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Tariffa Associazioni senza fi ni di lucro: “Poste Italiane S.p.A.” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/03 (convertito in legge 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 2 DCB TA
ANNO XVIII Numero 2 - Settembre 2012 PERIODICO TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - SPEDIZIONE IN A.P.
“La parola” a Noi
Tariffa Associazioni senza fi ni di lucro: “Poste Italiane S.p.A.” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/03 (convertito in legge 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 2 DCB TA
“La parola”
ANNO XVIII Numero 2 - Settembre 2012 PERIODICO TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - SPEDIZIONE IN A.P.
Comitato di Redazione
G. Argese
L. Calabrese
E. De Santis
Direttore Responsabile
Benedetta Mattiacci
Coordinamento editoriale
e redazionale
Emma Bellucci Conenna
Hanno collaborato:
Benedetta Mattiacci
Giovanni Argese
Angela Carrera
Attilio Gualano
Italia Cimino
Girolama de Gennaro
Sabina Borraccino
a Noi
A. Gualano
G. Mecca
F. Perrucci
Francesca Bruno
Chiara Originale
Maria D. Palmas
Filomena Perrucci
Natalina Segoloni
Pierpaolo Volpe
Elena De Santis
Fotocomposizione e stampa
Stampa Sud spa - Mottola (Ta)
www.stampa-sud.it
Reg. Trib. di Taranto n. 462/94
decreto del 23/03/1994
Questo periodico è as so cia to alla
Unione Stampa
Periodica Italiana
S
ommario
Editoriale ........................................................... Pag. 3
La ASL di Taranto si dota del Comitato Unico di Garanzia » 4
Diario di una dottoressa con la padella ...................... » 17
Progetto di valutazione di Coordinatore Infermieristico » 20
Il gel piastrinico della speranza ..............................
La f issazione esterna:
» 25
aspetti dell’assistenza infermieristica .......................
Il ruolo del Coordinatore Infermieristico
» 26
nel percorso educativo del bambino diabetico ............ » 38
In viaggio con... “Nardino” ..................................... » 40
La consulenza infermieristica .................................. » 44
Abbracciamo un sogno .......................................... » 54
Mi sento un po’ pazza ............................................ » 56
Programma Scientifi co ........................................... » 57
Informutili ......................................................... » 58
Rassegna Stampa .................................................. » 61
Il Collegio interviene ............................................ » 64
Master Management Infermieristico ........................ » 65
Master Universitario .............................................. » 66
Collegio IPASVI
Via Salinella, 15
Tel. 099.4592699 - Fax 099.4520427
www.ipasvitaranto.it - info@ipasvitaranto.it
orari di apertura al pubblico
lunedì - mercoledì - venerdì
9,00- 12,00
martedì 15,00 - 17,30
venerdì 17,00 - 19,00
AVVISO
La redazione si riserva la valutazione degli articoli inviati,
il rimaneggiamento del testo, la pubblicazione secondo
esigenze giornalistiche. Il materiale inviato non è restituito.
IPASVI
L’editoriale
“A
lmeno 2500 nuove unità di
personale in Puglia per garantire i LEA”.
La dichiarazione è dell’assessore regionale
alla salute Ettore Attolini che, nella
relazione generale sulla sanità pugliese,
ha paventato anche la chiusura dei
pronto soccorso senza, peraltro, fare cenno alcuno allo
stato dei nuovi ospedali sui quali è calata una cortina di
silenzio, dopo enfatici e trionfalistici annunci.
La situazione è nel complesso disastrosa per la riduzione
dei fi nanziamenti, per il continuo vivere alla giornata
e all’insegna di tagli, di chiusura dei servizi ai cittadini, di
conferma degli sprechi. Di fatto un Piano di rientro che
fi nora ha prodotto chiusure e dismissioni senza l’attivazione
di servizi alternativi. Sconfortanti i dati:
a) 5000 unità di personale sanitario fuoriuscite
come conseguenza della combinazione blocco del turnover-legge
Fornero;
b) chiusura di 22 presidi ospedalieri (gli ultimi due
entro la fi ne dell’anno) - nella Asl Taranto ad oggi chiusi
gli ospedali di Massafra e Mottola, ma le previsioni sono
di ulteriori tagli -;
c) riduzione per il prossimo anno di 800 posti letto
e di punti nascita.
A fronte, la mancata riconversione e il mancato potenziamento
del territorio, tanto che di recente dal Governo,
nel monitoraggio trimestrale delle regioni sottoposte al
piano di rientro, sono giunte sollecitazioni per l’attuazione
di programmi e riconversioni. Risposte inevase quelle
inviate per il monitoraggio, ulteriore conferma di una
sanità pugliese decisamente in crisi, carente di modelli
organizzativi e gestionali nuovi, anche se esistono timidi
tentativi come il progetto Nardino che vede la presenza
del care manager ovvero dell’infermiere che prende in
carico la persona affetta da “patologie croniche nell’ottica
del continuum assistenziale, attraverso l’acquisizione
di tecniche e strategie specifi che”.
Parliamo di “timidi tentativi” perché la realizzazione del
progetto si presenta irto di diffi coltà, incontra una sequela
di palizzate erette da chi vede nel care manager
un usurpatore o, se vogliamo, un “invasore di campo”.
Ecco allora che, se il progetto Nardino è realtà nella
ASL leccese, nelle altre Asl è speranza. Non vogliamo
lasciarci andare ad inutili sofi smi ma è d’obbligo riconoscere
che sono anche i paletti, anche i bastian contrario
a rallentare il cammino verso una sanità nuova, in
linea con i bisogni e le esigenze della popolazione. Così
il progetto Nardino, che si sviluppa nei comuni oggetto
di riconversione ospedaliera ed impiega infermieri con
onere a carico dell’ARES, stenta a decollare nella ASL
Editoriale
Benedetta Mattiacci
Presidente Collegio IPASVI
TA, sebbene siano stati individuati i care manager e sul
territorio si registri un vuoto effettivo di offerta sanitaria,
tanto più grave in un momento di accertata escalation
di patologie oncologiche, cardiovascolari, patologie su
base allergica, esplose con la grande industria ed avallate
dall’intervento della Magistratura che ha giustamente
disposto il sequestro degli impianti inquinanti dell’ILVA.
Esiste forse a livello di Governo Centrale la volontà di
uno smantellamento del sistema di WELFARE, come affermato
dall’assessore Attolini? Evidentemente, ma la
nostra realtà è anomala anche in questo a giudicare da
quanto accaduto nella casa di cura “S.Rita”, impossibilitata
ad evitare “il ricorso alla procedura di mobilità e/o
di programmare ulteriori e diverse misure atte a fronteggiare
le conseguenze sul piano sociale derivanti dall’attuazione
della medesima procedura” (di licenziamento
collettivo per 26 unità). Dunque, da un lato infermieri
che fanno paura, tacciati di invadenza del campo altrui
(come per i care manager del Progetto Nardino), dall’altro
infermieri ed altro personale sanitario licenziato per le
contrazioni dei budgets, in mezzo malati i cui bisogni di
salute non possono essere soddisfatti per la prevalenza
delle “ragioni economico-fi nanziarie sui principi della universalità
ed equità delle cure”.
Noi, no, non ci stiamo, non ci stiamo ad invadere campi
altrui ed altrui competenze; non ci stiamo ad uno scadimento
della qualità delle prestazioni né ad una riduzione
delle opzioni; non ci stiamo, neppure, a vedere invadere
il nostro campo di competenze. È accaduto, sta accadendo!
E noi abbiamo sollevato dubbi di opportunità e
di sostanziale applicazione in merito alla “selezione pubblica
per titoli e colloquio per eventuali incarichi a tempo
determinato di Operatore Socio Sanitario per la tracheo
bronco aspirazione del paziente non ospedalizzato”.
Noi infermieri sappiamo che la pratica della bronco aspirazione
è estremamente delicata e riguarda pazienti ad
alta complessità assistenziale, quindi passibili di eventi
inattesi, fronteggiabili da chi ha esperienze acquisite per
bagaglio scientifi co-culturale e lavorativo. È intuibile che
qualche giornata di informazione non possa fornire le
capacità per eseguire in maniera competente e corretta
una pratica cosi importante; è fuori dubbio che la mancanza
di competenza e correttezza si traduca in danni
per il paziente, di rifl esso per quel servizio sanitario che
ha operato una scelta economica – l’Oss piuttosto che
l’Infermiere - e si ritrova gravato dal peso dell’errore. Da
rifl ettere.
Allora, la sanità pugliese, che vive una oggettiva diffi
coltà, deve cominciare a sciogliere i molti nodi che la
frenano, a districarsi in quel ginepraio che si ripercuote
sull’offerta sanitaria e sulla qualità delle prestazioni, se
non vorrà dichiarasi fallita!
3
4
IPASVI
LA ASL DI TARANTO SI DOTA
DEL COMITATO UNICO DI GARANZIA
La ASL di Taranto, nel Marzo u.s., rispondendo
ai richiami ordinamentali, che saranno trattati
successivamente nell’articolo, si è dotata del
Comitato Unico di Garanzia, organismo di rilevanza
strategica per la “garanzia” del “benessere
organizzativo”e della lotta alle discriminazioni
nell’ Azienda. Può apparire marginale per
alcuni, oppure campanilistico, precisare che la
“guida”di questo Comitato è stata affi data ad un
Infermiere, precisamente a Battista Baccaro,
neo Presidente, che dichiara:
E’ certamente importante che l’Azienda sanitaria
tarantina, pur attraversata da momenti diffi
cili che in alcuni momenti impongono scelte
di razionalizzazione impopolari, abbia deciso
di dotarsi di un organismo come il Comitato
Unico di Garanzia, segnale della volontà di inserire
elementi di conoscenza su fenomeni di
discriminazione che pure rischiano di esserci
in una realtà lavorativa, per numero di addetti,
Dott. Giovanni Argese
Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche
Infermiere UAL Crispiano - TA
seconda della Provincia ionica dopo l’acciaieria
di Riva. Nella direttiva Ministeriale si afferma
“che l’Amministrazione pubblica ha da
essere un datore di lavoro esemplare”. Sono
personalmente convinto che fenomeni di “discriminazione
strisciante” rischiano di essere
sottovalutati , è per questo che tra le prime
azioni del CUG abbiamo deciso di avviare una
fase conoscitiva, defi nita “del Buon Ascolto”,
allo scopo di valutare, con metodologia scientifi
ca, come viene percepita l’organizzazione
aziendale ed i rifl essi sul benessere lavorativo.
Certo, le risposte possono essere scontate,
ma una cosa sono le sensazioni, altro è
la rilevazione sistematica che certamente ci
metterà nelle condizioni di offrire proposte e
prospettare soluzioni. La stessa composizione
del CUG vede al suo interno professionalità e
competenze importanti, tali che potremo diventare
un luogo di confronto e di elaborazio-
ne. Nell’immediato, l’apertura di uno sportello
informatico potrà essere un primo momento di
elaborazione del disagio, successivamente dovremo
passare al confronto con le varie realtà.
Gli altri gruppi insediati, presieduti e coordinati
ognuno da un componente, offriranno supporti
importanti sulla legislazione regionale vigente.
A tal riguardo la sottoscrizione della “Carta per
le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro”,
avvenuta il 18 giugno nella Sala del Consiglio
regionale alla presenza del Governatore Nichi
VENDOLA, apre un percorso di Confronto con
la Consigliera regionale delle pari opportunità,
Serenella MOLENDINI. Penso che avremo la
possibilità di indicare ipotesi di inclusione lavorativa,
per esempio, per le lavoratrici che
rientrano dalla maternità: in alcuni casi è sperimentabile
il telelavoro, ma anche eventuali
convenzioni agevolate con asili nido e ludoteche.
Altro aspetto è quello della trasparenza
delle procedure sulla fruizione dei diritti: suggeriremo
di uscire dalla “giungla” della modulistica
personalizzata per uffi cio. Accennavo prima
IPASVI
alla possibilità che il CUG possa divenire un
luogo del confronto, oserei dire della possibile
decantazione di eventuali confl itti. La presenza
importante delle Organizzazioni sindacali
ci induce a ipotizzare un protocollo di relazioni
con il Vertice strategico aziendale, che riaffermi
il diritto a corrette relazioni anche al di là della
burocratica prassi “dell’informazione” prevista
dalla vigente legislazione che il più delle volte
rappresenta la volontà di esautorare il ruolo
delle organizzazioni dei lavoratori. Insomma,
un impegno importante attende il CUG della
nostra Azienda; il fatto, poi, che il Direttore
Generale mi abbia indicato alla presidenza
dell’organismo, è certamente un riconoscimento
non solo di tipo personale, ma anche del valore
della professione, avallato dalla presenza
nel Comitato di altri colleghi, segnale che la
nostra presenza è portatrice non di interessi di
parte, ma rappresentativi di un enorme bagaglio
di esperienze che sino a qui, consentitemi
l’affermazione, ci è costato “sangue e sudore”.
In ogni caso penso che conti anche il valore
delle esperienze e la personale storia, non solo
professionale. In sede di presentazione del
Progetto CONCILIA ho avuto modo di affermare
che il nostro compito, per la mole di lavoro, ci
fa tremare i polsi, ma non arretreremo. La mia
è una consapevolezza che si è formata, dapprima,
nel movimento sindacale quindi nella lotta
al superamento dello stigma della malattia mentale
per l’affermazione dei diritti dei “reclusi” nei
manicomi. Come è stata dura la lotta per far
riconoscere al disagio psichico solo la “dignità
di malattia”! Poi il lavoro in emergenza sanitaria
ed ho utilizzato proprio questa esperienza per
evidenziare “il silenzio”- al limite dell’omertà -
che aleggia nei luoghi dove veniamo chiamati
per prestare soccorso a chi ha subito violenza,
quasi sempre familiare e quasi sempre donne.
Ecco il CUG, consapevoli dell’importanza del
contributo di tutti, può servire a sollevare il velo
“sul silenzio” delle discriminazioni. E sarà già
un risultato.
Esaurito il carattere giornalistico dell’argomento,
per poter meglio comprendere il ruolo
di questo Organismo sembra opportuno spiegarne
in maniera più dettagliata i “compiti” e le
origini.
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6
IPASVI
NASCITA DEL C.U.G. e sue prerogative
L’ordinamento italiano ha recepito i principi
diffusi dall’Unione Europea in tema di pari opportunità
uomo/donna sul lavoro, contrasto ad
ogni forma di discriminazione e mobbing. Nel
1988 il DPR 395 ha previsto la costituzione dei
Comitati per le Pari Opportunità nella Pubblica
Amministrazione attraverso la contrattazione
collettiva (“in sede di contrattazione di comparto
saranno defi niti misure e meccanismi
atti a consentire una reale parità uomo-donna
nell’ambito del pubblico impiego”).
Nel quadro dei recenti interventi di razionalizzazione
dell’amministrazione pubblica, fra
i quali, da ultimo, il decreto legislativo 27 ottobre
2009, n. 150, specifi camente fi nalizzato
all’ottimizzazione della produttività del lavoro
pubblico, si inserisce anche l’art. 21 della legge
4 novembre 2010, n. 183 (c.d. «Collegato
lavoro»), intervenuto in tema di pari opportunità,
benessere di chi lavora e assenza di discriminazioni
nelle amministrazioni pubbliche. La
legge 183/2010, apportando alcune importanti
modifi che agli articoli 1, 7 e 57 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prevede, in
particolare, che le pubbliche amministrazioni
costituiscano (art. 57, comma 1) al proprio interno
il “Comitato Unico di Garanzia per le pari
opportunità, la valorizzazione del benessere di
chi lavora e contro le discriminazioni”, che sostituisce,
unifi cando le competenze in un solo
organismo, i Comitati per le pari opportunità e
i Comitati paritetici sul fenomeno del mobbing,
costituiti in applicazione della contrattazione
collettiva, dei quali assume tutte le funzioni previste
dalla legge, dai contratti collettivi relativi al
personale delle amministrazioni pubbliche o da
altre disposizioni 1 .
In dettaglio:
la Legge 4 novembre 2010, n. 183 – Collegato
Lavoro; In particolare l’art. 21 (Misure atte a garantire
pari opportunità, benessere di chi lavora
e assenza di discriminazioni nelle amministrazioni
pubbliche) prevede:
1. Modifi che all’articolo 1, comma 1, lettera
c) del decreto legislativo 30 marzo
1 Adriana Apostoli – Dipartimento di Sc. Giuridiche Univ.
Degli Studi di Brescia, marzo – aprile 2012
2001, n. 165 e sostanzialmente la realizzazione
della migliore utilizzazione delle
risorse umane nelle pubbliche amministrazioni,
curando la formazione e lo
sviluppo professionale dei dipendenti,
garantendo pari opportunità alle lavoratrici
ed ai lavoratori e applicando condizioni
uniformi rispetto a quelle del lavoro
privato, nonché l’assenza di qualunque
forma di discriminazione e di violenza
morale o psichica.
2. Modifi ca all’articolo 7 (Gestione delle
risorse umane). Viene sostituito il comma
1: Le pubbliche amministrazioni
garantiscono parità e pari opportunità
tra uomini e donne e l’assenza di ogni
forma di discriminazione, diretta e indiretta,
relativa al genere, all’età, all’orientamento
sessuale, alla razza, all’origine
etnica, alla disabilità, alla religione o alla
lingua, opportunità tra uomini e donne
nell’accesso al lavoro, nel trattamento
e nelle condizioni di lavoro, nella formazione
professionale, nelle promozioni e
nella sicurezza sul lavoro. Le pubbliche
amministrazioni garantiscono altresì un
ambiente di lavoro improntato al benessere
organizzativo e si impegnano a
rilevare, contrastare ed eliminare ogni
forma di violenza morale o psichica al
proprio interno.
Il miglioramento dell’organizzazione del lavoro
e la creazione di un “ambiente lavorativo sano”
garantiscono “effi cienza” ed “effi cacia”; questi
fattori, insieme, si traducono sostanzialmente
in miglioramento della “produttività” e “dell’attaccamento
al lavoro”. È chiaro a tutti che, in
un ambiente lavorativo nel quale si verifi chino
episodi di discriminazione o mobbing, inevitabilmente,
si appalesano una riduzione ed un
peggioramento delle prestazioni. Oltre al disagio
arrecato ai lavoratori e alle lavoratrici, si
hanno ripercussioni negative sia sull’immagine
delle Amministrazioni, sia sulla loro effi cienza.
Il “management” deve essere chiamato a rispondere
delle proprie capacità organizzative
anche in relazione alla realizzazione di ambienti
di lavoro improntati al rispetto dei principi
comunitari e nazionali in materia di pari opportunità,
benessere organizzativo, contrasto alle
discriminazioni e mobbing (…la mancata costituzione
del Comitato Unico di Garanzia comporta
responsabilità dei dirigenti incaricati della
gestione del personale…).
CUG: obiettivi
• Assicurare, nell’ambito del lavoro pubblico,
parità e pari opportunità di genere,
rafforzando la tutela dei lavoratori e
delle lavoratrici e garantendo l’assenza
di qualunque forma di violenza morale
o psicologica e di discriminazione, diretta
e indiretta, relativa al genere, all’età,
all’orientamento sessuale, alla razza,
all’origine etnica, alla disabilità, alla religione
e alla lingua. Senza diminuire
l’attenzione nei confronti delle discriminazioni
di genere, l’ampliamento ad una
tutela espressa nei confronti di ulteriori
fattori di rischio, sempre più spesso coesistenti,
intende adeguare il comportamento
del datore di lavoro pubblico alle
indicazioni della Unione Europea.
• Favorire l’ottimizzazione della produttività
del lavoro pubblico, migliorando
l’effi cienza delle prestazioni lavorative,
anche attraverso la realizzazione di un
ambiente di lavoro caratterizzato dal rispetto
dei principi di pari opportunità, di
benessere organizzativo e di contrasto
di qualsiasi forma di discriminazione e di
violenza morale o psichica nei confronti
dei lavoratori e delle lavoratrici. Razionalizzare
e rendere effi ciente ed effi cace
l’organizzazione della Pubblica Amministrazione
anche in materia di pari opportunità,
contrasto alle discriminazioni e
benessere dei lavoratori e delle lavoratrici,
tenendo conto delle novità introdotte
dal d.lgs. 150/2009 (Il sistema di misurazione
valutazione delle performance
deve prevedere il raggiungimento
degli obiettivi di promozione delle pari
opportunità) e delle indicazioni derivanti
dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n.
81 (T.U. in materia della salute e della
IPASVI
sicurezza nei luoghi di lavoro), come integrato
dal decreto legislativo 3 agosto
2009, n. 106 (Disposizioni integrative
e correttive del d.lgs. 81/2008) (benessere)
e dal decreto legislativo 11 aprile
2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità
tra uomo e donna), come modifi cato
dal decreto legislativo 25 gennaio 2010,
n. 5 (Attuazione della direttiva 2006/54/
CE relativa al principio delle pari opportunità
e della parità di trattamento fra
uomini e donne in materia di occupazione
e impiego). La razionalizzazione,
ottenuta anche mediante l’unifi cazione
di competenze, determina un aumento
di incisività ed effi cacia dell’azione, la
semplifi cazione organizzativa e la riduzione
dei costi indiretti di gestione andrà
a vantaggio di attività più funzionali
al perseguimento delle fi nalità del CUG,
anche in relazione a quanto disposto
dall’art. 57, comma 1, lett. d) del d.lgs.
165/2001.
Componenti del CUG
Il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità,
la valorizzazione del benessere di chi
lavora e contro le discriminazioni” ha composizione
paritetica ed è formato da un componente
designato da ciascuna delle organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative a livello
di amministrazione e da un pari numero di
rappresentanti dell’amministrazione in modo da
assicurare nel complesso la presenza paritaria
di entrambi i generi. Il presidente del Comitato
Unico di Garanzia è designato dall’amministrazione
(per conoscere i componenti del GUG
della ASL di Taranto vedi allegato n.1).
Requisiti
La complessità dei compiti demandati al CUG
richiede che i/le componenti siano dotati/e di
requisiti di professionalità, esperienza, attitudine,
anche maturati in organismi analoghi e,
pertanto, essi devono possedere:
adeguate conoscenze nelle materie di
competenza del CUG;
adeguate esperienze, nell’ambito delle
pari opportunità e/o del mobbing, del
7
8
IPASVI
ALLEGATO 1
contrasto alle discriminazioni, rilevabili
attraverso il percorso professionale;
adeguate attitudini, intendendo per tali
le caratteristiche personali, relazionali e
motivazionali.
II/le componenti rimangano in carica 4 anni e gli
incarichi possono essere rinnovati 1 sola volta.
Procedura di scelta dei membri del CUG
Al fi ne di accertare il possesso dei requisiti
di cui sopra, l’amministrazione fa
riferimento, in primo luogo, ai curricula
degli/delle interessati/e, eventualmente
presentati secondo un modello predisposto
dall’amministrazione stessa. A
regime, e, ove possibile anche in sede di
prima costituzione del CUG, con riguardo
alla quota di rappresentanti dell’amministrazione,
i curricula potranno pervenire
all’amministrazione a seguito di
una procedura trasparente di interpello
rivolta a tutto il personale (prassi seguita
dalla ASL di Taranto). Il dirigente
preposto al vertice dell’amministrazione
può, comunque, prevedere colloqui con
i/le candidati/e ai quali può partecipare
anche il/la Presidente precedentemente
nominato/a.
Resta salva la possibilità, per le amministrazioni
in cui è consolidata la prassi
dell’elezione dei/delle componenti, di
nominare gli stessi attraverso tale procedura.
CUG: Compiti
Sono quelli che la legge, i contratti collettivi o
altre disposizioni in precedenza demandavano
ai Comitati per le Pari Opportunità e ai Comitati
paritetici sul fenomeno del mobbing, oltre quelli
indicati dall’articolo 21 della legge 183/2010
(collegato lavoro).
Il CUG esercita quindi compiti:
• propositivi
• consultivi
• di verifi ca
Compiti propositivi
Predisposizione di piani di azioni positive,
per favorire l’uguaglianza sostanziale
sul lavoro tra uomini e donne;
promozione e/o potenziamento di ogni
iniziativa diretta ad attuare politiche di
conciliazione vita privata/lavoro e quanto
necessario per consentire la diffusione
della cultura delle pari opportunità;
temi che rientrano nella propria competenza
ai fi ni della contrattazione integrativa;
iniziative volte ad attuare le direttive comunitarie
per l’affermazione sul lavoro
della pari dignità delle persone nonché
azioni positive al riguardo;
analisi e programmazione di genere che
considerino le esigenze delle donne e
quelle degli uomini (es. bilancio di genere);
diffusione delle conoscenze ed esperienze,
nonché di altri elementi informa-
IPASVI
tivi, documentali, tecnici e statistici sui
problemi delle pari opportunità e sulle
possibili soluzioni adottate da altre amministrazioni
o enti, anche in collaborazione
con la Consigliera di parità del
territorio di riferimento;
azioni atte a favorire condizioni di benessere
lavorativo;
azioni positive, interventi e progetti, quali
indagini di clima, codici etici e di condotta,
idonei a prevenire o rimuovere
situazioni di discriminazioni o violenze
sessuali, morali o psicologiche - mobbing
- nell’amministrazione pubblica di
appartenenza.
Compiti consultivi
• progetti di riorganizzazione dell’amministrazione
di appartenenza;
• piani di formazione del personale;
• orari di lavoro, forme di fl essibilità lavorativa
e interventi di conciliazione;
• criteri di valutazione del personale;
• contrattazione integrativa sui temi che
rientrano nelle proprie competenze.
Compiti di verifi ca
risultati delle azioni positive, dei progetti
e delle buone pratiche in materia di pari
opportunità;
esiti delle azioni di promozione del benessere
organizzativo e prevenzione
del disagio lavorativo;
esiti delle azioni di contrasto alle violenze
morali e psicologiche nei luoghi di lavoro
- mobbing;
assenza di ogni forma di discriminazione,
diretta e indiretta, relativa al genere,
all’età, all’orientamento sessuale, alla
razza, all’origine etnica, alla disabilità,
alla religione o alla lingua, nell’accesso,
nel trattamento e nelle condizioni di
lavoro, nella formazione professionale,
9
10
IPASVI
promozione negli avanzamenti di carriera,
nella sicurezza sul lavoro.
Altri adempimenti
Il CUG redige entro il 30 marzo di ogni
anno una dettagliata relazione sulla situazione
del personale nell’amministrazione
pubblica di appartenenza, riferita
all’anno precedente, riguardante l’attuazione
dei principi di parità, pari opportunità,
benessere organizzativo e di contrasto
alle discriminazioni e alle violenze
morali e psicologiche nei luoghi di lavoro
- mobbing. La relazione tiene conto anche
dei dati e delle informazioni forniti
sui predetti temi:
• dall’amministrazione e dal datore di
lavoro ai sensi del d.lgs. 81/2008;
• dalla relazione redatta dall’amministrazione
ai sensi della direttiva 23
maggio 2007 della Presidenza del
Consiglio dei Ministri - Dipartimenti
della Funzione Pubblica e per le
Pari Opportunità recante “misure
per realizzare parità e pari opportunità
tra uomini e donne nelle amministrazioni
pubbliche”.
CUG e collaborazioni
Il CUG può avvalersi di collaborazione esterna
e sicuramente intrattiene rapporti collaborativi
con:
“l’Osservatorio interistituzionale sulle
buone prassi e la contrattazione decentrata”
previsto dal Piano Italia 2020 “Programma
di azioni per l’inclusione delle
donne nel mercato del lavoro”, dei Ministri
del Lavoro e delle Politiche Sociali e
per le Pari Opportunità;
il/la Consigliere/a nazionale di parità;
l’Uffi cio Nazionale Antidiscriminazioni
Razziali (UNAR), istituito presso il Dipartimento
per le Pari Opportunità della
Presidenza del Consiglio dei Ministri,
per tutte le azioni ascrivibili all’ambito
delle discriminazioni per razza o provenienza
etnica.
Il GUG, per il suo funzionamento, si dota di un
regolamento. A tale riguardo, in allegato, viene
presentato il regolamento adottato dal CUG
della ASL di Taranto (vedi allegato n.2).
ALLEGATO 2
Azienda Sanitaria Locale Taranto
COMITATO UNICO DI GARANZIA
Regolamento di istituzione
e funzionamento
del Comitato Unico di Garanzia
(CUG)
per le pari opportunità,
la valorizzazione del benessere
di chi lavora e contro
le discriminazioni.
INDICE
Art. 1 Costituzione del Comitato
Art. 2 Composizione e sede del Comitato
Art. 3 Durata in carica
Art. 4 Compiti del Comitato
Art. 5 Compiti del Presidente, del Segretario
e dei Componenti
Art. 6 Convocazioni
Art. 7 Modalità di funzionamento
Art. 8 Commissioni e Gruppi di Lavoro
Art. 9 Risorse e strumenti
Art. 10 Dimissioni e/o decadenza dei
componenti
Art. 11 Rapporti tra CUG e Direzione
Strategica Aziendale
Art. 12 Relazione annuale
Art. 13 Comunicazione ed accesso ai dati
Art. 14 Approvazione, validità e modifi che del
Regolamento
Art. 15 Collaborazioni e audizioni di esperti
Art. 16 Obbligo di riservatezza
Art. 17 Norme transitorie e fi nali
Art. 1 COSTITUZIONE DEL COMITATO
Con Deliberazione del Direttore Generale n.
1089 del 12/04/2012, e successiva integrazione
di cui alla Deliberazione n. 1547 del
24/05/2012, è costituito, ai sensi dell’art. 57 del
D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, come modifi
cato dall’art. 21 della Legge n. 183 del 4 novembre
2010, nell’ambito dell’Azienda Unità
Sanitaria Locale di Taranto, il Comitato Unico
di Garanzia (CUG) per le pari opportunità, la
valorizzazione del benessere di chi lavora e
contro le discriminazioni.
Il CUG sostituisce, unifi candoli, i Comitati per
le Pari Opportunità e i Comitati paritetici per il
contrasto del fenomeno del mobbing, costituiti
in applicazione della contrattazione collettiva.
Esso si afferma come soggetto unico ed innovativo,
assume tutte le funzioni previste dalla
legge, dai contratti collettivi o da altre disposizioni,
ed esplica le proprie attività nei confronti
di tutto il personale, includendo le sue rappresentanze
dirigenziali e non.
Art. 2 COMPOSIZIONE E SEDE DEL
COMITATO
1) Il Comitato Unico di Garanzia ha composizione
paritetica ed è formato da componenti
designati da ciascuna delle organizzazioni
sindacali rappresentative, i sensi
degli artt. 40 e 43 del D. Lgs 165/2001,
e da un pari numero di rappresentanti
dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto.
Per ogni componente effettivo è previsto
un componente supplente, che può partecipare
alle riunioni solo in caso di assenza
o impedimento del rispettivo titolare. Il numero
dei componenti è stabilito nella Deliberazione
n. 1089 del 12/04/2012 e nella
Deliberazione di integrazione n. 1547 del
24/05/2012, fatto salvo eventuali future
successive modifi che e/o integrazioni.
2) Nella composizione del Comitato dovrà
essere assicurata, nel complesso, la parità
di genere tra effettivi e supplenti.
3) Il CUG, Organismo indipendente, ha
sede presso il Dipartimento Gestione
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Risorse Umane dell’Azienda Sanitaria
Locale di Taranto.
Art. 3 DURATA IN CARICA
1) Il Comitato Unico di Garanzia ha la
durata di un quadriennio, a far data dalla
nomina. I Componenti esercitano le proprie
funzioni in regime di prorogatio sino
alla costituzione del nuovo organismo.
2) Il Presidente ed i Componenti titolari del
CUG possono essere rinnovati nell’incarico
per un solo mandato.
Art. 4 COMPITI DEL COMITATO
1) Il Comitato Unico di Garanzia opera in
stretta collaborazione con la Direzione
Strategica Aziendale ed esercita le proprie
funzioni utilizzando le risorse umane
e strumentali, idonee a garantire le fi nalità
previste dalla legge, che la Direzione stessa
metterà a tal fi ne a disposizione, anche
sulla base di quanto previsto dai contratti
collettivi vigenti.
2) Il CUG esercita compiti propositivi, consultivi
e di verifi ca, nell’ambito delle competenze
ad esso demandate, ai sensi dell’articolo
57, comma 01, del D.Lgs. 165/2001
(così come introdotto dall’articolo 21 della
legge 183/2010), le stesse che la legge, i
contratti collettivi o altre disposizioni in precedenza
demandavano ai Comitati per le
Pari Opportunità e ai Comitati paritetici sul
fenomeno del mobbing, oltre a quelle indicate
nella norma citata.
Compiti Propositivi :
- predisposizione di piani di azioni positive,
per favorire l’uguaglianza sostanziale sul
lavoro tra uomini e donne;
- promozione e/o potenziamento di ogni iniziativa
diretta ad attuare politiche di conciliazione
vita privata/lavoro e quanto necessario
per consentire la diffusione della
cultura delle pari opportunità;
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IPASVI
- temi che rientrano nella propria competenza
ai fi ni della contrattazione integrativa;
- iniziative volte ad attuare le direttive comunitarie
per l’affermazione sul lavoro della
pari dignità delle persone nonché azioni
positive al riguardo;
- analisi e programmazione di genere che
considerino le esigenze delle donne e
quelle degli uomini (es. bilancio di genere);
- diffusione delle conoscenze ed esperienze,
nonché di altri elementi informativi,
documentali, tecnici e statistici sui problemi
delle pari opportunità e sulle possibili
soluzioni adottate da altre amministrazioni
o enti, anche in collaborazione con la
Consigliera di parità del territorio di riferimento;
- azioni atte a favorire condizioni di benessere
lavorativo;
- azioni positive, interventi e progetti, quali
indagini di clima, codici etici e di condotta,
idonei a prevenire o rimuovere situazioni
di discriminazioni o violenze sessuali, morali
o psicologiche - mobbing - nell’amministrazione
pubblica di appartenenza.
Consultivi, formulando pareri su:
- progetti di riorganizzazione dell’amministrazione
di appartenenza;
- piani di formazione del personale;
- orari di lavoro, forme di fl essibilità lavorativa
e interventi di conciliazione;
- criteri di valutazione del personale;
- contrattazione integrativa sui temi che rientrano
nelle proprie competenze.
di Verifi ca su:
- risultati delle azioni positive, dei progetti e
delle buone pratiche in materia di pari opportunità;
- esiti delle azioni di promozione del benessere
organizzativo e prevenzione del disagio
lavorativo;
- esiti delle azioni di contrasto alle violenze
morali e psicologiche nei luoghi di lavoro
-mobbing;
- assenza di ogni forma di discriminazione,
diretta e indiretta, relativa al genere, all’età,
all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine
etnica, alla disabilità, alla religione o
alla lingua, nell’accesso, nel trattamento e
nelle condizioni di lavoro, nella formazione
professionale, negli avanzamenti di carriera,
nella sicurezza sul lavoro.
Il CUG promuove, altresì, la cultura delle pari
opportunità ed il rispetto della dignità della persona
nel contesto lavorativo, attraverso la proposta,
agli organismi competenti, di piani formativi
per tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici,
anche attraverso un continuo aggiornamento
per tutte le fi gure dirigenziali.
3) Per la partecipazione dei componenti alle
riunioni non è previsto alcun compenso,
poiché le ore prestate per il Comitato sono
a tutti gli effetti orario di servizio.
4) Il Comitato, qualora ne ricorrano le
condizioni, chiederà alla Direzione
Strategica Aziendale la documentazione
e le risorse necessarie o utili per il corretto
ed adeguato svolgimento dell’attività
dello stesso.
5) Il Comitato, avvalendosi delle competenze
e delle strutture dedicate di cui l’Azienda
dispone (tramite proposta ai competenti
Uffi ci/Servizi Aziendali), propone e
favorisce indagini conoscitive, ricerche
ed analisi sulle condizioni di benessere lavorativo
e individua misure generali atte
a creare effettive condizioni di parità tra i
lavoratori e le lavoratrici dell’Azienda.
6) Il Comitato promuove e propone alla direzione
Aziendale, sulla scorta delle più
attuali conoscenze ed esperienze in tema
di buone pratiche, l’adozione di misure organizzative,
funzionali o anche strutturali,
per accogliere e valutare eventuali segnalazioni
di presunta discriminazione, violenze,
mobbing, disagio lavorativo.
7) Il Comitato mette a disposizione i progetti
utili agli Organismi – Uffi ci - Servizi del-
la ASL di Taranto che hanno il compito di
realizzare interventi inerenti argomenti e
materie di competenza del CUG.
Art. 5 FUNZIONI DEL PRESIDENTE, DEL
SEGRETARIO E DEI COMPONENTI
Funzioni del Presidente
1) Il Presidente del CUG ha funzioni di:
rappresentare il CUG;
dirigerne i lavori;
convocare e presiedere le riunioni, stabilirne
l’ordine del giorno nonché coordinarne
il regolare svolgimento.
2) Il Presidente, in caso di assenza o impedimento
a partecipare alle riunioni del
CUG, sarà sostituito nelle proprie funzioni
dal Vicepresidente. In caso di assenza
di entrambi presiederà la seduta un
componente del CUG appositamente delegato
dal Presidente.
Funzioni del Segretario
Le funzioni di Segretario/a vengono svolte da
persona appositamente nominata dall’Amministrazione,
su proposta del Presidente del CUG,
per la durata di incarico del Comitato.
Le funzioni di Segretario/a consistono nella redazione
del verbale delle sedute, nell’invio ai
componenti del medesimo, nelle convocazioni
e di altra documentazione, nella conservazione
degli atti e dei documenti del CUG.
In assenza di un Segretario nominato dall’Amministrazione,
tali funzioni saranno svolte da
un componente del Comitato nominato dal
Presidente.
Funzioni dei Componenti
1) I componenti titolari del CUG partecipano
alle riunioni e comunicano tempestivamente
alla segreteria e al componente
supplente, tramite e-mail, eventuali impedimenti
alla partecipazione.
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2) I componenti titolari, possono proporre
argomenti di carattere specifi co da inserire
all’o.d.g. delle riunioni e partecipano ai
gruppi di lavoro da costituirsi.
Art. 6 CONVOCAZIONI
1) Il CUG si riunisce in convocazione ordinaria,
di norma, almeno quattro volte
all’anno. Si riunisce presso la Direzione
Generale dell’Azienda Sanitaria Locale di
Taranto, o sedi locali previamente concordate
con il Comitato stesso. La convocazione
deve contenere l’ordine del giorno e
il materiale utile alla trattazione dei relativi
argomenti.
2) Il CUG è convocato dal Presidente e la
convocazione deve avvenire in forma
scritta (è valida la convocazione a mezzo
posta elettronica o via fax con obbligo di
conferma di avvenuta ricezione da parte
del titolare) e inviata almeno dieci giorni
lavorativi prima della data prescelta per
la riunione. La convocazione deve essere
altresì inviata ai Responsabili/Direttori
dei Servizi/Uffi ci d’appartenenza dei componenti
del CUG, perché ne agevolino la
partecipazione alle riunioni senza ricadute
sull’organizzazione del lavoro, sulla performance
e sulla qualità dei servizi erogati.
3) Il Presidente convoca il Comitato in via
straordinaria ogni qualvolta sia richiesto
da almeno un terzo dei suoi Componenti
effettivi; la convocazione straordinaria viene
effettuata con le medesime modalità di
quella ordinaria, ma almeno 72 ore prima.
4) La prima convocazione di ogni riunione
prevede la validità della stessa, in presenza
della metà dei componenti effettivi più
uno; la seconda convocazione è da considerarsi
valida con un quorum strutturale
di almeno un terzo dei componenti effettivi
(titolari o supplenti), con composizione
paritetica, escluso il Presidente. In caso
di assenza del titolare, le funzioni dello
stesso vengono assunte, su mandato, dal
supplente.
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IPASVI
Art. 7 MODALITA’ DI FUNZIONAMENTO
1) Il CUG adegua il proprio funzionamento
alle Linee Guida di cui al comma 4, art.57,
del D.Lgs. n. 165/2001, come modifi cato
dall’art. 21, comma 1, lettera c) della
Legge n. 183/2010 e, ove non incompatibili
con le stesse linee guida, alle seguenti
disposizioni.
2) Qualora un componente del CUG risulti
assente in modo ingiustifi cato per tre volte
nel corso del mandato, verrà dichiarato
decaduto e verrà sostituito con le medesime
modalità e procedure utilizzate per la
designazione ordinaria di cui all’art. 2 del
presente Regolamento, in relazione alla
spettanza della nomina. La sostituzione si
verifi ca, altresì, qualora un Componente
presenti le proprie dimissioni, opportunamente
motivate, per iscritto.
3) Esaurita la discussione sull’argomento,
il Presidente pone ai voti la decisione da
assumere. Il CUG può validamente assumere
determinazioni quando sia presente
la metà più uno, dei componenti
aventi diritto al voto. Le decisioni sono
assunte a maggioranza dei voti espressi
dai presenti e, in caso di parità, prevale
il voto del Presidente. Le determinazioni
sono trasmesse alla Direzione Strategica
Aziendale.
4) Il Presidente è tenuto a riunire il CUG in
via straordinaria, quando lo richiedano almeno
un terzo dei suoi Componenti effettivi.
5) Delle sedute del CUG verrà tenuto apposito
verbale sottoscritto dal segretario verbalizzante
e dal Presidente. Il verbale
si riterrà approvato con voto della maggioranza
più uno dei presenti alla seduta. Il
verbale contiene le presenze, la durata,
gli argomenti trattati, le decisioni assunte
ed eventuali posizioni difformi espresse.
I verbali sono trasmessi a tutti i componenti,
a cura del Segretario, anche ai
componenti supplenti, al fi ne di favorire il
loro costante aggiornamento sui temi trattati,
entro i 15gg successivi alla seduta.
Eventuali osservazioni dovranno pervenire
al Presidente entro i 7gg successivi.
Gli originali dei verbali, con gli eventuali
allegati, saranno depositati e custoditi
presso l’uffi cio sede del CUG. Il verbale
approvato con votazione palese dalla
maggioranza più uno dei presenti alla seduta,
rimane a disposizione di chiunque
ne faccia richiesta e sarà reso pubblico
nelle modalità ritenute le più opportune
(bacheca da istituirsi presso la sede del
CUG, sito ASL TA accessibile ai dipendenti,
ecc.).
Art. 8 Commissioni e gruppi di lavoro
Nello svolgimento della sua attività il Comitato
può operare anche in commissioni o gruppi di
lavoro, con requisiti di composizione (paritetica)
e quorum identici a quelli del CUG.
Il Comitato può deliberare la partecipazione alle
sedute, senza diritto di voto, di soggetti esterni
al Comitato nonché di esperti, su richiesta del
Presidente o dei componenti.
Il Presidente, sentito il Comitato, può designare
tra i componenti un responsabile per singoli
settori o competenze del Comitato stesso. Il
responsabile svolge le funzioni di relatore sulle
questioni rientranti nel settore assegnato e a
tal fi ne cura l’attività preparatoria ed istruttoria,
riferisce al Comitato e formula proposte di deliberazione.
Il Comitato predispone annualmente
un piano delle attività da svolgere nel corso
dell’anno successivo e lo stesso viene sottoposto
all’esame del Comitato stesso (in sede
di convocazione ordinaria) entro il secondo semestre
dell’anno precedente.
Art. 9 RISORSE E STRUMENTI
1) Per lo svolgimento della propria attività
il CUG utilizzerà le risorse messe
a disposizione dalla Direzione Strategica
Aziendale, nonché i fi nanziamenti previsti
da leggi o derivanti da contributi erogati
da soggetti di diritto pubblico e/o privato.
2) La Direzione Strategica Aziendale si im-
pegna a mettere a disposizione del CUG,
in occasione delle proprie riunioni, locali
idonei, materiale e strumenti necessari.
3) La Direzione Strategica Aziendale provvede
a realizzare sul proprio sito web un’apposita
area dedicata alle attività del CUG,
periodicamente aggiornata a cura dello
stesso Comitato.
Art. 10 DIMISSIONI E/O DECADENZA
DEI COMPONENTI
1) Le dimissioni di un Componente del CUG
devono essere presentate per iscritto al
Presidente del Comitato e alla Direzione
Strategica Aziendale; il Comitato ne prende
atto nella prima seduta successiva alla
data di inoltro.
2) Le dimissioni del Presidente sono presentate
in forma scritta al Comitato e alla
Direzione Strategica Aziendale.
3) Le sostituzioni dei Componenti decaduti,
ratifi cate dal CUG, avranno luogo entro
30 giorni, secondo le indicazioni dell’art. 2
del presente Regolamento.
Art. 11 RAPPORTI TRA CUG E DIREZIONE
STRATEGICA AZIENDALE
1) Per perseguire (assolvere) i propri fi ni
istituzionali, il Comitato instaura con la
Direzione Strategica Aziendale un rapporto
di reciproca e costante collaborazione,
attraverso la stesura di uno specifi co protocollo
di intesa.
2) Il Comitato, nell’ambito delle proprie competenze
di cui all’art. 4, formula proposte
di misure atte a creare effettive condizioni
di miglioramento, che vengono
trasmesse ai soggetti abilitati alla contrattazione
collettiva. La Direzione Strategica
Aziendale, prese in esame tali proposte ed
espletate le consultazioni che ritiene necessarie,
è tenuta a dare risposta entro
30 giorni dalla data di trasmissione.
3) L’Amministrazione, nelle sue diverse articolazioni,
tiene conto dell’attività svolta dai
IPASVI
componenti all’interno del CUG, ad esempio
ai fi ni della quantifi cazione del carico
di lavoro e della valutazione della produttività.
4) La Direzione Strategica Aziendale deve
consultare preventivamente il CUG, ogni
qualvolta saranno adottati atti interni nelle
materie di competenza (es. fl essibilità e
orario di lavoro, part-time, congedi, formazione,
progressione di carriere ecc.) almeno
20gg prima dell’adozione degli stessi.
Il CUG deve esprimersi entro i successivi
20gg. Le modalità di consultazione saranno
predeterminate dal vertice dell’Azienda
Sanitaria Locale, sentito il CUG, con atti
interni (circolari o direttive).
Art. 12 RELAZIONE ANNUALE
1) Il CUG redige entro il 30 marzo di ogni
anno, una dettagliata relazione sulla situazione
del personale dell’Amministrazione
di appartenenza riferita all’anno precedente,
riguardante l’attuazione dei principi
di parità, pari opportunità, benessere
organizzativo e di contrasto alle discriminazioni
e alle violenze morali e psicologiche
nei luoghi di lavoro – mobbing. La
relazione potrà contenere altresì il report
sull’attività svolta anche dai gruppi di lavoro
e sui risultati delle iniziative assunte,
riferita all’anno precedente. La relazione
viene trasmessa alla Direzione Strategica
Aziendale, ai Direttori dei Distretti Socio
Sanitari, ai Direttori dei Dipartimenti e per
il loro tramite ai Direttori delle Strutture
Complesse.
Art. 13 COMUNICAZIONE ED ACCESSO AI
DATI
1) Gli estratti dei verbali approvati e la relazione
annuale verranno inseriti in un apposito
spazio del portale telematico dell’Azienda
Sanitaria Locale di Taranto, contenente anche
le modalità per poter contattare direttamente
il CUG. Allo scopo è predisposto
un indirizzo di posta elettronica dedicato.
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IPASVI
Art. 14 APPROVAZIONE, VALIDITA’ E
MODIFICHE DEL REGOLAMENTO
1) Il presente Regolamento viene assunto
con atto deliberativo entro 15gg dalla sua
trasmissione alla Direzione Strategica
Aziendale ed entra in vigore il giorno della
pubblicazione della delibera sul sito web
dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto.
2) Per l’approvazione di eventuali modifi che
che si intendono apportare al presente
Regolamento, è necessaria la presenza
dei 2/3 dei componenti ed il voto favorevole
della maggioranza dei presenti.
Art. 15 COLLABORAZIONI E RISORSE
Per lo svolgimento delle proprie funzioni il CUG:
1) Promuove, attraverso motivata proposta e
fattiva collaborazione con gli Organismi/
Servizi/Uffi ci aziendali competenti, indagini,
studi, seminari, anche in collaborazione
con altri Enti, Istituti e Comitati aventi
analoghe fi nalità.
2) Si avvale della collaborazione di esperti interni
ed esterni.
3) Si avvale dei Servizi dell’Azienda Sanitaria
Locale di Taranto in relazione alle loro
competenze.
4) Promuove incontri con gruppi, singoli dipendenti,
dirigenti od altri soggetti a fi ni informativo/formativi
e di sensibilizzazione.
5) Collabora con la Direzione Strategica
Aziendale (es. responsabili della prevenzione
e sicurezza e/o con il medico competente),
per lo scambio di informazioni utili
ai fi ni della valutazione dei rischi in ottica
di genere e dell’individuazione di tutti quei
fattori che possono incidere negativamente
sul benessere organizzativo, in quanto
derivanti da forme di discriminazione e/o
da violenza morale o psichica.
6) Collabora con :
Consigliera nazionale di parità e
Osservatorio sulla contrattazione decentrata
e buone prassi per l’organizzazione
del lavoro;
Consigliera Regionale e Provinciale di
parità, valutando con le stesse l’opportunità
di sottoscrivere accordi di cooperazione
strategica volti a defi nire iniziative
condivise e sinergiche in tema di
pari opportunità;
UNAR - Uffi cio Nazionale di
Antidiscriminazione Razziali, istituito
presso il Dipartimento per le Pari
Opportunità della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, per tutte le azioni
ascrivibili all’ambito delle discriminazioni
per razza o provenienza etnica;
OIV – Organismi Indipendenti di
Valutazione, ai fi ni dell’introduzione
nella valutazione della performance,
dei temi delle pari opportunità e del benessere
lavorativo.
Art. 16 OBBLIGO DI RISERVATEZZA
Le informazioni e i documenti assunti dal
Comitato, nel corso dei suoi lavori, devono essere
utilizzati nel rispetto delle norme contenute
nel Codice per la protezione dei dati personali
di cui al Decreto Legislativo 30 giugno 2003,
n. 196. Tutti i componenti del CUG sono tenuti
all’osservanza del segreto d’uffi cio.
Art. 17 NORME TRANSITORIE E FINALI
Per quant’altro non menzionato nel presente
Regolamento si rimanda alla direttiva del
4 marzo 2011 emanata di concerto dal
Dipartimento della Funzione Pubblica e
dal Dipartimento per le Pari Opportunità della
Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui
all’art. 21 della Legge n. 183 del 4 novembre
2010.
Diario di una
dottoressa con la padella
Caro diario,
tutto passa e per fortuna passa anche l’estate
e le impreviste e risapute problematiche delle
ferie estive del personale. Come direbbe
Benigni, come mi vien diffi cile parlare in versi
satirici di come squallore ed egoismo
hanno ingoiato il mio paese. Che,
poi, non capisco tutta sta tiritera
sulla mobilità passiva. Ma
dove vogliono andareee?
Una mia paziente mi raccontò
di essere stata ricoverata
per 15 giorni
in un grande ospedale
Toscano che rimpiangeva
per tutto.
Credimi, diario mio,
una testa così ,che mi
veniva di caricarmela
sulla Multipla con tutto
il letto per lasciarla dietro
la porta di quel benedetto
ospedale toscano. Alla
fi ne, durante una chiacchierata
notturna le spalancai la mente
“Sai, - diceva - c’erano gli Oss che ti lavavano
e ti sedevano alla sedia, i fi sioterapisti
che venivano ogni tre ore a sistemarti l’ossigeno
e controllavano che respirassi correttamente,
poi i dietisti che ti chiedevano un sacco di
cose ,mai sia non ti arrivava quello che avevano
deciso loro !Ma gli infermieri devo dire
erano professionali, veramente professionali,
controllavano la data di quando ti avevano
messo l’ago ,di quando ti avevano cambiato il
tubicino dell’ossigeno,veramente professionali
!Non come voi che vi si chiede una cosa e
venite dopo mezz’ora,sembra sempre di stare
IPASVI
Dott.ssa Natalina Segoloni
Inf. Presidio Ospedaliero “Valle D’Itria” - Martina Franca
in lista d’attesa. No, no, ogni volta che gli chiedevi
qualcosa…. subito!! Avevi bisogno della
padella e dopo un minuto ’ veniva l’oss. Ti avevano
mandato la banana al posto della mela?
Dopo un po’ arrivava il tipo della cucina. Che
organizzazione!-
“Pertanto gli infermieri del sud
sono super qualifi cati sappiamo
risolvere tutto noi ,di
pomeriggio quando c’è
un solo ausiliario le portiamo
su e giù anche le
mele cotte ! – le risposi
io scherzando-l’unica
pecca è che facendo
l’one man band abbiamo
poco tempo per
scrivere e per consultare
le carte”
“Ah ma non scrivete tutto
al computer? - Le infermiere
in Toscana andavano
dietro” al gabbiotto “e scrivevano
al computer”
No signora, qui non hanno la crudeltà di
chiuderci dentro ad un gabbiotto!!! -chiusi così
le mie considerazioni per evitare divagazioni,
ma lei tirò fuorì un eresia
“Non c’è voglia di progredire forse!?” eccepì.
“Mi creda tutte le infermiere che lavorano al
sud sanno ogni quanto và cambiato un raccordo
o la sua postura ed abbiamo anche dove
annotarlo,ma ci sono momenti in cui la sua
mela deve arrivare subito e il cambio del defl
ussore della sua vicina di letto viene lasciato
in lista d’attesa. Alla fi ne il mio ospedale mi
paga delle giornate di aggiornamento come
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IPASVI
fanno per le infermiere del Nord … però dedico
il mio tempo a cambiare e svuotare sacche
di urine e lenzuola bagnate;così io sembro
meno esperta di una infermiera del Nord ma
mi creda non è così” riuscì ad osare.
“Eh bella mia ma se una ha una malattia seria
preferisce pagarsi un viaggio e mettersi nelle
mani di persone sicure. Ti credo, ti credo sicuramente
siete aggiornate anche voi ma io sono
convinta che non avete voglia di progredire voi
o chi per voi,solo manovalanza… Sai che ti
dico? Quando uno non sta bene conviene che
vada altrove a farsi curare il grosso,ma per i
piccoli problemi ti puoi fi dare degli ospedali
del sud. Gli infermieri qui sgobbano e seppure
non hanno il tempo di farti il calcolo di quanto
tempo è passato da quando ti hanno cambiata
di decubito,se non stai proprio male sei capace
tu di chiamare l’infermiera per farti girare.
Le avrei risposto: “Signora, altrove, passato
il “fatto grosso”, dall’ospedale esci e basta.
Con i soldi che pagano me in un mese
per assistere 60 degenti,pagano due O.S.S.
e ne rigirano 120 a domicilio come su uno
spiedo di pollo pronto”. Ma alla fi ne avrei fatto
pure la fi gura di quella che ruba lo stipendio,
la gente è quadrata, si sa. Così le risposi:
“Per fortuna signora… altrimenti se non fosse
che devo garantire i LEA, stanotte sarei andata
in Toscana ad imparare il mestiere!
Che poi sul giornale si leggono notizie di ‘sti
ospedali del Nord, che se so’ magnati tutto,
tracolli fi nanziari, bancarotta, un magna magna
di soldi della sanità che sembra che la
gente l’hanno curata con le monete del monopoli.
Eppure lì sembra che i pazienti vengano
adagiati su di un vassoio d’argento e ninnati a
tintinii di campane d’oro. Con quali soldi scusate?
Pertanto io ho fede, penso che prima o
poi usciranno tutti sti danari sapientemente investiti
nella sanità meridionale.
Come diceva un infermiere napoletano “forse
hanno lasciato aperte le fi nestre e vai a vedere
che è davvero colpa dell’infermiere che fa
il turno di notte se qualcosa è sparito”.No no
che sparito , qui non è sparito niente ed appariranno
come una Madonna che lacrimerà un
clinical governance che si piegheranno tutti ad
applaudirci e i settentrionali verranno a curarsi
da noi.
L’elogio da Balduzzi l’abbiamo già ricevuto,
peccato però doveva venire a dirlo in corsia
agli ammalati o al C.U.P., a quelli che prenotano
un ecografi a con tempi d’attesa di 3 mesi.
Mi sarebbe piaciuto avessero sentito che siamo
da prendere come esempio.
‘sti pazientacci che non sono mai contenti.
Quando i settentrionali chiederanno di ricevere
un referto in e-mail, gli risponderemo a
denti stretti “no caro che ti credi, qui devi venire
a farti la tua fi letta ed il tuo viaggetto”. Ah
che grandiosa idea! I malati faranno su e giù
per gli ospedali nostrani anche per chiedere
una copia di cartella, incentiveranno anche il
settore alberghiero e ci sarà una rinascita del
Paese.
Uhee, sta il fi glio di mia cugina Rosetta che è
disoccupato, quasi quasi gli propongo di fare
il prendi posto abusivo, come quelli di Napoli
che alle 4 del mattino prendevano il posto
fuori dai C.U.P, chè, se scoppia ‘sta migrazione
al contrario, devi essere pronto in tutto.
Immaginate che al nord quando uno ha da
fare i controlli periodici per una malattia cronica
i c.u.p organizzano tutto in una giornata
se il paziente viene da lontano. Metti il caso
che sei operata di cuore ti prenotano i prelievi,
l’ecocardiografi a,la prova da sforzo, il doppler
e via dicendo in una o due giornate e nello
stesso posto ! Mò che siamo impazziti e poi veramente
dove lo passiamo il tempo ?Io quando
devo fare i controlli a mio zio di Brindisi prenoto
un esame a Francavilla, uno alla Salus,
l’altro a Lecce, qualcosa a Martina e quando
proprio stiamo stretti coi tempi ci facciamo dei
giretti a Matera e Potenza, tanto che, quando
ho sentito che vogliono sopprimere Matera
come provincia, mi è venuto il sudore freddo .
Certe volte, siccome ci sembra di fare troppo
presto se in 4 mesi abbiamo raccolto tutte le
fi gurine dell’album, il cardiologo ci dice “sì ma
qui l’ecografi sta di Ostuni aveva consigliato la
visita urologica.Ce l’avete la visita urologica?
Sennò niente !” Ci si sente più uniti in famiglia
a trascorrere questi mesi e mesi fra ospedali
e c.u.p. Ci stanno certi baretti fuori dal policlinico
che sono la fi ne del mondo! Ormai ci ho
passato una vita, che, se qualcuno mi facesse
la violenza di farmi sbrigare tutto in un’unica
soluzione ed in un unico posto, credo che
ne morirei. Ogni tanto, strada facendo, senti
che hanno chiuso qualche ospedale e ti devi
rivolgere altrove. Per fortuna sui giornali poi ti
scrivono che ne apriranno di nuovi. Bah, basta
che si tengano impegnati pure loro. Metti caso
che Monti si alzi la mattina e decida di sbloccare
il turn over del personale e di bloccare i
fondi per l’edilizia sanitaria. Son dolori!E che,
mò si seguono le indicazioni Europee per fi lo
e per segno? E dai che, se esce un master per
imbianchino, mi sistemo!
Come infermiera questa epopea dell’assistito
crea dei rapporti ormai famigliari , ti affezioni a
queste persone. Ci stanno le mie vecchie colleghe
della medicina che ormai i loro pazienti
li conoscono da anni, li stabilizzano e li dimettono.
Tu sei un po’ triste, ti sei affezionata, ma
la collega ti dà una pacca sulla spalla e ti sussurra:
“Non temere, una volta a casa precipiterà
nell’abbandono e ben presto verrà di nuovo a
bussare alle porte del pronto soccorso”. Una
volta ero in “missione” in un’altra medicina mi
avvicinai ad un paziente per un prelievo e questo
fa: “Sei nuova?”
IPASVI
“Appena trasferita, ma non nuova di mestiere”
spiegai. E lui di rimando:
“Stai attenta.. che tizio è separato, la madre
di caio è morta il mese scorso, sempronio due
anni fa mi ricoverai per un coma diabetico e
mi fece una glucosata, mentre pinco pallino ha
sempre le ascelle sudate”. Conosceva gli infermieri
di tutti i reparti dell’ospedale nemmeno
fosse una casa alloggio.
Poi ci stanno quelli con le carte: li vedi che
vanno su e giù e su e su e giù. Quando ero
agli ambulatori, vedevi sempre le stesse facce,
questi che venivano per il controllo ed il CUP
gli aveva sbagliato l’appuntamento, e te li ritrovavi
la mattina dopo e magari al cup trovavano
fi la per pagare e li vedevi che facevano su e giù
per chiedere se potevano fare prima la visita
e poi pagare, poi tornavano su e dicevano che
mancava un timbro e lì il medico che diceva che
no la normativa è cambiata e questi che continuavano
su e giù. I computer, intanto, stavano
lì immobili ed inutilizzati ad aspettare come
noi i tempi in cui qualcuno avrebbe compreso
che non è che non la si vuole fare una cosa, è
proprio uno status a cui non si può rinunciare.
Questi del Nord, se vorranno curarsi da noi,
dovranno abituarsi a questo status. Questo è
il paese del sole, del vento e del mare e per
godersi tutto questo non basta di certo una
giornata !
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20
IPASVI ASVI
Motivo dello studio: Questo lavoro nasce dal
desiderio di approfondire un particolare aspetto
della fi gura del Coordinatore Infermieristico: la
valutazione. In Italia non esiste ancora un sistema
di valutazione oggettivo a riguardo.
Risorse materiali, strutturali e/o umane utilizzate:
Le risorse umane utilizzate sono i Coordinatori
Infermieristici delle diverse strutture
ospedaliere: San G. Moscati, SS. Annunziata,
Casa di Cura Villa Verde di Taranto. Attraverso
un questionario strutturato di natura anonima si
analizzerà l’indice di gradimento dello strumento
valutativo creato e le dinamiche della valutazione
all’interno delle strutture ospedaliere.
Metodo: Il metodo utilizzato è rappresentato
da un indagine esplorativa effettuata secondo
criteri di campionamento non rigidi.
L’azienda sanitaria è un’organizzazione caratterizzata
da un elevato grado di complessità
strutturale, ambientale, tecnologica ma, soprattutto,
di conoscenza, tanto da poter essere
defi nita azienda knowledge intensive, ad alta
intensità di sapere. I professionisti che ne fanno
parte, portatori di tali saperi ai vari livelli professionali
e organizzativi, costituiscono un vero
e proprio patrimonio e sono, al tempo stesso,
un fattore critico di successo. La possibilità per
l’azienda di raggiungere i propri fi ni istituzionali,
vale a dire, nel caso di sanità, di contribuire
alla soluzione dei problemi di salute dipende, in
gran parte, dalla capacità di integrare le proprie
componenti professionali.
PROGETTO DI VALUTAZIONE
DI COORDINATORE
INFERMIERISTICO:
COSTRUZIONE E
IMPLEMENTAZIONE
DI UNO STRUMENTO
OGGETTIVO
Dott.ssa Angela Carrera
Infermiera Casa di Cura “Villa verde” - Taranto
Così, permettere all’azienda di operare nel
modo più appropriato possibile, massimizzando
l’effi cacia e l’effi cienza produttiva, signifi ca
anche capitalizzare, accrescere e diffondere
conoscenze e competenze dei propri professionisti,
cioè sviluppare il capitale intangibile.
Per questo, tutti gli strumenti di gestione delle
risorse umane hanno grande rilevanza e vanno
applicati seguendo una logica di valorizzazione
del personale, a partire dalla necessità che le
risorse siano motivate cioè che venga sempre
ricercato il punto d’incontro tra gli obiettivi
aziendali e le aspirazioni, le necessità, le attitudini
dei professionisti. Il primo, e storicamente
il più diffuso, di questi strumenti è il sistema di
valutazione, uno dei più importanti, ma, forse,
anche il più critico e complesso. L’esperienza
ha dimostrato essere il mezzo che senza dubbio
impatta più bruscamente sul personale, andando
a determinare, spesso, pesanti conseguenze.
A fronte di uno strumento “diffi cile”, è
aumentata in modo progressivo la richiesta di
utilizzo, a tutti i livelli e per uno spettro sempre
più ampio di fi gure professionali.
La nuova logica aziendale, applicata in sanità,
è fondata sul binomio autonomia-responsabilità:
al crescere del grado di autonomia s’accompagna
un carico di responsabilità sempre
maggiore, che fa nascere l’esigenza di andare
a verifi care, attraverso adeguati sistemi di valutazione,
se e in che misura l’esercizio di questa
autonomia ha portato il raggiungimento degli
obiettivi assegnati. Dalla valutazione discendo-
no possibilità di sviluppo e valorizzazione delle
risorse umane, non solo nei termini classici di
percorsi di carriera e ricompense economiche,
ma anche sotto forma di riconoscimenti di stima,
possibilità di espressione di competenze
possedute ma non esercitate, percorsi formativi
specifi ci, anche attraverso modalità innovative.
In Italia, ancora oggi, non esiste un sistema oggettivo
di valutazione del coordinatore infermieristico.
A tal proposito, l’obiettivo della tesi è la
costruzione e l’implementazione di questo strumento.
Per la realizzazione verrà effettuato un
percorso conoscitivo del sistema di valutazione
in tutte le sue sfaccettature, in modo da poter
conseguire nel miglior modo possibile l’obiettivo
fi nale della tesi. Il sistema di valutazione del
personale, per avere la capacità di raggiungere
obiettivi di sviluppo e valorizzazione delle risorse,
deve necessariamente essere costruito nel
rispetto di alcuni criteri generali, quali:
• coerenza con gli obiettivi strategici aziendali
e il contesto organizzativo;
• fl essibilità/adattabilità del sistema al contesto;
• sistematicità, periodicità e permanenza
della valutazione;
• trasparenza e omogeneità dei criteri a
parità di oggetto/soggetto e delle conseguenze
della valutazione;
• tendenza verso la riduzione della soggettività
(ovvero ricerca di massimizzaazione
della oggettività);
• valutazione solo di fatti e comportamenti
posti sotto la responsabilità/controllabilità
del valutato;
• diretta conoscenza dell’attività del valutato
da parte del valutatore;
• massima partecipazione del valutato e
possibilità di contraddittorio;
Occorre, quindi, per il successo del processo
di valutazione, stabilire un forte legame tra sistema
di valutazione e contesto organizzativo
aziendale. Obiettivi:
• trasmissione del pensiero strategico;
• orientamento dei comportamenti;
• diffusione di una cultura aziendale;
IPASVI
• raccolta di indicazioni sui fabbisogni formativi;
I rischi in cui può intercorrere il sistema di valutazione
sono:
• demotivazione;
• sfi ducia;
• ribellione;
Il sistema di valutazione si divide in diverse
metodologie valutative applicabili tra cui:
• valutazione delle prestazioni: intese come
risultati ottenuti in relazione agli obiettivi
assegnati;
• valutazione delle competenze: capacità
individuali e organizzative intese come
valore per l’azienda e fattore critico di
successo;
• valutazione delle posizioni: corrispondenza
tra: responsabilità, posizione organizzativa
e retribuzione;
• valutazione del potenziale: insieme delle
attitudini che la persona possiede, ma
che non ha ancora espletato per carenza
di contesto ambientale adeguato.
Il profi lo professionale del coordinatore, oggi, è
nettamente cambiato; le competenze tecnicospecialistiche
hanno lasciato il posto gradualmente
a funzioni manageriali mirate al contenuto
del lavoro ed agli aspetti formativi della
professione. Il training formativo del coordinatore
è focalizzato all’acquisizione di abilità/
competenze per pianifi care, organizzare, coordinare
e verifi care le attività al fi ne di garantire:
- un’effi cace assistenza infermieristica
- un uso effi ciente delle risorse
- una corretta amministrazione del
reparto
- la partecipazione ad attività di formazione,
aggiornamento e ricerca.
Il coordinatore si assume il carico di mettere
in atto tutte le conoscenze in campo manageriale
per raggiungere gli obiettivi e cercare di
fare convergere gli ideali professionali a quelli
aziendali.
Lo strumento di valutazione è stato plasmato
prendendo in considerazione l’evoluzione delle
competenze dei coordinatori infermieristici,
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IPASVI
le aspettative, il contesto organizzativo attuale
e i criteri fondamentali della valutazione. Tale
strumento creato utilizza una scala di misurazione
“lineare continuo”, espressa con valori
numerici da 1 a 10. Il vantaggio di questa scala
di giudizio sta nella facilità, per il valutatore, di
Capacità relazionali;
STRUMENTO DI VALUTAZIONE
Disponibilità alle relazioni interpersonali
e capacità di integrazione delle informazioni/conoscenze
con colleghi/collaboratori;
Coordinamento e/o partecipazione attiva e propositiva a gruppi di
lavoro;
Capacità di condivisione delle decisioni e informazioni con colleghi/
collaboratori;
Saper gestire il confl itto;
Essere trasparenti;
Essere in grado di relazionarsi in modo empatico;
Aggiornamento professionale;
Partecipazione costante a iniziative
formative e di aggiornamento;
Capacità di introduzione, diffusione e utilizzo di quanto appreso
con l’attività di formazione;
Capacità di formulare proposte di nuove attività
di formazione e aggiornamento;
Responsabilità organizzativa e gestionale;
correlare il giudizio a una modalità di misurazione
piuttosto nota e utilizzata (per esempio,
in ambito scolastico), consentendo una certa
varietà di sfumature e una più immediata confrontabilità.
Valutazione da 1 a 10 per
ogni capacità elencata;
Valutazione da 1 a 10;
Gestione autonoma di attività e risorse Valutazione da 1 a 10;
Capacità di individuazione, defi nizione e risoluzione dei problemi;
Capacità di autonoma gestione degli imprevisti;
Responsabilità tecnico-professionali;
Possesso di competenze adeguate al ruolo ricoperto; Valutazione da 1 a 10;
Contributo personale alla elaborazione, utilizzo,
diffusione di linee guida e procedure aziendali;
Capacità di individuazione e introduzione di innovazioni tecnologiche;
Competenze tecnico-gestionali;
Attenzione all’appropriato utilizzo di risorse in relazione
alle attività da realizzare;
Capacità di individuazione di strumenti e modalità di controllo
sulle attività realizzate rispetto agli obiettivi concordati;
Analisi periodica delle cause di difformità tra concordato
e realizzato, conseguente capacità di adattamento dei
comportamenti o proposte di revisione;
Comunicazione interna ed esterna;
Sviluppo effi cace di attività comunicative aziendali,
sia interne sia esterne alla propria articolazione organizzativa;
Sviluppo/utilizzo di effi caci strumenti comunicativi
con soggetti esterni all’azienda;
Pianifi cazione e gestione di momenti comunicativi
periodici interni e/o esterni;
Competenze tecnico-assistenziali;
Identifi care i bisogni delle persone assistite;
Organizzare, pianifi care e controllare/valutare l’assistenza;
Erogare l’assistenza infermieristica,
monitorare i risultati, valutarli e fare modifi che se necessario;
Stabilire e utilizzare criteri rispetto alla valutazione della qualità
dell’assistenza erogata (controllo);
Informare, consigliare, assicurarsi della comprensione da parte del
paziente e del suo “gruppo”(inteso come famiglia, conoscenti ecc. . .)
Applicare e fare applicare le norme di igiene e sicurezza;
Elaborare, realizzare e valutare i protocolli di
assistenza per gli ambiti di autonomia;
Utilizzare in modo proprio le risorse a disposizione;
Essere in grado di comprendere, guidare e inserirsi in modo effi cace nel
sistema di coordinamento delle varie funzioni ospedaliere
(ambito medico, amministrativo e assistenziale infermieristico)
IPASVI
Valutazione da 1 a 10
per ogni competenza
tecnico-gestionale;
Valutazione da 1 a 10;
Valutazione da 1 a 10
per ogni competenza
tecnico-assistenziale;
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IPASVI
Comportamenti/attitudini professionali;
Essere autonomo;
Essere oggettivi;
Rispettare e fare rispettare il segreto professionale e i principi deontologici
correlati all’attività dell’ U.O.,del servizio (infermieristico), e della struttura;
Tradurre nella pratica le questioni etiche;
Essere disponibile al cambiamento organizzativo;
Essere in grado di conciliare gli interessi dei pazienti,
dell’organizzazione e quelli dei singoli collaboratori;
Essere in grado di creare e adattare criteri di scelta specifi ci sia come ambito
disciplinare per l’équipe (integrazione), rispetto alla gestione delle risorse
umane;
Essere in grado di accogliere i nuovi arrivati nell’ U. O.;
Effettuare monitoraggi;
Analizzare le situazioni anticipare i problemi e prevedere le scadenze;
Partecipare e/o controllare la messa a punto,
l’utilizzo di protocolli e di tecniche nuove;
Promuovere il colloquio strutturato multidisciplinare e/o di équipe;
Realizzare eventuali azioni correttive;
Essere in grado di portare a termine un progetto con metodo:
stimolare e/o partecipare alla formazione/informazione dei suoi
collaboratori (tecniche assistenziali, procedure amministrative ecc. . . .
Essere in grado di identifi care le risorse (come punti di forza),
le diffi coltà e i problemi (come punti di debolezza) in équipe;
Valutazione da 1 a 10 per ogni
comportamento/attitudine
professionale elencata;
Il sistema di valutazione elaborato è stato presentato ai coordinatori della Casa di Cura Villa Verde,
dell’Ospedale San G. Moscati e dell’Ospedale Santissima Annunziata di Taranto e, attraverso un
questionario strutturato di natura anonima, si è verifi cato l’indice di gradimento.
Dai risultati emerge che nelle aziende ospedaliere di Taranto, effettivamente, esiste un sistema di
valutazione del coordinatore. Quest’ultimo, come affi ora dai risultati, viene utilizzato per l’86,66%
dal Primario e solo in minima parte dal Dirigente Infermieristico (13,33%).Tanto evidenzia che il
coordinatore non riesce a svincolarsi dalla fi gura medica nel proprio campo d’azione. Inoltre, possiamo
notare dalle percentuali (69,23%) che quasi tutti i coordinatori intervistati sono a conoscenza dei
parametri di valutazione utilizzati. Questo rappresenta un elemento positivo, in quanto, come si è
potuto assimilare in questo percorso, i principi fondamentali su cui si fonda la valutazione sono:
trasparenza, fl essibilità, sistematicità ma soprattutto partecipazione del valutato e possibilità di
contraddittorio. Inoltre, i coordinatori, preferirebbero essere valutati dai pazienti (20%), dai propri
collaboratori (26,66%) e particolarmente dal Primario (40%). Questi dati denotano che la relazione
con le fi gure che circondano il coordinatore nel proprio lavoro ha un elevata importanza.
Il sistema di valutazione presentato è stato accolto in maniera positiva dai coordinatori infermieristici.
Quindi, lo strumento di valutazione creato rappresenta in modo esaustivo il coordinatore. Infatti, tutti
i coordinatori intervistati vorrebbero essere valutati secondo i criteri di tale strumento di valutazione.
La valutazione è un atto importante e non deve essere vista come un momento negativo del proprio
operato. Lo strumento valutativo effi ciente, dà la possibilità a colui che viene valutato di prendere
coscienza dei propri punti di forza, ma anche , dei propri limiti, i quali una volta riconosciuti potranno
essere colmati.
IPASVI
IL GEL PIASTRINICO DELLA SPERANZA
L’équipe del Centro Trasfusionale “SS. Annunziata”, Taranto
Dal sangue la vita. Nulla di più vero oggi, come
non mai, per i nuovi campi di impiego del sangue
e dei suoi derivati. Tra gli emocomponenti ad uso
non trasfusionale riveste un ruolo importante il
concentrato piastrinico per uso non trasfusionale,
fonte di fattore di crescita, utilizzato in vari ambiti
Preparato da sangue anticoagulato in volume variabile
secondo la tipologia di utilizzo econtiene
piastrine risospese in plasma; può essere preparato
da donazione di sangue intero o mediante
aferesi secondo procedure standard di preparazione
(CPunT allogenico) o può essere preparato
da sangue intero, da aferesi, ovvero utilizzando
altre modalità di prelievo (CPunT autologo)
Dal concentrato piastrinico deriva il Gel piastrinico
usato per la riepitelizzazione cutanea in caso
di ulcere o piaghe, senza cicatrici, o addirittura
per la rigenerazione ossea.
Una nuova “ frontiera” che ha aperto orizzonti
e suscitato speranze in pazienti, di tutte le età,
affetti da patologie varie, dalle ulcere diabetiche
alle lesioni a problemi odontoiatrici.
Anche a Taranto la metodica è in uso da qualche
anno nel Centro Emotrasfusionale del “SS.
Annunziata”, diretto dal dott. Gianfranco Miloro,
dove le dott.sse Maria Carmela Guerrese, allergologa
ed immunologa nonché medico dirigente”,
e Rosa Bruno, biologa, si occupano, già dal
2009, dei pazienti ai quali la terapia può apportare
benefi ci
Nel luglio del 2009 è stata applicata per la prima
volta ad un bambino di 11 anni, con
una cisti congenita nella parte più alta del femo-
re, al quale è stato praticato un prelievo per una
donazione autologa di piastrine, ricavando un gel
che insieme con osso liofi lizzato è stato iniettato,
durante l’intervento chirurgico di asportazione
della ciste, per riempire la parte del tessuto mancante.
Ottimi i risultati, come per gli altri casi ad oggi trattati
(19 pazienti su 20 ma va considerato che in
uno esistevano diffi coltà di altro tipo) nel campo
cutaneo, osseo, odontotecnico, ortopedico e, per
fi nire, estetico. Una gamma diversifi cata che, ovviamente,
presuppone un progetto multidisciplinare
avanzato.
Ogni caso ha presentato delle diffi coltà inaspettate,
tutte risolte con successo.
Una donna di 80 anni, affetta da diabete e cardiopatia,
che presentava alla gamba sinistra una
estesa lesione da grattamento con crosta, curata
per 7 mesi con terapie tradizionali non risolutive,
dal gel piastrinico (per donazione eterologa), applicato
in tre sedute totali, in 45 giorni ha avuto la
guarigione completa.
Due mesi e 8 applicazioni di gel piastrinico da
donatore eterologo (prelievo effettuato con kit
per cellule staminali) sono stati necessari per un
80enne cardiopatico affetto da ulcera da trauma
al malleolo di diametro di circa 12-15 centimetri.
Il paziente che presentava una vascolarizzazione
insuffi ciente, dopo aver girato vari reparti ed
essersi sottoposto a diverse medicazioni, senza
trovare soluzione, ha risolto completamente il
problema.
Tre mesi per la completa guarigione di un ulcera
vascolare ad una donna di 40 anni, obesa, che,
nel corso della terapia, si è scoperta allergica ad
alcuni medicinali per cui la serie di complicanze
inaspettate ha protratto il tempo della guarigione.
Trattato di recente un uomo operato in Neurochirurgia
per microangiomi, intervento che ha previsto
l’applicazione di valvole, causa di ferite al
cuoio capelluto. Le ferite sono state rigenerate
con il gel piastrinico.
Speranza, dunque, dalla ricerca applicata sul
campo con nuove “comunità di pratiche”.
Speranza anche nella nostra realtà, troppo
spesso e per troppe patologie costretta ai viaggi
della speranza! Oggi, almeno per un certo tipo di
pazienti, la speranza è “a casa”!
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IPASVI
LA FISSAZIONE ESTERNA:
ASPETTI DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA
La fi ssazione esterna può essere defi nita come
un metodo di osteosintesi, in grado di stabilizzare
monconi e frammenti scheletrici mediante
elementi di presa infi ssi nell’osso, trapassanti
le parti molli e raccordati ad un apparato esterno,
detto fi ssatore.
I fi ssatori, dunque, sono dispositivi biomedicali
che vengono impiantati temporaneamente nel
corpo umano dove svolgono la funzione di allineare
e tenere uniti due o più frammenti ossei
originatisi da una frattura.
Obiettivo: supportare l’osso durante il suo
consolidamento e promuovere la guarigione.
Indicazioni assolute.
Fratture scomposte esposte
Fratture da arma da fuoco
Fratture con lesioni vascolo nervose
Dott. Attilio Gualano
Infermiere Sala Gessi P.O. “SS. Annunziata” - TA
Indicazioni relative
Fratture con perdita di sostanza osteo muscolo
cutanea
Fratture in politraumatizzati
Fratture irriducibili in soggetti in accrescimento
Fratture in pazienti in condizioni cliniche
scadenti
Fratture complesse o con frammenti intermedia
Allungamento degli arti dismetrie post-traumatiche
o per patologia congenita).
Vantaggi e svantaggi all’utilizzo di Fissatori
Esterni
Per ciò che attiene ai vantaggi, come abbiamo
visto prima, il fi ssatore esterno permette di
trattare fratture scomposte esposte complicate
da ferite severe e, quindi di curare le stesse
contemporaneamente alla frattura.
Questo trattamento permette al paziente di rimanere
in Ospedale per un breve periodo e
nella maggior parte dei casi di riprendere in
tempi brevi la propria attività.
Il fi ssatore è versatile e semplice da utilizzare
e permette una mobilizzazione precoce articolare.
Gli svantaggi dei fi ssatori esterni riguardano
la reazione del materiale ossia fi ches e fi li seguita
da una eventuale infezione più o meno
grave.
Le fi ches e fi li possono allentarsi con il rischio
che l’osso diventi instabile, inoltre la vista del
fi ssatore esterno può causare paura al paziente
ed ai membri della sua famiglia e psicolo-
gicamente può non essere tollerato per il suo
ingombro.
La forma è strettamente collegata allo scopo
dell’ apparato, ai materiali impiegati, alla sicurezza
dell’utilizzatore, all’ergonomia, all’estetica;
possono essere Circolari, Bilaterali,
Monolaterali, Ibridi e costituiti da diverse tipologie
di materiale: titanio, acciaio, alluminio o
materiale composito.
Anche gli elementi che sono diversi, associati,
formano svariatissimi apparati di varia forma e
complessità, necessari per ogni metodo di trattamento.
Questi elementi vengono divisi in: principali e
secondari.
I componenti principali sono utilizzati per solidarizzare
le ossa ed i loro frammenti all’apparecchio
stesso: semianelli ed anelli, archi, fi li di
Kischner, fi ches, aste fi lettate supporti obliqui.
I componenti secondari sono tutte quelle parti
necessarie alla congiunzione dell’apparato
stesso al di fuori dello scheletro: snodi universali,
bussole, bandierine, rondelle, dadi, bulloni.
UN PO’ Dì STORIA..
La storia della fi ssazione esterna “inizierebbe”
nel 1843, quando Joseph - François
Malgaigne ideò un perno di metallo in una
cinghia di cuoio Per il trattamento delle fratture
di tibia, ideò anche un meccanismo a forma
di “artiglio” chiamata “griffe” che permetteva la
riduzione e la fi ssazione di fratture di rotula, entrambi
i dispositivi portano il suo nome.
Fig. 1 - Joseph François Malgaigne
Fig. 2 - Griffa Malgaigne
IPASVI
Fig. 3 - Pinza Malgaigne
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IPASVI
Nell’antichità, in realtà vengono descritti sistemi
di fi ssazione rudimentali, di seguito è riportata
l’immagine di una mummia egizia della V a
dinastia che riporta la frattura di un avambraccio
con esiti di consolidazione immobilizzato
con una stecca.
Fig. 4 - Frattura dell’avambraccio con stecca da una
mummia della quinta dinastia, che mostra segni di guarigione.
Ippocrate descrive nel 400 A. C. un sistema
rudimentale di fi ssazione esterna con la quale
viene ridotta e fi ssata una frattura di tibia.
Fig. 5 - Ippocrate
Dopo Malgaigne,I dispositive di ROUX ED
OLLIER rappresentano tentativi di miglioramento
Mentre nel 1848 è Clayton Parkil (Denver,
Colorado1894 /1897) ad usare un fi ssatore per
il trattamento delle pseudoartrosi di tibia denominata
“pinza osso”.
Nel 1902 Albin Lambotte chirurgo belga, creava
il primo fi ssatore esterno per sintesi femorale
con fi ches monolaterali, a lui è attribuito il
primo chiodo auto fi lettante denominato “threaded”.
Allo stesso, va riconosciuto
il merito
di essere stato pioniere
nella raccolta
della documentazione
scientifi ca.
Fig. 37- Albin Lambotte
1866-1955
Il primo perno autofi lettante “threaded
Robert Judet, R.Anderson, Giovanni De
Bastiani, sono i chirurghi che danno il via
alla moderna concezione di sintesi esterna,
che trova il suo capostipite in R. Hoffmann, nel
1938.
Nel 1950, Gavril Abramovich Ilizarov chirurgo
di Kurgan, Unione Sovietica, inventa un
sistema di fi ssazione circolare che prende il
suo nome ossia:
IPASVI
Apparato per compressione e distrazione
“Ilizarov”.
In ortopedia può essere utilizzato per l’allungamento
degli arti, la correzione di deformità
congenite e acquisite, pseudoartrosi e ritardi
di consolidazione, contratture muscolari rigide,
infezioni ossee.
Oggi i fi ssatori sono di diversa forma, di diversi
materiali, per diversi segmenti anatomici.
Sono di seguito riportati alcuni fi ssatori esterni
oggi in uso.
BACINO
TIBIA
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IPASVI
ARTO SUPERIORE e MANO
PIEDE
ASSISTENZA INFERMIERISTICA
AL PAZIENTE PORTATORE DI
FISSATORE ESTERNO
La pianifi cazione e l’elaborazione del processo
di nursing è di competenza infermieristica,
il piano d’azione dev’essere specifi co e personalizzato.
Nell’assistenza si distinguono varie fasi durante
le quali ci si prende cura del paziente:
La FASE DÌ PRE-RICOVERO, in caso di ricovero,
programmato, riguarda l’organizzazione
dello stesso, il paziente esegue gli esami e riceve
le prime indicazioni su come si svolgerà il
soggiorno e su quale sarà il programma che lo
riguarderà durante la degenza.
L’ACCOGLIENZA ed IL RICOVERO urgente
o programmato rappresentano sempre un problema
generale per ogni paziente.
FASE PRE E POST OPERATORIA.
LA MEDICAZIONE DEL FISSATORE.
Il ricovero rappresenta un momento molto particolare
per ogni paziente: la separazione dal
proprio ambiente, il distacco dai propri cari,
possono rappresentare un trauma.
Un ambiente del tutto nuovo, orari, procedure,
pratiche medico-infermieristiche rappresenta-
no elementi nuovi di un enorme contenitore
dove il paziente si trova catapultato, per cui la
fase di accoglienza in reparto diventa delicata
ed importantissima.
Importante sarà ospitare il paziente in maniera
accogliente; l’instaurare la migliore relazione di
aiuto con uno scambio di informazioni rasserenerà
lo stesso predisponendolo ad un atteggiamento
positivo per il proseguo delle cure.
L’infermiere deve essere in grado di riconoscere
gli aspetti psicologici caratteristici della
persona.
Come visto in precedenza, la maggior parte
degli interventi di fi ssazione esterna, riguardano
persone che hanno subito traumi gravi,
spesso bambini con handicap congenito o acquisito,
oppure persone che hanno una lunga
storia clinica come ad esempio esiti di fratture
non consolidate che necessitano di diversi e
lunghi trattamenti.
Da questo emerge una situazione psico-emotiva
differente e contrastante: da una parte l’ansia
e la paura, che possono far visualizzare alla
persona una situazione negativa, dall’altra la
speranza, sentimento positivo che incoraggia
la persona.
L’intervento di fi ssazione esterna comporta una
profonda modifi cazione dell’immagine del proprio
corpo, seguito da disagio emotivo e da diffi
coltà nel rapporto con gli altri, (Limb, 2003) il
paziente sente il “bisogno di essere come gli
altri”.
La psicologia del paziente è importantissima,
la depressione è un aspetto da non sottovalutare
(Patterson, 2006), infatti può rappresentare
un ostacolo all’auto gestione del fi ssatore.
Ansia, incertezza, paura del futuro, immagine
futura di sè e tempi relativamente lunghi di detenzione
del fi ssatore possono sfociare, (facendo
sentire il paziente prigioniero del dispositivo)
nella così detta “sindrome della rabbia
gabbia”.
Questi sono aspetti da non sottovalutare, ma
da affrontare con una informazione e comunicazione
competente valida ed effi cace. Ed
è proprio l’ immagine di sè (ciò che è, ciò che
IPASVI
teme di diventare) a creare ansia ed incertezza,
predisponendo a volte ad un atteggiamento ansiogeno
che può sfociare, se non supportato da
un’adeguata informazione e comunicazione, in
un approccio negativo all’intervento chirurgico.
L’obiettivo dell’intervento infermieristico di educazione
sanitaria, in vista dell’intervento chirurgico,
ha come fi nalità la riduzione dell’ansia,
rendendo il paziente cosciente del problema
ponendo allo stesso una visione quanto più reale
possibile.
FASE PRE OPERATORIA
Preparazione all’intervento
chirurgico in reparto ortopedia
Assicurare l’interazione nella comunicazione:
fermo restando quanto riportato sopra in rapporto
alle problematiche psicologiche,sarà importante
indagare su eventuali patologie concomitanti,
informare il paziente effettuando un
colloquio sulle modifi che temporanee/permanenti
comportate dall’intervento. Se si tratta di
bambini, programmare un percorso idoneo con
la presenza di uno psicologo che supporti bambino
e genitori. Se si tratta di pazienti stranieri,
si programmerà la presenza di un interprete
e/o mediatore culturale per il ricovero); per pazienti
dementi o non collaboranti richiedere la
presenza di un familiare o di chi sia in possesso
di notizie cliniche dettagliate.
Assicurare l’alimentazione e idratazione:
programmare un regime dietetico adeguato in
collaborazione con il dietista, far assumere una
dieta ricca di ferro (per contrastare l’anemia
post operatoria) e calcio (per favorire la formazione
del callo osseo), eventualmente ipocalorica
se persona obesa. Il giorno precedente
l’intervento l’assistito assumerà una dieta leggera,
con digiuno dalla mezzanotte. Fornire
diete di vario tipo, insegnare i comportamenti
per favorire una alimentazione e idratazione
equilibrata e indicare i motivi della dieta da se-
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32
IPASVI
guire, insegnare a monitorare l’introito di cibi/
bevande.
Assicurare l’eliminazione urinaria e intestinale:
nel caso di pazienti giovani e di pz con intervento
programmato non ci sono particolari
problemi, per pz anziani o con impossibilità al
movimento per alcuni giorni la cateterizzazione
consentirà di monitorare il bilancio Idro elettrolitico,
evitando di alzarsi prevenendo cadute.
La cute sarà tenuta asciutta impedendo macerazioni
che deriverebbero dal contatto con le
urine in caso di panno. L’evacuazione di feci
sarà ottenuta mediante clisteri evacuativi il
giorno precedente l’intervento.
Assicurare l’igiene:
favorire l’igiene sarà importante, (il giorno precedente
l’intervento di solito la sera prima o prima
del trasferimento in sala operatoria quanto
alla tricotomia seguire i protocolli di reparto là
dove presenti. il giorno dell’intervento: fornire il
camice e la cuffi a; le unghie in caso di pazienti
di sesso femminile dovranno essere prive
di smalto, dovranno essere rimosse eventuali
protesi e monili, il letto dovrà essere rifatto con
biancheria pulita, traversa monouso e due coperte,
e dovrà essere posizionato un archetto
sollevacoperte).
Assicurare la funzione cardiocircolatoria:
programmare con il Centro Trasfusionale il
deposito di sacche predonate per pz per i
quali si supponga una perdita importante da
reinfondere nel post operatorio;
controllare ed identifi care i sintomi ed i segni
di una TVP: dolore, calore, rossore e gonfi ore
all’arto interessato dalla frattura, per cui rilevare
e sorvegliare la temperatura dell’arto fratturato
e la frequenza cardiaca periferica, per la
presenza di eventuali segni di trombosi o compressione
del circolo (arterioso e venoso); controllare
il colorito dell’arto fratturato per rilevare
segni di compressione del circolo; rilevare lo
stato di idratazione in seguito alla ridotta introduzione
o perdita di liquidi da edemi o ematomi.
possono presentarsi punti di esposizione
della frattura, perciò rilevare l’integrità cutanea;
in presenza di febbre applicare la borsa del
ghiaccio, rilevare ed annotare la temperatura
corporea.
Respirare: pz anziani allettati a differenza di
pz giovani possono avere problemi di clearence
delle vie aeree con possibili infezioni delle
stesse, anche per eventuali traumi toracici associati
che riducono l’espansione toracica, per
intubazione intraoperatoria, per inibizione del
rifl esso della tosse a scopo antalgico.
Assicurare la respirazione : insegnare ad
eseguire esercizi respiratori e di tosse, drenaggio
posturale, azioni: favorire l’esecuzione di
esercizi respiratori (atti: respirazione diaframmatica,
costale, respirazione a labbra socchiuse,
far utilizzare appositi dispositivi), effettuare
percussioni e vibrazioni, far effettuare esercizi
di tosse, effettuare il drenaggio posturale (per
quanto è possibile visto il decubito obbligato);
nel caso in cui si renda necessario : aspirare le
secrezioni delle prime vie aeree; dato il rischio
post traumatico di EPA, contusione polmonare,
PNX, versamento pleurico da trauma, vi è la
necessità di rilevare i caratteri della respirazione.
Applicare le procedure terapeutiche
Se il paziente assumeva terapie con anti-coagulanti
orali, andrebbero sospese almeno una
settimana prima dell’intervento, di solito sostituiti
con trattamenti eparinici sottocute; se assumeva
terapia con acido acetilsalicilico, la terapia
andrebbe sospesa almeno 5 giorni prima
dell’intervento; se assume terapie neurolettiche
(es: Anafranil), andrebbero sospese almeno 10
giorni prima dell’intervento. Il tutto avviene su
indicazione dell’ortopedico o dell’ Anestesista
o degli specialisti ognuno per la propria area di
competenza.
Vi sono comunque protocolli specifi ci a riguardo.
In caso di auto somministrazione di terapia
eparinica sottocute a domicilio, il pz sarà edotto
alla pratica oppure sarà individuato il care giver,
importante sarà porre attenzione al dosaggio
del farmaco ed alla corretta applicazione della
stessa procedura.
Il giorno precedente e il giorno stesso dell’intervento
somministrare i farmaci prescritti
dall’anestesista come premedicazione e terapia
domiciliare se indicato dall’anestesista
(azione: Sostituire: somministrare sostanze terapeutiche).
Eseguire le procedure diagnostiche :
esami necessari sono tutti quelli di laboratorio
(esami standard per intervento, gruppo sanguigno
ed eventuale prelievo per la richiesta
di sangue o di sacche predonate), esami strumentali
standard (ECG, RX e Torace) inoltre
RX e/o RMN bacino + articolazione interessata
(eseguire prelievo di sangue venoso, eseguire
ECG, eseguire esami radiologici).
Prima dell’intervento chirurgico, il chirurgo
stesso chiederà all’assistito o a chi legalmente
lo rappresenta il consenso ad essere informato
sull’intervento, sugli effetti dello stesso e
sui rischi ad esso correlati (consenso informato
scritto), in caso positivo procederà a fornire
tutte le informazioni, in caso di accettazione
dell’intervento si assicurerà di far fi rmare lo
stesso consenso.
Stessa procedura sarà adottata per l’anestesista
circa i rischi correlati alla pratica anestesiologica,
l’infermiere quindi porrà attenzione
ai consensi informati scritti, assicurandosi che
siano stati fi rmati.
Fase POST OPERATORIA
Post operatorio Immediato
(dalla fi ne dell’intervento alle prime 24 ore) :
■ controllo parametri vitali (PAO, FC, FR,
SaO2) valido anche per post operatorio intermedio
■ controllo della Diuresi valido anche per
post operatorio intermedio;
■ controllo condizioni generali del paziente
(orientamento, vigilanza) valido anche
per post operatorio intermedio:
IPASVI
■ controllo del dolore (usare scale del dolore
validate (VDS-VAS-NRS) pediatriche
per i bambini e riportare i dati sulla C.I.) portandoli
all’attenzione del medico, controllo
dell’effi cacia della terapia analgesica (generalmente
due accessi: endovena e peridurale)
valido anche per post operatorio intermedio;
■ controllo della ferita chirurgica e delle
fi ches (se presenza di rossore, ematoma,
sanguinamento, adesione della medicazione)
e di eventuali drenaggi (quantità/qualità),
per la medicazione sarà dedicata di seguito
una sezione particolare.
■ controllo dell’arto operato (polso periferico,
sensibilità, motilità, temperatura, colore),
posizionare zuppingher, borsa di ghiaccio
e archetto sollevacoperte, valido anche
per post operatorio intermedio;
■ somministrazione di antibiotico terapia
secondo protocollo di reparto.
■ effettuare prelievi ematici su prescrizione
medica: emocromo di controllo su prescrizione
medica) valido anche per post
operatorio intermedio.
■ pz giovani con intervento programmato
privi di complicanze a differenza di pz anziani
affetti da traumi acuti, su indicazione medica
possono assumere la posizione eretta
senza caricare con l’ausilio di stampelle.
controllo segni di comparsa complicanze che
possono essere:
Generali: immediate (shock, emorragie)
a distanza (embolia polmonare, LDD).
Locali: immediate (rottura di vasi, lesioni
nervose, infezioni, TVP), a distanza (ritardo
di consolidamento, pseudoartrosi)
Post operatorio Intermedio
(dalle 24 ore ai primi 15 giorni dall’intervento) :
Caratterizzato dalla ripresa del movimento graduale,
sotto prescrizione e sorveglianza medi-
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IPASVI
ca, svolta dal fi sioterapista;
controllo ferita chirurgica e medicazione, rimozione
drenaggi (di solito dopo 24/48 ore
dall’intervento): i punti in caso fosse associata
ferita verranno tolti secondo la condizione di
cicatrizzazione, in genere in 15A - 18Agiornata. ■ controllo dello stato di cute e mucose (prevenzione
LDD),
■ controllo canalizzazione e rimozione del CV
a partire dalla 2^ giornata post-operatoria
■ terapia antibiotica (in genere sino alle 24
ore dopo l’intervento) e terapia infusiva sino
a 48/72 ore dall’intervento e comunque
come da protocollo di reparto.
■ la dieta è libera sin dal 1° giorno post operatorio
Post operatorio Tardivo (oltre i 15 giorni
dall’intervento) :
periodo trascorso a domicilio o presso centri di
riabilitazione dove sarà opportuno ed importante
il controllo e la gestione del fi ssatore.
LA MEDICAZIONE
Abbiamo visto in precedenza come prendersi
cura del paziente portatore di fi ssatore esterno,
ora vediamo l’aspetto prettamente tecnico che
riguarda la medicazione del fi ssatore stesso
che rappresenta un aspetto importante. Esiste
una best Practice nelle cura delle lesioni causate
dai fi ssatori esterni in particolare dalle fi -
ches?
Il problema più importante da affrontare è sicuramente
rappresentato dall’infezione del
tratto delle fi ches che rappresenta la complicanza
più temibile. Importante sarà individuare
e riconoscere i segni di una infezione causata
dalle fi ches.
Diverse possono essere le tipologie di pazienti
che possiamo incontrare: pazienti portatori di
FE senza ferita chirurgica (trattati a cielo chiuso)
o pz portatori di FE con presenza di lesioni
che dovranno risolversi per seconda intenzione
oppure pz portatori di FE con ferita chirurgica.
I segni minori di un’infezione sono: arrossamento,
gonfi ore, fragilità cutanea, drenaggio
purulento che migliora con l’incisione della
cute.
I segni maggiori sono rappresentati da: arrossamento,
gonfi ore, fragilità cutanea, drenaggio
purulento che non migliora con l’incisione della
cute e richiede la rimozione del fi ssatore per
ottenere il miglioramento cutaneo.
Due autori, Checketts R. & Otterburn M., propongono
una classifi cazione delle infezioni del
tratto delle fi ches. Uno studio osservazionale è
stato condotto su 353 perni posizionati, nell’arco
di 12 mesi il 54,4 % dei perni ha mostrato
segni di infezione minore, i perni maggiormente
soggetti ad infezione sono stati quelli in prossimità
delle articolazioni.
Si possono distinguere 6 diversi gradi di infezione
dei perni in trazione, vengono considerate
infezioni minori quelle di grado 1-3; infezioni
maggiori quelle di grado 4-6.
1° GRADO: drenaggio modesto e arrossamento
presso l’inserzione del perno;
2° GRADO: arrossamento della cute attorno
al perno, sensibilità dei tessuti molli,
presenza di pus;
3° GRADO: simile al grado 2, ma un trattamento
intensivo locale e l’uso di antibiotici
non sono suffi cienti, i perni devono
essere riposizionati;
4° GRADO: grave coinvolgimento dei
tessuti molli, interessamento di più di un
perno. I fi ssatori esterni devono essere rimossi;
5° GRADO: come il grado 4 ma con presenza
di osteomielite;
6°GRADO: sequestro nella formazione di
osso e persistenza di “sinus” (tratto fi stoloso
a fondo cieco) anche dopo la rimozione
dei fi ssatori esterni. È necessario
un intervento chirurgico.
Tra gli INTERROGATIVI più comuni: Come detergere?
Quali disinfettanti usare? Rimuovere
le croste? Tecnica sterile o pulita? Usare o no
pomate? Quali medicazioni utilizzare? Con
quale frequenza? Si può fare la doccia con il
fi ssatore? L’igiene? Il dolore?La mobilizzazione?
le fonti utilizzate per questa ricerca sono state
diverse
- CDC DI ATLANTA (USA)
- MEDLINE /PUBMED
- RIVISTE DI NURSING ORTOPEDICO
- LINEE GUIDA PREVENZIONE E
TRATTAMENTO DELLE LESIONI DA
PRESSIONE
Tra gli articoli più interessanti
- Lethaby A,Temple J, Santy J. Pin
site care for preventing infections associated
with external bone fi xators and pins. Cochrane
Database of Systematic Reviews 2008, Issue
4. Art. No.: CD004551.
- Ward P., Care of skeletal pins: a literature
rewiew, in Nursing Standard (1998) 12,
39p. 34-38 (di seguito denominato Standard
per la medicazione dei fi ssatori monolaterali
Tra i disinfettanti, acqua ossigenata, iodiopovidone
in soluzione, clorexidina 0,05%.
Lo iodio-povidone è sconsigliato poiché corrosivo
nei confronti dell’acciaio, (W. Dahl 2003)
quando associate iodio e clorexidina hanno
dimostrato di provocare aumento delle infezioni,
ritardo della guarigione ed alterazione della
normale fl ora cutanea. L’uso dell’acqua ossigenata
pari alla clorexidina ed allo iodio-povidone
è associato al ritardo del processo di guarigione
della lesione ed alterazione della fl ora cutanea.
Se utilizzata per le fi ches la lesione va
poi sciacquata con soluzione fi siologica. Due
studi:
Henry c. pin site do we need clean
them? Practice nursing 1996(4) 12,15-7
J.Eric Gordon pin site care during
external fi xation in children
hanno confrontato due gruppi, il primo deterso
con sol salina 0’9 % e alcol 70 % il secondo non
deterso, i risultati hanno dimostrato un numero
IPASVI
minore di infezioni nel gruppo non deterso..
Tra le soluzioni detergenti, Acqua sterile e
soluzione fi siologica sono utili nella cura delle
fi ches ammorbidiscono le croste ed i residui
di essudato In modo da essere facilmente
rimossi, ad esse non sono associate reazioni
avverse.
Rimozione della crosta. Alcuni autori indicano
di rimuovere le croste che circondano la fi ches
in modo da permettere la fuoriuscita di materiale
di drenaggio dai tessuti profondi ed evitare
formazione di ascessi, altri autori sostengono
che le croste rappresentino una barriera alle
contaminazioni profonde , l’orientamento attuale
in attesa di nuovi studi, è quello di rimuovere
le croste al fi ne di permettere il drenaggio.
Tecnica sterile o pulita. Quattro autori
raccomandano tecnica sterile in ambiente
ospedaliero per la presenza di batteri antibiotico-resistenti,
a domicilio è consigliato l’uso di
tecniche pulite.
Le pomate. Le controversie riguardano il “se”
usare o meno le pomate; attualmente sono
sconsigliate e si preferisce lasciare esposte
all’aria le fi ches.
QUALE MEDICAZIONE UTILIZZARE?
Alcuni autori propongono l’uso della medicazione
per un’azione barriera nei confronti delle
fi ches. altri sostengono di lasciarle scoperte
per non bloccare il drenaggio.
“Sisk” propone di medicare le fi ches solo in
presenza di drenaggio e raccomandano l’uso
di medicazioni associate a lesioni cutanee
o se è previsto movimento del tessuto attorno
alle stesse fi ches. “Triguerio” spiega che
L’applicazione di garze sterili, attorno alle fi -
ches, può rappresentare una barriera protettiva
contro: le infezioni aeree e la contaminazione
attraverso le mani del paziente o dei caregivers.
LA FREQUENZA DELLA MEDICAZIONE
Variare la frequenza di medicazione rilevabile
dall’osservazione delle garze
Ward P. Santy J. Bernardo L.M.
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36
IPASVI
La prima medicazione è consigliata dopo 24
ore dall’intervento; In presenza di drenaggio
copioso è consigliata una frequenza della
medicazione ogni 8 ore.
La cura delle sedi delle fi ches, in assenza di
chiari segni di infezione, va eseguita ogni cinque
- sette giorni. In passato, l’indicazione che
si dava era quella di sostituire la medicazione
una volta al giorno.
IGIENE DOCCIA E ABBIGLIAMENTO
Un’adeguata igiene personale sortisce effetto
positivo su circolazione ed idratazione.
È possibile eseguire la doccia , anche con
il FE, quando non sono presenti altre ferite
sull’arto interessato e comunque dopo almeno
dieci - quindici giorni dall’intervento. Durante
la doccia, è opportuno che il paziente strofi ni
delicatamente la cute e la struttura metallica,
in prossimità delle fi ches, utilizzando un detergente
saponoso.
Al termine della doccia è necessario asciugare
accuratamente sia la cute sia la struttura metallica,
utilizzando un telo pulito, procedendo
In seguito alla medicazione.
Per ciò che attiene all’abbigliamento può essere
utile l’utilizzo di capi (tuta o camicie) dotati di
bottoni, anche laterali, per facilitare le operazioni
del cambio dell’abbigliamento.
Il dolore
L’infermiere “misura” e monitora la presenza
o assenza del dolore in ogni paziente regolarmente,
mediante una delle scale validate e
riporta il valore sull’apposito spazio previsto
nella cartella infermieristica, su schede
di valutazione dedicate portandolo all’attenzione
del medico.
ADULTI
VAS (Visual Analogue Scale)
VDS (Verbal Descriptor Scale)
NRS (Numeric Pain Intensity Scale)
Per I bambini saranno adottate scale pediatriche.
Controllo del fi ssatore
Controllare che i dadi o i morsetti siano
serrati
Che le fi ches non siano mobili
Che I fi li non siano rotti
Che i fi li di K. all’esterno della struttura
siano curvati
Che i bordi taglienti dei chiodi siano Coperti
Che vi sia uno spazio suffi ciente tra il fi ssatore
e la cute in caso di edema.
MOVIMENTO E DECUBITO
Ogni sede di applicazione del FE presenta
delle particolarità di assistenza.
Se il fi ssatore è posizionato sulla gamba prestare
particolare attenzione alla posizione del
piede perché, se non sostenuto, tende ad assumere
una postura errata (equinismo) con diffi -
coltà e dolore nel recupero. Perciò, la posizione
corretta è data dal posizionamento della scarpetta,
o ciabatta, sostenuta con dei tubolari in
lattice per dare una tensione tale da mantenere
il piede a novanta gradi rispetto alla gamba.
Se il fi ssatore è collocato sul braccio,(omero)
è opportuno posizionare un supporto per
sostenere gomito ed avambraccio (reggi -
gomito).
Se di polso sarà opportuno sostenere polso e
mano ove vi sia diffi coltà iniziale all’estensione
del polso con rischio di permanenza del defi cit.
Conclusioni
Ricerca scientifi ca dove sei?
È defi citaria in questo settore specifi co del
wound care dove Non esistono protocolli..per
cui Parlare di EBN (evidence based nursing)
può risultare aleatorio.
Un trattamento standard delle sedi delle fi ches
resta ancora da individuare..
Tutti gli autori sono concordi nel sottolineare
che è scarsa la ricerca infermieristica in que-
IPASVI
sto ambito, le raccomandazioni sono di livello
II, spesso le affermazioni derivano dai “principi
di guarigione delle lesioni croniche” e le raccomandazioni
sono basate sulla preferenza del
singolo autore.
BIBLIOGRAFIA
● Cohen, A. (1991). Body image in the
person with a stoma. Journal of Enterostomal
Therapy ; 18(2), 68-71. L’immagine
corporea nella persona con una stomia;.
Journal of enterostomale Therapy 18 (2),
68-71.
● Center for Disease Control, Linee
guida per la prevenzione delle infezioni del
sito chirurgico.
● Lee – Smith J., Santy J. Davis P., Jester
R., Kneale J., Pin site management.
Toward a consensus: Part I, in J. of Orthopedic
Nursing (2001) 5, p. 37 – 42
● Ward P., Care of skeletal pins: a literature
rewiew, in Nursing Standard (1998) 12,
39 p. 34-38
● Bereton V., Pin-site care and the rate
of local infection, in Journal of wound care
(January 1998) vol. 7 n. 1, p. 42 – 44
● Libro degli Abstracts – Congresso
ASAMI 2003 – Lecco 8-10 Maggio, 2003
● Lethaby A,Temple J, Santy J. Pin site
care for preventing infections associated
with external bone fi xators and pins. Cochrane
Database of Systematic Reviews
2008, Issue 4. Art. No.: CD004551. DOI:
10.1002/14651858.CD004551.pub2.
● Sisk,T.(1983) general principles and
techniques of external skeletal fi xation.
Clinical orthopaedics and related research
198:96-100 (OP CIT.IN McKENZIE LL
1999)
● Triguerio, M 1983 pin site care protocol.
Canadian nurse; 79:8,24-26. (OP cit in
Mckenzie LL 1999).
● M. Cantarelli “Il modello delle prestazioni
infermieristiche” Masson Milano 1997
37
38
IPASVI
IL RUOLO DEL COORDINATORE INFERMIERISTICO E DEL TEAM NELLA
PROGETTAZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE INFERMIERISTICA PER LA TRACCIABILITÀ
DEL PERCORSO EDUCATIVO DEL BAMBINO DIABETICO
Dott.ssa Italia Cilino
Infermiera Piattaforma Ambulatoriale - Grottaglie
Il D.M. tipo 1 (diabete infantile o autoimmune)
è l’endocrinopatia più frequente nell’età pediatrica.
Il futuro dei bambini diabetici è cambiato
signifi cativamente negli ultimi decenni.
Il progresso nella cura del diabete si fonda su
solide basi, è frutto sia delle nuove conoscenze
sia del coinvolgimento della diade famiglia – paziente.
Entrambi questi fattori sono propedeutici
per poter “educare” a gestire una malattia così
complessa e instabile come il diabete infantile.
Viene infatti affrontato il tema dell’educazione
terapeutica come strumento indispensabile per
migliorare la qualità della vita ai piccoli pazienti
e alle relative famiglie.
Mentre l’educazione alla salute è rivolta alle
persone in stato di salute, per promuoverla ulteriormente,
l’educazione terapeutica è un processo
educativo che si propone di aiutare la
persona malata ad acquisire e mantenere la capacità
di gestire in modo ottimale la propria vita,
convivendo con la malattia.
E’ indispensabile che il bambino e la sua famiglia
vengano educati all’autogestione, devono,
cioè, essere aiutati nell’acquisizione della
capacità di autogestire la propria vita in presenza
di diabete, di svilupparla, potenziarla e soprattutto
di metterla in pratica.
I dati riportati dalla letteratura mondiale indicano
che il DM è una patologia molto costosa
e che si possono realizzare risparmi
signifi cativi per il Servizio Sanitario, riducendo
soprattutto i costi causati dalle complicanze del
diabete attraverso un trattamento attento ed effi
cace della malattia.
Le responsabilità del coordinatore vengono
sempre meno collegate allo svolgimento di attività
assistenziali e sempre più caratterizzate in
termini di soluzione di problemi di funzionamento
dell’unità, per il raggiungimento di migliori
risultati assistenziali. La funzione dell’infermiere
coordinatore si identifi ca nella gestione del
servizio affi dato che consiste essenzialmente
nel guidare un gruppo di operatori e nel creare
le condizioni necessarie per assolvere a tutti i
bisogni assistenziali, educazionali e riabilitativi
dei pazienti (bambini, adolescenti, giovani adulti)
e delle famiglie che afferiscono al servizio. Il
servizio di diabetologia pediatrica esaminato si
trova in un ospedale del brindisino dove vengono
seguiti circa 250 bambini con diabete mellito
tipo 1 attraverso attività di ambulatorio (circa
600 accessi l’anno) e di day – hospital (circa
400 accessi l’anno). Durante l’attività assistenziale
si è osservato che erano sempre le stesse
insicurezze e paure a tormentarli: ricorrevano
frequentemente al servizio perché non in grado
di gestire e soprattutto di prevenire episodi di
ipo o iperglicemia. Questi ripetuti eventi hanno
fatto emergere, all’interno dell’ambulatorio di
diabetologia pediatrica, la mancanza di documentazione
infermieristica destinata alla
tracciabilità del percorso di educazione sanitaria
al bambino diabetico e alle famiglie.
L’osservazione ha portato a formulare l’ipotesi
che un’adeguata educazione terapeutica rivolta
ai bambini e alle famiglie migliora l’aderenza al
piano di cura, favorisce l’autonomia da parte
degli stessi e riduce al minimo le situazioni di
complicanze acute e a lungo termine anche di
quelle croniche.
La prima fase del lavoro ruota intorno all’esigenza
di evidenziare criticità e, nel contempo,
realtà oggettive positive che potrebbero ulteriormente
essere migliorate. Il fi ne ultimo è quello
di ottimizzare la qualità del servizio di diabetologia
pediatrica in questione.
Perché ciò sia possibile, bisogna cercare
di risolvere i punti di debolezza, servendosi di
strumenti effi caci e moderne metodologie di
analisi e progettazione quali diagramma causa
– effetto, tecnica dei sei cappelli per pensare. Il
diagramma causa effetto è il metodo più semplice
ma al tempo stesso più effi cace per indivi-
duare le cause che determinano il problema e
per studiarne le relazioni, che ci permettono di
risolverlo. E’ quasi un procedimento algoritmico
che ci aiuta a risalire alle vere cause e, quindi,
ai veri problemi da risolvere. Edward De Bono,
un’autorità nel campo del pensiero creativo, ha
elaborato un metodo (sei cappelli per pensare),
che utilizza sei cappelli colorati per farsi un
quadro esauriente della situazione. Decidere
di indossare, anche solo metaforicamente, un
cappello per pensare è già, di per sé, un invito
e uno stimolo ad abbandonare i binari del pensiero
passivo, quello di reazione e a predisporsi
ad una forma di pensiero attivo, di azione. Si
è deciso di utilizzare questa metodologia per
affrontare il nostro problema (assenza di un
programma di educazione terapeutica rivolta
ai bambini diabetici e alle famiglie), per entrare
meglio nel merito e per abbracciare anche l’intero
problem solving.
Grazie a ciò è venuto a galla che bisogna
mettere in pratica, sì, un programma di educazione
terapeutica ma che il tutto deve poi essere
monitorato e valutato creando la documentazione
infermieristica per la tracciabilità
del percorso educativo attuato. Il progetto
educativo nel nostro ambulatorio è partito nel
mese di gennaio c. a., e vi hanno preso parte
15 bambini di età compresa tra i 10 e i 12 affetti
da Diabete mellito tipo 1, accompagnati dai
genitori. Gli incontri a tema (10 in tutto) della
durata di 2 ore con cadenza settimanale, sono
stati completati in due mesi e mezzo.
La metodologia usata durante gli incontri è
stata quella del teatro d’impresa con partecipazione
attiva dei piccoli pazienti e delle famiglie.
La valutazione è l’ultima tappa del processo
educativo e, pur essendo molto diffi cile da effettuare,
è imperativa perché è solo attraverso
questo processo che si può verifi care se gli
obiettivi fi ssati sono stati raggiunti. Spetta, quindi,
al coordinatore, all’inizio del percorso educativo,
defi nire con precisione ciò che va misurato.
In questa sede ci limiteremo ad approfondire la
valutazione pedagogica progettando una scheda
che segua il percorso educativo dei 15 piccoli
pazienti che vi hanno partecipato, da inserire
all’interno della cartella infermieristica.
IPASVI
La scheda verrà utilizzata sugli stessi bambini
prima, durante e dopo il corso di educazione
terapeutica per valutarne la validità. Compito
del coordinatore è anche quello di progettare,
insieme al suo team, una scheda di raccolta
dati per tracciare l’effi cacia o meno del percorso
educativo effettuato. Bisogna progettare uno
strumento che valuti se il bambino diabetico ha
fatto propri quegli insegnamenti teorico/pratici
che si è cercato di trasmettere.
La scheda, ideata dal coordinatore insieme
al suo team infermieristico, è un vero e proprio
lavoro di indagine conoscitiva. E’ composta da
un’ unica scheda fronte/retro dove, sul frontespizio,
vi sono tre tabelle che devono essere
compilate dal team di diabetologia, osservando
la capacità pratica del piccolo paziente. Nella
parte posteriore della scheda troviamo, invece,
delle domande rivolte direttamente ai bambini,
alle quali dovranno rispondere mettendo delle
crocette su diverse immagini; questo per testare
la loro conoscenza teorica. La valutazione
fi nale viene, in entrambi i casi, effettuata dal
team che stabilirà se il “compito” nei vari passaggi
è stato: ben fatto , mal fatto , non fatto.
I risultati ottenuti dalle schede raccolta dati sono
stati inseriti in una matrice di Excell predisposta
per il calcolo automatico delle percentuali.
I dati, ricavati dallo studio, anche se attraverso
un campione poco rappresentativo, permettono
di affermare il raggiungimento dell’obiettivo
prefi ssato. La “scheda di raccolta dati per la
tracciabilità dell’effi cacia del percorso educativo”
progettata si è rivelata anche un ottimo strumento
di valutazione. Ha consentito di verifi care
che, le conoscenze teorico/pratiche apprese
dai bambini durante il percorso formativo/educativo,
si sono trasformate in “competenze”. Il
risultato ottenuto non deve essere inteso come
punto di arrivo, bensì punto di partenza per
un ulteriore percorso di crescita professionale.
Lo stimolo a migliorarsi deve essere insito in
questo processo evolutivo, nel quale il coordinatore
gioca un ruolo essenziale essendo chiamato
non solo a semplici compiti organizzativi,
ma soprattutto a sostenere coloro che ne sono
coinvolti, a dettare i tempi giusti, a promuovere
sostanzialmente il “cambiamento”.
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IPASVI
IN VIAGGIO CON...
“NARDINO”
VERSO LA ASL TA
SI è di recente svolto il Seminario di Formazione
del “DISEASE & CARE MANAGEMENT” relativo
al progetto “Nardino” elaborato dall’ AReS Puglia.
Il corso si è svuluppato in 6 gg. con una formazione
professionalizzante di “Care Management”
specifi ca per infermiere “Care Manager”, fi gura
chiave del nuovo modello assistenziale di “presa
in carico globale della persona” affetta da patologie
croniche come malattie cardiovascolari,
scompenso cardiaco, diabete e BPCO.
Il corso si è svolto nella sede formativa della ASL
TA ed ha visto il pieno coinvolgimento di tutti gli
operatori, grazie alla particolare attenzione dedicata
dal personale dell’uffi cio Formazione della
ASL. Dal 22 giugno, tre infermieri C.M., assunti
dalla ASL TA con fondi AReS dedicati, sono già
operativi nell’ambulatorio inf.co di Massafra del
distretto SS 2 interessato dalla riqualifi cazione
dell’ospedale per l’attuazione del nuovo modello
assistenziale per il malato cronico.
Il Chronic Care Model (CCM) è un modello di
cura per le persone affette da malattie croniche
sviluppato dal prof. Wagner1 e dai suoi colleghi
del McColl Institute For Health Care Innovation,
in California, fondato su un nuovo approccio assistenziale
di Care Management, ovvero di presa
in carico globale della persona.
Il modello presuppone il coinvolgimento del CM,
del medico di medicina generale e del medico
specialista che, attraverso interventi mirati, rafforzano
la capacità di empowerment e di self
management, sostenendo la persona che diventa
parte attiva nel processo di cura, generando
nuove prospettive di ben-essere.
Gli infermieri ed i medici di medicina generale
saranno supportati da un software gestionale,
utile sia per la gestione ottimale del percorso di
cura che per le attività di monitoraggio e valutazione,
elementi essenziali del ciclo della qualità
(PDCA).
1 Wagner, E. “The Chronic Care Model” The McColl Institute
For Health Care Innovation, in California
Gruppo di lavoro infermieristico AReS - Puglia
Dott.ssa Girolama de Gennaro, dirigente infermieristica
Dott.ssa Sabina Borracino, CPS coord. infermieristica
Dott.ssa Francesca Bruno, CPS coord. infermieristica
Un progetto ambizioso quello dell’AReS Puglia
che ha avviato un’importante partita insieme agli
operatori sanitari, ai cittadini e alle associazioni
di volontariato che hanno partecipato numerose
al seminario, esprimendo apprezzamenti positivi
per l’iniziativa promossa dall’ARes puglia.
L’intento è quello di trasformare le criticità legati
al piano di rientro 2010-2012, in opportunità rispondenti
sia ai bisogni delle persone affette da
patologie croniche che riequilibrare le disequità
in aumento nella nostra regione. Questa necessità
contingente2 ha imposto al Sistema Salute
un profondo ripensamento, praticabile attraverso
un processo di reingegnerizzazione con l’obiettivo
ed una forte volontà, di potenziare la rete
dei servizi territoriali in grado di offrire sostegno
e accompagnamento alle persone affette da patologie
croniche e/o fragili e di chi se ne prende
cura, evitando che ciò si traduca in marginalità
sociale e sostenendo il principio guida, ovvero
del diritto alla salute.
Il programma prevede di governare il processo
di riorganizzazione delle cure primarie anche
attraverso la costruzione di PDTA (percorsi di
diagnosi, cura e assistenza), unita ad una forte
integrazione socio-sanitaria3 . La riqualifi cazione
dei Servizi Territoriali Distrettuali, l’innovazione
tecnologica professionale, la conseguente valorizzazione
delle risorse umane sono presupposti
necessari per offrire risposte adeguate ai bisogni
del malato cronico.
Valorizzare le risorse umane signifi ca trasformare
il modello assistenziale, tuttora di tipo prestazionale,
con un utilizzo degli operatori quali
meri “compitieri” 4 , cioè esecutori di prestazioni
tecniche con un modello ripensato, in una logi-
2 Cavicchi, I. “I mondi possibili della programmazione
sanitaria” Milano Ed. Mc Graw Hill, 2012
3 Aquilino, A. “Progetto Nardino - modello assistenziale di
gestione dei percorsi diagnostico-terapeutici e di presa
in carico dei soggetti con patologie croniche” Bari ARes
puglia, 2011
4 Cavicchi, I. “I mondi possibili della programmazione
sanitaria” Milano Ed. Mc Graw Hill, 2012
ca di ridistribuzione di nuove competenze fi gure
professionali, come l’infermiere, con un bagaglio
culturale e professionale rinnovato, capace di
offrire un’assistenza innovatrice e funzionale ai
nuovi bisogni assistenziali. Erogare prestazioni
e servizi adeguati ai bisogni della colletività signifi
ca adeguare le caratteristiche degli operatori
agli scopi che si vogliono raggiungere; signifi ca
sviluppare innovative culture di servizio ed, in ultima
analisi, curare lo svilupp professionale delle
risorse umane presenti nelle diverse strutture
sanitarie.
Il sostegno a molti di questi principi rimanda ai
temi della comunicazione per la salute e della
formazionedei professionisti.
Di qui, la necessità di formare personale sempre
più ad alto profi lo professionale che abbia
abilità organizzative, ma che sia anche teso a
quella partecipazione umana e affettiva utile per
creare ambienti di lavoro stimolanti e capaci di
valorizzare la professionalità di ogni individuo
che diventa una parte essenziale per avviare un
cambiamento.
Entriamo nel merito del “Progetto Nardino” che
deve il suo nome a “Leonardo”, progetto pilota
sperimentato positivamente nell’ASL di Lecce e
come si conviene in ogni ambito, l’allievo, ha superato
il maestro!
L’attuazione del progetto ha reso necessaria l’elaborazione
di un Programma Formativo, pensato
secondo la tecnica del “cucito addosso”, attraverso
l’analisi dei bisogni formativi, da cui sono
scaturite le “competenze attese” dei professionisti
coinvolti nel Care Management.
Questa analisi attenta delle diverse componenti,
di cui necessita l’applicazione del modello (clinico-relazionale-gestionale-organizzativo),
ha portato
a determinare la pianifi cazione di 3 momenti
formativi, specifi ci per livelli di approfondimento,
di cui:
1) Il Seminario, della durata di un giorno,
è rivolto a tutti gli attori del Sistema
Sanitario, a qualunque titolo coinvolti,
dall’Assessore alla Salute, al Direttore
Generale dell’AReS, Direttore Generale
e Sanitario dell’ASL, Infermiere,
Coordinatore Infermieristico, Medico
di Medicina Generale, Presidente de-
IPASVI
gli Ordini Professionali dei Medici e degli
Infermieri Fisioterapistici, Psicologi,
Assistenti Sociali e le diverse Associazioni
dei Diritti del Malato (Cittadinanza Attiva);
2) Il corso professionalizzante, della durata
di quattro giorni, è destinato a chi dovrà
attivare la presa in carico, cioè all’infermiere,
anche se è prevista la partecipazione
di altre fi gure professionali come
assistenti sociali, sanitari, medici di medicina
generale e specialisti;
3) Il Modulo di rinforzo, “Work in progress”,
della durata di n. 1 giornata con l’intento
di analizzare e rimuovere eventuali criticità
emerse in fase operativa 5 .
Il programma formativo affronta ambiti diversi,
dal clinico-assistenziale per la conoscenza di
base delle principali malattie croniche, al processo
di nursing e di Care Management, a quello
psicologico, pr comprendere le dinamiche del
gruppo, del singolo e di lavoro, sino a quello informatico,
per la gestione del software dedicato.
Il Progetto Nardino è attivo già in 7 dei primi 8
comuni interessati dal Piano di Rientro, secondo
le modalità previste da Progetto.
- I Modelli Organizzativi
I Modelli Organizzativi su cui si fonda il Progetto
Nardino sono basati su:
- 1) Le Medicine di Gruppo (come nel Progetto
Leonardo), ambulatorio del MMG, le reti e Super
reti;
- 2) Le Case della Salute;
- 3) I Servizi Infermieristici Distrettuali.
Attualmente i modelli organizzativi fanno riferimento
alle Medicine di Gruppo, attivi presso la
ASL LE, e ai Servizi Infermieristici attivi presso la
ASL BT, ASL FG e ASL TA.
- Le fi nalità del Care Management
L’obiettivo del Care Management è quello di individuare
ai bisogni complessi di gestire l’uso
appropriato dei servizi allo scopo di ottimizzare
il funzionamento e nel contempo promuovere
5 Piazzolla, V. “L’introduzione al modello assistenziale di
gestione dei percorsi diagnostici e terapeutici per la presa
in carico delle persone affette da patologie croniche
in Puglia”. Progetto formativo, Bari: AReS Puglia, 2001.
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IPASVI
l’auto-curva/self-management, masimizzando la
conoscenza della propria malattia, riconoscendo
al tempo stesso il diritto di ogni individuo
all’autodeterminazione. Applicando il modello di
Assistenza Cronica, si permette al paziente di diventare
un effi cace self-manager.
La conoscenza informata e consapevole, della
propria condizione di malato cronico permette
l’acquisizione di fi ducia e una nuova prospettiva
di benessere capace di sviluppare il proprio potere
di autocontrollo.
Per riuscire a gestire con successo una condizione
cronica sono essenziali i seguenti requisiti:
- La creazione di una prtnership tra paziente
ed operatore, tale da favorire uno spirito collaborativo;
- Un’educazione del paziente all’autogestione;
- Il desiderio, sia nei pazienti che negli operatori,
di assumere un ruolo attivo e responsabile
all’interno del processo di cura 6 .
- Il ruolo del Care Manager nel Chronic Care
Model
Questo “nuovo infermiere” professionista della
salute, rappresenta, insieme al medico di medicina
generale e lo specialista, la tecnologia essenziale
nonché l’elemento innovatore del nuovo
Sistema Salute pugliese.
Il ruolo del Care Manager nel programma prevede
il supporto e l’educazione dei pazienti, nonché
tutte le modifi che al proprio stile di vita che
infl uenzano il processo di cura.
Il Care Manager deve anche essere in grado di
responsabilizzare i pazienti per ottenere il massimo
supporto determinante per la realizzazione
del proprio profi lo di cura.
Il paradigma che riassume questa tendenza è
quello del Modello Biopsicosociale, che propone
una visione sistematica per la quale la salute
viene ad essere correlata ad una moltitudine di
determinanti, efferenti appunto alle dimensioni
biologica, psicologica, sociale e spirituale.
6 Anderson, G. JL. Wolf, e B. Starfi eld. “Prevence, Expenditure,
and Complications of Multiple Chronic Conditions
in the Enderly”. Vol. 162 Archives of Internal Medicine,
Nov. 11, 2002.
La chiave di lettura per un nuovo approccio assistenziale
non può essere di tipo olistico.
- Il processo di nursing e le otto priorità di
base dell’autogestione
Il Nursing nella sua eccezione si confi gura, da
sempre, come assistenza globale alla persona,
perché favorisce la partecipazione attiva della
stessa, con l’intento di consentire l’autonomia
attraverso la promozione e la produzione della
salute, evitando che l’insorgere di complicanze,
proprie delle malattie croniche, possano ridurre
le aspettative di vita.
Il processo di nursing aiuta il Care Manager ad
individuare una serie di priorità che possono
promuovere l’autogestione/self-management e
sostenere i pazienti a collaborare con loro per
giungere all’auto-responsabilizzazione/empowerment,
rilevante soprattutto coloro che soffrono
di condizioni croniche.
Lorig ha individuato otto priorità riconducibili a tre
aree di controllo di tipo: medico, comportamentale
e emozionale7 .
Il Care Manager, formato sul modello delle otto
priorità di base dell’autogestione, sarà in grado,
con l’ausilio di strumenti come i Decision Support
System e la SWOT Analysis, di aiutare il paziente
ad acquisire responsabilizzazione ed auto-effi
cacia, attraverso la rilevazione di punti di forza,
criticità, minacce e opportunità.
- Le cinque fasi del processo di cura
Per ogni priorità il Care Manager, seguendo il
processo di nursing, dovrà predisporre una serie
di azioni/interventi, tenendo conto delle cinque
fasi basilari che intervengono nel processo
di cura.
La sfi da è il cambiamento culturale per il Sistema
Salute pugliese sostenibile, in linea con le prime
due delle tre grandi fi nalità del Sistema Sanitario
Mondiale (WHO) 8 .
1) Miglioramento della salute:
1a. innalzare il livello medio di salute (goodness);
7 Lorig, K and Associates. “Patient Education: A practical
Approach”. California: Sage Publications, inc: Third Edition,
2001.
8 WHO; Geneva, 2000.
1b. ridurre al minimo le differenze di stato di
salute tra individui e tra gruppi (fairness);
2) Capacità di risposta alle aspettative:
2a. innalzare il livello medio di capacità di risposta
alle aspettative;
2b. ridurre al minimo le differenze di stato di
capacità di risposta alle aspettative;
3) Equità della contribuzione fi nanziaria.
I principali ispiratori del “Progetto Nardino”, fanno
un chiaro riferimento alla funzione sociale della
mission del Sistema Salute:
- Il valore della persona, nella sua concretezza,
unicità, e multidimensionalità che
sono alla base del concetto di umanizzazione;
- il valore del servizio pubblico, come patrimonio
della collettività, che viene garantito
al malato cronico attraverso la continuità
assistenziale territoriale;
- il valore del rispetto delle risorse economiche
pubbliche, che ispira la corretta
gestione nel loro uso, garantendo l’equilibrio
delle risorse economico-fi nanziarie,
la buona gestione del patrimonio, nella
legalità e nella trasparenza che si concretizzano
con un risparmio della spesa
L’opinione dei Care Managers
IPASVI
sanitaria evitando il ricorso inappropriato
alle strutture ospedaliere che devono essere
destinate ai ricoveri per acuti;
- Il valore dell’ugualianza dei cittadini di
fronte al servizio, che fa porre la massima
attenzione alle fasce più deboli rimuovendo
gli ostacoli che ne impediscono il loro
effettivo accesso, attraverso la presa in
carico globale della “persona”.
In questa fase di reintegrazione della concezione
del bene salute, come bene collettivo e quindi,
valore sociale, il “Progetto Nardino” diventa
la strada aperta e percorribile per comprendere
l’essere complesso, dove è possibile praticare
l’arte della cura e delle “care”.
I nuovi professionisti della salute dovranno essere
in grado di far valere e mettere in campo
le proprie competenze, che possono essere affermate
dall’integrazione multiprofessionale e
multidisciplinare attraverso la formazione, anello
inestricabile ed imprescindibile dello stesso processo
di cura.
Puntando sul bene salute, il Progetto Nardino
rende compossibile9 il rapporto tra bisogni e risorse.
9 Cavicchi, I. “Il pensiero debole della sanità”. Bari: Ed.
Dedalo, 2008.
Limiti e scelte errate stanno portando la sanità pugliese ad un punto di non ritorno, mettendo in crisi
l’intero sistema assistenziale, come ormai assodato, anche per la mancata riconversione, contestuale
alla chiusura degli ospedali ed al ridimensionamento delle case di cura. In questo scenario
desolante può capitare che spunti fuori un “PROGETTO NARDINO” destinato a potenziare l’assistenza
territoriale in comuni, come quello di Massafra, dove la dismissione dell’ospedale è ancora
dolorosa. Già individuati i care manager: Anna Turrisi, Benedetta Granio, Annunziata Pomo. Ma
quanto credono in questo progetto?
“ Tanto, perché punta a rafforzare la rete territoriale; punta al lavoro d’equipe: paziente, MMG, Specialista,
Infermiere per stabilire la cosa più giusta per il benessere del paziente, obiettivo primario
del Progetto; punta anche alla prevenzione, ovvero l’Infermiere prende in carico il paziente stabilizzato
o potenziale cronico e lo segue dal punto di vista infermieristico, programmando controlli così
come avviene all’interno di una U.O.
Continua la collaborazione con il medico, cui spetta la prescrizione, mentre a noi interessano
programmazione e prenotazione. Ovvero gli ambiti sono ben defi niti e rispettati, nell’ottica di un
continuum assistenziale in grado di offrire prestazioni di qualità.
La Sanità va verso la deospedalizzazione ed il Progetto Nardino viaggia in questo senso”
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IPASVI
LA CONSULENZA INFERMIERISTICA:
RISULTATO DI UN’INDAGINE NEI PAESI
ANGLOSASSONI
L’anno 1999 vede affacciarsi nel panorama italiano
una serie di progetti sulla creazione di un
servizio di consulenza infermieristica. Questa
esperienza nasce dalla volontà di migliorare la
qualità dell’assistenza infermieristica al servizio
dell’assistito, strutturare e formalizzare l’esperienza
consulenziale (rimanendo sempre
e comunque nell’ambito della propria Azienda
Ospedaliera) ancora basata su canali informali
all’interno della stessa unità operativa o
al massimo tra le unità operative della stessa
Azienda Ospedaliera. Le esperienze dettagliate
emerse dalla ricerca bibliografi ca riguardano
le Aziende Ospedaliere di Modena, Firenze e
Gorizia.
All’interno dell’Azienda Ospedaliera Policlinico
di Modena si è partiti costituendo un gruppo di
lavoro formato da un referente medico e da infermieri
esperti (non sono specifi cati i requisti)
appartenenti alle unità operative di neonatologia,
malattie infettive, dermatologia, oncoematologia,
pediatria con il compito di descrivere
l’iter del progetto e creare degli indicatori per
verifi care i risultati ottenuti:
- assicurare un’uniformità dei comportamenti
professionali, valorizzando le competenze specialistiche
di ogni fi gura professionale;
- garantire un’assistenza effi cace ed effi ciente
valutando la soddisfazione dell’assistito;
- valorizzare le proprie capacità, riconoscere i
propri limiti e declinare le responsabilità ad altri
quando si comprende il limite delle proprie
azioni;
- riconoscere l’integrazione professionale e di
conseguenza valorizzare la formazione infermieristica
come risorsa per fronteggiare i pro-
Dott.ssa Chiara ORIGINALE
Infermiera libero-professionista
blemi dell’assistito;
- verifi care attraverso la somministrazione di
un questionario quali fossero le unità operative
che chiedevano prestazioni consulenziali.
La prima parte del lavoro ha previsto la scelta
delle aree di interesse clinico in cui operare
chiedendo ai colleghi (potenziali richiedenti di
consulenza) le prestazioni specialistiche che
avessero arrecato loro problemi di risoluzione.
Individuate le unità operative di interesse
(Pediatria, Centro Riabilitazione Stomizzati,
Emodialisi, Neonatologia, Ortopedia, Cardiologia,
Malattie infettive, Ostetricia) sono stati creati
degli strumenti operativi attraverso i quali
espletare l’attività consulenziale: un catalogo
o quaderno delle consulenze, una procedura
di attivazione della consulenza infermieristica
e/o tecnica e un modulo di richiesta della
prestazione disponibile in formato elettronico
o cartaceo creato sulla falsa riga del modulo
di richiesta di consulenza medica. Il quaderno
delle consulenze contiene numero di telefono
(per consulenze anche di carattere telefonico)
delle unità operative che prestano consulenza,
l’elenco delle prestazioni consulenziali disponibili,
tempi di erogazione (massimo 24 ore dalla
richiesta), suggerimenti per la preparazione del
paziente all’espletamento della consulenza. La
procedura di attivazione della consulenza (fl ow
chart:) parte dall’analisi del consulente (non
sono specifi cati i requisiti dell’infermiere consulente
si evince solo che non è mai un infermiere
neolaureato né in addestramento) della
pertinenza della richiesta; se la richiesta può
trovare accoglimento successivamente viene
contattato il richiedente e la consulenza viene
espletata in presenza di quest’ultimo; in questo
modo la consulenza diventa un momento
formativo per il collega meno esperto (consulenza
indiretta incentrata sul destinatario), al
quale verrà comunque consegnata una copia
del documento dell’attività prestata e un’altra
copia verrà conservata in archivio per l’analisi
dei dati. Se la consulenza richiede l’utilizzo
dei farmaci, questi verranno prescritti dal medico
referente dell’unità operativa. Dall’analisi
dei moduli di richiesta delle consulenza risulta
che negli anni 2000-2009 il maggior numero di
consulenze espletate sono in ambito neonatologico-pediatrico
e in ambito riabilitativo per
l’assistenza ai pazienti stomizzati
Un’altra realtà che ha sviluppato un progetto di
consulenza infermieristica è stata l’Ospedale
Careggi di Firenze per i dispositivi intravascolari
totalmente impiantabili e la consulenza in
wound care (Progetto Osservatorio Aziendale
sulle lesioni cutanee). Per entrambi i progetti
si è partiti defi nendo innanzitutto i requisiti che
il consulente infermieristico deve possedere.
Per il primo progetto: conoscenza dell’inglese
scientifi co fi nalizzato alla ricerca e lettura di articoli
scientifi ci, esperienza pratica di almeno
3 anni nell’assistenza ai pazienti portatori di
dispositivi intravascolari totalmente impiantabili,
aggiornamento annuale di almeno 20 ore
sul tema in oggetto, conoscenza e utilizzo dei
programmi informatici e delle banche dati, corso
di specializzazione ed esperienza in attività
di tutoring . Per il progetto sulle gestione delle
lesioni cutanee invece l’infermiere consulente
deve possedere: diploma di infermiere, diploma
di maturità, diploma universitario di perfezionamento
in wound care, aggiornamento
annuale di almeno 30 ore sul tema in oggetto,
conoscenza della lingua inglese della lingua
parlata e scritta, esperienza pratica nell’assistenza
di almeno tre anni, esperienza in attività
formativa e del processo metodologico di
qualità adottato dall’Azienda Ospedaliera, conoscenza
della metodologia di ricerca e della
normativa per la stesura dei capitolati e infi ne
utilizzo e conoscenza dei sistemi informatici
(Word, Excel, Internet) (9). Successivamente
per entrambi i progetti si è passati a realizzare
la job description che elenca le competenze
IPASVI
che l’infermiere esperto deve possedere rispetto
all’argomento. Come ultimo step si è identifi
cata la procedura di gestione e realizzazione
della consulenza:tutto parte dalla richiesta congiunta
medico-infermiere (attraverso apposito
modulo) per la valutazione dell’assistito da
parte dell’infermiere esperto. Questo valutando
l’assistito, decide se prenderlo in carico o meno:
se l’assistito risulta idoneo l’infermiere esperto
esegue la raccolta dati, valuta il problema
e mette in atto gli interventi per la risoluzione.
I risultati e l’effi cacia del trattamento verranno
verifi cati e qualora fossero positivi l’infermiere
esperto conferma il trattamento sempre e comunque
riservandosi di monitorare e valutare
l’evoluzione del paziente fi no alla dimissione
(qualora il risultato del trattamento fosse negativo,
l’infermiere deve eseguire nuovamente la
valutazione del problema). Infi ne tutto il processo
di consulenza verrà documentato e inserito
in una banca dati creata appositamente al fi ne
monitorare le consulenze eseguite e elaborare
i dati da discutere in riunioni periodiche che lo
staff utilizza come strumento formativo inseme
a protocolli, linee guida e indicatori di qualità.
Altra esperienza è quella dell’Azienda per i
Servizi Sanitari n.2 di Gorizia (che comprende
ospedale di Gorizia, Ospedale di Monfalcone,
distretto alto Isontino).
Si è partiti nel 1999 costituendo un gruppo di
lavoro di 17 operatori infermieristici, ognuno in
rappresentanza della propria unità operativa,
che volevano aderire al progetto consulenziale.
Da questi si è costituito un gruppo tecnico
di 10 operatori che ha contattato tutte le
unità operative aderenti al progetto cardiologia,
dialisi/nefrologica, rianimazione, chirurgia,
ostetricia,urologia e ambulatorio stomizzati,
pediatria, otorinolaringoiatria, ortopedia, oculistica)
chiedendo loro di proporre i temi di consulenza
che potevano offrire. Lo stesso gruppo
operativo valutando i temi della consulenza
(ad esempio: gestione della stomia uretrale,
sostituzione e medicazione drenaggio pleurico,
controllo desault, istruzione sulla mobilizzazione
del paziente politrauma ecc..) li ha ordinati
e raccolti in fascicoli evidenziati da un bollino
rosso indicando che, all’atto della consultazione,
devono essere sempre accompagnati dai
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IPASVI
protocolli organizzativi del progetto. Successivamente
si è redatto il modulo di richiesta
per la consulenza come strumento operativo,
diviso in due parti: la prima parte contiene i
dati dell’assistito e la diagnosi infermieristica
è riservata all’unità operativa che richiede la
consulenza e la seconda riservata al parere
del consulente che valuterà la pertinenza della
prestazione. La richiesta così compilata verrà
inviata all’unità operativa per la consulenza che
defi nirà i tempi entro i quali espletare l’attività,
distinguendo le prestazioni in immediate
(basta chiamare l’unità operativa, successivamente
verrà inviato il modulo di richiesta ),urgenti
(previa compilazione modulo, eseguite in
giornata) e non critiche (eseguite entro 72 ore).
Il modulo verrà compilato all’origine in triplice
copia: una copia verrà allegata alla cartella infermieristica
dell’assistito, le altre due verranno
trattenute dal consulente (una utilizzata per l’elaborazione
statistica Aziendale e l’altra verrà
inviato al gruppo tecnico per l’elaborazione dei
dati sperimentali). I risultati dell’attività consulenziale
vengono valutati attraverso riunioni di
formazione/informazione periodiche (10). Altri
centri di cura dove sono in atto progetti di consulenza
sono: l’Arcispedale Santa Maria Nuova
di Reggio Emilia (dove l’infermiere consulente
in Wound Care gestisce un ambulatorio
infermieristico e su richiesta medica prende in
carico pazienti con lesioni diffi cili da trattare),
Biella per la consulenza sulla gestione delle
enterostomie e delle cure palliative, Udine, Rimini,
Parma e Genova per la consulenza sulle
lesioni cutanee.
UN’ ESPERIENZA OLTRE L’AMBITO
CLINICO.
Le esperienze consulenziali infermieristiche,
in Italia come abbiamo visto riguardano solo
l’ambito clinico: sono tutte forme di consulenza
effettuate da infermieri esperti in settori nei
quali le competenze si acquisiscono attraverso
anni di esperienza lavorativa pratica nell’assistenza,
diploma universitario di perfezionamento
o specializzazione nell’ambito prescelto
e minimo 20 o 30 ore di aggiornamento annuale
sul tema in oggetto. Il percorso formativo
specialistica (Master di primo e secondo
livello, Laurea Magistrale, Dottorato di ricerca)
permette di possedere invece un bagaglio culturale
di conoscenze che riguardano soprattutto
l’area manageriale. Questo iter formativo
favorisce lo sviluppo del pensiero critico e della
capacità dell’infermiere di districarsi in situazioni
ad alta complessità sia in ambito etico che
in ambito deontologico. Possedendo tutte queste
conoscenze e capacità quindi si potrebbero
ipotizzare ambiti diversi da quello clinico dove il
consulente infermieristico potrebbe prestare la
propria attività:
- la bioetica: ovunque possano sorgere quesiti
relativi all’etica e alla deontologia professionale,
l’infermiere può collaborare alla creazione
di linee
guida o protocolli che guidino l’agire secondo
le migliori evidenze scientifi che;
- l’ambito legale: l’infermiere, attraverso lo
studio degli aspetti concettuali, metodologici
e pratici della dimensione giuridica-legale
dell’assistenza infermieristica, potrà svolgere
attività di consulenza sia internamente alle
Aziende Ospedaliere, sia come rappresentante
di un cittadino (consulenza verso terzi, che
non è argomento di questa tesi) o su richiesta
di organi giudicanti nell’ambito di perizie legali
e nelle cause riguardanti ipotesi di danno
da malpractice o dove verranno messe in discussione
scelte assistenziali o comportamenti
adottati nell’assistenza infermieristica (dimensione
comunque già presente in Italia, grazie
al Master di Infermieristica Forense); - l’ambito
organizzativo: l’infermiere consulente deve
essere in grado di progettare ed intervenire in
caso di problemi organizzativi complessi, deve
saper programmare, gestire e valutare i servizi
assistenziali, conoscere ed applicare i differenti
modelli organizzativi. Ha inoltre competenze
comunicative, relazioni e di gestione dei gruppi
avanzate: è quindi capace di fornire consulenza
su tutti gli aspetti strutturali e relazionali
del proprio lavoro; - la ricerca: la creazione di
protocolli di ricerca o di linee guida può presentare
problematiche di natura metodologica,
legale, organizzativa ed informativa quindi l’ attività
di consulenza può essere relativa alla validazione
del tema di ricerca, alla metodologia
scelta, sul diritto/ dovere al consenso informa-
to dell’assistito rispetto alle pratiche assistenziali,
alla modalità di registrazione e gestione
dei dati (norme sulla privacy) per non sfociare
in controversie legali sulla tutela delle informazioni
e dei dati personali o sensibili.
LA CONSULENZA INFERMIERISTICA NEI
PAESI ANGLOSASSONI
Nei Paesi Anglosassoni, la formazione infermieristica
inizia nel 1900 e viene offerta in
ambito universitario terminando il percorso sia
a livello di diploma che a livello di laurea. Dal
2002 però nel Regno Unito di Gran Bretagna
(Scozia, Galles, Inghilterra) e Irlanda del Nord
e Canada (tranne il Quebec) diventa obbligatoria
la formazione a livello di laurea per uniformare
ed elevare lo status formativo dell’infermiere
(ad esempio prima esisteva anche la fi -
gura dell’infermiere pratico che, in possesso di
una licenza dopo uno o due anni di corso, era
autorizzato ad esercitare la professione entro i
limiti di un defi nito ambito di esercizio e sempre
sotto la supervisione (diretta o indiretta) dell’infermiere
abilitato). In Australia la transizione
della formazione a livello universitario è iniziata
circa dieci anni prima e ad oggi la formazione
post base offre varie aree di specialità clinica
per implementare conoscenze nella pratica
clinica nel campo dell’ostetricia, neonatologia,
pediatria, area critica, nefrologia, salute mentale,
emergenza, neuroscienze, ortopedia, oncologia,
lesioni spinali, sala operatoria, nursing
respiratorio e cardiotoracico.
Il percorso di studi universitario si divide in corsi
pre-registration e post-registration. Il postregistration
include tutti i percorsi di formazione
che si possono seguire, una volta concluso
il corso di pre-registration. Il corso di laurea
(pre-registration) della durata di tre anni, consiste
in una preparazione della durata di 18 mesi
ed una specializzazione di ulteriori 18 mesi nel
campo di specializzazione prescelto divenendo
così anche infermiere specializzato (advanced
expertice) in un campo specifi co dell’assistenza
infermieristica.
I campi per la specializzazione includono:
- assistenza a pazienti anziani;
- assistenza a pazienti con patologie mentali;
- assistenza a pazienti portatori di handicap;
IPASVI
- assistenza pediatrica.
Al termine del corso triennale pre-registration
si ottengono due qualifi che: una di tipo accademico
( Diploma o Degree Base nurse) divenendo
così infermiere di base abilitato all’esercizio
della professione (registered nurse) e una
di tipo professionale che consente l’iscrizione
all’albo professionale, il Nursing and Midwife
Council.
In seguito alla laurea è possibile proseguire gli
studi attraverso i corsi post-registration (corsi di
specializzazione): Corsi di Formazione (Taught
Courses) come il Diploma Post-Laurea (Postgraduate
Diploma) di nove mesi e il Master
di un anno, oppure attraverso i Programmi di
Ricerca (Research Programmes): due anni nel
caso del Master in Filosofi a della professione
(Master of Philosophy) o tre anni per Dottorato
in Filosofi a della professione ( Doctor of Philosophy)
Frequentando e superando i corso di
formazione post-registretion, si diventa infermiere
in assistenza infermieristica avanzata
(advanced nurse practice, nurse pratictioner):
una fi gura che avendo acquisito una base di
conoscenze tali da arrivare a livello di esperto
e possedendo competenze cliniche per esercitare
una pratica estesa (expanded) in accordo
con gli standard dell’assistenza infermieristica
e della pratica migliore (nursing and best practice
standards) attua procedure, trattamenti e
gli interventi che rientrano nell’autorità legale
della propria fi gura
La fi gura dell’infermiere consulente nei Paesi
Anglosassoni nasce in risposta ad un identifi
cato bisogno di infermieri esperti in pratica
clinica, per raggiungere i migliori risultati nella
cura degli assistiti, garantendo agli stessi una
carriera strutturata proporzionata alle loro vaste
competenze. Il Governo del Regno Unito
infatti, defi nì il ruolo dell’infermiere consulente
per offrire una struttura professionale per infermieri
specialisti con adeguata remunerazione
economica, con il requisito di una base solida
in pratica clinica che occupasse il 50% del loro
tempo lavorativo (Circolare del Servizio della
Salute 217/1999). Nel settembre del 1998 fu
annunciata la nascita della fi gura dell’infermiere
consulente e introdotta nel Servizio Nazionale
della Salute in Inghilterra, Scozia, Canada
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IPASVI
(tranne nel Quebec) e Wales (Australia)
Il ruolo dell’infermiere fu introdotto per la prima
volta nel Regno Unito nel 1999-2000. L’infermiere
consulente è colui il quale deve aver
conseguito un Master o un Dottorato in ambito
clinico, essere registrato come infermiere e
possedere un’ulteriore qualifi cazione professionale.
Ci si aspettava che queste fi gure fossero
competenti per iniziare e condurre la pratica
clinica, l’educazione e lo sviluppo dei servizi. In
una circolare del 1999 del Servizio della Salute
furono defi nite quattro funzioni core che l’infermiere
deve possedere:
- esperienza nella pratica clinica (autorevolezza
clinica);
- leadership professionale e consulenza (prendere
decisioni avanzate);
- educazione e sviluppo (capacità di ‘fare rete’,
lavoro in collaborazione, comprensione delle
implicazioni etiche medico-legali e professionali);
- pratica e sviluppo dei servizi legati alla ricerca
e alla valutazione (valutazione dei risultati di
gruppo).
In aggiunta alle capacità cliniche l’infermiere
consulente deve possedere consapevolezza
strategica, capacità politiche ed intelligenza
emozionale:
- autorevolezza clinica: competenza essenziale
non solo fra pari ma anche con altre professioni
o organizzazioni (stakeholders) che interagiscono
con gli infermieri consulenti;
- consapevolezza strategica: comprende la
consapevolezza del ruolo strategico, del potere
di infl uenza e delle abilità che deve possedere
un infermiere consulente;
- capacità di leadership: comprende la capacità
di esercitare la leadership sull’intera area di
specialità dell’infermiere consulente;
- capacità di relazionarsi o ‘di fare rete’: comprende
la capacità di di comunicare e di stare
all’interno di reti locali, regionali, nazionali e alcuni
anche internazionali;
- lavoro in collaborazione: comprende la capacità
di lavorare in collaborazione, mantenendo
la centralità del paziente;
- prendere decisioni avanzate: defi nisce la capacità
di prendere decisioni anche in situazioni
cliniche complesse;
- comprensione delle implicazioni etiche, medico-legali
e professionali: descrive la capacità di
rifl ettere, formalizzare e regolarizzare le procedure
di lavoro, i percorsi assistenziali o nuove
pratiche da attivare, tenendo conto anche delle
implicazioni etiche, medico-legali e professionali;
- valutazione dei risultati del gruppo: capacità
di misurare o valutare i risultati del singolo o
dell’equipe;
- intelligenza emozionale: capacità di instaurare
con i colleghi e con i pazienti un rapporto
empatico.
Il ruolo dell’infermiere consulente fu defi nito in
Australia nel 1986: deve essere un infermiere
diplomato, abilitato alla professione, con ruolo
approvato dal Dipartimento della salute. Una fi -
gura con minimo 5 anni di esperienza post base
documentata e che deve possedere in aggiunta
titoli infermieristici post base nel campo in
cui egli stesso è specializzato. Fu immaginato
come un esperto in pratica clinica che possiede
vaste conoscenze, esperienza e capacità cliniche
nel campo della propria specialità scelta,
una fi gura che operando in autonomia dirige i
propri sforzi verso il progresso nella cura degli
assistiti, nella pratica infermieristica e fornisce
un servizio di consulenza per infermieri e altri
professionisti della salute. Nel 2000 il dipartimento
della salute de New South Wales defi nisce
e rivaluta il ruolo dell’infermiere consulente
a causa di confl itti nati tra gli stessi ed altre fi -
gure coinvolte in campo clinico. Per defi nire il
tutto furono creati cinque campi di funzioni per
questa fi gura:
- servizio clinico e di consulenza: offrire consulenza
clinica esperta, sviluppare e facilitare
l’implementazione la direzione di piani di cura
per pazienti con complessi bisogni di salute;
- leadership clinica: offrire attività di leadership
che faciliti il continuo sviluppo della pratica clinica;
- ricerca: valutare e utilizzare risultati di ricerche;
- educazione: sviluppare e mantenere specialità
relative a programmi educativi;
- pianifi cazione e direzione dei servizi clinici:
partecipare in processi formali per formulare
piani strategici e operativi per il servizio clinico.
Per defi nire e differenziare ulteriormente la fi -
gura degli infermieri consulenti
venne effettuata una divisione per gradi in
base alla formazione:
- Grado 1: infermiere consulente apprendista
(probationary): un infermiere diplomato, abilitato,
con ruolo approvato dall’Area Health Service,
una fi gura con minimo 5 anni di esperienza
post base documentata e che deve inoltre
possedere titoli infermieristici post base nel
campo in cui lo stesso è specializzato o qualsiasi
altra qualifi ca o esperienza ritenuta idonea
dall’Area Health Service.
- Grado 2: infermiere consulente avanzato (profi
cient): un infermiere diplomato, abilitato, con
ruolo approvato dall’Area Health Service, una
fi gura con minimo 5 anni di esperienza post
base documentata, con almeno 3 anni di esperienza
in campo specialistico; inoltre deve possedere
titoli infermieristici post base nel campo
in cui lo stesso è specializzato, o qualsiasi altra
qualifi ca o esperienza ritenuta idonea dall’Area
Health Service. Un datore di lavoro può anche
richiedere la più alta qualifi cazione in un campo
infermieristico specialistico dove il titolo è
considerato essenziale per l’espletamento del
ruolo dirigenziale;
-Grado 3: infermiere consulente avanzato
esperto (expert): un infermiere diplomato, abilitato
con ruolo approvato dall’Area Health Service,
una fi gura con minimo 7 anni di esperienza
post base documentata, con almeno 5 anni di
esperienza in campo specialistico; inoltre deve
possedere titoli infermieristici post base nel
campo in cui lo stesso è specializzato o qualsiasi
altra qualifi ca o esperienza ritenuta idonea
dall’Area Healt Service. Un datore di lavoro può
anche richiedere la più alta qualifi cazione in un
campo infermieristico specialistico dove il titolo
è considerato essenziale per l’espletamento
del ruolo dirigenziale;
In Canada invece è presente una variante o
meglio una specializzazione della fi gura del
consulente infermieristico, l’educatore infermieristico
(nurse educator). Questa fi gura nasce
dalla necessità di implementare e valutare
i programmi di educazione infermieristica e di
approfondire le conoscenze legate in modo particolare
alla pratica clinica (infatti questa fi gura
IPASVI
è conosciuta anche come educatore clinico:
clinical educator). Viene defi nito educatore infermieristico,
un infermiere laureato, iscritto all’
albo professionale, con 5 anni di esperienza in
pratica clinica, 2 anni di esperienza nell’insegnamento
e conoscenza di tecniche relazionali
costruttive: deve possedere competenza professionale,
capacità di leadership ed essere
continuamente aggiornato sulle evoluzioni legislative.
I settori di attività di questa fi gura sono:
- la formazione: il nurse educator valuta il livello
di apprendimento dell’infermiere, fi ssa per
lui un iter formativo e valuta i risultati ottenuti
con meeting mensili; inoltre essendo una fi gura
sempre presente garantisce la supervisione del
lavoro (divenendo esperto anche nella gestione
dell’errore) e verifi ca direttamente i risultati
della formazione infermieristica sui pazienti;
- la pratica: l’educatore infermieristico provvede
a fornire un modello di pratica professionale,
collaborando allo sviluppo di protocolli e
procedure per offrire assistenza infermieristica
sicura e basata sull’evidenza;
- la consulenza: il nurse educator si presta
come consulente per i diversi professionisti che
compongono lo staff per migliorare il servizio
sanitario erogato da parte di tutta l’èquipe infermieristica
e inoltre partecipa alla selezione di
nuovi infermieri da assumere;
- la ricerca: l’infermiere educatore promuove
il miglioramento della qualità dell’assistenza e
integra la ricerca nella pratica clinica in accordo
con gli standard della pratica basata sull’evidenza.
Il Consiglio Centrale del Regno Unito ha defi -
nito la consulenza infermieristica come un’attività
che si occupa di adeguare i propri confi ni
allo sviluppo futuro della pratica, in modo pionieristico,
sviluppando nuovi ruoli in risposta a
nuovi o diversi bisogni e attraverso la ricerca
e la formazione, arricchisce tutto l’ambito della
pratica assistenziale. Questa defi nizione ben
rispecchia le funzioni di riferimento che si ritroveranno
all’interno della fi gura dell’ l’infermiere
consulente.
Nei Paesi Anglosassoni sono stati defi niti quattro
tipi fondamentali di consulenza infermieristica,
distinti in base al destinatario della consulenza
(modello Caplan):
49
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IPASVI
- consulenza incentrata sul paziente (counselling):
prevista di fronte a pazienti con complesse
problematiche assistenziali;
- consulenza incentrata sul destinatario: il consulente
fornisce al gruppo infermieristico o al
singolo professionista, le proprie indicazioni o
raccomandazioni, non legate ad uno specifi co
paziente ma, ad esempio, ad una categoria di
pazienti, all’utilizzo di una nuova tecnologia o
presidio medico-chirurgico;
- consulenza incentrata sul processo (programma/progetto):
questa forma di consulenza, è
meno focalizzata sugli ambiti clinico assistenziali,
è soprattutto una consulenza metodologica.
Il consulente ha un ruolo di propositore ed
esprime un parere in merito alla modernizzazione
e coerenza interna di un processo, alla
pertinenza e fattibilità di un progetto;
- consulenza incentrata sull’organizzazione/destinatario:
anche in questo caso oggetto della
consulenza non è il paziente ma i professionisti
che formano l’organizzazione: Gli obbiettivi
sono il miglioramento e sviluppo delle condizioni
di lavoro, delle capacità manageriali dei
leader, di previsione e pianifi cazione degli scenari
organizzativi. Da questo si evince che l’attività
consulenziale include e comprende contemporaneamente
entrambi gli ambiti, diretto
ed indiretto. L’ambito diretto riguarda il lavoro
a contatto con l’assistito e la famiglia mentre
l’ambito indiretto riguarda tutte le azioni che
hanno come destinatario il gruppo professionale
e che si rifl ettono in interventi di innovazione,
motivazione, coinvolgimento, formazione e sviluppo
di potenziale. L’infermiere specializzato
che assumerà il ruolo di consulente dovrà possedere
le competenze necessarie in entrambi
gli ambiti: qualora desiderasse sviluppare di
più un’ attività di consulenza prettamente organizzativa
o manageriale non dovrà mai perdere
il contatto con gli sviluppi della pratica clinica
infermieristica .
TECNICHE DI SUPPORTO PER LO STAFF
L’infermiere consulente è ritenuto dai colleghi
infermieri un’effettiva risorsa per il possedimento
di vaste competenze cliniche di base e
avanzate, senza per questo minare la credibilità
di questi agli occhi dei pazienti, ma per spin-
gerli ad intraprendere nuove ‘sfi de’ nell’ambito
della cura degli assistiti ad alta complessità assistenziale.
La maggior parte delle consulenze
richieste si espleta nell’ambito della pratica clinica
e nell’attuazione del Problem Solving, pratiche
che cooperano al sostegno dei colleghi
dello staff. Naturalmente a sua volta l’infermiere
consulente deve godere della fi ducia, base
di tutte le relazioni, del sostegno dei colleghi
e dello staff medico (sostegno individuale),
dell’ausilio delle infrastrutture e delle risorse
(sostegno organizzativo) e dell’utilizzo di una
rete di relazioni nazionali come mezzo per collaborare
e condividere una linea di sviluppo del
proprio ruolo (sostegno nazionale) L’attività di
supporto/formazione dello staff infermieristico
si espleta nell’attuazione di tecniche che sono
abitualmente applicate in ambiti diverse dall’infermieristica
(ad esempio quello della fi nanza)
ma che ben si adattano per i contenuti, quali: il
Mentoring, la Supervisione Clinica, il Feedback,
le Sessioni Individuali (One to one session).
- Il Mentoring (è una relazione volontaria tra
due persone, non un sistema direzionale) che
concede all’allievo di focalizzarsi su un aspetto
particolare della propria carriera; è caratterizzato
da incontri focalizzati ma informali sul problema
che comprendono discussione, sostegno
e consiglio. Il Mentore spesso “spronerà’’
l’allievo ad operare fuori dalla propria zona di
competenza abituale e gli insegnerà ‘la saggezza’
di acquisire conoscenza piuttosto che
capacita’ specifi che.
- La Supervisione Clinica (raccomandata dal
Consiglio di Infermieri ed Ostetriche come
‘buona pratica’) permette alla persona di focalizzarsi
su un particolare aspetto della pratica
clinica: è caratterizzata dalla rifl essione su
azioni compiute e le ripercussioni di queste
sulle azioni future!Il supervisore clinico spesso
spingerà il ‘discepolo’ ad uscir fuori dagli schemi
della linea abituale di procedere e essendo
interessato alla qualità della prestazione offrirà
un feed-back costruttivo.
- Il Feed-back è riconosciuto come metodo per
fare ‘il punto della situazione’, identifi care cosa
è andato bene, cosa non è andato per il verso
giusto, da questo partire per rifl ettere sugli errori
compiuti e insieme fare passi avanti. Per
ottenere questo viene utilizzato il ‘ Modello del
Sandwich’:
- ‘prima fetta di pane’: stabilire la base dei
fatti:cosa è accaduto e perché;
- ‘farcitura’(la sostanza del feed-back): stabilire
cosa è andato bene e cosa no;il
feedback è un processo a doppio senso:essere
capaci di accettare le critiche ed elogi e importante
quanto essere capace di farli;
- ‘ultima fetta di pane’: è la ricapitolazione di tutto
il processo,conducendo insieme il feedback
e valutando il modo per compiere passi in
avanti ).
- Sessioni individuali: per costruire una serie di
relazioni individuali di fi ducia e rispetto all’interno
del team, identifi cando uno scopo comune
da raggiungere.La strutturazione delle sessioni
individuali comprende:
- identifi care tempo e luogo: stimare di quanto
tempo si avrà bisogno e riferire ad altri componenti
dello staff di non essere disturbati in quel
lasso di tempo;
- avendo precedentemente stabilito quale è l’obiettivo
dell’incontro, chiedere quali pensieri si
sono sviluppati sull’argomento;
- rendere sicuri gli altri di essere ascoltati e di
concedere loro ‘tempo di qualità’;
- identifi care ogni problema da discutere;
- ringraziare i colleghi per il tempo dedicato e
per gli input forniti.
Da tutto questo si evince l’importanza e la versatilità
delle competenze della fi gura del consulente
infermieristico, il quale per l’attività svolta
verso i colleghi è considerato da questi come
un leader,una guida che sa’ adattarsi a situazioni
complesse e opera a livello individuale, di
gruppo, organizzativo e strategico.
La leadership del consulente infermieristico
viene esercitata a quattro livelli distinti: individuale,
di gruppo, organizzativo e strategico.
Questa funzione richiede grande competenza
per ‘infl uenzare’ le convinzioni ‘dei più grandi
anziani della professione’, spesso il coraggio di
intraprendere nuove sfi de ed di sostenere e
difendere opinioni che si mostrano contrarie
alla pratica clinica corrente…. la pratica della
leadership del consulente infermieristico esige
un ‘mix’ di competenze da adattare ad ogni ambito
lavorativo per affrontare con grande abilità
IPASVI
le nuove sfi de che la professione richiede, ma
soprattutto richiede un sostegno della persona
e del ruolo da parte dei colleghi dello staff per
permettere che questa fi gura continui a sviluppare
al meglio le proprie potenzialità.
VERSO LA FIGURA DI UN MANAGER
Nel Dipartimento del Consiglio Sanitario nel Regno
Unito uno degli obbiettivi dall’introduzione
della fi gura del consulente infermieristico era
quello di garantire migliori risultati per i pazienti
(migliorando i servizi e la qualità) e rafforzarne
la leadership, garantendo così l’opportunità di
una nuova carriera e un’adeguata remunerazione
economica. Il Dipartimento Sanitario nel
2006 intraprese una revisione dell’infermieristica
e dell’ostetricia e pubblicò: ‘Modernizzando
le carriere infermieristiche-Stabilire la Direzione
puntando sul garantire le nuove direzioni per le
carriere infermieristiche’. Il rapporto riconobbe
il ruolo di guida del consulente infermieristico
e il bisogno crescente di schemi strategici per
intraprendere decisioni e perspicacia nel business
per assicurare massimo guadagno per
acquisire risultati sanitari migliori. Dall’esame
del Dipartimento Sanitario fu pubblicato un
quadro di carriere per modernizzare le carriere
infermieristiche che identifi cano il ruolo del
consulente come il ruolo di miglior prestigio per
infermieri esperti. La futura direzione infermieristica
delineata in questi documenti, fu sostenuta
e rinforzata dalla Commissione del Primo
Ministro nel 2010 nel documento:Cura Frontale:
Il Futuro di Infermieri ed Ostetriche in Inghilterra.
Da uno studio condotto sulle aspirazioni
degli infermieri consulenti sulla progressione
della carriera furono individuate cinque aree di
interesse da parti di questi:
- rimanere nel ruolo di consulenti;
- intraprendere il ruolo di direttore o assistente
di direzione di un servizio di consulenza;
- intraprendere il ruolo di consulente guida;
- intraprendere il ruolo di consulente regionale
o nazionale;
- intraprendere il ruolo di consulente in ambito
educativo.
Le aree dove ad oggi vi sono esperienze di
progressione di carriera di consulenti infermieristici
sono componenti della cultura manage-
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IPASVI
riale: l’area gestionale, strategica, direzionale e
clinica .I ruoli intrapresi da questi sono:
- assistenti o direttori;
- capi di servizi di connessione e direttori di rete
consulenziale;
- consulenti in leadership o in pratica clinica;
- specialisti in pratica clinica.
È da circa 10 anni che, grazie all’accreditamento
professionale, l’infermiere consulente
nei Paesi Anglosassoni lavora al di fuori della
realtà ospedaliera seguendo un Modello di
Gestione della Performance. Secondo tale modello
ciascun infermiere stipula un accordo annuale
di prestazione con l’ente datore di lavoro,
sottoponendo un’analisi semestrale delle prestazioni
e presentando mensilmente un report
alla gestione infermieristica (che espleterà l’analisi
delle prestazioni) sulle attività lavorative
dal quale si evince che la maggior parte delle
prestazioni viene fornita nell’ambito del servizio
clinico e nella consulenza verso i colleghi
(non consulenti), assistiti, caregiver e altri professionisti
della salute (27). Comunque il ruolo
del consulente infermieristico non-medico essendo
il pinnacolo della carriera in ambito clinico
rimane ancora oggi la posizione più ambita;
l’esperienza di consulenza rappresenta inoltre
il punto di partenza e una piattaforma di lancio
per infermieri che hanno aspirazioni anche in
ambito non clinico per capacità strategiche e di
leadership sviluppate.
RISULTATI
Da quanto appreso risulta che partendo già
dall’ambito formativo si riscontrano profonde
differenze tra le due realtà.
Nei Paesi Anglosassoni l’infermiere consulente
per essere defi nito tale oltre all’attività consulenziale
(specialmente in ambito clinico) deve
incrementare e sviluppare ulteriormente: leadership
professionale, educazione e sviluppo,
pratica e sviluppo dei servizi legati alla ricerca
e alla valutazione, autorevolezza clinica, consapevolezza
strategica, capacità relazione e
valutazione dei risultati del gruppo, comprensione
delle implicazioni etiche, medico-legali e
professionali e intelligenza emozionale (capacità
di instaurare con i colleghi e con i pazienti
un rapporto empatico).
In Italia invece non vi è l’istituzione formalizzata
della fi gura dell’infermiere consulente e di
conseguenza dell’attività consulenziali, ma vi
sono progetti da circa dieci anni (per l’Azienda
Ospedaliera San Carlo Borromeo si parte
solo da gennaio 2011) di esperienze consulenziali
(Aziende Ospedaliere: Policlinico di
Modena, Careggi di Firenze, dei Servizi n.2
di Gorizia) all’interno delle quali viene defi nito
infermiere consulente un infermiere con: conoscenza
dell’inglese scientifi co fi nalizzato alla
ricerca e lettura di articoli scientifi ci,esperienza
pratica di almeno 3 anni nell’assistenza
specialistica,aggiornamento annuale di almeno
20 ore sul tema in oggetto, conoscenza e utilizzo
dei programmi informatici e delle banche
dati, corso di specializzazione ed esperienza in
attività di tutoring o anche un infermiere con:
diploma di infermiere, diploma di maturità, diploma
universitario di perfezionamento in campo
specialistico, aggiornamento annuale di almeno
30 ore sul tema in oggetto, conoscenza
della lingua inglese parlata e scritta, esperienza
pratica nell’assistenza di almeno tre anni,
esperienza in attività formativa e del processo
metodologico di qualità adottato dall’Azienda
Ospedaliera, conoscenza della metodologia di
ricerca e della normativa per la stesura dei capitolati
e infi ne utilizzo e conoscenza dei sistemi
informatici (Word, Excel, Internet)
DISCUSSIONE/CONCLUSIONI
Da quanto si evince dai risultati sull’attività
consulenziale e sulla fi gura dell’infermiere consulente
non si può far altro che riscontrare la
profonda discrepanza tra la realtà italiana molto
arretrata dal punto di vista dell’istituzionalizzazione
della fi gura dell’infermiere consulente
e della consulenza infemieristica formale e la
realtà anglosassone che vanta addirittura già
da dodici anni la nascita della consulenza infermieristica
e al giorno d’oggi le prime esperienze
di specializzazione della fi gura dell’infermiere
consulente in ambito manageriale. Anche in
Italia vi sono corsi di laurea post-base come i
Master e iI Dottorato di Ricerca che nei Paesi
Anglosassoni (precisamente nel Regno Unito)
insieme ad una base solida in pratica clinica
sono gli unici requisiti formativi richiesti per
intraprandere il ruolo consulenziale. Considerando
soprattutto i momenti formativi ( come il
Feed-back e le Sessioni Individuali in riunioni
predefi nite e di attività come la Supervisione
Clinica e il Mentoring durante la pratica clinica)
che il consulente nei Paesi Anglosassoni offre e
paragonandoli alle sole riunioni di staff presenti
in Italia (e non ancora in tutte le realtà ospedaliere)
allora viene da proporre ancora con più
enfasi, l’istituzione formalizzata di questa fi gura
in Italia, sottolineando anche il benefi cio che
può trarre il paziente dalla migliore prestazione
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IPASVI
assistenziale fornita. Forse con l’avvento del
consulente infermieristico si potrebbe temere,
in un primo tempo, anche una diatriba professionale
con i medici (come è già successo nei
Paesi Anglosassoni) ma come ogni nuova professione
basta delinearne l’ambito e defi nirne
i confi ni per stabilire un’attività di collaborazione
volta ad avere come unico scopo il bene
dell’assistito, anche perché da ciò che si evince
nelle esperienze consulenziali italiane, vi sono
sompre uno o più referenti medico che collabora
all’interno dei progetti.
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2011 Dec-Feb; 28 (2): 33-40.
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IPASVI
Abbracciamo un sogno
Oltre la malattia. Frammenti di storie di vita, è
il titolo della prima festa dell’oncologia che lo
scorso trenta giugno ha richiamato centinaia
di persone presso l’incantevole parco di Monte
Claro, nella città di Cagliari. Una pagina rilevante
della storia sociale e culturale del capoluogo
voluta e scritta da un gruppo di pazienti,
operatori sanitari e volontari che, insieme, con
spirito di amicizia e solidarietà, hanno operato
per la riuscita dell’evento.
Una giornata magica, ricca di emozioni e divertimento,
non studiata a tavolino, non pensata
dai vertici delle direzioni politiche, né sanitarie,
ma proveniente dal basso, da persone tanto
anonime quanto preziose che da anni seguono,
in maniera più o meno diretta, i percorsi
della malattia: vivendoli in prima persona, da
pazienti, accompagnatori o familiari, oppureper
lavoro e dedizione. Così come riferisce Maria
Dolores Palmas, promotrice dell’iniziativa, in
Dott.ssa Maria Dolores Palmas
Master Psiconcologia - S.C. Oncologia Medica
e DH “Businco” Cagliari
occasione della presentazione della giornata.
Dolores lavora nell’ambito ospedaliero da tanti
anni e ha conosciuto tante storie di vita e tanti
modi di affrontare quanto di bello e meno bello
essa propone: gli insegnamenti che dalle esperienze
possono essere tratti, i cambiamenti degli
stili di vita, ed in particolare, i molteplici modi
di interpretare e dare senso al tempo.
Ecco nascere il sogno di Dolores: far conoscere
alla comunità, fuori dalle strutture ospedaliere,
pensieri, emozioni e signifi cati dei percorsi
di vita dei pazienti oncologici.A partire dallo
scorso inverno, con determinatezza, professionalità
ed entusiasmo organizza calendari di
incontri tra persone che desiderano rifl ettere,
insieme,sui rispettivi percorsi di cura;invita le
pazienti a scrivere le proprie esperienze sul
“senso del tempo”; realizza videointerviste per
la creazione di un fi lmato intitolato “il nostro
tempo”. Ancora, chiede e riceve in dono centinaia
di foulard che serviranno per la realizzazione
del simbolo della giornata: il caleidoscopio
(foto). Così, pian piano, Dolores coinvolge
e condivide il suo sogno con altre sognatrici
disposte a raccontare le proprie storie di vita,
e prende forma un corposo quanto delicato
insieme di materiali, fi lmati e scritti, che documentano
i tanti aspetti della vita segnata dall’esperienza
della malattia.Ed è proprio a partire
dalle storie raccontate che si decide di stilare il
programma della festa e di pensare all’allestimento
di una mostraper la presentazione delle
testimonianze.
Tra i tanti racconti si scelgono ed espongono
su pannelli esplicativi “frammenti” di storie trascritte
a manodalle carissime e generoseSorelle
Povere di Santa Chiara di Iglesias. (foto)
Anche il video “Il nostro tempo” presentato per
la prima volta in occasione della festa è un collage
di “frammenti” di immagini e parole dette
dalle protagoniste delle testimonianze. Il ter-
mine “frammenti”, però, non ha niente a che
vedere con la rottura e la frammentarietà della
vita del paziente oncologico, ma, come tiene
a precisare una giovane paziente,la parola
“frammenti” è strettamente legata al simbolo
dell’evento: per spiegare cosa intendiamo con
la parola frammenti, ci piace proporvi l’esempio
del caleidoscopio, vale a dire un tubo cilindrico
che racchiude frammenti di vetro colorato che
rifl ettendosi in un gioco di specchi angolari vi
producono infi nite combinazioni di immagini e
colori.
Ecco, oggi, ciascuna di noi vi offre il proprio caleidoscopio,
metaforicamente la nostra vita, e vi
offre per alcuni minuti la possibilità di poggiarvi
l’occhio e di vedere delle immagini composte
da frammenti di racconti. Sono combinazioni di
immagini e di colori scelti da noi. Ciò signifi ca
che esistono tante altre immagini e altri colori
legati alla nostra vita, e quindi anche all’esperienza
della malattia, che però oggi non vengono
mostrati, a prescindere che possano avere
il colore della tristezza, della gioia, della felicità,
della spensieratezza.
Una volta che distoglieremo l’occhio dal cilindro,
a ciascuno di noi resterà qualcosa. Logicamente
senza mai pensare di aver capito l’Altro,
perché non lo abbiamo conosciuto, non ci abbiamo
parlato, non abbiamo avuto la possibilità
di ascoltarlo, di conoscere i suoi problemi, i suoi
progetti, il suo passato ,
il suo presente [ ].
I “frammenti” diventano
testimonianze
che trasmettono forti
emozioni, centinaia di
persone le ascoltano
con un silenzio quasi
sacrale,senza mai cogliere
connotazioni di
banalità; colgono signifi
cati legati al senso del
tempo e della vita intesa
come dono. E, come
scrive Valentina sul
diario delle presenze,
la festa dell’oncologia
è una occasione per ripensare
alla propria vi-
IPASVI
tae a ciò che si ha senza saperlo, come anche
un’occasione per arricchirsi spiritualmente: […]
grazie, senza le vostre storie di vita non sarei
riuscita ad apprezzare quello che ho [….].
Alla presentazione della mostra e del fi lmato
seguono momenti di rifl essione e comunicazione
con alcuni medici oncologi che hanno trattato
il tema “Prevenzione e salute”.
Non mancano gli spazi per la convivialità e il
divertimento con attori di cabaret e clown: tra le
tante persone non si riconoscono i pazienti dai
medici, gli infermieri dai familiari dei pazienti, il
dirigente sanitario dal curioso capitato alla festa
per caso: non esistono distanze tra persone,
né colori di divise e di camici,né gerarchie.
Si lascia spazio alle persone: mamme e papà,
fi gli, nonni, fi danzati, fi danzate, amici e parenti.
Tutti, partecipano alla realizzazione della festa
donando qualcosa: contributi in denaro, competenze
lavorative, buona volontà per allestire
le sale, per realizzare torte, tortine e dolci di
ogni foggia.
Ciò che dà rilievo alla giornata è il modo in cui
avviene la condivisione della festa, cioè attraverso
la forma del dono. Il dono che, in qualunque
sua forma, crea e salda legami tra persone.
Il dono che ci fa rifl ettere sulla bellezza
della vita, anche quando ci mette a dura prova.
Il dono come comprova della vera amicizia.
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IPASVI
MI SENTO...
UN PO’ PAZZA...
È nata da un’idea “collettiva” - Direttore di
Struttura Dr.ssa Maria Nacci, Medici, Coord.
Inf. , Infermieri -nel Giugno 2010, una sorta
di ristrutturazione del reparto del Servizio
Psichiatrico di Diagnosi e Cura, ubicato nello
Stabilimento S.G.Moscati.
La motivazione era nel desiderio di creare intorno
al paziente e per il paziente stesso tutto
ciò che può servire, vale a dire un mondo
confacente alle sue esigenze, adeguato ai suoi
bisogni, calato nella realtà, in grado di smantellare
quei timori e quei pregiudizi che permeavano
alcuni colleghi e studenti restii ad entrare
in contatto con il paziente psichiatrico e con il
servizio stesso.
Ma consentitemi di affermare che varrebbe la
pena, anche solo per un istante, guardare la
vita del reparto e del servizio stesso: se ne trarrebbero
insegnamenti e si capirebbero tante
cose, a cominciare dalla umanità dei pazienti
per fi nire all’impegno degli operatori, la cui priorità
è solo e sempre il paziente, centro dell’attenzione
relazionale, pazienti con i quali condividono
momenti ricreativi e ludici.
La carenza infermieristica rilevante potrebbe
ma non frena la cura della condivisione e della
comunicazione.
Il merito è anche della giovane dott.ssa Maria
Nacci, dal febbraio 2010 venuta a dirigere la S.
C. di Psichiatria, portando una freschezza giovanile
che ha contagiato tutti quanti, facendo
nascere negli operatori, fi n ad allora messi in
secondo ordine, la voglia di poter dire “ anch’io
nell’ASL di TA esisto e conto qualcosa”.
Personale, allora, motivato, ma anche pazienti
ben contenti del nuovo reparto. Accade così
che, rientrata in reparto dopo un incidente che
Dott.ssa Filomena Perrucci
Inf.f.f. Coord. Inf. SPDC
mi ha tenuta lontana dal servizio dal 14 giugno
2012 al 1 luglio 2012, sono stata invitata a
pranzo da un paziente che ha tenuto a sottolineare
come, da quando il reparto è in ristrutturazione,
si respira un’aria diversa, di cordialità
e serenità tra degenti ed operatori.
Una soddisfazione, il riconoscimento di un impegno
della struttura e degli operatori, ma, anche,
dei pazienti, soggetti unici.
A breve il reparto sarà inaugurato uffi cialmente
e noi tutti ci auguriamo sia sempre in grado di
dare risposte alle aspettative, a quelle psicopatologie
con le quali veniamo a contatto ogni
giorno.
Noi siamo ben intenzionati a non permettere ad
alcunché di bloccare il cammino intrapreso, ci
auguriamo soltanto che altre fi gure professionali
possano venire a coadiuvarci nel lavoro.
Purtroppo, nel passato abbiamo vissuto problemi
di carenza di organico che non hanno
permesso l’offerta qualifi cata che avremmo voluto
offrire ed alla quale i malati hanno diritto.
Oggi la situazione è migliorata ed ha permesso
di superare alcuni gap, ha permesso di intraprendere
un cammino di “coinvolgimento” che
motiva fortemente e gratifi ca. Così, ad esempio,
io sono stata chiamata nella commissione
per la scelta degli arredi, perché è logico che,
chi opera a stretto contatto con i degenti, possa
poter scegliere il meglio da un punto di vista
alberghiero e dei comfort in generale, rispettando
le necessità dei degenti stessi.
E dare al paziente risposte adeguate nel rispetto
della sua piena totalità psicofsica è uno
degli obiettivi del nostro progetto condiviso .
EVENTO FORMATIVO ITINERANTE
INFERMIERISTICA CLINICA:
STRUTTURAZIONE DI UN PIANO DI ASSISTENZA
Professioni sanitarie cui è rivolto l’evento:
Infermieri
n. partecipanti 100
CORSO GRATUITO
IPASVI
DESCRIZIONE GENERALE
La professione infermieristica si caratterizza come professione sanitaria fondata su un proprio corpo
sistematico di conoscenze e sull’espressione di una competenza autonoma nelle valutazioni, nelle
decisioni e nei comportamenti professionali. Per tale motivo l’esercizio professionale richiede il ricorso
continuo a teorie proprie e l’adozione di metodi e strumenti validi, intersoggettivi e collocati in un contesto
di relazioni multidisciplinari.
Il Corso in oggetto intende introdurre il partecipante ai fondamenti metodologici dell’assistenza
infermieristica, dove l’adozione di un validato e condiviso sistema di regole metodologiche assicura
all’assistenza stessa le condizioni per interpretare correttamente e risolvere con appropriatezza, effi cacia,
effi cienza e sicurezza i problemi di salute posti all’infermiere nei diversi ambiti operativi dell’esercizio
professionale.
Il metodo della disciplina infermieristica maggiormente riconosciuto in Italia, cioè il “processo di
assistenza infermieristica”, è considerato una funzione esplicita sul piano normativo, come sottolinea
il Profi lo dell’Infermiere (D.M. Sanità 739/94), che riconosce l’autonomia professionale connessa
all’identifi cazione dei bisogni, alla formulazione degli obiettivi, alla pianifi cazione e valutazione degli
interventi di competenza.
PROGRAMMA
8.00-9.00 L’infermiere e la titolarità del nursing.
9.00-10.00 I modelli organizzativi: dal “compito” all’assistenza
personalizzata.
10.00-11.00 La metodologia del processo assistenziale:
dalla teoria alla prassi.
11.00-12.00 Strumenti a supporto dell’attività clinica.
12.00-13.00 Strutturazione di un piano di assistenza: confronti esperienziali.
Presentazione delle varie realtà locali.
13.00-13.30 Discussione
13.30-15.00 Intervallo
15.00-18.00 Elaborazione di un piano di assistenza individualizzato
applicato a casi clinici.
18.00-18.30 Discussione in plenaria dei lavori di gruppo.
18.30 Chiusura del corso
Crediti ECM: 10
Sede dell’evento:
12-11-2012 - Centro Monticello, Via K. Marx, 1 - GROTTAGLIE (TA)
24-11-2012 - Sede CIOFS - Istituto S. Teresa, Via P. Capponi, 15 - MARTINA FRANCA (TA)
12-12-2012 - Sede Collegio IPASVI TA, Via Salinella, 15 - TARANTO
LE modalita’ di Iscrizione saranno pubblicate nel Sito del Collegio IPASVI: www.ipasvitaranto.
it a partire dal 15 Ottobre. Il corso sarà riproposto a Gennaio 2013 nelle sedi di Manduria e
Castellaneta.
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IPASVI
IL PRINCIPIO DI “NON DISCRIMINAZIONE” TRA LAVORATORI A
TEMPO DETERMINATO E QUELLI A TEMPO INDETERMINATO:
ANCHE AI PRECARI SPETTANO LE 150 ORE PER IL DIRITTO
ALLO STUDIO E LE FASCE STIPENDIALI.
Sono trascorsi ormai più di dieci anni da quando
è stata emanata la direttiva 1999/70/CE del 28
giugno 1999 da parte della Comunità europea,
con cui sono state dettate a tutti gli Stati membri
le linee guida aventi come obiettivo fondamentale
il miglioramento della qualità del lavoro a
tempo determinato, garantendo il rispetto del
principio di non discriminazione. Ma nulla è ancora
cambiato…..
La direttiva 1999/70/CE , recepita dallo Stato
italiano con il decreto legislativo 368/2001, afferma
che
i lavoratori a tempo determinato non
possono essere trattati in modo meno
favorevole, rispetto ai lavoratori a tempo
indeterminato, per il solo fatto di avere un
contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato,
a meno che non esistano ragioni
oggettive.
Il principio di “non discriminazione” è disatteso
da tutti i CCNL presenti sul territorio nazionale,
ed è per questo che spetta al Giudice del
Lavoro dichiarare la non conformità degli stessi
alla Direttiva comunitaria, disapplicando ogni
norma, articolo o comma in contrasto con esso.
Palesemente in contrasto con la direttiva
1999/70/CE è l’art. 22 del CCNL Integrativo
1998/2001 del Comparto Sanità Pubblica dove
sono concessi appositi permessi retribuiti per il
“diritto allo studio”, nella misura di 150 ore
individuali per ciascun anno, ai dipendenti a
tempo indeterminato. Così come discriminatorio
appare il non garantire anche al tempo determinato
la progressione di carriera attraverso
l’ottenimento delle fasce stipendiali.
Per quanto riguarda il danno patrimoniale da
non progressione di carriera le sentenze che
hanno visto vittoriosi i precari che hanno rivendicato
il riconoscimento ab origine di tale diritto,
INFORMU
Dott. Pierpaolo Volpe
ormai sono innumerevoli e diffi cili da contare.
L’ultima sentenza è di Maggio 2012, dove nella
Sezione Lavoro del Tribunale di Taranto, il dott.
Gentile, ha riconosciuto il diritto alla progressione
di carriera ad alcuni precari della scuola.
Al lavoratore precario spettano in base a quanto
suddetto, anche le 150 ore per il diritto allo
studio, lo ha ribadito laCorte di Cassazione Sez.
Lavoro con Sentenza del 17.02.2011, n. 3871,
nel contenzioso tra Ministero della Giustizia e
un lavoratore precario.
Il principio di “non discriminazione” non deve
essere minato e disatteso da nessuna norma, e
qualora questo avvenisse è nostro diritto e dovere
ricorrere in tutte le sedi opportune.
La Sentenza del 17.02.2011, n. 3871 della Corte
di Cassazione Sez. Lavoro è un precedente rivoluzionario,
che fa e farà giurisprudenza,aprendo
scenari importanti per i lavoratori precari della
sanità, vedendo anche ad essi riconosciuto il
diritto allo studio attraverso l’ottenimento delle
150 ore.
Le prime sentenze in sanità arriveranno a breve
( 20 settembre 2012), dove vedremo riconoscere
anche nel nostro settore l’illegittimità dei
contratti apposti ai precari da parte della Asl sul
posto vacante e la progressione di carriera. In
Giudice del lavoro si pronuncerà in seguito al
ricorso adotto dai precari nei confronti della Asl,
in base ai precedenti giurisprudenziali, secondo
le seguenti possibilità:
1. Contratto a tempo indeterminato + fasce
stipendiali
2. Contratto a tempo indeterminato + risarcimento
del danno (circa 5 mensilità) +
fasce stipendiali
3. Risarcimento del danno pari a circa 20
mensilità + fasce stipendiali.
UTILI a cura di Dott. Pierpaolo Volpe - Inf. Centro Diurno EPASSS - Grottaglie (Taranto)
Il riposo di 2 ore giornaliero spetta anche al lavoratore padre
anche se la moglie non lavora perchè casalinga. La circolare
INPS n. 8 del 17 gennaio 2003 e con quella successiva n. 95bis
del 6 settembre 2006 precisavano che spettava solo ai padri
aventi come moglie una “lavoratrice autonoma”, ma il consiglio
di stato nel 2008 ha riformato il tutto facendo giurisprudenza.
E questo perchè lo status di casalinga è paragonabile
a quello di “prestatore d’opera”( Consiglio di Stato, sez. VI, n.
4293/2008; Cassazione, sez. III, n. 20324/2005 e lettera circolare
del ministero del Lavoro del 12 maggio 2009)
Riposi giornalieri (ex permessi per allattamento)
Entro il 1° anno di vita del bambino sono riconoscibili alla madre
(art. 39):
• 2 ore giornaliere anche cumulabili se l’orario è pari
o superiore a 6 ore
• 1 ora se l’orario di lavoro è inferiore a 6 ore
• 1 ora quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra
struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’azienda
riposi sono riconosciuti anche al padre lavoratore (art. 40):
• quando il fi glio è affi dato al padre
• in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se
ne avvalga
• quando la madre non è lavoratrice dipendente
• in caso di morte o grave infermità della madre
Nell’ipotesi di madre non lavoratrice dipendente, deve essere
ricompresa anche la lavoratrice casalinga (si vedano Consiglio
di Stato, sez. VI, n. 4293/2008; Cassazione, sez. III, n. 20324/2005
e lettera circolare del ministero del Lavoro del 12 maggio 2009)
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INFORMUTILI a cura di Dott. Pierpaolo Volpe - Inf. Centro Diurno EPASSS - Grottaglie (Taranto)
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DA OGGI CERTIFICATI DI MALATTIA
SOLO ON LINE
14/09/2011 - Addio carta per i certifi cati di malattia:
da oggi anche per i dipendenti privati bisognerà
utilizzare le procedure telematiche.
Dopo i dipendenti pubblici, anche per quelli privati
è arrivato il giorno delle certifi cazioni di malattia
on line: da oggi, 14 settembre, non sono
più obbligati a inviarli al loro datore di lavoro
e nemmeno all’Inps, secondo quanto previsto
dalla Circolare n. 4 dello scorso 18 marzo dei
ministri della Funzione Pubblica e del Lavoro.
Il datore di lavoro, dunque, non potrà più chiedere
al lavoratore l’invio della copia cartacea
dell’attestazione di malattia, ma dovrà prenderne
visione avvalendosi dei servizi resi disponibili
dall’Inps. Potrà, tuttavia, chiedere ai propri
dipendenti di comunicare il numero di protocol-
Dott. Pierpaolo Volpe
lo identifi cativo del certifi cato inviato online dal
medico.
Anche il dipendente potrà consultare i propri
certifi cati direttamente sul sito dell’Inps.
Il medico certifi catore dovrà comunque consegnargli
una copia del documento trasmesso per
via telematica e comunicargli il numero del protocollo
del documento.
Questo anche perché, se si verifi casse un impedimento
all’invio telematico (per esempio il
malfunzionamento del sistema di trasmissione),
il lavoratore dovrà tornare alla “vecchia” procedura,
presentando al proprio datore di lavoro
l’attestazione cartacea rilasciata dal medico e,
laddove previsto, consegnando all’Inps il certifi
cato.
RASSEGNA STAMPA
02 settembre 2012
Fibrillazione atriale. I pazienti europei
sono scontenti della terapia
anticoagulante
Per trattare la condizione si assumono
anticoagulanti orali, che necessitano costante
monitoraggio e continua regolazione della
dose. Ma il 60% dei pazienti vorrebbe ridurre lo
screening, l’80% preferirebbe assumere i farmaci
una volta al giorno. Ecco i risultati di una
nuova indagine presentata al Congresso Esc.
02 SET - Oltre il 60% dei pazienti affetti da fi -
brillazione atriale (FA), condizione responsabile
del 15-20 percento degli ictus ischemici,
sarebbe felice di potere ridurre il regolare monitoraggio
del trattamento anticoagulante, così
come il 55% circa vorrebbe rivedere le modalità
di assunzione dell’anticoagulante stesso
che prevede un costante riaggiustamento delle
dosi, e magari preferirebbe arrivare ad assumerlo
una sola volta al giorno. Questo quanto
emerge da un’indagine Daiichi Sankyo presentata
al Congresso della European Society of
Cardiology (Esc) di Monaco. La ricerca è stata
condotta da un team internazionale - di cui fanno
parte ricercatori dell’Università di Ramon y
Cajal di Madrid, della Oxford PharmaGenesis
e del NHS inglese – su un campione di 1.507
pazienti in Italia, Francia, Germania, Spagna e
Gran Bretagna. Dagli stessi dati, emerge anche
una certa insoddisfazione dei pazienti affetti
da questa condizione in tutta Europa, ma
soprattutto in Italia. A dipingere questo quadro
è infatti la 1a Indagine Paneuropea sui Pazienti
con Fibrillazione Atriale (EUPS-AF). “L’obiettivo
dell’indagine – ha dichiarato José Luis Zamorano,
direttore dell’Istituto Cardio-Vascolare
all’Università di Madrid – era quello di cogliere
il punto di vista del paziente sullo stato dell’arte
del trattamento della FA, con riguardo alle aree
in cui è possibile migliorare la sua soddisfazio-
IPASVI
a cura di Dott.ssa Elena De Santis
Inf. D.H.Oncologia P.O. “Giannuzzi” - Manduria (TA)
ne e la sua aderenza alla terapia. È chiaro che
i limiti attuali della terapia anticoagulante sono
legati alla necessità di un continuo monitoraggio
e aggiustamento della dose con il conseguente
carico che ricade sul paziente. Adattare
i sistemi di cura in funzione delle esigenze dei
pazienti risulta cruciale per migliorare l’effi cacia
e la qualità dell’assistenza”. Per giungere
ai risultati, dunque, gli scienziati hanno intervistato
gli oltre 1500 pazienti di età media di
70 anni, concentrandosi in particolare su quelli
che assumono antagonisti della vitamina K
come trattamento anticoagulante orale. Tra
questi, addirittura il 61% avrebbe dichiarato di
vedere di buon occhio la possibilità di ridurre
i monitoraggi, per diverse ragioni: alcuni per
questioni di tempo (28% del totale); altri per
dover andare meno spesso nei centri specializzati
(29%). Molti altri, inoltre, vorrebbero non
dover continuamente aggiustare la dose dei
loro farmaci (55%) e soprattutto sarebbero felici
se potessero assumere le loro medicine solo
una volta al giorno (80%).Ma non solo. Una
delle esigenze fondamentali dei pazienti con
FA è la necessità di conseguire una maggiore
consapevolezza rispetto al proprio regime
di trattamento. “L’ipertensione e la fi brillazione
atriale – ha sottolineato Florian Abel, Medical
Affairs Director Daiichi Sankyo Europa – sono
entrambe patologie croniche con complessi
meccanismi di trattamento, che richiedono un
notevole impegno da parte del paziente; l’indagine
EUPS-AF mostra che gli attuali livelli
di soddisfazione dei pazienti con FA riguardo
ai trattamenti e l’effi cacia dell’assistenza sono
sub-ottimali. Anche lo stesso controllo della
pressione arteriosa, nonostante le opzioni terapeutiche
disponibili, è risultato sub-ottimale.
Per questo è fondamentale adottare in Europa
standard clinici più avanzati per coinvolgere
maggiormente il paziente con FA nella gestione
più diretta e responsabile della terapia antipertensiva”.
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IPASVI
23 agosto 2012
Trapianti. 161 effettuati su bambini
nel 2011. Ma 195 piccoli pazienti
ancora aspettano un organo
Sono stati 73 i trapianti di rene, 60 quelli di fegato
e 28 di cuore. Per il cuore e il fegato l’età
dei pazienti è solitamente superiore ai 9 anni.
Nel caso dei reni, invece, i bambini fi niscono
sotto i ferri prima di averne compiuti 3. Al 31
dicembre 2011 c’erano ancora 117 bambini che
aspettavano un rene, 23 che aspettavano un
fegato e 55 che aspettavano un cuore. Ecco
i dati del Programma nazionale pediatrico del
Cnt.
23 AGO - Il trapianto di organo è un intervento
molto complesso e delicato. Un processo in cui
la speranza di vita per qualcuno si lega inevitabilmente
al dramma di qualcun altro. Quando si
pensa che ad essere coinvolti siano dei bambini,
il quadro si fa ancora più impressionante e
il procedimento ancora più diffi cile e rischioso,
considerata la necessità di reperire organi di
piccole dimensioni compatibili con il corpicino
del paziente.
Eppure stiamo parlando di casi tutt’altro che
eccezionali. Se si considera, infatti, solo cuore,
rene e fegato, sono stati ben 161 i trapianti
effettuati nel 2011 su bambini e adolescenti. In
particolare, 73 i trapianti di rene, 60 quelli di
fegato e 28 quelli di cuore. A rilevarlo sono i
dati del Programma nazionale pediatrico al 31
dicembre 2011 del Centro nazionale trapianti
(Cnt), diffusi nei giorni scorsi dal ministero della
Salute (vedi i dati relativi al cuore, quelli relativo
al fegato e quelli relativi al rene).
Un’occasione anche per fare il punto sull’attività
dei trapianti pediatrici negli ultimi 10 anni:
in particolare, dal 2002 al 2011 sono stati 204
i trapianti di cuore, 653 quelli di fegato e 633
quelli di rene. Ma vediamo i dettagli per ciascuno
dei tre organi.
29 agosto 2012
Il dolore è in testa. Per studiarlo
e combatterlo si fotografa il cervello
Al via a Milano il Congresso Mondiale sul Dolore.
Oltre 7 mila gli esperti da tutto il mondo
riuniti per confrontarsi sugli ultimi sviluppi della
ricerca e della terapia del dolore: dal brain
imaging all’epigenetica, dal dolore viscerale al
mal di testa, fi no all’importanza degli interventi
psicosociali.
29 AGO - Un adulto su 5 soffre di dolore da
moderato a severo Mal di schiena ed emicrania
sono i dolori più diffusi:ogni adulto ha sofferto
di un episodio di dolore muscoloscheletrico
almeno una volta nella propria vita e si stima
che 1 persona su 2 soffra di mal di testa almeno
una volta all’anno. Ma tutti i dolori, rilevano
gli esperti, sono “in testa”. Tanto che oggi
l’analisi del cervello con le moderne tecniche
di brain imaging sta aprendo nuove prospettive
per la terapia e la gestione dei pazienti.Proprio
questa innovazione sarà al centro del 14° Congresso
Mondiale sul Dolore che si è aperto ieri
a Milano. Si tratta del più importante appuntamento
internazionale sul tema della ricerca e
della terapia del dolore, organizzato ogni due
anni dall’International Association for the Study
of Pain (IASP). Sono oltre 7 mila gli esperti che,
provenienti da più di 110 Paesi di tutto il mondo,
si confronteranno fi no al 31 agosto al MiCo
- Milano Congressi per favorire il progresso
scientifi co e contrastare il dolore: un’emergenza
sociale che nel mondo colpisce molti milioni
di persone. “Il brain imaging - ha spiegato Irene
Tracey, presidente del Comitato Scientifi co del
14° Congresso Mondiale sul Dolore, Università
di Oxford - ci consente di ‘vedere’ all’interno
del sistema nervoso centrale umano (encefalo
e midollo spinale) e di misurare il suo funzionamento.
Possiamo ‘osservare’ il cervello
mentre elabora i segnali provenienti dalle aree
danneggiate dell’organismo, generando l’esperienza
conscia del dolore. Così – ha proseguito
Tracey - possiamo identifi care le aree più importanti
da cui nasce il dolore e studiare come
altre aree, una volta divenute attive, lo peggiorino
notevolmente, generando ansia, depressione,
aspettative negative eccetera. Sono
state fatte nuove scoperte e apprese nuove informazioni
sul cervello e sulla centralità del suo
ruolo: speriamo che da qui possano svilupparsi
nuove terapie e nuove strategie per la gestione
dei pazienti”.
29 agosto 2012
Infermieri sempre più giovani.
L’iscrizione all’Albo arriva prima
dei 25 anni
Tra il 2007 e il 2011 la quota di laureati con
meno di 25 anni è cresciuta dal 45,6% al
57,8%. Ipasvi: “Segno evidente di un percorso
universitario che regge e di un appeal ritrovato
IPASVI
nei confronti della professione da parte dei giovanissimi”.
29 AGO - Infermieri sempre più giovani. Diminuisce
ancora, infatti, l’età media di iscrizione
all’albo (e quindi di conseguimento della Laurea
in Scienze infermieristiche). Già bassa nel
2007 (25,3 anni di età in media), è scesa fi no
a 24,7 anni nel 2011. Una riduzione che ha interessato
indistintamente uomini (da 25,5 anni
a 25,2) e donne (da 25,3 a 24,5) così come,
a livello territoriale, ha investito tutte le ripartizioni
geografi che. I dati arrivato dalla ricognizione
della Federazione dei Collegi Ipasvi
sulle “transizioni in ingresso e in uscita dalla
condizione professionale di infermiere” nel
quadriennio 2007-2011. Si tratta di informazioni
utili ad analizzare la reattività della professione
infermieristica alle sollecitazioni della
realtà sociale ed economica del nostro Paese
e alle modifi che che intervengono in essa nel
corso degli anni. Sotto la lente di ingrandimento
sono fi niti i nuovi iscritti agli Albi provinciali
Ipasvi appartenenti alla fascia d’età 22-30 anni,
proprio per fotografare al meglio la transizione
università-lavoro. Quello che emerge è che i
ragazzi diventano infermieri in età sempre più
giovane, appunto. Un successo che, secondo
l’analisi degli uffi ci della Federazione, dipende
da molteplici fattori: “L’accorciamento dei tempi
di conseguimento della laurea derivante da
una maggiore applicazione negli studi, verosimilmente
determinata da una maggiore motivazione
e fi ducia nelle opportunità offerte dalla
professione”. E ancora, “l’anticipo dei tempi di
ingresso ai corsi universitari, almeno in parte
dovuta al fatto che la professione di infermiere
non è più vista come scelta di ‘ripiego’”. In
generale, secondo l’Ipasvi, “l’ingresso ai corsi
universitari di studenti di ‘qualità’, che si rifl ette
positivamente sui punti precedenti. Tutti fattori
che, secondo la Federazione, “testimoniano
di un accresciuto appeal della professione
infermieristica e di una maggiore fi ducia sulle
relative prospettive professionali”. Conclusione
che per l’Ipasvi trova conferma anche nel
dato sulle iscrizioni di giovani 22-30enni, che
per il 2011 parla di un incremento del 17% rispetto
al 2010 e del 53% rispetto al 2007.
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IPASVI
VERTENZA SANTA RITA
Al Presidente della Regione Puglia Dott. Nichi Vendola
All’Assessore alla Salute Regione Puglia Dott. Ettore Attolini
OGGETTO: Licenziamento 26 unità
Il Collegio interviene su:
DELIBERAZIONE ASL-TA
SU TRACHEO-BRONCOASPIRAZIONE
Il Collegio degli Infermieri della Provincia di Taranto esprime profondo rammarico per quanto accade nella Casa di Cura
“S. Rita”, gravata dalle diffi coltà economiche rivenienti dalla riduzione del budget. Il licenziamento collettivo di 26 unità
sarà l’ennesimo attacco alla qualità dell’assistenza e ad una economia già collassata.
La Regione non può limitarsi al riconoscimento verbale delle diffi coltà, deve mettere in atto strumenti per risollevare la
Sanità e dare risposte effi cienti ed effi caci alle domande di salute di una città affossata dall’immobilismo.
Benedetta Mattiacci
Presidente Collegio IPASVI - Taranto
IPASVI
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA”
“MANAGEMENT INFERMIERISTICO
PER LE FUNZIONI DI COORDINAMENTO”
AA.2010/2011-20 LUGLIO 2012 SEDE IDI - TARANTO
ELENCO DEGLI INFERMIERI CHE HANNO CONSEGUITO
LA SPECIALIZZAZIONE:
1) CAFAGNA LUCIA
2) CAVALLO RAFFAELA RITA
3) CIMINO ITALIA
4) GALEANDRO VINCENZA
5) LAGHEZZA RAFFAELLA
6) PANARELLA LEONARDA ANNA
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MASTER UNIVERSITARIO PRIMO LIVELLO
“GESTIONE LESIONI DELLA CUTE
E DELLE FERITE COMPLESSE”
(WOUND CARE)
Art. 1– Istituzione
E’ istituito, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia
dell’Università degli Studi di Roma “Tor
Vergata”, in convenzione con la Provincia Italiana
della Congregazione dei Figli dell’Immacolata
Concezione (PICFIC) - Istituto Dermopatico
dell’Immacolata e la Società scientifi ca
a carattere interdisciplinare AISLEC., il Master
universitario di primo livello in “Gestione
lesioni della cute e delle ferite complesse
(Wound Care) . Il Master sarà effettuato presso
la sedi dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata
di Roma e nelle altre sedi in Italia coinvolte
nella formazione.
Art. 2 - Finalità
Il Corso si rivolge agli operatori sanitari in possesso
della Laurea di primo livello di area sanitaria
in Infermieristica, Ostetricia, Infermieristica
Pediatrica, e diploma di scuola media
superiore quinquennale
A termine del Master lo studente dovrà essere
in grado di:
- Saper effettuare una valutazione complessiva
del rischio di sviluppo di lesioni cutanee nei
pazienti in tutte le situazioni clinico-assistenziali
e a domicilio.
- Individuare ed elaborare gli strumenti infermieristici
per la pianifi cazione assistenziale nel
wound care.
-Individuare, selezionare e utilizzare gli strumenti
e gli ausili idonei per la prevenzione delle
lesioni da pressione.
- Essere in grado di effettuare una valutazione
delle diverse tipologie di lesioni cutanee croni-
STATUTO
che correlate a stati patologici (lesioni da pressione,
vascolari, diabetiche, da ustione, traumatiche
e neoplastiche
- Impostare il trattamento di lesioni cutanee
croniche nella situazione specifi ca, in collaborazione
con le altre fi gure professionali componenti
l’èquipe
- Contribuire al miglioramento continuo della
qualità assistenziale, attraverso l’utilizzo nella
pratica clinica di conoscenze validate secondo
i criteri dell’evidenza scientifi ca e la revisione
periodica degli strumenti operativi in uso nelle
Unità Operative
- Fornire consulenza per la valutazione e il trattamento
delle lesioni cutanee croniche.
- Partecipare ad attività di ricerca infermieristica
nella situazione specifi ca
- Realizzare attività di tutorato clinico nei confronti
di studenti o di altri operatori in formazione
- Conoscere e progettare forme di attività professionale
innovative nell’ambito del Wound
Care
Il professionista che ha conseguito il titolo di
Master in Gestione lesioni della cute e delle
ferite complesse (Wound Care) è colui
che può esercitare una competenza specifi ca
nell’area assistenziale clinica, nell’ambito della
prevenzione e cura delle lesioni cutanee
(disciplina nota nella letteratura internazionale
come “Wound care”, in Italia con il termine
“vulnologia”) e dell’uso delle medicazioni cosiddette
“avanzate”, che può operare nei settori
assistenziali, organizzativi e gestionali ove tali
competenze sono ormai necessarie a realizza-
e un’assistenza sanitaria orientata al cliente, e
impegnata nello sviluppo delle strutture e delle
tecnologie.
Gli sbocchi professionali possibili riguardano
vari ambiti:
responsabili dell’organizzazione, della consulenza
e dell’assistenza ai pazienti con lesioni
cutanee
croniche all’interno dei servizi infermieristici
aziendali; referenti di Unità Operativa per le
problematiche relative al wound care; responsabili
e referenti negli ambulatori infermieristici
vulnologici; referenti nelle ADI per le problematiche
legate al wound care.
Art. 3 - Requisiti di ammissione
Per l’ammissione al Master è necessario il Diploma
di scuola media superiore quinquennale
e la Laurea di primo livello di area sanitaria in
Infermieristica, Ostetricia, Infermieristica Pediatrica,
o titolo equipollente.
I posti saranno assegnati in base ad una graduatoria
generale di merito tra tutti i partecipanti
alla selezione.
Art. 4 - Durata
La durata del Master è di un anno accademico
e l’attività formativa prevista è di 60 crediti pari
a 1500 ore di cui 510 dedicati all’attività didattica
frontale alla presenza di docenti (lezioni
tradizionali, laboratorio guidato, esercitazioni
guidate).
Ai sensi dell’art. 8, comma 1 del Regolamento
didattico di Ateneo, possono essere riconosciute,
dal Consiglio del Master attività formative, di
perfezionamento e di tirocinio seguite successivamente
al conseguimento del titolo di studio
che dà accesso al Master universitario e delle
quali esista attestazione (ivi compresi insegnamenti
attivati nell’ambito di corsi di studio), purché
coerenti con le caratteristiche del Master
stesso. A tali attività vengono assegnati crediti
utili ai fi ni del completamento del Master universitario,
con corrispondente riduzione del carico
formativo dovuto, fi no a un massimo di 20.
La prova fi nale deve essere sostenuta entro
l’ultima sessione del secondo anno accademico
successivo all’ultimo anno di iscrizione al
IPASVI
corso. Oltre tale termine il titolo non è più conseguibile.
Art. 14 - Iscrizione al Master Universitario
Il Master è rivolto a un numero massimo di 30
partecipanti per ogni singola struttura, salvo diverse
indicazioni delle stesse strutture date in
base alla loro capacità recettiva e che saranno
comunque specifi cate nel bando. Il numero minimo
di partecipanti al di sotto del quale il master
non sarà attivato è di 20 per ogni singola
struttura salvo diverse indicazioni delle strutture
in convenzione.
L’ammissione dei candidati è subordinata al
superamento di una prova scritta di tipo psicoattitudinale
di cultura professionale.
La quota di partecipazione verrà stabilita, anno
per anno, dal Consiglio del Master.
La quota stabilita per l’iscrizione è pari a €
2.300,00 suddivisa in n. 2 rate: la prima di €
1.150,00 da versare al momento dell’iscrizione,
la seconda di € 1.150,00 dovrà essere versata
entro il termine stabilito dal bando.
Art. 15 - Obbligo di frequenza
La frequenza al Master è obbligatoria e deve
essere attestata con le fi rme degli studenti.
Una frequenza inferiore al 75% delle ore previste
comporterà l’esclusione dal Master e la
perdita della tassa di iscrizione.
Art. 16 - Conseguimento del titolo
L’attività formativa svolta nell’ambito del Master
è pari a 60 crediti formativi. A conclusione del
Master agli iscritti che supereranno con esito
positivo le prove di verifi ca del profi tto e la
prova fi nale consistente nella dissertazione di
un elaborato su tematiche manageriali, verrà
rilasciato il diploma con il titolo di master universitario
di primo livello in “Gestione Lesioni
della cute e delle ferite complesse (WOUND
CARE)”.
IL MASTER SI TERRÀ IN TARANTO, NELLA
SEDE DEL COLLEGIO IPASVI DI TARANTO,
VIA SALINELLA N. 15.
PER INFORMAZIONI RIVOLGERSI, NEGLI
ORARI D’UFFICIO, ALLA SEGRETERIA DEL
COLLEGIO.
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In questo momento la nostra
città vive una fase drammatica, dilaniata,
come è, dal dilemma salute
e lavoro.
Come infermieri sappiamo che il
diritto alla salute è “diritto inviolabile”
per tutti: per quanti vivono
ambienti lavorativi “a rischio” e
per quanti ne subiscono le conseguenze.
ILVA, ENI, CEMENTIR, occasioni di
lavoro, non possono e non devono
essere fonte di morte. Coniugare
salute e lavoro è un dovere della
società civile, è un diritto sancito
dalla Costituzione. Violare questi
diritti è un reato.
Taranto merita di più del “saccheggio”
al quale è stato sottoposto;
merita rispetto dalla Grande Industria,
ma, in primis, dai rappresentanti
politici e amministrativi che
non sono riusciti a rispettare il loro
mandato.
Taranto merita, anche, che si costruiscano
alternative all’industria,
rispolverando le vocazioni del territorio.
Ma non solo a parole.
Il Consiglio Direttivo
IPASVI - TARANTO