Untitled - Sada Ranis

MELVINS
Allegro ma non troppo
by Sada Ranis
Se dovessi spiegare i Melvins ai figli dei miei vicini, direi che sono dei grossi
dinosauri mutanti, ma buoni. Direi che sono principalmente in due, Buzz
Osborne e Dale Crover, che sono in giro da più di un quarto di secolo e non
c’è niente che li possa fermare. Che mutano ogni anno, e diventano sempre più
mordaci. Che hanno ispirato tutti gli altri grossi rettili della famiglia dei punkmetal-sludge-doomidi
nell’America Settentrionale. Che non temono nessuno e
che quando arrivano loro, dal rumore che fanno, c’è da lasciarci la salute mentale.
Se dovessi spiegarli a voi, invece, direi che senza di loro, metà della vostra raccolta
di dischi non sarebbe mai esistita. Dopo 25 anni di musica, si sono reinventati
collaborando coi Big Business, hanno una doppia batteria “a specchio”, e sono
sempre più incendiari. A San Francisco, prima del loro concerto, DROME si è
accomodato per voi su un divano rosso accanto a Buzz
If I had to explain the Melvins to my neighbours’ children, I’d say they are giant mutant
dinosaurs, but nice ones. I’d say they are basically two, Buzz Osborne and Dale Crover, who
have been around for more than a quarter of century, and nothing can stop them. They change
every year, and get more and more caustic. They have inspired all the other huge reptiles from
the Punk-Metal-Sludge-Doom family in North America. They are not afraid of anyone, and
when they arrive, judging from the noise they make, people go crazy. If I had to explain them
to you, instead, I’d say that, without them, half your collection of records wouldn’t exist. After
25 years of music, they have reinvented themselves playing with the Big Business: they have
double drums, and are more explosive than ever. In San Francisco, before their gig, DROME
sat down on a red couch with Buzz for you
Buzz Osborne photographed by Sada Ranis for DROME magazine
DROME: I Melvins sono rinomati per un rock molto pesante, ma
anche molto lento. Qual è la tua nozione di tempo nella musica?
BUZZ OSBORNE: Alllooooraaaaa... certe canzoni sono
più veloci, altre più lente: si chiama… dinamica! (ride)
Suppongo di non volerne fare un vincolo. Cambiamo sempre
la velocità dei pezzi: ogni tanto suoniamo, poi io riascolto
il disco e dico: «ecco, ora lo facciamo completamente in
modo diverso!».
D: Quando suonate in concerto, siete incredibilmente sincronizzati
e molto precisi, e quindi deve esserci molta tecnica dietro, molte ore
di prove. Cosa volete ottenere durante una performance?
BO: Certe sere vanno meglio di altre, certe sere vuoi solo
sbrigartela, è semplicemente terribile. Altre sere è un po’
meno terribile.
D: Cosa le rende terribili?
BO: Non so. Non posso predirlo. Ma se potessi, le renderei
sempre terribili!
D: Che tipo di spettatori avete?
BO: Se dovessi descriverli, direi che sembrano degli stupidi
rincoglioniti sovrappeso.
D: Venticinque anni sono parecchi in termini di carriera: di sicuro, è
un momento in cui ti volti indietro, a guardare cosa hai fatto.
DROME: Melvins are renowned for a really heavy rock which is also
extremely slow. So, what is your notion of time in music?
BUZZ OSBORNE: Weeeelll... some songs are faster, some are slower:
it’s called… dynamic! (laughs) I guess I try not to make it a constraint.
We change how fast songs are all the time: sometimes, we play songs,
and I go back listen to the record and go: “we are doing it totally different
now!”.
D: When you guys play live gigs, you are incredibly synchronized, very
precise, hence, there must be a lot of technique behind, a lot of rehearsing.
What do you want to achieve during a performance?
BO: Some nights are better than others, some nights you just want to get
through it, it’s just horrible. And other nights are less horrible.
D: What does it make them so horrible?
BO: I don’t know. You can’t predict. If I could predict, I would make it
horrible every night!
D: What kind of audience do you have?
BO: If I had to describe them, they would be big, dumb and stupid looking.
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BO: (guardando il cielo, alzando le mani) O mio dio, che cosa
abbiamo fatto!!
D: Quindi sì, un periodo così lungo è una sfida per un musicista: a
volte è difficile rinnovare la fonte di ispirazione perché, ovviamente,
a 40 anni non può più trattarsi di angoscia adolescenziale. Allora,
come hai fatto a rimanere ispirato tutti questi anni?
BO: Ora è l’angoscia di mezza età! (ride) Fondamentalmente,
traggo ispirazione da vari livelli di ansia profonda.
D: La musica è tra i più immediati modi di comunicare. Quale pensi
fosse il tuo messaggio quando hai cominciato? È cambiato?
BO: Agli inizi, penso che il mio messaggio fosse: SPERO
CHE TUTTI VOI FOSTE MORTI, e ora è: SPERO CHE
QUASI TUTTI VOI FOSTE MORTI! (ride)
D: E questo (ride)... questo messaggio è arrivato?
BO: Se il mio messaggio fosse arrivato, sarei probabilmente
in galera. Se avessimo ciò che ci meritiamo, saremmo tutti
nei guai. Cioè, mai pregare che qualcosa accada a qualcun
altro: sempre pregare che possano avere ciò che meritano!
(declamando) Spero che tu abbia ciò che meriti!
D: Cosa potresti immaginare di fare se non facessi il musicista?
Trent Reznor una volta rispose dicendo “il pompiere”.
BO: Eccolo qua, potrebbe ancora farcela, se volesse! Mi
immagino ci sia molto poco che Reznor non possa fare:
ma che ne pensa, invece, di fare un disco decente? Forse
dovrebbe provare quello! Non so se mi fiderei di affidargli
casa mia durante un incendio. Comunque non saprei, forse
vorrei essere un filosofo stipendiato. O vorrei essere un nullafacente
stipendiato.
D: No, non sei così pigro. Ma la musica non ti ripaga abbastanza?
BO: Quant’è abbastanza? Paragonato a cosa? A Trent Reznor?
No, allora non sono pagato abbastanza. Ma ciò che faremo
ora è pregare che abbia ciò che si merita! (ride)
D: Penso che lo abbia già ottenuto.
BO: Lo meritava? Secondo me ha più di ciò che si merita!
D: Cosa vorresti sapere?
BO: Cosa vorrei sapere... mmhh... vorrei essermi ricordato
di portare l’amplificatore, stasera!
D: Non ti sei portato l’amplificatore? Dove l’hai lasciato?
BO: A casa, L.A. Penso di aver avuto ciò che meritavo! Oh,
dovreste fare un numero della rivista intitolato: CIÒ CHE
MERITI. (Dale entra nella stanza) Le stavo dicendo della mia
filosofia dell’ “hai ciò che meriti”...
DALE CROVER: Io prego che tu abbia ciò che meriti...
e rapidamente.
D: Twenty-five years is a long time in career terms: it is the time in which
you turn and look what you have done.
BO: (looks at the sky, raising his hands) Oohh my god, what have we
done!!
D: So yes, that is a challenging length of time for a musician: sometimes
it’s difficult to renew the source of inspiration because, of course, at 40 it
can’t be teenage angst anymore. So, how did you keep yourself inspired
thought all these years?
BO: Now it’s middle angst! (laughs) Basically I draw my inspiration from
various levels of high anxiety.
D: Music is one of the most immediate means of communication. What
do you think your message was when you first started? Did it change?
BO: I think that when I started my message was: I WISH ALL OF YOU
WERE DEAD, and now it’s: I WISH ALMOST ALL OF YOU WERE DEAD!
(laughs)
D: And did this (laughs)... did this message go through?
BO: I think that if my message would have gone through, I’d probably
be behind bars. If we’d got what we deserve, we’d all be in trouble.
I mean, never pray for somebody to have something happen to them:
always pray that they get what they deserve! (reciting) I hope you get
what you deserve!
D: What could you imagine doing if you weren’t doing what you do? Trent
Reznor once replied saying “the firefighter”.
BO: There you go, he could still do that if he wanted to! I’d imagine
there’s very little that Trent Reznor couldn’t do: but how about make a
good record? Maybe he should try that! I don’t know if I trust him to be
the one in charge to making sure my house didn’t burn. But I don’t know,
I would like to be a paid philosopher. Or to be paid to do nothing at all.
D: No, you are not that lazy, are you? Isn’t the music repaying you
enough?
BO: What is enough? Compared to what? To Trent Reznor? No, I am
not payed enough. But what we do is, we all pray that he gets what he
deserves! (laughs)
D: I think he got it.
BO: Did he deserve it? I think he got more than he deserved!
D: What do you wish you knew?
BO: What do I wish I knew... mmhh... I wish I remembered to bring my
guitar amp, tonight!
D: You didn’t bring your amp? Where did you leave it?
BO: Home, L.A. I think I got what I deserved! Oh, you guys should do an
issue: WHAT YOU DESERVE issue. (Dale enters the room) I was telling
her about my philosophy of “you get what you deserve”...
DALE CROVER: I pray that they get what they deserve… in a timely
fashion.
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Alexander McQueen, from Widows of Culledon AW 2006 collection, photo © Chris Moore
THE IMAGINARIUM OF
A L E X A N D E R M C Q U E E N
L’undici Febbraio duemiladieci è morto Lee Alexander
McQueen. La sua scomparsa ha soffocato nel dolore tutti
coloro che lo amavano: la sua famiglia, che in lui ha perso
un figlio, un fratello, un amico ed un collega, e tutti noi, che
abbiamo perso un poeta.
McQueen era uno stilista unico: con la sua smisurata creatività
e la maestria nel taglio, egli si distingueva da tutti gli
altri. Le sue creazioni provenivano da mondi fantastici che
nascevano nei suoi occhi e venivano interamente ricreati
nelle sue sfilate. Assistere ad un suo show voleva dire lasciarsi
trascinare nell’immaginario dello stilista: tra le fiamme, al
circo, a teatro, nel mondo subacqueo, in quello animale o in
mezzo ai rottami, sulle punte di una ballerina o sulla scia di
un pattinatore sul ghiaccio, i suoi abiti erano protagonisti di
un sogno tridimensionale.
Egli era l’Hans Christian Andersen della moda: raccontava
storie incredibili attraverso il taglio delle stoffe (McQueen
tagliava ancora la maggior parte delle sue creazioni) e le
contestualizzava in questi universi onirici che lasciavano a
bocca aperta chiunque. Ispirato anche dal XVIII e il XIX
secolo, egli era un romantico con un incredibile senso del
pathos. L’ologramma di Kate Moss proiettato a conclusione
di una sfilata è sicuramente il momento più lirico, e al
contempo ironico, del mondo delle passerelle. La modella,
che era appena stata travolta dallo scandalo mediatico sulla
cocaina, fluttuava nel buio come in un’angelica visione raffaellesca
della Madonna ed era accompagnata da un violino
dolorosissimo, quello da tutti comunemente associato con
la tragedia dell’olocausto. Magnifico.
“L’evoluzione nella moda” era la risposta che dava a chiunque
gli chiedesse quale fosse il fine ultimo delle sue scelte
audaci; audaci poi, secondo lui aveva poco senso non esserlo:
di realtà ce n’è già troppa, bisogna adoperare la fantasia, bisogna
osare con la fantasia.
Alexander McQueen era un poeta contemporaneo dell’organza
e della seta, un uomo nato con la Luna, il Sole e
Mercurio sotto il segno dei Pesci: la sua creatività era così
illimitata da contemplare anche il macabro, la celebrazione
della morte che lo affascinava tanto essendo “romantica e
triste perché fine di un ciclo, ma positiva perché fa spazio
alle cose che verranno dopo di te”.
Nato sotto il segno dei Pesci
Born under the sign of Pisces
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by Sada Ranis
On February 11th 2010 died Lee Alexander McQueen. The grief for his
passing away overwhelmed the ones who loved him: his family, which
lost a son, a friend and a colleague and all of us who lost a Poet.
McQueen was a unique fashion designer; his boundless creativity and
mastery of cutting set him apart from anyone else. His creations used
to come from imaginary worlds that arose in his eyes and were wholly
recreated in his shows. Being present to one of these events used to
mean abandoning to the designer’s imaginarium and being carried away
in the flames, in a circus, in the underwater or animal worlds, by wrecks,
on a ballerina’s points or in the wake of an ice skater. His dresses used
to be the protagonists of a three-dimensional dream.
McQueen was for fashion what Hans Christian Andersen was for literature:
he used to tell amazing stories through cloth cutting. He still used
to cut himself the majority of his creations and contextualize them in
dream-like Universes that would leave anyone agape. Inspired by 18th
and 19th Centuries, he was a Romantic with a far-out sense of pathos.
Kate Moss’ hologram projected at the end of one of his shows will certainly
remain the most poetic and at the same time ironic moment in
the world of fashion shows. The model, who at the time had just been
overcome by the cocaine scandal, wavered in the dark like an angelic
Raphaelesque vision of a Madonna and was accompanied by a grievous
violin music, the one generally associated with the Holocaust tragedy.
Just magnificent.
“Evolution in fashion” was the answer he used to give to anyone who
would ask what was the final aim of his daring choices. Daring, according
to him, was the only attitude that made sense as reality is everywhere
and it is important to be imaginative and daring with imagination.
Alexander McQueen was a contemporary poet of organza and silk. He
was born with the Moon, the Sun and Mercury under the sign of Pisces:
his creativity was so boundless it also included macabre elements. He
was fascinated by Death as he believed it was “romantic and melancholic
as it is the end of a cycle, but positive as it makes space for what
will come after oneself”.

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DROMELAND
...::: SYNDROME :::...
IL SECCHIO / THE BUCKET
Quando i musicisti rinunciano a fare musica, si dedicano al
free jazz. Io ho questo serio sospetto. Negli anni Sessanta,
certi jazzisti americani cominciarono a minare la rigorosità
dei dogmi musicali scavalcando strutture ritmiche, accordi
e temi melodici e abbracciando, invece, l’improvvisazione.
Poco più tardi, in Europa, altri musicisti ripartivano da questi
passi per inoltrarsi in quella che poi verrà chiamata free
improvisation o free music. La free improv si dice sia una pratica
associabile alla meditazione: il musicista intraprende un
percorso formativo per fare tabula rasa di tutte le strutture
musicali che lo limitano, e, in uno stato meditativo, compone
seduta stante. Derek Bailey, nome di spicco in questo
genere, ritiene che la free music conceda ad un musicista una
libertà senza pari, dischiudendo la percezione, “suonando
senza memoria”. Tuttavia, questo genere non riesce ad attrarre
grosse audience e Bailey, tra gli altri, punta il dito
contro la limitatezza degli ascoltatori. L’improvvisazione è
un elemento costitutivo della musica da sempre: nella musica
classica indiana è addirittura l’essenza di ogni discorso narrativo.
Il musicista si esercita per anni per potersi esprimere
liberamente - quella indiana è una tradizione unicamente
orale e imparare da un grande maestro l’arte dell’improvvisazione
non è cosa da tutti -, ma egli terrà sempre conto
della struttura tradizionale del raga, che è indispensabile per
delineare la storia da raccontare. L’improvvisazione è altresì
necessaria ad esprimere una delle caratteristiche dominanti
della musica indiana, e cioè la spiritualità. Potrete capire, a
questo punto, che sarà drammaticamente differente assistere
ad una performance di questo genere e a quella di un ensemble
berlinese in cui verrete sottoposti allo stesso inquinamento
acustico di un asilo nido durante la ricreazione.
Rumori, pedate sulle chitarre, sgomitate sulle percussioni,
fischi, pianti, scorregge e silenzi, e se non vi piacerà, verrete
quasi sicuramente criticati. Voi non capite - vi diranno. Ma
signor Bailey, non c’è nulla da capire! Chiarissima, invece,
è la saccenteria di quelli che sfruttano la mancanza effettiva
di un metro di giudizio per rifilarvi qualsiasi cosa. Il film
del 2009 (Untitled) prende scherzosamente a calci certe situazioni
nell’arte contemporanea e, in particolare, quelle di
una gallerista e di un compositore free improv. Quest’ultimo,
dopo mesi di esercitazioni sul calcio di un secchio, viene
sfidato dal soprano dell’ensemble: “Un uomo? Che prende
a calci un barattolo?? Ma è da idioti!”.
La suite inedita per violoncello di Bach
Bach’s unpublished cello suite
by Sada Ranis
When musicians decide to quit playing music, they switch to playing
free jazz. At least, that’s my strong suspicion. In the Sixties, a group
of American jazz musicians emerged and started to undermine those
prescribed rules governing musical language, they got rid of the formal
rhythmical structures, tunes and melodic themes and replaced them with
improvisation. Shortly after, in Europe, more musicians retraced their
steps to engage in what will be later defined free improvisation or free
music. Someone says that free improv is a practice associable with meditation:
music performers embark on a learning path in order to make a
clean sweep of all the limiting musical frameworks, and, in a meditative
state, they get to compose on the spot. Derek Baily, a leading figure in
this field, believes that freely improvised music ensures a musician an
incomparable freedom, it means revealing perception, “playing without
memory”. However, such type of music does not attract large audiences
and Bailey, like many others, points his finger at the narrow-mindedness
of the audience. Improvisation has always been a basic music component:
in the Indian classical music, improvisation is considered the essence
of any narrative discourse. Music performers practice for years
in order to get to express themselves freely - the Indian tradition is an
orally transmitted culture and to learn the art of improvisation from an
outstanding maestro is definitely not a common thing -, though they will
always refer to the traditional framework of raga, which is fundamental
for the plot outline. Moreover, improvisation is essential to express one
of the principal features of Indian music, that is spirituality. At this stage,
you must have understood that to attend such a performance or that of
a Berlin ensemble, where you will be subjected to the same noise pollution
as that of a nursery school during playtime, will be a dramatically
different experience. Noises, kicks on guitar, jostles on percussion instruments,
whistles, weeping, farts and silences, and if you don’t like it, be
sure you will get criticized. You don’t understand - they might tell you.
But Mr Bailey, there is nothing to understand! Conversely, the presumption
of those who exploit the actual lack of criteria in order to fob you
off is extremely clear. The 2009 movie (Untitled) teasingly kicks against
some situations within the world of contemporary art and, in particular,
those of a gallery owner and of a free improv composer. The latter, after
months he had been training to hit a bucket with his feet, is challenged
by the soprano of the ensemble: “A man? who kicks a can?? But that’s
so stupid!”