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Abbiamo perso lo smalto - Macchina dei Sogni

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Tito<strong>lo</strong> originale dell’opera:<br />

“<strong>Abbiamo</strong> <strong>perso</strong> <strong>lo</strong> <strong>smalto</strong>.<br />

L’insicurezza di 15 oggetti”<br />

MACCHINA DEI SOGNI<br />

associazione culturale<br />

cinema&scrittura<br />

È un motore alimentato dal propellente della creatività<br />

e messo in moto dalla comunità solidale di tutti<br />

gli ingegni impazienti.<br />

Genera conoscenza connessioni incontri, alimenta passioni,<br />

traduce sogni in scintille e non danneggia l’ozono.<br />

www.macchina<strong>dei</strong>sogni.org<br />

info@macchina<strong>dei</strong>sogni.org<br />

collana<br />

LIBRI della MACCHINA DEI SOGNI<br />

volume 14<br />

© 2011 by MACCHINA DEI SOGNI<br />

Corso NARRATORI DI STORIE 2011<br />

Settembre 2011<br />

EDIZIONI AUTOPRODOTTE<br />

traduzioni previste in tutte le lingue richieste<br />

Progetto MACCHINA DEI SOGNI<br />

Art director: Jasmina von Büren – www.xsdsign.ch<br />

Coordinamento del progetto: chicca profumo<br />

Redazione: Loretta Patrini


abbiamo <strong>perso</strong> <strong>lo</strong> <strong>smalto</strong><br />

>L’insicurezza<br />

di15oggetti:


Indice<br />

01 - Valentina Sutti > Smalto per unghie - Vestito vintage:- pag. 5<br />

02 - Danila Iaquinto > Vestito vintage - Palla di vetro con neve:- pag. 17<br />

03 - Morgen Miragoli > Palla di vetro con neve - Vibratore:- pag. 24<br />

04 - Alice Tedeschi > Vibratore - Bastone da passeggio:- pag. 30<br />

05 - Anna Ornaghi > Bastone da passeggio - Fumetto manga:- pag. 38<br />

06 - Irina Marazzi > Fumetto manga - Ricettario:- pag. 43<br />

07 - Alessandro Mariotti > Ricettario - Clessidra:- pag. 49<br />

08 - Chiara Blau > Clessidra - Libro con dedica:- pag. 54<br />

09 - Claudia Redaelli > Libro con dedica - Caril<strong>lo</strong>n:- pag. 61<br />

10 - Marco Mastromattei > Caril<strong>lo</strong>n - Cartolina spedita:- pag. 65<br />

11 - Chiara D’Amico > Cartolina spedita - Portasigarette:- pag. 74<br />

12 - Giovanni Pirelli > Portasigarette - Manette:- pag. 88<br />

13 - Beatrice Fossati > Manette - Biberon:- pag. 97<br />

14 - Matteo Pianosi > Biberon - Binoco<strong>lo</strong>:- pag. 103<br />

15 - Donatella Milani > Binoco<strong>lo</strong> - Smalto per unghie:- pag. 110<br />

16 - Costanza Di Robilant > tutti gli oggetti. pag.114


Fuck-simile 01<br />

di Valentina Sutti<br />

> Smalto per unghie - Vestito vintage:-<br />

LIQUIDAZIONE TOTALE<br />

UN VASTISSIMO ASSORTIMENTO DI CAPI IN PELLE, TESSUTO,<br />

SHEARLING E PELLICCERIA DI PRODUZIONE PROPRIA E<br />

DELLE MIGLIORI MARCHE RIGOROSAMENTE "MADE IN ITALY"<br />

SUPER PROMOZIONE - GRANDI SCONTI<br />

PER IMMINENTE CHIUSURA DELL'ATTIVITA', AVANT GARDE<br />

PELLICCERIA ATTUA UNA SVENDITA,<br />

TUTTO A CINQUANTA EURO.<br />

Uno strato croccante di piccole foglie, senza nome, sfrigola sul pavimento<br />

di marmo rosa, freddo e rigato. Il nero si è incastrato, profondo,<br />

nelle fessure, nei dislivelli, nelle gole irregolari. Un gioco di luce e<br />

ombra, so<strong>lo</strong> che quella non è ombra, è sporco. Si scivola su questo<br />

pavimento, come tutti gli anni, gli inverni, in questa città, Milano. Una<br />

pellicola di sudore insano e denso. Le panchine di questo spiazzo nascono,<br />

rosa, funghi di pietra, poco probabili. Appoggiati a questo pavimento<br />

di noiosi rombi, due scarpe abusate. Pare che abbiano<br />

calpestato la terra del mondo intero, ma al contrario, con il dorso. Una<br />

spatolata di cuoio, grattato e lurido. Di contro, <strong>lo</strong> spesso strato di<br />

gomma secca e solida pare non essere soggetto alle regole del tempo<br />

e dell’usura, un controsenso, fin dal principio.<br />

Ora, ci sono quelli che sostengono che le <strong>perso</strong>ne si possano intravedere<br />

dagli occhi, chi dalle mani, chi dalla bocca. Per me il modo più<br />

efficace per capire chi si ha davanti è quel<strong>lo</strong> di osservare che tipo di<br />

scarpe hanno scelto i piedi della <strong>perso</strong>na in questione. I piedi, le<br />

scarpe; le spalle, le giacche; le gambe, i panta<strong>lo</strong>ni; i polsi, i gemelli o<br />

gli oro<strong>lo</strong>gi. Ogni pezzo di corpo sceglie come coprirsi. In queste scelte<br />

si nasconde, f<strong>lo</strong>scio come un’ostrica e impaurito, il carattere.<br />

L’uomo dalle scarpe sottosopra è vuoto. Vuoto come un appartamento<br />

> :-<br />

5


appena lasciato, come una macchina d’epoca sotto un lenzuo<strong>lo</strong>, come<br />

la bottiglia di vino che non osa al<strong>lo</strong>ntanarsi dal suo piede, per l’appunto,<br />

in cerca di coccole, a zampe all’aria, girandosi e rigirandosi, spostata<br />

da chissà quale dispettosa divinità pagana. Vuoto, come quelle confezioni<br />

vuote di cheeseburger che riempiono l’inadeguato cestino alle<br />

sue spalle. Accartocciato.<br />

Un so<strong>lo</strong> breve tratto del suo corpo, più per necessità che per scelta,<br />

sembra essere su quella panchina, in quel<strong>lo</strong> spiazzo di quella città. Vigile.<br />

Il braccio destro, obliquo e teso, nervoso, preso com’è a sorreggere il<br />

peso del resto del corpo, tutto.<br />

«Devo lavarmi la faccia. Mi sento impiastricciato e ho la nausea.»<br />

Il braccio si piega lento, un ango<strong>lo</strong> vecchio. Il peso bascula come un<br />

galleggiante di cent’anni, i piedi si riaccendono. Quella cartaccia abbandonata<br />

e biodegradabile si è risvegliata. Si alza facendo leva sulle<br />

braccia e barcolla per un attimo. Per un attimo il suo naso sembra essere<br />

irresistibilmente affascinato dal puzzo del pavimento. Penso il<br />

peggio, ma non dovrei. L’uomo si raddrizza di scatto, come ripreso da<br />

un caporale severo e perverso e si avvia, a passo incerto, verso la fontanella<br />

dall’altra parte del<strong>lo</strong> spiazzo. Lo seguo con <strong>lo</strong> sguardo. È mio.<br />

«Che bellezza l’acqua, oddio che meraviglia!»<br />

Il barbone che ha catturato il mio sguardo si rinfresca lavandosi la faccia<br />

con l’acqua ghiacciata della fontanella, se la passa in bocca più<br />

volte, in parte la sputa, il resto <strong>lo</strong> inghiotte. Rivoli scendono dietro il<br />

col<strong>lo</strong>, insaponandosi con <strong>lo</strong> sporco della camicia di flanella sgualcita.<br />

Il suo puzzo arriva fino a me che <strong>lo</strong> guardo da almeno una decina di<br />

metri di distanza. I capelli unti e crespi, dove la vecchiaia fatica a prender<br />

posto, tanto è la sozzura di quella testa. È una meraviglia. Sono<br />

sulla jeep di qualche guardiacaccia, sto vivendo l’avventura di un improbabile<br />

safari all’italiana e osservo eccitata, attraverso le lenti di un<br />

cannocchiale, un esemplare raro. Un animale, che se esiste, avrà pure<br />

una qualche sorta di senso. Voglio lasciargli qualcosa di me. Prendo<br />

manciate di secondi e poi ecco, mi strappo le unghie finte, rosse, del<br />

mio migliore <strong>smalto</strong>. Ne prendo una, mi gratto il naso. Sono simpatiche,<br />

grottesche, queste unghie finte. Siamo finti. Riflessi di cera, manichini.<br />

Eppure qualcosa gira. Le raccolgo, le metto nel palmo della<br />

mano sinistra e chiudo il tutto, senza fretta. Osservo le unghie col<strong>lo</strong>se,<br />

quelle vere, devo smetterla di mangiarle, sono rovinate e inquietanti.<br />

Mi avvicino. Lui non si accorge di nulla. Sono la sua ombra sbagliata<br />

> :-<br />

6


per un po’. Finalmente si volta. Mi guarda, che buffo. Ha delle sopracciglia<br />

enormi e irregolari, con peli qua e là, lunghissimi; occhi piccoli,<br />

incastrati a forza fra quel nasone poroso e rossastro e quelle sopracciglia<br />

da gufo. Resto in silenzio, <strong>lo</strong> fisso. Anche lui non parla, mi guarda<br />

inespressivo mentre la fontanella scroscia acqua coprendo le nostre<br />

voci, forse per questo non parliamo, quel suono fragoroso basta. Apro<br />

la mano, piano piano, come avessi catturato una farfalla unica al<br />

mondo. Guardo in giù, guarda in giù. Richiudo il palmo e faccio strusciare<br />

la mano sul lato del suo cappotto, ruvido e appiccicoso. La nascondo<br />

nella tasca e lascio cadere il grottesco bottino. Lui non fa una<br />

piega. Faccio un passo indietro.<br />

«Patty.»<br />

Resto immobile e in silenzio. Forse si aspetta qualcosa. Forse è per<br />

questo che dopo pochi secondi si gira e se ne va, senza voltarsi.<br />

Strana donna. Cammina come un’anatra, eppure c’è qualcosa di molto<br />

sensuale in lei. Stivali di pelle e fibbie, troppo grandi per la sua stazza<br />

minuta. Un cappel<strong>lo</strong> verde scuro le copre tutto. Di che co<strong>lo</strong>re avrà i capelli?<br />

Saranno lunghi o corti? Non vedo nemmeno che vestito abbia<br />

indosso, con quel cappotto troppo lungo, con le spalle squadrate, sembra<br />

un capitano d’altri tempi.<br />

Peccato. Patty.<br />

Cos’è che m’ha lasciato in tasca? Frugo e sento piccoli pezzetti secchi.<br />

Ne prendo un paio. Li guardo, ci metto un po’ a capire. Sono unghie,<br />

per dio. Unghie rosse.<br />

Le prendo tutte. Al tatto provo uno strano senso di fastidio, come piccoli<br />

frammenti estranei. Mi irrigidisco. A passi ve<strong>lo</strong>ci mi dirigo verso il cestino<br />

della spazzatura e lancio quei cinque alieni di plastica secca. Mi<br />

rigiro, afferro il carrel<strong>lo</strong>, faccio per andarmene, abbasso <strong>lo</strong> sguardo,<br />

vedo la bottiglia di vino, la prendo per il col<strong>lo</strong>, sono un omicida suicida.<br />

La butto insieme alle unghie disgustose. Tre passi, poi la mano affonda<br />

nella merda. Nelle foglie di lattuga dimenticate, nelle umidità del genere<br />

umano. Ne riafferro una per la punta, una solamente. Non so<br />

nemmeno perché. Rivedo la mia mano riaffiorare dalla sporcizia pudica<br />

di questa città. Non ci posso credere. Non può essere vero. Una banconota<br />

da cinquanta euro attaccata all’alieno rosso. La guardo ve<strong>lo</strong>ce<br />

e rapace. Mi infi<strong>lo</strong> tutto in tasca, unghia e soldi, quasi in preda alla vergogna,<br />

guardandomi di soppiatto in giro. La sento liscia al tatto. Molto<br />

liscia. Non me <strong>lo</strong> ricordavo così, il denaro. Me <strong>lo</strong> ricordavo diverso.<br />

> :-<br />

7


Non importa. Mi siedo, ho paura di guardar<strong>lo</strong> questo pezzo di carta,<br />

mi sento a disagio. Insomma, penso che se tutta questa faccenda è<br />

successa – le unghie, la donna strana, la grana – tutto questo avrà un<br />

senso. Queste cose non capitano così. Ci penso, con calma. Ordino<br />

al cuore di battere più lentamente, alle mani di smettere di tremare.<br />

Cosa faccio con questo cinquantone? Saranno dieci anni che non mi<br />

girano per le mani più di un paio di monete per volta. Cosa me ne faccio<br />

<strong>dei</strong> soldi?<br />

Vado a fare la spesa.<br />

Cammino per una mezz’ora buona, mi pregusto il momento.<br />

Finalmente arrivo. Visto da fuori, quest’enorme supermercato, sembra<br />

uno ziggurat prefabbricato. Piccole, grandi macchine, schizzano in<br />

tutte le direzioni, suonandosi contro, fermandosi, ripartendo ve<strong>lo</strong>cemente.<br />

Carrelli avanti e indietro, rumorosi e traballanti. Io uso il mio, libero,<br />

senza catenelle e cazzate simili. Entro.<br />

Un vortice d’aria calda e profumata di mille odori mi arriva in faccia.<br />

Sono spaesato, non so dove andare. Osservo la fiumana di gente e la<br />

seguo. A sinistra: piante, piantine, vasetti, macchie verdi di varie tonalità.<br />

Davanti un bar. Un bar? Nel supermercato? A quanto pare sì, bar<br />

Atlantic. Sorrido, so<strong>lo</strong> un accenno. Penso che vorrei tanto farmi un<br />

caffè e poi fumarci sopra una Marlboro rossa, morbida. Faccio il giro,<br />

vedo un po’ di cose e poi mi tengo da parte i soldi sia per il caffè che<br />

per le sigarette. Quanto costeranno ora? Due? Tre euro? Un’esagerazione<br />

comunque.<br />

Davanti a me l’ingresso vero e proprio. Sembra di varcare il confine di<br />

una qualche nazione, assomiglia più a una dogana che a un supermercato.<br />

Che stranezza.<br />

Ma cosa voglio davvero? Non posso non essere preparato per una<br />

cosa del genere. Devo comprare esattamente quel<strong>lo</strong> che mi serve, che<br />

voglio. Intanto mi accorgo che la saliva si fa avanti. Avidità. Gola. Brutta<br />

faccenda. Prendo un foglietto da una busta del mio carrel<strong>lo</strong>, la matita<br />

scheggiata da un’altra busta. Lista:<br />

arance/mele/pere/uva?<br />

tonno<br />

formaggi duri<br />

fazzoletti<br />

salame, speck<br />

vino<br />

biscotti<br />

> :-<br />

8


cioccolato<br />

vino<br />

schiuma da barba<br />

rasoi<br />

sapone<br />

shampoo<br />

Mi serve altro? Non mi sembra, no.<br />

Cammino facendomi strada con il carrel<strong>lo</strong>, passo le sbarre. Che lingua<br />

parleranno da questa parte? È cambiato tutto o forse niente. L’ultima<br />

volta che ho messo piede in un supermercato non avrò avuto più di<br />

trentacinque anni, ed ero con Rosanna. No. So<strong>lo</strong>.<br />

Adoravo fare la spesa con lei, per lei, per noi. Scegliere i formaggi, pecorino,<br />

che le piaceva tanto, e poi osservare minuziosamente le varie<br />

conserve da abbinarci, cipolle o mele cotogne, si ricadeva sempre su<br />

quelle. La maniacalità delle piccole cose, delle piccole scelte, che ci<br />

legava, stretti, prendendoci tempo prezioso, quel tempo che lascia i<br />

demoni fuori, che ti fa sentire calmo e quasi appagato. Correre al reparto<br />

<strong>dei</strong> dolci e prenderle i biscotti al cioccolato e, ancora con la confezione<br />

in mano, pregustare il momento in cui, dopo aver fatto l’amore,<br />

con troppa saliva, saremmo rimasti lì, io palle all’aria e lei a gambe incrociate,<br />

a gustarceli quei buonissimi biscotti pieni di conservanti e dolcissimi.<br />

Con bicchieroni di latte freddo che scivolano dentro,<br />

trascinando detriti di cioccolato, infilati fra i denti e sul palato. Amore,<br />

poter essere puliti e mostrare a qualcuno che in fondo sei rimasto quel<br />

bambino, curioso, arrogante e impaurito. Farglieli trovare in cima al<br />

carrel<strong>lo</strong>. Vederla tornare con la schiuma da barba, la mia, che non arrossava<br />

la pelle.<br />

No, non è cambiato niente, non cambia mai niente, per davvero.<br />

Le brave donne di casa pescano pere e mele una a una, osservandole<br />

bene, tastandole come esperti medici, alcune le rimettono al <strong>lo</strong>ro posto,<br />

altre le catturano in sacchetti di plastica trasparenti. Non vedo la differenza<br />

fra le une e le altre, sarà perché non me ne intendo, per me sono<br />

tutte uguali. Le sciure si girano e mi guardano disturbate, ci sono abituato.<br />

Devo puzzare parecchio perché hanno tutti un’aria disgustata<br />

quando passo. Lavatevi voi, con zero gradi là fuori, con l’acqua gelida<br />

delle fontanelle, poi ne riparliamo. In estate è tutta un’altra faccenda.<br />

Vero che il caldo e l’afa sporca mi fanno sudare come un pazzo, quindi<br />

come mi giro mi giro puzzo. Me ne fotto.<br />

Mele: Golden: 2,25; Granny Smith: 1,68 al chi<strong>lo</strong>. Vada per le seconde.<br />

> :-<br />

9


Pere: Williams: 1,79; Kaiser: 1,98. Le Williams le preferisco.<br />

Un paio di mele le prendo. Mi piacciono le mele, quelle verdi più di<br />

tutte. Sgranocchiarle fino all’osso e sentire la lingua girarsi e rigirarsi<br />

nel <strong>lo</strong>ro succo aspro. Sì, un po’ di mele verdi me le prendo.<br />

Una ragazza tutta in ghingheri prende il sacchetto e il guanto, una specie<br />

di profilattico a cinque punte. Poi prende patate e zucchine, arance.<br />

Poi? Poi le appoggia su una bilancia con mille tastini co<strong>lo</strong>rati. Ne<br />

schiaccia uno, di questi tastini, poi un altro e un altro ancora. Dal fianco<br />

della pesa piccoli foglietti bianchi e appiccicosi. Non capisco, non<br />

leggo. Se ne va, mi avvicino. Ogni tasto è una piccola fotografia di<br />

frutta e verdura. Appoggio la mano sul piatto facendo forza, schiaccio<br />

<strong>lo</strong> sca<strong>lo</strong>gno, a caso, beep. È uno scontrino, immaginavo. Al<strong>lo</strong>ra mi rimetto<br />

davanti alle montagne di frutta. Prendo delle mele, delle pere.<br />

Arance: Tarocco: 1,75; Sanguinel<strong>lo</strong>: 3,25. Tarocco.<br />

Uva? Guardo un grappo<strong>lo</strong> d’uva bianca e opaca. Qui dice che è senza<br />

semi: 2,25. I chicchi sembrano esp<strong>lo</strong>dere, tesi al limite. Non mi dice<br />

granché, quest’uva.<br />

Quando ero bambino, mio padre mi portava spesso dal nonno a Cormano,<br />

fuori città. Mi ricordo, sul finire d’agosto, il profumo dolce delle<br />

viti giù in fondo all’orto. Questa è americana, mi diceva il nonno. Me li<br />

ricordo i chicchi. Erano perfettamente rotondi, piccoli piccoli. Ammassati<br />

gli uni agli altri, stipati. Sembravano uova di pesce.<br />

Riguardo il grappo<strong>lo</strong>. Non so se <strong>lo</strong> voglio davvero. Lo rimetto al suo<br />

posto. Beep, beep, beep. Passo oltre. Scaffali lunghissimi pieni di<br />

pane, baguette, ciabatte, ciambelle, panini al latte, all’olio, ai cereali,<br />

integrali, pugliese, toscano, scuro, bianco etc etc. Crackers, barrette<br />

di riso saltato, croccantissime o meno. Questa visione un po’ mi turba.<br />

Ora mi ricordo a cosa servono i soldi. Servono esclusivamente a non<br />

dover scegliere.<br />

Prendo una ciabatta fresca per oggi e una confezione di pane a fette<br />

che dura giorni. 4,49.<br />

Un omino basso e tarchiato infila cartoni rotti in un carrel<strong>lo</strong>, mi osserva<br />

almeno da un paio di minuti. Lavora qui, ovviamente. Sì, ce l’ha proprio<br />

con me. Mi giro verso di lui che non abbassa <strong>lo</strong> sguardo.<br />

E mo’ questo chi cazzo è? Maronna che puzza infernale. ’Na monnezza<br />

proprio. Ma perché ’sta gente non se ne sta fuori, invece che<br />

rompere i coglioni a noi altri? Entra con ’sto carrel<strong>lo</strong> pieno di merda,<br />

con buste, bustini, cartoncini. E che si crede, di venire qui a fottere le<br />

> :-<br />

10


cose e che io glie<strong>lo</strong> faccio fare, senza muovere un dito. S’infratta le<br />

cose nelle buste sue e via.<br />

Ma perché non mettono una sorveglianza all’ingresso, mi domando io.<br />

Che ci dobbiamo pensare noi <strong>dei</strong> reparti a queste cose? Tra una scatola<br />

e l’altra fare pure la sicurezza. E datemi il doppio stipendio e te la<br />

faccio anche la guardia.<br />

«Eh, mi scusi. È qui a fare che?»<br />

Ma perché la gente deve sempre e comunque rompere le palle.<br />

«Prego?» Nano bastardo, penso io.<br />

«Che sta facendo?» Che puzza!<br />

«Mi scusi, ma dove mi trovo?» Il nano mi guarda confuso.<br />

«Si trova all’Esselunga di Ripamonti.» Maronna!<br />

«Ah. L’Esselunga è un supermercato?» Scemo.<br />

«Sì, è un supermercato, come può vedere da so<strong>lo</strong>.» Io chiamo Franco.<br />

«Al<strong>lo</strong>ra faccio la spesa! Se questo è un supermercato, faccio la<br />

spesa!» Coglione!<br />

«Ce li ha i soldi?» Merdoso di un barbone.<br />

«Sì, ce li ho i soldi, non si preoccupi.» Irritante, ignorante, insulso, testa<br />

di cazzo.<br />

«Me li fa vedere?» Ma tu guarda questo.<br />

«Non credo sa, credo che li farò vedere in cassa, quando avrò finito di<br />

fare il mio giro.» Ma guarda questo.<br />

«Ti tengo d’occhio!» Capa di cazzo!<br />

«Faccia come vuole. Con permesso, devo scegliere che tonno comprare.»<br />

Coglione, enorme coglione.<br />

Lo dribb<strong>lo</strong>, Riva non sarebbe riuscito a fare di meglio, con una mossa<br />

da manuale mi levo, carrel<strong>lo</strong> appresso, al<strong>lo</strong>ntanandomi da lui. Il bastardo<br />

mi segue, corsia per corsia. Ma che si fotta, penso, scegliti il<br />

tonno che è meglio. Maruzzella: 3,25; Rio Mare: 4,15; Esselunga: 2,86.<br />

Dov’è il mio preferito? Ecco<strong>lo</strong>! Nostromo: 3,29, preso.<br />

Io chiamo Franco, non esiste che questa monnezza vada avanti e indietro<br />

per le corsie a fottere le cose, e poi senti che puzza di merda,<br />

puzza veramente come la merda. Ma dov’è?<br />

Lì c’è Cecco, da so<strong>lo</strong>, non è qui. Speriamo che non è al reparto carne,<br />

dietro, perché là mi fa schifo per davvero andarci. Mi viene in mente a<br />

quanto male stavo a lavorare nel macel<strong>lo</strong>, giù a Cetara. Quella puzza<br />

orrenda di morte, di do<strong>lo</strong>re, maronna, mi viene ancora da vomitare<br />

> :-<br />

11


come al<strong>lo</strong>ra, i tonfi delle carcasse e quelle povere bestie, nelle mani<br />

fredde di noi altri. Il lavoro più brutto della mia vita. Speriamo che non<br />

è là.<br />

E che cazzo, è là.<br />

Gli faccio cenno col braccio, e vieni fuori tu. No esci, che ti devo dire<br />

una cosa. Ecco. Bravo.<br />

«Uè Ciccio, sa ghè?»<br />

«Uè, c’è uno che fotte la roba, un barbone, che va in giro con il suo<br />

carrel<strong>lo</strong> e sta facendo la spesa come se niente fosse, si mette le cose<br />

nel suo carrel<strong>lo</strong> fra buste e bustini e poi puzza che è una cosa che non<br />

ci si crede. Insomma, fai qualcosa. Vieni a vedere, non è bel<strong>lo</strong> che la<br />

gente <strong>lo</strong> vede.»<br />

«Ma i soldi ce li ha?»<br />

«Che cazzo ne so. Gliel’ho chiesto e lui sai che mi ha risposto? Li faccio<br />

vedere in cassa! Capito? In cassa li fa vedere. Vuoi venire per favore?<br />

Ci parli tu.»<br />

Siamo qui a cercare il barbone, corsia 7: dolci. Franco mi sta davanti,<br />

<strong>lo</strong> osservo che cammina con questo grembiule da coglioni che ci tocca<br />

di mettere. Per un attimo mi sento triste e penso che da giovane ero<br />

proprio bel<strong>lo</strong>, basso ma bel<strong>lo</strong>, e che volevo fare il meccanico come mio<br />

padre. Penso che è stato un errore venire qui e guarda come sono finito<br />

a inseguire questo spilungone con il grembiulino, e poi mi guardo,<br />

ho <strong>lo</strong> stesso grembiule che mi arriva alle ginocchia. Se mia madre mi<br />

vedesse, che figura di merda.<br />

Il pecorino: 4,36. 4,36 + 3,29 + 4,49 +... quanto avrò fatto alla frutta?<br />

Sei euro, sono… una ventina di euro, ci sto alla grande, mi compro<br />

anche la conserva alle cipolle, questa è per te, amore. 5,35. Perfetto.<br />

Ora schiuma da barba.<br />

Cammino che sembro una marionetta, ogni passo di ’sto stronzo sono<br />

dieci <strong>dei</strong> miei. Ma ’sta monnezza dove si è infilato? Possibile che non<br />

<strong>lo</strong> trovo. Inutile andare fin là, c’è la corsia cura e bellezza, non ce <strong>lo</strong><br />

vedo a comprarsi il bagnoschiuma.<br />

«Franco, proviamo ancora agli scatolami, che qui non c’è di sicuro.»<br />

«Effettivamente dubito che si stia scegliendo il dopobarba.»<br />

«E infatti!» Ti facevo più coglione.<br />

Non ci posso credere, la producono ancora. Stesso co<strong>lo</strong>re, stessa con-<br />

> :-<br />

12


fezione. Mi viene da piangere. La mia schiuma da barba. Quella che<br />

non arrossa la pelle. Mi pesa il petto. Che uomo sono, puzzolente e<br />

con le lacrime agli occhi per una schiuma da barba. Non saresti per<br />

niente fiera di me, o forse sì, <strong>lo</strong> sei. Mi manchi, mi manchi ancora, sempre.<br />

Mi odio per aver dimenticato il tuo odore e adesso piango con il<br />

sorriso, davanti a questi deodoranti e creme e cremine, e continuo a<br />

odiarmi perché non sono stato abbastanza forte per tenere il tuo odore.<br />

Andiamo a prenderci i biscotti, ti va? Quelli al cioccolato, chissà se li<br />

fanno ancora, quelli che ti piacevano tanto.<br />

Questo posto, comunque, è inquietante. Ti ricordi il nostro picco<strong>lo</strong> supermarket?<br />

Con la signora alla cassa che aveva quel sorriso immenso<br />

e bianco. Per me era un posto intimo, quel<strong>lo</strong>. Questo posto qui invece,<br />

d’intimo non ha proprio nulla. La vedi quella signora, là, quella con i<br />

capelli biondi, tinti malamente? Guardala bene, non ti sembra che<br />

siano gli yogurt a scegliere lei? Non riuscirà mai a scegliere quel<strong>lo</strong> che<br />

vuole, cioè, le sembrerà di scegliere, ma sarà <strong>lo</strong> yogurt ai cereali e<br />

caffè, con praline di cioccolato a parte, che sceglierà lei. A me ’sta faccenda,<br />

non piace, neanche un po’.<br />

«Uè Ciccio, non è che posso stare a zonzo tutto il giorno per questo<br />

qui, nè!»<br />

«Ehh Franco, che cazzo vuoi che ti devo dire. Se poi ruba e succede<br />

il guaio io ti ho avvisato, sei tu il responsabile del <strong>perso</strong>nale.»<br />

«Cià, facciamo così, cerca<strong>lo</strong>, se <strong>lo</strong> becchi <strong>lo</strong> porti in cassa e mi fai chiamare?»<br />

Prende e se ne va a passo svelto. Ma tu guarda questo. Che capa di<br />

cazzo.<br />

Direi che manca so<strong>lo</strong> il vino. Quanto mi è rimasto? Circa quindici euro.<br />

Mi perdonerai, vero, ma questa cosa qui non la possiamo condividere.<br />

Questa è mia e mia soltanto, post mortem, un buco privato, dove far<br />

cascare la mia <strong>perso</strong>na.<br />

Al<strong>lo</strong>ra potrei prendere cinque bottiglie da 375 ml, oppure due bottiglie<br />

buone e due da 375 ml. Ma sì, trattiamoci bene. Stasera me ne vado<br />

in Sant’Eustorgio e ceno con pecorino e amarone. Oggi mi butta bene,<br />

festeggio.<br />

Ma dove si è infilato? Dove? Ai vini, cazzo, non ho guardato ai vini, un<br />

ubriacone dove volevo che andava se non ai vini?<br />

> :-<br />

13


Venticinque casse, però. Che posto da pazzi. La prossima volta che<br />

trovo <strong>dei</strong> soldi in giro vado in un super più picco<strong>lo</strong>. Quest’Esselunga<br />

proprio non mi piace.<br />

Beep, beep, beep, sì signora, inutile che mi guarda così, sono io che<br />

puzzo, ma non si preoccupi, ho comprato shampoo, sapone e schiuma<br />

da barba e rasoi.<br />

Beep, beep, beep.<br />

«Sono 45 euro e 15 centesimi. Ha la fidaty?»<br />

Sposto <strong>lo</strong> sguardo dalle caramelle alla menta appese alla grata metallica<br />

accanto alla cassa, intento a fare conti, ho ancora una cosa come<br />

tre euro, ho dimenticato caffè e sigarette. Per le sigarette vada ma un<br />

buon caffè, quel<strong>lo</strong> non me <strong>lo</strong> toglie nessuno.<br />

Guardo la donna alla cassa.<br />

«Vuole un sacchetto?»<br />

Capelli corti, scuri, tinti. Hanno un curioso taglio che la fanno sembrare<br />

una bambina poco seguita, con ciuffi soffici e lucidi che sparano di qua<br />

e di là come richiamati da calamite nascoste. È incel<strong>lo</strong>fanata in un ceruleo<br />

grembiule bianco a righine verdi che lascia intravedere il vestito<br />

sotto. Un bel vestito, particolare, molto anni Settanta. Ocra e blu, con<br />

piccole e insistenti figure geometriche, incollate, abbracciate, su questo<br />

tessuto di poca grazia, ruvido e poroso, finta seta, acrilico con più probabilità.<br />

Sul grembiule, appuntata all’altezza del seno, una targhetta<br />

di plastica trasparente.<br />

Patty.<br />

Non ci posso pensare che il barbone se n’è uscito di qui tranquil<strong>lo</strong>.<br />

Torno indietro e riguardo tutte le corsie. Non può essere uscito. Cassa<br />

23, 22, 21, 20. È là ’sto figlio di una mignotta. Ecco<strong>lo</strong>. Adesso vediamo.<br />

’Sto coglione fa pure finta, si è messo in cassa, ma tu guarda che faccia<br />

che tiene.<br />

La guardo, mi guarda. Ha delle unghie orrende, erano meglio quelle<br />

finte. Chissà poi perché avrà voluto lasciarle nella mia tasca.<br />

Beep, beep, beep.<br />

Non me <strong>lo</strong> chiede se ho la fidaty? No.<br />

Be’, il sacchetto almeno. No, nemmeno quel<strong>lo</strong>.<br />

Beep, la schiuma da barba. Beep, i biscotti. Beep, beep, beep. Mele,<br />

pere e arance.<br />

> :-<br />

14


«46 euro e 45 centesimi.»<br />

Rimango un po’ perplesso dalla sua freddezza, poi penso: una che si<br />

stacca le unghie e le lancia in tasca a un barbone tutta a casa non<br />

dev’essere. E penso anche che, tutto sommato, se mi trovo qui ora, e<br />

a mangiare e bere cose buone, stasera, in fondo è proprio grazie alle<br />

sue unghie. Quindi caccio la mano in tasca, prendo la banconota e a<br />

sfregio pure la sua unghia secca. Le passo prima l’una e poi l’altra. Lei<br />

non fa una piega mentre io me la sghignazzo allegramente, dentro<br />

però. Prende l’unghia e la fa scivolare sul pavimento, sotto i suoi piedi.<br />

«Patty, c’è qualche problema con il… signore qui?»<br />

«La banconota, signore.»<br />

«E <strong>lo</strong> sapevo! Il furbo fa questo!»<br />

«Cos’ha la mia banconota che non va? È sporca?»<br />

«No signore, è falsa. È un fac-simile, vede? È un biglietto promozionale,<br />

per un negozio che liquida tutto. È scritto in picco<strong>lo</strong>, qui dietro,<br />

vede?»<br />

Mi passa la carta, la guardo bene adesso, senza l’imbarazzo provato<br />

stamattina. È vero.<br />

LIQUIDAZIONE TOTALE<br />

UN VASTISSIMO ASSORTIMENTO DI CAPI IN PELLE, TESSUTO,<br />

SHEARLING E PELLICCERIA DI PRODUZIONE PROPRIA E<br />

DELLE MIGLIORI MARCHE RIGOROSAMENTE "MADE IN ITALY"<br />

SUPER PROMOZIONE - GRANDI SCONTI<br />

PER IMMINENTE CHIUSURA DELL'ATTIVITA', AVANT GARDE<br />

PELLICCERIA ATTUA UNA SVENDITA,<br />

TUTTO A CINQUANTA EURO.<br />

È un fac-simile. Cazzo, ma è scritto così in picco<strong>lo</strong>! Adesso? Mi tocca<br />

lasciare giù tutto.<br />

Poveraccio, va che faccia che tiene, sta a vedere che pensava davvero<br />

di avere una banconota da cinquanta euro. Guarda ’sto cristo.<br />

«Mi spiace signore, se non ha altri soldi sono costretta a riprendere le<br />

> :-<br />

15


cose.»<br />

«Ma io…» Non so che dire. Abbasso la testa come se mia madre mi<br />

avesse appena sgridato e impedito di andare a giocare con gli altri a<br />

calcetto, nel campo in fondo alla via.<br />

«Vabbuò senti, è ovvio che c’è stato un quì quà quò. Quanto ha preso<br />

il… signore qui? Quanto è la spesa?»<br />

«46 euro e 45 centesimi.»<br />

«Eh, gliela pago io e siamo contenti tutti, mia moglie un po’ meno, ma<br />

è così.»<br />

Guardo il nano bastardo, non ci posso credere.<br />

«Grazie. Davvero.»<br />

«E che, tu non <strong>lo</strong> faresti al posto mio?»<br />

«Sì, forse, non <strong>lo</strong> so. Credo di sì.»<br />

«E vabbuò, speriamo di non scoprir<strong>lo</strong> mai.»<br />

Prendo lentamente la mia spesa. Ho quasi paura che si tratti di uno<br />

scherzo e che da un momento all’altro salti fuori l’ennesimo grembiule<br />

a righe verdi a dirmi di andare a farmi fottere, ma senza la spesa.<br />

Guardo Patty, la pazza. Guardo il nano, la sua targhetta dice che si<br />

chiama Ciccio. Gli sorrido, mi volto e faccio per andarmene. Mi volto<br />

ancora.<br />

«Grazie Ciccio.»<br />

Lui mi fa un cenno con il capo, su e giù, sembra volermi dire qualcosa,<br />

tipo che il signore sia con te o le strade del signore sono infinite. Sono<br />

buffe le <strong>perso</strong>ne, ho sempre avuto l’impressione che quando fanno del<br />

bene, <strong>lo</strong> fanno soprattutto per se stesse. Mi fa piacere che il nano bastardo<br />

si stia sentendo un messia grazie a me. Gli sorrido ancora, vorrei<br />

abbracciar<strong>lo</strong> ma so di puzzare e so che lui non gradirebbe, quindi<br />

alzo i tacchi con il mio carrel<strong>lo</strong> dietro. Mi al<strong>lo</strong>ntano di una decina di<br />

passi.<br />

«Uè» mi fa lui, «come ti chiami?»<br />

«Jacopo» gli rispondo io.<br />

> :-<br />

16


Rane 02<br />

di Danila Iaquinto<br />

> Vestito vintage - Palla di vetro con neve :-<br />

Era già sulla nave, fumava una sigaretta mentre il vento le graffiava il<br />

volto arrivando dritto al cuore. Halima: ricordi vividi e carne e sangue.<br />

Corse lungo sentieri deserti e case diroccate, sempre inseguita da<br />

qualcuno.<br />

La costa di Lampedusa è una speranza, un raggio di sole nel buio,<br />

vale la pena affrontare qualche notte di paura, una paura che le ricorda<br />

che non è vero che non ha nulla da perdere, come dice Saim, il barcaio<strong>lo</strong>.<br />

Halima ha dentro tutta la speranza di reinventarsi, combattere,<br />

vincere, crescere, sognare, amare ancora.<br />

A Tunisi il ricordo degli affetti, qui in Italia la speranza di un lavoro.<br />

Gli affetti hanno il nome di Mohamed e Fatma, padre e madre, settant'anni<br />

ciascuno, reduci da un'irruzione della polizia che li ha lasciati<br />

pieni di lividi e amarezza. La polizia gli ha rubato tutti i soldi, così come<br />

ha fatto con Faysal, il promesso sposo, pelle scura e luce negli occhi<br />

senza futuro. L'hanno ucciso. Non servono altre parole, e il ricordo è<br />

so<strong>lo</strong> l'ennesima ferita in cancrena.<br />

Mentre le lacrime cadono, si accende una seconda sigaretta. Che sapore<br />

intenso e fumoso, in quella vita a pezzi il cuore brucia.<br />

«Saim, arriveremo alla riva? È vero che non ci rispediranno indietro?»<br />

Saim non risponde, pensa ai soldi che raccoglierà all’arrivo e alle<br />

donne che si farà al ritorno. Delle paure di Halima non gliene frega<br />

nulla. Lei ci pensa e poi si sente quasi grata per quel silenzio, perché<br />

lui non le ha banalmente proposto una scopata in cambio di protezione.<br />

Ha il cuore tanto straziato che potrebbe accettare qualsiasi cosa, si<br />

sente fragile e vulnerabile ed è lì, nel contatto profondo e diretto con<br />

la debolezza dell’umana natura, che capisce quant’è perdutamente<br />

sola.<br />

Quando incontra Mario, nel giardino del Castel<strong>lo</strong> Sforzesco dove ama<br />

andare a rilassarsi, c’è uno spettaco<strong>lo</strong> di c<strong>lo</strong>wn per bambini. È una di<br />

> :-<br />

17


quelle rare giornate di sole che se si è fortunati si scorgono anche in<br />

inverno.<br />

Era andata a fare una passeggiata, era domenica, il suo giorno libero,<br />

come quel<strong>lo</strong> di Mario. Ultimamente aveva voglia di svago, di evadere<br />

dal lavoro che la impegnava da ormai due anni e che la stava alienando.<br />

Glie<strong>lo</strong> aveva trovato Ines, la sua unica amica: «C’è una signora<br />

anziana, pare sia invalida, i figli cercano una badante, tempo pieno<br />

giorno e notte, domenica libera. Vogliono una <strong>perso</strong>na giovane ed<br />

energica che non abbia impegni o legami, e tu sei perfetta.»<br />

«Oh, grazie Ines, ma non ho il permesso di soggiorno e non so se accetteranno.»<br />

«Halima, questa è una vera occasione, seicento euro al mese e ti<br />

fanno anche il permesso di soggiorno.»<br />

Sapeva che era un’occasione relativa: avrebbe avuto il permesso, ma<br />

<strong>lo</strong> stipendio era proprio basso per costruirsi una vita che ne valesse la<br />

definizione.<br />

«Hai ragione Ines, andrò a presentarmi. Dammi l’indirizzo.»<br />

Da lì era iniziato tutto. Il giorno dopo era già badante di una piccola ottantenne<br />

invalida, la signora Pin, doveva sistemarle casa, fare la<br />

spesa, prepararle da mangiare, aiutarla a lavarsi, portarla in giro al<br />

parco, metterla a letto, aiutarla di notte all’occorrenza.<br />

Mario è bel<strong>lo</strong>, robusto e forte, con labbra carnose e occhi che quando<br />

sorridono evidenziano due rughe agli angoli. Da quando era venuta in<br />

Italia non aveva ancora osato guardare nessun uomo, non ne aveva<br />

avuto tempo ma neanche la voglia.<br />

Mario le aveva offerto una sigaretta fuori dal picco<strong>lo</strong> chiosco di fronte<br />

al Castel<strong>lo</strong>, proprio quando avevano consumato gomito a gomito un<br />

caffè, senza conoscersi. L’aveva fatta arrossire ma istintivamente<br />

aveva accettato: le sembrava dolce, attento. Ah, da quanto tempo<br />

qualcuno non si preoccupava per lei!<br />

La cosa che capì subito di lui fu che aveva un gran bisogno d’affetto.<br />

Un bambino in un corpo grande e grosso. La prima volta che uscirono<br />

la portò a passeggiare all’orto botanico. Era la domenica successiva a<br />

quella della mostra e le raccontò subito la sua vita: il sole di Napoli nel<br />

cuore, la paura, la rabbia e l'orgoglio nel sangue. Cresciuto in una famiglia<br />

povera di Fuorigrotta, tanti ricordi da bambino di quando si intrufolava<br />

al San Pao<strong>lo</strong> per vedere la partita del Napoli. Un lavoro come<br />

ambulante al mercato rionale, pochi soldi e tanti sogni. Ben presto era<br />

> :-<br />

18


scappato: il sole e il mare non sono mai bastati a nessuno.<br />

Mario ormai lavora da cinque anni come portiere in un palazzo in centro<br />

a Milano, ed è single. Halima pensa che sia strano, un single così<br />

dolce, affettuoso e possente, chissà se riuscirà mai a svelargli i suoi<br />

sogni più segreti, le sue paure più grandi. Per aprirsi bisogna fidarsi e<br />

lei non si fida di nessuno, neanche più di se stessa. Era arrivata in<br />

Italia con sogni e ambizioni, si era scontrata con povertà e solitudine.<br />

Ultimamente l’amarezza aveva preso il posto nel letto accanto al suo.<br />

Per questo motivo nelle settimane successive Halima non aveva risposto<br />

alle chiamate, numerose ma non pressanti, di Mario. Aveva deciso<br />

che erano entrambi due reietti, che non c’era previsione di gioia<br />

per due come <strong>lo</strong>ro.<br />

Qualche mese dopo Halima passeggia ai Navigli, è quasi Natale, nevica<br />

e Milano sembra una torta di panna montata.<br />

Mario è in giro per comprare un regalino per Anna, la più attenta e simpatica<br />

bambina che abbia mai conosciuto, figlia <strong>dei</strong> signori Bolchi, una<br />

delle tante famiglie del condominio presso il quale fa il portiere. Lavora<br />

tutti i giorni tranne la domenica, quasi come un doorman americano.<br />

Inizia tutte le mattine a un'ora imprecisata ma molto presto, perché<br />

anche scendendo alle sette <strong>lo</strong> si può già trovare intento a lucidare i<br />

vetri delle due entrate. La sera puntuale alle sei chiude gli ingressi. Il<br />

palazzo del quale si occupa è abitato da molte famiglie, qualche coppia,<br />

so<strong>lo</strong> un single, anziano e vedovo. È un palazzo massiccio anni<br />

Settanta della cui gestione va molto fiero. Dal lunedì al venerdì ogni<br />

mattina c'è sempre una calca di bambini accompagnati dalle tate o<br />

dalle madri che corrono per andare a scuola, in perenne ritardo. I papà<br />

scendono solitamente mezz'ora prima, con qualche distinzione a seconda<br />

del lavoro, le coppie senza figli, so<strong>lo</strong> tre nel palazzo di sette<br />

piani e due scale, invece escono di casa insieme. Tutti i giorni però<br />

Mario aspetta l’arrivo di Anna, perché puntualmente con il suo entusiasmo<br />

gli regala un sorriso e <strong>dei</strong> dolcetti:<br />

«Mariooooo sono io! Chi sono? Indovina! Ho per te una nuova caramella:<br />

me<strong>lo</strong>ne e panna!»<br />

Le caramelle erano ogni giorno le stesse ma Anna con il suo entusiasmo<br />

le arricchiva di gusti inventati e fantastici, come se a soli cinque<br />

anni potesse offrirgli ogni giorno la speranza di un entusiasmo nuovo<br />

da assaporare. Mario le vuole un gran bene, l’ha vista nascere e crescere,<br />

finire in ospedale quando era caduta dal seggio<strong>lo</strong>ne e aveva<br />

> :-<br />

19


attuto la testa facendo preoccupare tutti per un trauma cranico. Anna<br />

sorride sempre.<br />

Mario quindi è in giro a cercare un regalino per lei, perché si avvicina<br />

il Natale e anche perché in quei giorni Anna compie cinque anni.<br />

In una vetrina di una cartolibreria si lascia incantare da una pallina di<br />

vetro bianco contenente due ranocchiette su una spiaggia, circondate<br />

da stelline co<strong>lo</strong>r argento e blu che galleggiano in un liquido trasparente<br />

e cambiano posizione a ogni movimento della sfera. Che immagine<br />

magica! Che sogno di serenità fuori dal<strong>lo</strong> spazio e dal tempo! Entra,<br />

compra la sfera e se la fa incartare, quando esce è entusiasta dell’acquisto.<br />

Proprio all’uscita intravede dall’altro lato della strada Halima che passeggia<br />

con indosso un cappotto grigio scuro e un cappel<strong>lo</strong> azzurro<br />

puffo sormontato da una pallina di lana batuffo<strong>lo</strong>sa. Mario sorride e<br />

pensa di seguirla per un po’ per vedere cosa fa.<br />

Da un’attenta osservazione il nostro portiere capisce che:<br />

Halima fuma troppo.<br />

Halima è molto affascinante e dolce.<br />

Halima ama entrare in ogni negozietto vintage a provare cappelli,<br />

borse e vestiti appartenuti ad altri, senza però mai comprare nulla.<br />

Quando poi gli sembra di averla osservata abbastanza si fa coraggio<br />

e le si piazza davanti all’uscita:<br />

«Posso offrirti una cioccolata calda?»<br />

Halima si spaventa, pensando di essere stata seguita per chissà<br />

quanto tempo. Più tardi, Mario le racconta tutta la giornata e le confessa<br />

di averla so<strong>lo</strong> osservata guardare quei negozi. Halima gli racconta<br />

che ama i vestiti vintage perché le ricordano tempi e spazi<br />

<strong>lo</strong>ntani, quando co<strong>lo</strong>ri e geometrie erano diversi e di moda, mentre<br />

oggi le sembra tutto così grigio e banale.<br />

Al riparo dalla neve, al caldo di un tavolino di un minusco<strong>lo</strong> bar, Mario<br />

le racconta perché l’aveva cercata. Voleva vederla ancora, ma c’era<br />

anche un motivo più pratico: la badante peruviana del signor Primati,<br />

unico anziano so<strong>lo</strong> del palazzo dove Mario lavora, era andata via e la<br />

famiglia cercava una sostituta. Ci sarebbe stata almeno una settimana<br />

di prova retribuita, ma il vecchietto era abbastanza indipendente,<br />

quindi non c’era nulla di complicato o umiliante da fare, so<strong>lo</strong> preparargli<br />

da mangiare, pulire casa, accompagnar<strong>lo</strong> a passeggiare; vitto e al<strong>lo</strong>ggio<br />

erano garantiti e <strong>lo</strong> stipendio sarebbe stato di mille euro al mese.<br />

Halima si sente una stupida a non aver risposto prima alle sue telefo-<br />

> :-<br />

20


nate. Trova una sostituta per la signora Pin, va in prova dal signor Primati,<br />

viene subito accolta come una figlia e all’improvviso è felice come<br />

non <strong>lo</strong> era da tanto tempo.<br />

La routine lavorativa era diventata, ora che entrambi vivevano nel<strong>lo</strong><br />

stesso palazzo, una gioia e un piacere. Si salutavano ogni mattina con<br />

un semplice squil<strong>lo</strong> al citofono, Halima fingeva spesso di dimenticare<br />

la posta o la spesa per scendere più di una volta, sapeva che il signor<br />

Primati era troppo buono per insospettirsi. Teneri sguardi, dolci sorrisi<br />

ma nulla di più, il rapporto si era consolidato sul versante spirituale e<br />

Mario non osava fare passi falsi. Dopo averle proposto quel lavoro,<br />

aveva paura che Halima potesse pensare che lui l’aveva fatto per un<br />

secondo fine. In realtà non ne aveva, se si esclude il piacere di seguirla<br />

anche so<strong>lo</strong> con <strong>lo</strong> sguardo e col pensiero. Dal canto suo Halima era<br />

troppo interessata a lui per fare un qualsiasi passo che la mettesse in<br />

discussione. Seguiva scrupo<strong>lo</strong>samente l’anziano, ma questa volta il<br />

lavoro da badante <strong>lo</strong> affrontava con una speranza nel cuore che le<br />

dava la sensazione di una perenne primavera.<br />

Un giorno però accadde una cosa abbastanza inconsueta.<br />

Il signor Primati aveva voglia di biscotti nel latte per colazione e i biscotti<br />

erano terminati, Halima era scesa sorridente ma aveva visto<br />

Mario parlare a bassa voce con fare intimo con la signora Lai, del<br />

quarto piano. Il viso le si era di colpo oscurato, aveva messo il broncio<br />

ed era passata diritta davanti alla portineria senza salutare i due che<br />

confabulavano. Al ritorno dal supermercato era entrata nel palazzo<br />

senza salutare, Mario l’aveva chiamata ma lei aveva finto di non sentir<strong>lo</strong>.<br />

Ci pensava e ci rimuginava, si chiedeva cosa diavo<strong>lo</strong> volesse da<br />

Mario la signora Lai, ossigenata e scollacciata come una divetta da<br />

teatro di quart’ordine. In un accesso d’ira l’aveva chiamato al citofono:<br />

«Per favore Mario, potresti salire giusto due minuti? Ho bisogno di sollevare<br />

il signor Primati dal letto, ma ho mal di schiena e da sola non<br />

riesco.»<br />

Lui era corso, mollando tutto come ogni volta che lei aveva bisogno<br />

d’aiuto. Fu sorpreso a vedere che l’anziano dormiva e che lei non <strong>lo</strong><br />

aveva chiamato per lui.<br />

Halima partì con una filippica: «Ascoltami bene, io lavoro tutto il giorno,<br />

tutti i giorni quasi, non mi concedo mai uno svago, non esco con le mie<br />

amiche, non guardo mai un uomo. Poi scendo un attimo la mattina presto<br />

e ti vedo con la prima smorfiosa che passa? Cosa voleva da te? E<br />

> :-<br />

21


chissà poi con quante altre <strong>lo</strong> fai!»<br />

Mario aveva provato a ribattere ma lei prontamente <strong>lo</strong> aveva zittito:<br />

«No, non mi interrompere! E non provare a dirmi che è il tuo lavoro,<br />

non mi interessa, non sei in un bar, sei in una portineria e devi mantenere<br />

quel vetro di separazione se vuoi stare con me!»<br />

Aveva quasi parlato d’un fiato, si era accesa d’ira e non si era neanche<br />

accorta di aver svelato senza troppi giri di parole ciò che aveva nel<br />

cuore, davvero in fondo. Si sentì indifesa. Mario scoppiò a ridere, innocente<br />

com’era:<br />

«Ora ascoltami tu: io in questo quadro che dipingi proprio non mi ci ritrovo.<br />

A sentire te sarei un dongiovanni che corre dietro a qualunque<br />

donna passi in portineria. Se avessi voluto, essendo single, stai sicura<br />

che ne avrei cambiate di donne! Non starei qui ad aspettare anche<br />

so<strong>lo</strong> un tuo cenno come un ragazzino. Tu mi hai fatto rimbecillire!»<br />

«Adesso è colpa mia?» sbottò Halima ma Mario la sorprese con la sua<br />

risposta.<br />

«Tu dimmi cosa vuoi da me, e se me <strong>lo</strong> dici smetto anche so<strong>lo</strong> di parlare<br />

con ogni essere femminile.» Ma non aspettò che lei rispondesse,<br />

perché la tirò forte a sé, le afferrò la testa tra le mani e la baciò così<br />

appassionatamente che sembrò che l’intero palazzo tremasse dalle<br />

fondamenta insieme a <strong>lo</strong>ro. Lei rispose al bacio con parecchio trasporto,<br />

tanto che lui senza troppo pensare le sollevò il vestito, la appoggiò<br />

al muro e mentre la palpava dappertutto le strappò le<br />

mutandine e sollevandola entrò dentro di lei. Il tutto si consumò in cucina,<br />

in un momento che poteva essere stato di ore o giorni, perché<br />

entrambi persero il senso del tempo. In realtà era trascorsa poco più<br />

di mezz’ora. Mario scese in portineria e ritornò al suo lavoro, camminando<br />

sul suo <strong>perso</strong>nale pezzo di cie<strong>lo</strong>.<br />

Arrivò il Natale e con esso luci rosse e verdi, vischio, abeti, neve, fumo<br />

di camini e profumi di castagne, frittura di pesce e panettone caldo.<br />

Arrivò anche il compleanno di Anna, che aveva espresso come desiderio,<br />

per il 27 dicembre, data in cui avrebbe compiuto cinque anni, di<br />

fare una festa in maschera. Essendo Natale la cosa suonò quantomeno<br />

bizzarra ai suoi genitori ma visto che la piccola era tanto fantasiosa<br />

e sopra le righe quanto buona e spontanea, i genitori la<br />

accontentarono.<br />

Non fu banale spiegare ai compagni di classe e ai cuginetti che avrebbero<br />

avuto bisogno di un vestito carnevalesco, ma Anna obiettò che<br />

> :-<br />

22


lei era certa di aver visto un negozio vicino casa di abiti di carnevale<br />

sempre aperto. In realtà era un negozio in via Sarpi di costumi co<strong>lo</strong>rati<br />

e appariscenti, ma che con le maschere carnevalesche aveva poco a<br />

che fare. Poco male, pensò la madre, erano a Milano, non in mezzo al nulla.<br />

Alla festa furono invitati tutti i compagni di classe e la madre di Anna<br />

chiese a Mario un aiuto per la spesa e un suggerimento su una <strong>perso</strong>na<br />

fidata che potesse fare da tata, visto che quella sera la <strong>lo</strong>ro baby<br />

sitter era impegnata. Lui pensò subito ad Halima e glie<strong>lo</strong> propose. Il<br />

problema era con chi lasciare l’anziano signor Primati. Mario si offrì di<br />

vegliare su di lui, mentre lei si occupava <strong>dei</strong> bimbi, anche per guadagnare<br />

un po’ di soldi extra per un vestito vintage che sognava da tanto.<br />

Saltò fuori però che la piccola Anna voleva assolutamente che anche<br />

Mario partecipasse alla festa, in particolare vestito da cacciatore.<br />

Quando lui sentì la notizia, scoppiò in una grassa risata, si sarebbe<br />

vestito volentieri in quel modo per lei, ma quel giorno doveva badare<br />

al signor Primati. La madre della piccola trovò subito la soluzione:<br />

«Bene, perché al<strong>lo</strong>ra non portiamo anche il signor Primati alla festa?<br />

Gli mettiamo un cappellino e sarà anche per lui un’occasione di svago!»<br />

Quando la proposta fu fatta al signor Primati, lui non poté fare a meno<br />

di pensare, come sospettava da anni, che la famiglia di Anna fosse<br />

piuttosto stramba, e imputò il tutto al fatto che era una famiglia napoletana,<br />

non essendo tuttavia convinto che tanto bastasse a renderla così<br />

bizzarra. Alla fine però si convinse e partecipò all’allegra festicciola.<br />

Anna era vestita da Biancaneve, tutte le sue amichette da varie principesse:<br />

dalla bionda Rapunzel alla scura Tiara, all’eterea Aurora. Halima<br />

indossò un vestito rosso, rega<strong>lo</strong> di Mario, usato e un po’ stile anni<br />

Settanta, ma col trucco adatto si fece passare per Cappuccetto Rosso.<br />

Mario si vestì da cacciatore e portò alla dolce Anna la palla con le rane<br />

in dono. Anna fu felicissima, osservò bene il movimento interno delle<br />

stelline inclinando la testa insieme alle ranocchie che giravano su se<br />

stesse. Fu un rega<strong>lo</strong> speciale e <strong>lo</strong> conservò nel cassetto custodito per<br />

qualche giorno. Poi un pomeriggio Biancaneve-Anna pretese di parlare<br />

con Cappuccetto Rosso-Halima perché aveva un messaggio urgente<br />

dal paese delle fiabe. Anna disse ad Halima che aveva sognato la fata<br />

di Cenerentola, che le aveva detto di consegnarle la palla con le ranocchie.<br />

La fata non le aveva spiegato il perché, ma era assolutamente<br />

importante che l’avesse lei, Halima-Cappuccetto, per ricongiungersi<br />

con il suo cacciatore-salvatore.<br />

Questa è una storia vera.<br />

> :-<br />

23


Marciapiede 03<br />

di Morgen Miragoli<br />

>Palla di vetro con neve - vibratore:-<br />

La pioggia cola rumorosamente sul vetro appannato della Renault blu.<br />

La notte scura delle sei di pomeriggio che so<strong>lo</strong> l'inverno può offrire li<br />

ha guardati consumare un orgasmo fretto<strong>lo</strong>so. Il monossido di carbonio<br />

della <strong>lo</strong>ro fredda passione ha scaldato debolmente l'abitaco<strong>lo</strong>. Fuori<br />

Milano umida e abbandonata si estende dall'arancione di un deposito<br />

<strong>dei</strong> tir e il retro di un grosso cartel<strong>lo</strong>ne pubblicitario, discarica abusiva.<br />

I fanali al<strong>lo</strong> xeno illuminano per un attimo la macchina per poi ronzare<br />

silenziosamente altrove. Nella cassa di lamiera respirano piano.<br />

Quasi non riesco a guardarla, mi fa schifo. Buttata lì senza grazia, accartocciata<br />

su se stessa, non mi guarda, cerca <strong>dei</strong> fazzoletti per asciugarsi.<br />

Il mascara livido, strisciato, le nasconde gli occhi gonfi, ogni tanto<br />

sbuffa ed emette risolini soffocati so<strong>lo</strong> per stemperare l'atmosfera che<br />

è diventata marcia. Distolgo <strong>lo</strong> sguardo, non la posso guardare, sono<br />

marcio anch’io adesso, non sono capace di mascherare le mie espressioni,<br />

nascondere l'imbarazzo della situazione, stringo i pugni per occupare<br />

spazio. Accendo la radio senza chiedere permesso, noto che<br />

non ha il lettore cd ma il mangiacassette, questo mi fa sentire meglio.<br />

Giro la rotella lentamente, mi fermo quasi subito “You, you just know,<br />

you just do”. Gli XX riempono le parole che non siamo stati capaci di<br />

dirci. Senza preavviso allunga un dito corto sul vetro appannato e disegna<br />

un cerchio, all'interno due occhi e un sorriso molto piccoli, non<br />

centrati ma tutti spostati su un lato, quel<strong>lo</strong> che ne esce è un buffo<br />

alieno, sorrido anche io.<br />

«Ehi amico, quel fiore è per me, vero?»<br />

L'uomo si volta e mi guarda perplesso. Insisto: «Dai, se me <strong>lo</strong> regali ti<br />

faccio uno sconto sul prezzo. Sono una romantica io.»<br />

Sembra impreparato, vulnerabile, mi avvicino. Indossa stracci, un muratore,<br />

muratore scuro, sarà straniero, una preda facile senza pretese,<br />

mezz'ora compresa la trattativa poi basta, è l'ultimo di oggi. Guardo in<br />

> :-<br />

24


alto, comincia a piovere.<br />

«Che fiore è? Sembra una calla, a me piacciono le calle.»<br />

«Sì, è una calla, ma non posso dartela, è un rega<strong>lo</strong>.»<br />

«Ho capito, quindi non vuoi la mia compagnia stanotte?» mi sbilancio.<br />

«Dipende da che tipo di compagnia». Le sue mani escono dalle tasche<br />

e si abbandonano lungo i fianchi.<br />

Ci incamminiamo lungo il bordo della strada, le gocce cominciano a<br />

cadere più forte, lui mi segue a poca distanza, la testa china, più che<br />

rassegnato sembra vergognarsi di questa attesa. Seguo un sentierino<br />

lercio di carte e preservativi e arriviamo al<strong>lo</strong> spiazzo dove ho parcheggiato.<br />

Mi si avvicina, mi chiede se quella lì è la mia macchina, annuisco<br />

e mi metto a ridere: «Sei il primo cliente che viene senza, che facciamo,<br />

vuoi entrare nella suite?»<br />

La portiera scatta e lui esce scomposto, non una parola. La portiera<br />

che si richiude e il battere della pioggia, adesso di nuovo attutito. Mi<br />

chino per raccogliere i fazzoletti sporchi gettati fretto<strong>lo</strong>samente ai piedi<br />

del sedile, alzo la testa e guardo fuori, la sua figura sfocata si confonde<br />

nel buio, ma non capisco se si stia al<strong>lo</strong>ntanando o se sia immobile. Sul<br />

suo sedile è abbandonato il vibratore azzurro, non ha voluto che <strong>lo</strong><br />

usassi, non si è lasciato convincere dai miei racconti.<br />

«Tutte le donne <strong>lo</strong> vorrebbero usare, è so<strong>lo</strong> che non hanno le palle,<br />

usar<strong>lo</strong> bene poi è tutto un altro discorso, è un'arte.»<br />

Rimane fermo sotto la pioggia ancora un po', poi bussa con le nocche<br />

sul mio finestrino, dov’è rimasto il segno della faccina, abbasso il finestrino<br />

quel tanto che basta per sentire: «È tardi, forse è ora che vada.»<br />

Lo fisso per qualche secondo senza dire niente, aspettando che succeda<br />

qualcosa, invece niente, dico so<strong>lo</strong> buonanotte, e mi fa strano. E<br />

mentre chiudo il finestrino mi chiedo perché ho detto buonanotte.<br />

Mi guardo i piedi mentre cammino, le scarpe sono inzuppate d'acqua,<br />

ho freddo e mi sto bagnando completamente, ma non me ne frega un<br />

cazzo. Per la prima volta da quando lei è partita sento qualcosa, e quel<br />

che sento mi nausea. Mi sento violato, sto tremando, non so<strong>lo</strong> per il<br />

freddo. Mi fermo un secondo, il mio respiro affannoso, la mia giacca di<br />

tela è schiacciata addosso. Qualche macchina ogni tanto mi sfreccia<br />

davanti per poi planare in frenata al semaforo, l'acqua schizza ovunque.<br />

Sono so<strong>lo</strong> su questa strada di merda, senza sapere dove andare.<br />

In tasca non ho niente, nessun biglietto del tram, niente di niente,<br />

> :-<br />

25


vuoto. Mi incammino verso quella che penso sia la direzione di casa.<br />

Penso a lei, a tutte le volte che non ci sono stato e mi sento così <strong>lo</strong>ntano<br />

da quel<strong>lo</strong> che sono, frustrato e impotente. La calla che avevo in<br />

tasca è fradicia, ormai non ha senso darla a lei, la butto con forza ma<br />

ricade sul marciapiede.<br />

Accendo la macchina, quando mi giro per fare la retromarcia l'occhio<br />

mi finisce sul sedile posteriore, un portafoglio. Che ci fa un portafoglio.<br />

Mi allungo per prender<strong>lo</strong> senza togliere il piede dalla frizione, che mi<br />

scivola e la macchina scattando si spegne. Guardo subito se ci sono<br />

soldi da prendere, qualcosa, ma è vuoto o quasi, nella tasca delle monete<br />

un euro e sessanta, nel posto delle banconote un pezzo di carta<br />

piegato in quattro. Lo apro curiosa, non è una lista della spesa, è una<br />

lettera, scritta male e un po' bagnata, non si riesce a leggere benissimo.<br />

Vengo presa da una strana eccitazione che non è so<strong>lo</strong> invadenza<br />

ma anche qualcosa che non riesco a capire.<br />

Cara Anju,<br />

ti scrivo come un padre, perché sono tuo padre, anche se non so bene<br />

che senso abbia se tu nemmeno sai chi io sia. Un padre che ha compiuto<br />

piccoli passi di un lungo abbandono, e l'unica cosa che ci lega<br />

sono i pochi soldi che riesco a spedirti ma che non sai di ricevere. Tutte<br />

queste cose non le sai perché il giorno che sono partito ho deciso di<br />

al<strong>lo</strong>ntanarmi e di perderti, troppo grande era il do<strong>lo</strong>re che i tuoi occhi<br />

di miele, gli occhi di tua madre, mi davano, non potevo sopportare di<br />

aver <strong>perso</strong> lei e per punirmi ho deciso di perdere anche te, mia unica<br />

luce. Non ti ricordi niente di quella notte, quando tua madre per salvarti<br />

dal ge<strong>lo</strong> ti ha avvolta con il suo corpo, un corpo caldo che a poco a<br />

poco ha <strong>perso</strong> tutto il suo ca<strong>lo</strong>re. Io ero in prigione, quando sono arrivato<br />

non faceva più freddo ma era troppo tardi. Quando ti ho portato<br />

all'ospedale ti ho lasciato nelle mani di tua nonna, le mani vecchie e<br />

nodose che ancora adesso ti preparano da mangiare.<br />

Non so ancora cosa mi diede la forza di partire, di cercare lavoro <strong>lo</strong>ntano.<br />

Non so se l'ho fatto per egoismo o per amore, non sai quante<br />

volte ho desiderato vederti e parlarti e baciarti e raccontarti le storie<br />

che non ti ho raccontato in tutti questi anni, ma dentro di me, dentro<br />

dentro, non volevo vederti mai più. Non reggerei, non sarei mai capace,<br />

non sai quanto queste lacrime non sappiano di niente <strong>lo</strong>ntano<br />

da te, non potrai mai capire quanto l'amore che provo sia paura e rab-<br />

> :-<br />

26


ia che terrò nel mio cuore, che affronterò io da so<strong>lo</strong> perché il tuo cuore<br />

non deve soffrire come ho sofferto io. Non sai che io dalla nostra casa<br />

di lamiera non ho portato niente, nemmeno delle scarpe, so<strong>lo</strong> un oggetto,<br />

che non puoi ricordarti. Una palla di vetro, di quelle con la neve<br />

dentro, che avete fatto tu e la mamma per me. Dentro ci sono una rana<br />

e un fantasma che esce dalla lavatrice, tu mi hai detto che sono innamorati,<br />

anche io l'ho pensato. Non saprai mai se è giusto così, come<br />

non <strong>lo</strong> saprò io, perché non saprai mai queste cose.<br />

Getto i vestiti fradici sul pavimento di marmo senza badare all'ammasso<br />

che si crea, anzi evitando<strong>lo</strong>, mi butto in mutande, anche <strong>lo</strong>ro<br />

fradice, sul divano sfondato, post-it ovunque: “non aggiusteremo più<br />

forcelle mangiando pasta e fagioli”, “hai allagato tutte le mie soffitte<br />

mentre scrostavi dai muri i miei adesivi”, “potrei regalarti una collana<br />

che non metteresti mai con tutte le palline di quelle che hai rotto”. Sorrido<br />

triste perché lei mi ha sempre fatto ridere e mi ha sempre fatto<br />

stare male, non starò mai con lei, non sarò mai come lei.<br />

La lettera mi ha distrutta, mi ha toccato in un punto impolverato in<br />

fondo che non sapevo nemmeno di avere. Io ho toccato quell'uomo,<br />

ho intrecciato le mie braccia intorno al suo col<strong>lo</strong>, i nostri corpi sono<br />

stati uno dentro l'altro, e lui dentro aveva tutte quelle cose, tutti quei<br />

sentimenti così puliti, così umani.<br />

Accendo la macchina, riparto cercando di non pensarci, distraendomi<br />

mentre i co<strong>lo</strong>ri bagnati di viale Novara scivolano sotto le ruote.<br />

Più tardi a casa continuo a farmi milioni di domande, quanta sofferenza<br />

deve aver provato, quante cose deve aver visto, che bel<strong>lo</strong> sarebbe poter<strong>lo</strong><br />

conoscere, quante cose potrebbe capire. Mentre abbasso le tapparelle<br />

prima di andare a dormire bevo un sorso a canna dalla bottiglia,<br />

mi tolgo le forcine dai capelli, devo farmi una doccia. Domani mattina<br />

gli porterò il portafoglio perché è giusto, uno senza portafoglio non può<br />

stare.<br />

Il mio materasso buttato sul pavimento stile bohémien la mattina mi<br />

sembra sconfinato, mi roto<strong>lo</strong> nel piumone per ore prima decidermi ad<br />

alzarmi, che poi non è una decisione ma una costrizione. Mi trascino<br />

in cucina dove c'è Louis. Il mio coinquilino portoghese è in mutande<br />

che guarda nel frigorifero con in mano un succo. Mi guarda chiudendo<br />

con troppo vigore la porta. Sembra perplesso, non ho un bell’aspetto.<br />

> :-<br />

27


Ci salutiamo e gli dico che devo uscire, come al solito lui borbotta qualcosa<br />

sulla spesa, ma so che finirà per stare a casa tutto il giorno.<br />

È una bellissima giornata dopo tutta quella pioggia di ieri, il cie<strong>lo</strong> è<br />

spazzato da un forte vento pungente che regala co<strong>lo</strong>ri innaturali e<br />

freddi a tutti gli edifici. Mentre guido per andare da lui mi immagino la<br />

sua vita e nella sua vita, o meglio quel<strong>lo</strong> che io penso sia la sua vita.<br />

Ci sono rinunce e lavoro duro, sofferenza e paure, e poi ci sono gli incubi,<br />

i miei incubi, e così anche io ci entro, nella sua testa e nei suoi<br />

pensieri, che si frammentano e sono tante istantanee di noi due. Per<br />

la prima volta penso a un uomo al di fuori dal lavoro. Un uomo come<br />

<strong>perso</strong>na, come compagno o amico, o forse so<strong>lo</strong> come <strong>perso</strong>na. È per<br />

questo forse che inconsciamente prima di uscire di casa <strong>lo</strong> sguardo si<br />

è posato sul vibratore. Ho deciso di portar<strong>lo</strong> con me, di regalarglie<strong>lo</strong>,<br />

per dargli qualcosa di mio, che appartenga alla nostra comune esperienza.<br />

E adesso quel rega<strong>lo</strong> mi sembra così inopportuno, impulsivo e<br />

di pessimo gusto, senza senso. Decido di metter<strong>lo</strong> in un sacchetto e<br />

di portar<strong>lo</strong> <strong>lo</strong> stesso, mentre scendo dalla macchina. Citofono dopo<br />

aver controllato per l'ennesima volta il nome che mi sono scritta su un<br />

post-it.<br />

La voce che mi risponde sembra sorpresa ma mi dice di salire. L'androne<br />

mi pare familiare, decadente, e mentre salgo le scale vengo assalita<br />

da una gioia luminosa, mi piace pensare che non sarà l'unica<br />

volta che salgo queste scale. Mi apre la porta un tipo trasandato, rimango<br />

in punta di piedi. Impacciata chiedo cortesemente se posso entrare,<br />

lui sembra colpito da tutta questa formalità e senza degnarmi di<br />

uno sguardo si fa da parte come se ci conoscessimo da tempo. Porta<br />

una maglietta bianca unta e si muove svogliatamente. Si butta su una<br />

poltrona e mi fa cenno di sedermi sul divano. Mi siedo composta senza<br />

sapere bene cosa dire e incomincio a stringere il vibratore dentro il<br />

sacchetto di plastica, come se mi potesse dare coraggio. Chiedo timidamente<br />

dove posso trovare Latif, quasi sussurrando<strong>lo</strong>.<br />

«Chi?» mi chiede sorpreso, con un accenno di sorriso di cui non <strong>lo</strong><br />

credevo capace.<br />

Al<strong>lo</strong>ra riprovo con più energia: «Latif, ho trovato il suo portafoglio e<br />

sono venuta qui per restituirglie<strong>lo</strong>, ha cambiato indirizzo?»<br />

«No, vive qui, almeno penso che viva qui con me, se stiamo parlando<br />

della stessa <strong>perso</strong>na. Marco, nessuno <strong>lo</strong> chiama Latif.»<br />

«Come nessuno <strong>lo</strong> chiama Latif, è scritto sul suo documento.»<br />

«Sì, ma non <strong>lo</strong> usa mai quel nome, <strong>lo</strong> odia, lui è Marco.»<br />

> :-<br />

28


Le mie mani al<strong>lo</strong>ra cercano nella borsa il suo documento, <strong>lo</strong> prendo e<br />

<strong>lo</strong> apro mostrandoglie<strong>lo</strong>.<br />

Lui sembra sempre più divertito, sghignazza: «Certo che è lui, anche<br />

se in questa foto sembra un profugo. Che fortuna che hai trovato il suo<br />

portafoglio, sveglio com'è non se ne sarà nemmeno accorto.»<br />

So<strong>lo</strong> adesso mi rendo conto del forte accento straniero del ragazzo.<br />

«Di dove sei?» gli chiedo senza pensarci.<br />

«Lisbona, ma mi sono trasferito qui con Marco sei anni fa.»<br />

«E Marco adesso dov'è?» chiedo con la speranza di riveder<strong>lo</strong> presto.<br />

«Marco? Sarà al parco, gli piace andare in giro a scrivere, non stare<br />

chiuso in camera.»<br />

Appena sento “scrivere” il mio cuore accelera e senza controllarmi<br />

stringo ancora più forte il sacchetto e <strong>lo</strong> interrompo: «Scrivere cosa?»<br />

ma la mia testa comincia a capire, è un risveglio: il nome, la stanza,<br />

tutto mi sembra diverso, tutto mi sembra com’è sempre stato, non<br />

come mi immaginavo.<br />

«Scrivere un romanzo, è il suo lavoro, o almeno questo è quel<strong>lo</strong> che<br />

cerca di fare, mi sembra un po’ in crisi il ragazzo.»<br />

Il mio respiro si fa affannoso, so benissimo dove vuole arrivare, una<br />

voce chiede per me: «Su cosa sta lavorando adesso?»<br />

«Mi chiedi troppo, non mi ricordo, forse la storia di una bambina e un<br />

padre <strong>lo</strong>ntano, qualcosa sull'abbandono, ma potrei sbagliarmi.»<br />

«Non ti sbagli» dico con un fi<strong>lo</strong> di voce, e mi faccio piccola rimanendo<br />

tra i cocci delle mie speranze rotte.<br />

La porta sbatte dietro di me e ritorno scendendo le scale alla realtà.<br />

> :-<br />

29


Virginia avrà un figlio marrone 04<br />

di Alice Tedeschi<br />

> Vibratore - Bastone da passeggio:-<br />

prima di tutto, scegli il font; un carattere che rispecchi quel<strong>lo</strong><br />

che stai per scrivere, non troppo invadente se vuoi che<br />

escano di più i significati delle parole. scelto il carattere, il<br />

suo co<strong>lo</strong>re e la dimensione, se non hai niente da dire, se ti<br />

sei ritrovato, quasi senza motivo, di fronte alla scelta quasi<br />

compiuta, inizierai semplicemente a battere le dita sulla tastiera,<br />

per assuefarti a quel tic tic tic, che se hai le unghie<br />

un po' lunghe è anche più soddisfacente.<br />

per i primi momenti, non avendo la minima idea di cosa<br />

starà per succedere, desidererai avere una macchina da<br />

scrivere, per sentirti più al sicuro, perché quando schiacci<br />

una lettera poi lì rimane impressa e non puoi tornare indietro,<br />

non corri il rischio di rimanere con un pugno di mosche<br />

in mano che, anche se farà schifo, qualcosa sulla carta sarà<br />

rimasto.<br />

quelle che usciranno all'inizio saranno so<strong>lo</strong> parole vuote,<br />

legate all'atto del<strong>lo</strong> scrivere, proprio come adesso.<br />

font scelto, dimensione impostata, co<strong>lo</strong>re simpatico e un po'<br />

illeggibile; desiderata macchina da scrivere; scrivere del<br />

non saper cosa scrivere.<br />

distratto, inizierai a pensare che hai le lenti degli occhiali<br />

sporche, con alcuni a<strong>lo</strong>ni: le pulirai, perdendo così un altro<br />

minuto. vorresti andare a lavarti le mani, di nuovo, come se<br />

averle più pulite facilitasse il tutto, ma tu non cadrai nel tranel<strong>lo</strong>,<br />

tornerai a concentrarti.<br />

devi scrivere, scrivere un racconto, un pezzo che parla di<br />

una ragazza che, non si sa bene ancora come, dovrebbe<br />

essere rimasta incinta, incinta di chi? sempre più sorpresa<br />

dalla surrealtà che, già sai, dovrà caratterizzare il tuo<br />

pezzo. di nuovo ti distrai, è partito un nuovo brano su itunes,<br />

devi controllare com’è scritto perché ti piace e vuoi inserir<strong>lo</strong><br />

nella tua playlist primaverile, se il brano è salvato<br />

con le lettere maiuscole, anche so<strong>lo</strong> l'iniziale, va sistemato,<br />

Virginia 24.5.11 17:17<br />

Formattato:<br />

Tipo di carattere: Calibri,<br />

Evidenziato<br />

> :-<br />

30


è prioritario. <strong>lo</strong> stampatel<strong>lo</strong> minusco<strong>lo</strong> è più pulito, più lineare,<br />

ergonomico.<br />

brano corretto, ora puoi andare avanti. pensi alla vale e a<br />

quel<strong>lo</strong> che ti ha detto: vorrebbe riuscire a vedere lei la tua<br />

protagonista tra le lenzuola, sul letto disfatto, sdraiata a<br />

pancia in giù, con la bocca semiaperta, quasi svenuta,<br />

sfatta, con un vibratore, azzurro rugoso di gomma. lei, che<br />

aprendo gli occhi all'improvviso, colpita dal do<strong>lo</strong>re che la<br />

luce ti provoca dopo una notte di alcol e di chissà cosa<br />

altro, si sveglia, nauseata e maleodorante, l'alito pesante.<br />

E urla, piano: «Aaaaaaaa.» le fa male la testa.<br />

la camera che puzzo ha? la camera fa schifo, di quel<strong>lo</strong><br />

schifo che più la nostra protagonista apre gli occhi, prima<br />

sbirciando, poi richiudendoli e poi riprovando di nuovo «Aaaaaaaaa»<br />

le fa male la testa e più c'è puzzo, e più puzza,<br />

perché lei respira, e anche il suo respiro puzza; più respira<br />

e più puzza, e più puzza e più le viene da vomitare. non<br />

basta aprire la finestra, è un olezzo che servono giorni per<br />

render<strong>lo</strong> così denso.<br />

voglia di avere una federa pulita per respirare a pieni polmoni,<br />

ma no, la tua federa fa schifo.<br />

«Aaaaaaaaaaa.» Le fa male la testa.<br />

Richiude gli occhi e prova a muovere le mani.<br />

le mani come sono? sono mani che da <strong>lo</strong>ntano, se le vedi,<br />

sono belle, le puoi sognare sottili, ma non quelle da pianista<br />

che tutti pensano siano belle, e invece sono so<strong>lo</strong> asessuate:<br />

lei ha mani da femmina, con le unghie smaltate, che<br />

più ti avvicini e più si ingrandiscono, non so<strong>lo</strong> perché sei<br />

più vicino, è che sono proprio grandi, ma comunque, mani<br />

da femmina.<br />

le manone iniziano a muoversi, sì, si muovono da sole, lei<br />

vorrebbe alzarsi ma la vedi, non ci riesce, tutte le sue energie<br />

le fanno so<strong>lo</strong> allungare un braccio, tra le sue gambe.<br />

ancora imbrigliata nel letto, ecco che <strong>lo</strong> sente: gommoso.<br />

non capisce se è lei a essere appiccicosa o quell'oggetto<br />

Virginia 24.5.11 16:46<br />

Eliminato: dellʼincipit,<br />

Virginia 20.6.11 23:59<br />

Eliminato: eccola, prova<br />

a muoversi: cementata in<br />

quelle lenzuola luride,<br />

peli, ancora puzzi, puzzi di<br />

gente che cʼé passata lì,<br />

su quelle lenzuola, che ci<br />

ha lasciato proprio la traccia.<br />

Virginia 21.6.11 00:00<br />

Eliminato: mani un poʼ<br />

robuste, mani che hanno<br />

stretto di tutto, mani<br />

> :-<br />

31


lì; <strong>lo</strong> tasta un po', <strong>lo</strong> sfila e <strong>lo</strong> prende in mano: questa volta<br />

urla, più forte – o almeno così crede. c'è un vibratore nel<br />

suo letto, e non è suo, cioè sì, è il suo, ma è come se non<br />

<strong>lo</strong> fosse, non <strong>lo</strong> usa da almeno un mese, non doveva essere<br />

lì, dentro al letto con lei, infilato su. <strong>lo</strong> sfila, a fatica.<br />

okay, ti sei addormentata con un vibratore tra le gambe, di<br />

solito non capita, questa volta sì, è successo.<br />

Un'ora di rimandi, di voglia di vomitare, di sperare che sia domenica,<br />

sessanta minuti passati incastonata nel letto, perché<br />

non puoi fare altrimenti.<br />

La osservi e ti piace, curioso di sapere cosa si vede, spiato,<br />

se ti ubriachi. E scoprire come questo scriccio<strong>lo</strong> di donna,<br />

sporca e nauseata, non più che trentenne, ci provi, tenti di<br />

issarsi, punti i piedi, prima uno e poi l'altro, e come vorresti<br />

proprio aiutarla, ha bisogno di essere presa sotto le ascelle<br />

e letteralmente tirata su, ha bisogno di aiuto.<br />

Si sforza e meglio di uno spinnaker, con il vento in poppa,<br />

si gioca tutto sul colpo di reni, una bella spinta, barcolla in<br />

avanti, attenzione, rischia di cadere, vacilla all'indietro, sbilanciata,<br />

ripiomba sul letto, questa volta almeno è seduta,<br />

si è liberata, brava.<br />

È stata tenace, sai, non è affatto facile.<br />

«Aaaaaa» com’è freddo il pavimento. «Aaaaaa» come le<br />

fa male la testa.<br />

Seduta finalmente sul talamo riflette, anzi ci prova, non può<br />

semplicemente decidere e imperare, così, su se stessa; inizia<br />

a procedere per tentativi, pochi, faticosi, misurati. Convinta<br />

di riflettere per ore, trascorrono minuti che le<br />

sembrano interminabili, vuoti, o forse sono so<strong>lo</strong> secondi.<br />

Che ti importa, lei, Virginia, non <strong>lo</strong> sa, vorrebbe so<strong>lo</strong> svenire,<br />

su quel letto lercio, svegliarsi domani, fresca come un fiore,<br />

pensare più in là, a riparare la giornata persa.<br />

Ubriachezza = meditazione. Si entra nel tunnel dell'alcol o<br />

in quel<strong>lo</strong> della lucidità: in entrambi i casi, prima o poi, ti ritrovi<br />

con la mente vuota, e sei tanto forte quanto vulnerabile.<br />

La sconfitta di Virginia è dietro l'ango<strong>lo</strong>, la testa, caduta<br />

tra le braccia mentre è ancora in camera nella penombra,<br />

Virginia 24.5.11 16:51<br />

Eliminato: lì dentro di lei<br />

Virginia 24.5.11 16:53<br />

Eliminato: so<strong>lo</strong><br />

> :-<br />

32


la testa le pesa. Più la guardi e più speri, ti chiedi se ne sia<br />

valsa la pena di passare una serata tale, da ridursi così.<br />

Non è proprio il momento di chiederle come diavo<strong>lo</strong> abbia<br />

fatto ad addormentarsi con quel coso dentro.<br />

Devo alzarmi, lavarmi, mangiare. Mi viene da vomitare.<br />

Nausea, odori, fastidio, naso, ancora nausea.<br />

Gola e conati, mi gira la testa.<br />

Non riesco a trattenermi, devo ri-met-te-re.<br />

Cazzo, è giovedì. Devo avvisare, sono in ritardo. Mi viene<br />

da vomitare e non mi ricordo nulla.<br />

Aaaaaaaaaaaaaa. Almeno mi sono svegliata sola, nel letto,<br />

dopo tutto, è già qualcosa.<br />

Doccia.<br />

La vedi, sgambetta Virginia, fino alla doccia, si appoggia<br />

alla plastica del box, da dentro.<br />

Quanto sono odiosi quei pezzi di plastica, claustrofobici, che<br />

se hai mai fatto una doccia in quelle scatolette anguste – di<br />

quelle con il silicone che si è annerito, la plastica opacizzata,<br />

che hanno perennemente quella patina di sporco anche se<br />

le pulisci, che sono vecchie – be’, se <strong>lo</strong> hai fatto, al<strong>lo</strong>ra puoi<br />

capire a che punto di degrado sia arrivata.<br />

È passata una settimana da quando l’hai vista, quella mattina,<br />

perduta.<br />

Oggi dovevano arrivarle le mestruazioni – l’ho capito perché<br />

è uscita dalla doccia, ha vomitato, si è lavata il viso, e ha tirato<br />

fuori gli assorbenti. Ecco, si è dimenticata le mutande<br />

pulite in camera. Corre di là, entra ed esce ve<strong>lo</strong>cemente per<br />

il puzzo che dopo una settimana non è ancora svanito.<br />

Certo se avesse pulito... Ancora lì, che quando entra nella<br />

camera da letto vuole vomitare, ma non le va, quando rimette<br />

le brucia la gola.<br />

Prende le mutandine da un cassetto, scappa in bagno, si<br />

siede sul water e finalmente si libera. Si pulisce con della<br />

carta igienica e scopre il misfatto: certa di trovare sulla carta<br />

un po’ di quei segni che ti avvisano, stanno arrivando, sei<br />

Virginia 21.6.11 00:03<br />

Eliminato: Rimane seduta,<br />

non si capacita di<br />

cosa sia successo, di<br />

come quel vibratore sia<br />

finito lì, su quel letto.<br />

Virginia 21.6.11 00:03<br />

Eliminato: , e poi, dal<br />

suo comodino, é inspiegabile<br />

come sia arrivato<br />

tra le sue cosce, e, come<br />

poi, lei, sia riuscita a dormirci,<br />

sopra.<br />

Virginia 24.5.11 16:57<br />

Eliminato: Speriamo almeno<br />

sia venuta, addormentandosi<br />

di piacere.<br />

Virginia 21.6.11 00:30<br />

Eliminato: Cazzo,<br />

cazzo, cazzo.<br />

> :-<br />

33


ancora fertile e no, non sei incinta: nulla, nessuna traccia.<br />

Si accende la turbina <strong>dei</strong> pensieri, assurdi.<br />

«Non ci crederai, ma quando hai paura di essere rimasta<br />

incinta le pensi tutte, dalla prima all'ultima.»<br />

«Ritardo.»<br />

Quanto ritardo? Chi è stato? Con chi ero quella notte, non<br />

<strong>lo</strong> so. Cazzo. Sono incinta? Okay, calma – prometto che<br />

non <strong>lo</strong> faccio più. Vibratore. Ho usato il vibratore. No, oggi<br />

rimango a casa. Cazzo. E se sono incinta? 30 anni, <strong>lo</strong><br />

tengo. Ma poi <strong>lo</strong> cresco da sola? Magari è femmina. Non<br />

sono stata con nessuno. Okay faccio il test. No, non <strong>lo</strong> faccio,<br />

tanto è negativo, ora arrivano, ora se mi concentro le<br />

sento, forse devo stare più in piedi, farle scendere. Se mi<br />

convinco che non sono incinta e non mi stresso, ritardano<br />

meno. Cazzo. Okay faccio il test.<br />

Sta facendo pipì sul test di gravidanza, aspetta un attimo,<br />

le serve un minuto.<br />

Mi sa che è positivo.<br />

Perché?<br />

È svenuta. Letteralmente, con il cu<strong>lo</strong> per aria.<br />

Sì, sì, mi sa che è positivo.<br />

Mh. E di chi è? Sono stata a letto so<strong>lo</strong> con il mio vibratore.<br />

Mese di magra. Meglio così. Incinta di un vibratore? Naaaaaaaa.<br />

Non posso avere un figlio blu. Chiamo. Chi<br />

chiamo? Chiamo Giulia.<br />

«Giulia?»<br />

«Ciao.»<br />

«Okay, non prendermi per pazza.»<br />

«Non posso essere incinta di un vibratore?»<br />

«Sì, un fal<strong>lo</strong> di gomma, hai capito benissimo.»<br />

«Sì, quel<strong>lo</strong> celeste.»<br />

«Daiiii. Non ridere.»<br />

«Dici di no, eh?»<br />

«Okay, quindi falso allarme. Ma sei proprio sicura?»<br />

Virginia 24.5.11 17:01<br />

Eliminato: , ma<br />

Unknown<br />

Eliminato:<br />

Virginia 24.5.11 17:02<br />

Eliminato: porca puttana.<br />

Virginia 24.5.11 17:03<br />

Eliminato: Chiamo Giulia<br />

Virginia 24.5.11 17:05<br />

Eliminato: .<br />

> :-<br />

34


«Lascia stare, ti spiego poi, smettila di ridere. Stronza.»<br />

«Sì, ti chiamo dopo.»<br />

«Cià. »<br />

Arriva, raggiunge Virginia, un po' di tristezza, perché la musica<br />

nelle orecchie ti ricorda di tempi passati. Pensa<br />

d’amore: noioso, inflazionato, argomento sviscerato in ogni<br />

suo aspetto, raccontato da tutti, ma tu ci entri comunque,<br />

in quest'atmosfera triste, e lei è triste, perché è sola, e non<br />

ricorda dov’è stata quel giovedì notte, durante la quale il vibratore,<br />

audace, l'ha fecondata.<br />

Triste di sensazioni amare, in una camera in penombra,sul<br />

divano. Sofà di velluto gial<strong>lo</strong>, brutto, vecchio, così vecchio<br />

che non <strong>lo</strong> puoi nemmeno spacciare per vintage, ed è l'imbrunire,<br />

è tornata da poco a casa, e non le fa più male la<br />

testa ma «Aaaaaa.» Le viene da vomitare.<br />

Sono già iniziate le nausee, e quella testa piccola, ora, è<br />

volutamente tra le sue mani, sembrano essere le sole, questa<br />

sera, a sostenerla, mentre pensa a questo figlio che blu,<br />

lei, forse, non vuole.<br />

Suona un uomo il suo campanel<strong>lo</strong>.<br />

Virginia ha un vicino, è brutto, claudicante, è un essere insignificante,<br />

di cui non ti voglio neanche parlare. La sua<br />

massima espressione è il rumore, quando cammina appoggiato<br />

a quel bastone ogni passo si trascina, perché in questa<br />

storia è tutto consumato, anche la gomma sotto al pezzo<br />

di legno, e anche lui, che sembra di certo più anziano; di lui<br />

Virginia ha sempre avuto un po’ pena, forse per questo <strong>lo</strong><br />

ha sempre evitato.<br />

Lui <strong>lo</strong> vedi sulla porta, incerto, non sa se entrare o meno in<br />

casa, e lei, che <strong>lo</strong> guarda assente, non <strong>lo</strong> invita a entrare, e<br />

lui quindi non si muove e, fermo lì, con un foglio macchiato<br />

e piegato in mano, le tende il braccio.<br />

«L'hai scritto l'altra notte, è tuo.»<br />

Virginia prende il foglio teso, lascia il vicino sulla porta e in<br />

Virginia 24.5.11 17:04<br />

Eliminato: Grazie.<br />

Virginia 24.5.11 17:04<br />

Eliminato: Ciao<br />

Virginia 24.5.11 17:05<br />

Eliminato: Ecco, arriva<br />

Virginia 21.6.11 00:05<br />

Eliminato: Perché é<br />

John Lennon, e perché<br />

parla dʼamore.<br />

Virginia 21.6.11 00:06<br />

Eliminato: notte<br />

Virginia 21.6.11 00:06<br />

Eliminato: - no, non la<br />

camera da letto - ora é<br />

Virginia 21.6.11 00:10<br />

Eliminato: il vicino<br />

Virginia 24.5.11 17:07<br />

Eliminato: che fa rumore,<br />

Virginia 24.5.11 17:08<br />

Eliminato: , anche se a<br />

Virginia, ha sempre ispirato<br />

un poʼ di tenerezza,<br />

come tutti, del resto.<br />

Virginia 24.5.11 17:10<br />

Eliminato: consunto<br />

> :-<br />

35


igoroso silenzio <strong>lo</strong> spiega, <strong>lo</strong> legge, arrossisce, strabuzza<br />

gli occhi, sbatte la porta, si appoggia sulla porta chiusa<br />

come se il suo corpo fosse necessario a tenerla chiusa, e<br />

di nuovo, Virginia, viene a mancare: è svenuta, scivolando<br />

sulla porta, e ora, accovacciata sul pavimento, intravedi<br />

quel testo, quel foglio, la memoria di quella notte, la confessione<br />

di una <strong>perso</strong>na che ormai non esiste più.<br />

Una settimana, due svenimenti, un vibratore e un bastone<br />

da passeggio, questa è la sua storia. Il vicino, la settimana<br />

prima, aveva bussato alla sua porta, ed era tardi, era sera,<br />

la musica troppo alta, a sentir lui, forse era so<strong>lo</strong> tutta una<br />

scusa. Virginia già alticcia <strong>lo</strong> aveva invitato, quella volta, a<br />

entrare, gli aveva servito da bere, avevano esagerato,<br />

aveva servito di nuovo da bere, avevano iniziato a parlare<br />

di solitudine e per sentirsi meno soli si erano avvicinati, così<br />

vicini, così ubriachi, così tanti. Virginia aveva trovato, tra alcune<br />

foto che gli aveva mostrato, un foglio, pensieri di una<br />

Virginia più forte, non compromessa.<br />

I ricordi affiorati di quella notte. Virginia è incinta, no, non<br />

del vibratore.<br />

Virginia avrà un figlio.<br />

Virginia è incinta, incinta sul serio.<br />

Il padre chi è?<br />

Come, non <strong>lo</strong> hai ancora capito?<br />

È il bastone da passeggio.<br />

Sul foglio cosa c’è scritto? Leggi qui sotto.<br />

“Non sono così.<br />

Mi passano davanti cercando di annientare la <strong>lo</strong>ro femminilità<br />

nel vano tentativo di disperderla tra i lunghi corridoi.<br />

Quel non portare il profumo per non lasciare la scia. Quell'essere<br />

donne so<strong>lo</strong> per cura, non per passione. Sorrido di<br />

fronte alla <strong>lo</strong>ro disperazione.<br />

Le osservo e mi sento femmina.<br />

Le sorprendo sbottonarsi un poco in discorsi da bagno,<br />

ignare e ironiche. Le ascolto spar<strong>lo</strong>ttare quando, così unicamente,<br />

sono sfacciate e sincere: mentre fanno la pipì, sedute.<br />

Piene di occhiali. I capelli corti. Il trucco inesistente che mi<br />

spacciano per elegante.<br />

Le scorgo indossare maglioni con colli così alti che ho pena.<br />

Virginia 24.5.11 17:10<br />

Eliminato: in silenzio,<br />

Virginia 24.5.11 17:11<br />

Eliminato: arrossisce,<br />

Virginia 24.5.11 17:12<br />

Eliminato: di nuovo,<br />

Virginia 24.5.11 17:16<br />

Eliminato: Una settimana,<br />

due svenimenti,<br />

un vibratore ed un bastone<br />

da passeggio, questa<br />

é la sua storia.<br />

> :-<br />

36


Provo un sincero dispiacere per tutti quegli uomini che, maschi,<br />

dovranno scorgere i <strong>lo</strong>ro seni.<br />

Ascolto racconti da uomini, in toilettes per donne. Fuori da<br />

quelle mura disinfettate ogni ora riprendono la mesta giornata<br />

le ragazze di gesso. Tra i lavandini sono femmine<br />

d'oro, delle umane con sesso.<br />

Lo negheranno, arrossendo scapperanno, orecchie felpate<br />

e occhi velati. Torneranno a casa, dopo l'ennesima giornata vissuta<br />

così. Rifletteranno, non potranno fare a meno di darmi ragione.<br />

Come me, proveranno. Sentiranno vibrare i sensi, tese<br />

come corde di violino. Ripenseranno a quel<strong>lo</strong> che ho scritto,<br />

ascolteranno me, paladina di ovvietà.<br />

Posso far<strong>lo</strong> come voglio, dire cosa sento, tacere oppure no.<br />

Ho una vita tra le cosce.<br />

Gioco con i sensi e l'immaginazione.<br />

Fuori i timori, benvenute le scoperte.<br />

Fuori tutti gli altri, benvenuti vibratori.<br />

Immagino mani di maschio. Le sue dita sulla schiena. Il tenermi<br />

salda e calda.<br />

Mi frugo, mi percorro, mi lusingo, mi moltiplico di gioia. Amplifico<br />

i sensi.<br />

Sono una donna che si prende.<br />

Mi sintonizzo, armonica, sincera, dedita, bella.<br />

Mi racconto con brividi di lento piacere.<br />

Potrei non dover più cercare maschi e sesso.<br />

Potrei lanciarmi esclusivamente in rapporti così cerebrali<br />

da farli durare per sempre.<br />

Potrei tenere per me il succo.<br />

Cambio le batterie e ricomincio.<br />

Mi scivo<strong>lo</strong> di nuovo tra le mani.<br />

So che siamo due sessi. Imparo a fare la mia parte, non<br />

aspetto per sempre, mi aiuto.<br />

Non cerco l'amore nel sesso.<br />

Non sento il nitrire del caval<strong>lo</strong> bianco tra le lenzuola.<br />

Il principe azzurro, fuori dal letto, mi aspetta impettito nel<br />

suo ampio mantel<strong>lo</strong>. Lascia il destriero, candido e mansueto,<br />

legato qui fuori, di fronte al portone. Suona la porta<br />

ed esco di casa, apro la porta, la pelle distesa, <strong>lo</strong> sguardo<br />

leggero. Sorrido del sesso sedato.”<br />

Virginia, avrà un figlio marrone.<br />

Virginia 24.5.11 17:13<br />

Eliminato: Il vicino, la<br />

settimana prima, le<br />

aveva suonato ancora<br />

alla porta, ed era tardi,<br />

era sera, la musica<br />

troppo alta, a sentir lui.<br />

Virginia per stemperare<br />

la tensione, <strong>lo</strong> aveva invitato,<br />

quella volta, ad entrare,<br />

gli aveva servito da<br />

bere, avevano iniziato a<br />

parlare di solitudine e,<br />

per sentirsi meno soli, si<br />

erano avvicinati, così vicini,<br />

così ubrachi, così<br />

tanti.<br />

Virginia adesso ricorda<br />

tutto di quella notte, sì,<br />

hai ragione, é incinta, no,<br />

non del vibratore.<br />

Virginia avrà un figlio,<br />

Virginia é incinta, il<br />

padre?<br />

Come non <strong>lo</strong> hai ancora<br />

capito?<br />

È stato il bastone da<br />

passeggio.<br />

Adesso lei sa, avrà un figlio<br />

marrone.<br />

> :-<br />

37


Altrove 05<br />

di Anna Ornaghi<br />

> Bastone da passeggio - fumetto manga:-<br />

“L’anima è la prigione del corpo.”<br />

Michel Foucault<br />

Vorrei che mi allacciassi le scarpe, che mi togliessi il grasso del prosciutto,<br />

vorrei che mi soffiassi il naso. Prenditi cura di me, amore mio.<br />

Ti prego, comprami il gelato, mi sporcherò, tu mi pulirai con un fazzoletto<br />

dopo aver<strong>lo</strong> bagnato con la tua saliva, poi correndo cadrò, piangerò,<br />

tu ti preoccuperai ma sarà so<strong>lo</strong> un graffietto e ci metteremo il<br />

cerotto con gli animaletti.<br />

Gioia mia, ho voglia di sporcare tutta la cucina, di usare un sacco di<br />

piatti e di posate, di tagliare, mischiare, di imburrare una teglia, cuciniamo<br />

una torta insieme, al cioccolato, e poi mangiamola subito, ancora<br />

calda, mangiamola tutta noi due.<br />

Saltiamo sul letto, tiriamoci le cuscinate, poi facciamo la <strong>lo</strong>tta, ci faremo<br />

il solletico, ci daremo i pizzicotti, e i morsi, e anche i baci. Ci aggroviglieremo,<br />

ci annoderemo tutti e ti si scoprirà un capezzo<strong>lo</strong> per sbaglio.<br />

Al<strong>lo</strong>ra io vorrò vederle tutte le tue belle tette, tu farai finta di non voler<strong>lo</strong>,<br />

io farò finta di crederti, e tenterò di convincerti, ti terrò ferme le mani,<br />

ti alzerò la maglietta, ti vergognerai, con quel trepidante pudore che,<br />

dio mio, e io starò in silenzio apposta, in religioso silenzio per sentire<br />

che ansimi, e aspetterò qualche secondo prima di toccarti, e quando<br />

<strong>lo</strong> farò non potrai fare a meno di gemere. Spogliamoci, anima mia, ti<br />

voglio tutta nuda, in fretta, e voglio sentirti gemere ancora, voglio farti<br />

gemere, voglio farti godere, vieni qui, voglio metterte<strong>lo</strong> subito, anche<br />

le dita in bocca, ti entro da tutte le parti, mia, sei mia.<br />

Mia. Ma cosa cazzo dico? Mia, ma chi?<br />

No, non ce la faccio, non ce la faccio più. Non posso nemmeno farmi<br />

una sega. Non riesco più ad aver voglia di niente, eccetto di te, che<br />

nemmeno esisti.<br />

Piango, per me, per te, sarebbe bel<strong>lo</strong> se qualcuno mi accarezzasse i<br />

capelli, me li accarezzo da so<strong>lo</strong> e finalmente mi addormento.<br />

Daniele non la conosceva affatto. Si erano parlati una volta soltanto.<br />

«Ma secondo te qui <strong>lo</strong> trovo un bastone da passeggio?»<br />

Una domanda di un'assurdità disarmante a cui aveva saputo rispon-<br />

> :-<br />

38


dere so<strong>lo</strong> con un ottuso forse. Lei aveva cinguettato grazie ed era volata<br />

via senza nemmeno chiedere dove.<br />

È sconfortante pensare come nel corteggiamento gli animali si facciano<br />

belli e gli esseri umani invece si facciano scemi. E <strong>lo</strong>ro due in<br />

quel momento si erano fatti proprio scemi.<br />

Lei era tornata indietro, e tra le poche parole che si erano scambiati<br />

c'erano state anche "caffè" e "venerdì".<br />

Era lunedì, e quella fu una settimana bellissima. Quel dia<strong>lo</strong>go surreale<br />

era stato una manna per la sua immaginazione.<br />

Era già da un po' che Daniele la guardava. La vedeva spesso passare<br />

al supermercato tra gli scaffali ben ordinati, a orari sempre diversi,<br />

senza mai un carrel<strong>lo</strong> o un cestino, con pochi prodotti ingarbugliati fra<br />

le mani e in procinto di cadere; proprio come i suoi vestiti, spalline disobbedienti<br />

la spogliavano volentieri lasciando nude le sue femminee<br />

clavicole e il <strong>lo</strong>ro lato opposto, quell'irresistibile momento in cui il col<strong>lo</strong><br />

diventa schiena. Non sapeva neanche il suo nome ma la pensava tantissimo,<br />

passava ore in attesa di poter raccogliere qualche secondo<br />

della sua identità, qualche fi<strong>lo</strong> del suo mondo con cui poi cucirle addosso<br />

storie che non erano la sua ma che, così gli sembrava, le calzavano<br />

alla perfezione.<br />

G<strong>lo</strong>ssava il suo modo di vestire, la sua voce, il cibo che sceglieva, parafrasava<br />

i suoi passi un po' dispari e ci leggeva dentro un'identità insolita,<br />

proprio quel tipo di <strong>perso</strong>nalità di cui si sarebbe potuto<br />

innamorare.<br />

Ti compri il burro e la marmellata perché ti piace la colazione più di<br />

tutti gli altri pasti. Quando c’è il sole la fai sul balcone, anche se fa<br />

freddo, ti avvolgi nella coperta, ti metti il cappel<strong>lo</strong> e la sciarpa. L’hai<br />

fatta tu quella sciarpa, con l’uncinetto, l’hai fatta che era giugno però<br />

e faceva caldo, lavoravi al parco, in costume, con le cuffie nelle orecchie,<br />

hai un vecchio lettore cd portatile, che tieni chiuso con un elastico<br />

azzurro. Hai anche un giradischi a casa, comprato per quattro soldi a<br />

un mercatino dell’usato, un giorno, a settembre. Ami i mercatini dell’usato,<br />

l’odore della polvere, le storie che raccontano gli oggetti. Ci<br />

ascolti la musica classica, a volume basso, seduta per terra, ti piace<br />

Bartók, Schönberg, le <strong>lo</strong>ro note un po’ storte, la disarmonia, come del<br />

resto ti piacciono tutte le cose in bilico. Cammini sul ciglio del marciapiede<br />

infatti, sui muretti, e ogni tanto cadi anche, perché sei maldestra,<br />

e ridi forte quando succede.<br />

Non che fosse del tutto inconsapevole dell'assurdità della sua infatua-<br />

> :-<br />

39


zione, ma non poteva fare a meno di continuare a fantasticare e a invaghirsi.<br />

Disegnava lui stesso questa amorosa spirale di Fraser e<br />

quindi conosceva bene l'illusorietà <strong>dei</strong> suoi cerchi concentrici, ma non<br />

so<strong>lo</strong> continuava a vedere al <strong>lo</strong>ro posto un inesistente vortice, si faceva<br />

addirittura trascinare nel mezzo delle sue sleali volute.<br />

Alienante, forse, ma magnetico. Daniele era incantato dai suoi stessi<br />

giochi di prestigio e trovava più vero il <strong>lo</strong>ro inganno che la realtà della<br />

sua esistenza. Come quando continui a masticare una cicca anche se<br />

è diventata stopposa e insapore, ecco, così andava la sua vita.<br />

Faceva il macellaio, nonostante tentasse di essere vegetariano, in un<br />

grande ipermercato, nonostante si dichiarasse marxista, dal lunedì al<br />

venerdì, nonostante la convinta ostilità contro la settimana e in generale<br />

contro qualsiasi altra cosa che fosse standardizzata.<br />

Sono so<strong>lo</strong> quattro ore al giorno, so<strong>lo</strong> per pochi mesi. Il mondo poi mi<br />

porterà da qualche altra parte, no? Non posso pensarci io a dove portarmi,<br />

e non posso pensarci adesso. Non posso, <strong>lo</strong> sai anche tu. Ora<br />

vorrei soltanto non dico una stanza, ma almeno un posto letto più vicino<br />

al centro, dovrei trovare un coinquilino, ti piacerebbe essere la<br />

mia coinquilina? Co<strong>lo</strong>riamo le pareti di gial<strong>lo</strong>, piantiamo il basilico fuori<br />

dalla finestra della cucina, compriamo due pesciolini rossi, Capodoglio<br />

e Cleo, cosa ne dici? Preferisci un gatto? Però a un gatto gli dobbiamo<br />

dare nome e cognome: Giannino Stoppani, ti piace? Mi regalerai delle<br />

ciabatte brutte, le comprerai dai cinesi qui sotto, e comprerai anche<br />

delle candele, viola, rosse, bordeaux, e un nauseante incenso alla cannella<br />

che non ti permetterò mai di bruciare. C'è anche un discount lì<br />

vicino, metteremo i cestini alle bici per portare la spesa, però il pane<br />

<strong>lo</strong> prendiamo dal panettiere, compriamo pure la focaccia, e ne portiamo<br />

un pezzo anche a Giannino.<br />

<strong>Sogni</strong> <strong>lo</strong>w-cost che <strong>lo</strong> facevano sorvolare sulla scortesia <strong>dei</strong> clienti, sul<br />

ritardo del treno, sulla coda alle macchinette. Pensava di tutelarsi, di<br />

proteggere quel<strong>lo</strong> che era o che credeva di essere, tenendo<strong>lo</strong> <strong>lo</strong>ntano<br />

da quel<strong>lo</strong> che si trovava a fare, e così prendeva le distanze dalla sua<br />

vita e la sbirciava da là, come se non riguardasse veramente lui ma<br />

qualcun altro.<br />

Erano stati i mesi dopo la laurea ad aver cominciato a parlare di quella<br />

<strong>perso</strong>na con cui non si identificava per niente: lui non era un macellaio,<br />

non viveva nella triste provincia di una città che detestava, non faceva<br />

gli stessi orari tutti i giorni, la stessa strada. No, lui era tutt'altro e se<br />

ne stava, esiliato dalle sue giornate, a fare tutt'altro. Dovunque fosse<br />

> :-<br />

40


era altrove, in un disperato, inconsapevole tentativo di crearsi una vita<br />

<strong>lo</strong>ntano dalla propria.<br />

Signore, vuole una mano? Gliela porto io la valigia, dove abita? Ah ma<br />

non è <strong>lo</strong>ntano, la accompagno volentieri.<br />

No, non ho ancora mangiato. Ma si figuri, non voglio disturbarla, davvero,<br />

vado a casa, abito qui a due passi.<br />

No no, non faccio complimenti.<br />

E va bene, se ci tiene così tanto, mi fermo.<br />

Piacere signora, scusi il disturbo ma suo marito ha insistito tanto. Ah,<br />

già in tavola? Dove scusi? Di qua? Ma che bel<strong>lo</strong>, io amo il glicine. Deve<br />

avere un sacco di anni questa pianta. Sì, con il sole fa proprio un effetto<br />

meraviglioso.<br />

E invece il sole non c’era. Pioveva, e quel signore anziano, che da so<strong>lo</strong><br />

trascinava faticosamente la sua valigia, aveva ormai girato l’ango<strong>lo</strong>.<br />

Daniele camminava verso casa, e intanto consumava quell’etereo<br />

pasto, una grossa bottiglia di vino, l’etichetta scritta con la penna, il<br />

suono del primo bicchiere, ascoltando storie di partigiani da una voce<br />

malferma, sotto un vecchio pergolato coperto di fiori lilla.<br />

Purtroppo a fine pasto si beve il caffè. Era tutto il giorno che tentava di<br />

stare alla larga da questo pensiero ma ovunque andasse si ritrovava<br />

proprio lì, in quell’amaro caffè dov’erano annegate le sue speranze.<br />

Venerdì era arrivato pestando i piedi sulle scale, un rumore forte e imminente.<br />

Tremando gli aveva aperto la porta, e invece il fatidico giorno<br />

gli era passato in mezzo alle gambe, strisciando come una serpe, rapido<br />

era sgusciato via, lasciando di sé so<strong>lo</strong> il suo veleno pulsante.<br />

Finalmente erano riusciti a parlarsi per più di qualche secondo, <strong>lo</strong>ntano<br />

da controfiletti e trita scelta, seduti al tavolino di un bar. Credeva che<br />

sarebbe stato magico il momento in cui avrebbero cominciato a conoscersi,<br />

se <strong>lo</strong> immaginava assoluto, senza i contorni delle circostanze,<br />

<strong>lo</strong>ro due e nient'altro, mentre il mondo sarebbe di certo scomparso, e<br />

invece c'erano stati i semafori, <strong>lo</strong> sgocciolio degli ombrelli, le monete,<br />

la segatura per terra. Un contesto prosaico, un palco illuminato al neon<br />

e <strong>dei</strong> pessimi attori a recitarci sopra un copione penoso. Era scontento<br />

di sé, delle sue mani imbarazzate, <strong>dei</strong> suoi silenzi che tamburellavano<br />

il tavo<strong>lo</strong> e di tutto il resto, tutto il suo solito, timido, maledetto resto.<br />

Ma incredibilmente era ancora più scontento di lei, che aveva tradito<br />

tutti i co<strong>lo</strong>ri che si portava addosso. In pochi minuti aveva brutalmente<br />

scacciato tutte le fantasticherie che Daniele aveva messo ad abitare<br />

nel suo corpo. Parlava di sé in terza <strong>perso</strong>na, usava espressioni come<br />

> :-<br />

41


un minutino, le scarpette, fa calduccio; nella borsa aveva un dannato<br />

smartphone con la cover fucsia e un inutile winny the pooh impiccato<br />

a un ango<strong>lo</strong>, e le salviettine profumate.<br />

Ma soprattutto gli aveva scritto il numero di telefono su un fumetto<br />

manga, consigliandogli pure di legger<strong>lo</strong>. In un'ipotetica classifica di fastidio<br />

Daniele avrebbe messo i manga al pari degli uffici postali, <strong>dei</strong><br />

babbi natale appesi ai balconi e di Mr. Lui.<br />

Ma perché leggi queste stronzate? Tu dovevi leggere poesie, dovevi<br />

scriverme<strong>lo</strong> su un pentagramma il tuo numero, su uno scontrino del<br />

fioraio, l’avrei appeso al frigo, con una calamita a forma di carota.<br />

Come faccio ad appender<strong>lo</strong> questo robo?<br />

Se <strong>lo</strong> rigirava tra le mani, faceva scorrere le pagine ve<strong>lo</strong>ci per sentirne<br />

il rumore e l’aria, odorava di plasticaccia; poi guardò a lungo negli<br />

enormi occhi della ragazza in minigonna sulla copertina, lei non gli rispose<br />

nulla, continuò ad ammiccare e basta.<br />

Lo aprì: una calligrafia rotonda, larga, un numero e un nome. La rivide<br />

mentre <strong>lo</strong> scriveva, il tintinnio <strong>dei</strong> suoi tanti braccialetti co<strong>lo</strong>rati. La rivide<br />

mentre <strong>lo</strong> leggeva, stavi seduta per terra, ci scommetto, su un tram affollato,<br />

una mano nei capelli arruffati, il tuo viso morbido, il tuo bel sorriso<br />

asimmetrico con cui avrai di certo risposto agli sguardi di<br />

disapprovazione degli altri passeggeri.<br />

Sorrise.<br />

> :-<br />

42


Blue ink. Un inchiostro blu sbiadito 06<br />

di Irina Marazzi<br />

> fumetto manga- ricettario:-<br />

«Scusa, ho dormito tutto il viaggio. È ancora l’effetto del jet lag.»<br />

Il volto di Kazuko venne travolto da uno sbadiglio che lei cercò di trattenere<br />

con il suo pudore e con la mano di porcellana che spuntava<br />

dalla giacca di panno blu.<br />

Una sensazione di inaspettata familiarità l’aveva accompagnata durante<br />

tutto il tragitto accanto ad Anita, inconsapevole pedina del suo<br />

destino e spensierato connubio di ilarità e leggerezza distribuiti in un<br />

metro e ottanta centimetri di una magrezza spontanea.<br />

Il suo invito era arrivato la sera prima, preceduto so<strong>lo</strong> da un tecno<strong>lo</strong>gico<br />

bip bip: “Sabato parto per la campagna, vado a trovare mio padre, sei<br />

<strong>dei</strong> nostri? Ti prometto buon vino, lunghe dormite e un po’ di lezioni di<br />

italiano. A.”<br />

Kazuko aveva guardato fuori dalla finestra alzando gli occhi al cie<strong>lo</strong><br />

sereno, portando il pensiero a quei film neorealisti con le ragazze in<br />

Vespa sulle colline e la famiglia riunita intorno a una tavola con la tovaglia<br />

a scacchi. Poi era tornata alla realtà, che sapeva molto di più di<br />

interessi condivisi e di una strana attrazione per quel mondo <strong>lo</strong>ntano<br />

dal suo, ma che sapeva accoglierla con un ca<strong>lo</strong>re e una naturalezza<br />

da crearle dipendenza fisica.<br />

Dieci e mezza. Calle de la Misericordia, 11. Kazuko era lì, in piedi davanti<br />

al portoncino di legno un po’ délabré avvolta nella sua eleganza<br />

minimal, che le dava l’aria di un’illustrazione ad acquarel<strong>lo</strong> appoggiata<br />

lì per caso da un artista di strada.<br />

Le due esili figure bagnate dalla pioggia, impacciate nei <strong>lo</strong>ro scambi<br />

verbali da secondo incontro, si erano lasciate trasportare dalla lenta<br />

andatura del vaporetto che le avrebbe condotte alla <strong>lo</strong>ro terza compagna<br />

di viaggio: la vecchia Cinquecento di cui la bionda andava fiera<br />

come di un pesce rosso un bambino dell’asi<strong>lo</strong>. Anita guardava avanti<br />

dominando la strada con la stessa decisione con cui era solita affrontare<br />

tutte le sue partenze, con o senza un motore sotto gli ischi.<br />

«Non ti preoccupare, sono abituata a viaggiare da sola» disse incli-<br />

> :-<br />

43


nando l’ango<strong>lo</strong> della bocca in un sorriso, «e poi i Beady Eye mi hanno<br />

tenuto compagnia». Infilò la mano sotto il volante e senza mai distogliere<br />

il suo sguardo dalla linea tratteggiata che delimitava la striscia<br />

di asfalto di sua pertinenza, estrasse la custodia scalcagnata di un cd,<br />

dove troneggiavano i bronci del gruppo inglese. Il contachi<strong>lo</strong>metri ondeggiava<br />

tra i settantacinque e gli ottanta chi<strong>lo</strong>metri orari e l’automobile<br />

sembrava sospesa sull’asfalto umido.<br />

Anita adorava girare la chiave del motore e arrivare rapidamente alla<br />

quarta, le dava un senso di libertà che la inebriava come una piccola<br />

sbornia. Il motore acceso e l’autoradio a tutto volume erano una delle<br />

cose che le mancavano di più da quando, dal paese sulle colline dov’era<br />

cresciuta, si era trasferita nella città <strong>dei</strong> canali, delle gondole e<br />

<strong>dei</strong> turisti d’assalto.<br />

Aprì il finestrino motorizzato e inspirò a tutte narici l’aria frizzantina che<br />

entrava scompigliandole l’ingestibile nido di ricci biondi. L’occhio di Kazuko<br />

nascosto dall’obiettivo della sua Canon immortalava quegli istanti<br />

con scatti ve<strong>lo</strong>ci sull’inchiostro digitale.<br />

Dopo meno di un giro di lancette la Cinquecento rossa sterzò infilandosi<br />

in una stradina sterrata, varcò le lance verdi arrugginite del cancel<strong>lo</strong><br />

e frenò sulla ghiaia gracchiante alla fine del viale.<br />

Il professor M. era lì, fermo e vigile come un gabbiano che scruta l’orizzonte<br />

appollaiato sull’albero di una barca in attesa di scorgere un movimento<br />

di onde che gli dia il via per partire in planata sul<strong>lo</strong> schermo<br />

lucido dell’acqua.<br />

«Un’ora e dieci minuti scarsi. Ti piace proprio tirare quel povero motore».<br />

La sua voce pacata e ferma attraversò il portico ombreggiato e<br />

diede il benvenuto alle due ospiti.<br />

Anita allungò le sue gambe da fenicottero avvolte nei jeans azzurrini,<br />

le lasciò cadere leggere dall’auto sbattendo con decisione la portiera<br />

e si diresse verso la porta d’ingresso fingendo di non preoccuparsi <strong>dei</strong><br />

bagagli e della sua ospite. Il professore si diede un picco<strong>lo</strong> slancio per<br />

alzarsi dalla sedia di vimini, sulla quale aveva deciso di abbandonarsi<br />

nel pomeriggio alla lettura di uno <strong>dei</strong> libri che avevano segnato la scoperta<br />

della sua passione per le culture del mondo. La ragazza dalla<br />

pelle di mandorla era in piedi davanti all’auto, abbandonata dall’amica<br />

al suo destino.<br />

Rimasero per un breve e interminabile momento in silenzio, uno di<br />

fronte all’altra, illuminati da ombre lunghe che si protraevano dai <strong>lo</strong>ro<br />

corpi cercando di avvicinarli.<br />

> :-<br />

44


Quel silenzio non cercato si interruppe troppo presto: «Tu devi essere<br />

K., Anita mi ha parlato molto di te». La figura elegante avvolta in un<br />

lino beige si avvicinò e prese sottobraccio la nuova arrivata. Le due<br />

ombre ormai intrecciate voltarono le spalle al cancel<strong>lo</strong> come a un pubblico<br />

immaginario ed entrarono finalmente sul palcoscenico della <strong>lo</strong>ro<br />

futura messa in scena, Villa Ghiandaia.<br />

Era un edificio <strong>dei</strong> primi del Novecento che nella facciata esterna conservava<br />

il fascino di una signora ultracentenaria i cui tratti rivelano l’antica<br />

bellezza: un intonaco rosa pallido da cui spuntavano grandi<br />

finestre come occhi dipinti di verde e un portico accogliente e intimo<br />

come un abbraccio materno. La casa era tenuta in perfetto ordine, nonostante<br />

da qualche anno rimanesse vuota per molti mesi consecutivi.<br />

L’ambiente non aveva niente di tetro, anzi, nonostante l’assoluta assenza<br />

di elementi d’arredo moderni e di una cura femminile, trasmetteva<br />

una freschezza e una disinvolta classe che le perdonavano le<br />

tarme sui tappeti e il miscuglio di stili e co<strong>lo</strong>ri delle stoffe e <strong>dei</strong> mobili.<br />

Dopo qualche minuto dal <strong>lo</strong>ro arrivo, Anita aveva già occupato la sua<br />

postazione preferita, la grande cucina al piano terreno, dove ogni cosa<br />

conservava il ricordo delle donne di quella casa. Canticchiava e rumoreggiava<br />

spostando piatti e pentolame e, come un’attrice sulla scena,<br />

ripeteva ad alta voce il nome di tutto quel<strong>lo</strong> che toccava, quasi a volerne<br />

definire la presenza, per paura di dimenticarsi qualche strumento<br />

fondamentale per la sua rappresentazione finale.<br />

Kazuko, attratta da quell’orchestrare di me<strong>lo</strong>dia, rumori e profumi, decise<br />

di rimandare l’esp<strong>lo</strong>razione <strong>dei</strong> piani alti e si lasciò condurre lentamente<br />

alla fine del corridoio per raggiungere la cucina.<br />

«Eccoti. Ti stavo aspettando. Perché ci hai messo tanto? Papà ti ha<br />

dato fastidio?» Anita scoppiò in una risata fragorosa e palesemente<br />

forzata. «Be’… benvenuta nel mio regno!» disse con tono stentoreo,<br />

«qui gli uomini non ci mettono piede. Non ci hanno mai messo piede.<br />

Papà <strong>lo</strong> sa, infatti se ne sta alla larga.»<br />

Come un direttore di giochi prese in mano il suo libretto d’istruzioni e<br />

<strong>lo</strong> lanciò sul tavo<strong>lo</strong>ne in marmo di fronte a lei, senza mai distogliere <strong>lo</strong><br />

sguardo dal viso immobile dell’amica.<br />

Era un quaderno comune dalla copertina verde consumata sugli angoli.<br />

Le pagine ingiallite erano riempite da una calligrafia blu sbiadita<br />

che aveva trascritto minuziosamente ricette, indicato misure, ingredienti,<br />

impreziosendo il tutto con qualche schizzo dal tratto infantile.<br />

Kazuko iniziò ad analizzare il contenuto del libretto cercando di na-<br />

> :-<br />

45


scondere ogni suo tentennamento sulla lingua all’amica che la osservava<br />

severa come un’istitutrice in grembiule e scarpe da tennis.<br />

Le sembrava di essere stata catapultata in un’altra dimensione. Non<br />

sapeva bene che cosa la portasse a provare quella sensazione, ma le<br />

era chiaro che lì dove si trovava si pesava al microgrammo chi aveva<br />

più carattere dell’altro.<br />

«È un ricordo di famiglia?» chiese per rompere quel silenzio quasi interrogativo.<br />

«Diciamo che è una delle poche cose autentiche che mi rimangono di<br />

lei» disse Anita aprendo la copertina del quaderno dove campeggiava<br />

il nome di una donna: Valerie M. «Tutto il resto sono foto in posa e vestiti<br />

da bal<strong>lo</strong>. Ma questa non era mia madre.» Il suo volto si illuminò<br />

per qualche istante di una strana dolcezza, che lei stessa non conosceva,<br />

nascosta com’era sempre dietro la sua scorza da dura.<br />

«Dai, aiutami. Leggi qui» le disse indicando una pagina segnata all’ango<strong>lo</strong>.<br />

«È il mio piatto preferito ma non riesco ancora a conoscerne<br />

a memoria la ricetta.»<br />

Kazuko si schiarì la voce e iniziò a tradurre quei segni apparentemente<br />

senza significato e che sillaba dopo sillaba svelavano l’incredibile mistero<br />

della scrittura. Parola dopo parola, riga dopo riga, quei frammenti<br />

di biro sulla carta tessevano una rete invisibile che legava anche so<strong>lo</strong><br />

per pochi istanti quelle due anime forse poi non così distanti tra <strong>lo</strong>ro.<br />

Le due donne si muovevano sul terreno fragile e incerto <strong>dei</strong> ricordi,<br />

delle paure, delle facciate e delle convenzioni, celandosi dietro quell’impegno<br />

condiviso.<br />

Dal giardino il professor M., tra una pagina e l’altra del libro che ormai<br />

distrattamente sfogliava, osservava la scena incorniciata dagli infissi<br />

co<strong>lo</strong>r canna di fucile delle grandi finestre. Il suo sguardo era catalizzato<br />

dai gesti delle due ragazze, movimenti sincronizzati come in una danza<br />

di cui lui era unico e privilegiato spettatore.<br />

Presto la cena fu pronta. La tavola era stata coperta con una tovaglia<br />

blu cobalto, sulla quale piatti di porcellana bianca stavano come oblò<br />

affacciati sull’oceano. Una bottiglia di Valpolicella del 2006 e un pacchetto<br />

di carta, anch’essa bianca ma legata da un nastro rosso, erano<br />

stati posizionati vicino al capotavola.<br />

I tre commensali presero i <strong>lo</strong>ro posti come burattini manovrati da regole<br />

non scritte. L’uomo a capotavola, l’ospite alla sua destra e la padrona<br />

di casa di fronte.<br />

Un momento di silenzio li colse. I <strong>lo</strong>ro sguardi oltrepassarono come<br />

> :-<br />

46


laser i piatti che riempivano la tavola senza curarsene troppo e senza<br />

farsi scorgere dagli altri, si alternarono nell’osservare il pacchetto. La<br />

forma rettangolare e <strong>lo</strong> spessore di qualche centimetro sembravano<br />

svelarne il contenuto.<br />

«Un pensiero per questo vecchietto...» disse il professor M. prendendo<br />

tra le mani l’oggetto che era stato appoggiato sul piatto di fronte a lui.<br />

«Chi devo ringraziare? Anita, non mi dire che ti sei ricordata del mio<br />

onomastico, sarebbe la prima volta in trent’anni!»<br />

Anita scoppiò in una delle sue risate fragorose quanto fuori luogo e,<br />

appoggiandosi al<strong>lo</strong> schienale della sedia, lanciò uno sguardo di sfida<br />

alla neo rivale dandole la parola.<br />

«Credo che sia un rega<strong>lo</strong> che ha portato la nostra ospite. Sei un vecchietto<br />

coccolato. Non è vero, Kazuko?»<br />

«Era un pensiero…» non riuscì a terminare la frase che fu interrotta<br />

dal<strong>lo</strong> squil<strong>lo</strong> del telefono, puntuale come un oro<strong>lo</strong>gio svizzero che scandisce<br />

il tempo della rappresentazione.<br />

«Papà, non ti alzare» disse Anita con aria scocciata, «diamo inizio alle<br />

danze di Bacco!» e allungò la mano alla bottiglia di vino versandone il<br />

contenuto ai suoi vicini.<br />

E la danza iniziò. Verdure variopinte, affettati, risotto con i funghi e poi<br />

carni, contorni, vino: un’orgia di sapori per il palato e <strong>lo</strong> spirito.<br />

Il professore teneva la scena con i racconti <strong>dei</strong> suoi studi, i suoi viaggi,<br />

la sua passione per il paese del Sol Levante, intervallando nozioni storiche<br />

ad aneddoti di vita di cui neanche Anita era a conoscenza. Kazuko<br />

rideva inebriata dal vino e dai discorsi del professor M., che dietro<br />

l’apparente riservatezza sembrava compiaciuto di quel suo momento<br />

da protagonista.<br />

Il suo viso, rilassato e sorridente, svelava tutta la femminilità di una<br />

giovane donna. Un fascino nascosto come il cortile di una città che<br />

cela fiori e rampicanti, che una volta scoperti non lasciano dubbio alla<br />

<strong>lo</strong>ro bellezza.<br />

Anita si godeva <strong>lo</strong> spettaco<strong>lo</strong> cercando di capire fino a che punto essere<br />

divertita da quel riscoperto Cirano che affabulava con le parole la<br />

sua uditrice o quanto esserne profondamente infastidita. Questa dicotomia<br />

di pensiero e di sentire la portava a guardare attonita i suoi commensali,<br />

senza aver esigenza di proferire parola, quasi a non voler<br />

intaccare quel tableau vivant che le si presentava davanti agli occhi.<br />

«Forse ho parlato troppo questa sera» disse il professor M., «Kazuko,<br />

raccontaci un po’ di te. Sono stanco di conoscere l’Oriente so<strong>lo</strong> dai<br />

> :-<br />

47


miei libri» sorrise inclinando il busto verso la sua designata complice.<br />

E così iniziò il valzer a due che escludeva con uno scacco Anita, spettatrice<br />

ormai insofferente e fuori dai giochi, forse per sua stessa vo<strong>lo</strong>ntà.<br />

Si alzò sgranchendosi le lunghe braccia nude per sistemare la<br />

tavola, scusa indiscutibile per potersi ritirare dalla scena, e tornò in cucina,<br />

lì si sentiva sempre a casa. Si accese una sigaretta per sentire il<br />

conforto della nicotina e del respiro a pieni polmoni. Si lasciò cadere<br />

sulla sedia di vimini appoggiata al muro e sorrise sotto i baffi. Sentiva<br />

le <strong>lo</strong>ro voci che dalla sala da pranzo si spostavano lentamente verso<br />

il portico d’ingresso, dove una sera lucida d’umidità avrebbe accolto i<br />

due spiriti allegri. Guardò il disordine che la circondava, non curandosene<br />

affatto. Sapeva di avere tutta la notte solitaria davanti a sé per<br />

occuparsi di faccende pratiche come quelle.<br />

Si alzò e tornò verso la stanza abbandonata. Sulla tovaglia blu erano<br />

rimaste so<strong>lo</strong> briciole, due bicchieri e una bottiglia vuota. E il pacchetto<br />

ancora incartato. Anita <strong>lo</strong> prese in mano premendo la carta bianca che<br />

<strong>lo</strong> avvolgeva per cercare di intravedere qualcosa. Ma non resistette a<br />

lungo, sciolse il nastro rosso e scartò il pacchetto silenziosamente,<br />

quasi per paura di essere scoperta. Rimase di stucco non appena vide<br />

di cosa si trattava. Trattenne una delle sue fantomatiche risate, che<br />

però le riempirono gli occhi di lacrime. Un fumetto manga. Il primo volume<br />

di una collana dal tito<strong>lo</strong> incomprensibilmente scritto in giapponese.<br />

Aprì la prima pagina. Una scrittura azzurro pallida, che dichiarava<br />

la sua appartenenza femminile, aveva lasciato queste parole:<br />

“Ad Anita. Per iniziare ad amare questo picco<strong>lo</strong> ma immenso mondo. K.”<br />

Scivolò lenta sulle sue gambe molli fino a sedersi a terra. Il suo viso<br />

era bagnato dalle lacrime che facevano spazio alla sua fantastica, contagiosa<br />

e rumorosa risata.<br />

Una rete di parole scritte, sussurrate, dette e non dette, tesseva quelle<br />

tre anime con intrecci e nodi di un co<strong>lo</strong>r inchiostro blu sbiadito.<br />

> :-<br />

48


Demone del XX seco<strong>lo</strong> 07<br />

di Alessandro Mariotti<br />

> ricettario - clessidrA:-<br />

Era un lieto fine malgrado tutto, ne era certa.<br />

Era un picco<strong>lo</strong> quaderno verde pieno di ricette quel<strong>lo</strong> che le avrebbe<br />

procurato fama, crescere l’autostima e data la soddisfazione di rivelare<br />

al mondo un mistero notevole.<br />

Pazienza, quindi, se ormai stava per morire <strong>lo</strong>ntana da casa, in una<br />

moschea di Baghdad con un pugnale conficcato nella schiena. Pazienza<br />

perché finalmente si sentiva davvero felice, come se non le restasse<br />

altro da fare al mondo. Estasi superiore era impossibile.<br />

Aveva combattuto e aveva vinto. Per questo negli ultimi due anni<br />

aveva girato l’America alla ricerca di quell’uomo. A Miriam i soldi interessavano<br />

poco: ciò che le stava più a cuore era che qualcuno apprezzasse<br />

il suo lavoro e riconoscesse i suoi meriti. Potesse essere<br />

finalmente riconosciuta, la migliore, migliore degli altri. Una sensazione<br />

nuova, attesa da tutta la vita.<br />

Fin da bambina aveva sofferto di quel<strong>lo</strong> che chiamano “complesso di<br />

inferiorità”: studentessa mediocre e <strong>perso</strong>na introversa. Dagli adulti riceveva<br />

più che altro critiche e rimproveri, e si sentiva indietro rispetto<br />

alla maggior parte <strong>dei</strong> suoi coetanei. Nulla era cambiato da adolescente<br />

e neppure quando il giornale l’aveva assunta.<br />

Eppure molta gente si sarebbe accontentata di un impiego fisso, di<br />

questa sicurezza: nessuna variazione, nessun rischio, una situazione<br />

che ti permetta di organizzare la tua vita “al dettaglio”.<br />

Ma non era questo che cercava. No, lei aveva bisogno di stima. Per<br />

lei il tempo non serviva per essere riempito ma per essere usato al<br />

massimo. I libri che leggeva glie<strong>lo</strong> suggerivano: solamente il rischio,<br />

l’avventura e il cambiamento costante ti fanno uscire dall’anonimato.<br />

Ricercare la sicurezza in un ufficio e in un marito voleva dire accontentarsi:<br />

nel suo caso appassire, invecchiare prima del tempo, restare<br />

nell’ombra. Miriam aveva sempre preferito il do<strong>lo</strong>re alla noia, al nulla,<br />

alla resa totale.<br />

Aveva accettato una sfida: indagare per conto del suo giornale, una<br />

> :-<br />

49


ivista femminile italiana, sulla morte della diva più famosa d’America.<br />

Marilyn Monroe. Tutti in redazione avevano rifiutato l’incarico, troppa<br />

concorrenza, troppa mafia intorno alla questione, troppi i rischi. I genitori<br />

e gli amici erano contrari a questa sua scelta, non ne capivano la<br />

ragione. Non le bastava quel<strong>lo</strong> che aveva?<br />

Per la prima volta in vita sua avrebbe voluto essere un uomo. Era arrivata<br />

addirittura a invidiare quelli che partivano per la guerra: morte,<br />

distruzione e sangue, ma avventura.<br />

Così era partita per Washington per incontrare due giornalisti americani<br />

di cronaca nera e si era trattenuta lì tutta l’estate intervistando<br />

gente del<strong>lo</strong> spettaco<strong>lo</strong>, imbucandosi in party frequentati dai politici,<br />

passando ininterrottamente da un incontro a un altro e tendendo l’orecchio<br />

a ogni dettaglio, anche il più insignificante.<br />

Il direttore del giornale continuava a ripeterle di basarsi so<strong>lo</strong> sui fatti,<br />

di essere imparziale e oggettiva. Lei però era stufa delle “regole della<br />

buona stampa”, iniziava a detestare l’oggettività e si lasciava andare<br />

al suo sesto senso. Qui ci voleva immaginazione, se no non sarebbe<br />

andata oltre quel<strong>lo</strong> che gli altri giornalisti avevano già portato in luce.<br />

E <strong>lo</strong> faceva soprattutto per se stessa, non so<strong>lo</strong> per dovere verso il suo<br />

lavoro. Non aveva nostalgia per il suo anonimo passato. Anonimi genitori<br />

anonimo paese natale anonimo focolare domestico.<br />

La sua avventua americana decollava e quel<strong>lo</strong> che più la stimolava<br />

era il remare controcorrente dentro a quell’indagine, che era giunta<br />

alla conclusione più semplice e meno compromettente.<br />

Marilyn si era suicidata, il risultato di una vita burrascosa e tormentata,<br />

di cui il flirt col presidente Kennedy era stato so<strong>lo</strong> l’epi<strong>lo</strong>go. La storia<br />

dell’omicidio era pura invenzione, al cento per cento. Ma per Miriam<br />

c’era di più. Due punti oscuri nell’indagine: la presenza di un uomo misterioso,<br />

presumibilmente straniero, che Marilyn aveva incontrato tre<br />

giorni prima di morire a Dallas, e la conversazione telefonica che aveva<br />

avuto, alcuni mesi prima della morte, con il famoso scienziato tedesco<br />

Wernher von Braun, l’uomo che negli anni Quaranta aveva venduto a<br />

Hitler i raggi V2 e che ora era diventato il direttore della Nasa impegnato<br />

nel progetto del<strong>lo</strong> sbarco sulla Luna.<br />

Numerosi colleghi avevano già indagato sulla presunta telefonata ma<br />

non erano arrivati a capo di nulla. Von Braun, uomo schivo e cinico,<br />

era praticamente inavvicinabile. Impossibile estorcergli un’intervista.<br />

Miriam non si era lasciata intimidire ed era partita per il Texas, verso<br />

la sede Nasa, e con caparbietà in pochi giorni era riuscita a fissare un<br />

> :-<br />

50


col<strong>lo</strong>quio col celeberrimo e misterioso scienziato. Il press agent di von<br />

Braun le aveva concesso un incontro di trenta minuti. Erano pochi ma<br />

li avrebbe fatti bastare. Grazie a una ritrovata sicurezza e un talento<br />

non ancora riconosciuto, la capacità e la sensibilità di cogliere in ogni<br />

picco<strong>lo</strong> dettaglio degli atteggiamenti delle <strong>perso</strong>ne la <strong>lo</strong>ro psico<strong>lo</strong>gia,<br />

mise von Braun con le spalle al muro e <strong>lo</strong> indusse a rivelare ciò che<br />

non aveva detto agli altri giornalisti. Una storia che aveva dell’incredibile<br />

iniziava a emergere: l’uomo misterioso che Marilyn aveva incontrato<br />

poco prima di morire esisteva davvero. Un <strong>perso</strong>naggio di origine<br />

araba che von Braun aveva conosciuto vent’anni prima. Lo aveva visto<br />

so<strong>lo</strong> una volta nel <strong>lo</strong>ntano 1943: un uomo dall’aspetto agghiacciante,<br />

né giovane né vecchio, simile a un diavo<strong>lo</strong> biblico, e questi <strong>lo</strong> aveva ricattato<br />

e minacciato, obbligando<strong>lo</strong> a vendere a Hitler le sue scoperte<br />

tecno<strong>lo</strong>giche. Proprio quei raggi che avrebbero seminato tanta morte<br />

e tanta distruzione.<br />

Era stato quindi quel<strong>lo</strong> strano dottor Faust il vero responsabile di tanti<br />

orrori, e da al<strong>lo</strong>ra von Braun aveva cercato di cancellare il passato dedicandosi<br />

a un progetto che <strong>lo</strong> potesse riscattare da tanto orrore e<br />

fosse di vantaggio al progresso del genere umano: l’esp<strong>lo</strong>razione lunare.<br />

Miriam promise di non pubblicare né divulgare la notizia ma non poteva<br />

far a meno di ripensare a quell’uomo freddo, distaccato, quasi glaciale.<br />

A quel<strong>lo</strong> sguardo privo di emozioni e sentimenti, a quella voce che raccontava<br />

fatti terribili come se non <strong>lo</strong> riguardassero, senza alcuna partecipazione.<br />

Pensava che forse tutti gli scienziati sono così: cercano<br />

so<strong>lo</strong> la <strong>lo</strong>gica nelle cose, vedono il mondo con distaccato cinismo, probabilmente<br />

non hanno mai letto un romanzo. Uomini che dimostrano<br />

più anni di quelli che hanno, a cui manca l’ironia e soprattutto la scintilla<br />

della gioventù.<br />

Due giorni dopo era a Dallas a seguire le tracce del diabolico arabo,<br />

con una domanda che le girava per la testa: ma si trattava di una <strong>perso</strong>na<br />

o erano due? Due settimane di incessanti ricerche, setacciando<br />

pub e <strong>lo</strong>cali notturni, pellegrinando dall’ufficio di uno sceriffo all’altro<br />

per le varie contee della città, interrogando i direttori di quasi tutti i<br />

motel.<br />

Quando stava per arrendersi, stanca, al bancone di un dinner deserto<br />

con davanti un triste hot dog, aveva alzato gli occhi verso la cucina a<br />

vista del <strong>lo</strong>cale e il suo sguardo aveva incrociato quel<strong>lo</strong> di un cuoco<br />

che poteva ricordare la descrizione dell’uomo.<br />

> :-<br />

51


Miriam decise di affidarsi al suo istinto, <strong>lo</strong> fissò senza distogliere neppure<br />

un secondo i suoi occhi da quella figura, ma bastò un battito di<br />

ciglia che restò so<strong>lo</strong> una porta cigolante a sventolare e dell’uomo più<br />

nulla. Era lui.<br />

Due chiacchiere col cameriere e subito la lingua si sciolse: era stato<br />

assunto dal proprietario perché dip<strong>lo</strong>mato in una buona scuola di cucina,<br />

la migliore in città. Anche se proprio lui non capiva a cosa servisse,<br />

visto che lì più che hot dog e hamburger non si servivano.<br />

Quanto bastava, Miriam ora aveva una traccia. E la certezza che il suo<br />

istinto la potesse portare <strong>lo</strong>ntano.<br />

Non erano ancora le dieci della mattina successiva quando il direttore<br />

della scuola di cucina identificò il sospettato:<br />

«Sembrava venire da un’altra epoca, parlava malissimo l’inglese e si<br />

esprimeva più che altro a cenni, cosa ci faceva qui? Era un mistero.<br />

Di certo però la cucina non gli interessava, era molto più probabile che<br />

volesse nascondersi da qualcuno, che stesse tramando qualcosa e<br />

che frequentasse la scuola per imparare meglio la lingua e integrarsi.<br />

Infatti da un giorno all’altro è sparito.»<br />

Ma qualcosa di lui era rimasto lì, e visto che nessuno l’aveva reclamato<br />

glie<strong>lo</strong> poteva consegnare: il quaderno degli appunti.<br />

Miriam era sull’aereo che sorvolava il Kansas e aveva tra le mani un<br />

ricettario di cucina accuratamente scritto in buona calligrafia. Lo osservava<br />

attentamente: era la prova che cercava? La ricompensa per<br />

tutti i suoi sforzi? Qualcosa non funzionava. Sembrava scritto da una<br />

donna, anzi la scrittura arrotondata era del tutto femminile, così come<br />

l’ordine e la cura delle ricette. Nulla di sospetto e l’assoluta mancanza<br />

di un qualsiasi tocco <strong>perso</strong>nale.<br />

Era diretta a Philadelphia e aveva come destinazione la casa di Arthur<br />

Miller, il celebre commediografo che era stato l’ultimo marito di Marilyn.<br />

Miller era l’opposto di von Braun: anche lui uomo di grande cultura e<br />

con una forte <strong>perso</strong>nalità ma brillante e spigliato, schietto e ben poco<br />

misterioso. Di lui si percepivano immediatamente i sentimenti, le paure,<br />

e traspariva una timidezza che metteva chiunque a proprio agio. A differenza<br />

di von Braun e di Miriam era critico nei confronti dell’America,<br />

non capiva l’odio per i russi, non appoggiava minimamente la caccia<br />

alle streghe del maccartismo e criticava duramente l’industria del<strong>lo</strong><br />

spettaco<strong>lo</strong>: Hollywood e Broadway.<br />

Chiaccherarono a lungo, Miriam sosteneva le sue idee e la sua fede<br />

nel sogno americano, argomentava, ironizzava, si muoveva con disin-<br />

> :-<br />

52


voltura. Era un’altra Miriam, quella che aveva sempre voluto essere.<br />

Arrivato il momento di tornare all’indagine, gli raccontò tutto il percorso<br />

della sua ricerca. Miller la seguiva con interesse e iniziò a collegare<br />

con lei alcuni fatti accaduti anni prima. Un giorno Marilyn gli aveva mostrato<br />

una clessidra regalatale da un suo ammiratore, uno straniero<br />

dall’aspetto mediorientale, che sembrava essere avvolta da una strana<br />

leggenda. Arrivava da Baghdad e si diceva che nelle notti in cui il deserto<br />

è attraversato dalla tempesta, la sabbia in essa contenuta salisse<br />

invece di scendere, come detta la legge di gravità.<br />

Miriam era molto colpita ma lui non ricordava altro e non sapeva che<br />

fine avesse fatto quella famigerata clessidra, rammentava so<strong>lo</strong> che era<br />

molto grande e che la sabbia era di un viola intenso.<br />

Mentre camminava sul vialetto della casa di Arthur Miller, lasciandosela<br />

definitivamente alle spalle, Miriam iniziava a rendersi conto di quel<strong>lo</strong><br />

che era accaduto. Si rivedeva in quel sa<strong>lo</strong>tto, a suo agio nei modi e<br />

nelle parole. Si vedeva per la prima volta se stessa.<br />

Ora bisognava completare il viaggio: Iraq, nella città cuore del Medio<br />

Oriente, seguendo il talismano della storia, la magica clessidra. Baghdad<br />

era un mondo a sé stante dal sapore antico e contraddittorio. I<br />

racconti de “Le mille e una notte” che aveva letto da bambina erano<br />

<strong>lo</strong>ntani in quella città assalita dal cemento armato, ma le antiche moschee<br />

trattenevano ancora un po’ di quell’aria magica. Difficile catturare<br />

in poco tempo una città così diversa per cultura e religione, difficile<br />

congiungere le atmosfere dell’Oriente con quel paesaggio urbano e<br />

sofferto.<br />

Il quarto giorno, verso sera, aveva raggiunto la moschea di Kazimayn,<br />

il luogo di culto più famoso della città, con una cupola dorata. Aveva<br />

indossato abiti musulmani scuri, si era velata con la hijab e si era fatta<br />

spiegare come comportarsi nella moschea. Pochi minuti dopo il suo<br />

ingresso un leggero fruscio alle sue spalle l’aveva fatta voltare. Aveva<br />

sentito un do<strong>lo</strong>re intenso alla schiena e si era piegata, cadendo a terra.<br />

Non aveva fatto rumore sul tappeto, dove si intrecciavano blu cobalto<br />

e rossi accesi. Era stata pugnalata.<br />

Nei suoi occhi si impresse un’immagine che aveva del solenne, un viso<br />

scolpito e affascinante. Se quel<strong>lo</strong> era il diavo<strong>lo</strong> aveva un viso perfetto.<br />

Miram aveva varcato il confine di quel<strong>lo</strong> che un giornalista deve sapere,<br />

ma qualcuno doveva provarci. Aveva lasciato che la passione<br />

per il suo lavoro la trasportasse e la trasformasse in quel<strong>lo</strong> che lei<br />

avrebbe voluto essere. Da bruco a farfalla, anche so<strong>lo</strong> per un giorno.<br />

> :-<br />

53


Appartamento pomeridiano 08<br />

di Chiara Blau<br />

> clessidrA -Libro con dedica:-<br />

Erano visioni e strade ancora inconsuete, erano foglie diverse e passi<br />

diversi, erano respiri e sospiri di una nuova vita. Si sentiva un nuovo<br />

rumore, uno sconosciuto ticchettio di scarpe su un marciapiede mai<br />

percorso prima. Ines respirava gli odori di un vento insolito, catturava<br />

con <strong>lo</strong> sguardo e con il cuore quel mondo per il quale si sentiva vibrare<br />

di diffidenza e gioia. E mentre si perdeva in quegli intrecci che erano<br />

parte all’infuori di lei e parte dentro di lei, Alvise la stava seguendo.<br />

Ines non sapeva che il suo atteggiamento etereo e sfuggente non era<br />

passato inosservato tra i nuovi colleghi di scuola, e che uno di <strong>lo</strong>ro ne<br />

era rimasto talmente colpito da aver deciso di porsi furtivamente al suo<br />

seguito.<br />

Non c’era voluto molto perché Alvise prendesse quella decisione. Dalla<br />

prima volta che l’aveva vista, aveva sentito ardere in lui il desiderio di<br />

varcare quella barriera che lei pareva ergere tra sé e il mondo. La<br />

prima volta l’aveva vista di spalle, in un luminoso corridoio dell’ultimo<br />

piano, con i lunghi capelli vermigli e lisci scorrerle fin sopra i fianchi e<br />

con quel suo corpo esile e delicato. Si era voltata lentamente e con<br />

grande determinazione, e quando Alvise aveva visto il suo volto, era<br />

rimasto impressionato dal candore della sua pelle che tradiva i suoi<br />

quarant’anni so<strong>lo</strong> attorno agli occhi e ai margini della bocca, alla quale<br />

si contrapponeva quel co<strong>lo</strong>re rosso che predominava tanto nel suo<br />

viso quanto nella sua figura. Erano le sue guance, le sue labbra, i suoi<br />

capelli, le sue unghie, i bottoni del cappotto, le sue scarpe. Quelle<br />

scarpe così vezzose e stravaganti, rilucenti e infantili da far strabuzzare<br />

gli occhi al più imperturbabile degli uomini. Quell’immagine <strong>lo</strong><br />

aveva attratto come una sorprendente opera d’arte, ma quel fascino<br />

era rimasto un bel sogno nel suo sguardo perché lei, benché cortese<br />

e gentile con tutti, non concedeva a nessuno la sua parte più cospicua.<br />

Non appariva inibita o timorosa, piuttosto ponderava con grande naturalezza<br />

una spontanea socievolezza. Nessuno era riuscito a sapere<br />

che cosa l’avesse spinta nella nuova città, se avesse seguito un<br />

> :-<br />

54


amore, una passione, un ragionamento, o se fosse stato il caso o una<br />

forza più grande di lei a condurla lì. Finita la scuola, nel primo pomeriggio,<br />

Alvise non era il so<strong>lo</strong> a guardarla al<strong>lo</strong>ntanarsi con suo passo sicuro.<br />

Ines si dirigeva verso quei luoghi per lei ancora sconosciuti,<br />

lasciando interdetti tutti co<strong>lo</strong>ro i quali avevano creduto di poterne essere<br />

il cicerone.<br />

Ines svoltò l’ango<strong>lo</strong>. Il suo passo era deciso ma Alvise vide che qualcosa<br />

l’aveva placato e la sua andatura tradiva ora una certa mestizia,<br />

un certo languore. Spostando all’indietro il cappel<strong>lo</strong>, dal quale si illudeva<br />

che la sua imponente figura potesse essere nascosta, la vide osservare<br />

la vetrina di un negozio e poi, dopo un tempo non indifferente,<br />

entrarvi. Al<strong>lo</strong>ra si avvicinò alle vetrine e la osservò dall’esterno muoversi<br />

tra gli scaffali. Sembrava una bambina in un negozio di dolciumi<br />

alla quale i genitori hanno vietato di assaggiare alcunché. La sua mano<br />

scorreva sugli oggetti esposti, talvolta si soffermava su qualcosa. Il suo<br />

fare suggeriva che volesse afferrare tutto ciò che la circondava, eppure<br />

sfiorare quegli oggetti o impugnarli con impeto non era né una conquista<br />

né un piacere, ma un gesto inutile e deludente. Guardandosi intorno<br />

avidamente, Ines si addentrò nel negozio e Alvise non riuscì più<br />

a distinguerla. Entrò quindi nel negozio, si diresse con decisa circospezione<br />

verso la zona dove l’aveva vista scomparire. E all’improvviso<br />

eccola, seduta su una panca di dimensioni minute, le gambe aperte<br />

lasciate andare e i piedi, calzati da un paio di slanciate scarpe rosse,<br />

appoggiati sul lato interno. Nella mano destra impugnava un oggetto<br />

dalla forma cilindrica e <strong>lo</strong> girava da una parte all’altra a ritmo regolare.<br />

Alvise guardò più intensamente per capire cosa fosse quell’oggetto e<br />

quale senso potesse avere che un’adulta e affascinante donna, nel tener<strong>lo</strong><br />

tra le mani e nell’osservar<strong>lo</strong>, sembrasse preda di una stregoneria.<br />

Strizzò gli occhi per capire meglio e credette di identificar<strong>lo</strong> con una<br />

strana clessidra. Poi guardò il suo volto e gli parve d’improvviso disgustoso.<br />

Era come se si stesse gonfiando, come se i suoi occhi si stessero<br />

ingigantendo e la sua bocca si fosse raggrinzita. D’un colpo, sentì<br />

il sudore gelargli sulle mani. Le passò sui panta<strong>lo</strong>ni per asciugarle, ma<br />

un brivido <strong>lo</strong> sorprese alla schiena e il suo viso si infiammò di vergogna.<br />

Era come se eclissato dietro una tenda stesse osservando un<br />

amplesso o assistendo di nascosto a un’agonia mortale. Distaccò la<br />

sua attenzione da lei e si guardò intorno per capire dove fosse. Alla<br />

sua destra una miriade di microscopici pupazzi di gomma rappresentavano<br />

animali di vario genere, alla sua sinistra una serie di libri illu-<br />

> :-<br />

55


stravano l’arte della puericultura e dell’essere genitori e dal soffitto un<br />

enorme pterodatti<strong>lo</strong> pareva si stesse gettando con aria minacciosa su<br />

di lui. Il suo sguardo tornò su di lei, la quale stava ora passando in rassegna<br />

la folta chioma di una bambola. All’improvviso Ines voltò <strong>lo</strong><br />

sguardo dalla sua parte, tanto che lui credette di essere stato scoperto<br />

e già meditava le scuse da somministrarle, ma il suo corpo fu più ve<strong>lo</strong>ce<br />

<strong>dei</strong> suoi pensieri e riuscì a nascondersi nel reparto libri. Lì un commesso<br />

<strong>lo</strong> esaminò con aria scontrosa, mandò un’occhiata dalla parte<br />

di Ines e ritornò con sguardo ancor più severo su di lui. Questi, con un<br />

sorriso teso, raccolse casualmente un libro dal bancone, fece segno<br />

al commesso come se avesse trovato proprio quel<strong>lo</strong> che cercava, ed<br />

estrasse il portafogli dalla tasca <strong>dei</strong> panta<strong>lo</strong>ni dirigendosi verso la<br />

cassa. Distratto dal mascherare il suo reale atteggiamento, si era sentito<br />

in dovere di intrattenersi più del necessario con gli inservienti del<br />

negozio, almeno fino al momento in cui, al di là delle vetrine, vide Ines<br />

lungo il marciapiede. Afferrò in fretta il libro e mentre <strong>lo</strong> infilava nella<br />

cartella di cuoio che teneva a tracolla uscì di corsa per strada. Si<br />

guardò smarrito a destra e a sinistra e per un istante temette di averla<br />

persa. Poi la vide, dall’altra parte della strada. Camminava ondeggiando,<br />

come se i suoi piedi non appoggiassero a terra, come se esitasse<br />

sospesa nell’aria. D’un colpo, Ines fu a terra. Alvise si lanciò sul<br />

suo corpo inerme. Le sollevò la testa e quando vide che non era ferita<br />

le sollevò le gambe. Le scosse le braccia e la colpì sul viso con le sue<br />

mani imponenti. Quando lei aprì gli occhi credette per un istante di trovarsi<br />

nel suo letto, nella sua stanza, ma guardandosi intorno vide la<br />

città. Poi distinse il volto conosciuto di Alvise.<br />

«Ines, è tutto a posto. Sei solamente caduta, uno svenimento probabilmente.<br />

Nulla di grave. Come ti senti?» le disse cercando di nascondere<br />

una certa apprensione.<br />

«Alvise… non capisco come possa essere accaduto…»<br />

I suoi occhi erano spalancati di fronte a lui. Sembrava che tutti gli<br />

oceani si celassero dietro quella sfumatura umida che le velava <strong>lo</strong><br />

sguardo.<br />

Repentinamente, Alvise sorrise con dolcezza.<br />

«Io un dubbio ce l’avrei…» le disse, indicando i suoi piedi, «le hai rubate<br />

a Dorothy?»<br />

Lei <strong>lo</strong> guardò dritto in viso. Poi il suo sguardo severo si sciolse in un<br />

sorriso che sembrava non dovesse mai completarsi.<br />

«Sono davvero assurde… sembrano proprio uscite dal Mago di Oz!»<br />

> :-<br />

56


Quando il riso si smorzò, Ines bevve un sorso d’acqua dalla bottiglia<br />

che Alvise aveva recuperato nella sua borsa. Poi, lentamente, l’aiutò<br />

ad alzarsi. La prese per le braccia e sentì il suo esile corpo, le sue<br />

ossa sporgenti sui gomiti e il suo polso sottile.<br />

«Ines, ti accompagno a casa. Dimmi dove abiti» disse senza lasciarla,<br />

quando fu in piedi.<br />

«Non è necessario, davvero. Prendo qualcosa da mangiare se mi accompagni»<br />

rispose cercando di non guardar<strong>lo</strong> negli occhi.<br />

«Certo, ti accompagno. Ma poi ti porto a casa» rispose lui con risolutezza.<br />

Ines non aveva la forza di replicare ancora, e sebbene la prospettiva<br />

di essere accompagnata fino al suo appartamento la terrorizzasse, si<br />

rassegnò per mancanza di forze.<br />

Entrarono da un fornaio poco distante e mentre Alvise trafficava alla<br />

cassa, Ines sedeva all’ingresso del negozio e addentava con pigra<br />

soddisfazione un pezzetto di croissant. Sempre osservandola, chiamò<br />

un taxi.<br />

Quando arrivarono davanti al portone della casa di Ines, Alvise vide<br />

qualcosa che non si aspettava. Sul citofono il cognome di Ines era affiancato<br />

a un altro. Il suo petto ebbe un sussulto, la sua mente cominciò<br />

a correre. Ines era sposata e con ogni probabilità c’era di mezzo<br />

un bambino, un figlio, ecco perché era rimasta così colpita da quel negozio.<br />

Mentre questi pensieri ga<strong>lo</strong>ppavano nella sua mente, Alvise si<br />

sforzava di mantenere un atteggiamento sicuro e cordiale. Inserì la<br />

chiave nel portone, <strong>lo</strong> aprì e sempre sorreggendola la guidò sulle<br />

scale. Arrivati sul suo pianerotto<strong>lo</strong>, sentì un fremito sulla pelle, un turbamento<br />

in tutto il corpo. Si stava avvicinando al nucleo più intimo della<br />

vita di Ines. Tuttavia, al<strong>lo</strong> stesso tempo, quel brivido era pacato dalle<br />

nuove scoperte che credeva di aver fatto. Sapere che era sposata,<br />

convivente di un uomo, diminuiva quel<strong>lo</strong> slancio che aveva provato per<br />

lei fin dal primo incontro. Con questi sentimenti di attrazione e sconforto<br />

entrò nell’appartamento per primo, sostenendo Ines che stava<br />

alle sue spalle. Una strana oscurità adombrava l’ingresso. Gli scato<strong>lo</strong>ni<br />

ancora colmi che ricoprivano il pavimento creavano nell’aria l’effetto di<br />

una luce soffusa tagliata da infiniti pulviscoli. Si guardò intorno con avidità,<br />

combattuto tra la sua brama di osservare e la coscienza di non<br />

essere so<strong>lo</strong>. Ma la sua curiosità era troppo grande e il suo sguardo<br />

non poteva fare a meno di correre da un dettaglio all’altro dell’appar-<br />

> :-<br />

57


tamento, in modo da poter cogliere il più possibile di quella vita, di quel<br />

matrimonio. Ines chiese di essere portata sul divano del sa<strong>lo</strong>tto e lì si<br />

sdraiò, ancora visivamente sprovvista delle forze necessarie, chiudendo<br />

gli occhi.<br />

Alvise approfittò della situazione per aggirarsi lungo l’appartamento<br />

con la scusa di dover sistemare in cucina le vivande. Attraversò il corridoio<br />

e vide, ordinate una a fianco all’altra con grandissima metico<strong>lo</strong>sità,<br />

una serie di calzature scarlatte il cui effetto d’insieme era quel<strong>lo</strong><br />

di un tappeto dall’aria difforme. Le scarpe erano così tante che non<br />

avrebbe potuto dire quante fossero. E lui, che credeva di averle visto<br />

indosso le più bizzarre, dovette ricredersi nel constatare che si era limitata<br />

a indossare le più sobrie. Borchie, lustrini, plateau, tessuti pregiati<br />

e tacchi si sprecavano in quel<strong>lo</strong> stretto corridoio che pareva non<br />

avere altro ruo<strong>lo</strong> che quel<strong>lo</strong> di contenere i sogni di un’adolescente.<br />

Tornò in sa<strong>lo</strong>tto con un piatto di focacce e dolci. Ines si mise seduta,<br />

addentò un pasticcino e continuò a mangiare fissando il parquet.<br />

«Vuoi che avverta qualcuno, Ines?» le chiese dopo qualche istante<br />

che la osservava gustare le creme e i biscotti.<br />

«Non ce n’è bisogno. Sto bene, grazie» rispose lei ingoiando una fragola<br />

intera.<br />

«Forse tuo marito, il tuo compagno vorrebbe saper<strong>lo</strong>…» disse lui con<br />

esitazione.<br />

«Non fa nulla…»<br />

Si guardò intorno, non sapendo più cosa dire né come agire.<br />

«Non ho potuto non notare le scarpe nel corridoio. Una vera perversione?»<br />

«Sì, da quando ero piccola. Mia madre detestava il rosso e mi vietava<br />

di indossar<strong>lo</strong>. Quelle scarpe mi fanno sentire diversa da lei e adulta, a<br />

differenza di quel<strong>lo</strong> che può sembrare» rispose lei con astio, come se<br />

<strong>lo</strong> spirito di ribellione predominasse ancora in lei sulle sicurezze adulte.<br />

Alvise smise di guardarla e fece ruotare il suo sguardo per la stanza.<br />

Avrebbe voluto sapere dell’uomo che abitava con lei, ma non avrebbe<br />

osato chiederle.<br />

«Vuoi parlare di quel<strong>lo</strong> che è successo?»<br />

«No. Ma forse sei tu che vuoi parlarne. O vuoi parlare del motivo per<br />

cui mi stavi seguendo?»<br />

Alvise si impietrì.<br />

«È meglio che io vada ora» disse mentre lei <strong>lo</strong> fissava negli occhi.<br />

«Avresti fatto di tutto per arrivare qui fino a pochi minuti fa. E adesso<br />

> :-<br />

58


che ci sei arrivato te ne vuoi andare?»<br />

Ines era seduta sul divano. Parlava con freddezza, eppure sembrava<br />

che il suo corpo si fosse d’improvviso rinvigorito. I suoi occhi erano accesi<br />

e profondi, il suo tono di voce vivido e risoluto. Era una donna<br />

adulta che <strong>lo</strong>ttava per difendere se stessa ed era pronta a distruggere<br />

l’altro pur di salvarsi.<br />

«Sei sposata. Questo non me l’aspettavo. Credevo fossimo alla pari»<br />

rispose lui mentre si preparava a uscire.<br />

Ines corse verso di lui, <strong>lo</strong> prese per un braccio e gli disse:<br />

«Se è per questo, non andartene.»<br />

Lo guardò per un brevissimo instante, poi <strong>lo</strong> baciò. Gli sfilò la tracolla,<br />

poi la giacca e dopo ancora la camicia, e in un momento i due furono<br />

avvolti l’uno all’altra sul pavimento del corridoio, nel mezzo di una caotica<br />

mescolanza di scarpe rosse.<br />

«Sto cercando di avere un figlio» disse Ines, rompendo un lungo ma<br />

sereno silenzio.<br />

Lui si girò verso di lei e la guardò sgomento.<br />

«Sono venuta qui per vivere con un uomo. Ma lui non è realmente il<br />

mio compagno, sarà solamente il donatore, quando accerteranno che<br />

siamo una coppia abbastanza stabile da poter costituire una famiglia.»<br />

Alvise si mise seduto e guardò <strong>lo</strong>ntano, sul fondo della stanza.<br />

«È l’uomo del citofono? Quindi è tutta una farsa?»<br />

«Sì, è così. Non posso più aspettare il caso per realizzare il mio desiderio.»<br />

«Certo» rispose Alvise, che tuttavia avrebbe voluto fuggire immediatamente<br />

da quella discussione, mentre lei sembrava determinata a volerla<br />

indagare in ogni sua implicazione.<br />

Si alzò e cominciò a raccogliere i suoi vestiti. Ines vide che lui stava<br />

sfuggendo e capì che era arrivato il momento di lasciar<strong>lo</strong> so<strong>lo</strong>, sebbene<br />

<strong>lo</strong> avrebbe volentieri trattenuto a sé.<br />

«Vado a fare una doccia.»<br />

Alvise rimase so<strong>lo</strong>. Indossò distrattamente i suoi vestiti e andò in sa<strong>lo</strong>tto.<br />

Aprì la finestra e si mise al davanzale a fumare. Guardò la strada<br />

stretta, vide il traffico, la gente che camminava, il sole che stava impallidendo,<br />

gli alberi mossi dal vento, il cie<strong>lo</strong> fumoso. Guardò la sua<br />

città, quel luogo dove aveva passato gran parte <strong>dei</strong> suoi cinquant’anni<br />

di vita, quel panorama così conosciuto e familiare al quale aveva creduto<br />

di essere ormai abituato. Ma tutto gli parve nuovo. Erano visioni<br />

e strade inconsuete, alberi diversi e respiri di una nuova vita. Si sentiva<br />

> :-<br />

59


un nuovo fragore, uno sconosciuto rumore di passi su una strada mai attraversata<br />

prima. L’aria odorava di un vento insolito, <strong>lo</strong> sguardo catturava<br />

un mondo per il quale il suo cuore vibrava di diffidenza e gioia. Nel cerchio<br />

di sensazioni quotidiane che era la sua vita si era inserito quel picco<strong>lo</strong><br />

appartamento incasinato e tutto era ricominciato.<br />

Terminò la sigaretta aspirando profondamente, finì di vestirsi, andò alla<br />

porta, indossò la giacca, prese la tracolla di cuoio, estrasse il libro acquistato<br />

nel negozio e se ne andò.<br />

Ines uscì nel corridoio avvolta da un asciugamano. Parlò per qualche<br />

istante ma si accorse che tutto taceva intorno a lei e nessuno la stava<br />

ascoltando. Si affacciò nel sa<strong>lo</strong>tto per cercare Alvise ma non <strong>lo</strong> trovò. Al<strong>lo</strong>ra<br />

vide che la sua tracolla era scomparsa dall’ingresso. Si sedette a<br />

terra, vicino alla porta d’entrata. Il suo cuore batteva forte, di sofferenza<br />

e di rabbia. Prese una scarpa rossa e la indossò. Cercò l’altra attorno a<br />

sé, senza alzarsi. All’improvviso sentì freddo e si accorse che la finestra<br />

del sa<strong>lo</strong>tto era aperta. Si alzò per andare a chiuderla e mentre si stava<br />

avvicinando zoppicando per via dell’unico tacco che indossava, notò sul<br />

divano un libro mai visto prima. Lo prese in mano, <strong>lo</strong> guardò meglio, stabilì<br />

con certezza che non le apparteneva e che non c’era quando si era<br />

sdraiata sul divano al ritorno a casa. Poi si accorse che una penna fungeva<br />

da segnalibro. Aprì alla pagina segnata e lesse.<br />

“Forse abbiamo <strong>lo</strong> stesso desiderio. Lo realizziamo insieme? Alvise”<br />

Si tolse la scarpa e la gettò <strong>lo</strong>ntana da sé. Si strinse il libro al ventre e<br />

sorrise.<br />

> :-<br />

60


Aspettando 09<br />

di Claudia Redaelli<br />

> Libro con dedica -caril<strong>lo</strong>n:-<br />

Stavo seduta su una sedia nell’enorme sala d’attesa dell’aeroporto già<br />

da un po’, era tarda mattinata, sole splendente fuori e climatizzazione<br />

che manteneva una temperatura stabile dentro.<br />

A volte, quando la vita si comporta in modo bizzarro, io non so come<br />

reagire, ho bisogno di stare seduta immobile da qualche parte e lasciare<br />

che il mondo corra davanti a me. È un po’ come se dovessi abituarmi<br />

a una nuova condizione, il respiro rallenta e io macino la<br />

bizzarria trasformandola in una nuova normalità. Parola sopravvalutata:<br />

“NORMALE”, che poi ciò che è normale cambia rapidamente<br />

come le foglie sugli alberi, dipende dal luogo e dalle <strong>perso</strong>ne. Questa<br />

mattina è uno di quei momenti di bizzarria immobile.<br />

Un ragazzo con un buffo berretto aveva in parte oscurato la luminosità<br />

che entrava dalla parete a vetri attraverso cui guardavo gli aerei muoversi<br />

silenziosi per attaccarsi o staccarsi dai ponti mobili che li collegano<br />

alle sale d’attesa.<br />

Si chiamava Piero, doveva attendere un paio d’ore il suo aereo e si<br />

stava annoiando.<br />

«Sei sola? Ti ho osservata e sei qui ferma nella stessa posizione da<br />

un po’. Di cosa ti sei fatta questa mattina? Sembri catatonica!» questo<br />

mi disse dopo avermi salutata.<br />

«Leila, mi chiamo così. Non sono sola, mio padre è da qualche parte<br />

in aeroporto. Perché parli con me?»<br />

«Sono qui da un po’, ho contato venti aerei che sono decollati da quella<br />

pista laggiù e non ho aggiornato il mio iPod, non ho più nulla di nuovo<br />

da ascoltare. Mi annoio! E pensavo fosse <strong>lo</strong> stesso per te…»<br />

Mi raccontò che stava andando a Stoccolma, sperava di trasferirsi lì a<br />

studiare per un po’, voleva andarsene da casa, non ne poteva più della<br />

sua famiglia e voleva un po’ di spazio, visto che a casa quel poco che<br />

aveva veniva assorbito dal fratel<strong>lo</strong> minore, con cui era costretto a condividere<br />

la camera. Lo raccontava con tale veemenza che al mio<br />

sguardo un po’ fisso reagì concludendo con un: «Mi capisci, vero?»<br />

> :-<br />

61


Non <strong>lo</strong> capivo. La mia è una microfamiglia composta da uomini e da<br />

me. Ricordo il giorno in cui il mio Abba è arrivato. Era domenica, papà<br />

era uscito presto e mi aveva lasciata dormire. Quando mi sono svegliata<br />

ho trovato la nostra vicina in casa intenta a sfogliare nervosamente<br />

una rivista. Le ho chiesto dove fosse mio padre e lei mi ha detto<br />

che era andato all’aeroporto a prendere mio nonno. Un nonno? Ho<br />

provato ad avere altre informazioni ma per tutta risposta, scocciata, mi<br />

ha rifilato un libro che era appoggiato sul tavolino accanto al divano.<br />

Ricordo il rosso della copertina e dentro una dedica grossa a inchiostro.<br />

Il libro era scritto in una lingua che non capivo, ma era in linea<br />

con quella mattinata, non capivo neppure da dove potesse arrivare un<br />

nonno. Un paio d’ore dopo, ancora in pigiama, avrei conosciuto il mio<br />

Abba.<br />

Si aprì la porta, corsi incontro a mio padre e quando si scansò vidi un<br />

uomo sui sessantacinque anni, aveva la pancia tonda come una botte<br />

che terminava in alto con il nodo sottile di una cravattina scura, il viso<br />

roseo, non sorrideva (avrei imparato che Abba non sorride) ma mi<br />

guardava con uno sguardo avvolgente, quasi volesse sorbirmi come<br />

si fa con un succo di frutta gelato in una giornata afosa.<br />

Non raccontai questo episodio al perfetto estraneo qui di fronte, semplicemente<br />

risposi: «Sono figlia unica e mio padre è spesso fuori casa»<br />

sperando avrebbe capito che non sentivo il suo stesso bisogno di fuga<br />

da una famiglia asfissiante. Venni invece tacciata di estrema fortuna.<br />

Io non ero proprio d’accordo, avrei anche gradito qualcuno con cui vivere<br />

i miei giorni, ma Abba divenne presto il mio surrogato di <strong>perso</strong>na<br />

amabile. Era il padre di mia madre. Di lei non ricordo nulla, semplicemente<br />

è uscita di scena quando ero piccola e conosco pochi particolari;<br />

non so perché se ne sia andata, sembra che non sopportasse la<br />

monotona vita sedentaria della casalinga madre di famiglia, e mio<br />

padre non ne ha mai parlato davvero, so<strong>lo</strong> ogni tanto pronuncia brevi<br />

frasi contenenti il suo nome. Di solito mi paragona a lei quando sono<br />

impulsiva e imputa questo mio tratto, secondo lui dep<strong>lo</strong>revole, al patrimonio<br />

genetico da parte materna.<br />

Nonno arrivava dalla Turchia, da quella città che è una specie di crogio<strong>lo</strong><br />

di <strong>perso</strong>ne e di storie. Faceva il commerciante, come quasi tutti<br />

i turchi. Credo che i turchi siano commercianti da sempre, fa parte della<br />

<strong>lo</strong>ro cultura, e lui aveva un negozio nel mercato principale della città,<br />

il Gran Bazar.<br />

Ripercorsi la mia vita degli scorsi anni spinta dalle domande incalzanti<br />

> :-<br />

62


di Piero. La mattina Abba si alzava con me, mentre io mi lavavo lui mi<br />

preparava la colazione, poi ci sedevamo al tavo<strong>lo</strong> della cucina, io intingendo<br />

biscotti nel latte, lui aspettando che il caffè si depositasse sul<br />

fondo della tazza. Non si è mai abituato a quel<strong>lo</strong> italiano, diceva che<br />

masticare due gocce di liquido nero non era bere un caffè. All’inizio<br />

non <strong>lo</strong> diceva, <strong>lo</strong> indicava. Abba non parlava italiano e le mani prendevano<br />

il posto delle parole. Così la colazione divenne presto il momento<br />

in cui io gli insegnavo nuovi vocaboli e lui parlava con me. Cominciammo<br />

ad alzarci in anticipo entrambi, senza pianificar<strong>lo</strong>, semplicemente<br />

per trascorrere più tempo insieme. La prima parola che ho<br />

sentito uscire dalla sua bocca fu il mio nome, il giorno che entrò in<br />

casa: voce profonda un po’ roca per gli anni di sigarette, il mio nome<br />

con una musica diversa. Con <strong>lo</strong> stesso accento esotico che avrei<br />

amato, mi augurava buongiorno e aspettava che io cominciassi a parlargli.<br />

Non so bene come iniziò il nostro “corso di italiano e biscotti”,<br />

ma ogni giorno Abba imparava da me una parola nuova, alcune erano<br />

molto pratiche e gli servivano per fare la spesa, altre erano più astratte.<br />

Per tutti gli anni delle elementari lui partecipava a ogni parola nuova<br />

che io scoprivo, tornavo a casa chiamando<strong>lo</strong>. Spesso sonnecchiava<br />

nella sua camera con l’immancabile tazza di tè che riempiva la casa<br />

di un profumo dolce di mela, ed eccitata condividevo lettere che accostate<br />

creavano nuove parole.<br />

«Cos’è quel mappamondo tempestato di brillantini che hai accanto?»<br />

chiese Piero.<br />

«Un rega<strong>lo</strong> di compleanno a cui sono molto legata. Il primo rega<strong>lo</strong> che<br />

mio nonno mi ha fatto, è un caril<strong>lo</strong>n» e <strong>lo</strong> aprii, mentre il sole che entrava<br />

dalla vetrata faceva brillare di riflessi la superficie. «Non suona<br />

una musica famosa, ma è la co<strong>lo</strong>nna sonora di ogni momento importante<br />

della mia vita.»<br />

Uno degli articoli più venduti a Istanbul sono le palle pendenti. Ce ne<br />

sono in ogni parte della città: Abba vendeva palle bellissime nel suo<br />

bazar, dipinte a mano con catene lunghissime. Mi ha raccontato che<br />

una palla pende da sempre al centro della cupola del palazzo reale di<br />

Istanbul, dove il sultano riceveva gli ospiti e le sue concubine, e la palla<br />

indica la centralità del potere del sultano rispetto all’universo, ma gli<br />

ricorda che è un uomo sospeso al centro dell’universo e delle sue<br />

forze.<br />

«E come mai te <strong>lo</strong> porti in giro? A proposito, dove stai andando?»<br />

Stavo andando a Istanbul, in Turchia, per la prima volta. Avrei visto la<br />

> :-<br />

63


città che mio nonno decantava per la sua architettura, ma soprattutto il<br />

luogo di cui avevo sempre ascoltato storie. Le ricordavo raccontate in<br />

una lingua indefinita ma che io capivo, che diventavano un gomito<strong>lo</strong> di<br />

lana calda, si confondevano in una coperta che scaldava pomeriggi invernali<br />

trasportandomi in un mondo che a un certo punto decisi fosse<br />

finto. Insomma, per me a Istanbul viveva Abba, la sua famiglia, mia<br />

madre ma anche Cappuccetto Rosso e il Gatto con gli stivali. Credo<br />

abbia smesso di essere un luogo magico quando a scuola ho studiato<br />

l’Impero Romano d’Oriente e tutte le guerre che la città ha visto e causato,<br />

per poi trasformarsi nella città del sultano, delle donne velate ed<br />

eleganti, <strong>dei</strong> baci appassionati tra marajà e principesse e infine una specie<br />

di ombelico del mondo come canta Jovanotti. Un luogo tra Occidente<br />

e Oriente in cui le <strong>perso</strong>ne hanno voglia di incontrarsi, di raccontarsi, a<br />

prescindere dal luogo di provenienza.<br />

«Sto aspettando l’aereo per Istanbul» dissi a Piero indicando con il mento<br />

l’uscita di fronte a noi. Il tabel<strong>lo</strong>ne indicava un ritardo di quasi due ore.<br />

«Quindi stai andando in Turchia a trovare i tuoi parenti?»<br />

«Accompagno Abba a casa» risposi.<br />

«Mi piacerebbe conoscere tuo nonno, dov’è?» Piero si stava guardando<br />

intorno. E mi accorsi di cercare anch’io una <strong>perso</strong>na anziana con la pancia<br />

che ci guardasse sonnacchioso.<br />

«Abba è morto, stiamo riportando a casa il suo corpo.»<br />

È la prima volta che vado in Turchia, non so se incontrerò qualcuno che<br />

sappia raccontarmi ancora storie avvincenti. Se così non fosse ascolterò<br />

quelle che stanno nella mia testa e le racconterò ad Abba per farmi compagnia.<br />

> :-<br />

64


L’enigma del caril<strong>lo</strong>n 10<br />

di Marco Mastromattei<br />

>Caril<strong>lo</strong>n - Cartolina spedita:-<br />

Le lancette del grande oro<strong>lo</strong>gio di plastica appeso a una co<strong>lo</strong>nna della<br />

biblioteca segnavano le diciotto. Pit le fissò distrattamente mentre seduto<br />

su una confortevole poltroncina di tessuto verde leggeva un romanzo<br />

d’avventura.<br />

Il ragazzo frequentava quel luogo sin da quando era adolescente e<br />

adesso, passati da un pezzo i trent’anni, continuava a tornarci tutte le<br />

volte che poteva. Per lui era diventato quasi un rito: attraversava con<br />

calma l’ingresso e scambiava un saluto con le <strong>perso</strong>ne che conosceva.<br />

Entrava nell’immenso sa<strong>lo</strong>ne centrale dove troneggiava, esattamente<br />

nel mezzo, una maestosa scalinata di legno intarsiato. Era tanto magnifica<br />

a vedersi quanto difficile da descrivere a chi non l’avesse mai<br />

vista. Assomigliava a un gigantesco tronco di quercia, di quelli descritti<br />

nelle fiabe. Saliva al piano superiore biforcandosi a metà altezza in<br />

due rampe simmetriche che si torcevano a semicerchio e si incrociavano<br />

tra <strong>lo</strong>ro. Dalla scalinata, se si guardava verso l’alto, si poteva ammirare<br />

il luminoso lucernario co<strong>lo</strong>rato che occupava la parte centrale<br />

dell’alto soffitto. Da questo pendeva un mastodontico lampadario a<br />

forma di piramide rovesciata, sorretto da quattro grosse catene di ferro.<br />

Il soffitto e i controsoffitti che separavano i due piani erano un trionfo<br />

di legni intarsiati a motivi f<strong>lo</strong>reali, come la scalinata.<br />

Una volta attraversato il sa<strong>lo</strong>ne centrale, se aveva già recuperato il<br />

libro che desiderava leggere, Pit si dirigeva verso una delle numerose<br />

salette laterali, di solito quella più in fondo. Pensava che leggere nel<br />

silenzio di una biblioteca, circondato da altri libri e da <strong>perso</strong>ne che condividevano<br />

con lui il suo stesso amore per la letteratura, fosse il modo<br />

migliore per apprezzare e comprendere ciò che si stava leggendo. Inoltre<br />

era un modo per raggiungere – sebbene so<strong>lo</strong> per poche ore – una<br />

sorta di stato di grazia, un luogo dove dimenticarsi delle ansie e delle<br />

delusioni quotidiane.<br />

Aveva aperto da circa un anno un minusco<strong>lo</strong> studio legale che gli procurava<br />

pochi clienti e parecchie seccature. A volte, nel silenzio del suo<br />

> :-<br />

65


ufficio, si ritrovava a riflettere su ciò che aveva realizzato fino a quel<br />

momento. Una vita di studi intensi fino alla laurea, che non gli aveva<br />

lasciato molto spazio per altre attività. E poi il lavoro, duro e opprimente,<br />

che aveva finito per prosciugargli quel poco di vita sociale che<br />

ancora gli rimaneva.<br />

Ricordava quasi con disgusto gli anni di lavoro spesi nei grandi uffici<br />

legali della città, dove si entrava la mattina alle nove e si usciva la sera<br />

alle dieci. Nessuno ti regala mai niente, si sentiva dire. E questo ci poteva<br />

anche stare. Ma il fatto che ti imponessero di lavorare così tanto<br />

da scorticarti via la pelle di dosso per un tozzo di pane, con la giustificazione<br />

che ti stavano insegnando un mestiere, era una cosa ipocrita.<br />

E Pit odiava l’ipocrisia più di ogni altra cosa. Per questo motivo, dopo<br />

dieci anni di lavoro a quelle condizioni, decise di chiudere con quella<br />

vita. Avrebbe preferito fare qualsiasi altra cosa, ma quel<strong>lo</strong> dell’avvocato<br />

era l’unico mestiere che conosceva. E così aprì un picco<strong>lo</strong> studio tutto<br />

suo, partendo da zero. Era più che disposto a lavorare duramente, ma<br />

d’ora in poi l’avrebbe fatto per se stesso. Il risultato di tutto questo?<br />

Una vita passata prima a studiare e poi a lavorare; pochi soldi e una<br />

solitudine che, se ci pensava, spesso gli faceva mancare il respiro per<br />

la disperazione. Per questo motivo cercava di pensarci il meno possibile<br />

e tutte le volte che poteva si rifugiava in quella biblioteca.<br />

Guardò di nuovo il grande oro<strong>lo</strong>gio che segnava mezz’ora dopo le diciotto.<br />

Si ricordò di aver udito qualcosa dall’altoparlante della sala che<br />

riguardava una tempesta di neve e la chiusura della biblioteca, ma al<br />

momento non ci fece caso e non ricordava di cosa esattamente si trattasse,<br />

e forse non gli interessava nemmeno. Continuò a leggere.<br />

Giunte le diciannove, con riluttanza chiuse il suo libro. Aveva fatto tardi<br />

anche questa volta. Si alzò dalla poltroncina e stiracchiandosi diede<br />

un’occhiata fuori dalla finestra della piccola saletta. Nevicava copiosamente.<br />

Anche quando era arrivato stava nevicando, ma adesso i fiocchi<br />

erano grandi quanto piume d’oca e vorticavano impazziti come in<br />

un frullatore. Si avvicinò ai vetri e guardò meglio. Le strade erano ricoperte<br />

da un abbondante strato di neve e si sentiva soffiare impazzito<br />

il vento.<br />

“Una bella tempesta di neve… e devo ancora andare a fare la spesa”<br />

pensò con disappunto.<br />

Mentre si accingeva a recuperare zaino e cappotto per uscire dalla saletta,<br />

gli sembrò di udire un suono sommesso. All’inizio non riuscì a<br />

definir<strong>lo</strong>, sembrava più un’eco che proveniva dalla sua mente. Lenta-<br />

> :-<br />

66


mente il suo udito riuscì a dare una direzione a quel suono e Pit volse<br />

interrogativamente <strong>lo</strong> sguardo verso una scala che conduceva ai sotterranei<br />

della biblioteca. Diede di nuovo un’occhiata all’oro<strong>lo</strong>gio, mancavano<br />

pochi minuti alla chiusura. Esitò per un istante, poi si mosse<br />

verso la fonte di quel suono e scese le scale.<br />

Il piano inferiore era vasto quanto quel<strong>lo</strong> superiore ed era occupato da<br />

decine e decine di scaffali carichi di vecchi libri che formavano un deda<strong>lo</strong><br />

di corridoi lunghi e intricati. Pit era sceso raramente lì sotto. Sentì<br />

che il rumore proveniva dalla parte più <strong>lo</strong>ntana del <strong>lo</strong>cale e così, pian<br />

piano si incamminò percorrendo una dopo l’altra quelle corsie fatte di<br />

libri. Mano a mano che si avvicinava il suo udito riusciva a definire meglio<br />

quel suono. Era una musica, una specie di valzer, semplice, composto<br />

con poche note da un qualche strumento metallico. Appena<br />

svoltato l’ultimo corridoio si ritrovò davanti alla fonte di quella me<strong>lo</strong>dia.<br />

E non era so<strong>lo</strong>. Davanti a lui, raccolte attorno a un picco<strong>lo</strong> tavolino<br />

posto accanto a una parete, due <strong>perso</strong>ne osservavano un oggetto appoggiato<br />

sopra.<br />

Pit si avvicinò per guardare meglio. Vide una specie di caril<strong>lo</strong>n, a forma<br />

di sfera, co<strong>lo</strong>r porpora, grande quanto un me<strong>lo</strong>grano. La parte superiore<br />

rappresentava una volta celeste, punteggiata da un nugo<strong>lo</strong> di minuscoli<br />

vetrini co<strong>lo</strong>rati a forma di stella. All’apice della sfera svettava<br />

una luna a spicchio. Il tutto ruotava lentamente sopra una base cilindrica<br />

da cui si diffondeva la musica che aveva udito. Per quanto strano<br />

potesse sembrare, rimase in silenzio insieme alle altre due <strong>perso</strong>ne<br />

ad ascoltare quella me<strong>lo</strong>dia.<br />

Il meccanismo stava rallentando così come la rotazione della sfera e<br />

il ritmo della musica. Poco dopo le stelle del caril<strong>lo</strong>n terminarono di girare<br />

e il valzer si spense. So<strong>lo</strong> al<strong>lo</strong>ra Pit scambiò un’occhiata con le<br />

altre due <strong>perso</strong>ne. Erano due ragazze, più o meno della sua età, scese<br />

lì sotto probabilmente per il suo stesso motivo: attirate da quel suono.<br />

Quella alla sua destra aveva i capelli rossi come il fuoco e indossava<br />

<strong>dei</strong> vestiti decisamente eleganti, più adatti a un party nell’alta società<br />

che a una biblioteca. L’altra aveva degli splendenti occhi azzurri e un<br />

viso da bambina.<br />

Pit accennò un sorriso e disse: «Mi piacerebbe sapere che cosa ci fa<br />

un caril<strong>lo</strong>n qui sotto…»<br />

«…e in che modo si è messo a funzionare» aggiunse la ragazza dai<br />

capelli rossi, ricambiando il sorriso.<br />

«Lo avrà dimenticato qualcuno» replicò la ragazza dagli occhi chiari.<br />

> :-<br />

67


«Qui sotto ci sono molti libri che riguardano i movimenti meccanici e<br />

le macchine automatiche dell’Ottocento. Probabilmente qualcuno<br />

stava compiendo una ricerca.»<br />

«Be’, riportiamo<strong>lo</strong> su e lasciamo<strong>lo</strong> al banco informazioni» tagliò corto<br />

la prima ragazza.<br />

Presero il caril<strong>lo</strong>n e dopo aver ripercorso i vari corridoi del sotterraneo<br />

giunsero alle scale da cui erano scesi. Saliti al piano terra, i tre giovani<br />

si accorsero, con un po’ di apprensione, che tutte le luci erano spente.<br />

Pit diede un’occhiata al suo oro<strong>lo</strong>gio da polso: segnava le diciannove<br />

e un quarto.<br />

«Dovrebbe chiudere adesso la biblioteca…» disse con aria interrogativa.<br />

Poi come in un flash gli vennero in mente le parole scandite dall’altoparlante<br />

della sala circa un’ora prima. Quelle a cui non aveva<br />

prestato attenzione. Si avvisava il pubblico che quella sera la biblioteca,<br />

a causa della tempesta di neve, avrebbe chiuso un quarto d’ora<br />

prima. Il sospetto più che fondato di non aver fatto in tempo a uscire<br />

mise Pit a disagio.<br />

Nella semioscurità i tre ragazzi aumentarono il passo e tornarono al<br />

grande sa<strong>lo</strong>ne centrale, buio e vuoto. Non c’era anima viva. Lo percorsero<br />

speditamente sino a raggiungere l’ingresso. Nessuno, nemmeno<br />

lì. Arrivarono alla grande porta a vetri dell’entrata. Chiusa.<br />

«Fantastico… siamo rimasti chiusi dentro» esclamò la ragazza dai capelli<br />

rossi in un misto di apprensione e disappunto.<br />

Pit appoggiò le mani alla vetrata e guardò fuori. La tempesta imperversava<br />

più forte e violenta di prima. Si poteva udire il sibi<strong>lo</strong> minaccioso<br />

del vento. La neve aveva completamente ricoperto la scalinata dell’edificio<br />

e si stava ammassando davanti al portone. La strada di fronte<br />

formava un’unica striscia bianca con il marciapiede e le macchine parcheggiate<br />

portavano sui tetti un notevole strato di neve. I tre si guardarono<br />

in faccia quasi dire: e adesso?<br />

«Come modo per passare la notte di Hal<strong>lo</strong>ween <strong>lo</strong> trovo molto originale!»<br />

esclamò la ragazza dai capelli rossi sorridendo.<br />

Nessuno di <strong>lo</strong>ro aveva intenzione di rimanere lì per la notte. Bisognava<br />

comunicare con l’esterno. La prima cosa che fecero fu quella di usare<br />

i propri cellulari, ma nulla. Non c’era segnale. Si diressero nell’ufficio<br />

della biblioteca per usare il telefono fisso, ma anche questo era muto.<br />

La tempesta aveva interrotto le linee, e non so<strong>lo</strong> quelle di comunicazione.<br />

Anche l’elettricità era saltata e per quanto la ragazza dai capelli<br />

rossi si accanisse sull’interruttore, le luci rimasero spente.<br />

> :-<br />

68


«Di bene in meglio» disse stizzita. «Siamo chiusi qui al buio e non possiamo<br />

nemmeno chiamare qualcuno.»<br />

Anche la temperatura stava cominciando a scendere e i ragazzi cominciavano<br />

a sentire freddo. Pit rovistò nei vari armadi dell’ufficio e<br />

trovò delle candele innestate in un vecchio candelabro. Le accese,<br />

passò il candelabro alla ragazza dagli occhi chiari e disse: «Cominciamo<br />

a cercare un posto dove scaldarci.»<br />

Ricordava di una saletta provvista di un picco<strong>lo</strong> camino, così si misero<br />

a cercarla. Una volta trovata, recuperarono da uno sgabuzzino anche<br />

della legna e l’occorrente per accendere il fuoco. Quando dopo diversi<br />

tentativi finalmente riuscirono a incendiare i ciocchi di legna, si sedettero<br />

di fronte al camino con aria sconsolata. Cominciavano a scaldarsi<br />

e per<strong>lo</strong>meno non sarebbero morti di freddo. Passarono diversi minuti<br />

di silenzio.<br />

«Il mio nome è Peter» disse a un certo punto il ragazzo, ricordandosi<br />

di non essersi ancora presentato. E altrettanto fecero le ragazze. Trascorsero<br />

l’ora successiva a fare le rispettive conoscenze.<br />

Alice Leir, la ragazza dai capelli rossi, aveva viaggiato e vissuto molto.<br />

Era di famiglia agiata e aveva frequentato le migliori scuole del paese.<br />

Ma era anche uno spirito irrequieto e sin da subito aveva preferito al<strong>lo</strong>ntanarsi<br />

da casa piuttosto che lavorare alle dipendenze del ricco<br />

padre.<br />

«Sono in una fase della vita tra un uomo e un altro, tra un viaggio e un<br />

altro» disse scherzosamente.<br />

Mary C<strong>lo</strong>ud, la ragazza dagli occhi chiari, era un tipo affabile e semplice.<br />

Al contrario di Alice non era affatto agiata, e per tutta la vita non<br />

aveva fatto altro che studiare e svolgere lavori umili e poco remunerativi.<br />

Tra un discorso e l’altro, i tre ragazzi trascinarono nella saletta alcuni<br />

divanetti, per stare più comodi in vista della notte. Li sistemarono a semicerchio<br />

intorno alla fiamma allegra e scoppiettante del caminetto e<br />

vi si misero sopra a gambe incrociate. Adesso un rassicurante tepore<br />

invadeva la stanza.<br />

Pit si ritrovò tra le mani il caril<strong>lo</strong>n. Tutto questo disagio per colpa di<br />

quel<strong>lo</strong> stupido oggetto, pensò con un mezzo sorriso. Lo fece ruotare<br />

per far<strong>lo</strong> suonare ancora ma nel<strong>lo</strong> stesso istante si accorse che la parte<br />

superiore a forma di sfera si poteva sollevare. L’aprì e con sorpresa vi<br />

trovò dentro qualcosa. Mary e Alice <strong>lo</strong> guardarono incuriosite. Era un<br />

biglietto. Il ragazzo <strong>lo</strong> portò alla luce del candelabro e vide che c’era<br />

> :-<br />

69


scritto qualcosa a mano, in bella calligrafia. Lo lesse ad alta voce:<br />

“Tutto è un enigma e la chiave di un enigma è un altro enigma.”<br />

Per me, nulla di trascendentale e non sono un’aquila!<br />

Ma se pensi che trovare la risposta in questo oceano di conoscenza<br />

sia soltanto un’illusione, non ti abbattere e abbi fiducia in te stesso.<br />

Le illusioni sono importanti quanto la realtà.<br />

Lothar von Ratsel<br />

Dopo aver<strong>lo</strong> letto i tre ragazzi si fissarono per qualche istante. Pit<br />

passò il cartoncino prima ad Alice e poi a Mary.<br />

«“Tutto è un enigma e la chiave di un enigma è un altro enigma”…<br />

dev’essere una specie di aforisma scritto da qualcuno» osservò Mary.<br />

«Sì. È una frase virgolettata che questo von Ratsel riporta… ma chi<br />

l’ha scritta?» disse Pit.<br />

«Un romanziere forse…» disse Alice, piuttosto annoiata.<br />

«Sembra che questo von Ratsel ci inviti a cercare l’autore della frase<br />

tra i libri della biblioteca» azzardò Mary con perspicacia.<br />

«Infatti…» convenne Pit.<br />

La questione iniziava a incuriosirli. Tutti e tre cominciarono ad azzardare<br />

delle ipotesi su chi potesse aver scritto quella frase: Shakespeare,<br />

forse. O forse Dickens… oppure Wilde?<br />

Con un pizzico di eccitazione vollero verificare le <strong>lo</strong>ro ipotesi. Uscirono<br />

dalla stanza con il candelabro in mano e i cappotti addosso e si avviarono<br />

verso gli scaffali della biblioteca alla ricerca del libro che poteva<br />

contenere quella frase. A ciascuna supposizione seguiva la ricerca del<br />

libro e uno sfoglio rapido delle pagine, ma in realtà nessuno <strong>dei</strong> tre<br />

aveva la minima idea di cosa cercare.<br />

Verso mezzanotte, vinti dal freddo e dalla difficoltà di quella ricerca,<br />

decisero di ritirarsi nella saletta che avevano adibito a dormitorio. Pit<br />

rinforzò il fuoco nel picco<strong>lo</strong> camino. Si ritrovarono sdraiati sui rispettivi<br />

divani, l’uno posto accanto all’altro. Nessuno aveva voglia di dormire.<br />

Fuori la tempesta di neve non era cessata e si riusciva a sentire l’ululato<br />

violento del vento che batteva sugli infissi e le finestre. La temperatura<br />

era scesa di molto sotto <strong>lo</strong> zero e i tre ragazzi spostarono i divani<br />

per quanto possibile vicino al caminetto.<br />

«Nessuno ha qualcosa da mangiare?» chiese con tono lamentoso<br />

Mary, rannicchiata nel suo cappotto.<br />

Pit si ricordò del suo zaino e si alzò per prender<strong>lo</strong>.<br />

> :-<br />

70


«Vediamo un po’…» disse incominciando a frugare con la mano al suo<br />

interno. Rovesciò il contenuto sul divano. «Io ho due pacchetti di patatine,<br />

una barretta di cioccolato fondente, uno snack alla nocciola e<br />

della caramelle.»<br />

Di solito, quando si dimenticava di fare la spesa, quella era la sua<br />

cena. Anche Mary e Alice presero le rispettive borse.<br />

«Io ho due bottigliette d’acqua e una di aranciata» disse Mary mettendo<br />

a disposizione quel<strong>lo</strong> che aveva.<br />

Alice esitò per un istante, ma poi lasciandosi andare disse: «Io ho del<br />

rum» e tirò fuori una fiaschetta che rivelava una sua certa propensione<br />

a bere.<br />

«Bene» aggiunse Alice, «festeggeremo Hal<strong>lo</strong>ween con rum e cioccolato!»<br />

Trascorsero buona parte della notte parlando delle rispettive vite e<br />

scaldandosi con il rum e il cioccolato. Di sicuro avevano una cosa in<br />

comune: tutti e tre soffrivano di insonnia.<br />

Tra una chiacchiera e l’altra, Pit prese in mano il cartoncino con<br />

l’enigma e <strong>lo</strong> rilesse per l’ennesima volta.<br />

«Mi dispiace ragazzi» fece Mary. «Conosco a memoria gli scritti di Shakespeare<br />

e le poesie di Emily Dickinson ma questa frase proprio non<br />

so chi l’abbia scritta.»<br />

«Secondo me» osservò Pit, «dobbiamo concentrarci anche su quel<strong>lo</strong><br />

che ha scritto von Ratsel: “Per me, nulla di trascendentale e non sono<br />

un’aquila! Ma se pensi che trovare la risposta in questo oceano di conoscenza<br />

sia soltanto un’illusione, non ti abbattere e abbi fiducia in te<br />

stesso. Le illusioni sono importanti quanto la realtà”. Sono scuro che<br />

ha usato queste parole per darci degli indizi.»<br />

«Ma quali?» domandò Alice, che iniziava ad avvertire la fatica della<br />

giornata.<br />

«Be’…» rifletté Pit, «ha usato la parola “oceano” e non “mare” per descrivere<br />

una moltitudine di libri. Magari l’autore della frase viveva in un<br />

paese bagnato dall’oceano.»<br />

Le due ragazze cominciarono a seguire interessate il suo ragionamento.<br />

«Ci sono molti paesi bagnati dagli oceani» puntualizzò Alice.<br />

Poi il ragazzo fu illuminato da un’intuizione: «L’aquila!» esclamò.<br />

Mary e Alice dissero quasi contemporaneamente: «È il simbo<strong>lo</strong> degli<br />

Stati Uniti d’America!»<br />

«Giusto!» esclamò Pit. «Quindi sappiamo che il nostro autore è ame-<br />

> :-<br />

71


icano. Cos’altro ci dice quella frase?»<br />

«“Nulla di trascendentale”…» lesse Alice prendendo in mano il biglietto.<br />

«Il trascendentalismo era una corrente fi<strong>lo</strong>sofica e letteraria che<br />

si affermò in America nell’Ottocento.»<br />

«Giusto anche questo!» convenne Pit. «Chi erano gli esponenti?»<br />

Ormai un senso di eccitazione aveva colto tutti e tre i giovani, che persero<br />

quel poco sonno che avevano.<br />

«Be’, vediamo…» cominciò Mary cercando di ricordarsi. «C’erano fi<strong>lo</strong>sofi,<br />

scrittori… C’era Thoreau, che era un poeta e saggista; c’era<br />

Emerson, che era un fi<strong>lo</strong>sofo, oltre che saggista e poeta; e poi c’erano<br />

Fuller e Channing, entrambi scrittori. E poi ancora Whitman, che era<br />

un poeta, e Hawthorne, e la stessa Emily Dickinson…»<br />

«“Abbi fiducia in te stesso”… a quale di questi autori si può maggiormente<br />

associare questa frase?» si chiese Pit.<br />

«Ralph Waldo Emerson!» esclamarono tutti e tre all’unisono, sollevandosi<br />

in piedi sui divani.<br />

A questo punto l’eccitazione fu tale che afferrarono il candelabro e corsero<br />

per i bui corridoi della biblioteca alla ricerca della sala <strong>dei</strong> fi<strong>lo</strong>sofi<br />

e scrittori americani dell’Ottocento.<br />

«Ralph Waldo Emerson… eccoli» disse Alice indicando una consistente<br />

quantità di libri contenente i suoi scritti.<br />

«Rimane comunque una moltitudine di pagine da sfogliare: “Natura”,<br />

“Società e solitudine”, i “Saggi”, “Condotta di vita”, “Discorso alla facoltà<br />

di teo<strong>lo</strong>gia”, “Lo studioso americano”, “Uomini rappresentativi”, sono<br />

tutti libri di Emerson che vedo qui…» disse sconsolata Mary.<br />

Pit lesse di nuovo il cartoncino che si era portato dietro: «“Le illusioni<br />

sono importanti quanto la realtà”…»<br />

«“Condotta di vita” è una raccolta di nove saggi e uno è intitolato “Illusioni”!»<br />

esclamò Mary.<br />

Alice si precipitò verso il libro indicato, <strong>lo</strong> prese dal<strong>lo</strong> scaffale e cominciò<br />

a sfogliar<strong>lo</strong>. L’ultimo <strong>dei</strong> nove saggi che componeva la raccolta si<br />

intitolava effettivamente “Illusioni”. Incominciava con una sorta di sonetto,<br />

poi l’autore descriveva il suo pensiero. Giunti alla quarta pagina<br />

del saggio, tutti e tre all’unisono lessero a voce alta: “La vita è una successione<br />

di lezioni che devono essere vissute per essere capite. Tutto<br />

è un enigma e la chiave di un enigma è un altro enigma. Ci sono così<br />

tanti cuscini fatti di illusioni quanti sono i fiocchi in una tempesta di<br />

neve. Ci svegliamo da un sogno per ritrovarci in un altro sogno.”<br />

Rimasero in silenzio per qualche istante. Erano riusciti a trovare la<br />

> :-<br />

72


chiave di quell’enigma. Sorrisero, mentre i <strong>lo</strong>ro spiriti venivano pervasi<br />

da un senso di appagamento e contentezza.<br />

Pit prese il libro e notò che nell’ultima pagina c’era attaccata una cartolina.<br />

Con delicatezza la staccò e la girò. C’era scritto a mano, in bella<br />

calligrafia:<br />

“A chi mi leggerà.<br />

Se hai trovato questa cartolina non per caso vuol dire che hai fatto un<br />

buon lavoro.<br />

Se per te è stata un’avventura, spero che tu non l’abbia affrontata da<br />

so<strong>lo</strong>, perché le avventure, come la vita, si affrontano insieme agli amici,<br />

vecchi e nuovi.<br />

A volte un’avventura può cominciare e terminare in una biblioteca, altre<br />

volte andare avanti.<br />

Se ti stai domandando il perché, la risposta è la seguente: sono alla<br />

ricerca di giovani di talento che collaborino con la mia casa editrice e<br />

l’enigma del caril<strong>lo</strong>n è stato un ottimo test di ingresso.<br />

Se vuoi che la tua avventura continui, consegnami il mio caril<strong>lo</strong>n all’indirizzo<br />

segnato sulla cartolina.”<br />

Lothar von Ratsel<br />

I tre ragazzi lessero l’indirizzo e si guardarono a vicenda, immaginando<br />

cosa avrebbero fatto l’indomani.<br />

> :-<br />

73


Sincronicità 11<br />

di Chiara D’Amico<br />

> Cartolina spedita -Portasigarette :-<br />

La giornata era incominciata in modo strano. Una di quelle in cui ci si<br />

sveglia con la vaga sensazione che stia per accadere qualcosa.<br />

Un rapido sguardo fuori dalla vetrina, giusto in tempo per notare il planare<br />

di un foglio, o qualcosa di simile, sul marciapiede. No, era una<br />

cartolina. Sergio la raccoglie e la tiene tra le mani ponendosi mille domande.<br />

Una cartolina leggermente sbiadita, in bianco e nero. Raffigura<br />

un imponente edificio monumentale avvolto da un freddo cie<strong>lo</strong> di nubi<br />

dense. Rientra e rimane a osservarla affascinato per un po’. Dopo un<br />

lungo gioco a quiz, gira il verso in cerca di una risposta. Ha vinto o<br />

<strong>perso</strong>? Perso. Si tratta del Palais de Chail<strong>lo</strong>t a Parigi. Boh? Più interessante<br />

è il timbro, che riporta l’anno 1951. Molti anni di storia fa. Non<br />

è roba sua.<br />

Si sente in colpa. Prosegue nella sua ricerca con ze<strong>lo</strong>. Il testo in francese<br />

frustra la sua curiosità facendola rimbalzare sul destinatario:<br />

Guido Barda, casa albergo di via Corridoni 22, Milano – Italia.<br />

Le 7:00, suona la radiosveglia. Ogni domenica il signor Sergio Bianchi,<br />

salumiere di professione da più di trent’anni, si concede un’ora in più<br />

di sonno. Nel suo letto a baldacchino comprato a un’asta di quartiere<br />

si gode alcuni minuti di pigro dormiveglia ascoltando le note di Mahler,<br />

rigirandosi nel letto prima di decidere di alzarsi. Le ciabatte in pelle,<br />

perfettamente allineate, aspettano fedeli i suoi piedi nudi e caldi. La<br />

prima tappa è sempre la cucina: rigorosamente anni Settanta, rivestita<br />

di piastrelle da motivi grafici a rilievo, con composizioni sinuosamente<br />

geometriche nelle tonalità marrone e verde salvia, accuratamente abbinate<br />

al mobilio in formica opaca beige. La moka, preparata la sera<br />

prima, aspetta sul fornel<strong>lo</strong> di una vecchia Gasfire. Dietro la tenda dai<br />

grandi fiori vivaci ma sbiaditi debutta una giornata uggiosa. La piccola<br />

radio transistor annuncia le notizie e gli eventi del giorno, la grande<br />

manifestazione a favore <strong>dei</strong> diritti delle donne in piazza Duomo.<br />

“Oggi ho ben altro da fare. E poi il ’68 è passato da un po’. Dai su, me<br />

> :-<br />

74


<strong>lo</strong> conferma anche la fantastica pubblicità di quel bel dunìn… come si<br />

chiama… quella gnocca che si spoglia eroticamente in ascensore…<br />

che sta con quel pirla di un fotografo… ah sì, la Belén.”<br />

Mentre pensa tra sé e sé in beata solitudine, prepara la tazzina in porcellana<br />

cinese con il solito mini cucchiaino, souvenir rubato all’Alitalia<br />

quando ancora le posate erano in metal<strong>lo</strong>. “Non ti dimenticare di prendere<br />

la pastiglia per il colestero<strong>lo</strong> come ieri”. E a questo pensiero l’indice<br />

e il pollice si appoggiano sui baffi folti e brizzolati<br />

accompagnandone il verso. “È ora di accorciarli un po’. Me l’ha fatto<br />

notare anche la signora Brambilla ieri in negozio. Certo che col fatto<br />

che non ha più il marito sfoga tutte le sue attenzioni su di me. Mi fa<br />

piacere, ma ogni tanto è veramente opprimente. Mi ricorda tanto la povera<br />

mamma. Dai sopporta, visto che tra culatel<strong>lo</strong> di Zibel<strong>lo</strong> e gamberetti<br />

in salsa rosa ti lascia giù un pezzetto del suo capitale ogni giorno.<br />

Tiremm innanz!”<br />

Sergio possiede il talento di rendere interessante una coscia di maiale<br />

e tutte le altre forme d’insaccati di suino e carni varie, un vero artista<br />

nel posizionare le forme tondeggianti dal taglio fresco sui ripiani metallici<br />

dietro al bancone. Considerando ogni rotondità come un enorme<br />

punto, crea <strong>dei</strong> veri e propri quadri astratti, usando prevalentemente<br />

tutte le tonalità del rosa carne, intercalate da qualche tocco di bianco<br />

qua e là. Dicono sia un vero maestro, intraprendente ma discreto, e<br />

come ogni vero artista nasconde le sue migliori opere ge<strong>lo</strong>samente<br />

nel retrobottega dove so<strong>lo</strong> poche elette, forse le più facoltose, hanno<br />

diritto di accesso esclusivamente dietro invito scritto.<br />

Quella mattina, su un tavo<strong>lo</strong> lindo dalle gambe esili in acciaio cromato,<br />

poggiano degli inviti in cartoncino ruvido bianco. Il primo è indirizzato<br />

alla signora Brambilla, appunto. Raggruppandoli tra le mani li fa passare<br />

uno a uno per verificare la presenza di tutti i nomi delle sue predilette.<br />

Poi si accorge che in un invito, giù in basso a destra, manca la<br />

dicitura R.S.V.P. accompagnata dal suo numero di cellulare. Con la<br />

sua penna sti<strong>lo</strong>grafica Pelikan dall’inchiostro blu <strong>lo</strong> completa. Deve assolutamente<br />

ricordarsi di portarli in negozio il giorno dopo. La sua<br />

nuova mostra di quadri è pronta e questa volta si sente profondamente<br />

soddisfatto <strong>dei</strong> risultati pittorici. Le sue nature morte non sono mai state<br />

così belle e verosimili, soprattutto quella dell’alzatina di frutta con in<br />

mezzo un pezzo di mortadella. Per non parlare della rappresentazione<br />

più che perfetta della forma rettangolare del fois gras con tutte le sue<br />

sfumature dove, sul<strong>lo</strong> sfondo scuro, giace un’abnorme anatra defunta<br />

> :-<br />

75


con il col<strong>lo</strong> a penzo<strong>lo</strong>ni.<br />

Il signor Sergio è un vero autodidatta, ma per crearsi un po’ di celebrità<br />

dice a tutti di aver seguito un corso di pittura a olio alla Pinacoteca di<br />

Brera. Alle clienti descrive la sua arte come un’autentica passione, facendo<br />

sempre riferimento all’impareggiabile Michelange<strong>lo</strong>, non il Buonarroti,<br />

ma il Merisi da Caravaggio. Arriva ad affermare che le sue<br />

opere possano essere facilmente scambiate per gli originali da quanto<br />

sono perfette. I vernissage hanno luogo, puntualmente, ogni mese nel<br />

retro bottega. Pare che riesca anche a venderli i suoi quadri, a detta<br />

di alcuni, dozzinali e a volte disgustosamente truculenti, ma lui questo<br />

<strong>lo</strong> ignora.<br />

Ricordandosi del particolare del fois gras, la mente <strong>lo</strong> riporta in un<br />

lampo al viaggio fatto con suo padre, salumiere anche lui, nel sudest<br />

della Francia, e precisamente in Linguadoca, alla ricerca di un nuovo<br />

fornitore.<br />

Era il 1950, aveva otto anni all’epoca. Quel viaggio gli aveva lasciato<br />

tanti bei ricordi indelebili.<br />

Si alza per versarsi ancora un po’ di caffè.<br />

Gran viaggio, non tanto per l’aver trovato l’anelato nuovo fornitore di<br />

fois gras, ma perché suo padre decise di portar<strong>lo</strong> a un circo di paese<br />

nelle vicinanze, Alès. L’idea gli venne dopo aver adocchiato un manifesto,<br />

che oltre annunciare la venuta del circo, sottolineava l’esibizione<br />

di un trombettista solista che <strong>lo</strong> accompagnava, un tale di Maurice<br />

André. Suo padre nutriva una viscerale passione per la tromba che da<br />

anni cercava di suonare, e non c’era modo di fargli capire che forse<br />

era meglio per lui e per tutti quelli che gli stavano intorno continuare a<br />

fare so<strong>lo</strong> il salumiere, perché gli riusciva decisamente meglio; all’epoca<br />

aveva adibito il retro bottega a sala da musica.<br />

Quella serata rimase una pura magia nei ricordi del bimbo. Non tanto<br />

per il magnifico tendone co<strong>lo</strong>rato gremito di gente e pagliacci, ma per<br />

chi gli si sedette al fianco: Micheline, Micheline Barda, primo amore<br />

della vita. Bellissima: bionda, formosa, occhi azzurri splendidi e conturbanti.<br />

Nulla rimase del<strong>lo</strong> spettaco<strong>lo</strong>, sicuramente ci saranno stati ruggenti<br />

leoni, tigri ed elefanti, ma per lui so<strong>lo</strong> il viso di lei e le sue mani aggraziate,<br />

che a un certo punto gli offrirono un nuvo<strong>lo</strong>ne di zucchero filato<br />

rosa. Mai, niente e nessuno gli aveva fatto esp<strong>lo</strong>dere il cuore come<br />

quel giorno. Lo chiamano colpo di fulmine. Il primo e unico. Eppure lei<br />

avrà avuto almeno quindici anni più di lui.<br />

> :-<br />

76


Durante l’interval<strong>lo</strong> suo padre si era messo a parlare con i genitori di<br />

Micheline e col fratel<strong>lo</strong> Guido, che gli sedeva accanto, in un francese<br />

dalle cadenze dialettali milanesi. Comprese approssimativamente che<br />

erano originari di Alès, che Guido aveva studiato a Parigi e che presto<br />

si sarebbe trasferito a Milano per approfondire i suoi studi di fotografia,<br />

al<strong>lo</strong>ggiando in una casa albergo appena inaugurata in via Corridoni.<br />

Quell’incontro rassicurò i genitori di Guido, che videro subito nel salumiere<br />

un punto di riferimento per il figlio. Sergio era felice, avrebbe potuto<br />

rivedere Micheline, prima o poi.<br />

Arrivato a Milano, Guido passava tutte le settimane dalla salumeria<br />

per comprarsi il fantastico fois gras galeotto di quel fortuito incontro.<br />

Si instaurò un rapporto di amicizia, tanto che la famiglia Bianchi fu invitata<br />

varie volte a passare le vacanze ad Alès dalla famiglia Barda,<br />

con immensa gioia di Sergio. Che intanto cresceva e maturava, sia nel<br />

corpo che nella mente. E gli anni passavano e anche il peso della differenza<br />

di età con l’amata.<br />

I mesi trascorrevano a b<strong>lo</strong>cchi solidi, impilandosi, creando la piramide<br />

che conduce alla cima: le vacanze estive. L’apice dell’anno, la carica<br />

di energia, e Sergio non ne sprecava neppure un watt, sia di giorno<br />

che di notte. Tutta la luce era puntata su di lei e so<strong>lo</strong> a lei. Perfetta sintonia<br />

d’intenti. Fino a quando, durante l’ultima estate che si rivelò essere<br />

tale so<strong>lo</strong> qualche mese dopo, l’inatteso ebbe il sopravvento.<br />

Non ne parlò mai con nessuno, ma il legame con Micheline non era<br />

annodato più so<strong>lo</strong> di passeggiate e confidenti chiacchierate. Le <strong>lo</strong>ro<br />

misteriose e lunghe scomparse, malamente giustificate, iniziarono a<br />

destare qualche sospetto. Ma cosa veramente stesse accadendo tra<br />

<strong>lo</strong>ro non <strong>lo</strong> seppe mai nessuno.<br />

Dopo la repentina morte della madre di Sergio gli incontri si diradarono<br />

e si tagliarono i contatti, fino a cessare del tutto. Ad Alès non tornò più.<br />

Cambiarono i numeri di telefono così come gli indirizzi. Segnali spietati<br />

del fluire del tempo che distratti da mille stimoli si dissolvono, lasciando<br />

posto a un’insopportabile e impotente nostalgia.<br />

Micheline non l’avrebbe mai dimenticata. E lei, aveva dimenticato? È<br />

vero che il ricordo rende tutto più bel<strong>lo</strong>, ma forse <strong>lo</strong> era anche stato. O<br />

forse <strong>lo</strong> sarebbe stato, se so<strong>lo</strong>… e se… e ancora se… Sentiva di volerla<br />

rivedere anche dopo tanto tempo. Sentiva più che mai la necessità<br />

di avere delle risposte e non più so<strong>lo</strong> domande. I sentimenti non<br />

invecchiano, rimangono uguali, ormai l’aveva capito. Arriva un momento<br />

nella vita in cui il tempo perde la propria immortalità. E a quel<br />

> :-<br />

77


punto ci si chiede se è veramente tutta una questione di momenti giusti<br />

o se è soltanto una questione di scelte. Avrebbe potuto scegliere diversamente,<br />

essere stato l’unico responsabile di quel distacco gli faceva<br />

paura. Forse era il momento di scoprir<strong>lo</strong>, a costo di sconvolgere<br />

il senso di ogni cosa. Quel cerchio doveva essere chiuso.<br />

Intanto il caffè è finito, si veste per andare in salumeria a organizzare<br />

l’esposizione <strong>dei</strong> suoi quadri per il giorno dopo.<br />

Corinne Prati, tacco dodici zeppa inclusa per raggiungere il suo metro<br />

e settanta di francesità, corre per le strade di Milano come se non<br />

avesse mai un minuto da perdere. Polpacci ben torniti e agili contenuti<br />

in un collant nero coprente che, nell’accurato accavallarsi delle gambe<br />

su un tram come a un party, invitano <strong>lo</strong> sguardo ad andare oltre, più<br />

su, dove la gonna stretta fa intravedere forme sinuose ben proporzionate.<br />

Anche con freddo e neve lei si ostina a tenere il giaccone aperto,<br />

rigorosamente senza sciarpa, così da mettere in risalto il seno sostenuto<br />

e f<strong>lo</strong>rido sotto un pul<strong>lo</strong>ver scollato a V in puro cashmere. Sul décolleté<br />

qualche segno <strong>dei</strong> suoi quasi cinquant’anni portati con molta<br />

disinvoltura. Il viso armonioso agevolato da un naso rifatto alla francese<br />

ospita fiero uno sguardo curioso e acceso, disturbato ogni tanto<br />

dall’insinuarsi lento di un ciuffo morbido e ramato che si frappone all’occorrenza<br />

fra lei e il mondo. Quasi una visiera a comando che le regala<br />

sensualmente qualche zona d’ombra per concedersi un po’ di<br />

respiro tra una scena e l’altra. Non è opportuno mostrarsi completamente.<br />

Opportuno è piuttosto sorridere sempre, come le aveva ben insegnato<br />

la madre a suo tempo. Sempre e in qualsiasi occasione. Un<br />

imperativo categorico. Tanto che, quando il suo secondo marito le<br />

aveva comunicato che stava per avere un figlio con un’altra, lei era riuscita<br />

a sorridere camuffando egregiamente l’avvenuta recisione di tutte<br />

le sue arterie in un colpo so<strong>lo</strong>. Ma aveva aggiunto anche che non<br />

l’avrebbe lasciata e che poteva stare tranquilla.<br />

Tranquilla, certo. Come quando durante il suo primo matrimonio, tornando<br />

a casa in anticipo dal weekend con sua figlia, aveva scoperto il<br />

suo primo marito nel suo letto con un’altra. Anche al<strong>lo</strong>ra aveva saputo<br />

sorridere insabbiando egregiamente le prove di un alto tradimento in<br />

corso ma, ancora inesperta, non fu del tutto impeccabile e se n’era andata<br />

sbattendo la porta. Certo, aveva commesso qualche errore, ma<br />

assolutamente nei ranghi. Inizialmente sembrava che la sua seduzione<br />

avesse scelto bene le sue prede: due uomini ricchi, piacenti, impren-<br />

> :-<br />

78


ditori in vista, di rappresentanza insomma. Due cognomi discussi e<br />

chiacchierati della “Milano bene”.<br />

Meglio definire “bene”. Il primo era un dichiarato cocainomane che tra<br />

un affare e l’altro frequentava gli alcolisti anonimi e donne di varie arti<br />

e mestieri, mentre il secondo, pubblicitario di professione ma Mar<strong>lo</strong>n<br />

Brando nel tempo libero, collezionava Harley-Davidson per favorire il<br />

suo ruo<strong>lo</strong> di benefattore nel mondo glamour delle top model. Diceva<br />

che le sue campagne pubblicitarie erano vincenti proprio per questo<br />

suo spiccato senso del dovere. Lo stesso senso del dovere che aveva<br />

messo incinta Corinne – o era lei a essersi fatta mettere incinta – quattordici<br />

anni prima, provocando il sospirato matrimonio fra <strong>lo</strong>ro. Questa<br />

sì che era una conquista, visto che l’unione con il precedente marito<br />

non era di fatto stata legittimata. Due figlie uniche, due mariti diversi,<br />

un matrimonio. Evidentemente si era cercata fin dalla sua adolescenza<br />

una posizione accessoria rispettabile. Esattamente come sua madre<br />

prima di lei, quando aveva scelto suo padre. Di lui, d’altronde, aveva<br />

potuto apprendere ben poco, assente fisicamente e geograficamente,<br />

con l’unico risarcimento possibile, al momento della sua definitiva dipartita,<br />

di un ingente lascito monetario.<br />

Corre Corinne, come sempre. E come sempre è in ritardo per il suo<br />

ennesimo appuntamento con l’immobiliarista di turno. Costantemente<br />

in cerca di mono e bi<strong>lo</strong>cali da comprare. Questo è diventato il suo vero<br />

hobby. Un costoso modo per riempire i vuoti quotidiani, che contribuisce<br />

a definirla nei confronti degli altri. Un enorme cerotto per fronteggiare<br />

la cinica e alquanto do<strong>lo</strong>rosa indifferenza subita dal marito in anni<br />

infiniti.<br />

Il traffico è impazzito sotto le luminarie che annunciano l’arrivo del Natale.<br />

Ogni anno la stessa storia, come se quelle lucine scintillanti sprigionassero<br />

misteriosamente messaggi subliminali per incentivare la<br />

corsa agli acquisti. Nella sua borsetta straripante e mai perfettamente<br />

chiusa custodisce la lista gastronomica da ordinare in salumeria per<br />

la cena e il pranzo natalizi. Meglio organizzarsi prima così da evitare<br />

le lunghe code delle clienti fan del signor Sergio. Si sarebbe recata da<br />

lui subito dopo il suo appuntamento, visto che si trovava a due passi<br />

da lì. E pensare che un anno prima, sempre nel<strong>lo</strong> stesso periodo, era<br />

a Parigi. Meglio continuare a far finta di non ricordare. Meglio non soffermarsi<br />

sui soliti perico<strong>lo</strong>si “se”.<br />

Ecco la sua fermata. Esce con difficoltà dal tram schivando contrariata<br />

> :-<br />

79


la solita fiumana di gente che sale dalle porte dell’uscita rendendo la<br />

discesa un’impresa teutonica. Minaccia pioggia e deve imporsi controcorrente<br />

verso un gruppo di bulli adolescenti che sosta irrequieto<br />

proprio nei pressi della fermata. L’ombrel<strong>lo</strong> di fabbricazione cinese,<br />

con chiusura automatica volubile, si apre invo<strong>lo</strong>ntariamente facendola<br />

inciampare maldestramente verso il cartel<strong>lo</strong>ne pubblicitario riparato dal<br />

tetto sporgente della pensilina. Gli occhi le scivolano magneticamente<br />

sull’immagine dell’affissione provocandole un’inaspettata contrazione<br />

facciale molto simile a “L’ur<strong>lo</strong>” di Munch. Incredula e attonita cerca di<br />

far finta di nulla. Il solito sorriso le si stampa sulla bocca, si ricompone<br />

e scappa via, senza più voltarsi indietro.<br />

Durante la visita all’appartamento Corinne trattiene a stento il turbamento<br />

della visione alla fermata. È distratta, svogliata e insofferente<br />

di fronte al dimesso agente immobiliare dai capelli induriti dall’eccesso<br />

di gel. Lo stesso che pazientemente l’ha dovuta aspettare una bella<br />

mezz’ora al freddo. Le sue parole le rimbombano nel canale uditivo<br />

causandole un improvviso attacco di labirintite. Si siede su una sedia<br />

sudicia e impolverata, unico oggetto superstite di un recente tras<strong>lo</strong>co.<br />

«Mi deve scusare, ma non mi sento affatto bene. Penso sia la pressione.<br />

Ho bisogno di aria. Se non le dispiace fisserei per un altro<br />

giorno. Non riesco a concentrarmi.» Pesca l’agenda tra i mille oggetti<br />

ammassati nella sua borsetta per annotare sotto una nuova data l’orario<br />

convenuto.<br />

Lentamente, sorreggendosi alle pareti, esce dall’edificio, sosta per<br />

qualche attimo usando l’ombrel<strong>lo</strong> come sostegno. “Forza e coraggio,<br />

riprenditi e prosegui verso il salumiere. In fondo cosa vuoi che sia<br />

quella foto. Nessun ripensamento. Si tratta so<strong>lo</strong> di un gioco del destino.<br />

Mera coincidenza. Non farci caso. Passerà” la mente le consiglia.<br />

Riprende lenta il tragitto verso la salumeria. Appena fuori dalla vetrina<br />

nota, con immenso piacere, che il negozio è vuoto.<br />

«Buongiorno signor Sergio, che brutta giornata, vero?»<br />

«Ma buongiorno signora Corinne. Aspettavo proprio lei.»<br />

«Come aspettava me?»<br />

«Mi è venuta in mente proprio un’oretta fa quando ho trovato una cartolina<br />

sul marciapiede all’entrata del negozio. Avrei bisogno che mi traducesse<br />

il testo, è scritto in francese. Conoscendo le sue origini l’ho<br />

chiamata col pensiero. Sembrerebbe proprio così.» Risata imbarazzata.<br />

> :-<br />

80


Apre un cassetto e le porge la cartolina: «Vede, mi sembra un vero e<br />

proprio segno del destino e ora le spiego perché. Mi è venuto un colpo<br />

nel leggere a chi era indirizzata. Non potevo crederci. Le devo confessare<br />

di essermi emozionato. È indirizzata a un amico legato al passato<br />

ma ancora molto vicino: Guido Barda.»<br />

Appoggiandosi al suo solito ombrel<strong>lo</strong> cinese Corinne spalanca gli occhi<br />

come per riflesso condizionato. Il salumiere interpreta il suo sbigottimento<br />

come chiaro segno di interesse e procede rassicurato: «Se ha<br />

cinque minuti da dedicarmi le racconto brevemente la mia storia. So<br />

che magari non le interessa, ma ho bisogno di sfogarmi con qualcuno.»<br />

Gli occhi di Sergio sono fissi sul volto di Corinne, cercano un qualsiasi<br />

segno di approvazione.<br />

Inciampando col pensiero su ogni consonante e vocale di quel nome,<br />

Corinne risponde: «Faccia pure, l’ascolto.» Nel dimostrare solidarietà<br />

al salumiere, Corinne si interroga con ansia sul nome appena menzionato.<br />

L’attacco di labirintite appena schivato preannuncia una possibile<br />

ricomparsa.<br />

Il rapido e incontrollato susseguirsi di parole inondano con impeto ogni<br />

centimetro quadrato del<strong>lo</strong> spazio circostante, come se la chiusa della<br />

diga per troppo tempo oppressa dalla pressione selvaggia dell’acqua<br />

in piena non possa più contenere l’esondazione.<br />

Un nanosecondo a sconvolgere l’ordine universale costruito in milioni<br />

di anni.<br />

Corinne assorta, sguardo fisso sul salumiere che le confida i dettagli<br />

della sua ancora vivida <strong>lo</strong>ve story con Micheline. Ma l’immagine del<br />

suo inter<strong>lo</strong>cutore incomincia lentamente a sfumare fino a scomparire<br />

del tutto. Inizia l’immersione nel flashback. Onda di sensazioni ed emozioni<br />

che non trova barriere di scogli.<br />

Fotogrammi. Set fotografico sotto la Tour Eiffel: fotografi, assistenti,<br />

luci. Sigaretta magicamente fuoriuscita da un portasigarette metallico<br />

e vissuto. Merci. Stretta di mano. Gilbert: sguardo magnetico senza<br />

via di scampo. Attrazione fulminea, devastante, che si trasforma in un<br />

sorriso a un party affollato di gente chiassosa.<br />

Quanto i ricordi possono scoppiarci dentro. Persa ma viva.<br />

Torna lì a quel party: forse è so<strong>lo</strong> la <strong>lo</strong>ntananza da Milano. Prende il<br />

suo bicchiere di champagne e si dilegua. Perché la guardava così quel<br />

ragazzo, Gilbert. Leggero imbarazzo mentre pensa che sicuramente<br />

si stava prendendo gioco di lei. Avrà ventisette anni o giù di lì. La solita<br />

> :-<br />

81


storia del fantastico model<strong>lo</strong> che seduce la moglie del capo.<br />

Anche se la situazione le sembrava intrigante, la ragione le dimostrava<br />

che non era opportuno. Anche se suo marito era un porco e le avrebbe<br />

fatto molto piacere vendicarsi di lui, non le sembrava il caso di considerare<br />

quella possibilità anche so<strong>lo</strong> per un secondo. Certe situazioni<br />

bisogna essere pronti ad afferrarle, lei non <strong>lo</strong> era. Flirtare le era sempre<br />

piaciuto, ma in quel caso sarebbero state più le complicazioni che altro.<br />

Il rischio di cadere nel ridico<strong>lo</strong>. Anche di fronte a un matrimonio di pura<br />

convenienza non se la sentiva di affrontare le squallide scenate e le<br />

sminuenti battute del marito. Incominciava a non avere più voglia di<br />

sfoderare il suo solito sorriso imperturbabile. Era stanca. Ma fantasticare<br />

sul fatto che mentre suo marito si faceva le modelle lei si faceva<br />

il model<strong>lo</strong> immagine della sua campagna pubblicitaria non le sembrava<br />

affatto male. Anzi, la stuzzicava.<br />

Tutto nella norma in quel mondo, su quell’enorme giostra di sesso e<br />

vanità. Dove ogni corpo finiva per diventare una semplice unità di<br />

svago. Forse non si sentiva più così all’altezza e quel ragazzo era<br />

troppo bel<strong>lo</strong> e giovane per lei.<br />

Il suo volto sorride nella salumeria mentre l’anima, ancora al party, non<br />

può evitare di rimanere aggrappata al ricordo della travolgente serata.<br />

Altri fotogrammi. Uscita dalla toilette delle donne, Gilbert l’aspetta. Piacere<br />

e disagio che si sommano. Leggero movimento delle labbra per<br />

accennare l’intenzione di scappare nella direzione opposta. Tentativo<br />

vano. Neutralizzata da una presa forte e sicura. Paralizzata. La mano<br />

di lui anestetizza qualsiasi tipo di facoltà di intendere e di volere.<br />

Forse, in fondo, era quel<strong>lo</strong> che desiderava. Attirare l’attenzione di qualcuno.<br />

In quel momento le bastava. Sentiva di volersi mettere in gioco,<br />

anche se sapeva benissimo che nulla sarebbe cambiato. Sapeva perfettamente<br />

che per lei era troppo tardi. Si girò simulando un’espressione<br />

sorpresa. Standing ovation. Incrociò <strong>lo</strong> sguardo fisso di Gilbert<br />

e fu la fine di ogni residua certezza. Nessuna parola. Niente. Il vuoto.<br />

So<strong>lo</strong> un pulsare caldo di vene e arterie. Si ritrovò di spalle contro il lavabo<br />

della toilette a un palmo dai suoi occhi, con le sue lunghe mani<br />

sotto la gonna stretta. Corinne non riusciva più a mascherare il respiro<br />

ansimante e lasciò che il suo corpo vibrasse libero in quel gioco avvolgente<br />

fatto di fluidi disegni tattili.<br />

Ecco, era successo, ora non poteva più tirarsi indietro.<br />

Baciava bene Gilbert. Baciava spontaneamente bene. Aveva le labbra<br />

morbide e una bocca che disarmava ogni sua titubanza. Dirigeva la<br />

> :-<br />

82


danza, delicatamente rude. Sembrava la conoscesse da sempre.<br />

Sembrava la baciasse da sempre. E lei con lui. Pura alchimia il suo<br />

sguardo socchiuso come drogato dentro di lei, sopra di lei, intorno a<br />

lei, una sostanza dimenticata nel profondo che incontrollata la rendeva<br />

sempre più complice.<br />

Un rimbombo metallico provocò uno strappo netto tra i <strong>lo</strong>ro corpi riattivando<br />

con violenza i <strong>lo</strong>ro riflessi assopiti. Sembrava il gong di un<br />

tempo scaduto. Corinne si girò verso <strong>lo</strong> specchio così da essere sicura<br />

di riposizionare ogni pezzo perduto qua e là, senza badare a Gilbert,<br />

che sicuramente si sarebbe riassettato in modo sbrigativo, com’è concesso<br />

agli uomini, per dileguarsi come da copione, senza aggiungere<br />

parola e in punta di piedi dietro di lei.<br />

Appena soddisfatta della sua immagine restituita dal<strong>lo</strong> specchio, si girò<br />

sicura di trovarsi di nuovo sola. Ma lui era ancora li, in silenzio a osservarla.<br />

Un colpo nel petto quasi all’inizio del<strong>lo</strong> stomaco. Lo guardò<br />

come per dire: “Cosa fai ancora qui?” Lui rispose con un dolce sorriso<br />

e le disse senza mezzi termini che avrebbero dovuto rivedersi ancora.<br />

Mancava ancora una settimana alla fine della campagna pubblicitaria<br />

a Parigi e il tempo non sarebbe mancato. Lei si dimostrò dubbiosa e<br />

trovò ogni scusa. Gilbert aveva intuito i termini del matrimonio di Corinne,<br />

sapeva del comportamento discutibile di suo marito. Sapeva per<br />

certo che dietro quella corazza da donna sorridente e inattaccabile si<br />

nascondeva un mondo fragile. Saltò ogni ostaco<strong>lo</strong> per poi ritrovarla sul<br />

podio. Si sarebbero rivisti il giorno dopo in un bistrot nelle vicinanze<br />

dell’abitazione di Gilbert.<br />

«Mi sta ascoltando, signora Corinne? Crede che in qualche modo io<br />

la possa rivedere? Signora Corinne…?»<br />

Niente.<br />

«Rivedermi…? Ah, sì… certo. Ma certamente, Gilbert» risponde di soprassalto.<br />

«Scusi? Chi?» chiede confuso il salumiere.<br />

«Nulla, volevo dire signor Sergio. Sono un po’ distratta… mi perdoni.»<br />

«Ho proprio avuto l’impressione che non fosse molto presente. Non<br />

ha battuto ciglio! Mi guardava con uno sguardo vuoto.»<br />

«Interessante la sua storia. Mi sembra di conoscerla già. Come si<br />

chiama? Micheline, certo. La vuole rivedere, quindi. Bene. Penso di<br />

poterla aiutare. Deve sapere che Guido Barda, la <strong>perso</strong>na della sua<br />

cartolina, è diventato un fotografo molto famoso e richiesto in Italia, e<br />

mio marito, che come lei sa è proprietario di un’agenzia di pubblicità,<br />

> :-<br />

83


lavora molto spesso con lui per le sue campagne. Domani mi metterò<br />

in contatto con la segretaria e le farò avere il suo numero di telefono,<br />

così potrete ricordare i vecchi tempi e gli potrà chiedere direttamente<br />

notizie di sua sorella Micheline. Ma cos’ha in mente di fare? È una<br />

donna quindici anni più vecchia di lei e inoltre è passato così tanto<br />

tempo dal vostro ultimo incontro. Direi quasi una vita. Crede che abbia senso?»<br />

«Senso, mi chiede? Crede al<strong>lo</strong>ra che abbia avuto senso tutto questo<br />

tempo di rinuncia? In nome di cosa e per chi? Per ritrovarmi dove sono<br />

ora, alla mia età, so<strong>lo</strong>? All’improvviso mi sono reso conto di quel<strong>lo</strong> che<br />

sapevo già ma che non volevo vedere. Da tempo mi porto dietro questo<br />

peso, ma ben allenato a regger<strong>lo</strong> sono rimasto fedele a quelle condizioni<br />

che mi permettevano di vivere come sempre; giorni cadenzati<br />

da ritmi così artificiali quanto assassini. Mi chiedo spesso come potrebbe<br />

essere la mia vita se so<strong>lo</strong> avessi scelto diversamente al<strong>lo</strong>ra. Mi<br />

tormenta il ricordo di lei che non ho cercato più, un amore che sarebbe<br />

potuto essere ma che non so, emozioni forti, sensazioni dolci. Sono<br />

sicuro di esserci stato interamente in quei giorni con Micheline. E oggi?<br />

Oggi dove sono? Quando si impone la verità la resa diventa necessaria<br />

e bisogna finalmente prendersi cura del proprio do<strong>lo</strong>re, limpido<br />

quanto crudele. Non si può più barare e non serve più aggrapparsi a<br />

qualcosa, qualsiasi cosa, per continuare a fingere che tutto intorno<br />

vada bene così. Che tutto abbia un senso perché in fondo… in fondo<br />

è meglio dare un senso alla propria vita anche se dopo, anche se tardi,<br />

piuttosto che non dar<strong>lo</strong> affatto.»<br />

«Ah… Mi sento confusa!» esclama sorpresa e imbarazzata. Sembra<br />

quasi che abbia parlato di lei, che si stia riferendo a lei. Disarmata, rimane<br />

in quella sensazione.<br />

«E chi è Gilbert? Lo sa che ho un cliente che viene proprio da Parigi<br />

che si chiama così? Veramente un bel ragazzo, un model<strong>lo</strong> sa? Ha<br />

presente quei cartel<strong>lo</strong>ni che si vedono alle pensiline delle fermate <strong>dei</strong><br />

tram e degli autobus, con quel bel ragazzo a torso nudo, tutto muscoli<br />

e mascella… Quel<strong>lo</strong> che pubblicizza un profumo francese, credo.<br />

Ecco, è lui! Ne è piena la città. Gilbert viene qui per il mio fantastico<br />

fois gras, il migliore di Milano, senza modestia.»<br />

Terremoto forza dieci della scala Mercalli sotto i tacchi di Corinne la<br />

costringono ad appoggiarsi con entrambi le mani al bancone lustro in<br />

cristal<strong>lo</strong> illuminato da un’orribile luce al neon. Attimo di cecità e incoscienza:<br />

Gilbert è qui. Sorride. Ovviamente per paura di farsi scoprire<br />

dal signor Sergio, e riacquista il pieno control<strong>lo</strong> della sua postura.<br />

> :-<br />

84


«Si sente bene, signora Corinne? Eppure non fa caldo qui dentro. Ha<br />

capito di chi sto parlando?»<br />

«Non si preoccupi, sono so<strong>lo</strong> un po’ sotto pressione. Sa, il periodo prenatalizio<br />

è sempre uno stress. Direi che è il caso di ritornare alla mia<br />

lista di cose da ordinare ora che ha finito. Al<strong>lo</strong>ra inizierei con…» ma la<br />

curiosità pedante del salumiere non dà tregua.<br />

«Ha capito al<strong>lo</strong>ra di chi sto parlando?»<br />

«Sì, penso di aver capito. Conosco appena quel ragazzo, ma <strong>lo</strong> conosco.<br />

Anzi, le dirò di più, è proprio il suo amico Guido Barda ad aver<br />

scattato quelle foto per la campagna pubblicitaria, che è stata ideata<br />

ed eseguita dall’agenzia di mio marito.» Corinne risponde con orgoglio<br />

misto a indifferenza, nell’intento di zittire la lingua sciolta del signor<br />

Sergio. Invano. Nell’udire quell’informazione l’effetto provocato è esattamente<br />

l’opposto.<br />

«Ma non mi dica. Incredibile. Non so proprio cosa dire! Questa è veramente<br />

una giornata dai mille risvolti. Quindi conosce il caro Gilbert?»<br />

Corinne non riesce più a trattenere <strong>lo</strong> tsunami della sua euforia controllata<br />

troppo a lungo.<br />

Il ve<strong>lo</strong> è sollevato: usciti dal control<strong>lo</strong>. Pressione che sale. Si siede<br />

sulla sedia in radica beige con gambe cromate che serve proprio ad<br />

alleviare i momenti di lunga ed estenuante attesa nel negozio. Sergio<br />

corre a prendere un bicchiere d’acqua nel retrobottega lasciandola sola<br />

per qualche minuto. Minuti come ore, giorni, un anno. Esattamente un<br />

anno prima aveva conosciuto Gilbert. Esattamente un anno prima<br />

l’aveva <strong>perso</strong>. E ora, per la seconda volta, lui poteva essere di nuovo<br />

vicino a lei. Poteva tornare a sorridere come una bambina, raccogliersi<br />

i capelli in un’esuberante coda di caval<strong>lo</strong> che lasci la sua fronte nuda<br />

di fronte al mondo, tornare a sentirsi sanamente svogliata e serena.<br />

Sul set fotografico arrivava sempre per ultima per poter osservare Gilbert<br />

da <strong>lo</strong>ntano, senza correre il rischio di essere notata. La sua anima<br />

ballava incontrastata tra luci, flash e isterie del<strong>lo</strong> staff, mentre la consapevolezza<br />

del <strong>lo</strong>ro segreto la rendeva unica, forte, sazia. Tutti i perché<br />

e i per come cadevano. Lui era riuscito a oltrepassare la barriera<br />

delle convenzioni, delle sue paure. E lei si sentiva onestamente libera<br />

e presente nella sua vita. Sinceramente voluta. Capiva cosa volesse<br />

dire vivere se stessa con qualcun altro e non più so<strong>lo</strong> attraverso. Senza<br />

strategie o fatiche di ruo<strong>lo</strong>. Tutto sostituito da baci al croissant au chocolat,<br />

abbracci alle crêpes au fromage, amore al<strong>lo</strong> champagne e molto<br />

sesso alla crème chantilly. Finalmente si stava divertendo. Scoprì di<br />

> :-<br />

85


esserne capace e non poté fare a meno di interrogarsi su come avesse<br />

vissuto fino ad al<strong>lo</strong>ra. Poi arrivò la sera dell’arrivederci in quel meraviglioso<br />

bistrot tipicamente parigino, vicino a casa di Gilbert. Erano felici.<br />

Lui era convinto: la storia non finiva lì. Ne aveva raccontato la continuazione.<br />

Fu al<strong>lo</strong>ra che Corinne pronunciò quella frase maledetta,<br />

quella che uscì automaticamente dalle sue labbra. Come se il fantasma<br />

dell’imminente ritorno alla sua vita milanese si fosse, a sua insaputa,<br />

impossessato di lei.<br />

«Gilbert, non saprei, lasciami tempo per pensare. È tutto fantastico,<br />

anche troppo, e non sono abituata a tutto questo. Io con te sono felice<br />

ma… <strong>lo</strong> sai, insomma, sei così giovane, ti stancherai presto. Io ho la<br />

mia prigione a Milano ed è difficile uscirne. È stata una magnifica settimana,<br />

una boccata d’ossigeno ma…»<br />

Ecco riaffiorare l’ombra di tutti i suoi ma e perché. Gilbert non esitò a<br />

prenderle le mani e le strinse forte nelle sue, <strong>lo</strong> stesso fece con il suo<br />

sguardo. Non disse più nulla. L’osservò dolcemente come fuori dal<br />

tempo. Un rimbombo metallico che proveniva dal pavimento ricordò il<br />

gong del tempo scaduto, riportandoli istantaneamente alla densità di<br />

quell’attimo. Era l’inseparabile portasigarette di Gilbert ad averli fatti<br />

ritornare sulla terra. Lo raccolse e subito dopo, come posseduto da<br />

un’incontrollabile ispirazione, chiese un pennarel<strong>lo</strong> alla cameriera. Lo<br />

fece scivolare morbidamente sulla superficie metallica del portasigarette<br />

lasciando impresso il suo numero di telefono come un geroglifico,<br />

nella speranza che fungesse da guida a Corinne lungo il suo percorso<br />

verso un nuovo destino. Evidentemente era indelebile quel pennarel<strong>lo</strong><br />

blu, visto che Corinne, sapendo quanto Gilbert tenesse a quell’oggetto,<br />

cercò inutilmente di pulirglie<strong>lo</strong> con un fazzolettino imbevuto di acqua Perrier.<br />

«È possibile che tu non abbia ancora capito, chérie? È impossibile<br />

cancellar<strong>lo</strong>. Ormai è scritto, mon amour, e <strong>lo</strong> lascio nelle tue mani.<br />

Fanne quel<strong>lo</strong> che vuoi. Aspetterò la tua chiamata. Non ti chiamerò per<br />

primo perché voglio lasciarti il tempo per pensare. Io voglio te Corinne,<br />

ma ti lascio anche la libertà di scegliere. Se non ti sentirò nei prossimi<br />

giorni capirò, e non ti cercherò più. Come tu vorrai. Ora abbracciami!»<br />

Punto e a capo.<br />

Nel passare i controlli all’aeroporto Charles de Gaulle con destinazione<br />

Milano, l’iPhone di Corinne rimase dimenticato in una delle vaschette<br />

azzurre portaoggetti dopo il metaldetector e non fu mai più ritrovato.<br />

Qualche ora prima, la stessa fine era toccata al portasigarette distrattamente<br />

dimenticato sul tavolino del bistrot, dopo che Corinne si rico-<br />

> :-<br />

86


nobbe, per l’ennesima volta, in ritardo per la sua partenza.<br />

Arrivando a Milano maledì la sua distrazione, la sua nascita e anche<br />

sua madre. Proseguì dando la colpa al destino, al fato, agli <strong>dei</strong> e a tutto<br />

l’universo che cospirava contro di lei. Non era opportuno chiedere il<br />

numero in agenzia, avrebbe destato sospetti. A Guido Barda men che<br />

meno, il fotografo era troppo prossimo a suo marito e non le sembrava<br />

proprio il caso. Si arrese alla sua invalicabile costrizione e rinunciò con<br />

inerzia, com’era solita fare, passandoci sopra. Sorridendo, si fece scivolare<br />

tutto addosso e dimenticò. In fondo era meglio così. Forse non<br />

era poi tanto un caso disgraziatamente accaduto e si risistemò opportunamente<br />

nella sua consueta quotidianità.<br />

Gilbert, fedele alle parole pronunciate al bistrot, non la cercò più.<br />

Al suo ritorno con il bicchiere d’acqua, il signor Sergio trova Corinne<br />

in lacrime desolata e ricurva sulla sedia. Sembra una bambina disperata.<br />

Prova un senso di colpa per averle raccontato la sua toccante<br />

ma in qualche modo evidentemente stravolgente storia con Micheline.<br />

Porgendole il bicchiere cerca, per quanto possibile, di distrarla, facendo<br />

scivolare il discorso su un banale evento accaduto proprio qualche<br />

giorno prima in negozio. Corinne vergognandosi delle sue lacrime<br />

le asciuga rapidamente con il palmo delle mani. Pesca uno specchietto<br />

nel solito mare di oggetti della sua borsetta e si ritocca rapidamente il<br />

trucco con l’aiuto di un fazzolettino al profumo di eucalipto che contribuisce<br />

anche a liberarle il naso.<br />

«Ma ritornando a Gilbert, <strong>lo</strong> sa che l’altro giorno al momento di pagare<br />

si è dimenticato questo aggeggio di fianco alla cassa? Appena <strong>lo</strong> vedo<br />

devo ricordarmi di restituirglie<strong>lo</strong>.» Estrae qualcosa di quadrato, ammaccato<br />

e rigido dalla tasca del camice inamidato e bianco, per mostrarglie<strong>lo</strong>.<br />

Un portasigarette metallico, vissuto e contrassegnato da un<br />

numero di telefono scritto con un pennarel<strong>lo</strong> blu. Corinne cade precipitosamente<br />

in un pianto isterico. Il salumiere è totalmente sbigottito e<br />

in preda al panico non sa più cosa pensare. Disorientato, s’interroga<br />

in silenzio su cos’abbia potuto dire o fare al punto di renderla così inconsolabile.<br />

In fondo le ha mostrato un semplice portasigarette. Sicuramente<br />

gli è sfuggito qualcosa.<br />

Ma l’intreccio di vite apparentemente non affini è compiuto. Pura sincronicità.<br />

Curiosi incidenti di percorso li spingono, a <strong>lo</strong>ro insaputa,<br />

verso quella che sarà la <strong>lo</strong>ro grande ora.<br />

Scegliere di non avere un domani, esattamente come prima.<br />

> :-<br />

87


Life Crawlers 12<br />

di Giovanni Pirelli<br />

> Portasigarette - manette:-<br />

Sono sicuro che la chiave sia una di queste. Non c'è dubbio che sia<br />

una di quelle più grosse, rotonde, ma cazzo continuano a cadermi di<br />

mano e si mischiano sul pavimento del ballatoio che gira come un maledetto<br />

figlio di puttana, e ogni volta che mi chino a raccoglierle non<br />

sono così certo di riuscire a tirarmi su. Il buco della serratura scappa<br />

avanti e indietro, a destra e a sinistra, non riuscirò mai a entrare in<br />

casa, merda.<br />

Bisogna riprendere il control<strong>lo</strong>. Trascino i piedi fino alle scale di servizio,<br />

mi infi<strong>lo</strong> tre dita in gola, spingendole fino in fondo, fino a sentire<br />

con le unghie l'ugola, o qualsiasi cosa ci sia là, in quel punto dove non<br />

puoi più andare oltre e ti sale tutto su.<br />

Lo schizzo arriva fino al terzo gradino, sorrido, è quasi un record. Mi<br />

pulisco le labbra acide con il col<strong>lo</strong> della camicia, rega<strong>lo</strong> di Claudia; il<br />

mondo è ancora un posto di merda, ma almeno gira un po' più piano,<br />

quanto basta per riportarmi davanti alla porta. Mi metto a gambe larghe<br />

davanti alla maniglia, come un pugile sconfitto che ha intenzione di<br />

vendere cara la pelle. Galvanizzato da questa immagine, accenno<br />

qualche saltel<strong>lo</strong> con i pugni alzati, ridendo. Scommetto che resto in<br />

piedi anche questo round. Devo riuscire a vincere usando l'intelligenza.<br />

Aggrappandomi alla parete mi ca<strong>lo</strong> sul pavimento, gambe divaricate e<br />

chiavi davanti. Le sciolgo dal gancetto una a una, le metto in fila davanti<br />

a me, ordinate. Tempo di esecuzione: venti minuti. I jeans, luridi<br />

di vomito e alcol, puzzano in modo ributtante. O molto più probabilmente<br />

sono io, razza umana caucasica, ventisei anni, a far schifo.<br />

Prendo in mano la prima chiave rotonda della fila. Eroicamente mi<br />

butto sulle ginocchia, <strong>lo</strong> slancio rischia di farmi cadere faccia avanti<br />

con i denti conficcati nel finto marmo di pessima qualità del ballatoio.<br />

La prima chiave, ovviamente, non è quella giusta. La lancio <strong>lo</strong>ntano,<br />

per non correre il rischio di usarla di nuovo. Spero non sia volata giù<br />

dalle scale. La seconda entra ma non gira. Faccio per provare la terza,<br />

mi scivola la mano d'appoggio, finisco dritto sopra le chiavi allineate<br />

> :-<br />

88


sul pavimento. Le lacrime mi scorrono giù in un rivo<strong>lo</strong> unto sulle<br />

guance. Devo cercare di ricacciare giù in fondo all'anima questa orribile<br />

autocommiserazione, un po' di dignità, che cazzo. Devo so<strong>lo</strong> riposarmi<br />

un po', far entrare un po' di pace nel mio cervel<strong>lo</strong> e riprendere il control<strong>lo</strong>.<br />

La chiave dev’essere una di queste e non esiste che io non la<br />

trovi. Voglio una doccia e un letto. Prima magari una canna, ma sul divano.<br />

Mi sdraio per terra e riposo un po' gli occhi, so<strong>lo</strong> per un attimo, so<strong>lo</strong><br />

cinque minuti.<br />

Quando li riapro è buio pesto e c'è odore di fragole. Il pavimento non<br />

è più freddo, è morbido e qualcosa sopra di me è caldo. Faticosamente<br />

metto insieme i dati forniti dai sensi. Sono su un letto. Questo è bene,<br />

tranne il fatto che non sia mio. Quindi non sono riuscito a entrare in<br />

casa, male.<br />

Seduto cerco di capire dove sono, senza un reale interesse, pura curiosità.<br />

Dalle persiane chiuse filtra un po' della luce arancione della<br />

strada. Scoprire che il letto non è proprio quel<strong>lo</strong> che sembra, ma un<br />

divano, non fa che aumentare la mia ammirazione per il creato: trova<br />

sempre un modo per stupirmi, è incredibile. La stanza non è grandissima,<br />

ci stanno a malapena il magnifico divano, una tv di ultima generazione<br />

e una piccola scrivania con annessa poltrona. Niente libri, zero.<br />

Devo rendermi conto del mio stato psicofisico, mi alzo. Il mondo gira<br />

ancora ma alla consueta impercettibile ve<strong>lo</strong>cità, quella per cui noi possiamo<br />

so<strong>lo</strong> fidarci degli scienziati che ci dicono che non è il Sole a girare<br />

intorno alla Terra ma il contrario, e io mi fido, d'accordo, ma è un<br />

po' come la storia che nel vuoto una piuma e un'elefantessa incinta,<br />

lasciati cadere dalla medesima altezza, toccano il suo<strong>lo</strong> nel<strong>lo</strong> stesso<br />

momento. Rimane un bel margine di dubbio.<br />

La scrivania è completamente coperta di fogli e quaderni e mozziconi<br />

di sigaretta. Ne scelgo uno fumato a metà. Fogli e quaderni sono coperti<br />

da una calligrafia al limite del leggibile, assolutamente asessuata.<br />

dieci cose per cui vale la pena vivere (ordine casuale):<br />

1. la figa, le tette<br />

2. viceversa<br />

3. tenere in scacco il Kamchatka a Risiko<br />

4. sperare di ereditare una piantagione di tabacco<br />

5. essere fieri del<strong>lo</strong> stronzo appena cacato<br />

> :-<br />

89


6. attendere la morte di Silvio Berlusconi<br />

7. Natalie Portman<br />

8. le canne di Ludovico<br />

9. vedere quanto ci metto ad accorgermi di non saper scrivere<br />

10. ribadisco: Kamchatka.<br />

Sopra tutti i quaderni, buttati alla rinfusa sulla scrivania, campeggia un<br />

portasigarette orrendo, marca Camel, di quelli prodotti in serie per alimentare<br />

il consumo del prodotto, incrementare gli utili, aumentare il<br />

bonus dell'amministratore delegato e permettere a lui e alla sua<br />

amante trentenne di sfogare la libido sulle spiagge bianche delle Maldive.<br />

IL FUMO DANNEGGIA GRAVEMENTE TE E CHI TI STA IN-<br />

TORNO, favorisce gli squilibri sociali, finanzia le guerre in Iraq e<br />

Afghanistan e stimola l'ego <strong>dei</strong> non fumatori.<br />

Spengo il mozzicone rubato sulla scatolina di metal<strong>lo</strong> dozzinale, a sfregio.<br />

Guardo il mio riflesso sui vetri della finestra dietro la scrivania.<br />

«Dovresti fare più sport. Hai il cu<strong>lo</strong> flaccido.»<br />

I capelli lunghi e biondi le cadono sulla vestaglia bianca, come le donne<br />

che si svegliano nei film e sono pettinatissime. La mia ospite non ha<br />

più di vent'anni. Oppure li porta molto bene.<br />

«Ci sono <strong>dei</strong> vestiti puliti sulla sedia davanti a te. Facciamo così: ti vesti<br />

e vieni in cucina, io ti preparo un caffè e facciamo che te ne vai senza<br />

che io debba chiamare la polizia, come la vedi?»<br />

Il fatto di essere nudo non mi mette nella posizione di fare <strong>lo</strong> spiritoso.<br />

«Grazie.»<br />

«Bevi, starai meglio. E non iniziare a raccontarmi di come tu sia imbarazzato,<br />

che cose così non ti succedono mai, che eri ubriaco fradicio<br />

perché la moglie ti ha lasciato o che ne so, non raccontarmi cazzate.<br />

Stai zitto, bevi il caffè e levati dai coglioni.»<br />

«Grazie.»<br />

«Non ringraziare. Credevo fossi qualcun altro.»<br />

«Ti capita spesso di salvare giovani alcolisti che non riescono a tenersi<br />

in piedi e bussano alla tua porta? Chi sei, santa Maria Goretti? Il don<br />

Bosco degli ubriaconi?»<br />

«Bevi il caffè e togliti dai piedi.»<br />

«Visto che sono già qui tanto vale che mi racconti qualcosa, giusto per<br />

tenermi sveglio, che se no ti giuro che stramazzo al suo<strong>lo</strong> e ti tocca tenermi<br />

qui tutta la notte.»<br />

«Fai il bravo, lasciami stare e vattene, prima che torni mio padre.»<br />

> :-<br />

90


«Quindi non vivi qui tutta sola.»<br />

«No. Per questo ti ho portato dentro. Sono andata ad aprire pensando<br />

di trovare mio padre e invece vedo te, in stato pietoso, sdraiato su un<br />

mucchio di chiavi davanti alla mia porta. Cosa dovevo fare? Lasciarti<br />

lì?»<br />

«Certo. Io avrei fatto esattamente così.»<br />

«Sei un uomo orrendo.»<br />

«Lo so, mamma mi ha fatto così.»<br />

«Lascia stare tua madre, che di sicuro non ti ha cresciuto a forza di<br />

gin tonic e droghe sintetiche.»<br />

«No, infatti, credo che adesso sia sotto la luce di un qualche lampione<br />

a succhiare cazzi a tranvieri fuori turno. Quando io sono nato era<br />

troppo impegnata a bucarsi per rendersi conto di aver partorito.»<br />

«...»<br />

«Scherzo. Vedermi in questo stato le farebbe ringraziare il padreterno<br />

che io me ne sia andato.»<br />

«Bevi il caffè.»<br />

«E tuo padre, invece? Lo sa che sono qui? Che hai fatto entrare in<br />

casa un completo sconosciuto, ubriaco, potenzialmente violento e sicuramente<br />

dalla dubbia moralità?»<br />

«Mio padre deve ancora tornare.»<br />

«Che mestiere fa, che se ne torna a casa nel cuore della notte, lasciando<br />

la figlia in balìa del destino? Il metronotte?»<br />

«Senti, ti ho dato <strong>dei</strong> vestiti puliti, stai bevendo il mio caffè, non mi dare<br />

fastidio e vattene fuori dal cu<strong>lo</strong>. Non ho mai visto uno che non riesce<br />

nemmeno a riconoscere la porta di casa sua. Ma <strong>lo</strong> sai almeno dove<br />

siamo?»<br />

«Veramente no. Stavo cercando di entrare a casa mia, mi sono appisolato<br />

un attimo e mi sono risvegliato qui. Sono un amante <strong>dei</strong> misteri,<br />

ma questo è inspiegabile. Io abito al settimo piano e questo è senza<br />

dubbio il settimo, c'era scritto di fianco all'ascensore; la porta di casa<br />

mia è la prima sulla destra, e fin qui tutto torna; il palazzo è per forza<br />

questo, visto che le chiavi hanno aperto il portone; e al<strong>lo</strong>ra come cazzo<br />

è possibile che questa non sia casa mia?»<br />

«Perché hai sbagliato scala, alcolizzato. Questa è la B e io abito qui<br />

da quando sono nata. Non ti ho mai visto prima, ti ho aiutato so<strong>lo</strong> perché<br />

mi facevi pena. Prendi i tuoi stracci e vattene a casa tua.»<br />

«Per essere la mia salvatrice sei parecchio stronza. Tuo padre non ti<br />

ha insegnato l'educazione?»<br />

> :-<br />

91


«Ti ho detto di lasciar stare mio padre! Non sai un cazzo di me e della<br />

mia vita! Sei so<strong>lo</strong> un fallito.»<br />

Mi rimetto i vestiti luridi, ho pensato di tenere gli altri, lavarli e riportarglieli<br />

puliti, ma credo che lei non abbia nessuna voglia di rivedermi. Se<br />

ne sta in cucina, tiene <strong>lo</strong> sguardo fisso su un punto <strong>lo</strong>ntano, ben oltre<br />

questa casa e questa vita, un punto assolutamente irraggiungibile per<br />

chiunque altro. Vorrei salutarla, dirle che non ero così, che non è colpa<br />

mia e che secondo me lei è bellissima e deve so<strong>lo</strong> sorridere un po' di<br />

più, lei che è ancora salva, che può ancora sorridere senza sentirsi<br />

spezzare la pelle dal<strong>lo</strong> sforzo, con il cuore che cazzo, batte all'unisono<br />

con il mondo e non al rallentatore come il mio che spera so<strong>lo</strong> che arrivi<br />

una botta più forte, qualsiasi cosa che gli dia una buona ragione per<br />

spaccarsi in due e lasciarmi boccheggiante a terra. Mi avvicino lento<br />

alla maniglia della porta, temporeggio, guardo con insistenza verso la<br />

cucina, niente, non uscirà.<br />

«Merda, mio padre!»<br />

«Come, scusa? Cosa sei, sensitiva?»<br />

«Non la senti la porta dell'ascensore? Cazzo, cazzo, cazzo.»<br />

«Stai calma. Magari è un vicino che stanotte ha deciso di fare festa e<br />

torna tardi.»<br />

«Non ci sono vicini, è lui. Le chiavi! Ma non le senti! Vieni via dalla<br />

porta, ti faccio uscire da quella di servizio. Non stare lì impalato, vieni<br />

cazzo, che se ti vede siamo fottuti tutti e due.»<br />

«Vengo vengo, ma fai piano che mi fanno male le gambe!»<br />

«E parla piano, coglione! Cazzo! Il lucchetto. Dove merda saranno le<br />

chiavi? Fancu<strong>lo</strong>!»<br />

«E mo'? Non sarà poi così grave, gli spieghi che sono un fallito, che<br />

mi hai aiutato e che me ne sto andando.»<br />

«Tu non capisci, non sai niente di lui, lui è... è... diverso. È...»<br />

Nemmeno me ne sono accorto. Mi ha preso e spinto sotto il tavo<strong>lo</strong><br />

della cucina. Ho fatto in tempo a sentire la porta di casa sbattere, lei<br />

che si sedeva su una sedia davanti a me sperando di nascondermi.<br />

Il padre non parla, sta fermo davanti alla porta, ogni tanto sposta il<br />

peso da una gamba all'altra. Lei invece continua a parlare, <strong>lo</strong> distrae,<br />

gli racconta le proprietà calmanti della camomilla, di come la aiuti a<br />

dormire. Lo vedo girare i piedi e andare in sa<strong>lo</strong>tto. Sembra essersi<br />

completamente dimenticata di me, non mi dice niente e <strong>lo</strong> segue fuori<br />

dalla stanza. Non sta zitta un secondo, non riesco a sentire cosa dice<br />

> :-<br />

92


ma sembra che non voglia lasciare spazio al padre, che cerchi di annegar<strong>lo</strong><br />

in un fiume di parole, ma la sua voce è strana, stridula, nervosa.<br />

I suoni mi arrivano confusi dal sa<strong>lo</strong>tto, non riesco a capire cosa si<br />

stiano dicendo, sempre che lui abbia detto qualcosa. Che cazzo, ora<br />

esco, non posso restare qui in eterno, sono scomodissimo e sento che<br />

se non mi alzo tra poco sarò costretto a vomitarmi addosso di nuovo.<br />

Mi presento educatamente, gli spiego la situazione e me ne vado da<br />

dove sono venuto, recupero le chiavi dal pavimento e cerco di tornare<br />

a casa.<br />

Faccio per spostare la sedia ma c'è qualcosa che non funziona. C'è<br />

troppo silenzio, lei non parla più e non arriva un suono dal sa<strong>lo</strong>tto. Se<br />

mi muovo adesso faccio un casino che mi si sente in tutta la casa, meglio<br />

aspettare, fancu<strong>lo</strong>.<br />

Per la prima volta, credo, lui parla. Non capisco cosa dice ma non mi<br />

piace il suono della sua voce: nasale e strascicata, vuota. Ora ha<br />

smesso e c'è di nuovo silenzio. Niente, non un rumore, quasi non si<br />

sente il suono della vita giù in strada, è come se fosse tutto <strong>lo</strong>ntanissimo<br />

e questa una dimensione parallela. Ecco, <strong>lo</strong> sapevo: sto sognando.<br />

In realtà sono addormentato, ubriaco, davanti alla porta del<br />

mio appartamento, e sto sognando. Bene, meglio svegliarsi e continuare<br />

a letto. Svegliati! Svegliati, cazzo! Apri gli occhi, fottuto ubriacone<br />

di merda! Alzati ed entra in casa tua!<br />

Questo è un rumore nuovo. Non riesco a capire cosa sia stato. Ancora.<br />

Porca puttana maledetta. Non ci credo. Lo sapevo che sarebbe successo,<br />

coglione del cazzo, dovevo capire, cristo, cristo. Ribalto tutte<br />

le sedie che mi impediscono di uscire. Mi tiro in piedi e mi lancio verso<br />

il sa<strong>lo</strong>tto. Lei è sdraiata per terra, sembra che dorma, ma su un letto di<br />

pezzi di legno. Lui è in piedi davanti al divano, i pugni chiusi, nemmeno<br />

mi vede. È alto, quasi come me, vestito elegante. Finalmente si accorge<br />

di me, mi guarda, fa un passo avanti. Il calcio le arriva tra le scapole.<br />

Lui <strong>lo</strong> fa guardandomi, sorride con quei suoi occhi fradici.<br />

Non la sentivo da tanto, almeno quattro anni. Mi sale dall'inguine fino<br />

alla testa, è bellissimo. È qualcosa che non mi veniva da parecchio e<br />

ora me la sto godendo. Mi sale su da lì, da sopra il cazzo, in un brivido<br />

scorre su per la pancia, tende i pettorali, allarga le spalle, la mia bocca<br />

si tende in un ghigno orrendo, ah che sensazione! Che meravigliosa<br />

sensazione! Sento le narici dilatarsi e la testa svuotarsi, finalmente!<br />

Tutto passa in un secondo. Ogni ragione di debolezza non c'è più e io<br />

> :-<br />

93


sono un dio. Non sei più nella mia testa, Claudia! Guardami! Sono immortale,<br />

Claudia!<br />

Ci metto una frazione di secondo, un attimo, a buttarmi su di lui. Lo<br />

sento benissimo il suo anel<strong>lo</strong> sul mio sopracciglio. E mi piace, è caldo<br />

e reale e vivo, è sangue. Il mio primo sinistro va a vuoto, ma la mia<br />

era una finta. Scarico il sinistro nell'aria, sfrutto <strong>lo</strong> slancio e il destro gli<br />

arriva feroce sotto <strong>lo</strong> sterno. Vomita, pezzo di merda, ti voglio vedere<br />

boccheggiare. Dall'occhio destro non vedo più un cazzo, il sangue<br />

scorre pulsante e non si vede niente. Non mi serve, lui è grosso ma io<br />

ho ancora l'occhio sinistro. Aspetto che si rialzi prima di colpir<strong>lo</strong> di<br />

nuovo, stavolta in faccia, sulla tempia, che fa male, ma non <strong>lo</strong> manda<br />

in terra. Gli rido in faccia, quasi urlando, rido come un pazzo e <strong>lo</strong><br />

guardo, tiro pugni al muro, forti, so<strong>lo</strong> per sentire male alle mani, so<strong>lo</strong><br />

per fargli vedere che sono pronto a tutto, anche a uccider<strong>lo</strong>. Rimangono<br />

macchie rosse di sangue sulla parete dipinta di arancione dalla<br />

luce che filtra tra le imposte. Cerca di reagire, si lancia con un ur<strong>lo</strong> patetico<br />

addosso a me ma è lento e ubriaco e vecchio e io sono dio, non<br />

puoi prendere un dio, coglione. Mi sposto di lato, <strong>lo</strong> lascio passare e<br />

<strong>lo</strong> afferro per la camicia, da dietro. Lo tiro a me, di spalle, gli prendo i<br />

capelli e <strong>lo</strong> sbatto in terra. Gli piego la testa all'indietro, vicino alle mie<br />

labbra, così magari mi sente, se non è già svenuto. Gli par<strong>lo</strong> piano,<br />

quasi sussurro, scandisco ogni sillaba, voglio sentire il potere delle mie<br />

parole che gli entrano nel cervel<strong>lo</strong> e liberano terrore puro. Ascolta, ora<br />

ti spacco i denti sul pavimento, poi continuo a sbatterti la faccia per<br />

terra, mentre ti pisci addosso, sapendo che i respiri si faranno sempre<br />

più faticosi, col sangue che ti scende in gola e coagula in grumi abbastanza<br />

grossi da toglierti il fiato. E tutta la mia vita mi sembra meravigliosa,<br />

sono forte, ho vinto, non sono più un fallito. Claudia, mi vedi?<br />

Non sono più un fallito! Guardami, Claudia! Ho in mano la vita di un<br />

uomo, amore, e la dedico a te, so<strong>lo</strong> a te amore mio, a te e al nostro<br />

bambino, Claudia, a te e al nostro bambino.<br />

Guardo la ragazza buttata per terra in mezzo al sa<strong>lo</strong>tto, sopra la sedia<br />

sfondata.<br />

«Bevi, starai meglio.»<br />

«Grazie.»<br />

«È acqua e zucchero, ti farà bene.»<br />

«Cosa gli hai fatto?»<br />

«Niente, sono venuto di qua e tu eri per terra, lui mi ha attaccato, mi<br />

> :-<br />

94


sono so<strong>lo</strong> difeso.»<br />

«E adesso?»<br />

«Niente, è legato. Ho trovato le manette che avevi nella tasca della<br />

vestaglia...»<br />

«Pensavo di doverle usare su di te, quando ti ho visto fuori dalla mia<br />

porta. Ma poi quando ti ho tirato dentro avevi la faccia così buona.»<br />

«Sì. Buona…»<br />

«Buona, sì. Non dovevi legar<strong>lo</strong>, non è cattivo, so<strong>lo</strong> quando beve, poi<br />

dorme e tutto va a posto.»<br />

«Tutto va a posto.»<br />

«Tutto va a posto, sì.»<br />

«Come no.»<br />

«Ti fanno male?»<br />

«Come?»<br />

«Dico le mani. Ti fanno male le mani?»<br />

«No.»<br />

«Vieni. Ti metto del disinfettante.»<br />

«Ma perché non te ne vai? Perché rimani qui a prenderti cura di questo<br />

stronzo?»<br />

«...»<br />

«Ma non studi? Non lavori? Cosa fai tutto il giorno? Aspetti che lui torni<br />

e ti prendi un'altra manica di mazzate?»<br />

«Non mi picchia sempre, te l'ho detto, so<strong>lo</strong> quando beve.»<br />

«Ah sì? So<strong>lo</strong> quando beve? Al<strong>lo</strong>ra basta, a posto, possiamo stare tranquilli.»<br />

«Mia mamma è morta due anni fa. Lui prima non era così. Era buono,<br />

è buono. So<strong>lo</strong> sta male, soffre, e al<strong>lo</strong>ra beve e quando beve dice di<br />

vederla, lì, che <strong>lo</strong> sgrida, che gli dice di non bere e al<strong>lo</strong>ra lui s'incazza.»<br />

«Metti giù quelle bende, non mi servono, me ne vado. Ma come si apre<br />

’sta porta?»<br />

«Gira prima il pomel<strong>lo</strong> di sotto.»<br />

«Senti, grazie per avermi aiutato, sei una brava ragazza, non so cosa<br />

dirti. Queste sono le chiavi delle manette. Non sei costretta a usarle.<br />

Prendi le tue cose e vattene. Ci saranno <strong>dei</strong> soldi in casa, avrai degli<br />

amici da cui andare, prendi tutto e vattene. Vattene via.»<br />

«Pronto?»<br />

«Claudia, sono io.»<br />

«Cosa c'è? Ma <strong>lo</strong> sai che ore sono?»<br />

> :-<br />

95


«Sì.»<br />

«Sei ubriaco.»<br />

«No, non più.»<br />

«Cosa vuoi? È tardi, domani devo lavorare.»<br />

«Come sta il bambino?»<br />

«Non ti importa.»<br />

«Claudia, ti amo.»<br />

«Vaffancu<strong>lo</strong>.»<br />

«Ti amo.»<br />

> :-<br />

96


Tra due A il terzo è un Analista 13<br />

di Beatrice Fossati<br />

>Manette -Biberon :-<br />

“È cosa che chiunque sa bene.<br />

Ma nessuno sa bene sottrarsi<br />

al cie<strong>lo</strong> che conduce gli uomini<br />

in tale inferno.”<br />

William Shakespeare (Sonetto 129)<br />

Manette<br />

È ora di cena, il fumo dalle pentole, la condensa sulle finestre. Fuori è<br />

ancora buio e fa freddo, entri in casa e le dita esp<strong>lo</strong>dono per <strong>lo</strong> sbalzo<br />

di temperatura. Chiavi, cappotto, scarpe, bagno. L’acqua nel lavandino,<br />

l’acqua della pasta.<br />

«Ciao.»<br />

«Ciao.»<br />

«Come stai?»<br />

«Come stai?»<br />

«Com’è andata la giornata?»<br />

«Com’è andata la giornata?»<br />

Sedia, sedere, tovaglio<strong>lo</strong> e posate, ci si specchia. Simmetria senza alcuna<br />

fedeltà nella riproduzione, so<strong>lo</strong> gesti meccanici e ripetuti, nessuna<br />

percezione di quel che accade davanti. Piatti che stridono ed è<br />

<strong>lo</strong>ntano il pensiero di stoviglie gaudenti, a parte il pane non esiste condivisione,<br />

figuriamoci la fantasia. L’animale di fronte sbatte le fauci, è<br />

uno strazio per le orecchie, non c’è gusto in quel che mangia, so<strong>lo</strong> cibo<br />

per non morire di fame e vino per addormentarsi presto.<br />

La notte poi arriva e quando è tempo di dormire si trasforma in quel<strong>lo</strong><br />

di cui avevi paura da bambino: il buio e le sue ombre, il silenzio e i suoi<br />

rumori, gli incubi e le luci accese per tornare alla realtà.<br />

Ma non esiste un giorno tutto giorno? Deve arrivare per forza la tenebra?<br />

E poi dicono che la notte sia fatta per i grandi, gli stessi che scoprono<br />

quando sono adulti di non essere poi così invulnerabili.<br />

> :-<br />

97


Scaccia i mostri oh bel bambino, nella tua testa ripeti le note di “Viva<br />

Topolin”, pensa all’orso di pezza e a niente che potrà farti male.<br />

Mentre accanto a te sonnecchia il desiderio di farti fuori.<br />

Intro<br />

Alcune volte avrei voglia di picchiarla. Di dargliele di santa ragione e<br />

scaricare su di lei la rabbia di decenni. Poi passa e mi bevo la bile. La<br />

guardo muoversi in cucina e mi chiedo cosa mi trattenga ancora qui.<br />

Mi danno sui nervi i gesti che conosco ormai a memoria: il rumore delle<br />

pentole, le stoviglie, le sue mani che non sanno maneggiare le cose.<br />

L'oro<strong>lo</strong>gio è l'ulteriore strazio che mi ricorda costantemente quanto il<br />

tempo rimanga immutabile nonostante il passare <strong>dei</strong> giorni. Quel che<br />

cambia è il mio stato d'animo, sento di non farcela più, sono sul punto<br />

di esp<strong>lo</strong>dere, potrei non controllare le mie azioni, non conosco fino in<br />

fondo quel<strong>lo</strong> che c'è dentro di me. Ho paura di compiere gesti che mi<br />

potrebbero condannare agli occhi degli altri e rovinarmi la vita, anche<br />

se un atto definitivo, al momento, sembra l'unica via d’uscita da questo<br />

strazio quotidiano.<br />

Potrei diventare protagonista di uno di quegli episodi che si sentono<br />

ormai così di frequente nella cronaca domestica: “Trovata uccisa in<br />

casa, ecco in esclusiva le immagini di lui che si copre il viso mentre <strong>lo</strong><br />

arrestano”. I telegiornali raccontano la notizia, l'orrore della gente comune<br />

che si crede superiore. Per un attimo nelle menti delle casalinghe,<br />

come in uno psicodramma, si palesa l’immagine dell'attimo<br />

successivo al delitto. “Forse sarà rimasto in piedi in mezzo alla stanza,<br />

oscillante come un biril<strong>lo</strong> prima di cadere.” Un sa<strong>lo</strong>tto pieno di ronzante<br />

silenzio dopo chissà, le urla, il sangue sulle mani, le lacrime, il pentimento,<br />

dopo aver realizzato di aver ucciso uno specchio.<br />

E poi tanto ci si dimentica subito delle vite degli altri, anche se si sa,<br />

ma non si dice, quante volte si è pensato di essere sul punto di compiere<br />

la stessa cosa.<br />

Che ipocrisia.<br />

Intro<br />

Me ne sono accorta so<strong>lo</strong> nel momento in cui è nato che sarebbe stato<br />

per tutta la vita.<br />

Lo volevano tutti:<br />

> :-<br />

98


«Al<strong>lo</strong>ra quando un bel bambino?»<br />

«Ma non sei ancora incinta?»<br />

«Quanto tempo ancora pensi di far passare prima di farmi diventare<br />

nonna?»<br />

«Avete provato a fare degli esami, ho trovato un medico che mi ha<br />

cambiato la vita con una cura speciale, dovreste provare anche voi.»<br />

Trenta, trentuno, trentacinque, gli anni passano.<br />

«Al giorno d'oggi si è spostata l'età per fare figli, non è più come una<br />

volta, prima anche senza soldi si mettevano al mondo, ora ci sono gli<br />

asili, le scuole private e poi vogliono il cellulare, il motorino, crescere<br />

un figlio è diventato un investimento.»<br />

La verità è che non mi sono mai sentita davvero pronta, alla fine sono<br />

ancora una bambina io, devo ancora risolvermi, come posso mettermi<br />

nelle condizioni di crescere un'altra creatura. Una nuova <strong>perso</strong>na che<br />

da me prenderà oltre che il taglio degli occhi anche un'educazione, i<br />

difetti caratteriali. Non posso pensare di essere la madre di un cavernico<strong>lo</strong>.<br />

E a scuola sentirmi dire: «È lei la madre snaturata del bambino<br />

disagiato?»<br />

Non posso stufarmi di mio figlio, di dire come ho fatto con il tennis, non<br />

mi va più, non vado più. Mi faccio un po' schifo ma non riesco a capire<br />

se sia più un senso di inadeguatezza sociale oppure se sto dicendo la<br />

verità che molti non hanno il coraggio di dire.<br />

«Lei cosa pensa?»<br />

Mostro<br />

Come pensa di essere in grado di fronteggiare questo mostro che è<br />

dentro di me? Se mi gira potrei distruggerle <strong>lo</strong> studio in questo momento.<br />

Come ci rimarrebbe se le sbattessi a terra tutti quei soprammobili,<br />

se le spaccassi la sedia in mille pezzi e poi chissà, magari dopo<br />

potrei prendermela anche con Lei? Una volta sono stato sul punto di<br />

picchiare un suo collega, <strong>lo</strong> sa? Vi ci vorrebbe una scorta, altroché.<br />

Come fa a essere così tranquilla con me accanto? Lei <strong>lo</strong> sa, vero? Lei<br />

sa che dentro qui non c'è nulla che può far male, me <strong>lo</strong> dica.<br />

Silenzio.<br />

Ogni volta che prendo un coltel<strong>lo</strong> dalla cucina per metter<strong>lo</strong> in tavola o<br />

per affettare il pane ho paura di sbagliare direzione e di colpire qualcuno...<br />

Ma Lei <strong>lo</strong> sa, vero, che io non <strong>lo</strong> farei mai, giusto? Lei ha fiducia<br />

in me, Lei conosce tutte le ragioni del mio malessere e mi sta portando<br />

> :-<br />

99


lentamente verso una strada morbida, in discesa, le colline della pace.<br />

Vorrei essere stato in grado di arrivarci da so<strong>lo</strong>, invece mi sono trovato<br />

costretto a chiedere aiuto. Eppure tutti dicono che sono una <strong>perso</strong>na<br />

intelligente, Lei mi eviterà di finire pazzo come i migliori pensatori.<br />

Mi sento a un bivio ma ho la sensazione che la strada da compiere sia<br />

ancora molto lunga. È buio e sento che ho ancora paura a entrare nella<br />

cantina del mio animo. C'è gente che urla e piange laggiù, non so se<br />

ho voglia di incontrarli. Forse ho paura, non <strong>lo</strong> so, ma in ogni caso voglio<br />

che <strong>lo</strong> sappia so<strong>lo</strong> Lei. Ho quarant'anni e in questa società non si<br />

può, a quest'età…<br />

Mi sento paralizzato, per ogni mia mossa aspetto i suoi consigli, come<br />

i cani al guinzaglio quando si fermano e guardano il padrone, rivolgo<br />

<strong>lo</strong> sguardo a Lei e attendo una risposta sul da farsi.<br />

Non è vero quel<strong>lo</strong> che sento? «Sì.»<br />

Mostro<br />

Mi accade quando <strong>lo</strong> porto in giro con il passeggino, non appena faccio<br />

scendere le ruote davanti dal marciapiede. Passano le auto, una,<br />

due, alcune anche ve<strong>lo</strong>ci. Se mi scivolasse la presa dalle maniglie<br />

qualcosa o qualcuno potrebbe trascinar<strong>lo</strong> via, in un attimo il passeggino<br />

finirebbe accidentalmente sotto la macchina, o più semplicemente<br />

se mi cadesse mentre <strong>lo</strong> tengo in braccio? Si farebbe male, specie se<br />

la caduta avvenisse di testa. Mio Dio, che orrore. Però potrebbe capitare,<br />

e subito dopo il mio sguardo sarebbe <strong>lo</strong> stesso di quelle madri<br />

che dopo aver inflitto una pena al proprio figlio, nell’attimo in cui riflettono<br />

su ciò che è accaduto, affondano nel vortice di se stesse.<br />

Le ha mai osservate bene? Piano piano i bulbi oculari, la faccia, il naso,<br />

vengono risucchiati dall’oblio. L'assenza di una qualsiasi struttura interiore<br />

le fa crollare dentro e fuori, rimane so<strong>lo</strong> quel<strong>lo</strong> sguardo che è<br />

già deserto, già morto.<br />

Chissà se mio figlio <strong>lo</strong> sente che ci sono volte in cui con me non è affatto<br />

al sicuro. Ci sono donne che abortiscono, perché portare avanti<br />

questa gravidanza pur sapendo che le cose non andranno bene. A<br />

volte penso alla vita che avrei avuto se davvero avessi fatto scelte diverse<br />

o dato retta a quella morsa nella pancia che mi diceva che stavo<br />

prendendo la strada sbagliata. Come si fa a essere sulla via giusta per<br />

sacrificarsi e non rendersene conto? Se so<strong>lo</strong> penso a quanto ho criticato<br />

mia sorella, le mie amiche, per poi ritrovarmi nelle stesse condi-<br />

> :-<br />

100


zioni. Non l'ho desiderato, mi è capitato, non è frutto dell'amore ma figlio<br />

dell'abitudine, dell'anestesia della mente, dell'illusione di un’esistenza<br />

tranquilla affidata all'inerzia.<br />

Mio Dio, cos’ho fatto alla mia vita, non trovo la via d’uscita.<br />

«Vediamola da un altro punto di vista.»<br />

Antonio<br />

«Facciamo come l'altra volta, mi descriva la situazione.»<br />

«La conosco, so già dove vuole andare a parare.»<br />

«Faccia uno sforzo, so bene che non è stupido, ma è per il suo bene<br />

che <strong>lo</strong> stiamo facendo.»<br />

«Dottoressa, sono anni che vengo da lei, ogni tanto mi chiedo quando<br />

la finiremo.»<br />

«Il segreto dell'analisi non è certo la fretta di voler arrivare a destinazione.»<br />

«Lo so, ma so già qual è il mio problema, non la sopporto quella donna,<br />

non l'avrei dovuta sposare e la soluzione non è di certo un'analista,<br />

ma un avvocato. Mi irrita anche venirgliele a raccontare certe cose, mi<br />

sembra di dovermele ripetere in testa e sono stufo persino di ripensarle.»<br />

«Da dove sente che arriva questa rabbia?»<br />

«E me <strong>lo</strong> chiede? Non l'ha ancora capito da sé? Mi infastidisce ogni<br />

cosa ormai, mi dà noia persino parlare di lei qui, mi sembra uno spreco<br />

di tempo. Parliamo di me.»<br />

«Antonio, smettiamola di prenderci in giro, è evidente che questa faccenda<br />

preferisce subirla piuttosto che prendere una decisione, sto so<strong>lo</strong><br />

cercando di aiutarla, di accompagnarla a vedere cosa c’è stato prima<br />

e oltre la collina immaginaria che è il suo matrimonio. È un mestiere<br />

difficile anche il mio, essere d’aiuto a tutti non è facile ma è quel<strong>lo</strong> che<br />

mi sono scelta e faccio con passione da quasi trent’anni. Quindi pensi<br />

a qualcosa, un episodio qualsiasi che possa essere identificativo di<br />

quel che si scatena dentro di lei in presenza di sua moglie. E facciamo<br />

presto che il tempo sta per scadere.»<br />

Anna<br />

«Il problema vero è che sento che questo figlio mi legherà per sempre<br />

a lui.»<br />

> :-<br />

101


«Ma il figlio è anche tuo. Ci hai mai pensato? L'hai portato tu in<br />

grembo.»<br />

«Lo so che lui non mi vuole più. Lo vedo da come mi guarda, crede<br />

che io non <strong>lo</strong> veda, mentre con gli occhi di traverso osserva ogni mio<br />

movimento. Non capisco perché <strong>lo</strong> faccia ma ho la netta sensazione<br />

che sia così. Guarda le altre, sa? Non posso più portare un'amica a<br />

casa, deve vedere come le spoglia con gli occhi. Brutta merda. Gli uomini<br />

mi fanno schifo. Lui in particolare. Dov'è finito l'amore? Con tutto<br />

quel<strong>lo</strong> che gli ho dato in tutti questi anni. E ho anche un figlio maschio.»<br />

«Le <strong>perso</strong>ne si legano pensando di non avere nulla in comune a parte<br />

le passioni, invece come calamite si attraggono e cascano nella rete<br />

della relazione, che molto spesso è il cestino dove raccogliamo le nostre<br />

insicurezze, i bisogni più antichi. Si pensa che basti l'amore perché<br />

le cose funzionino, non si riflette mai sul fatto che siamo noi stessi in<br />

prima <strong>perso</strong>na a essere in gioco. La coppia non è il luogo dove l'Io si<br />

abbandona come un uomo stanco in poltrona. Nella coppia l'individualità<br />

deve continuare a esistere.»<br />

«Tante belle parole, ma mi spiega come faccio a uscire da questo casino?»<br />

«Non esiste nessun casino, Anna. Devi so<strong>lo</strong> riappropriarti con calma<br />

di quel<strong>lo</strong> che sei come <strong>perso</strong>na.»<br />

«Vorrei so<strong>lo</strong> che la vita che sto facendo non esistesse: il lavoro che<br />

non mi va<strong>lo</strong>rizza, la spesa, la macchina, il traffico, i biberon, i pannolini<br />

che costano e non posso neanche comprarmi un paio di scarpe col<br />

tacco come si deve. E accanto a me ogni notte lui, <strong>lo</strong> so che vorrebbe<br />

una vita e una donna diversa. Non ha idea di come vorrei schiacciargli<br />

la faccia dentro il cuscino fino a non sentir<strong>lo</strong> più respirare, sarebbe la<br />

fine <strong>dei</strong> miei problemi. Non mi interessa cosa accadrà poi, tanto non<br />

ho voglia di costruire nulla. So<strong>lo</strong> distruggere.»<br />

«So<strong>lo</strong> la morte?»<br />

«Mah, forse so<strong>lo</strong> quella, ma sarò felice dopo?»<br />

> :-<br />

102


Un sabato di sera 14<br />

di Matteo Pianosi<br />

> Biberon- Binoco<strong>lo</strong>:-<br />

Il suo odore. Questo è il primo viaggio che intraprende chi incontra Zuleima.<br />

Un viaggio nel sole, nel mare. Un profumo di dolce ca<strong>lo</strong>re, di<br />

una leggerezza blu. E al<strong>lo</strong>ra ti basterebbe questo. Spegneresti ogni<br />

pensiero per cullarti e non svegliarti mai.<br />

I suoi occhi.<br />

Pensavi di essere già in carrozza e invece era so<strong>lo</strong> l’inizio. Ti sei <strong>perso</strong>.<br />

In una foresta che respira per tutti, circondato da spiagge dove è impossibile<br />

non incontrare nessuno. Ti sei <strong>perso</strong> in Brasile.<br />

Zuleima no. È scappata. Da un segreto. E quel biberon che ora tiene<br />

in mano le sembra pesante come se fosse rigonfio di sangue e dovesse<br />

ber<strong>lo</strong> tutto d’un fiato, come succede ormai ogni singo<strong>lo</strong> giorno<br />

da quarant’anni. Lo sguardo domato, i sogni falcidiati, l’amore cancellato.<br />

Quel biberon rappresenta tutto quel<strong>lo</strong> che non vuole ricordare e che<br />

la insegue in un’estenuante, disperata fuga senza partenza. Le capita<br />

spesso di non riuscire a non pensare ad altro e sentire il petto comprimersi<br />

fino a farle mancare il fiato. Vorrebbe fermare il primo che passa<br />

e sputare la verità. Sentirsi sollevare, portata so<strong>lo</strong> dal materno vento.<br />

Ma la forza della vergogna la b<strong>lo</strong>cca ogni volta e la schiaffeggia platealmente.<br />

Vorrebbe so<strong>lo</strong> dire al mondo che ha visto una cosa terribile e<br />

che al<strong>lo</strong>ra era troppo piccola per capirne l’atrocità. Raccontare l’orrore<br />

e togliersi dalla mente ogni fotogramma di quel giorno, quando ha visto<br />

suo padre uccidere un uomo.<br />

Ci sono momenti, oggi, dove la voce le manca all’improvviso. Forse il<br />

ricordo delle urla di quel giorno, la disperazione che c’è dietro un segreto<br />

o forse l’incantevole incoerenza di un padre assassino che seppellisce<br />

quell’uomo nel giardino di casa. L’acre odore di ogni<br />

primavera, la viva immagine di un cadavere sfrangiato dalle stagioni.<br />

Ormai non ci fa nemmeno più caso. Perché dovrebbe. Sono passati<br />

quarant’anni. O forse tutto è successo gradualmente, accompagnando<br />

> :-<br />

103


fedelmente <strong>lo</strong> scorrere del tempo.<br />

Oggi è diverso. È un altro giorno. Zuleima si guarda al<strong>lo</strong> specchio e si<br />

accorge che il suo occhio destro è leggermente socchiuso. Si avvicina<br />

lentamente sporgendo la parte interessata e scruta con distaccato stupore<br />

quel<strong>lo</strong> che vede. Pensa che sia una cosa passeggera, di stamani.<br />

Non è così. Quel suo occhio ha smesso di vivere da quel giorno ormai<br />

<strong>lo</strong>ntano ma mai come ora così presente.<br />

Si veste di corsa, niente trucco. Anche se i diciotto anni li ha passati<br />

da un bel pezzo conserva tutta la bellezza della sua terra. Le forme<br />

non sono più quelle canoniche viste nei servizi <strong>dei</strong> telegiornali sul carnevale<br />

carioca ma nessun uomo potrebbe dire che non sia una bella<br />

donna. Nonostante lei adotti inconsapevolmente ogni strategia per<br />

passare inosservata, ogni suo movimento trasuda femminilità. La<br />

guardi e ti senti a casa, come se ti stringesse tra le sue dolci appesantite<br />

braccia. E le sue mani. Curve, rugose, quasi accartocciate, ma capaci<br />

di accarezzarti e farti sentire al<strong>lo</strong> stesso tempo il più indifeso e il<br />

più forte degli uomini di questa giostra.<br />

Per fortuna oggi non lavora e può tranquillamente andare da Luca, un<br />

vigoroso e buffo ragazzo a cui tempo fa faceva da tata e che ora si è<br />

laureato, zoppicando, in medicina, e che lavora come oculista in uno<br />

studio privato.<br />

Un autobus, due passi nel centro e bussa alla porta. Il suo figlioccio,<br />

scoordinato come una giraffa ubriaca, l’abbraccia goffamente e le<br />

chiede il motivo della visita. Zuleima con beata leggerezza gli parla del<br />

problema notato al risveglio e gli chiede se può darle una controllata.<br />

Dopo qualche esame arriva il responso.<br />

«Zuleima, mi dispiace ma il tuo occhio destro non vede.»<br />

«Non fare come al solito, che ti prendi gioco di me. Io ci vedo benissimo,<br />

come sempre.»<br />

«Credimi, stavolta nessuno scherzo. Ma è possibile che non te ne sia<br />

mai accorta? Da quel<strong>lo</strong> che vedo sono anni che la tua retina ha<br />

smesso di elaborare le immagini.»<br />

Il silenzio fotografa una situazione irrespirabile. Il povero Luca tenta di<br />

consolarla abbracciandola, ma inutilmente. Le sembra incredibile. Non<br />

può ancora sapere, e forse non <strong>lo</strong> saprà mai, che tutto questo esiste<br />

quasi da sempre. Più precisamente da quel giorno. Come è presto per<br />

capire, per vedere perché. O forse è meglio non comprendere. Questa<br />

mattina ha visto di non vedere. Spesso pensa che nessuno di noi sia<br />

in grado di sopportare la bellezza che ci circonda e si nasconde dietro<br />

> :-<br />

104


l’impalpabile evidenza. Ognuno a modo suo si aggiusta le cose quanto<br />

basta a complicarle. Zuleima ha deciso di non vedere, o meglio di vedere<br />

so<strong>lo</strong> a metà. E come ciliegina sulla torta non se n’è mai resa<br />

conto.<br />

Succede poi che questa comparsata sotto questo cie<strong>lo</strong> di lacrime e<br />

speranze non sia così dura, e vivere diventa all’improvviso la cosa più<br />

facile del mondo. Perché un sabato pomeriggio di un fantastico metà<br />

settembre incontri Vladimir. Un ragazzotto ucraino con l’espressione<br />

di un bambino uscito da scuola che non vede i genitori. Ha due mani<br />

leggere, come fatte di zucchero.<br />

Vladimir è un musicista. È il suonatore ufficiale di fisarmonica della<br />

città. Se ne sta quasi tutti i giorni tra via Cavour e il Duomo ad allietare<br />

con soave incanto il passaggio di frenetiche anime. Glie<strong>lo</strong> ha presentato<br />

quell’azzeccagarbugli di Sara, che sembra scema ma è furba<br />

come una faina che ha fatto le scuole superiori a Napoli. Entrambi frequentano<br />

il corso di italiano per stranieri che tiene quell’adoratrice di<br />

scarpe, il martedì mattina e il sabato pomeriggio. E ieri sera quel ragazzotto<br />

sparuto, dopo un eroico e dolce corteggiamento, le ha chiesto<br />

di andare a cena da lui.<br />

Torna a casa, stavolta a piedi. Le <strong>perso</strong>ne le passano di fianco indifferenti,<br />

come sono passati tutti questi anni all’oscuro di una morte. La<br />

morte di una delle porte con il mondo esterno. Una finestra. Verso la<br />

vita, verso il futuro.<br />

Vaga per le strade facendo la spola tra gli unici due parchi della città<br />

degni di questo nome. Ogni tanto si ferma e siede su una panchina<br />

per riposare le gonfie gambotte che tanta strada hanno fatto. Ormai è<br />

sera e la sua testa non riesce a pensare ad altro che all’occhio. Stasera<br />

doveva andare a mangiare una pizza con Sara, che oltre a insegnarle<br />

l’italiano è diventata sua amica, ma non se la sente. Stasera no, e le<br />

manda un sms.<br />

“Ciao Matta, sono molto stanca, vado a letto presto. Mi dispiace, domani<br />

mattina passo in negozio così ci salutiamo. Tvb”<br />

Spegne il telefono e via verso casa. Un minestrone di quelli surgelati,<br />

un po’ di televisione e poi dritta verso il divano. Indossa una tutona<br />

stile Rocky, delle buffe calze antiscivo<strong>lo</strong> e la solita fascia a cingerle la<br />

testa. Pochi minuti e crolla in un sonno profondo. Giornata devastante,<br />

di scoperte, di passato ma soprattutto di futuro.<br />

Buon giorno miss Brasile. È un meraviglioso sabato mattina di metà<br />

febbraio e splende il sole. La televisione ancora accesa e la faccia tutta<br />

> :-<br />

105


stropicciata. Il tutto la rende ancora più bella. Una solitaria guerriera<br />

moderna in tuta. Una bella tazza di latte con i cereali, le prime cose<br />

che trova nell’armadio, ed esce quasi senza pensare. Stranamente è<br />

come se non ricordasse nulla di ieri. Pochi passi ed è nel cuore dell’oltre<br />

torrente. Dove un tempo vivevano gli esclusi dalla nobile città fi<strong>lo</strong>francese.<br />

Via D’Azeglio ti è sempre piaciuta, con quelle vecchie fette di case vicine<br />

vicine. Studenti, immigrati, anziani che vanno a fare la spesa. E<br />

sempre quella romantica frenesia del borgo. Tra uno scherzo di un<br />

gruppo di amici e quell’inconfondibile profumo di kebab. Sì, questa via<br />

proprio la ami. E poi ci lavora Sara, in quel forno ci sono delle cose<br />

buonissime. Ti vengono in mente le mini torte al limone fatte ogni anno<br />

per san Valentino, dove con la glassa scrivono frasi dolci dolci come<br />

“Je t’aime”.<br />

Lei è dietro al bancone. Bella e frenetica come ieri, anzi un po’ di più.<br />

Appena ti vede fa il giro e ti salta addosso come una scimmia urlatrice<br />

e ti stringe fino a quasi toglierti il fiato. È come se un raggio di sole ti<br />

avesse scaldata per mille anni, ma nel<strong>lo</strong> stesso istante ricordi cos’è<br />

successo il giorno prima. Rimani attonita, l’unico appiglio con la realtà<br />

è la farina che ti ha lasciato addosso nella bollente morsa. Un po’ di<br />

pettegolezzi, compri due micche e la saluti, anche perché questo sabato<br />

il forno è particolarmente affollato e la tua amica, se possibile, è<br />

più spiritata del solito. Se non fosse per quel suo cuore immenso, diresti<br />

che è figlia del caos. Ti viene in mente quella volta in cui ti ha<br />

spiegato perché insegna gratuitamente italiano agli stranieri. Con la<br />

luce negli occhi ti disse: «Aiutare gli altri a imparare cose che per me<br />

sono scontate mi riempie di energia, di speranza.»<br />

Già la speranza.<br />

Sei di nuovo su quella via. Barcolli come se avessi fatto quindici round<br />

contro Iron Mike. Ti fermi e guardi la gente passare, stringendo tra le<br />

tue braccia il sacchetto del pane. Non vedi l’ora che sia sera per sprofondare<br />

nel divano guardando la Corrida. Vedere quei pazzi ti fa sentire<br />

un po’ più normale. Peccato che stasera tu debba andare a cena da<br />

Vladimir.<br />

Cinque, quattro, tre, due, uno… ansia. Mille pensieri come un puzzle<br />

impazzito. Cosa ti metterai, cosa dirai, cosa farai. D’istinto agguanti il<br />

cellulare e mandi un messaggio alla scimmia urlatrice:<br />

“S.O.S. stasera sono a cena da vladimir ed è colpa tua! che faccio?”<br />

Risposta: “Be’, partirei con una bella ceretta, un paio di scarpe nuove,<br />

> :-<br />

106


una maglietta un po’ scollata e tutta la tua strabordante bellezza…<br />

buona serata!… dimenticavo, ti chiamo domattina così mi racconti<br />

tutto.”<br />

Cinque, quattro, tre, due, uno… paura.<br />

Magari fosse così facile, l’ultima volta che sei uscita con un uomo c’era<br />

ancora il muro di Berlino.<br />

Dal canto suo Vladimir, nonostante manchi più di qualche ora, è già<br />

nel pieno <strong>dei</strong> preparativi.<br />

Abita in una piccola mansarda vicino al Duomo. Un interior designer,<br />

magari uno di quelli visti su Real Time, direbbe che la casa è arredata<br />

in perfetto stile minimalista. Macché! Sembra piuttosto che il budget<br />

per l’arredamento fosse piuttosto scarso. Stasera però ha deciso di<br />

esagerare. Un bel mazzo di girasoli, candele ad ammorbidire l’atmosfera,<br />

una tavola apparecchiata con deliziosa cura e un rega<strong>lo</strong>. Effettivamente<br />

questo straordinario ragazzo non può definirsi un golden<br />

boy, vive so<strong>lo</strong> della sua musica e <strong>dei</strong> sorrisi <strong>dei</strong> passanti. Conserva<br />

però dentro di sé un’assoluta e unica attenzione per le piccole cose e<br />

per la storia degli oggetti. Non è difficile trovare nella sua sobria dimora<br />

oggetti vecchi, insegne di metal<strong>lo</strong>, lanterne o scatole di latta. Quando<br />

era picco<strong>lo</strong> un’alluvione ha spazzato via il suo villaggio uccidendo la<br />

sua mamma. Quel giorno l’acqua ha rubato tutto quel<strong>lo</strong> che aveva. È<br />

cresciuto con il nonno e con la sua musica. Nelle lunghe giornate d’inverno<br />

gli sembra ancora di sentirla. Quell’inconfondibile caos trasformato<br />

in me<strong>lo</strong>dia dalla sua sfavillante fisarmonica. Le domeniche<br />

passate in cortile tra una giornata che tramontava in un’ora e un’intera<br />

epoca che mai albeggiava. I balli, i canti. Le corse a perdifiato tra il frumento.<br />

Se so<strong>lo</strong> chiude gli occhi riesce ancora a sentire sui vestiti<br />

quell’acre e rassicurante odore di legna bruciata. Quando si accendeva<br />

un falò in mezzo all’aia per scaldare le anime.<br />

Come suonava bene nonno Vladimir. E pensare che le sue mani sembravano<br />

due vecchie vanghe. Le dita danzavano tra i tasti e le braccia<br />

accompagnavano con impetuosa eleganza il gesto. Quei baffoni che<br />

sapevano di vodka e l’increspato viso solcato da un sorriso. Seduto<br />

sulle sue ginocchia, fiero e spavaldo. E il tutto che sembrava non potesse<br />

finire mai.<br />

È tanto che ci si arrovella. Sino a quel pomeriggio di metà dicembre<br />

quando ha visto due innamorati che si guardavano in mezzo alla folla<br />

da <strong>lo</strong>ntano. Sembrava fossero gli unici abitanti del pianeta. Un fermo<br />

> :-<br />

107


immagine nell’indifferente divenire degli istanti.<br />

Ora sa cosa regalarle.<br />

Ci siamo. Sono quasi le otto e Zuleima corre come una gallina impazzita<br />

tra <strong>lo</strong> specchio del bagno e quel<strong>lo</strong> della camera da letto. Guardandola<br />

di sfuggita sembrerebbe stia perdendo tempo. Ma se la si osserva<br />

con attenzione si scopre che con poche mosse sta facendo quattro<br />

cose contemporaneamente.<br />

Le donne sono veramente straordinarie. Ogni <strong>lo</strong>ro frammento di giornata<br />

è un rega<strong>lo</strong> per chi ha la fortuna di riuscire a vederle. Come<br />

quando al semaforo, sedute alla guida della propria agghindata auto,<br />

le vedi truccarsi guardandosi al<strong>lo</strong> specchietto retrovisore.<br />

Si vede proprio che l’ultima volta che è uscita con un uomo erano gli<br />

anni Ottanta. Una camicia di jeans, una gonna nera di raso che prova<br />

a domare il rassicurante sederotto, delle scarpe da ginnastica e una<br />

splendida fascia co<strong>lo</strong>rata a cingerle la testa. Molto metropolitana, poco<br />

armonica ma bella come non mai. L’ultima passata di lucidalabbra, afferra<br />

la borsa ed è di nuovo nel cuore pulsante della città.<br />

Da casa sua sono so<strong>lo</strong> pochi minuti a piedi. Se possibile questa rissa<br />

di vecchie case al sabato sera è ancora più bella. L’aria fredda rende<br />

le immagini nitide e le sue scarpe sembrano mangiare l’asfalto. Una<br />

leggera salita che porta al Ponte di Mezzo e sotto di lei uno <strong>dei</strong> rumori<br />

che più le piace. L’acqua che scorre. Si ferma un istante, <strong>lo</strong> fa spesso.<br />

Ma stasera questo fiume sembra vivo, ne sente l’odore, l’energia. E<br />

via verso la piazza principale con i mille tavolini occupati per l’aperitivo.<br />

Un’ultima occhiata sulla vetrina di un negozio e resta ferma per un bel<br />

dieci minuti dinnanzi al campanel<strong>lo</strong> fissando un punto non precisato.<br />

Quando sta per tornarsene indietro inghiottita dalla paura, si apre all’improvviso<br />

il portone.<br />

«Ciao Zuleima, ti ho vista dalla finestra. Tutto bene?»<br />

«Ciao! Be’ sì, tutto bene. Non ero sicura fosse questa la porta.»<br />

«Sei bellissima! Hai fame?»<br />

«Grazie! Sì, abbastanza.»<br />

Vladimir si avvicina con manifesta timidezza e la stringe in un abbraccio<br />

senza fine. Zuleima si abbandona con tutto l’imbarazzo del caso.<br />

I due entrano in casa in un’atmosfera senza tempo. Una bolla di sapone<br />

sospesa nella luce. Ogni cosa è al suo posto. Le candele accese<br />

ovattano i movimenti, accarezzano le idee. Zuleima appoggia la borsetta<br />

sul divano e Vladimir le sfila il giaccone. Una musica soffusa ac-<br />

> :-<br />

108


compagna l’imbarazzo di questo meraviglioso e bizzarro incontro.<br />

Lui versa due bicchieri di prosecco e le si avvicina porgendole il mazzo<br />

di girasoli.<br />

«Questi sono per te, per la tua bellezza.»<br />

Esterrefatta si avvicina e allunga il braccio: «Grazie, sei molto carino,<br />

ma non dovevi disturbarti!»<br />

«Veramente non è finita.»<br />

Dicendo queste parole, gonfio di paura e spavalderia mischiate quanto<br />

basta, dirige i verdi occhi verso un pacchetto appoggiato sul tavo<strong>lo</strong>.<br />

Un brivido corre dietro la spaziosa schiena di Zuleima. Muove dolcemente<br />

il col<strong>lo</strong> verso il tavo<strong>lo</strong> e <strong>lo</strong> vede. Una carta verde lucida e un nastro<br />

gial<strong>lo</strong> a voler ricordare la bandiera della sua terra.<br />

«Sono senza parole. Che faccio, posso aprir<strong>lo</strong>?»<br />

«Non aspetto altro.»<br />

Era da tanto che questa guerriera adottata dalla pianura padana non<br />

scartava un rega<strong>lo</strong>. È bellissimo vedere come ci siano alcune cose che<br />

riescono a portarti all’origine. Quando ti bastava salire su un tavo<strong>lo</strong> per<br />

sentirti un re, o quando infilarsi una collana della mamma ti faceva sentire<br />

la più bella delle principesse.<br />

Le mani tremanti scartano lentamente quel picco<strong>lo</strong> romantico scrigno.<br />

Vladimir con le braccia conserte si gode tutta la scena e pensa al fantastico<br />

mondo che può nascondersi dietro a uno stupido rega<strong>lo</strong>. Rivede<br />

stampata nel suo cuore la ricerca di quell’oggetto.<br />

Zuleima non può credere a quel<strong>lo</strong> che vede a metà. Una chiave di una<br />

vecchia porta, una maniglia per una nuova finestra, uno strofinaccio<br />

per lucidare un impavido cuore, una coperta per scaldare le solitarie<br />

notti. Vladimir le ha regalato un binoco<strong>lo</strong>.<br />

Il suo odore. Questo è il primo viaggio che intraprende chi incontra Zuleima.<br />

Un viaggio nel sole, nel mare. Un profumo di dolce ca<strong>lo</strong>re, di<br />

una leggerezza blu. E al<strong>lo</strong>ra ti basterebbe questo. Spegneresti ogni<br />

pensiero per cullarti e non svegliarti mai.<br />

I suoi occhi.<br />

> :-<br />

109


Un bicchiere di inferno 15<br />

di Donatella Milani<br />

> Binoco<strong>lo</strong> - <strong>smalto</strong> per unghie:-<br />

«Vuole dell’altro vino, signora?»<br />

Rachele non se <strong>lo</strong> fa ripetere due volte e allunga il bicchiere verso<br />

Luca, poi riprende a parlare.<br />

«A volte mi chiedo se sono stata una buona madre» e scoppia in una<br />

fragorosa risata con uno strano retrogusto amaro.<br />

Non è raro che durante qualche pranzo o cena in cui si sente più rilassata,<br />

o forse semplicemente più malinconica, si lasci andare al cibo e<br />

anche al buon vino, perdendo quel suo fare da gran signora aristocratica,<br />

creando dapprima ilarità e poi un po’ di imbarazzo nei figli e nel<br />

marito, soprattutto se, come quella domenica, ci sono ospiti.<br />

Per quel pranzo, infatti, il figlio minore di Rachele si è presentato, oltre<br />

che con la giovane moglie in attesa del primo figlio, anche con un<br />

amico, Luca. In realtà era stata proprio lei a insistere affinché <strong>lo</strong> portasse,<br />

visto che non perde occasione per cercare di accasare la figlia.<br />

«Ma certo che <strong>lo</strong> sei!» e cercando di non dare troppo nell’occhio suo<br />

marito cerca di spostare sia la bottiglia che il discorso su un altro argomento.<br />

Ma Rachele con i sensi sempre più offuscati non glie<strong>lo</strong> permette: «Tu<br />

dici? Guarda Emma, ti sembra felice?» e si interrompe so<strong>lo</strong> per bere<br />

l’ultimo sorso di vino rimasto nel bicchiere.<br />

Emma, che fino a quel momento è stata zitta, chiamata in causa non<br />

riesce a fare a meno di reagire: «Cara mamma» inizia senza nascondere<br />

un tono sarcastico, «certo che sono felice, prima o poi forse riuscirai<br />

anche tu a gioire delle mie scelte.»<br />

Emma aveva ricevuto l’invito a questo pranzo qualche giorno prima, a<br />

seguito di una telefonata della madre. Aveva smontato dal turno di<br />

notte e quando era entrata in casa il buio stava già facendo posto alle<br />

prime luci dell’alba. In quel momento un getto d’acqua bollente le<br />

aveva fatto dimenticare il suo squallido appartamento, la periferia, le<br />

schifezze che il suo lavoro la costringeva a vedere. La sua vita. Appena<br />

posata la testa sul cuscino era crollata in un sonno profondo. La sve-<br />

> :-<br />

110


glia nel primo pomeriggio del giorno seguente era stata una voce amplificata<br />

dalla segreteria telefonica che aveva invaso la casa: “Ciao<br />

Emma, sono la mamma, è mai possibile che tu non ti faccia mai sentire?<br />

Comunque domenica vengono a pranzo tuo fratel<strong>lo</strong> e tua cognata.”<br />

Pausa.<br />

“Vieni anche tu? Guarda che tuo fratel<strong>lo</strong> porta quel collega tanto gentile.”<br />

Pausa.<br />

“Insomma vedi di venire, lui viene per te. E poi hai un’età, vuoi darmi<br />

la soddisfazione di vederti sistemata prima che io muoia? Vabe’, ti richiamo<br />

io, tanto so che tu non <strong>lo</strong> farai. Ciao.”<br />

Per tutta la durata del messaggio Emma non aveva fiatato, il respiro<br />

le era tornato so<strong>lo</strong> quando un bip lungo le aveva fatto capire che sua<br />

madre aveva finito di pressarla con i soliti discorsi.<br />

Nel momento stesso in cui aveva deciso di accettare l’invito, si era<br />

fatta strada in lei la consapevolezza che avrebbe avuto il piacere di<br />

percorrere quella piccola strada sterrata, unico accesso al cascinale<br />

dove vivevano i suoi genitori, fatta di sassi e terra dura che quando si<br />

inumidisce emana quell’odore che per Emma sapeva di infanzia, e che<br />

avrebbe dovuto affrontare, come sempre, un estenuante braccio di<br />

ferro con la madre.<br />

Rachele ride. Ha <strong>perso</strong> la lucidità per distinguere una situazione divertente<br />

da una imbarazzante. I capelli sempre perfettamente raccolti le<br />

cadono in piccoli ciuffi impalpabili sulla fronte e sul col<strong>lo</strong>. La voglia di<br />

puntualizzare prevale e come un rigurgito che sente salire dal<strong>lo</strong> stomaco<br />

le parole le escono dalla bocca e si scagliano come sassi sui<br />

commensali, anzi, su una in particolare.<br />

«Ma Emma, non ti devi risentire se ti faccio un’osservazione, sono tua<br />

madre ed è ovvio che io voglia il meglio per te. Hai deciso di fare l’infermiera,<br />

hai deciso di andare a vivere <strong>lo</strong>ntano da qui, insomma,<br />

dammi almeno la soddisfazione di vederti sistemata.»<br />

Con un’aria fintamente dubbiosa Emma alza <strong>lo</strong> sguardo come se pensasse,<br />

come se in fondo la madre avesse ragione: «Ma sì, forse ho<br />

sbagliato tutto. Però una cosa la potrei fare a modo tuo. Posso farmi<br />

mettere incinta, posso farmi lasciare e poi sposare un altro uomo so<strong>lo</strong><br />

perché mi dà un po’ di sicurezza economica, e vaffancu<strong>lo</strong> l’amore! Ah,<br />

non devo dimenticarmi che se poi dovessi avere delle frustrazioni da<br />

sfogare posso sempre rivalermi su mia figlia o in un bicchiere di vino!<br />

> :-<br />

111


Un altro goccio, mamma?» e le versa un altro bel bicchiere di rosso.<br />

Rachele ride. Ma di un riso forzato. Con una mano tremante sistema<br />

un ciuffo di capelli dietro l’orecchio, ringrazia per il vino e pensa a un<br />

caldo pomeriggio di luglio di una vita prima.<br />

Aveva subito capito che mettere il panciotto era stato un azzardo, il<br />

caldo era soffocante e per fortuna nel negozio, a parte la canzone degli<br />

Stones “Angie”, un picco<strong>lo</strong> ventilatore vicino alla cassa riusciva a dare<br />

un po’ di respiro a quella stanza.<br />

Erano entrati perché lui voleva portare a suo figlio un rega<strong>lo</strong>. Era stato<br />

proprio questo a farla innamorare, la premura che aveva nei riguardi<br />

<strong>dei</strong> suoi figli. Non c’era viaggio in cui non comprasse un rega<strong>lo</strong>, un ricordo<br />

da portare a casa, il tutto preannunciato da una telefonata so<strong>lo</strong><br />

per creare un po’ di fermento, di attesa.<br />

Già, era proprio un bravo padre, ma la domanda che tormentava Rachele<br />

ogni giorno da ormai nove mesi a quella parte era: “Sarà così<br />

premuroso anche con questo figlio?”, non voluto eppure capitato, frutto<br />

di un amore proibito consumato nei ritagli di tempo tra un viaggio e<br />

l’altro, in una casa in affitto di una cittadina <strong>lo</strong>ntana dalla sua famiglia<br />

e da occhi indiscreti. Lei <strong>lo</strong> portava in grembo con il do<strong>lo</strong>re incessante<br />

per non aver saputo resistere alle lusinghe di un uomo sposato e ancora<br />

innamorato di sua moglie dalla quale, però, <strong>lo</strong> avevano al<strong>lo</strong>ntanato<br />

anni di silenzi e troppe incomprensioni.<br />

Trascinandosi pesantemente tra gli scaffali cercava, suo malgrado, di<br />

aiutar<strong>lo</strong> nella scelta del rega<strong>lo</strong>. Tutti gli occhi erano addosso a questa<br />

strana coppia, lui era un uomo di una certa età, sicuramente molto più<br />

anziano di lei, vestito fuori dal tempo con panciotto e giacca, nonostante<br />

il caldo soffocante. Lei aveva <strong>dei</strong> lunghi capelli che le scivolavano<br />

sulle spalle e una sigaretta che le fumava tra le dita. Lui la guardò<br />

dolcemente e le prese la mano. Per un momento, un so<strong>lo</strong> breve<br />

istante, si sentì sua e <strong>lo</strong> sentì suo. Fu so<strong>lo</strong> un attimo però, il suo<br />

sguardo pieno di gioia nel pensare al suo ritorno a casa con quel binoco<strong>lo</strong><br />

che alla fine decise di comprare, la fece tornare bruscamente<br />

sulla terra.<br />

Rachele pensò che la canzone che riempiva il silenzio di quel negozio<br />

fu semplicemente il preludio di quel<strong>lo</strong> che successe da lì a poco.<br />

Il pranzo finalmente finisce. Il fratel<strong>lo</strong> di Emma con la moglie e l’amico<br />

si congedano. Rachele si lascia sprofondare sul divano ed Emma aiuta<br />

suo padre a risistemare.<br />

«Tesoro, non badare a ciò che dice la mamma, sai come fa quando<br />

> :-<br />

112


eve un po’ più del dovuto.»<br />

«Non ti preoccupare, ci sono abituata. È che a volte proprio non resisto<br />

e devo risponderle… anzi volevo chiederti scusa, non volevo tirare<br />

fuori ancora quella vecchia storia.»<br />

Quell’uomo dall’espressione infinitamente gentile le posa l’indice sulle<br />

labbra: «Non dir<strong>lo</strong> neppure. Tu sei la mia bambina. Da quando ti ho<br />

vista la prima volta reggerti a stento in piedi e muovere i primi passi<br />

ho capito che saresti stata mia, qualunque cosa sarebbe successa.»<br />

Tornando in sa<strong>lo</strong>tto, dopo aver sistemato la cucina e lavato i piatti, trovano<br />

Rachele che nel frattempo ha avuto modo di sonnecchiare sul<br />

divano. Il suo atteggiamento precedente lascia il posto alla sua solita<br />

espressione da gran dama. I capelli sono di nuovo perfettamente raccolti<br />

sulla nuca e ora è intenta a mettersi <strong>lo</strong> <strong>smalto</strong>: «Tesoro, perché<br />

non ti dai anche tu una sistemata a quelle unghie?»<br />

> :-<br />

113


Camminava per la strada,<br />

ha visto il sole e l’ha inseguito 16<br />

di Costanza Di Robilant<br />

> tutti gli oggetti<br />

“This is the woman you have to share me with”.<br />

Come tradurre l'incredulità?<br />

Presa dall'eccitazione di aver trovato casa, quel sabato mattina si era<br />

svegliata presto. Il quartiere cristiano di Achrafieh era una zona poco<br />

accogliente ma riservata e non conservativa.<br />

Thomàs era partito per Haiti, una settimana dopo il terremoto, le Nazioni<br />

Unite <strong>lo</strong> avevano trasferito. La sera prima, alla sua festa di saluti,<br />

le aveva lasciato casa. Chiavi, un bacio e una regola: “Non più di due<br />

uomini per volta”. Era triste di partire. Le aveva detto che sarebbe tornato<br />

il quattro di aprile, <strong>lo</strong> aveva abbracciato e Nikolas <strong>lo</strong> aveva accompagnato<br />

all'aeroporto.<br />

Verso le sei ha salutato l’ultimo gruppo di amici e invitato Karim a rimanere.<br />

Lui l’ha aiutata a portare i bicchieri in cucina, ma poi ha dovuto<br />

accompagnare la sua ragazza e lei si è infilata a letto.<br />

La mattina dopo si sveglia presto. Un grande letto di vimini, è ancora<br />

vestita, si era tolta so<strong>lo</strong> il reggiseno che comunque porta raramente<br />

perché le stringe il costato. Guarda fuori dalla finestra della stanza.<br />

“Sono vicinissima a casa sua” pensa, e non aspetta a lungo.<br />

Sei sveglio?, gli scrive.<br />

Tra due ore.<br />

No, adesso.<br />

Sono con qualcuno.<br />

Lo so. Mi vengo a prendere i libri.<br />

Venti minuti di silenzio, alle 9:40 scrive: Ok.<br />

Un balzo al cuore, alza gli occhi e si prepara. Ha ancora il trucco sugli<br />

occhi, una leggera linea nera di kajal. Fuori c’è il sole che splende.<br />

È dimagrita cinque chili in questi due mesi <strong>lo</strong>ntana da Beirut. Prima<br />

New York, la rottura del suo fidanzamento, poi l’India con sua nonna e<br />

ora di nuovo a casa, con un amico che le lascia l’appartamento e molti<br />

> :-<br />

114


altri che l’abbracciano.<br />

Medita. Trenta minuti di vuoto mentale. La nuova pratica la riporta presente<br />

al<strong>lo</strong> spazio e al tempo. Fa un giro per la casa tra gli avanzi della<br />

festa, tra un tappeto e l'altro schiva il pavimento freddo e appiccicoso,<br />

guarda fuori dalle finestre, è finalmente tornata. Dal sesto piano vede<br />

tutta Achrafieh fino al mare, il museo nazionale, l'università e il silenzioso<br />

trambusto del sabato mattina. Le sue valigie sono a sud, vicino<br />

a Cola, a casa di Giorgia.<br />

La casa è bellissima: due stanze doppie e due bagni, una cucina con<br />

piastrelle marroncine a fiori e una marmellata di fichi. Ha le sue stranezze<br />

e non le sembra vero. Sul tavolino accanto al divano vede un<br />

manga giapponese. Una donna seminuda con <strong>lo</strong> sguardo da guerriera<br />

sferza una sciabolata sulla copertina viola e blu. Sorride: Sicuramente<br />

<strong>lo</strong> ha portato Maurice, pensa, non sapeva si fosse fidanzato. Si sdraia<br />

sul divano blu per dargli un’occhiata e sfoglia un paio di pagine. Non<br />

aveva mai avuto un doppio sa<strong>lo</strong>ne con due divani e quattro poltrone<br />

di design a forma di mano. Guarda il camino, c’è molta luce lì sopra la<br />

città. Sulla mensola vede un binoco<strong>lo</strong> e libri sulle relazioni civil-militari.<br />

Non ci ha mai creduto, ma sono un'evidenza nella striscia blu.<br />

Sono trentatré anni che i caschi dell'Onu pattugliano il territorio a sud<br />

del Litani, insieme ai palestinesi e agli hezbollah, accanto alla popolazione<br />

civile. Entrano in villaggi drusi soldati francesi, spagnoli, indiani<br />

e cinesi, a seconda di quali sono i battaglioni in carica. Ci sono donne<br />

coperte da veli in puro cotone bianco, vecchissime. Hanno la faccia<br />

coperta da morbide rughe, pochi denti e <strong>lo</strong> sguardo fisso negli occhi<br />

degli stranieri. Non vogliono foto.<br />

Entrano in villaggi cristiani dove le tette a balconcino e i nasi rifatti illudono<br />

di libertà ed emancipazione, poi di nuovo tra gli shiiti, dove le<br />

donne sono tutte coperte di nero e perfettamente depilate. Tutto è maschile<br />

e non ci si può fermare a prendere un caffè, non ci sono bar, si<br />

può so<strong>lo</strong> essere invitati in case private. Vogliono sapere cosa ci fa in<br />

piazza una ragazza come Giulia, che si muove tra l’amico macellaio,<br />

rientrato dopo venticinque anni in Brasile, e Riad, il presidente dell’influente<br />

cooperativa hezbollah. È così che ha scoperto gli angoli delle<br />

case sempre piene di bambini, con biberon di vecchia data e finjen 1<br />

che sgocciolano accanto al lavandino. Il caffè è nero, ha un fondo polveroso<br />

e sa di cumino. Spesso le leggono i fondi e lei ascolta il racconto<br />

del suo futuro delineato con attenzione, senza capirne il senso.<br />

1 Tazzina senza manico usata per bere il caffè. Gli uomini lungo le strade di Beirut le<br />

sbattono una contro lʼaltra per attrarre clienti, assetati di caffè, stanchi, o che hanno<br />

voglia di accompagnare una sigaretta.<br />

> :-<br />

115


Non parla arabo ma adora ascoltar<strong>lo</strong>.<br />

I soldati non li invitano. Dovrebbero, almeno per vendergli qualche<br />

cianfrusaglia di cui sono pieni, ma non si sa chi ha più paura. Le relazioni<br />

civil-militari sono sempre una lama a doppio taglio e niente è mai<br />

cambiato.<br />

Accanto al camino vicino alla finestra c'è una sfera di vetro grossa poco<br />

più di una palla da biliardo, silenziosa. La scuote, ne compaiono rane<br />

innevate. Thomàs. Chissà da quale dip<strong>lo</strong>matico ha ricevuto questo oggetto.<br />

Con un gesto affettuoso, forse, gli hanno portato in casa una<br />

palla pesante che racconta la neve e il freddo a chi sta lungo il Mediterraneo,<br />

dove il ghiaccio c’è, tra l’afa, il ca<strong>lo</strong>re e la tensione.<br />

Cammina sulle punte <strong>dei</strong> piedi, è in casa d'altri, che è diventata casa<br />

sua. Mette le scarpe e apre la porta. Sul pianerotto<strong>lo</strong>, mentre aspetta<br />

l’ascensore, nota un bastone al posto degli ombrelli, pensa alla pioggia,<br />

alla vecchiaia. Quando piove l’acqua scende a catinelle, si sta<br />

chiusi in casa aspettando la tregua, per questo niente ombrelli, ma un<br />

bastone.<br />

Entra in ascensore, mette le chiavi per attivare i pulsanti e mentre si<br />

guarda al<strong>lo</strong> specchio scende. Esce, incontra Hicham, il portinaio siriano.<br />

«Buongiorno, vengo a stare nella casa di Thomàs per un mesetto.»<br />

È contento, farfuglia qualcosa di incomprensibile, le sorride con gentilezza<br />

e si al<strong>lo</strong>ntana. Gira sulla sinistra e chiede al fruttivendo<strong>lo</strong> all'ango<strong>lo</strong>:<br />

«Afuan, tarif ween Sassine Square?»<br />

«Doghre, fo» le indica con un cenno della testa, «Bes tawiile!» aggiunge.<br />

«Ma fi mishkele, ana beheb meshware 2 » risponde con le poche parole<br />

che conosce e segue le sue indicazioni.<br />

Nella borsa l'iPod appena ricevuto suona Ludovico Einaudi, Dolce<br />

Droga. Inizia la salita, non c’è canzone più bella. Ascolta i rumori della<br />

città dalla quale manca da troppo tempo e le note l’accompagnano a<br />

voce alta.<br />

Arriva a Place Sassine affaticata, con un po’ di fiatone ma ancora in<br />

buon equilibrio sulle scarpe alte. Le mancano 137 passi per arrivare<br />

alla sua porta.<br />

Vive in una bellissima casa co<strong>lo</strong>niale al piano terra, un cancelletto sgarrupato<br />

e rumoroso chiude il patio d’entrata. Un semicerchio co<strong>lo</strong>nnato<br />

con piastrelle dipinte e una doppia porta di legno rossa, i vetri grigliati<br />

2 «Scusi, sa dovʼè Piazza Sassine?»<br />

«Dritto, su di là. Ma è lunga.»<br />

«Non cʼè problema, mi piace camminare.»<br />

> :-<br />

116


che al buio erano soliti anticiparle se lui era sveglio in sua attesa o già<br />

nudo nel letto, sono silenziosi.<br />

In autunno, una notte tornando a casa, aveva parcheggiato il grande<br />

pick-up all’ango<strong>lo</strong> della strada, aveva scritto su vecchi biglietti del parcheggio<br />

parole e pensieri di saluto, lui stava per partire. Li aveva infilati<br />

tra le griglie a rombi insieme a un paio di calze e a un euro perché potesse<br />

prendere il carrel<strong>lo</strong> al suo arrivo all’aeroporto di Roma.<br />

Suona il campanel<strong>lo</strong> girando quel chiavistel<strong>lo</strong> di ottone che assomiglia<br />

a quelli dietro ai vecchi caril<strong>lo</strong>n per ricaricare la me<strong>lo</strong>dia. L'ha sempre<br />

girata dando due colpi secchi verso sinistra.<br />

Drin-Drin!<br />

E adesso? Fa un respiro profondo, pensa alla meditazione, si fa coraggio,<br />

vuole capire. Si ostina a capire, non vuole accettare che tra un<br />

po’ sarà lei il suo bastone, a reggere vent’anni di differenza. Apre la<br />

porta. È in maglietta e mutande, non si aspettava di trovar<strong>lo</strong> in pigiama.<br />

«Morning» farfuglia e prova a baciarla. Lei al<strong>lo</strong>ntana il viso, <strong>lo</strong> guarda<br />

di traverso, ma si toccano. «Taa – Vieni dentro.»<br />

«Morning. Sono venuta a prendermi i libri» gli risponde.<br />

«Entra a prendere un caffè.»<br />

Lo guarda stranito, vuole so<strong>lo</strong> dare un’occhiata ve<strong>lo</strong>ce e ritornarsene<br />

a godere la città senza pensare, ma non capendo dove voglia arrivare<br />

entra. Nasconde la paura.<br />

Prima di togliersi le scarpe come ha sempre fatto, dà una ve<strong>lo</strong>ce occhiata<br />

in giro. C'è un vestito vintage, gentilmente appoggiato sul puff<br />

vicino alla porta finestra che dà sul cortile interno. Manie franco-libanesi,<br />

“dev'essere molto più giovane anche lei”, pensa. Sbircia in camera,<br />

manette e vibratore sul bordo del letto. Inizia a darsi delle<br />

spiegazioni. Fa finta di nulla, richiede i libri che le spettano, vorrebbe<br />

prenderli e andarsene. È venuta per un vecchio libro di ricette e una<br />

traduzione <strong>dei</strong> <strong>lo</strong>ro libri sacri. Lui era andato a prenderli in montagna<br />

apposta per lei, tre giorni prima.<br />

Walid non le dà ascolto, è seduto di spalle sul divano, le appoggia la<br />

borsa accanto e va a farsi un nescafè in cucina. Conosce benissimo<br />

quel<strong>lo</strong> spazio. Prende una bottiglia di acqua dalla dispensa, ne rovescia<br />

tre quarti nel bollitore, accende; tazza, nescafè, e aspetta che l’acqua<br />

sia calda.<br />

Torna di là ed eccola, la vede comparire. Con un tanga e una grande<br />

felpa beige che si è infilata per coprirsi, per andare incontro a questo<br />

fatto appena scoperto: c’è un’altra donna.<br />

> :-<br />

117


Maya ha smagliature chiare sulle cosce, ha da poco <strong>perso</strong> peso. Si<br />

porta le gambe al petto sedendosi sul divano marrone, senza dire una<br />

parola.<br />

Si presentano.<br />

«Giulia.»<br />

«Maya.»<br />

Giulia si siede comoda tra i due, Maya non ha alzato <strong>lo</strong> sguardo, tanto<br />

non la vuole vedere. Sono in un territorio inesp<strong>lo</strong>rato, sta a lui dire la<br />

seconda parola ma non sa come muoversi.<br />

«Questa è la donna con cui mi devi condividere.»<br />

Giulia non perdona, lui si dimostra incapace e tutto crolla. Lo guarda,<br />

non può credere che questa sia l'unica frase che riesce a dire.<br />

“Ma brutta scimmia, ma chi ti credi di essere?” si dice, e nota che ha<br />

un atteggiamento da re che gode di diritti divini. “Ma per chi ci hai<br />

prese?” si ripete.<br />

«Non m’importa, hayet 3 » le dice Maya in arabo.<br />

«Capisce l'arabo» la informa indicando Giulia.<br />

«Non mi interessa» risponde. Non la guarda neanche e <strong>lo</strong> imp<strong>lo</strong>ra con<br />

<strong>lo</strong> sguardo tremante.<br />

Giulia vede cosa esce dai suoi occhi: una linea densa di emozioni mentre<br />

lui la lascia scivolare nell’abisso di se stesso, incapace. In bilico tra<br />

l’orgoglio, l’azzardo, il vuoto e l’incapacità di sostenere le sue stesse<br />

stronzate. Giulia non sente altro che una rapida e triste pietà per un<br />

povero vecchio uomo, che ama.<br />

È ferita: «Ma cosa dici? Ma perché voi libanesi pretendete che nulla vi<br />

interessi, che nulla vi tocchi? Voi e la vostra indifferenza, puttanate che<br />

non ti interessa!» Si rivolge a Maya: «Ma non ti vedi, cazzo? Non capisco<br />

perché siate tanto ostinati.»<br />

Maya, distrutta, si tiene strette le ginocchia, senza dire una parola riesce<br />

a tenere una voce ferma, <strong>lo</strong> guarda con aria supplicante. Sconcerto.<br />

“Ma come ci puoi fare questo?” pensano.<br />

“Ma come ti permettiamo di farci questo?” pensa Giulia.<br />

Maya si accende una sigaretta e riappoggia il portasigarette d'argento<br />

sul tavolino di vetro. Un rumore gelido, tiene <strong>lo</strong> sguardo alto, la sigaretta<br />

stretta tra le dita tremanti, aspira.<br />

Lui zitto, un lunghissimo breve istante. Giulia <strong>lo</strong> guarda. Sente le gocce<br />

di una clessidra scendere, pochi minuti, pesanti e rumorosi dentro<br />

un’anima b<strong>lo</strong>ccata.<br />

3 Vita mia<br />

> :-<br />

118


«Non sono venuta per vedere questo, Walid, ma a prendere i miei libri»<br />

gli dice con tono fermo.<br />

Lui si alza e va in cucina. Lei si alza e va in bagno.<br />

Giulia rimane seduta ancora qualche istante. Scuote la testa per riprendersi,<br />

si alza come trainata per l’ombelico da quattro cavalli, appoggia<br />

la tazza ancora piena e fumante sul tavolino, tac, e la segue in<br />

bagno. Maya è seduta sulla tazza, sta per fare pipì, forse per distendere<br />

la tensione.<br />

“Ha dormito nel nostro letto” Giulia scaccia il pensiero, teme per un attimo<br />

di disturbarla ma non può più andarsene, i cavalli tirano.<br />

«Maya, io me ne vado» le dice, «Buona fortuna.»<br />

Esce dal bagno, la musica nella borsa sta ancora suonando, si sente<br />

accolta.<br />

Mette il lungo cappotto scuro, la borsa in spalla, risale sui suoi tacchi<br />

e si muove. Non dice una parola, lui la accompagna alla porta e le dà<br />

i suoi libri.<br />

«Ma da quando vai in giro coi tacchi?» le chiede.<br />

Giulia <strong>lo</strong> guarda, fa un cenno di saluto ed esce dal cancelletto.<br />

Ritorna verso Sassine, ha sempre trovato le sue zeppe bianche con<br />

la punta nera molto eleganti, si sente più vicina al sole su quelle scarpe<br />

alte, e da sotto il cappellino militare alza gli occhi, incontra i raggi e li<br />

insegue, dirigendosi verso casa di Giorgia a prendere le sue valigie.<br />

> :-<br />

119

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