frasseneit, in Canal Grande di Meduna a O di<br />

Tramonti, dove i livelli marnosi si rinvengono fino al<br />

passaggio con la sovrastante Dolomia Principale.<br />

Limiti. Nel settore meridionale <strong>delle</strong> Prealpi Carniche<br />

la Formazione del Monticello è compresa fra<br />

le dolomie cariate e la Dolomia Principale mentre<br />

in quello settentrionale è compresa fra le dolomie<br />

cariate e la Dolomia di Forni.<br />

Spessore. Lo spessore si può valutare mediamente<br />

attorno ai 200-300 m (230 m nella località tipo,<br />

nella bassa Val d’Aupa in Alpi Giulie).<br />

Età. In Val Silisia presso Chiarsuela, ad O del<br />

Lago dei Tramonti, la base dell’unità è stata datata<br />

con buona approssimazione al Carnico sup. in base<br />

al seguente contenuto palinologico: Staurosaccites<br />

quadrifidus, Cycadopites follicularis, Partitisporites<br />

quadruplicis, Patinasporites densus, Granuloperculatipollis<br />

rudis (Cirilli, com. pers.). Questo dato<br />

trova conferma dagli esami pollinici effettuati alla<br />

base della formazione in Val Dogna (ROGHI & DALLA<br />

VECCHIA, 1997) e nella zona della Val d’Aupa (CA-<br />

RULLI et al., 1998); l’analisi stabilisce infatti un’età<br />

corrispondente al Tuvalico (Carnico sup.).


Nella zona di Frasseneit, appartenente all’unità<br />

tettonica immediatamente a N della Val Silisia, è<br />

stato possibile invece datare al Norico inf. il tetto<br />

della formazione in base alla seguente associazione<br />

pollinica: Tsugapollenites pseudomassulae,<br />

Corollina sp., Corollina meyeriana, Granuloperculatipollis<br />

rudis, Ovalipollis pseudoalatus e<br />

bisaccati. Da ciò si può dedurre che il passaggio<br />

Carnico-Norico potrebbe collocarsi all’interno<br />

della Formazione del Monticello.<br />

Interpretazione paleoambientale. La Formazione<br />

del Monticello rappresenta depositi di mare poco<br />

profondo, di ambiente subtidale ristretto, lagunare<br />

o localmente intertidale, (CARULLI et al., 1994).<br />

CARULLI et al. (1998) la considerano una rampa<br />

carbonatica raccordata alla Piattaforma di Trento,<br />

con facies detritiche più grossolane a O (PODDA &<br />

PONTON, 1997) passanti ad E a facies di laguna più<br />

o meno ristretta.<br />

I livelli a brecce presenti, in certi settori, alla base<br />

della formazione, starebbero ad indicare l’inizio di<br />

una fase di approfondimento con mobilizzazione<br />

locale del sedimento ad opera di faglie di crescita.<br />

Dolomia di Forni (DF)<br />

Caratteri litologici. La Dolomia di Forni (MAT-<br />

TAVELLI & RIZZINI, 1974) è la più importante ed<br />

estesa unità bacinale presente nell’area.<br />

È costituita da dolomie grigio scure, ben stratificate,<br />

spesso laminate e gradate, con frequenti<br />

intercalazioni marnose e livelli selciferi particolarmente<br />

diffusi nella parte inferiore della sequenza.<br />

Gli strati, con spessore medio sui 20-25 cm, presentano<br />

all’alterazione colore marrone da chiaro a<br />

scuro che tende al grigio scuro alla frattura fresca.<br />

Sono costituiti da dolomicriti o doloareniti talora<br />

gradate. Hanno geometria prevalentemente tabulare,<br />

a volte lenticolare, e si alternano a quelli sottili,<br />

molto frequenti, costituiti da dolomie grigio scure<br />

o brune, fittamente laminate. Le laminazioni, per lo<br />

più piano-parallele ma anche incrociate, sono date<br />

da alternanze millimetriche di livelli chiari e scuri,<br />

ritmici, di tipo varvato, oppure centimetriche a struttura<br />

gradata generalmente diretta. Queste strutture<br />

testimoniano la deposizione distale di sedimenti<br />

carbonatici dovuti a correnti di torbida diluite.<br />

Frequenti sono le intercalazioni dolomiticomarnose<br />

o argillose ricche di sostanza organica:<br />

si presentano in livelli millimetrico-centimetrici,<br />

fittamente laminati e fissili, grigio scuri o nerastri,<br />

molto fetidi alla percussione.<br />

7<br />

Alla Dolomia di Forni appartengono anche le<br />

facies di scarpata (DFs) rappresentate da:<br />

- brecce dolomitiche con clasti in Dolomia Principale<br />

di dimensioni mediamente centimetricodecimetriche,<br />

ma localmente anche metriche<br />

(megabrecce), disorganizzate e non classate;<br />

- ruditi intra-bioclastiche;<br />

- areniti dolomitiche granoclassate organizzate in<br />

sequenze torbiditiche, passanti verso l’alto a siltiti<br />

dolomitiche con laminazioni parallele.<br />

Tutte queste litofacies si presentano spesso<br />

organizzate in sequenze gradate. Vi si rinvengono<br />

caratteristici depositi di debris flow con base erosiva<br />

e numerosi livelli di slumping.<br />

Le litologie più grossolane e detritiche sono<br />

collegate direttamente con i margini progradanti<br />

e con le scarpate, tettonicamente più o meno attive,<br />

della piattaforma della Dolomia Principale.<br />

Intercalati alle facies più propriamente bacinali si<br />

ritrovano inoltre: olistoliti di dolomia massiccia di<br />

dimensioni anche decametriche; brecce con clasti<br />

sia di Dolomia Principale sia di dolomie scure;<br />

bioclastiti da grossolane a fini e doloareniti spesso<br />

Laminazioni millimetriche nelle dolomie scure in Valle<br />

di Preone.


8<br />

gradate in corpi di spessore anche notevole, che vanno<br />

generalmente assottigliandosi verso le aree più<br />

distali (versanti settentrionali dei Monti Verzegnis,<br />

Auda e Chiarescons, versante sud-orientale del M.<br />

Pramaggiore e pendici del M. Frascola, in Val di<br />

Fisar e a N di Claut).<br />

Limiti. Il limite con la sottostante Formazione del<br />

Monticello è abbastanza rapido, così come quello<br />

con i sovrastanti calcari micritici scuri, talora<br />

laminati del Calcare di Chiampomano (PONTON<br />

& PODDA, 1995), corrispondenti all’Unità B di<br />

GNACCOLINI & MARTINIS (1974) nel gruppo del M.<br />

Verzegnis.<br />

Spessore. La Dolomia di Forni in aree di depocentro<br />

(Val Seazza, Val Rovadia) raggiunge<br />

spessori massimi di 700-800 m.<br />

Età. L’età della Dolomia di Forni è Alauniano<br />

2-3, stabilito sulla base dei conodonti. Infatti ne<br />

sono stati rinvenuti livelli ricchissimi, ben determinabili<br />

appartenenti a Epigondolella slovakensis,<br />

Kozur 1972, ed a Epigondolella postera, Hayashi<br />

1968, rinvenuti sia nella parte media <strong>delle</strong> successioni<br />

campionate (Val Poschiedea, Val Seazza)<br />

sia in campioni prelevati non in serie (Rio Negro,<br />

Caprizzi, Rio Libertan, M. Rua). L’età corrisponde<br />

alla zona ad Himavavites hogarti e Halorites macer<br />

(KRISTYN, in ZAMPFE, 1983). Gli stessi risultati<br />

sono stati ottenuti da ROGHI et al. (1995) in due<br />

serie, una nel Rio Seazza e una nel Rio Forchiar,<br />

rispettivamente sui versanti nord-occidentale e<br />

settentrionale del M. Verzegnis. I conodonti sono<br />

particolarmente concentrati in alcuni livelli scuri<br />

di dolomie laminate e indicherebbero fasi di oscillazione<br />

positiva del livello relativo del mare.<br />

Per la descrizione dei fossili contenuti nella<br />

formazione (pesci, rettili, crostacei, tutte faune<br />

solo genericamente indicative del Norico) e su altri<br />

aspetti paleontologici della Dolomia di Forni, si<br />

veda la nota di MUSCIO (in questo volume).<br />

Interpretazione paleoambientale. La Dolomia di<br />

Forni rappresenta un ambiente euxinico bacinale,<br />

com’è dimostrato dall’assenza di bioturbazioni e<br />

dall’abbondanza di sostanza organica.<br />

A queste condizioni di anossia del fondo facevano<br />

riscontro presso la superficie acque ben<br />

ossigenate, favorevoli allo sviluppo <strong>delle</strong> faune.<br />

L’energia di fondo era sensibile specie verso i<br />

margini e limitata nelle zone distali dei bacini, ove<br />

giungevano i detriti più fini, ma tale da consentire<br />

la costante presenza di intraclasti di provenienza<br />

mista e di bioclasti.<br />

Inoltre la presenza di resti vegetali di ambiente<br />

continentale (frammenti di coniferali e pollini)<br />

dispersi in tutta la successione, è indicatrice di<br />

prossimalità ad aree emerse.<br />

Per quanto riguarda gli apporti detritici sili-coclastici,<br />

il bacino ne riceveva in minima quantità<br />

essendo essi limitati a rarissimi ed isolati granuletti<br />

di quarzo, di feldspati ed a esilissime lamelle di<br />

muscovite. Non esistevano quindi nelle immediate<br />

vicinanze estese “aree cristalline emerse” sottoposte<br />

ad erosione.<br />

Osservando le geometrie della scarpata della<br />

piattaforma, estesa da 1 a 3 km circa, si può ipotizzare<br />

che la profondità del bacino nel Norico mediosup.<br />

fosse di alcune centinaia di metri (200-400).<br />

Specie ai margini di questo bacino si riscontrano<br />

alti tassi di sedimentazione, che al momento si possono<br />

stimare mediamente in circa 300 m/milione di<br />

anni durante l’Alauniano (Norico medio).<br />

Dolomia Principale (DP)<br />

Caratteri litologici. Nella sua facies tipica di<br />

piattaforma carbonatica la Dolomia Principale<br />

presenta la classica sequenza ciclica peritidale<br />

descritta da BOSELLINI (1965a; 1967); essa è<br />

rappresentata dalla sovrapposizione di dolomie<br />

microcristalline, afanitiche a Megalodonti e gasteropodi,<br />

e di dolomie laminate a stromatoliti<br />

(loferiti, sensu FISCHER, 1964), fenestrae, talora<br />

culminanti nella parte alta del ciclo con strutture<br />

da disseccamento quali mud cracks e sheet cracks.<br />

La tematica deposizionale viene interpretata in<br />

chiave shallowing-up, ed è rappresentata da cicli<br />

regressivi (BOSELLINI & HARDIE, 1988; HARDIE et<br />

al., 1986). Talvolta il passaggio tra un ciclo ed il<br />

seguente è marcato da una prolungata esposizione<br />

in ambiente subaereo, che smembra il sedimento<br />

disseccato proveniente dalle loferiti sottostanti,<br />

formando intraclasti; questi vengono rielaborati<br />

e vanno a formare un livello di spessore variabile<br />

(lag) alla base <strong>delle</strong> micriti del ciclo successivo.<br />

I cicli possono essere incompleti ed in questi casi<br />

prevalgono le dolomie subtidali in strati pluridecimetrici-metrici.<br />

Talvolta compaiono a tetto ciclo livelli<br />

argillitici verdastri con sparsi clasti neri centimetrici<br />

poggianti su superficie erosiva.<br />

Il margine della piattaforma (DPm) è costituito<br />

da dolomie intra-bioclastiche ricche di oncoliti,<br />

alghe, mounds stromatolitici e da colonie di ser-


pulidi incrostati da porostromata. Gli affioramenti<br />

migliori si trovano nella zona del M. Pramaggiore,<br />

a S di Forni di Sopra.<br />

Una facies particolare presente invece all’interno<br />

della successione di piattaforma è costituita da dolomie<br />

bruno scure o nerastre sottilmente stratificate,<br />

da centimetriche a decimetriche, talvolta selcifere,<br />

fetide alla percussione, con sottili interstrati marnosi<br />

nerastri (DPi). Lo spessore può variare da 50-100<br />

m (zona Val Silisia, COZZI, 1993) ad almeno 250<br />

(Val d’Arzino, PERNARCIC, 1996). Di questi episodi<br />

ne parla già MARINELLI (1894) e successivamente<br />

FERUGLIO (1925; 1929), GORTANI & DESIO (1927),<br />

ZENARI (1929), CERETTI (1965) segnalandoli sia a O<br />

che ad E del F. Tagliamento. Sulla loro continuità<br />

laterale, sul numero di tali episodi, così come<br />

sulla loro attribuzione cronologica c’è ancora<br />

molta incertezza anche perché la tettonica alpina<br />

ha notevolmente sconvolto la situazione paleogeografica<br />

originaria. Localmente, al tetto dell’unità,<br />

compaiono brecce intraformazionali costituite da<br />

clasti tabulari di dolomia stromatolitica (DPb).<br />

Corpi di brecce di scarpata della Dolomia Principale sul<br />

versante orientale del M. Pramaggiore.<br />

9<br />

Limiti. Inferiormente essa poggia sulla Formazione<br />

del Monticello, ed è eteropica alla Dolomia<br />

di Forni. Al tetto passa al Calcare del Dachstein o<br />

ai Calcari Grigi nei settori in cui permangono le<br />

facies di piattaforma, mentre nei settori in cui si<br />

impostano le condizioni bacinali è sormontata dalla<br />

Formazione di Soverzene.<br />

Spessore. Gli spessori massimi della Dolomia Principale<br />

raggiungono valori vicini ai 1500-2000 m.<br />

Età. L’età della Dolomia Principale è noricoretica.<br />

La base, pur con tutti i limiti imposti dalla<br />

scarsità di fossili nei terreni carnici, dovrebbe<br />

essere grossomodo isocrona.<br />

Non altrettanto si può dire per il tetto. Infatti nelle<br />

Prealpi Carniche nord-occidentali è sormontata dal<br />

Calcare del Dachstein di età retica per la presenza di<br />

Triasina hantkeni e di Aulotortus; di conseguenza<br />

la Dolomia Principale qui risulta limitata cronostratigraficamente<br />

al Norico.<br />

Nel settore più meridionale <strong>delle</strong> Prealpi Carniche<br />

invece, nel gruppo del Monte Raut e del<br />

Monte Cuar, è sormontata dai Calcari Grigi del<br />

Lias inf.-medio, per cui la Dolomia Principale<br />

comprende qui anche il Retico, segnando così, al<br />

tetto, il passaggio Triassico-Giurassico.<br />

Infine, sul bordo occidentale <strong>delle</strong> Prealpi Carniche,<br />

dove la Dolomia Principale è sormontata dalla<br />

Formazione di Soverzene, non si può determinare<br />

l’età del tetto della formazione per mancanza di fossili<br />

in entrambe le litofacies. Generalmente in questa zona<br />

la si considera norico-retica.<br />

Interpretazione paleoambientale. L’ambiente<br />

di deposizione della Dolomia Principale nella sua<br />

facies classica, costituita dal ciclo peritidale, è di<br />

laguna e di tidal flat: la sua particolare successione<br />

di facies indica che la deposizione è avvenuta a<br />

profondità via via inferiori. Un ciclo peritidale<br />

è rappresentato dalla successione verticale di tre<br />

facies: alla base l’unità subtidale o lagunare (di<br />

maggiore profondità) seguita dai depositi della fascia<br />

intertidale. Il ciclo termina con la deposizione<br />

dell’unità sopratidale che può presentare caratteristiche<br />

di temporanea esposizione subaerea. Come<br />

già detto, il ciclo peritidale costituisce quindi un<br />

esempio di ciclo regressivo o shallowing-up.<br />

Gli episodi <strong>delle</strong> dolomie scure fittamente stratificate<br />

all’interno della piattaforma rappresentano<br />

un evento limitato nel tempo che ha portato a<br />

<strong>delle</strong> condizioni ambientali tipiche di una laguna


10<br />

asfittica, caratterizzata da bassi fondali, a limitata<br />

circolazione <strong>delle</strong> acque.<br />

Calcare del Dachstein (D)<br />

Caratteri litologici. Il Calcare del Dachstein affiora<br />

nelle Prealpi Carniche settentrionali lungo una<br />

fascia disposta all’incirca E-O, dal M. Verzegnis<br />

alla Cima di Ladice. Esso corrisponde al Calcare di<br />

Pozzis di FERASIN et al.. (1969), e alla parte basale<br />

dell’Unità “A” di GNACCOLINI & MARTINIS (1974)<br />

nel gruppo del M. Verzegnis.<br />

Litologicamente è costituito da calcari micritici<br />

grigio chiaro-nocciola, prevalentemente in<br />

grossi banchi o a stratificazione indistinta. Sono<br />

osservabili tipiche sequenze cicliche peritidali,<br />

simili a quelle della Dolomia Principale, formate<br />

da successioni ordinate di intervalli ad intr-aclasti,<br />

a Megalodonti, a stromatoliti e da strutture legate<br />

a riempimenti di cavità di dissoluzione. Associati<br />

troviamo coralli e Dimyodon intusstriatum (GOR-<br />

TANI, 1910; GORTANI & DESIO, 1927). Molto spesso<br />

si rinvengono grossi esemplari di Megalodonti,<br />

alcune decine di metri sopra il passaggio con la<br />

Dolomia Principale.<br />

Le facies di scarpata, raccordanti la piattaforma<br />

con il coevo bacino, hanno una estensione molto<br />

ridotta e sono costituite da calcareniti grossolane<br />

ricche in grossi gasteropodi, coralli e lamellibranchi.<br />

Limiti. Inferiormente poggia sulla Dolomia<br />

Principale con passaggio litologico molto graduale.<br />

Infatti avviene spesso tramite una alternanza di<br />

strati calcarei e dolomitici (detta “facies mista”)<br />

per uno spessore variabile ma valutabile intorno<br />

alla decina di metri. Tendenzialmente poi si nota<br />

nel Calcare del Dachstein una maggiore stratificazione<br />

ed a volte il passaggio è eviden-ziato<br />

morfologicamente dalla presenza di una cengia.<br />

Superiormente poggia la Formazione di Soverzene<br />

in facies calcarea testimoniante l’annegamento<br />

della piattaforma retica.<br />

Spessore. Lo spessore è estremamente variabile<br />

e da un massimo di circa 400 m (M. Verzegnis) si<br />

riduce drasticamente (30-50 m) verso O.<br />

Età. La presenza dell’associazione a Aulotortus<br />

e Triasina hantkeni e di Dimyodon intusstriatum<br />

permettono di datare la formazione al Retico.<br />

Interpretazione paleoambientale. Il Calcare<br />

del Dachstein nelle Alpi Calcaree Settentrionali,<br />

dove è stato istituito nell’omonimo monte a S<br />

di Salisburgo, mostra generalmente due facies:<br />

quella “loferitica” con cicli di laguna e tidal flat<br />

ad alta energia (FISCHER, 1964) riferiti a lagune<br />

aperte e ambienti di retromargine, l’altra è quella<br />

massiva, con boundstone, riferibile a un complesso<br />

di scogliera.<br />

Nelle Prealpi Carniche affiora prevalentemente<br />

il solo “Dachsteinkalk loferitico” di piattaforma,<br />

mentre il margine si rinviene in limitati affioramenti.<br />

Tuttavia sono stati individuati, come già<br />

segnalato, affioramenti ricchi di frammenti di<br />

coralli, grossi gasteropodi, lamelli-branchi (M.<br />

Teglara, M. Verzegnis) che formavano un margine<br />

vero e proprio, seppur ridotto, antistante un<br />

bacino in cui andava a sedimentare il Calcare di<br />

Chiampomano.<br />

La Cima di Ladice in Calcare del Dachstein<br />

vista da Nord. A destra la fitta stratificazione<br />

del Calcare di Soverzene.

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