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Tariffa Associazioni senza fi ni di lucro: “Poste Italiane S.p.A.” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/03 (convertito in legge 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 2 DCB TA

ANNO XVIII Numero 2 - Settembre 2012 PERIODICO TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - SPEDIZIONE IN A.P.

“La parola” a Noi


Tariffa Associazioni senza fi ni di lucro: “Poste Italiane S.p.A.” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/03 (convertito in legge 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 2 DCB TA

“La parola”

ANNO XVIII Numero 2 - Settembre 2012 PERIODICO TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - SPEDIZIONE IN A.P.

Comitato di Redazione

G. Argese

L. Calabrese

E. De Santis

Direttore Responsabile

Benedetta Mattiacci

Coordinamento editoriale

e redazionale

Emma Bellucci Conenna

Hanno collaborato:

Benedetta Mattiacci

Giovanni Argese

Angela Carrera

Attilio Gualano

Italia Cimino

Girolama de Gennaro

Sabina Borraccino

a Noi

A. Gualano

G. Mecca

F. Perrucci

Francesca Bruno

Chiara Originale

Maria D. Palmas

Filomena Perrucci

Natalina Segoloni

Pierpaolo Volpe

Elena De Santis

Fotocomposizione e stampa

Stampa Sud spa - Mottola (Ta)

www.stampa-sud.it

Reg. Trib. di Taranto n. 462/94

decreto del 23/03/1994

Questo periodico è as so cia to alla

Unione Stampa

Periodica Italiana

S

ommario

Editoriale ........................................................... Pag. 3

La ASL di Taranto si dota del Comitato Unico di Garanzia » 4

Diario di una dottoressa con la padella ...................... » 17

Progetto di valutazione di Coordinatore Infermieristico » 20

Il gel piastrinico della speranza ..............................

La f issazione esterna:

» 25

aspetti dell’assistenza infermieristica .......................

Il ruolo del Coordinatore Infermieristico

» 26

nel percorso educativo del bambino diabetico ............ » 38

In viaggio con... “Nardino” ..................................... » 40

La consulenza infermieristica .................................. » 44

Abbracciamo un sogno .......................................... » 54

Mi sento un po’ pazza ............................................ » 56

Programma Scientifi co ........................................... » 57

Informutili ......................................................... » 58

Rassegna Stampa .................................................. » 61

Il Collegio interviene ............................................ » 64

Master Management Infermieristico ........................ » 65

Master Universitario .............................................. » 66

Collegio IPASVI

Via Salinella, 15

Tel. 099.4592699 - Fax 099.4520427

www.ipasvitaranto.it - info@ipasvitaranto.it

orari di apertura al pubblico

lunedì - mercoledì - venerdì

9,00- 12,00

martedì 15,00 - 17,30

venerdì 17,00 - 19,00

AVVISO

La redazione si riserva la valutazione degli articoli inviati,

il rimaneggiamento del testo, la pubblicazione secondo

esigenze giornalistiche. Il materiale inviato non è restituito.


IPASVI

L’editoriale

“A

lmeno 2500 nuove unità di

personale in Puglia per garantire i LEA”.

La dichiarazione è dell’assessore regionale

alla salute Ettore Attolini che, nella

relazione generale sulla sanità pugliese,

ha paventato anche la chiusura dei

pronto soccorso senza, peraltro, fare cenno alcuno allo

stato dei nuovi ospedali sui quali è calata una cortina di

silenzio, dopo enfatici e trionfalistici annunci.

La situazione è nel complesso disastrosa per la riduzione

dei fi nanziamenti, per il continuo vivere alla giornata

e all’insegna di tagli, di chiusura dei servizi ai cittadini, di

conferma degli sprechi. Di fatto un Piano di rientro che

fi nora ha prodotto chiusure e dismissioni senza l’attivazione

di servizi alternativi. Sconfortanti i dati:

a) 5000 unità di personale sanitario fuoriuscite

come conseguenza della combinazione blocco del turnover-legge

Fornero;

b) chiusura di 22 presidi ospedalieri (gli ultimi due

entro la fi ne dell’anno) - nella Asl Taranto ad oggi chiusi

gli ospedali di Massafra e Mottola, ma le previsioni sono

di ulteriori tagli -;

c) riduzione per il prossimo anno di 800 posti letto

e di punti nascita.

A fronte, la mancata riconversione e il mancato potenziamento

del territorio, tanto che di recente dal Governo,

nel monitoraggio trimestrale delle regioni sottoposte al

piano di rientro, sono giunte sollecitazioni per l’attuazione

di programmi e riconversioni. Risposte inevase quelle

inviate per il monitoraggio, ulteriore conferma di una

sanità pugliese decisamente in crisi, carente di modelli

organizzativi e gestionali nuovi, anche se esistono timidi

tentativi come il progetto Nardino che vede la presenza

del care manager ovvero dell’infermiere che prende in

carico la persona affetta da “patologie croniche nell’ottica

del continuum assistenziale, attraverso l’acquisizione

di tecniche e strategie specifi che”.

Parliamo di “timidi tentativi” perché la realizzazione del

progetto si presenta irto di diffi coltà, incontra una sequela

di palizzate erette da chi vede nel care manager

un usurpatore o, se vogliamo, un “invasore di campo”.

Ecco allora che, se il progetto Nardino è realtà nella

ASL leccese, nelle altre Asl è speranza. Non vogliamo

lasciarci andare ad inutili sofi smi ma è d’obbligo riconoscere

che sono anche i paletti, anche i bastian contrario

a rallentare il cammino verso una sanità nuova, in

linea con i bisogni e le esigenze della popolazione. Così

il progetto Nardino, che si sviluppa nei comuni oggetto

di riconversione ospedaliera ed impiega infermieri con

onere a carico dell’ARES, stenta a decollare nella ASL

Editoriale

Benedetta Mattiacci

Presidente Collegio IPASVI

TA, sebbene siano stati individuati i care manager e sul

territorio si registri un vuoto effettivo di offerta sanitaria,

tanto più grave in un momento di accertata escalation

di patologie oncologiche, cardiovascolari, patologie su

base allergica, esplose con la grande industria ed avallate

dall’intervento della Magistratura che ha giustamente

disposto il sequestro degli impianti inquinanti dell’ILVA.

Esiste forse a livello di Governo Centrale la volontà di

uno smantellamento del sistema di WELFARE, come affermato

dall’assessore Attolini? Evidentemente, ma la

nostra realtà è anomala anche in questo a giudicare da

quanto accaduto nella casa di cura “S.Rita”, impossibilitata

ad evitare “il ricorso alla procedura di mobilità e/o

di programmare ulteriori e diverse misure atte a fronteggiare

le conseguenze sul piano sociale derivanti dall’attuazione

della medesima procedura” (di licenziamento

collettivo per 26 unità). Dunque, da un lato infermieri

che fanno paura, tacciati di invadenza del campo altrui

(come per i care manager del Progetto Nardino), dall’altro

infermieri ed altro personale sanitario licenziato per le

contrazioni dei budgets, in mezzo malati i cui bisogni di

salute non possono essere soddisfatti per la prevalenza

delle “ragioni economico-fi nanziarie sui principi della universalità

ed equità delle cure”.

Noi, no, non ci stiamo, non ci stiamo ad invadere campi

altrui ed altrui competenze; non ci stiamo ad uno scadimento

della qualità delle prestazioni né ad una riduzione

delle opzioni; non ci stiamo, neppure, a vedere invadere

il nostro campo di competenze. È accaduto, sta accadendo!

E noi abbiamo sollevato dubbi di opportunità e

di sostanziale applicazione in merito alla “selezione pubblica

per titoli e colloquio per eventuali incarichi a tempo

determinato di Operatore Socio Sanitario per la tracheo

bronco aspirazione del paziente non ospedalizzato”.

Noi infermieri sappiamo che la pratica della bronco aspirazione

è estremamente delicata e riguarda pazienti ad

alta complessità assistenziale, quindi passibili di eventi

inattesi, fronteggiabili da chi ha esperienze acquisite per

bagaglio scientifi co-culturale e lavorativo. È intuibile che

qualche giornata di informazione non possa fornire le

capacità per eseguire in maniera competente e corretta

una pratica cosi importante; è fuori dubbio che la mancanza

di competenza e correttezza si traduca in danni

per il paziente, di rifl esso per quel servizio sanitario che

ha operato una scelta economica – l’Oss piuttosto che

l’Infermiere - e si ritrova gravato dal peso dell’errore. Da

rifl ettere.

Allora, la sanità pugliese, che vive una oggettiva diffi

coltà, deve cominciare a sciogliere i molti nodi che la

frenano, a districarsi in quel ginepraio che si ripercuote

sull’offerta sanitaria e sulla qualità delle prestazioni, se

non vorrà dichiarasi fallita!

3


4

IPASVI

LA ASL DI TARANTO SI DOTA

DEL COMITATO UNICO DI GARANZIA

La ASL di Taranto, nel Marzo u.s., rispondendo

ai richiami ordinamentali, che saranno trattati

successivamente nell’articolo, si è dotata del

Comitato Unico di Garanzia, organismo di rilevanza

strategica per la “garanzia” del “benessere

organizzativo”e della lotta alle discriminazioni

nell’ Azienda. Può apparire marginale per

alcuni, oppure campanilistico, precisare che la

“guida”di questo Comitato è stata affi data ad un

Infermiere, precisamente a Battista Baccaro,

neo Presidente, che dichiara:

E’ certamente importante che l’Azienda sanitaria

tarantina, pur attraversata da momenti diffi

cili che in alcuni momenti impongono scelte

di razionalizzazione impopolari, abbia deciso

di dotarsi di un organismo come il Comitato

Unico di Garanzia, segnale della volontà di inserire

elementi di conoscenza su fenomeni di

discriminazione che pure rischiano di esserci

in una realtà lavorativa, per numero di addetti,

Dott. Giovanni Argese

Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche

Infermiere UAL Crispiano - TA

seconda della Provincia ionica dopo l’acciaieria

di Riva. Nella direttiva Ministeriale si afferma

“che l’Amministrazione pubblica ha da

essere un datore di lavoro esemplare”. Sono

personalmente convinto che fenomeni di “discriminazione

strisciante” rischiano di essere

sottovalutati , è per questo che tra le prime

azioni del CUG abbiamo deciso di avviare una

fase conoscitiva, defi nita “del Buon Ascolto”,

allo scopo di valutare, con metodologia scientifi

ca, come viene percepita l’organizzazione

aziendale ed i rifl essi sul benessere lavorativo.

Certo, le risposte possono essere scontate,

ma una cosa sono le sensazioni, altro è

la rilevazione sistematica che certamente ci

metterà nelle condizioni di offrire proposte e

prospettare soluzioni. La stessa composizione

del CUG vede al suo interno professionalità e

competenze importanti, tali che potremo diventare

un luogo di confronto e di elaborazio-


ne. Nell’immediato, l’apertura di uno sportello

informatico potrà essere un primo momento di

elaborazione del disagio, successivamente dovremo

passare al confronto con le varie realtà.

Gli altri gruppi insediati, presieduti e coordinati

ognuno da un componente, offriranno supporti

importanti sulla legislazione regionale vigente.

A tal riguardo la sottoscrizione della “Carta per

le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro”,

avvenuta il 18 giugno nella Sala del Consiglio

regionale alla presenza del Governatore Nichi

VENDOLA, apre un percorso di Confronto con

la Consigliera regionale delle pari opportunità,

Serenella MOLENDINI. Penso che avremo la

possibilità di indicare ipotesi di inclusione lavorativa,

per esempio, per le lavoratrici che

rientrano dalla maternità: in alcuni casi è sperimentabile

il telelavoro, ma anche eventuali

convenzioni agevolate con asili nido e ludoteche.

Altro aspetto è quello della trasparenza

delle procedure sulla fruizione dei diritti: suggeriremo

di uscire dalla “giungla” della modulistica

personalizzata per uffi cio. Accennavo prima

IPASVI

alla possibilità che il CUG possa divenire un

luogo del confronto, oserei dire della possibile

decantazione di eventuali confl itti. La presenza

importante delle Organizzazioni sindacali

ci induce a ipotizzare un protocollo di relazioni

con il Vertice strategico aziendale, che riaffermi

il diritto a corrette relazioni anche al di là della

burocratica prassi “dell’informazione” prevista

dalla vigente legislazione che il più delle volte

rappresenta la volontà di esautorare il ruolo

delle organizzazioni dei lavoratori. Insomma,

un impegno importante attende il CUG della

nostra Azienda; il fatto, poi, che il Direttore

Generale mi abbia indicato alla presidenza

dell’organismo, è certamente un riconoscimento

non solo di tipo personale, ma anche del valore

della professione, avallato dalla presenza

nel Comitato di altri colleghi, segnale che la

nostra presenza è portatrice non di interessi di

parte, ma rappresentativi di un enorme bagaglio

di esperienze che sino a qui, consentitemi

l’affermazione, ci è costato “sangue e sudore”.

In ogni caso penso che conti anche il valore

delle esperienze e la personale storia, non solo

professionale. In sede di presentazione del

Progetto CONCILIA ho avuto modo di affermare

che il nostro compito, per la mole di lavoro, ci

fa tremare i polsi, ma non arretreremo. La mia

è una consapevolezza che si è formata, dapprima,

nel movimento sindacale quindi nella lotta

al superamento dello stigma della malattia mentale

per l’affermazione dei diritti dei “reclusi” nei

manicomi. Come è stata dura la lotta per far

riconoscere al disagio psichico solo la “dignità

di malattia”! Poi il lavoro in emergenza sanitaria

ed ho utilizzato proprio questa esperienza per

evidenziare “il silenzio”- al limite dell’omertà -

che aleggia nei luoghi dove veniamo chiamati

per prestare soccorso a chi ha subito violenza,

quasi sempre familiare e quasi sempre donne.

Ecco il CUG, consapevoli dell’importanza del

contributo di tutti, può servire a sollevare il velo

“sul silenzio” delle discriminazioni. E sarà già

un risultato.

Esaurito il carattere giornalistico dell’argomento,

per poter meglio comprendere il ruolo

di questo Organismo sembra opportuno spiegarne

in maniera più dettagliata i “compiti” e le

origini.

5


6

IPASVI

NASCITA DEL C.U.G. e sue prerogative

L’ordinamento italiano ha recepito i principi

diffusi dall’Unione Europea in tema di pari opportunità

uomo/donna sul lavoro, contrasto ad

ogni forma di discriminazione e mobbing. Nel

1988 il DPR 395 ha previsto la costituzione dei

Comitati per le Pari Opportunità nella Pubblica

Amministrazione attraverso la contrattazione

collettiva (“in sede di contrattazione di comparto

saranno defi niti misure e meccanismi

atti a consentire una reale parità uomo-donna

nell’ambito del pubblico impiego”).

Nel quadro dei recenti interventi di razionalizzazione

dell’amministrazione pubblica, fra

i quali, da ultimo, il decreto legislativo 27 ottobre

2009, n. 150, specifi camente fi nalizzato

all’ottimizzazione della produttività del lavoro

pubblico, si inserisce anche l’art. 21 della legge

4 novembre 2010, n. 183 (c.d. «Collegato

lavoro»), intervenuto in tema di pari opportunità,

benessere di chi lavora e assenza di discriminazioni

nelle amministrazioni pubbliche. La

legge 183/2010, apportando alcune importanti

modifi che agli articoli 1, 7 e 57 del decreto

legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prevede, in

particolare, che le pubbliche amministrazioni

costituiscano (art. 57, comma 1) al proprio interno

il “Comitato Unico di Garanzia per le pari

opportunità, la valorizzazione del benessere di

chi lavora e contro le discriminazioni”, che sostituisce,

unifi cando le competenze in un solo

organismo, i Comitati per le pari opportunità e

i Comitati paritetici sul fenomeno del mobbing,

costituiti in applicazione della contrattazione

collettiva, dei quali assume tutte le funzioni previste

dalla legge, dai contratti collettivi relativi al

personale delle amministrazioni pubbliche o da

altre disposizioni 1 .

In dettaglio:

la Legge 4 novembre 2010, n. 183 – Collegato

Lavoro; In particolare l’art. 21 (Misure atte a garantire

pari opportunità, benessere di chi lavora

e assenza di discriminazioni nelle amministrazioni

pubbliche) prevede:

1. Modifi che all’articolo 1, comma 1, lettera

c) del decreto legislativo 30 marzo

1 Adriana Apostoli – Dipartimento di Sc. Giuridiche Univ.

Degli Studi di Brescia, marzo – aprile 2012

2001, n. 165 e sostanzialmente la realizzazione

della migliore utilizzazione delle

risorse umane nelle pubbliche amministrazioni,

curando la formazione e lo

sviluppo professionale dei dipendenti,

garantendo pari opportunità alle lavoratrici

ed ai lavoratori e applicando condizioni

uniformi rispetto a quelle del lavoro

privato, nonché l’assenza di qualunque

forma di discriminazione e di violenza

morale o psichica.

2. Modifi ca all’articolo 7 (Gestione delle

risorse umane). Viene sostituito il comma

1: Le pubbliche amministrazioni

garantiscono parità e pari opportunità

tra uomini e donne e l’assenza di ogni

forma di discriminazione, diretta e indiretta,

relativa al genere, all’età, all’orientamento

sessuale, alla razza, all’origine

etnica, alla disabilità, alla religione o alla

lingua, opportunità tra uomini e donne

nell’accesso al lavoro, nel trattamento

e nelle condizioni di lavoro, nella formazione

professionale, nelle promozioni e

nella sicurezza sul lavoro. Le pubbliche

amministrazioni garantiscono altresì un

ambiente di lavoro improntato al benessere

organizzativo e si impegnano a

rilevare, contrastare ed eliminare ogni

forma di violenza morale o psichica al

proprio interno.

Il miglioramento dell’organizzazione del lavoro

e la creazione di un “ambiente lavorativo sano”

garantiscono “effi cienza” ed “effi cacia”; questi

fattori, insieme, si traducono sostanzialmente

in miglioramento della “produttività” e “dell’attaccamento

al lavoro”. È chiaro a tutti che, in

un ambiente lavorativo nel quale si verifi chino

episodi di discriminazione o mobbing, inevitabilmente,

si appalesano una riduzione ed un

peggioramento delle prestazioni. Oltre al disagio

arrecato ai lavoratori e alle lavoratrici, si

hanno ripercussioni negative sia sull’immagine

delle Amministrazioni, sia sulla loro effi cienza.

Il “management” deve essere chiamato a rispondere

delle proprie capacità organizzative

anche in relazione alla realizzazione di ambienti

di lavoro improntati al rispetto dei principi


comunitari e nazionali in materia di pari opportunità,

benessere organizzativo, contrasto alle

discriminazioni e mobbing (…la mancata costituzione

del Comitato Unico di Garanzia comporta

responsabilità dei dirigenti incaricati della

gestione del personale…).

CUG: obiettivi

• Assicurare, nell’ambito del lavoro pubblico,

parità e pari opportunità di genere,

rafforzando la tutela dei lavoratori e

delle lavoratrici e garantendo l’assenza

di qualunque forma di violenza morale

o psicologica e di discriminazione, diretta

e indiretta, relativa al genere, all’età,

all’orientamento sessuale, alla razza,

all’origine etnica, alla disabilità, alla religione

e alla lingua. Senza diminuire

l’attenzione nei confronti delle discriminazioni

di genere, l’ampliamento ad una

tutela espressa nei confronti di ulteriori

fattori di rischio, sempre più spesso coesistenti,

intende adeguare il comportamento

del datore di lavoro pubblico alle

indicazioni della Unione Europea.

• Favorire l’ottimizzazione della produttività

del lavoro pubblico, migliorando

l’effi cienza delle prestazioni lavorative,

anche attraverso la realizzazione di un

ambiente di lavoro caratterizzato dal rispetto

dei principi di pari opportunità, di

benessere organizzativo e di contrasto

di qualsiasi forma di discriminazione e di

violenza morale o psichica nei confronti

dei lavoratori e delle lavoratrici. Razionalizzare

e rendere effi ciente ed effi cace

l’organizzazione della Pubblica Amministrazione

anche in materia di pari opportunità,

contrasto alle discriminazioni e

benessere dei lavoratori e delle lavoratrici,

tenendo conto delle novità introdotte

dal d.lgs. 150/2009 (Il sistema di misurazione

valutazione delle performance

deve prevedere il raggiungimento

degli obiettivi di promozione delle pari

opportunità) e delle indicazioni derivanti

dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n.

81 (T.U. in materia della salute e della

IPASVI

sicurezza nei luoghi di lavoro), come integrato

dal decreto legislativo 3 agosto

2009, n. 106 (Disposizioni integrative

e correttive del d.lgs. 81/2008) (benessere)

e dal decreto legislativo 11 aprile

2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità

tra uomo e donna), come modifi cato

dal decreto legislativo 25 gennaio 2010,

n. 5 (Attuazione della direttiva 2006/54/

CE relativa al principio delle pari opportunità

e della parità di trattamento fra

uomini e donne in materia di occupazione

e impiego). La razionalizzazione,

ottenuta anche mediante l’unifi cazione

di competenze, determina un aumento

di incisività ed effi cacia dell’azione, la

semplifi cazione organizzativa e la riduzione

dei costi indiretti di gestione andrà

a vantaggio di attività più funzionali

al perseguimento delle fi nalità del CUG,

anche in relazione a quanto disposto

dall’art. 57, comma 1, lett. d) del d.lgs.

165/2001.

Componenti del CUG

Il Comitato unico di garanzia per le pari opportunità,

la valorizzazione del benessere di chi

lavora e contro le discriminazioni” ha composizione

paritetica ed è formato da un componente

designato da ciascuna delle organizzazioni

sindacali maggiormente rappresentative a livello

di amministrazione e da un pari numero di

rappresentanti dell’amministrazione in modo da

assicurare nel complesso la presenza paritaria

di entrambi i generi. Il presidente del Comitato

Unico di Garanzia è designato dall’amministrazione

(per conoscere i componenti del GUG

della ASL di Taranto vedi allegato n.1).

Requisiti

La complessità dei compiti demandati al CUG

richiede che i/le componenti siano dotati/e di

requisiti di professionalità, esperienza, attitudine,

anche maturati in organismi analoghi e,

pertanto, essi devono possedere:

adeguate conoscenze nelle materie di

competenza del CUG;

adeguate esperienze, nell’ambito delle

pari opportunità e/o del mobbing, del

7


8

IPASVI

ALLEGATO 1

contrasto alle discriminazioni, rilevabili

attraverso il percorso professionale;

adeguate attitudini, intendendo per tali

le caratteristiche personali, relazionali e

motivazionali.

II/le componenti rimangano in carica 4 anni e gli

incarichi possono essere rinnovati 1 sola volta.

Procedura di scelta dei membri del CUG

Al fi ne di accertare il possesso dei requisiti

di cui sopra, l’amministrazione fa

riferimento, in primo luogo, ai curricula

degli/delle interessati/e, eventualmente

presentati secondo un modello predisposto

dall’amministrazione stessa. A

regime, e, ove possibile anche in sede di

prima costituzione del CUG, con riguardo

alla quota di rappresentanti dell’amministrazione,

i curricula potranno pervenire

all’amministrazione a seguito di

una procedura trasparente di interpello

rivolta a tutto il personale (prassi seguita

dalla ASL di Taranto). Il dirigente

preposto al vertice dell’amministrazione


può, comunque, prevedere colloqui con

i/le candidati/e ai quali può partecipare

anche il/la Presidente precedentemente

nominato/a.

Resta salva la possibilità, per le amministrazioni

in cui è consolidata la prassi

dell’elezione dei/delle componenti, di

nominare gli stessi attraverso tale procedura.

CUG: Compiti

Sono quelli che la legge, i contratti collettivi o

altre disposizioni in precedenza demandavano

ai Comitati per le Pari Opportunità e ai Comitati

paritetici sul fenomeno del mobbing, oltre quelli

indicati dall’articolo 21 della legge 183/2010

(collegato lavoro).

Il CUG esercita quindi compiti:

• propositivi

• consultivi

• di verifi ca

Compiti propositivi

Predisposizione di piani di azioni positive,

per favorire l’uguaglianza sostanziale

sul lavoro tra uomini e donne;

promozione e/o potenziamento di ogni

iniziativa diretta ad attuare politiche di

conciliazione vita privata/lavoro e quanto

necessario per consentire la diffusione

della cultura delle pari opportunità;

temi che rientrano nella propria competenza

ai fi ni della contrattazione integrativa;

iniziative volte ad attuare le direttive comunitarie

per l’affermazione sul lavoro

della pari dignità delle persone nonché

azioni positive al riguardo;

analisi e programmazione di genere che

considerino le esigenze delle donne e

quelle degli uomini (es. bilancio di genere);

diffusione delle conoscenze ed esperienze,

nonché di altri elementi informa-

IPASVI

tivi, documentali, tecnici e statistici sui

problemi delle pari opportunità e sulle

possibili soluzioni adottate da altre amministrazioni

o enti, anche in collaborazione

con la Consigliera di parità del

territorio di riferimento;

azioni atte a favorire condizioni di benessere

lavorativo;

azioni positive, interventi e progetti, quali

indagini di clima, codici etici e di condotta,

idonei a prevenire o rimuovere

situazioni di discriminazioni o violenze

sessuali, morali o psicologiche - mobbing

- nell’amministrazione pubblica di

appartenenza.

Compiti consultivi

• progetti di riorganizzazione dell’amministrazione

di appartenenza;

• piani di formazione del personale;

• orari di lavoro, forme di fl essibilità lavorativa

e interventi di conciliazione;

• criteri di valutazione del personale;

• contrattazione integrativa sui temi che

rientrano nelle proprie competenze.

Compiti di verifi ca

risultati delle azioni positive, dei progetti

e delle buone pratiche in materia di pari

opportunità;

esiti delle azioni di promozione del benessere

organizzativo e prevenzione

del disagio lavorativo;

esiti delle azioni di contrasto alle violenze

morali e psicologiche nei luoghi di lavoro

- mobbing;

assenza di ogni forma di discriminazione,

diretta e indiretta, relativa al genere,

all’età, all’orientamento sessuale, alla

razza, all’origine etnica, alla disabilità,

alla religione o alla lingua, nell’accesso,

nel trattamento e nelle condizioni di

lavoro, nella formazione professionale,

9


10

IPASVI

promozione negli avanzamenti di carriera,

nella sicurezza sul lavoro.

Altri adempimenti

Il CUG redige entro il 30 marzo di ogni

anno una dettagliata relazione sulla situazione

del personale nell’amministrazione

pubblica di appartenenza, riferita

all’anno precedente, riguardante l’attuazione

dei principi di parità, pari opportunità,

benessere organizzativo e di contrasto

alle discriminazioni e alle violenze

morali e psicologiche nei luoghi di lavoro

- mobbing. La relazione tiene conto anche

dei dati e delle informazioni forniti

sui predetti temi:

• dall’amministrazione e dal datore di

lavoro ai sensi del d.lgs. 81/2008;

• dalla relazione redatta dall’amministrazione

ai sensi della direttiva 23

maggio 2007 della Presidenza del

Consiglio dei Ministri - Dipartimenti

della Funzione Pubblica e per le

Pari Opportunità recante “misure

per realizzare parità e pari opportunità

tra uomini e donne nelle amministrazioni

pubbliche”.

CUG e collaborazioni

Il CUG può avvalersi di collaborazione esterna

e sicuramente intrattiene rapporti collaborativi

con:

“l’Osservatorio interistituzionale sulle

buone prassi e la contrattazione decentrata”

previsto dal Piano Italia 2020 “Programma

di azioni per l’inclusione delle

donne nel mercato del lavoro”, dei Ministri

del Lavoro e delle Politiche Sociali e

per le Pari Opportunità;

il/la Consigliere/a nazionale di parità;

l’Uffi cio Nazionale Antidiscriminazioni

Razziali (UNAR), istituito presso il Dipartimento

per le Pari Opportunità della

Presidenza del Consiglio dei Ministri,

per tutte le azioni ascrivibili all’ambito

delle discriminazioni per razza o provenienza

etnica.

Il GUG, per il suo funzionamento, si dota di un

regolamento. A tale riguardo, in allegato, viene

presentato il regolamento adottato dal CUG

della ASL di Taranto (vedi allegato n.2).

ALLEGATO 2

Azienda Sanitaria Locale Taranto

COMITATO UNICO DI GARANZIA

Regolamento di istituzione

e funzionamento

del Comitato Unico di Garanzia

(CUG)

per le pari opportunità,

la valorizzazione del benessere

di chi lavora e contro

le discriminazioni.

INDICE

Art. 1 Costituzione del Comitato

Art. 2 Composizione e sede del Comitato

Art. 3 Durata in carica

Art. 4 Compiti del Comitato

Art. 5 Compiti del Presidente, del Segretario

e dei Componenti

Art. 6 Convocazioni

Art. 7 Modalità di funzionamento

Art. 8 Commissioni e Gruppi di Lavoro

Art. 9 Risorse e strumenti

Art. 10 Dimissioni e/o decadenza dei

componenti

Art. 11 Rapporti tra CUG e Direzione

Strategica Aziendale

Art. 12 Relazione annuale

Art. 13 Comunicazione ed accesso ai dati

Art. 14 Approvazione, validità e modifi che del

Regolamento

Art. 15 Collaborazioni e audizioni di esperti

Art. 16 Obbligo di riservatezza

Art. 17 Norme transitorie e fi nali


Art. 1 COSTITUZIONE DEL COMITATO

Con Deliberazione del Direttore Generale n.

1089 del 12/04/2012, e successiva integrazione

di cui alla Deliberazione n. 1547 del

24/05/2012, è costituito, ai sensi dell’art. 57 del

D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, come modifi

cato dall’art. 21 della Legge n. 183 del 4 novembre

2010, nell’ambito dell’Azienda Unità

Sanitaria Locale di Taranto, il Comitato Unico

di Garanzia (CUG) per le pari opportunità, la

valorizzazione del benessere di chi lavora e

contro le discriminazioni.

Il CUG sostituisce, unifi candoli, i Comitati per

le Pari Opportunità e i Comitati paritetici per il

contrasto del fenomeno del mobbing, costituiti

in applicazione della contrattazione collettiva.

Esso si afferma come soggetto unico ed innovativo,

assume tutte le funzioni previste dalla

legge, dai contratti collettivi o da altre disposizioni,

ed esplica le proprie attività nei confronti

di tutto il personale, includendo le sue rappresentanze

dirigenziali e non.

Art. 2 COMPOSIZIONE E SEDE DEL

COMITATO

1) Il Comitato Unico di Garanzia ha composizione

paritetica ed è formato da componenti

designati da ciascuna delle organizzazioni

sindacali rappresentative, i sensi

degli artt. 40 e 43 del D. Lgs 165/2001,

e da un pari numero di rappresentanti

dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto.

Per ogni componente effettivo è previsto

un componente supplente, che può partecipare

alle riunioni solo in caso di assenza

o impedimento del rispettivo titolare. Il numero

dei componenti è stabilito nella Deliberazione

n. 1089 del 12/04/2012 e nella

Deliberazione di integrazione n. 1547 del

24/05/2012, fatto salvo eventuali future

successive modifi che e/o integrazioni.

2) Nella composizione del Comitato dovrà

essere assicurata, nel complesso, la parità

di genere tra effettivi e supplenti.

3) Il CUG, Organismo indipendente, ha

sede presso il Dipartimento Gestione

IPASVI

Risorse Umane dell’Azienda Sanitaria

Locale di Taranto.

Art. 3 DURATA IN CARICA

1) Il Comitato Unico di Garanzia ha la

durata di un quadriennio, a far data dalla

nomina. I Componenti esercitano le proprie

funzioni in regime di prorogatio sino

alla costituzione del nuovo organismo.

2) Il Presidente ed i Componenti titolari del

CUG possono essere rinnovati nell’incarico

per un solo mandato.

Art. 4 COMPITI DEL COMITATO

1) Il Comitato Unico di Garanzia opera in

stretta collaborazione con la Direzione

Strategica Aziendale ed esercita le proprie

funzioni utilizzando le risorse umane

e strumentali, idonee a garantire le fi nalità

previste dalla legge, che la Direzione stessa

metterà a tal fi ne a disposizione, anche

sulla base di quanto previsto dai contratti

collettivi vigenti.

2) Il CUG esercita compiti propositivi, consultivi

e di verifi ca, nell’ambito delle competenze

ad esso demandate, ai sensi dell’articolo

57, comma 01, del D.Lgs. 165/2001

(così come introdotto dall’articolo 21 della

legge 183/2010), le stesse che la legge, i

contratti collettivi o altre disposizioni in precedenza

demandavano ai Comitati per le

Pari Opportunità e ai Comitati paritetici sul

fenomeno del mobbing, oltre a quelle indicate

nella norma citata.

Compiti Propositivi :

- predisposizione di piani di azioni positive,

per favorire l’uguaglianza sostanziale sul

lavoro tra uomini e donne;

- promozione e/o potenziamento di ogni iniziativa

diretta ad attuare politiche di conciliazione

vita privata/lavoro e quanto necessario

per consentire la diffusione della

cultura delle pari opportunità;

11


12

IPASVI

- temi che rientrano nella propria competenza

ai fi ni della contrattazione integrativa;

- iniziative volte ad attuare le direttive comunitarie

per l’affermazione sul lavoro della

pari dignità delle persone nonché azioni

positive al riguardo;

- analisi e programmazione di genere che

considerino le esigenze delle donne e

quelle degli uomini (es. bilancio di genere);

- diffusione delle conoscenze ed esperienze,

nonché di altri elementi informativi,

documentali, tecnici e statistici sui problemi

delle pari opportunità e sulle possibili

soluzioni adottate da altre amministrazioni

o enti, anche in collaborazione con la

Consigliera di parità del territorio di riferimento;

- azioni atte a favorire condizioni di benessere

lavorativo;

- azioni positive, interventi e progetti, quali

indagini di clima, codici etici e di condotta,

idonei a prevenire o rimuovere situazioni

di discriminazioni o violenze sessuali, morali

o psicologiche - mobbing - nell’amministrazione

pubblica di appartenenza.

Consultivi, formulando pareri su:

- progetti di riorganizzazione dell’amministrazione

di appartenenza;

- piani di formazione del personale;

- orari di lavoro, forme di fl essibilità lavorativa

e interventi di conciliazione;

- criteri di valutazione del personale;

- contrattazione integrativa sui temi che rientrano

nelle proprie competenze.

di Verifi ca su:

- risultati delle azioni positive, dei progetti e

delle buone pratiche in materia di pari opportunità;

- esiti delle azioni di promozione del benessere

organizzativo e prevenzione del disagio

lavorativo;

- esiti delle azioni di contrasto alle violenze

morali e psicologiche nei luoghi di lavoro

-mobbing;

- assenza di ogni forma di discriminazione,

diretta e indiretta, relativa al genere, all’età,

all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine

etnica, alla disabilità, alla religione o

alla lingua, nell’accesso, nel trattamento e

nelle condizioni di lavoro, nella formazione

professionale, negli avanzamenti di carriera,

nella sicurezza sul lavoro.

Il CUG promuove, altresì, la cultura delle pari

opportunità ed il rispetto della dignità della persona

nel contesto lavorativo, attraverso la proposta,

agli organismi competenti, di piani formativi

per tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici,

anche attraverso un continuo aggiornamento

per tutte le fi gure dirigenziali.

3) Per la partecipazione dei componenti alle

riunioni non è previsto alcun compenso,

poiché le ore prestate per il Comitato sono

a tutti gli effetti orario di servizio.

4) Il Comitato, qualora ne ricorrano le

condizioni, chiederà alla Direzione

Strategica Aziendale la documentazione

e le risorse necessarie o utili per il corretto

ed adeguato svolgimento dell’attività

dello stesso.

5) Il Comitato, avvalendosi delle competenze

e delle strutture dedicate di cui l’Azienda

dispone (tramite proposta ai competenti

Uffi ci/Servizi Aziendali), propone e

favorisce indagini conoscitive, ricerche

ed analisi sulle condizioni di benessere lavorativo

e individua misure generali atte

a creare effettive condizioni di parità tra i

lavoratori e le lavoratrici dell’Azienda.

6) Il Comitato promuove e propone alla direzione

Aziendale, sulla scorta delle più

attuali conoscenze ed esperienze in tema

di buone pratiche, l’adozione di misure organizzative,

funzionali o anche strutturali,

per accogliere e valutare eventuali segnalazioni

di presunta discriminazione, violenze,

mobbing, disagio lavorativo.

7) Il Comitato mette a disposizione i progetti

utili agli Organismi – Uffi ci - Servizi del-


la ASL di Taranto che hanno il compito di

realizzare interventi inerenti argomenti e

materie di competenza del CUG.

Art. 5 FUNZIONI DEL PRESIDENTE, DEL

SEGRETARIO E DEI COMPONENTI

Funzioni del Presidente

1) Il Presidente del CUG ha funzioni di:

rappresentare il CUG;

dirigerne i lavori;

convocare e presiedere le riunioni, stabilirne

l’ordine del giorno nonché coordinarne

il regolare svolgimento.

2) Il Presidente, in caso di assenza o impedimento

a partecipare alle riunioni del

CUG, sarà sostituito nelle proprie funzioni

dal Vicepresidente. In caso di assenza

di entrambi presiederà la seduta un

componente del CUG appositamente delegato

dal Presidente.

Funzioni del Segretario

Le funzioni di Segretario/a vengono svolte da

persona appositamente nominata dall’Amministrazione,

su proposta del Presidente del CUG,

per la durata di incarico del Comitato.

Le funzioni di Segretario/a consistono nella redazione

del verbale delle sedute, nell’invio ai

componenti del medesimo, nelle convocazioni

e di altra documentazione, nella conservazione

degli atti e dei documenti del CUG.

In assenza di un Segretario nominato dall’Amministrazione,

tali funzioni saranno svolte da

un componente del Comitato nominato dal

Presidente.

Funzioni dei Componenti

1) I componenti titolari del CUG partecipano

alle riunioni e comunicano tempestivamente

alla segreteria e al componente

supplente, tramite e-mail, eventuali impedimenti

alla partecipazione.

IPASVI

2) I componenti titolari, possono proporre

argomenti di carattere specifi co da inserire

all’o.d.g. delle riunioni e partecipano ai

gruppi di lavoro da costituirsi.

Art. 6 CONVOCAZIONI

1) Il CUG si riunisce in convocazione ordinaria,

di norma, almeno quattro volte

all’anno. Si riunisce presso la Direzione

Generale dell’Azienda Sanitaria Locale di

Taranto, o sedi locali previamente concordate

con il Comitato stesso. La convocazione

deve contenere l’ordine del giorno e

il materiale utile alla trattazione dei relativi

argomenti.

2) Il CUG è convocato dal Presidente e la

convocazione deve avvenire in forma

scritta (è valida la convocazione a mezzo

posta elettronica o via fax con obbligo di

conferma di avvenuta ricezione da parte

del titolare) e inviata almeno dieci giorni

lavorativi prima della data prescelta per

la riunione. La convocazione deve essere

altresì inviata ai Responsabili/Direttori

dei Servizi/Uffi ci d’appartenenza dei componenti

del CUG, perché ne agevolino la

partecipazione alle riunioni senza ricadute

sull’organizzazione del lavoro, sulla performance

e sulla qualità dei servizi erogati.

3) Il Presidente convoca il Comitato in via

straordinaria ogni qualvolta sia richiesto

da almeno un terzo dei suoi Componenti

effettivi; la convocazione straordinaria viene

effettuata con le medesime modalità di

quella ordinaria, ma almeno 72 ore prima.

4) La prima convocazione di ogni riunione

prevede la validità della stessa, in presenza

della metà dei componenti effettivi più

uno; la seconda convocazione è da considerarsi

valida con un quorum strutturale

di almeno un terzo dei componenti effettivi

(titolari o supplenti), con composizione

paritetica, escluso il Presidente. In caso

di assenza del titolare, le funzioni dello

stesso vengono assunte, su mandato, dal

supplente.

13


14

IPASVI

Art. 7 MODALITA’ DI FUNZIONAMENTO

1) Il CUG adegua il proprio funzionamento

alle Linee Guida di cui al comma 4, art.57,

del D.Lgs. n. 165/2001, come modifi cato

dall’art. 21, comma 1, lettera c) della

Legge n. 183/2010 e, ove non incompatibili

con le stesse linee guida, alle seguenti

disposizioni.

2) Qualora un componente del CUG risulti

assente in modo ingiustifi cato per tre volte

nel corso del mandato, verrà dichiarato

decaduto e verrà sostituito con le medesime

modalità e procedure utilizzate per la

designazione ordinaria di cui all’art. 2 del

presente Regolamento, in relazione alla

spettanza della nomina. La sostituzione si

verifi ca, altresì, qualora un Componente

presenti le proprie dimissioni, opportunamente

motivate, per iscritto.

3) Esaurita la discussione sull’argomento,

il Presidente pone ai voti la decisione da

assumere. Il CUG può validamente assumere

determinazioni quando sia presente

la metà più uno, dei componenti

aventi diritto al voto. Le decisioni sono

assunte a maggioranza dei voti espressi

dai presenti e, in caso di parità, prevale

il voto del Presidente. Le determinazioni

sono trasmesse alla Direzione Strategica

Aziendale.

4) Il Presidente è tenuto a riunire il CUG in

via straordinaria, quando lo richiedano almeno

un terzo dei suoi Componenti effettivi.

5) Delle sedute del CUG verrà tenuto apposito

verbale sottoscritto dal segretario verbalizzante

e dal Presidente. Il verbale

si riterrà approvato con voto della maggioranza

più uno dei presenti alla seduta. Il

verbale contiene le presenze, la durata,

gli argomenti trattati, le decisioni assunte

ed eventuali posizioni difformi espresse.

I verbali sono trasmessi a tutti i componenti,

a cura del Segretario, anche ai

componenti supplenti, al fi ne di favorire il

loro costante aggiornamento sui temi trattati,

entro i 15gg successivi alla seduta.

Eventuali osservazioni dovranno pervenire

al Presidente entro i 7gg successivi.

Gli originali dei verbali, con gli eventuali

allegati, saranno depositati e custoditi

presso l’uffi cio sede del CUG. Il verbale

approvato con votazione palese dalla

maggioranza più uno dei presenti alla seduta,

rimane a disposizione di chiunque

ne faccia richiesta e sarà reso pubblico

nelle modalità ritenute le più opportune

(bacheca da istituirsi presso la sede del

CUG, sito ASL TA accessibile ai dipendenti,

ecc.).

Art. 8 Commissioni e gruppi di lavoro

Nello svolgimento della sua attività il Comitato

può operare anche in commissioni o gruppi di

lavoro, con requisiti di composizione (paritetica)

e quorum identici a quelli del CUG.

Il Comitato può deliberare la partecipazione alle

sedute, senza diritto di voto, di soggetti esterni

al Comitato nonché di esperti, su richiesta del

Presidente o dei componenti.

Il Presidente, sentito il Comitato, può designare

tra i componenti un responsabile per singoli

settori o competenze del Comitato stesso. Il

responsabile svolge le funzioni di relatore sulle

questioni rientranti nel settore assegnato e a

tal fi ne cura l’attività preparatoria ed istruttoria,

riferisce al Comitato e formula proposte di deliberazione.

Il Comitato predispone annualmente

un piano delle attività da svolgere nel corso

dell’anno successivo e lo stesso viene sottoposto

all’esame del Comitato stesso (in sede

di convocazione ordinaria) entro il secondo semestre

dell’anno precedente.

Art. 9 RISORSE E STRUMENTI

1) Per lo svolgimento della propria attività

il CUG utilizzerà le risorse messe

a disposizione dalla Direzione Strategica

Aziendale, nonché i fi nanziamenti previsti

da leggi o derivanti da contributi erogati

da soggetti di diritto pubblico e/o privato.

2) La Direzione Strategica Aziendale si im-


pegna a mettere a disposizione del CUG,

in occasione delle proprie riunioni, locali

idonei, materiale e strumenti necessari.

3) La Direzione Strategica Aziendale provvede

a realizzare sul proprio sito web un’apposita

area dedicata alle attività del CUG,

periodicamente aggiornata a cura dello

stesso Comitato.

Art. 10 DIMISSIONI E/O DECADENZA

DEI COMPONENTI

1) Le dimissioni di un Componente del CUG

devono essere presentate per iscritto al

Presidente del Comitato e alla Direzione

Strategica Aziendale; il Comitato ne prende

atto nella prima seduta successiva alla

data di inoltro.

2) Le dimissioni del Presidente sono presentate

in forma scritta al Comitato e alla

Direzione Strategica Aziendale.

3) Le sostituzioni dei Componenti decaduti,

ratifi cate dal CUG, avranno luogo entro

30 giorni, secondo le indicazioni dell’art. 2

del presente Regolamento.

Art. 11 RAPPORTI TRA CUG E DIREZIONE

STRATEGICA AZIENDALE

1) Per perseguire (assolvere) i propri fi ni

istituzionali, il Comitato instaura con la

Direzione Strategica Aziendale un rapporto

di reciproca e costante collaborazione,

attraverso la stesura di uno specifi co protocollo

di intesa.

2) Il Comitato, nell’ambito delle proprie competenze

di cui all’art. 4, formula proposte

di misure atte a creare effettive condizioni

di miglioramento, che vengono

trasmesse ai soggetti abilitati alla contrattazione

collettiva. La Direzione Strategica

Aziendale, prese in esame tali proposte ed

espletate le consultazioni che ritiene necessarie,

è tenuta a dare risposta entro

30 giorni dalla data di trasmissione.

3) L’Amministrazione, nelle sue diverse articolazioni,

tiene conto dell’attività svolta dai

IPASVI

componenti all’interno del CUG, ad esempio

ai fi ni della quantifi cazione del carico

di lavoro e della valutazione della produttività.

4) La Direzione Strategica Aziendale deve

consultare preventivamente il CUG, ogni

qualvolta saranno adottati atti interni nelle

materie di competenza (es. fl essibilità e

orario di lavoro, part-time, congedi, formazione,

progressione di carriere ecc.) almeno

20gg prima dell’adozione degli stessi.

Il CUG deve esprimersi entro i successivi

20gg. Le modalità di consultazione saranno

predeterminate dal vertice dell’Azienda

Sanitaria Locale, sentito il CUG, con atti

interni (circolari o direttive).

Art. 12 RELAZIONE ANNUALE

1) Il CUG redige entro il 30 marzo di ogni

anno, una dettagliata relazione sulla situazione

del personale dell’Amministrazione

di appartenenza riferita all’anno precedente,

riguardante l’attuazione dei principi

di parità, pari opportunità, benessere

organizzativo e di contrasto alle discriminazioni

e alle violenze morali e psicologiche

nei luoghi di lavoro – mobbing. La

relazione potrà contenere altresì il report

sull’attività svolta anche dai gruppi di lavoro

e sui risultati delle iniziative assunte,

riferita all’anno precedente. La relazione

viene trasmessa alla Direzione Strategica

Aziendale, ai Direttori dei Distretti Socio

Sanitari, ai Direttori dei Dipartimenti e per

il loro tramite ai Direttori delle Strutture

Complesse.

Art. 13 COMUNICAZIONE ED ACCESSO AI

DATI

1) Gli estratti dei verbali approvati e la relazione

annuale verranno inseriti in un apposito

spazio del portale telematico dell’Azienda

Sanitaria Locale di Taranto, contenente anche

le modalità per poter contattare direttamente

il CUG. Allo scopo è predisposto

un indirizzo di posta elettronica dedicato.

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16

IPASVI

Art. 14 APPROVAZIONE, VALIDITA’ E

MODIFICHE DEL REGOLAMENTO

1) Il presente Regolamento viene assunto

con atto deliberativo entro 15gg dalla sua

trasmissione alla Direzione Strategica

Aziendale ed entra in vigore il giorno della

pubblicazione della delibera sul sito web

dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto.

2) Per l’approvazione di eventuali modifi che

che si intendono apportare al presente

Regolamento, è necessaria la presenza

dei 2/3 dei componenti ed il voto favorevole

della maggioranza dei presenti.

Art. 15 COLLABORAZIONI E RISORSE

Per lo svolgimento delle proprie funzioni il CUG:

1) Promuove, attraverso motivata proposta e

fattiva collaborazione con gli Organismi/

Servizi/Uffi ci aziendali competenti, indagini,

studi, seminari, anche in collaborazione

con altri Enti, Istituti e Comitati aventi

analoghe fi nalità.

2) Si avvale della collaborazione di esperti interni

ed esterni.

3) Si avvale dei Servizi dell’Azienda Sanitaria

Locale di Taranto in relazione alle loro

competenze.

4) Promuove incontri con gruppi, singoli dipendenti,

dirigenti od altri soggetti a fi ni informativo/formativi

e di sensibilizzazione.

5) Collabora con la Direzione Strategica

Aziendale (es. responsabili della prevenzione

e sicurezza e/o con il medico competente),

per lo scambio di informazioni utili

ai fi ni della valutazione dei rischi in ottica

di genere e dell’individuazione di tutti quei

fattori che possono incidere negativamente

sul benessere organizzativo, in quanto

derivanti da forme di discriminazione e/o

da violenza morale o psichica.

6) Collabora con :

Consigliera nazionale di parità e

Osservatorio sulla contrattazione decentrata

e buone prassi per l’organizzazione

del lavoro;

Consigliera Regionale e Provinciale di

parità, valutando con le stesse l’opportunità

di sottoscrivere accordi di cooperazione

strategica volti a defi nire iniziative

condivise e sinergiche in tema di

pari opportunità;

UNAR - Uffi cio Nazionale di

Antidiscriminazione Razziali, istituito

presso il Dipartimento per le Pari

Opportunità della Presidenza del

Consiglio dei Ministri, per tutte le azioni

ascrivibili all’ambito delle discriminazioni

per razza o provenienza etnica;

OIV – Organismi Indipendenti di

Valutazione, ai fi ni dell’introduzione

nella valutazione della performance,

dei temi delle pari opportunità e del benessere

lavorativo.

Art. 16 OBBLIGO DI RISERVATEZZA

Le informazioni e i documenti assunti dal

Comitato, nel corso dei suoi lavori, devono essere

utilizzati nel rispetto delle norme contenute

nel Codice per la protezione dei dati personali

di cui al Decreto Legislativo 30 giugno 2003,

n. 196. Tutti i componenti del CUG sono tenuti

all’osservanza del segreto d’uffi cio.

Art. 17 NORME TRANSITORIE E FINALI

Per quant’altro non menzionato nel presente

Regolamento si rimanda alla direttiva del

4 marzo 2011 emanata di concerto dal

Dipartimento della Funzione Pubblica e

dal Dipartimento per le Pari Opportunità della

Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui

all’art. 21 della Legge n. 183 del 4 novembre

2010.


Diario di una

dottoressa con la padella

Caro diario,

tutto passa e per fortuna passa anche l’estate

e le impreviste e risapute problematiche delle

ferie estive del personale. Come direbbe

Benigni, come mi vien diffi cile parlare in versi

satirici di come squallore ed egoismo

hanno ingoiato il mio paese. Che,

poi, non capisco tutta sta tiritera

sulla mobilità passiva. Ma

dove vogliono andareee?

Una mia paziente mi raccontò

di essere stata ricoverata

per 15 giorni

in un grande ospedale

Toscano che rimpiangeva

per tutto.

Credimi, diario mio,

una testa così ,che mi

veniva di caricarmela

sulla Multipla con tutto

il letto per lasciarla dietro

la porta di quel benedetto

ospedale toscano. Alla

fi ne, durante una chiacchierata

notturna le spalancai la mente

“Sai, - diceva - c’erano gli Oss che ti lavavano

e ti sedevano alla sedia, i fi sioterapisti

che venivano ogni tre ore a sistemarti l’ossigeno

e controllavano che respirassi correttamente,

poi i dietisti che ti chiedevano un sacco di

cose ,mai sia non ti arrivava quello che avevano

deciso loro !Ma gli infermieri devo dire

erano professionali, veramente professionali,

controllavano la data di quando ti avevano

messo l’ago ,di quando ti avevano cambiato il

tubicino dell’ossigeno,veramente professionali

!Non come voi che vi si chiede una cosa e

venite dopo mezz’ora,sembra sempre di stare

IPASVI

Dott.ssa Natalina Segoloni

Inf. Presidio Ospedaliero “Valle D’Itria” - Martina Franca

in lista d’attesa. No, no, ogni volta che gli chiedevi

qualcosa…. subito!! Avevi bisogno della

padella e dopo un minuto ’ veniva l’oss. Ti avevano

mandato la banana al posto della mela?

Dopo un po’ arrivava il tipo della cucina. Che

organizzazione!-

“Pertanto gli infermieri del sud

sono super qualifi cati sappiamo

risolvere tutto noi ,di

pomeriggio quando c’è

un solo ausiliario le portiamo

su e giù anche le

mele cotte ! – le risposi

io scherzando-l’unica

pecca è che facendo

l’one man band abbiamo

poco tempo per

scrivere e per consultare

le carte”

“Ah ma non scrivete tutto

al computer? - Le infermiere

in Toscana andavano

dietro” al gabbiotto “e scrivevano

al computer”

No signora, qui non hanno la crudeltà di

chiuderci dentro ad un gabbiotto!!! -chiusi così

le mie considerazioni per evitare divagazioni,

ma lei tirò fuorì un eresia

“Non c’è voglia di progredire forse!?” eccepì.

“Mi creda tutte le infermiere che lavorano al

sud sanno ogni quanto và cambiato un raccordo

o la sua postura ed abbiamo anche dove

annotarlo,ma ci sono momenti in cui la sua

mela deve arrivare subito e il cambio del defl

ussore della sua vicina di letto viene lasciato

in lista d’attesa. Alla fi ne il mio ospedale mi

paga delle giornate di aggiornamento come

17


18

IPASVI

fanno per le infermiere del Nord … però dedico

il mio tempo a cambiare e svuotare sacche

di urine e lenzuola bagnate;così io sembro

meno esperta di una infermiera del Nord ma

mi creda non è così” riuscì ad osare.

“Eh bella mia ma se una ha una malattia seria

preferisce pagarsi un viaggio e mettersi nelle

mani di persone sicure. Ti credo, ti credo sicuramente

siete aggiornate anche voi ma io sono

convinta che non avete voglia di progredire voi

o chi per voi,solo manovalanza… Sai che ti

dico? Quando uno non sta bene conviene che

vada altrove a farsi curare il grosso,ma per i

piccoli problemi ti puoi fi dare degli ospedali

del sud. Gli infermieri qui sgobbano e seppure

non hanno il tempo di farti il calcolo di quanto

tempo è passato da quando ti hanno cambiata

di decubito,se non stai proprio male sei capace

tu di chiamare l’infermiera per farti girare.

Le avrei risposto: “Signora, altrove, passato

il “fatto grosso”, dall’ospedale esci e basta.

Con i soldi che pagano me in un mese

per assistere 60 degenti,pagano due O.S.S.

e ne rigirano 120 a domicilio come su uno

spiedo di pollo pronto”. Ma alla fi ne avrei fatto

pure la fi gura di quella che ruba lo stipendio,

la gente è quadrata, si sa. Così le risposi:

“Per fortuna signora… altrimenti se non fosse

che devo garantire i LEA, stanotte sarei andata

in Toscana ad imparare il mestiere!

Che poi sul giornale si leggono notizie di ‘sti

ospedali del Nord, che se so’ magnati tutto,

tracolli fi nanziari, bancarotta, un magna magna

di soldi della sanità che sembra che la

gente l’hanno curata con le monete del monopoli.

Eppure lì sembra che i pazienti vengano

adagiati su di un vassoio d’argento e ninnati a

tintinii di campane d’oro. Con quali soldi scusate?

Pertanto io ho fede, penso che prima o

poi usciranno tutti sti danari sapientemente investiti

nella sanità meridionale.

Come diceva un infermiere napoletano “forse

hanno lasciato aperte le fi nestre e vai a vedere

che è davvero colpa dell’infermiere che fa

il turno di notte se qualcosa è sparito”.No no

che sparito , qui non è sparito niente ed appariranno

come una Madonna che lacrimerà un

clinical governance che si piegheranno tutti ad

applaudirci e i settentrionali verranno a curarsi

da noi.

L’elogio da Balduzzi l’abbiamo già ricevuto,

peccato però doveva venire a dirlo in corsia

agli ammalati o al C.U.P., a quelli che prenotano

un ecografi a con tempi d’attesa di 3 mesi.

Mi sarebbe piaciuto avessero sentito che siamo

da prendere come esempio.

‘sti pazientacci che non sono mai contenti.

Quando i settentrionali chiederanno di ricevere

un referto in e-mail, gli risponderemo a

denti stretti “no caro che ti credi, qui devi venire

a farti la tua fi letta ed il tuo viaggetto”. Ah

che grandiosa idea! I malati faranno su e giù

per gli ospedali nostrani anche per chiedere

una copia di cartella, incentiveranno anche il

settore alberghiero e ci sarà una rinascita del

Paese.

Uhee, sta il fi glio di mia cugina Rosetta che è

disoccupato, quasi quasi gli propongo di fare

il prendi posto abusivo, come quelli di Napoli

che alle 4 del mattino prendevano il posto

fuori dai C.U.P, chè, se scoppia ‘sta migrazione

al contrario, devi essere pronto in tutto.

Immaginate che al nord quando uno ha da

fare i controlli periodici per una malattia cronica

i c.u.p organizzano tutto in una giornata

se il paziente viene da lontano. Metti il caso

che sei operata di cuore ti prenotano i prelievi,


l’ecocardiografi a,la prova da sforzo, il doppler

e via dicendo in una o due giornate e nello

stesso posto ! Mò che siamo impazziti e poi veramente

dove lo passiamo il tempo ?Io quando

devo fare i controlli a mio zio di Brindisi prenoto

un esame a Francavilla, uno alla Salus,

l’altro a Lecce, qualcosa a Martina e quando

proprio stiamo stretti coi tempi ci facciamo dei

giretti a Matera e Potenza, tanto che, quando

ho sentito che vogliono sopprimere Matera

come provincia, mi è venuto il sudore freddo .

Certe volte, siccome ci sembra di fare troppo

presto se in 4 mesi abbiamo raccolto tutte le

fi gurine dell’album, il cardiologo ci dice “sì ma

qui l’ecografi sta di Ostuni aveva consigliato la

visita urologica.Ce l’avete la visita urologica?

Sennò niente !” Ci si sente più uniti in famiglia

a trascorrere questi mesi e mesi fra ospedali

e c.u.p. Ci stanno certi baretti fuori dal policlinico

che sono la fi ne del mondo! Ormai ci ho

passato una vita, che, se qualcuno mi facesse

la violenza di farmi sbrigare tutto in un’unica

soluzione ed in un unico posto, credo che

ne morirei. Ogni tanto, strada facendo, senti

che hanno chiuso qualche ospedale e ti devi

rivolgere altrove. Per fortuna sui giornali poi ti

scrivono che ne apriranno di nuovi. Bah, basta

che si tengano impegnati pure loro. Metti caso

che Monti si alzi la mattina e decida di sbloccare

il turn over del personale e di bloccare i

fondi per l’edilizia sanitaria. Son dolori!E che,

mò si seguono le indicazioni Europee per fi lo

e per segno? E dai che, se esce un master per

imbianchino, mi sistemo!

Come infermiera questa epopea dell’assistito

crea dei rapporti ormai famigliari , ti affezioni a

queste persone. Ci stanno le mie vecchie colleghe

della medicina che ormai i loro pazienti

li conoscono da anni, li stabilizzano e li dimettono.

Tu sei un po’ triste, ti sei affezionata, ma

la collega ti dà una pacca sulla spalla e ti sussurra:

“Non temere, una volta a casa precipiterà

nell’abbandono e ben presto verrà di nuovo a

bussare alle porte del pronto soccorso”. Una

volta ero in “missione” in un’altra medicina mi

avvicinai ad un paziente per un prelievo e questo

fa: “Sei nuova?”

IPASVI

“Appena trasferita, ma non nuova di mestiere”

spiegai. E lui di rimando:

“Stai attenta.. che tizio è separato, la madre

di caio è morta il mese scorso, sempronio due

anni fa mi ricoverai per un coma diabetico e

mi fece una glucosata, mentre pinco pallino ha

sempre le ascelle sudate”. Conosceva gli infermieri

di tutti i reparti dell’ospedale nemmeno

fosse una casa alloggio.

Poi ci stanno quelli con le carte: li vedi che

vanno su e giù e su e su e giù. Quando ero

agli ambulatori, vedevi sempre le stesse facce,

questi che venivano per il controllo ed il CUP

gli aveva sbagliato l’appuntamento, e te li ritrovavi

la mattina dopo e magari al cup trovavano

fi la per pagare e li vedevi che facevano su e giù

per chiedere se potevano fare prima la visita

e poi pagare, poi tornavano su e dicevano che

mancava un timbro e lì il medico che diceva che

no la normativa è cambiata e questi che continuavano

su e giù. I computer, intanto, stavano

lì immobili ed inutilizzati ad aspettare come

noi i tempi in cui qualcuno avrebbe compreso

che non è che non la si vuole fare una cosa, è

proprio uno status a cui non si può rinunciare.

Questi del Nord, se vorranno curarsi da noi,

dovranno abituarsi a questo status. Questo è

il paese del sole, del vento e del mare e per

godersi tutto questo non basta di certo una

giornata !

19


20

IPASVI ASVI

Motivo dello studio: Questo lavoro nasce dal

desiderio di approfondire un particolare aspetto

della fi gura del Coordinatore Infermieristico: la

valutazione. In Italia non esiste ancora un sistema

di valutazione oggettivo a riguardo.

Risorse materiali, strutturali e/o umane utilizzate:

Le risorse umane utilizzate sono i Coordinatori

Infermieristici delle diverse strutture

ospedaliere: San G. Moscati, SS. Annunziata,

Casa di Cura Villa Verde di Taranto. Attraverso

un questionario strutturato di natura anonima si

analizzerà l’indice di gradimento dello strumento

valutativo creato e le dinamiche della valutazione

all’interno delle strutture ospedaliere.

Metodo: Il metodo utilizzato è rappresentato

da un indagine esplorativa effettuata secondo

criteri di campionamento non rigidi.

L’azienda sanitaria è un’organizzazione caratterizzata

da un elevato grado di complessità

strutturale, ambientale, tecnologica ma, soprattutto,

di conoscenza, tanto da poter essere

defi nita azienda knowledge intensive, ad alta

intensità di sapere. I professionisti che ne fanno

parte, portatori di tali saperi ai vari livelli professionali

e organizzativi, costituiscono un vero

e proprio patrimonio e sono, al tempo stesso,

un fattore critico di successo. La possibilità per

l’azienda di raggiungere i propri fi ni istituzionali,

vale a dire, nel caso di sanità, di contribuire

alla soluzione dei problemi di salute dipende, in

gran parte, dalla capacità di integrare le proprie

componenti professionali.

PROGETTO DI VALUTAZIONE

DI COORDINATORE

INFERMIERISTICO:

COSTRUZIONE E

IMPLEMENTAZIONE

DI UNO STRUMENTO

OGGETTIVO

Dott.ssa Angela Carrera

Infermiera Casa di Cura “Villa verde” - Taranto

Così, permettere all’azienda di operare nel

modo più appropriato possibile, massimizzando

l’effi cacia e l’effi cienza produttiva, signifi ca

anche capitalizzare, accrescere e diffondere

conoscenze e competenze dei propri professionisti,

cioè sviluppare il capitale intangibile.

Per questo, tutti gli strumenti di gestione delle

risorse umane hanno grande rilevanza e vanno

applicati seguendo una logica di valorizzazione

del personale, a partire dalla necessità che le

risorse siano motivate cioè che venga sempre

ricercato il punto d’incontro tra gli obiettivi

aziendali e le aspirazioni, le necessità, le attitudini

dei professionisti. Il primo, e storicamente

il più diffuso, di questi strumenti è il sistema di

valutazione, uno dei più importanti, ma, forse,

anche il più critico e complesso. L’esperienza

ha dimostrato essere il mezzo che senza dubbio

impatta più bruscamente sul personale, andando

a determinare, spesso, pesanti conseguenze.

A fronte di uno strumento “diffi cile”, è

aumentata in modo progressivo la richiesta di

utilizzo, a tutti i livelli e per uno spettro sempre

più ampio di fi gure professionali.

La nuova logica aziendale, applicata in sanità,

è fondata sul binomio autonomia-responsabilità:

al crescere del grado di autonomia s’accompagna

un carico di responsabilità sempre

maggiore, che fa nascere l’esigenza di andare

a verifi care, attraverso adeguati sistemi di valutazione,

se e in che misura l’esercizio di questa

autonomia ha portato il raggiungimento degli

obiettivi assegnati. Dalla valutazione discendo-


no possibilità di sviluppo e valorizzazione delle

risorse umane, non solo nei termini classici di

percorsi di carriera e ricompense economiche,

ma anche sotto forma di riconoscimenti di stima,

possibilità di espressione di competenze

possedute ma non esercitate, percorsi formativi

specifi ci, anche attraverso modalità innovative.

In Italia, ancora oggi, non esiste un sistema oggettivo

di valutazione del coordinatore infermieristico.

A tal proposito, l’obiettivo della tesi è la

costruzione e l’implementazione di questo strumento.

Per la realizzazione verrà effettuato un

percorso conoscitivo del sistema di valutazione

in tutte le sue sfaccettature, in modo da poter

conseguire nel miglior modo possibile l’obiettivo

fi nale della tesi. Il sistema di valutazione del

personale, per avere la capacità di raggiungere

obiettivi di sviluppo e valorizzazione delle risorse,

deve necessariamente essere costruito nel

rispetto di alcuni criteri generali, quali:

• coerenza con gli obiettivi strategici aziendali

e il contesto organizzativo;

• fl essibilità/adattabilità del sistema al contesto;

• sistematicità, periodicità e permanenza

della valutazione;

• trasparenza e omogeneità dei criteri a

parità di oggetto/soggetto e delle conseguenze

della valutazione;

• tendenza verso la riduzione della soggettività

(ovvero ricerca di massimizzaazione

della oggettività);

• valutazione solo di fatti e comportamenti

posti sotto la responsabilità/controllabilità

del valutato;

• diretta conoscenza dell’attività del valutato

da parte del valutatore;

• massima partecipazione del valutato e

possibilità di contraddittorio;

Occorre, quindi, per il successo del processo

di valutazione, stabilire un forte legame tra sistema

di valutazione e contesto organizzativo

aziendale. Obiettivi:

• trasmissione del pensiero strategico;

• orientamento dei comportamenti;

• diffusione di una cultura aziendale;

IPASVI

• raccolta di indicazioni sui fabbisogni formativi;

I rischi in cui può intercorrere il sistema di valutazione

sono:

• demotivazione;

• sfi ducia;

• ribellione;

Il sistema di valutazione si divide in diverse

metodologie valutative applicabili tra cui:

• valutazione delle prestazioni: intese come

risultati ottenuti in relazione agli obiettivi

assegnati;

• valutazione delle competenze: capacità

individuali e organizzative intese come

valore per l’azienda e fattore critico di

successo;

• valutazione delle posizioni: corrispondenza

tra: responsabilità, posizione organizzativa

e retribuzione;

• valutazione del potenziale: insieme delle

attitudini che la persona possiede, ma

che non ha ancora espletato per carenza

di contesto ambientale adeguato.

Il profi lo professionale del coordinatore, oggi, è

nettamente cambiato; le competenze tecnicospecialistiche

hanno lasciato il posto gradualmente

a funzioni manageriali mirate al contenuto

del lavoro ed agli aspetti formativi della

professione. Il training formativo del coordinatore

è focalizzato all’acquisizione di abilità/

competenze per pianifi care, organizzare, coordinare

e verifi care le attività al fi ne di garantire:

- un’effi cace assistenza infermieristica

- un uso effi ciente delle risorse

- una corretta amministrazione del

reparto

- la partecipazione ad attività di formazione,

aggiornamento e ricerca.

Il coordinatore si assume il carico di mettere

in atto tutte le conoscenze in campo manageriale

per raggiungere gli obiettivi e cercare di

fare convergere gli ideali professionali a quelli

aziendali.

Lo strumento di valutazione è stato plasmato

prendendo in considerazione l’evoluzione delle

competenze dei coordinatori infermieristici,

21


22

IPASVI

le aspettative, il contesto organizzativo attuale

e i criteri fondamentali della valutazione. Tale

strumento creato utilizza una scala di misurazione

“lineare continuo”, espressa con valori

numerici da 1 a 10. Il vantaggio di questa scala

di giudizio sta nella facilità, per il valutatore, di

Capacità relazionali;

STRUMENTO DI VALUTAZIONE

Disponibilità alle relazioni interpersonali

e capacità di integrazione delle informazioni/conoscenze

con colleghi/collaboratori;

Coordinamento e/o partecipazione attiva e propositiva a gruppi di

lavoro;

Capacità di condivisione delle decisioni e informazioni con colleghi/

collaboratori;

Saper gestire il confl itto;

Essere trasparenti;

Essere in grado di relazionarsi in modo empatico;

Aggiornamento professionale;

Partecipazione costante a iniziative

formative e di aggiornamento;

Capacità di introduzione, diffusione e utilizzo di quanto appreso

con l’attività di formazione;

Capacità di formulare proposte di nuove attività

di formazione e aggiornamento;

Responsabilità organizzativa e gestionale;

correlare il giudizio a una modalità di misurazione

piuttosto nota e utilizzata (per esempio,

in ambito scolastico), consentendo una certa

varietà di sfumature e una più immediata confrontabilità.

Valutazione da 1 a 10 per

ogni capacità elencata;

Valutazione da 1 a 10;

Gestione autonoma di attività e risorse Valutazione da 1 a 10;

Capacità di individuazione, defi nizione e risoluzione dei problemi;

Capacità di autonoma gestione degli imprevisti;

Responsabilità tecnico-professionali;

Possesso di competenze adeguate al ruolo ricoperto; Valutazione da 1 a 10;

Contributo personale alla elaborazione, utilizzo,

diffusione di linee guida e procedure aziendali;

Capacità di individuazione e introduzione di innovazioni tecnologiche;


Competenze tecnico-gestionali;

Attenzione all’appropriato utilizzo di risorse in relazione

alle attività da realizzare;

Capacità di individuazione di strumenti e modalità di controllo

sulle attività realizzate rispetto agli obiettivi concordati;

Analisi periodica delle cause di difformità tra concordato

e realizzato, conseguente capacità di adattamento dei

comportamenti o proposte di revisione;

Comunicazione interna ed esterna;

Sviluppo effi cace di attività comunicative aziendali,

sia interne sia esterne alla propria articolazione organizzativa;

Sviluppo/utilizzo di effi caci strumenti comunicativi

con soggetti esterni all’azienda;

Pianifi cazione e gestione di momenti comunicativi

periodici interni e/o esterni;

Competenze tecnico-assistenziali;

Identifi care i bisogni delle persone assistite;

Organizzare, pianifi care e controllare/valutare l’assistenza;

Erogare l’assistenza infermieristica,

monitorare i risultati, valutarli e fare modifi che se necessario;

Stabilire e utilizzare criteri rispetto alla valutazione della qualità

dell’assistenza erogata (controllo);

Informare, consigliare, assicurarsi della comprensione da parte del

paziente e del suo “gruppo”(inteso come famiglia, conoscenti ecc. . .)

Applicare e fare applicare le norme di igiene e sicurezza;

Elaborare, realizzare e valutare i protocolli di

assistenza per gli ambiti di autonomia;

Utilizzare in modo proprio le risorse a disposizione;

Essere in grado di comprendere, guidare e inserirsi in modo effi cace nel

sistema di coordinamento delle varie funzioni ospedaliere

(ambito medico, amministrativo e assistenziale infermieristico)

IPASVI

Valutazione da 1 a 10

per ogni competenza

tecnico-gestionale;

Valutazione da 1 a 10;

Valutazione da 1 a 10

per ogni competenza

tecnico-assistenziale;

23


24

IPASVI

Comportamenti/attitudini professionali;

Essere autonomo;

Essere oggettivi;

Rispettare e fare rispettare il segreto professionale e i principi deontologici

correlati all’attività dell’ U.O.,del servizio (infermieristico), e della struttura;

Tradurre nella pratica le questioni etiche;

Essere disponibile al cambiamento organizzativo;

Essere in grado di conciliare gli interessi dei pazienti,

dell’organizzazione e quelli dei singoli collaboratori;

Essere in grado di creare e adattare criteri di scelta specifi ci sia come ambito

disciplinare per l’équipe (integrazione), rispetto alla gestione delle risorse

umane;

Essere in grado di accogliere i nuovi arrivati nell’ U. O.;

Effettuare monitoraggi;

Analizzare le situazioni anticipare i problemi e prevedere le scadenze;

Partecipare e/o controllare la messa a punto,

l’utilizzo di protocolli e di tecniche nuove;

Promuovere il colloquio strutturato multidisciplinare e/o di équipe;

Realizzare eventuali azioni correttive;

Essere in grado di portare a termine un progetto con metodo:

stimolare e/o partecipare alla formazione/informazione dei suoi

collaboratori (tecniche assistenziali, procedure amministrative ecc. . . .

Essere in grado di identifi care le risorse (come punti di forza),

le diffi coltà e i problemi (come punti di debolezza) in équipe;

Valutazione da 1 a 10 per ogni

comportamento/attitudine

professionale elencata;

Il sistema di valutazione elaborato è stato presentato ai coordinatori della Casa di Cura Villa Verde,

dell’Ospedale San G. Moscati e dell’Ospedale Santissima Annunziata di Taranto e, attraverso un

questionario strutturato di natura anonima, si è verifi cato l’indice di gradimento.

Dai risultati emerge che nelle aziende ospedaliere di Taranto, effettivamente, esiste un sistema di

valutazione del coordinatore. Quest’ultimo, come affi ora dai risultati, viene utilizzato per l’86,66%

dal Primario e solo in minima parte dal Dirigente Infermieristico (13,33%).Tanto evidenzia che il

coordinatore non riesce a svincolarsi dalla fi gura medica nel proprio campo d’azione. Inoltre, possiamo

notare dalle percentuali (69,23%) che quasi tutti i coordinatori intervistati sono a conoscenza dei

parametri di valutazione utilizzati. Questo rappresenta un elemento positivo, in quanto, come si è

potuto assimilare in questo percorso, i principi fondamentali su cui si fonda la valutazione sono:

trasparenza, fl essibilità, sistematicità ma soprattutto partecipazione del valutato e possibilità di

contraddittorio. Inoltre, i coordinatori, preferirebbero essere valutati dai pazienti (20%), dai propri

collaboratori (26,66%) e particolarmente dal Primario (40%). Questi dati denotano che la relazione

con le fi gure che circondano il coordinatore nel proprio lavoro ha un elevata importanza.

Il sistema di valutazione presentato è stato accolto in maniera positiva dai coordinatori infermieristici.

Quindi, lo strumento di valutazione creato rappresenta in modo esaustivo il coordinatore. Infatti, tutti

i coordinatori intervistati vorrebbero essere valutati secondo i criteri di tale strumento di valutazione.

La valutazione è un atto importante e non deve essere vista come un momento negativo del proprio

operato. Lo strumento valutativo effi ciente, dà la possibilità a colui che viene valutato di prendere

coscienza dei propri punti di forza, ma anche , dei propri limiti, i quali una volta riconosciuti potranno

essere colmati.


IPASVI

IL GEL PIASTRINICO DELLA SPERANZA

L’équipe del Centro Trasfusionale “SS. Annunziata”, Taranto

Dal sangue la vita. Nulla di più vero oggi, come

non mai, per i nuovi campi di impiego del sangue

e dei suoi derivati. Tra gli emocomponenti ad uso

non trasfusionale riveste un ruolo importante il

concentrato piastrinico per uso non trasfusionale,

fonte di fattore di crescita, utilizzato in vari ambiti

Preparato da sangue anticoagulato in volume variabile

secondo la tipologia di utilizzo econtiene

piastrine risospese in plasma; può essere preparato

da donazione di sangue intero o mediante

aferesi secondo procedure standard di preparazione

(CPunT allogenico) o può essere preparato

da sangue intero, da aferesi, ovvero utilizzando

altre modalità di prelievo (CPunT autologo)

Dal concentrato piastrinico deriva il Gel piastrinico

usato per la riepitelizzazione cutanea in caso

di ulcere o piaghe, senza cicatrici, o addirittura

per la rigenerazione ossea.

Una nuova “ frontiera” che ha aperto orizzonti

e suscitato speranze in pazienti, di tutte le età,

affetti da patologie varie, dalle ulcere diabetiche

alle lesioni a problemi odontoiatrici.

Anche a Taranto la metodica è in uso da qualche

anno nel Centro Emotrasfusionale del “SS.

Annunziata”, diretto dal dott. Gianfranco Miloro,

dove le dott.sse Maria Carmela Guerrese, allergologa

ed immunologa nonché medico dirigente”,

e Rosa Bruno, biologa, si occupano, già dal

2009, dei pazienti ai quali la terapia può apportare

benefi ci

Nel luglio del 2009 è stata applicata per la prima

volta ad un bambino di 11 anni, con

una cisti congenita nella parte più alta del femo-

re, al quale è stato praticato un prelievo per una

donazione autologa di piastrine, ricavando un gel

che insieme con osso liofi lizzato è stato iniettato,

durante l’intervento chirurgico di asportazione

della ciste, per riempire la parte del tessuto mancante.

Ottimi i risultati, come per gli altri casi ad oggi trattati

(19 pazienti su 20 ma va considerato che in

uno esistevano diffi coltà di altro tipo) nel campo

cutaneo, osseo, odontotecnico, ortopedico e, per

fi nire, estetico. Una gamma diversifi cata che, ovviamente,

presuppone un progetto multidisciplinare

avanzato.

Ogni caso ha presentato delle diffi coltà inaspettate,

tutte risolte con successo.

Una donna di 80 anni, affetta da diabete e cardiopatia,

che presentava alla gamba sinistra una

estesa lesione da grattamento con crosta, curata

per 7 mesi con terapie tradizionali non risolutive,

dal gel piastrinico (per donazione eterologa), applicato

in tre sedute totali, in 45 giorni ha avuto la

guarigione completa.

Due mesi e 8 applicazioni di gel piastrinico da

donatore eterologo (prelievo effettuato con kit

per cellule staminali) sono stati necessari per un

80enne cardiopatico affetto da ulcera da trauma

al malleolo di diametro di circa 12-15 centimetri.

Il paziente che presentava una vascolarizzazione

insuffi ciente, dopo aver girato vari reparti ed

essersi sottoposto a diverse medicazioni, senza

trovare soluzione, ha risolto completamente il

problema.

Tre mesi per la completa guarigione di un ulcera

vascolare ad una donna di 40 anni, obesa, che,

nel corso della terapia, si è scoperta allergica ad

alcuni medicinali per cui la serie di complicanze

inaspettate ha protratto il tempo della guarigione.

Trattato di recente un uomo operato in Neurochirurgia

per microangiomi, intervento che ha previsto

l’applicazione di valvole, causa di ferite al

cuoio capelluto. Le ferite sono state rigenerate

con il gel piastrinico.

Speranza, dunque, dalla ricerca applicata sul

campo con nuove “comunità di pratiche”.

Speranza anche nella nostra realtà, troppo

spesso e per troppe patologie costretta ai viaggi

della speranza! Oggi, almeno per un certo tipo di

pazienti, la speranza è “a casa”!

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26

IPASVI

LA FISSAZIONE ESTERNA:

ASPETTI DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA

La fi ssazione esterna può essere defi nita come

un metodo di osteosintesi, in grado di stabilizzare

monconi e frammenti scheletrici mediante

elementi di presa infi ssi nell’osso, trapassanti

le parti molli e raccordati ad un apparato esterno,

detto fi ssatore.

I fi ssatori, dunque, sono dispositivi biomedicali

che vengono impiantati temporaneamente nel

corpo umano dove svolgono la funzione di allineare

e tenere uniti due o più frammenti ossei

originatisi da una frattura.

Obiettivo: supportare l’osso durante il suo

consolidamento e promuovere la guarigione.

Indicazioni assolute.

Fratture scomposte esposte

Fratture da arma da fuoco

Fratture con lesioni vascolo nervose

Dott. Attilio Gualano

Infermiere Sala Gessi P.O. “SS. Annunziata” - TA

Indicazioni relative

Fratture con perdita di sostanza osteo muscolo

cutanea

Fratture in politraumatizzati

Fratture irriducibili in soggetti in accrescimento

Fratture in pazienti in condizioni cliniche

scadenti

Fratture complesse o con frammenti intermedia

Allungamento degli arti dismetrie post-traumatiche

o per patologia congenita).

Vantaggi e svantaggi all’utilizzo di Fissatori

Esterni

Per ciò che attiene ai vantaggi, come abbiamo

visto prima, il fi ssatore esterno permette di

trattare fratture scomposte esposte complicate

da ferite severe e, quindi di curare le stesse

contemporaneamente alla frattura.

Questo trattamento permette al paziente di rimanere

in Ospedale per un breve periodo e

nella maggior parte dei casi di riprendere in

tempi brevi la propria attività.

Il fi ssatore è versatile e semplice da utilizzare

e permette una mobilizzazione precoce articolare.

Gli svantaggi dei fi ssatori esterni riguardano

la reazione del materiale ossia fi ches e fi li seguita

da una eventuale infezione più o meno

grave.

Le fi ches e fi li possono allentarsi con il rischio

che l’osso diventi instabile, inoltre la vista del

fi ssatore esterno può causare paura al paziente

ed ai membri della sua famiglia e psicolo-


gicamente può non essere tollerato per il suo

ingombro.

La forma è strettamente collegata allo scopo

dell’ apparato, ai materiali impiegati, alla sicurezza

dell’utilizzatore, all’ergonomia, all’estetica;

possono essere Circolari, Bilaterali,

Monolaterali, Ibridi e costituiti da diverse tipologie

di materiale: titanio, acciaio, alluminio o

materiale composito.

Anche gli elementi che sono diversi, associati,

formano svariatissimi apparati di varia forma e

complessità, necessari per ogni metodo di trattamento.

Questi elementi vengono divisi in: principali e

secondari.

I componenti principali sono utilizzati per solidarizzare

le ossa ed i loro frammenti all’apparecchio

stesso: semianelli ed anelli, archi, fi li di

Kischner, fi ches, aste fi lettate supporti obliqui.

I componenti secondari sono tutte quelle parti

necessarie alla congiunzione dell’apparato

stesso al di fuori dello scheletro: snodi universali,

bussole, bandierine, rondelle, dadi, bulloni.

UN PO’ Dì STORIA..

La storia della fi ssazione esterna “inizierebbe”

nel 1843, quando Joseph - François

Malgaigne ideò un perno di metallo in una

cinghia di cuoio Per il trattamento delle fratture

di tibia, ideò anche un meccanismo a forma

di “artiglio” chiamata “griffe” che permetteva la

riduzione e la fi ssazione di fratture di rotula, entrambi

i dispositivi portano il suo nome.

Fig. 1 - Joseph François Malgaigne

Fig. 2 - Griffa Malgaigne

IPASVI

Fig. 3 - Pinza Malgaigne

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28

IPASVI

Nell’antichità, in realtà vengono descritti sistemi

di fi ssazione rudimentali, di seguito è riportata

l’immagine di una mummia egizia della V a

dinastia che riporta la frattura di un avambraccio

con esiti di consolidazione immobilizzato

con una stecca.

Fig. 4 - Frattura dell’avambraccio con stecca da una

mummia della quinta dinastia, che mostra segni di guarigione.

Ippocrate descrive nel 400 A. C. un sistema

rudimentale di fi ssazione esterna con la quale

viene ridotta e fi ssata una frattura di tibia.

Fig. 5 - Ippocrate

Dopo Malgaigne,I dispositive di ROUX ED

OLLIER rappresentano tentativi di miglioramento

Mentre nel 1848 è Clayton Parkil (Denver,

Colorado1894 /1897) ad usare un fi ssatore per

il trattamento delle pseudoartrosi di tibia denominata

“pinza osso”.

Nel 1902 Albin Lambotte chirurgo belga, creava

il primo fi ssatore esterno per sintesi femorale

con fi ches monolaterali, a lui è attribuito il

primo chiodo auto fi lettante denominato “threaded”.

Allo stesso, va riconosciuto

il merito

di essere stato pioniere

nella raccolta

della documentazione

scientifi ca.

Fig. 37- Albin Lambotte

1866-1955


Il primo perno autofi lettante “threaded

Robert Judet, R.Anderson, Giovanni De

Bastiani, sono i chirurghi che danno il via

alla moderna concezione di sintesi esterna,

che trova il suo capostipite in R. Hoffmann, nel

1938.

Nel 1950, Gavril Abramovich Ilizarov chirurgo

di Kurgan, Unione Sovietica, inventa un

sistema di fi ssazione circolare che prende il

suo nome ossia:

IPASVI

Apparato per compressione e distrazione

“Ilizarov”.

In ortopedia può essere utilizzato per l’allungamento

degli arti, la correzione di deformità

congenite e acquisite, pseudoartrosi e ritardi

di consolidazione, contratture muscolari rigide,

infezioni ossee.

Oggi i fi ssatori sono di diversa forma, di diversi

materiali, per diversi segmenti anatomici.

Sono di seguito riportati alcuni fi ssatori esterni

oggi in uso.

BACINO

TIBIA

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30

IPASVI

ARTO SUPERIORE e MANO

PIEDE

ASSISTENZA INFERMIERISTICA

AL PAZIENTE PORTATORE DI

FISSATORE ESTERNO

La pianifi cazione e l’elaborazione del processo

di nursing è di competenza infermieristica,

il piano d’azione dev’essere specifi co e personalizzato.

Nell’assistenza si distinguono varie fasi durante

le quali ci si prende cura del paziente:

La FASE DÌ PRE-RICOVERO, in caso di ricovero,

programmato, riguarda l’organizzazione

dello stesso, il paziente esegue gli esami e riceve

le prime indicazioni su come si svolgerà il

soggiorno e su quale sarà il programma che lo

riguarderà durante la degenza.

L’ACCOGLIENZA ed IL RICOVERO urgente

o programmato rappresentano sempre un problema

generale per ogni paziente.

FASE PRE E POST OPERATORIA.

LA MEDICAZIONE DEL FISSATORE.

Il ricovero rappresenta un momento molto particolare

per ogni paziente: la separazione dal

proprio ambiente, il distacco dai propri cari,

possono rappresentare un trauma.

Un ambiente del tutto nuovo, orari, procedure,

pratiche medico-infermieristiche rappresenta-


no elementi nuovi di un enorme contenitore

dove il paziente si trova catapultato, per cui la

fase di accoglienza in reparto diventa delicata

ed importantissima.

Importante sarà ospitare il paziente in maniera

accogliente; l’instaurare la migliore relazione di

aiuto con uno scambio di informazioni rasserenerà

lo stesso predisponendolo ad un atteggiamento

positivo per il proseguo delle cure.

L’infermiere deve essere in grado di riconoscere

gli aspetti psicologici caratteristici della

persona.

Come visto in precedenza, la maggior parte

degli interventi di fi ssazione esterna, riguardano

persone che hanno subito traumi gravi,

spesso bambini con handicap congenito o acquisito,

oppure persone che hanno una lunga

storia clinica come ad esempio esiti di fratture

non consolidate che necessitano di diversi e

lunghi trattamenti.

Da questo emerge una situazione psico-emotiva

differente e contrastante: da una parte l’ansia

e la paura, che possono far visualizzare alla

persona una situazione negativa, dall’altra la

speranza, sentimento positivo che incoraggia

la persona.

L’intervento di fi ssazione esterna comporta una

profonda modifi cazione dell’immagine del proprio

corpo, seguito da disagio emotivo e da diffi

coltà nel rapporto con gli altri, (Limb, 2003) il

paziente sente il “bisogno di essere come gli

altri”.

La psicologia del paziente è importantissima,

la depressione è un aspetto da non sottovalutare

(Patterson, 2006), infatti può rappresentare

un ostacolo all’auto gestione del fi ssatore.

Ansia, incertezza, paura del futuro, immagine

futura di sè e tempi relativamente lunghi di detenzione

del fi ssatore possono sfociare, (facendo

sentire il paziente prigioniero del dispositivo)

nella così detta “sindrome della rabbia

gabbia”.

Questi sono aspetti da non sottovalutare, ma

da affrontare con una informazione e comunicazione

competente valida ed effi cace. Ed

è proprio l’ immagine di sè (ciò che è, ciò che

IPASVI

teme di diventare) a creare ansia ed incertezza,

predisponendo a volte ad un atteggiamento ansiogeno

che può sfociare, se non supportato da

un’adeguata informazione e comunicazione, in

un approccio negativo all’intervento chirurgico.

L’obiettivo dell’intervento infermieristico di educazione

sanitaria, in vista dell’intervento chirurgico,

ha come fi nalità la riduzione dell’ansia,

rendendo il paziente cosciente del problema

ponendo allo stesso una visione quanto più reale

possibile.

FASE PRE OPERATORIA

Preparazione all’intervento

chirurgico in reparto ortopedia

Assicurare l’interazione nella comunicazione:

fermo restando quanto riportato sopra in rapporto

alle problematiche psicologiche,sarà importante

indagare su eventuali patologie concomitanti,

informare il paziente effettuando un

colloquio sulle modifi che temporanee/permanenti

comportate dall’intervento. Se si tratta di

bambini, programmare un percorso idoneo con

la presenza di uno psicologo che supporti bambino

e genitori. Se si tratta di pazienti stranieri,

si programmerà la presenza di un interprete

e/o mediatore culturale per il ricovero); per pazienti

dementi o non collaboranti richiedere la

presenza di un familiare o di chi sia in possesso

di notizie cliniche dettagliate.

Assicurare l’alimentazione e idratazione:

programmare un regime dietetico adeguato in

collaborazione con il dietista, far assumere una

dieta ricca di ferro (per contrastare l’anemia

post operatoria) e calcio (per favorire la formazione

del callo osseo), eventualmente ipocalorica

se persona obesa. Il giorno precedente

l’intervento l’assistito assumerà una dieta leggera,

con digiuno dalla mezzanotte. Fornire

diete di vario tipo, insegnare i comportamenti

per favorire una alimentazione e idratazione

equilibrata e indicare i motivi della dieta da se-

31


32

IPASVI

guire, insegnare a monitorare l’introito di cibi/

bevande.

Assicurare l’eliminazione urinaria e intestinale:

nel caso di pazienti giovani e di pz con intervento

programmato non ci sono particolari

problemi, per pz anziani o con impossibilità al

movimento per alcuni giorni la cateterizzazione

consentirà di monitorare il bilancio Idro elettrolitico,

evitando di alzarsi prevenendo cadute.

La cute sarà tenuta asciutta impedendo macerazioni

che deriverebbero dal contatto con le

urine in caso di panno. L’evacuazione di feci

sarà ottenuta mediante clisteri evacuativi il

giorno precedente l’intervento.

Assicurare l’igiene:

favorire l’igiene sarà importante, (il giorno precedente

l’intervento di solito la sera prima o prima

del trasferimento in sala operatoria quanto

alla tricotomia seguire i protocolli di reparto là

dove presenti. il giorno dell’intervento: fornire il

camice e la cuffi a; le unghie in caso di pazienti

di sesso femminile dovranno essere prive

di smalto, dovranno essere rimosse eventuali

protesi e monili, il letto dovrà essere rifatto con

biancheria pulita, traversa monouso e due coperte,

e dovrà essere posizionato un archetto

sollevacoperte).

Assicurare la funzione cardiocircolatoria:

programmare con il Centro Trasfusionale il

deposito di sacche predonate per pz per i

quali si supponga una perdita importante da

reinfondere nel post operatorio;

controllare ed identifi care i sintomi ed i segni

di una TVP: dolore, calore, rossore e gonfi ore

all’arto interessato dalla frattura, per cui rilevare

e sorvegliare la temperatura dell’arto fratturato

e la frequenza cardiaca periferica, per la

presenza di eventuali segni di trombosi o compressione

del circolo (arterioso e venoso); controllare

il colorito dell’arto fratturato per rilevare

segni di compressione del circolo; rilevare lo

stato di idratazione in seguito alla ridotta introduzione

o perdita di liquidi da edemi o ematomi.

possono presentarsi punti di esposizione

della frattura, perciò rilevare l’integrità cutanea;

in presenza di febbre applicare la borsa del

ghiaccio, rilevare ed annotare la temperatura

corporea.

Respirare: pz anziani allettati a differenza di

pz giovani possono avere problemi di clearence

delle vie aeree con possibili infezioni delle

stesse, anche per eventuali traumi toracici associati

che riducono l’espansione toracica, per

intubazione intraoperatoria, per inibizione del

rifl esso della tosse a scopo antalgico.

Assicurare la respirazione : insegnare ad

eseguire esercizi respiratori e di tosse, drenaggio

posturale, azioni: favorire l’esecuzione di

esercizi respiratori (atti: respirazione diaframmatica,

costale, respirazione a labbra socchiuse,

far utilizzare appositi dispositivi), effettuare

percussioni e vibrazioni, far effettuare esercizi

di tosse, effettuare il drenaggio posturale (per

quanto è possibile visto il decubito obbligato);

nel caso in cui si renda necessario : aspirare le

secrezioni delle prime vie aeree; dato il rischio

post traumatico di EPA, contusione polmonare,

PNX, versamento pleurico da trauma, vi è la

necessità di rilevare i caratteri della respirazione.

Applicare le procedure terapeutiche

Se il paziente assumeva terapie con anti-coagulanti

orali, andrebbero sospese almeno una

settimana prima dell’intervento, di solito sostituiti

con trattamenti eparinici sottocute; se assumeva

terapia con acido acetilsalicilico, la terapia

andrebbe sospesa almeno 5 giorni prima

dell’intervento; se assume terapie neurolettiche

(es: Anafranil), andrebbero sospese almeno 10

giorni prima dell’intervento. Il tutto avviene su

indicazione dell’ortopedico o dell’ Anestesista

o degli specialisti ognuno per la propria area di

competenza.

Vi sono comunque protocolli specifi ci a riguardo.

In caso di auto somministrazione di terapia

eparinica sottocute a domicilio, il pz sarà edotto

alla pratica oppure sarà individuato il care giver,


importante sarà porre attenzione al dosaggio

del farmaco ed alla corretta applicazione della

stessa procedura.

Il giorno precedente e il giorno stesso dell’intervento

somministrare i farmaci prescritti

dall’anestesista come premedicazione e terapia

domiciliare se indicato dall’anestesista

(azione: Sostituire: somministrare sostanze terapeutiche).

Eseguire le procedure diagnostiche :

esami necessari sono tutti quelli di laboratorio

(esami standard per intervento, gruppo sanguigno

ed eventuale prelievo per la richiesta

di sangue o di sacche predonate), esami strumentali

standard (ECG, RX e Torace) inoltre

RX e/o RMN bacino + articolazione interessata

(eseguire prelievo di sangue venoso, eseguire

ECG, eseguire esami radiologici).

Prima dell’intervento chirurgico, il chirurgo

stesso chiederà all’assistito o a chi legalmente

lo rappresenta il consenso ad essere informato

sull’intervento, sugli effetti dello stesso e

sui rischi ad esso correlati (consenso informato

scritto), in caso positivo procederà a fornire

tutte le informazioni, in caso di accettazione

dell’intervento si assicurerà di far fi rmare lo

stesso consenso.

Stessa procedura sarà adottata per l’anestesista

circa i rischi correlati alla pratica anestesiologica,

l’infermiere quindi porrà attenzione

ai consensi informati scritti, assicurandosi che

siano stati fi rmati.

Fase POST OPERATORIA

Post operatorio Immediato

(dalla fi ne dell’intervento alle prime 24 ore) :

■ controllo parametri vitali (PAO, FC, FR,

SaO2) valido anche per post operatorio intermedio

■ controllo della Diuresi valido anche per

post operatorio intermedio;

■ controllo condizioni generali del paziente

(orientamento, vigilanza) valido anche

per post operatorio intermedio:

IPASVI

■ controllo del dolore (usare scale del dolore

validate (VDS-VAS-NRS) pediatriche

per i bambini e riportare i dati sulla C.I.) portandoli

all’attenzione del medico, controllo

dell’effi cacia della terapia analgesica (generalmente

due accessi: endovena e peridurale)

valido anche per post operatorio intermedio;

■ controllo della ferita chirurgica e delle

fi ches (se presenza di rossore, ematoma,

sanguinamento, adesione della medicazione)

e di eventuali drenaggi (quantità/qualità),

per la medicazione sarà dedicata di seguito

una sezione particolare.

■ controllo dell’arto operato (polso periferico,

sensibilità, motilità, temperatura, colore),

posizionare zuppingher, borsa di ghiaccio

e archetto sollevacoperte, valido anche

per post operatorio intermedio;

■ somministrazione di antibiotico terapia

secondo protocollo di reparto.

■ effettuare prelievi ematici su prescrizione

medica: emocromo di controllo su prescrizione

medica) valido anche per post

operatorio intermedio.

■ pz giovani con intervento programmato

privi di complicanze a differenza di pz anziani

affetti da traumi acuti, su indicazione medica

possono assumere la posizione eretta

senza caricare con l’ausilio di stampelle.

controllo segni di comparsa complicanze che

possono essere:

Generali: immediate (shock, emorragie)

a distanza (embolia polmonare, LDD).

Locali: immediate (rottura di vasi, lesioni

nervose, infezioni, TVP), a distanza (ritardo

di consolidamento, pseudoartrosi)

Post operatorio Intermedio

(dalle 24 ore ai primi 15 giorni dall’intervento) :

Caratterizzato dalla ripresa del movimento graduale,

sotto prescrizione e sorveglianza medi-

33


34

IPASVI

ca, svolta dal fi sioterapista;

controllo ferita chirurgica e medicazione, rimozione

drenaggi (di solito dopo 24/48 ore

dall’intervento): i punti in caso fosse associata

ferita verranno tolti secondo la condizione di

cicatrizzazione, in genere in 15A - 18Agiornata. ■ controllo dello stato di cute e mucose (prevenzione

LDD),

■ controllo canalizzazione e rimozione del CV

a partire dalla 2^ giornata post-operatoria

■ terapia antibiotica (in genere sino alle 24

ore dopo l’intervento) e terapia infusiva sino

a 48/72 ore dall’intervento e comunque

come da protocollo di reparto.

■ la dieta è libera sin dal 1° giorno post operatorio

Post operatorio Tardivo (oltre i 15 giorni

dall’intervento) :

periodo trascorso a domicilio o presso centri di

riabilitazione dove sarà opportuno ed importante

il controllo e la gestione del fi ssatore.

LA MEDICAZIONE

Abbiamo visto in precedenza come prendersi

cura del paziente portatore di fi ssatore esterno,

ora vediamo l’aspetto prettamente tecnico che

riguarda la medicazione del fi ssatore stesso

che rappresenta un aspetto importante. Esiste

una best Practice nelle cura delle lesioni causate

dai fi ssatori esterni in particolare dalle fi -

ches?

Il problema più importante da affrontare è sicuramente

rappresentato dall’infezione del

tratto delle fi ches che rappresenta la complicanza

più temibile. Importante sarà individuare

e riconoscere i segni di una infezione causata

dalle fi ches.

Diverse possono essere le tipologie di pazienti

che possiamo incontrare: pazienti portatori di

FE senza ferita chirurgica (trattati a cielo chiuso)

o pz portatori di FE con presenza di lesioni

che dovranno risolversi per seconda intenzione

oppure pz portatori di FE con ferita chirurgica.

I segni minori di un’infezione sono: arrossamento,

gonfi ore, fragilità cutanea, drenaggio

purulento che migliora con l’incisione della

cute.

I segni maggiori sono rappresentati da: arrossamento,

gonfi ore, fragilità cutanea, drenaggio

purulento che non migliora con l’incisione della

cute e richiede la rimozione del fi ssatore per

ottenere il miglioramento cutaneo.

Due autori, Checketts R. & Otterburn M., propongono

una classifi cazione delle infezioni del

tratto delle fi ches. Uno studio osservazionale è

stato condotto su 353 perni posizionati, nell’arco

di 12 mesi il 54,4 % dei perni ha mostrato

segni di infezione minore, i perni maggiormente

soggetti ad infezione sono stati quelli in prossimità

delle articolazioni.

Si possono distinguere 6 diversi gradi di infezione

dei perni in trazione, vengono considerate

infezioni minori quelle di grado 1-3; infezioni

maggiori quelle di grado 4-6.

1° GRADO: drenaggio modesto e arrossamento

presso l’inserzione del perno;

2° GRADO: arrossamento della cute attorno

al perno, sensibilità dei tessuti molli,

presenza di pus;

3° GRADO: simile al grado 2, ma un trattamento

intensivo locale e l’uso di antibiotici

non sono suffi cienti, i perni devono

essere riposizionati;

4° GRADO: grave coinvolgimento dei

tessuti molli, interessamento di più di un

perno. I fi ssatori esterni devono essere rimossi;

5° GRADO: come il grado 4 ma con presenza

di osteomielite;

6°GRADO: sequestro nella formazione di

osso e persistenza di “sinus” (tratto fi stoloso

a fondo cieco) anche dopo la rimozione

dei fi ssatori esterni. È necessario

un intervento chirurgico.

Tra gli INTERROGATIVI più comuni: Come detergere?

Quali disinfettanti usare? Rimuovere

le croste? Tecnica sterile o pulita? Usare o no


pomate? Quali medicazioni utilizzare? Con

quale frequenza? Si può fare la doccia con il

fi ssatore? L’igiene? Il dolore?La mobilizzazione?

le fonti utilizzate per questa ricerca sono state

diverse

- CDC DI ATLANTA (USA)

- MEDLINE /PUBMED

- RIVISTE DI NURSING ORTOPEDICO

- LINEE GUIDA PREVENZIONE E

TRATTAMENTO DELLE LESIONI DA

PRESSIONE

Tra gli articoli più interessanti

- Lethaby A,Temple J, Santy J. Pin

site care for preventing infections associated

with external bone fi xators and pins. Cochrane

Database of Systematic Reviews 2008, Issue

4. Art. No.: CD004551.

- Ward P., Care of skeletal pins: a literature

rewiew, in Nursing Standard (1998) 12,

39p. 34-38 (di seguito denominato Standard

per la medicazione dei fi ssatori monolaterali

Tra i disinfettanti, acqua ossigenata, iodiopovidone

in soluzione, clorexidina 0,05%.

Lo iodio-povidone è sconsigliato poiché corrosivo

nei confronti dell’acciaio, (W. Dahl 2003)

quando associate iodio e clorexidina hanno

dimostrato di provocare aumento delle infezioni,

ritardo della guarigione ed alterazione della

normale fl ora cutanea. L’uso dell’acqua ossigenata

pari alla clorexidina ed allo iodio-povidone

è associato al ritardo del processo di guarigione

della lesione ed alterazione della fl ora cutanea.

Se utilizzata per le fi ches la lesione va

poi sciacquata con soluzione fi siologica. Due

studi:

Henry c. pin site do we need clean

them? Practice nursing 1996(4) 12,15-7

J.Eric Gordon pin site care during

external fi xation in children

hanno confrontato due gruppi, il primo deterso

con sol salina 0’9 % e alcol 70 % il secondo non

deterso, i risultati hanno dimostrato un numero

IPASVI

minore di infezioni nel gruppo non deterso..

Tra le soluzioni detergenti, Acqua sterile e

soluzione fi siologica sono utili nella cura delle

fi ches ammorbidiscono le croste ed i residui

di essudato In modo da essere facilmente

rimossi, ad esse non sono associate reazioni

avverse.

Rimozione della crosta. Alcuni autori indicano

di rimuovere le croste che circondano la fi ches

in modo da permettere la fuoriuscita di materiale

di drenaggio dai tessuti profondi ed evitare

formazione di ascessi, altri autori sostengono

che le croste rappresentino una barriera alle

contaminazioni profonde , l’orientamento attuale

in attesa di nuovi studi, è quello di rimuovere

le croste al fi ne di permettere il drenaggio.

Tecnica sterile o pulita. Quattro autori

raccomandano tecnica sterile in ambiente

ospedaliero per la presenza di batteri antibiotico-resistenti,

a domicilio è consigliato l’uso di

tecniche pulite.

Le pomate. Le controversie riguardano il “se”

usare o meno le pomate; attualmente sono

sconsigliate e si preferisce lasciare esposte

all’aria le fi ches.

QUALE MEDICAZIONE UTILIZZARE?

Alcuni autori propongono l’uso della medicazione

per un’azione barriera nei confronti delle

fi ches. altri sostengono di lasciarle scoperte

per non bloccare il drenaggio.

“Sisk” propone di medicare le fi ches solo in

presenza di drenaggio e raccomandano l’uso

di medicazioni associate a lesioni cutanee

o se è previsto movimento del tessuto attorno

alle stesse fi ches. “Triguerio” spiega che

L’applicazione di garze sterili, attorno alle fi -

ches, può rappresentare una barriera protettiva

contro: le infezioni aeree e la contaminazione

attraverso le mani del paziente o dei caregivers.

LA FREQUENZA DELLA MEDICAZIONE

Variare la frequenza di medicazione rilevabile

dall’osservazione delle garze

Ward P. Santy J. Bernardo L.M.

35


36

IPASVI

La prima medicazione è consigliata dopo 24

ore dall’intervento; In presenza di drenaggio

copioso è consigliata una frequenza della

medicazione ogni 8 ore.

La cura delle sedi delle fi ches, in assenza di

chiari segni di infezione, va eseguita ogni cinque

- sette giorni. In passato, l’indicazione che

si dava era quella di sostituire la medicazione

una volta al giorno.

IGIENE DOCCIA E ABBIGLIAMENTO

Un’adeguata igiene personale sortisce effetto

positivo su circolazione ed idratazione.

È possibile eseguire la doccia , anche con

il FE, quando non sono presenti altre ferite

sull’arto interessato e comunque dopo almeno

dieci - quindici giorni dall’intervento. Durante

la doccia, è opportuno che il paziente strofi ni

delicatamente la cute e la struttura metallica,

in prossimità delle fi ches, utilizzando un detergente

saponoso.

Al termine della doccia è necessario asciugare

accuratamente sia la cute sia la struttura metallica,

utilizzando un telo pulito, procedendo

In seguito alla medicazione.

Per ciò che attiene all’abbigliamento può essere

utile l’utilizzo di capi (tuta o camicie) dotati di

bottoni, anche laterali, per facilitare le operazioni

del cambio dell’abbigliamento.

Il dolore

L’infermiere “misura” e monitora la presenza

o assenza del dolore in ogni paziente regolarmente,

mediante una delle scale validate e

riporta il valore sull’apposito spazio previsto

nella cartella infermieristica, su schede

di valutazione dedicate portandolo all’attenzione

del medico.

ADULTI

VAS (Visual Analogue Scale)

VDS (Verbal Descriptor Scale)

NRS (Numeric Pain Intensity Scale)

Per I bambini saranno adottate scale pediatriche.


Controllo del fi ssatore

Controllare che i dadi o i morsetti siano

serrati

Che le fi ches non siano mobili

Che I fi li non siano rotti

Che i fi li di K. all’esterno della struttura

siano curvati

Che i bordi taglienti dei chiodi siano Coperti

Che vi sia uno spazio suffi ciente tra il fi ssatore

e la cute in caso di edema.

MOVIMENTO E DECUBITO

Ogni sede di applicazione del FE presenta

delle particolarità di assistenza.

Se il fi ssatore è posizionato sulla gamba prestare

particolare attenzione alla posizione del

piede perché, se non sostenuto, tende ad assumere

una postura errata (equinismo) con diffi -

coltà e dolore nel recupero. Perciò, la posizione

corretta è data dal posizionamento della scarpetta,

o ciabatta, sostenuta con dei tubolari in

lattice per dare una tensione tale da mantenere

il piede a novanta gradi rispetto alla gamba.

Se il fi ssatore è collocato sul braccio,(omero)

è opportuno posizionare un supporto per

sostenere gomito ed avambraccio (reggi -

gomito).

Se di polso sarà opportuno sostenere polso e

mano ove vi sia diffi coltà iniziale all’estensione

del polso con rischio di permanenza del defi cit.

Conclusioni

Ricerca scientifi ca dove sei?

È defi citaria in questo settore specifi co del

wound care dove Non esistono protocolli..per

cui Parlare di EBN (evidence based nursing)

può risultare aleatorio.

Un trattamento standard delle sedi delle fi ches

resta ancora da individuare..

Tutti gli autori sono concordi nel sottolineare

che è scarsa la ricerca infermieristica in que-

IPASVI

sto ambito, le raccomandazioni sono di livello

II, spesso le affermazioni derivano dai “principi

di guarigione delle lesioni croniche” e le raccomandazioni

sono basate sulla preferenza del

singolo autore.

BIBLIOGRAFIA

● Cohen, A. (1991). Body image in the

person with a stoma. Journal of Enterostomal

Therapy ; 18(2), 68-71. L’immagine

corporea nella persona con una stomia;.

Journal of enterostomale Therapy 18 (2),

68-71.

● Center for Disease Control, Linee

guida per la prevenzione delle infezioni del

sito chirurgico.

● Lee – Smith J., Santy J. Davis P., Jester

R., Kneale J., Pin site management.

Toward a consensus: Part I, in J. of Orthopedic

Nursing (2001) 5, p. 37 – 42

● Ward P., Care of skeletal pins: a literature

rewiew, in Nursing Standard (1998) 12,

39 p. 34-38

● Bereton V., Pin-site care and the rate

of local infection, in Journal of wound care

(January 1998) vol. 7 n. 1, p. 42 – 44

● Libro degli Abstracts – Congresso

ASAMI 2003 – Lecco 8-10 Maggio, 2003

● Lethaby A,Temple J, Santy J. Pin site

care for preventing infections associated

with external bone fi xators and pins. Cochrane

Database of Systematic Reviews

2008, Issue 4. Art. No.: CD004551. DOI:

10.1002/14651858.CD004551.pub2.

● Sisk,T.(1983) general principles and

techniques of external skeletal fi xation.

Clinical orthopaedics and related research

198:96-100 (OP CIT.IN McKENZIE LL

1999)

● Triguerio, M 1983 pin site care protocol.

Canadian nurse; 79:8,24-26. (OP cit in

Mckenzie LL 1999).

● M. Cantarelli “Il modello delle prestazioni

infermieristiche” Masson Milano 1997

37


38

IPASVI

IL RUOLO DEL COORDINATORE INFERMIERISTICO E DEL TEAM NELLA

PROGETTAZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE INFERMIERISTICA PER LA TRACCIABILITÀ

DEL PERCORSO EDUCATIVO DEL BAMBINO DIABETICO

Dott.ssa Italia Cilino

Infermiera Piattaforma Ambulatoriale - Grottaglie

Il D.M. tipo 1 (diabete infantile o autoimmune)

è l’endocrinopatia più frequente nell’età pediatrica.

Il futuro dei bambini diabetici è cambiato

signifi cativamente negli ultimi decenni.

Il progresso nella cura del diabete si fonda su

solide basi, è frutto sia delle nuove conoscenze

sia del coinvolgimento della diade famiglia – paziente.

Entrambi questi fattori sono propedeutici

per poter “educare” a gestire una malattia così

complessa e instabile come il diabete infantile.

Viene infatti affrontato il tema dell’educazione

terapeutica come strumento indispensabile per

migliorare la qualità della vita ai piccoli pazienti

e alle relative famiglie.

Mentre l’educazione alla salute è rivolta alle

persone in stato di salute, per promuoverla ulteriormente,

l’educazione terapeutica è un processo

educativo che si propone di aiutare la

persona malata ad acquisire e mantenere la capacità

di gestire in modo ottimale la propria vita,

convivendo con la malattia.

E’ indispensabile che il bambino e la sua famiglia

vengano educati all’autogestione, devono,

cioè, essere aiutati nell’acquisizione della

capacità di autogestire la propria vita in presenza

di diabete, di svilupparla, potenziarla e soprattutto

di metterla in pratica.

I dati riportati dalla letteratura mondiale indicano

che il DM è una patologia molto costosa

e che si possono realizzare risparmi

signifi cativi per il Servizio Sanitario, riducendo

soprattutto i costi causati dalle complicanze del

diabete attraverso un trattamento attento ed effi

cace della malattia.

Le responsabilità del coordinatore vengono

sempre meno collegate allo svolgimento di attività

assistenziali e sempre più caratterizzate in

termini di soluzione di problemi di funzionamento

dell’unità, per il raggiungimento di migliori

risultati assistenziali. La funzione dell’infermiere

coordinatore si identifi ca nella gestione del

servizio affi dato che consiste essenzialmente

nel guidare un gruppo di operatori e nel creare

le condizioni necessarie per assolvere a tutti i

bisogni assistenziali, educazionali e riabilitativi

dei pazienti (bambini, adolescenti, giovani adulti)

e delle famiglie che afferiscono al servizio. Il

servizio di diabetologia pediatrica esaminato si

trova in un ospedale del brindisino dove vengono

seguiti circa 250 bambini con diabete mellito

tipo 1 attraverso attività di ambulatorio (circa

600 accessi l’anno) e di day – hospital (circa

400 accessi l’anno). Durante l’attività assistenziale

si è osservato che erano sempre le stesse

insicurezze e paure a tormentarli: ricorrevano

frequentemente al servizio perché non in grado

di gestire e soprattutto di prevenire episodi di

ipo o iperglicemia. Questi ripetuti eventi hanno

fatto emergere, all’interno dell’ambulatorio di

diabetologia pediatrica, la mancanza di documentazione

infermieristica destinata alla

tracciabilità del percorso di educazione sanitaria

al bambino diabetico e alle famiglie.

L’osservazione ha portato a formulare l’ipotesi

che un’adeguata educazione terapeutica rivolta

ai bambini e alle famiglie migliora l’aderenza al

piano di cura, favorisce l’autonomia da parte

degli stessi e riduce al minimo le situazioni di

complicanze acute e a lungo termine anche di

quelle croniche.

La prima fase del lavoro ruota intorno all’esigenza

di evidenziare criticità e, nel contempo,

realtà oggettive positive che potrebbero ulteriormente

essere migliorate. Il fi ne ultimo è quello

di ottimizzare la qualità del servizio di diabetologia

pediatrica in questione.

Perché ciò sia possibile, bisogna cercare

di risolvere i punti di debolezza, servendosi di

strumenti effi caci e moderne metodologie di

analisi e progettazione quali diagramma causa

– effetto, tecnica dei sei cappelli per pensare. Il

diagramma causa effetto è il metodo più semplice

ma al tempo stesso più effi cace per indivi-


duare le cause che determinano il problema e

per studiarne le relazioni, che ci permettono di

risolverlo. E’ quasi un procedimento algoritmico

che ci aiuta a risalire alle vere cause e, quindi,

ai veri problemi da risolvere. Edward De Bono,

un’autorità nel campo del pensiero creativo, ha

elaborato un metodo (sei cappelli per pensare),

che utilizza sei cappelli colorati per farsi un

quadro esauriente della situazione. Decidere

di indossare, anche solo metaforicamente, un

cappello per pensare è già, di per sé, un invito

e uno stimolo ad abbandonare i binari del pensiero

passivo, quello di reazione e a predisporsi

ad una forma di pensiero attivo, di azione. Si

è deciso di utilizzare questa metodologia per

affrontare il nostro problema (assenza di un

programma di educazione terapeutica rivolta

ai bambini diabetici e alle famiglie), per entrare

meglio nel merito e per abbracciare anche l’intero

problem solving.

Grazie a ciò è venuto a galla che bisogna

mettere in pratica, sì, un programma di educazione

terapeutica ma che il tutto deve poi essere

monitorato e valutato creando la documentazione

infermieristica per la tracciabilità

del percorso educativo attuato. Il progetto

educativo nel nostro ambulatorio è partito nel

mese di gennaio c. a., e vi hanno preso parte

15 bambini di età compresa tra i 10 e i 12 affetti

da Diabete mellito tipo 1, accompagnati dai

genitori. Gli incontri a tema (10 in tutto) della

durata di 2 ore con cadenza settimanale, sono

stati completati in due mesi e mezzo.

La metodologia usata durante gli incontri è

stata quella del teatro d’impresa con partecipazione

attiva dei piccoli pazienti e delle famiglie.

La valutazione è l’ultima tappa del processo

educativo e, pur essendo molto diffi cile da effettuare,

è imperativa perché è solo attraverso

questo processo che si può verifi care se gli

obiettivi fi ssati sono stati raggiunti. Spetta, quindi,

al coordinatore, all’inizio del percorso educativo,

defi nire con precisione ciò che va misurato.

In questa sede ci limiteremo ad approfondire la

valutazione pedagogica progettando una scheda

che segua il percorso educativo dei 15 piccoli

pazienti che vi hanno partecipato, da inserire

all’interno della cartella infermieristica.

IPASVI

La scheda verrà utilizzata sugli stessi bambini

prima, durante e dopo il corso di educazione

terapeutica per valutarne la validità. Compito

del coordinatore è anche quello di progettare,

insieme al suo team, una scheda di raccolta

dati per tracciare l’effi cacia o meno del percorso

educativo effettuato. Bisogna progettare uno

strumento che valuti se il bambino diabetico ha

fatto propri quegli insegnamenti teorico/pratici

che si è cercato di trasmettere.

La scheda, ideata dal coordinatore insieme

al suo team infermieristico, è un vero e proprio

lavoro di indagine conoscitiva. E’ composta da

un’ unica scheda fronte/retro dove, sul frontespizio,

vi sono tre tabelle che devono essere

compilate dal team di diabetologia, osservando

la capacità pratica del piccolo paziente. Nella

parte posteriore della scheda troviamo, invece,

delle domande rivolte direttamente ai bambini,

alle quali dovranno rispondere mettendo delle

crocette su diverse immagini; questo per testare

la loro conoscenza teorica. La valutazione

fi nale viene, in entrambi i casi, effettuata dal

team che stabilirà se il “compito” nei vari passaggi

è stato: ben fatto , mal fatto , non fatto.

I risultati ottenuti dalle schede raccolta dati sono

stati inseriti in una matrice di Excell predisposta

per il calcolo automatico delle percentuali.

I dati, ricavati dallo studio, anche se attraverso

un campione poco rappresentativo, permettono

di affermare il raggiungimento dell’obiettivo

prefi ssato. La “scheda di raccolta dati per la

tracciabilità dell’effi cacia del percorso educativo”

progettata si è rivelata anche un ottimo strumento

di valutazione. Ha consentito di verifi care

che, le conoscenze teorico/pratiche apprese

dai bambini durante il percorso formativo/educativo,

si sono trasformate in “competenze”. Il

risultato ottenuto non deve essere inteso come

punto di arrivo, bensì punto di partenza per

un ulteriore percorso di crescita professionale.

Lo stimolo a migliorarsi deve essere insito in

questo processo evolutivo, nel quale il coordinatore

gioca un ruolo essenziale essendo chiamato

non solo a semplici compiti organizzativi,

ma soprattutto a sostenere coloro che ne sono

coinvolti, a dettare i tempi giusti, a promuovere

sostanzialmente il “cambiamento”.

39


40

IPASVI

IN VIAGGIO CON...

“NARDINO”

VERSO LA ASL TA

SI è di recente svolto il Seminario di Formazione

del “DISEASE & CARE MANAGEMENT” relativo

al progetto “Nardino” elaborato dall’ AReS Puglia.

Il corso si è svuluppato in 6 gg. con una formazione

professionalizzante di “Care Management”

specifi ca per infermiere “Care Manager”, fi gura

chiave del nuovo modello assistenziale di “presa

in carico globale della persona” affetta da patologie

croniche come malattie cardiovascolari,

scompenso cardiaco, diabete e BPCO.

Il corso si è svolto nella sede formativa della ASL

TA ed ha visto il pieno coinvolgimento di tutti gli

operatori, grazie alla particolare attenzione dedicata

dal personale dell’uffi cio Formazione della

ASL. Dal 22 giugno, tre infermieri C.M., assunti

dalla ASL TA con fondi AReS dedicati, sono già

operativi nell’ambulatorio inf.co di Massafra del

distretto SS 2 interessato dalla riqualifi cazione

dell’ospedale per l’attuazione del nuovo modello

assistenziale per il malato cronico.

Il Chronic Care Model (CCM) è un modello di

cura per le persone affette da malattie croniche

sviluppato dal prof. Wagner1 e dai suoi colleghi

del McColl Institute For Health Care Innovation,

in California, fondato su un nuovo approccio assistenziale

di Care Management, ovvero di presa

in carico globale della persona.

Il modello presuppone il coinvolgimento del CM,

del medico di medicina generale e del medico

specialista che, attraverso interventi mirati, rafforzano

la capacità di empowerment e di self

management, sostenendo la persona che diventa

parte attiva nel processo di cura, generando

nuove prospettive di ben-essere.

Gli infermieri ed i medici di medicina generale

saranno supportati da un software gestionale,

utile sia per la gestione ottimale del percorso di

cura che per le attività di monitoraggio e valutazione,

elementi essenziali del ciclo della qualità

(PDCA).

1 Wagner, E. “The Chronic Care Model” The McColl Institute

For Health Care Innovation, in California

Gruppo di lavoro infermieristico AReS - Puglia

Dott.ssa Girolama de Gennaro, dirigente infermieristica

Dott.ssa Sabina Borracino, CPS coord. infermieristica

Dott.ssa Francesca Bruno, CPS coord. infermieristica

Un progetto ambizioso quello dell’AReS Puglia

che ha avviato un’importante partita insieme agli

operatori sanitari, ai cittadini e alle associazioni

di volontariato che hanno partecipato numerose

al seminario, esprimendo apprezzamenti positivi

per l’iniziativa promossa dall’ARes puglia.

L’intento è quello di trasformare le criticità legati

al piano di rientro 2010-2012, in opportunità rispondenti

sia ai bisogni delle persone affette da

patologie croniche che riequilibrare le disequità

in aumento nella nostra regione. Questa necessità

contingente2 ha imposto al Sistema Salute

un profondo ripensamento, praticabile attraverso

un processo di reingegnerizzazione con l’obiettivo

ed una forte volontà, di potenziare la rete

dei servizi territoriali in grado di offrire sostegno

e accompagnamento alle persone affette da patologie

croniche e/o fragili e di chi se ne prende

cura, evitando che ciò si traduca in marginalità

sociale e sostenendo il principio guida, ovvero

del diritto alla salute.

Il programma prevede di governare il processo

di riorganizzazione delle cure primarie anche

attraverso la costruzione di PDTA (percorsi di

diagnosi, cura e assistenza), unita ad una forte

integrazione socio-sanitaria3 . La riqualifi cazione

dei Servizi Territoriali Distrettuali, l’innovazione

tecnologica professionale, la conseguente valorizzazione

delle risorse umane sono presupposti

necessari per offrire risposte adeguate ai bisogni

del malato cronico.

Valorizzare le risorse umane signifi ca trasformare

il modello assistenziale, tuttora di tipo prestazionale,

con un utilizzo degli operatori quali

meri “compitieri” 4 , cioè esecutori di prestazioni

tecniche con un modello ripensato, in una logi-

2 Cavicchi, I. “I mondi possibili della programmazione

sanitaria” Milano Ed. Mc Graw Hill, 2012

3 Aquilino, A. “Progetto Nardino - modello assistenziale di

gestione dei percorsi diagnostico-terapeutici e di presa

in carico dei soggetti con patologie croniche” Bari ARes

puglia, 2011

4 Cavicchi, I. “I mondi possibili della programmazione

sanitaria” Milano Ed. Mc Graw Hill, 2012


ca di ridistribuzione di nuove competenze fi gure

professionali, come l’infermiere, con un bagaglio

culturale e professionale rinnovato, capace di

offrire un’assistenza innovatrice e funzionale ai

nuovi bisogni assistenziali. Erogare prestazioni

e servizi adeguati ai bisogni della colletività signifi

ca adeguare le caratteristiche degli operatori

agli scopi che si vogliono raggiungere; signifi ca

sviluppare innovative culture di servizio ed, in ultima

analisi, curare lo svilupp professionale delle

risorse umane presenti nelle diverse strutture

sanitarie.

Il sostegno a molti di questi principi rimanda ai

temi della comunicazione per la salute e della

formazionedei professionisti.

Di qui, la necessità di formare personale sempre

più ad alto profi lo professionale che abbia

abilità organizzative, ma che sia anche teso a

quella partecipazione umana e affettiva utile per

creare ambienti di lavoro stimolanti e capaci di

valorizzare la professionalità di ogni individuo

che diventa una parte essenziale per avviare un

cambiamento.

Entriamo nel merito del “Progetto Nardino” che

deve il suo nome a “Leonardo”, progetto pilota

sperimentato positivamente nell’ASL di Lecce e

come si conviene in ogni ambito, l’allievo, ha superato

il maestro!

L’attuazione del progetto ha reso necessaria l’elaborazione

di un Programma Formativo, pensato

secondo la tecnica del “cucito addosso”, attraverso

l’analisi dei bisogni formativi, da cui sono

scaturite le “competenze attese” dei professionisti

coinvolti nel Care Management.

Questa analisi attenta delle diverse componenti,

di cui necessita l’applicazione del modello (clinico-relazionale-gestionale-organizzativo),

ha portato

a determinare la pianifi cazione di 3 momenti

formativi, specifi ci per livelli di approfondimento,

di cui:

1) Il Seminario, della durata di un giorno,

è rivolto a tutti gli attori del Sistema

Sanitario, a qualunque titolo coinvolti,

dall’Assessore alla Salute, al Direttore

Generale dell’AReS, Direttore Generale

e Sanitario dell’ASL, Infermiere,

Coordinatore Infermieristico, Medico

di Medicina Generale, Presidente de-

IPASVI

gli Ordini Professionali dei Medici e degli

Infermieri Fisioterapistici, Psicologi,

Assistenti Sociali e le diverse Associazioni

dei Diritti del Malato (Cittadinanza Attiva);

2) Il corso professionalizzante, della durata

di quattro giorni, è destinato a chi dovrà

attivare la presa in carico, cioè all’infermiere,

anche se è prevista la partecipazione

di altre fi gure professionali come

assistenti sociali, sanitari, medici di medicina

generale e specialisti;

3) Il Modulo di rinforzo, “Work in progress”,

della durata di n. 1 giornata con l’intento

di analizzare e rimuovere eventuali criticità

emerse in fase operativa 5 .

Il programma formativo affronta ambiti diversi,

dal clinico-assistenziale per la conoscenza di

base delle principali malattie croniche, al processo

di nursing e di Care Management, a quello

psicologico, pr comprendere le dinamiche del

gruppo, del singolo e di lavoro, sino a quello informatico,

per la gestione del software dedicato.

Il Progetto Nardino è attivo già in 7 dei primi 8

comuni interessati dal Piano di Rientro, secondo

le modalità previste da Progetto.

- I Modelli Organizzativi

I Modelli Organizzativi su cui si fonda il Progetto

Nardino sono basati su:

- 1) Le Medicine di Gruppo (come nel Progetto

Leonardo), ambulatorio del MMG, le reti e Super

reti;

- 2) Le Case della Salute;

- 3) I Servizi Infermieristici Distrettuali.

Attualmente i modelli organizzativi fanno riferimento

alle Medicine di Gruppo, attivi presso la

ASL LE, e ai Servizi Infermieristici attivi presso la

ASL BT, ASL FG e ASL TA.

- Le fi nalità del Care Management

L’obiettivo del Care Management è quello di individuare

ai bisogni complessi di gestire l’uso

appropriato dei servizi allo scopo di ottimizzare

il funzionamento e nel contempo promuovere

5 Piazzolla, V. “L’introduzione al modello assistenziale di

gestione dei percorsi diagnostici e terapeutici per la presa

in carico delle persone affette da patologie croniche

in Puglia”. Progetto formativo, Bari: AReS Puglia, 2001.

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42

IPASVI

l’auto-curva/self-management, masimizzando la

conoscenza della propria malattia, riconoscendo

al tempo stesso il diritto di ogni individuo

all’autodeterminazione. Applicando il modello di

Assistenza Cronica, si permette al paziente di diventare

un effi cace self-manager.

La conoscenza informata e consapevole, della

propria condizione di malato cronico permette

l’acquisizione di fi ducia e una nuova prospettiva

di benessere capace di sviluppare il proprio potere

di autocontrollo.

Per riuscire a gestire con successo una condizione

cronica sono essenziali i seguenti requisiti:

- La creazione di una prtnership tra paziente

ed operatore, tale da favorire uno spirito collaborativo;

- Un’educazione del paziente all’autogestione;

- Il desiderio, sia nei pazienti che negli operatori,

di assumere un ruolo attivo e responsabile

all’interno del processo di cura 6 .

- Il ruolo del Care Manager nel Chronic Care

Model

Questo “nuovo infermiere” professionista della

salute, rappresenta, insieme al medico di medicina

generale e lo specialista, la tecnologia essenziale

nonché l’elemento innovatore del nuovo

Sistema Salute pugliese.

Il ruolo del Care Manager nel programma prevede

il supporto e l’educazione dei pazienti, nonché

tutte le modifi che al proprio stile di vita che

infl uenzano il processo di cura.

Il Care Manager deve anche essere in grado di

responsabilizzare i pazienti per ottenere il massimo

supporto determinante per la realizzazione

del proprio profi lo di cura.

Il paradigma che riassume questa tendenza è

quello del Modello Biopsicosociale, che propone

una visione sistematica per la quale la salute

viene ad essere correlata ad una moltitudine di

determinanti, efferenti appunto alle dimensioni

biologica, psicologica, sociale e spirituale.

6 Anderson, G. JL. Wolf, e B. Starfi eld. “Prevence, Expenditure,

and Complications of Multiple Chronic Conditions

in the Enderly”. Vol. 162 Archives of Internal Medicine,

Nov. 11, 2002.

La chiave di lettura per un nuovo approccio assistenziale

non può essere di tipo olistico.

- Il processo di nursing e le otto priorità di

base dell’autogestione

Il Nursing nella sua eccezione si confi gura, da

sempre, come assistenza globale alla persona,

perché favorisce la partecipazione attiva della

stessa, con l’intento di consentire l’autonomia

attraverso la promozione e la produzione della

salute, evitando che l’insorgere di complicanze,

proprie delle malattie croniche, possano ridurre

le aspettative di vita.

Il processo di nursing aiuta il Care Manager ad

individuare una serie di priorità che possono

promuovere l’autogestione/self-management e

sostenere i pazienti a collaborare con loro per

giungere all’auto-responsabilizzazione/empowerment,

rilevante soprattutto coloro che soffrono

di condizioni croniche.

Lorig ha individuato otto priorità riconducibili a tre

aree di controllo di tipo: medico, comportamentale

e emozionale7 .

Il Care Manager, formato sul modello delle otto

priorità di base dell’autogestione, sarà in grado,

con l’ausilio di strumenti come i Decision Support

System e la SWOT Analysis, di aiutare il paziente

ad acquisire responsabilizzazione ed auto-effi

cacia, attraverso la rilevazione di punti di forza,

criticità, minacce e opportunità.

- Le cinque fasi del processo di cura

Per ogni priorità il Care Manager, seguendo il

processo di nursing, dovrà predisporre una serie

di azioni/interventi, tenendo conto delle cinque

fasi basilari che intervengono nel processo

di cura.

La sfi da è il cambiamento culturale per il Sistema

Salute pugliese sostenibile, in linea con le prime

due delle tre grandi fi nalità del Sistema Sanitario

Mondiale (WHO) 8 .

1) Miglioramento della salute:

1a. innalzare il livello medio di salute (goodness);

7 Lorig, K and Associates. “Patient Education: A practical

Approach”. California: Sage Publications, inc: Third Edition,

2001.

8 WHO; Geneva, 2000.


1b. ridurre al minimo le differenze di stato di

salute tra individui e tra gruppi (fairness);

2) Capacità di risposta alle aspettative:

2a. innalzare il livello medio di capacità di risposta

alle aspettative;

2b. ridurre al minimo le differenze di stato di

capacità di risposta alle aspettative;

3) Equità della contribuzione fi nanziaria.

I principali ispiratori del “Progetto Nardino”, fanno

un chiaro riferimento alla funzione sociale della

mission del Sistema Salute:

- Il valore della persona, nella sua concretezza,

unicità, e multidimensionalità che

sono alla base del concetto di umanizzazione;

- il valore del servizio pubblico, come patrimonio

della collettività, che viene garantito

al malato cronico attraverso la continuità

assistenziale territoriale;

- il valore del rispetto delle risorse economiche

pubbliche, che ispira la corretta

gestione nel loro uso, garantendo l’equilibrio

delle risorse economico-fi nanziarie,

la buona gestione del patrimonio, nella

legalità e nella trasparenza che si concretizzano

con un risparmio della spesa

L’opinione dei Care Managers

IPASVI

sanitaria evitando il ricorso inappropriato

alle strutture ospedaliere che devono essere

destinate ai ricoveri per acuti;

- Il valore dell’ugualianza dei cittadini di

fronte al servizio, che fa porre la massima

attenzione alle fasce più deboli rimuovendo

gli ostacoli che ne impediscono il loro

effettivo accesso, attraverso la presa in

carico globale della “persona”.

In questa fase di reintegrazione della concezione

del bene salute, come bene collettivo e quindi,

valore sociale, il “Progetto Nardino” diventa

la strada aperta e percorribile per comprendere

l’essere complesso, dove è possibile praticare

l’arte della cura e delle “care”.

I nuovi professionisti della salute dovranno essere

in grado di far valere e mettere in campo

le proprie competenze, che possono essere affermate

dall’integrazione multiprofessionale e

multidisciplinare attraverso la formazione, anello

inestricabile ed imprescindibile dello stesso processo

di cura.

Puntando sul bene salute, il Progetto Nardino

rende compossibile9 il rapporto tra bisogni e risorse.

9 Cavicchi, I. “Il pensiero debole della sanità”. Bari: Ed.

Dedalo, 2008.

Limiti e scelte errate stanno portando la sanità pugliese ad un punto di non ritorno, mettendo in crisi

l’intero sistema assistenziale, come ormai assodato, anche per la mancata riconversione, contestuale

alla chiusura degli ospedali ed al ridimensionamento delle case di cura. In questo scenario

desolante può capitare che spunti fuori un “PROGETTO NARDINO” destinato a potenziare l’assistenza

territoriale in comuni, come quello di Massafra, dove la dismissione dell’ospedale è ancora

dolorosa. Già individuati i care manager: Anna Turrisi, Benedetta Granio, Annunziata Pomo. Ma

quanto credono in questo progetto?

“ Tanto, perché punta a rafforzare la rete territoriale; punta al lavoro d’equipe: paziente, MMG, Specialista,

Infermiere per stabilire la cosa più giusta per il benessere del paziente, obiettivo primario

del Progetto; punta anche alla prevenzione, ovvero l’Infermiere prende in carico il paziente stabilizzato

o potenziale cronico e lo segue dal punto di vista infermieristico, programmando controlli così

come avviene all’interno di una U.O.

Continua la collaborazione con il medico, cui spetta la prescrizione, mentre a noi interessano

programmazione e prenotazione. Ovvero gli ambiti sono ben defi niti e rispettati, nell’ottica di un

continuum assistenziale in grado di offrire prestazioni di qualità.

La Sanità va verso la deospedalizzazione ed il Progetto Nardino viaggia in questo senso”

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IPASVI

LA CONSULENZA INFERMIERISTICA:

RISULTATO DI UN’INDAGINE NEI PAESI

ANGLOSASSONI

L’anno 1999 vede affacciarsi nel panorama italiano

una serie di progetti sulla creazione di un

servizio di consulenza infermieristica. Questa

esperienza nasce dalla volontà di migliorare la

qualità dell’assistenza infermieristica al servizio

dell’assistito, strutturare e formalizzare l’esperienza

consulenziale (rimanendo sempre

e comunque nell’ambito della propria Azienda

Ospedaliera) ancora basata su canali informali

all’interno della stessa unità operativa o

al massimo tra le unità operative della stessa

Azienda Ospedaliera. Le esperienze dettagliate

emerse dalla ricerca bibliografi ca riguardano

le Aziende Ospedaliere di Modena, Firenze e

Gorizia.

All’interno dell’Azienda Ospedaliera Policlinico

di Modena si è partiti costituendo un gruppo di

lavoro formato da un referente medico e da infermieri

esperti (non sono specifi cati i requisti)

appartenenti alle unità operative di neonatologia,

malattie infettive, dermatologia, oncoematologia,

pediatria con il compito di descrivere

l’iter del progetto e creare degli indicatori per

verifi care i risultati ottenuti:

- assicurare un’uniformità dei comportamenti

professionali, valorizzando le competenze specialistiche

di ogni fi gura professionale;

- garantire un’assistenza effi cace ed effi ciente

valutando la soddisfazione dell’assistito;

- valorizzare le proprie capacità, riconoscere i

propri limiti e declinare le responsabilità ad altri

quando si comprende il limite delle proprie

azioni;

- riconoscere l’integrazione professionale e di

conseguenza valorizzare la formazione infermieristica

come risorsa per fronteggiare i pro-

Dott.ssa Chiara ORIGINALE

Infermiera libero-professionista

blemi dell’assistito;

- verifi care attraverso la somministrazione di

un questionario quali fossero le unità operative

che chiedevano prestazioni consulenziali.

La prima parte del lavoro ha previsto la scelta

delle aree di interesse clinico in cui operare

chiedendo ai colleghi (potenziali richiedenti di

consulenza) le prestazioni specialistiche che

avessero arrecato loro problemi di risoluzione.

Individuate le unità operative di interesse

(Pediatria, Centro Riabilitazione Stomizzati,

Emodialisi, Neonatologia, Ortopedia, Cardiologia,

Malattie infettive, Ostetricia) sono stati creati

degli strumenti operativi attraverso i quali

espletare l’attività consulenziale: un catalogo

o quaderno delle consulenze, una procedura

di attivazione della consulenza infermieristica

e/o tecnica e un modulo di richiesta della

prestazione disponibile in formato elettronico

o cartaceo creato sulla falsa riga del modulo

di richiesta di consulenza medica. Il quaderno

delle consulenze contiene numero di telefono

(per consulenze anche di carattere telefonico)

delle unità operative che prestano consulenza,

l’elenco delle prestazioni consulenziali disponibili,

tempi di erogazione (massimo 24 ore dalla

richiesta), suggerimenti per la preparazione del

paziente all’espletamento della consulenza. La

procedura di attivazione della consulenza (fl ow

chart:) parte dall’analisi del consulente (non

sono specifi cati i requisiti dell’infermiere consulente

si evince solo che non è mai un infermiere

neolaureato né in addestramento) della

pertinenza della richiesta; se la richiesta può

trovare accoglimento successivamente viene

contattato il richiedente e la consulenza viene


espletata in presenza di quest’ultimo; in questo

modo la consulenza diventa un momento

formativo per il collega meno esperto (consulenza

indiretta incentrata sul destinatario), al

quale verrà comunque consegnata una copia

del documento dell’attività prestata e un’altra

copia verrà conservata in archivio per l’analisi

dei dati. Se la consulenza richiede l’utilizzo

dei farmaci, questi verranno prescritti dal medico

referente dell’unità operativa. Dall’analisi

dei moduli di richiesta delle consulenza risulta

che negli anni 2000-2009 il maggior numero di

consulenze espletate sono in ambito neonatologico-pediatrico

e in ambito riabilitativo per

l’assistenza ai pazienti stomizzati

Un’altra realtà che ha sviluppato un progetto di

consulenza infermieristica è stata l’Ospedale

Careggi di Firenze per i dispositivi intravascolari

totalmente impiantabili e la consulenza in

wound care (Progetto Osservatorio Aziendale

sulle lesioni cutanee). Per entrambi i progetti

si è partiti defi nendo innanzitutto i requisiti che

il consulente infermieristico deve possedere.

Per il primo progetto: conoscenza dell’inglese

scientifi co fi nalizzato alla ricerca e lettura di articoli

scientifi ci, esperienza pratica di almeno

3 anni nell’assistenza ai pazienti portatori di

dispositivi intravascolari totalmente impiantabili,

aggiornamento annuale di almeno 20 ore

sul tema in oggetto, conoscenza e utilizzo dei

programmi informatici e delle banche dati, corso

di specializzazione ed esperienza in attività

di tutoring . Per il progetto sulle gestione delle

lesioni cutanee invece l’infermiere consulente

deve possedere: diploma di infermiere, diploma

di maturità, diploma universitario di perfezionamento

in wound care, aggiornamento

annuale di almeno 30 ore sul tema in oggetto,

conoscenza della lingua inglese della lingua

parlata e scritta, esperienza pratica nell’assistenza

di almeno tre anni, esperienza in attività

formativa e del processo metodologico di

qualità adottato dall’Azienda Ospedaliera, conoscenza

della metodologia di ricerca e della

normativa per la stesura dei capitolati e infi ne

utilizzo e conoscenza dei sistemi informatici

(Word, Excel, Internet) (9). Successivamente

per entrambi i progetti si è passati a realizzare

la job description che elenca le competenze

IPASVI

che l’infermiere esperto deve possedere rispetto

all’argomento. Come ultimo step si è identifi

cata la procedura di gestione e realizzazione

della consulenza:tutto parte dalla richiesta congiunta

medico-infermiere (attraverso apposito

modulo) per la valutazione dell’assistito da

parte dell’infermiere esperto. Questo valutando

l’assistito, decide se prenderlo in carico o meno:

se l’assistito risulta idoneo l’infermiere esperto

esegue la raccolta dati, valuta il problema

e mette in atto gli interventi per la risoluzione.

I risultati e l’effi cacia del trattamento verranno

verifi cati e qualora fossero positivi l’infermiere

esperto conferma il trattamento sempre e comunque

riservandosi di monitorare e valutare

l’evoluzione del paziente fi no alla dimissione

(qualora il risultato del trattamento fosse negativo,

l’infermiere deve eseguire nuovamente la

valutazione del problema). Infi ne tutto il processo

di consulenza verrà documentato e inserito

in una banca dati creata appositamente al fi ne

monitorare le consulenze eseguite e elaborare

i dati da discutere in riunioni periodiche che lo

staff utilizza come strumento formativo inseme

a protocolli, linee guida e indicatori di qualità.

Altra esperienza è quella dell’Azienda per i

Servizi Sanitari n.2 di Gorizia (che comprende

ospedale di Gorizia, Ospedale di Monfalcone,

distretto alto Isontino).

Si è partiti nel 1999 costituendo un gruppo di

lavoro di 17 operatori infermieristici, ognuno in

rappresentanza della propria unità operativa,

che volevano aderire al progetto consulenziale.

Da questi si è costituito un gruppo tecnico

di 10 operatori che ha contattato tutte le

unità operative aderenti al progetto cardiologia,

dialisi/nefrologica, rianimazione, chirurgia,

ostetricia,urologia e ambulatorio stomizzati,

pediatria, otorinolaringoiatria, ortopedia, oculistica)

chiedendo loro di proporre i temi di consulenza

che potevano offrire. Lo stesso gruppo

operativo valutando i temi della consulenza

(ad esempio: gestione della stomia uretrale,

sostituzione e medicazione drenaggio pleurico,

controllo desault, istruzione sulla mobilizzazione

del paziente politrauma ecc..) li ha ordinati

e raccolti in fascicoli evidenziati da un bollino

rosso indicando che, all’atto della consultazione,

devono essere sempre accompagnati dai

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46

IPASVI

protocolli organizzativi del progetto. Successivamente

si è redatto il modulo di richiesta

per la consulenza come strumento operativo,

diviso in due parti: la prima parte contiene i

dati dell’assistito e la diagnosi infermieristica

è riservata all’unità operativa che richiede la

consulenza e la seconda riservata al parere

del consulente che valuterà la pertinenza della

prestazione. La richiesta così compilata verrà

inviata all’unità operativa per la consulenza che

defi nirà i tempi entro i quali espletare l’attività,

distinguendo le prestazioni in immediate

(basta chiamare l’unità operativa, successivamente

verrà inviato il modulo di richiesta ),urgenti

(previa compilazione modulo, eseguite in

giornata) e non critiche (eseguite entro 72 ore).

Il modulo verrà compilato all’origine in triplice

copia: una copia verrà allegata alla cartella infermieristica

dell’assistito, le altre due verranno

trattenute dal consulente (una utilizzata per l’elaborazione

statistica Aziendale e l’altra verrà

inviato al gruppo tecnico per l’elaborazione dei

dati sperimentali). I risultati dell’attività consulenziale

vengono valutati attraverso riunioni di

formazione/informazione periodiche (10). Altri

centri di cura dove sono in atto progetti di consulenza

sono: l’Arcispedale Santa Maria Nuova

di Reggio Emilia (dove l’infermiere consulente

in Wound Care gestisce un ambulatorio

infermieristico e su richiesta medica prende in

carico pazienti con lesioni diffi cili da trattare),

Biella per la consulenza sulla gestione delle

enterostomie e delle cure palliative, Udine, Rimini,

Parma e Genova per la consulenza sulle

lesioni cutanee.

UN’ ESPERIENZA OLTRE L’AMBITO

CLINICO.

Le esperienze consulenziali infermieristiche,

in Italia come abbiamo visto riguardano solo

l’ambito clinico: sono tutte forme di consulenza

effettuate da infermieri esperti in settori nei

quali le competenze si acquisiscono attraverso

anni di esperienza lavorativa pratica nell’assistenza,

diploma universitario di perfezionamento

o specializzazione nell’ambito prescelto

e minimo 20 o 30 ore di aggiornamento annuale

sul tema in oggetto. Il percorso formativo

specialistica (Master di primo e secondo

livello, Laurea Magistrale, Dottorato di ricerca)

permette di possedere invece un bagaglio culturale

di conoscenze che riguardano soprattutto

l’area manageriale. Questo iter formativo

favorisce lo sviluppo del pensiero critico e della

capacità dell’infermiere di districarsi in situazioni

ad alta complessità sia in ambito etico che

in ambito deontologico. Possedendo tutte queste

conoscenze e capacità quindi si potrebbero

ipotizzare ambiti diversi da quello clinico dove il

consulente infermieristico potrebbe prestare la

propria attività:

- la bioetica: ovunque possano sorgere quesiti

relativi all’etica e alla deontologia professionale,

l’infermiere può collaborare alla creazione

di linee

guida o protocolli che guidino l’agire secondo

le migliori evidenze scientifi che;

- l’ambito legale: l’infermiere, attraverso lo

studio degli aspetti concettuali, metodologici

e pratici della dimensione giuridica-legale

dell’assistenza infermieristica, potrà svolgere

attività di consulenza sia internamente alle

Aziende Ospedaliere, sia come rappresentante

di un cittadino (consulenza verso terzi, che

non è argomento di questa tesi) o su richiesta

di organi giudicanti nell’ambito di perizie legali

e nelle cause riguardanti ipotesi di danno

da malpractice o dove verranno messe in discussione

scelte assistenziali o comportamenti

adottati nell’assistenza infermieristica (dimensione

comunque già presente in Italia, grazie

al Master di Infermieristica Forense); - l’ambito

organizzativo: l’infermiere consulente deve

essere in grado di progettare ed intervenire in

caso di problemi organizzativi complessi, deve

saper programmare, gestire e valutare i servizi

assistenziali, conoscere ed applicare i differenti

modelli organizzativi. Ha inoltre competenze

comunicative, relazioni e di gestione dei gruppi

avanzate: è quindi capace di fornire consulenza

su tutti gli aspetti strutturali e relazionali

del proprio lavoro; - la ricerca: la creazione di

protocolli di ricerca o di linee guida può presentare

problematiche di natura metodologica,

legale, organizzativa ed informativa quindi l’ attività

di consulenza può essere relativa alla validazione

del tema di ricerca, alla metodologia

scelta, sul diritto/ dovere al consenso informa-


to dell’assistito rispetto alle pratiche assistenziali,

alla modalità di registrazione e gestione

dei dati (norme sulla privacy) per non sfociare

in controversie legali sulla tutela delle informazioni

e dei dati personali o sensibili.

LA CONSULENZA INFERMIERISTICA NEI

PAESI ANGLOSASSONI

Nei Paesi Anglosassoni, la formazione infermieristica

inizia nel 1900 e viene offerta in

ambito universitario terminando il percorso sia

a livello di diploma che a livello di laurea. Dal

2002 però nel Regno Unito di Gran Bretagna

(Scozia, Galles, Inghilterra) e Irlanda del Nord

e Canada (tranne il Quebec) diventa obbligatoria

la formazione a livello di laurea per uniformare

ed elevare lo status formativo dell’infermiere

(ad esempio prima esisteva anche la fi -

gura dell’infermiere pratico che, in possesso di

una licenza dopo uno o due anni di corso, era

autorizzato ad esercitare la professione entro i

limiti di un defi nito ambito di esercizio e sempre

sotto la supervisione (diretta o indiretta) dell’infermiere

abilitato). In Australia la transizione

della formazione a livello universitario è iniziata

circa dieci anni prima e ad oggi la formazione

post base offre varie aree di specialità clinica

per implementare conoscenze nella pratica

clinica nel campo dell’ostetricia, neonatologia,

pediatria, area critica, nefrologia, salute mentale,

emergenza, neuroscienze, ortopedia, oncologia,

lesioni spinali, sala operatoria, nursing

respiratorio e cardiotoracico.

Il percorso di studi universitario si divide in corsi

pre-registration e post-registration. Il postregistration

include tutti i percorsi di formazione

che si possono seguire, una volta concluso

il corso di pre-registration. Il corso di laurea

(pre-registration) della durata di tre anni, consiste

in una preparazione della durata di 18 mesi

ed una specializzazione di ulteriori 18 mesi nel

campo di specializzazione prescelto divenendo

così anche infermiere specializzato (advanced

expertice) in un campo specifi co dell’assistenza

infermieristica.

I campi per la specializzazione includono:

- assistenza a pazienti anziani;

- assistenza a pazienti con patologie mentali;

- assistenza a pazienti portatori di handicap;

IPASVI

- assistenza pediatrica.

Al termine del corso triennale pre-registration

si ottengono due qualifi che: una di tipo accademico

( Diploma o Degree Base nurse) divenendo

così infermiere di base abilitato all’esercizio

della professione (registered nurse) e una

di tipo professionale che consente l’iscrizione

all’albo professionale, il Nursing and Midwife

Council.

In seguito alla laurea è possibile proseguire gli

studi attraverso i corsi post-registration (corsi di

specializzazione): Corsi di Formazione (Taught

Courses) come il Diploma Post-Laurea (Postgraduate

Diploma) di nove mesi e il Master

di un anno, oppure attraverso i Programmi di

Ricerca (Research Programmes): due anni nel

caso del Master in Filosofi a della professione

(Master of Philosophy) o tre anni per Dottorato

in Filosofi a della professione ( Doctor of Philosophy)

Frequentando e superando i corso di

formazione post-registretion, si diventa infermiere

in assistenza infermieristica avanzata

(advanced nurse practice, nurse pratictioner):

una fi gura che avendo acquisito una base di

conoscenze tali da arrivare a livello di esperto

e possedendo competenze cliniche per esercitare

una pratica estesa (expanded) in accordo

con gli standard dell’assistenza infermieristica

e della pratica migliore (nursing and best practice

standards) attua procedure, trattamenti e

gli interventi che rientrano nell’autorità legale

della propria fi gura

La fi gura dell’infermiere consulente nei Paesi

Anglosassoni nasce in risposta ad un identifi

cato bisogno di infermieri esperti in pratica

clinica, per raggiungere i migliori risultati nella

cura degli assistiti, garantendo agli stessi una

carriera strutturata proporzionata alle loro vaste

competenze. Il Governo del Regno Unito

infatti, defi nì il ruolo dell’infermiere consulente

per offrire una struttura professionale per infermieri

specialisti con adeguata remunerazione

economica, con il requisito di una base solida

in pratica clinica che occupasse il 50% del loro

tempo lavorativo (Circolare del Servizio della

Salute 217/1999). Nel settembre del 1998 fu

annunciata la nascita della fi gura dell’infermiere

consulente e introdotta nel Servizio Nazionale

della Salute in Inghilterra, Scozia, Canada

47


48

IPASVI

(tranne nel Quebec) e Wales (Australia)

Il ruolo dell’infermiere fu introdotto per la prima

volta nel Regno Unito nel 1999-2000. L’infermiere

consulente è colui il quale deve aver

conseguito un Master o un Dottorato in ambito

clinico, essere registrato come infermiere e

possedere un’ulteriore qualifi cazione professionale.

Ci si aspettava che queste fi gure fossero

competenti per iniziare e condurre la pratica

clinica, l’educazione e lo sviluppo dei servizi. In

una circolare del 1999 del Servizio della Salute

furono defi nite quattro funzioni core che l’infermiere

deve possedere:

- esperienza nella pratica clinica (autorevolezza

clinica);

- leadership professionale e consulenza (prendere

decisioni avanzate);

- educazione e sviluppo (capacità di ‘fare rete’,

lavoro in collaborazione, comprensione delle

implicazioni etiche medico-legali e professionali);

- pratica e sviluppo dei servizi legati alla ricerca

e alla valutazione (valutazione dei risultati di

gruppo).

In aggiunta alle capacità cliniche l’infermiere

consulente deve possedere consapevolezza

strategica, capacità politiche ed intelligenza

emozionale:

- autorevolezza clinica: competenza essenziale

non solo fra pari ma anche con altre professioni

o organizzazioni (stakeholders) che interagiscono

con gli infermieri consulenti;

- consapevolezza strategica: comprende la

consapevolezza del ruolo strategico, del potere

di infl uenza e delle abilità che deve possedere

un infermiere consulente;

- capacità di leadership: comprende la capacità

di esercitare la leadership sull’intera area di

specialità dell’infermiere consulente;

- capacità di relazionarsi o ‘di fare rete’: comprende

la capacità di di comunicare e di stare

all’interno di reti locali, regionali, nazionali e alcuni

anche internazionali;

- lavoro in collaborazione: comprende la capacità

di lavorare in collaborazione, mantenendo

la centralità del paziente;

- prendere decisioni avanzate: defi nisce la capacità

di prendere decisioni anche in situazioni

cliniche complesse;

- comprensione delle implicazioni etiche, medico-legali

e professionali: descrive la capacità di

rifl ettere, formalizzare e regolarizzare le procedure

di lavoro, i percorsi assistenziali o nuove

pratiche da attivare, tenendo conto anche delle

implicazioni etiche, medico-legali e professionali;

- valutazione dei risultati del gruppo: capacità

di misurare o valutare i risultati del singolo o

dell’equipe;

- intelligenza emozionale: capacità di instaurare

con i colleghi e con i pazienti un rapporto

empatico.

Il ruolo dell’infermiere consulente fu defi nito in

Australia nel 1986: deve essere un infermiere

diplomato, abilitato alla professione, con ruolo

approvato dal Dipartimento della salute. Una fi -

gura con minimo 5 anni di esperienza post base

documentata e che deve possedere in aggiunta

titoli infermieristici post base nel campo in

cui egli stesso è specializzato. Fu immaginato

come un esperto in pratica clinica che possiede

vaste conoscenze, esperienza e capacità cliniche

nel campo della propria specialità scelta,

una fi gura che operando in autonomia dirige i

propri sforzi verso il progresso nella cura degli

assistiti, nella pratica infermieristica e fornisce

un servizio di consulenza per infermieri e altri

professionisti della salute. Nel 2000 il dipartimento

della salute de New South Wales defi nisce

e rivaluta il ruolo dell’infermiere consulente

a causa di confl itti nati tra gli stessi ed altre fi -

gure coinvolte in campo clinico. Per defi nire il

tutto furono creati cinque campi di funzioni per

questa fi gura:

- servizio clinico e di consulenza: offrire consulenza

clinica esperta, sviluppare e facilitare

l’implementazione la direzione di piani di cura

per pazienti con complessi bisogni di salute;

- leadership clinica: offrire attività di leadership

che faciliti il continuo sviluppo della pratica clinica;

- ricerca: valutare e utilizzare risultati di ricerche;

- educazione: sviluppare e mantenere specialità

relative a programmi educativi;

- pianifi cazione e direzione dei servizi clinici:

partecipare in processi formali per formulare

piani strategici e operativi per il servizio clinico.


Per defi nire e differenziare ulteriormente la fi -

gura degli infermieri consulenti

venne effettuata una divisione per gradi in

base alla formazione:

- Grado 1: infermiere consulente apprendista

(probationary): un infermiere diplomato, abilitato,

con ruolo approvato dall’Area Health Service,

una fi gura con minimo 5 anni di esperienza

post base documentata e che deve inoltre

possedere titoli infermieristici post base nel

campo in cui lo stesso è specializzato o qualsiasi

altra qualifi ca o esperienza ritenuta idonea

dall’Area Health Service.

- Grado 2: infermiere consulente avanzato (profi

cient): un infermiere diplomato, abilitato, con

ruolo approvato dall’Area Health Service, una

fi gura con minimo 5 anni di esperienza post

base documentata, con almeno 3 anni di esperienza

in campo specialistico; inoltre deve possedere

titoli infermieristici post base nel campo

in cui lo stesso è specializzato, o qualsiasi altra

qualifi ca o esperienza ritenuta idonea dall’Area

Health Service. Un datore di lavoro può anche

richiedere la più alta qualifi cazione in un campo

infermieristico specialistico dove il titolo è

considerato essenziale per l’espletamento del

ruolo dirigenziale;

-Grado 3: infermiere consulente avanzato

esperto (expert): un infermiere diplomato, abilitato

con ruolo approvato dall’Area Health Service,

una fi gura con minimo 7 anni di esperienza

post base documentata, con almeno 5 anni di

esperienza in campo specialistico; inoltre deve

possedere titoli infermieristici post base nel

campo in cui lo stesso è specializzato o qualsiasi

altra qualifi ca o esperienza ritenuta idonea

dall’Area Healt Service. Un datore di lavoro può

anche richiedere la più alta qualifi cazione in un

campo infermieristico specialistico dove il titolo

è considerato essenziale per l’espletamento

del ruolo dirigenziale;

In Canada invece è presente una variante o

meglio una specializzazione della fi gura del

consulente infermieristico, l’educatore infermieristico

(nurse educator). Questa fi gura nasce

dalla necessità di implementare e valutare

i programmi di educazione infermieristica e di

approfondire le conoscenze legate in modo particolare

alla pratica clinica (infatti questa fi gura

IPASVI

è conosciuta anche come educatore clinico:

clinical educator). Viene defi nito educatore infermieristico,

un infermiere laureato, iscritto all’

albo professionale, con 5 anni di esperienza in

pratica clinica, 2 anni di esperienza nell’insegnamento

e conoscenza di tecniche relazionali

costruttive: deve possedere competenza professionale,

capacità di leadership ed essere

continuamente aggiornato sulle evoluzioni legislative.

I settori di attività di questa fi gura sono:

- la formazione: il nurse educator valuta il livello

di apprendimento dell’infermiere, fi ssa per

lui un iter formativo e valuta i risultati ottenuti

con meeting mensili; inoltre essendo una fi gura

sempre presente garantisce la supervisione del

lavoro (divenendo esperto anche nella gestione

dell’errore) e verifi ca direttamente i risultati

della formazione infermieristica sui pazienti;

- la pratica: l’educatore infermieristico provvede

a fornire un modello di pratica professionale,

collaborando allo sviluppo di protocolli e

procedure per offrire assistenza infermieristica

sicura e basata sull’evidenza;

- la consulenza: il nurse educator si presta

come consulente per i diversi professionisti che

compongono lo staff per migliorare il servizio

sanitario erogato da parte di tutta l’èquipe infermieristica

e inoltre partecipa alla selezione di

nuovi infermieri da assumere;

- la ricerca: l’infermiere educatore promuove

il miglioramento della qualità dell’assistenza e

integra la ricerca nella pratica clinica in accordo

con gli standard della pratica basata sull’evidenza.

Il Consiglio Centrale del Regno Unito ha defi -

nito la consulenza infermieristica come un’attività

che si occupa di adeguare i propri confi ni

allo sviluppo futuro della pratica, in modo pionieristico,

sviluppando nuovi ruoli in risposta a

nuovi o diversi bisogni e attraverso la ricerca

e la formazione, arricchisce tutto l’ambito della

pratica assistenziale. Questa defi nizione ben

rispecchia le funzioni di riferimento che si ritroveranno

all’interno della fi gura dell’ l’infermiere

consulente.

Nei Paesi Anglosassoni sono stati defi niti quattro

tipi fondamentali di consulenza infermieristica,

distinti in base al destinatario della consulenza

(modello Caplan):

49


50

IPASVI

- consulenza incentrata sul paziente (counselling):

prevista di fronte a pazienti con complesse

problematiche assistenziali;

- consulenza incentrata sul destinatario: il consulente

fornisce al gruppo infermieristico o al

singolo professionista, le proprie indicazioni o

raccomandazioni, non legate ad uno specifi co

paziente ma, ad esempio, ad una categoria di

pazienti, all’utilizzo di una nuova tecnologia o

presidio medico-chirurgico;

- consulenza incentrata sul processo (programma/progetto):

questa forma di consulenza, è

meno focalizzata sugli ambiti clinico assistenziali,

è soprattutto una consulenza metodologica.

Il consulente ha un ruolo di propositore ed

esprime un parere in merito alla modernizzazione

e coerenza interna di un processo, alla

pertinenza e fattibilità di un progetto;

- consulenza incentrata sull’organizzazione/destinatario:

anche in questo caso oggetto della

consulenza non è il paziente ma i professionisti

che formano l’organizzazione: Gli obbiettivi

sono il miglioramento e sviluppo delle condizioni

di lavoro, delle capacità manageriali dei

leader, di previsione e pianifi cazione degli scenari

organizzativi. Da questo si evince che l’attività

consulenziale include e comprende contemporaneamente

entrambi gli ambiti, diretto

ed indiretto. L’ambito diretto riguarda il lavoro

a contatto con l’assistito e la famiglia mentre

l’ambito indiretto riguarda tutte le azioni che

hanno come destinatario il gruppo professionale

e che si rifl ettono in interventi di innovazione,

motivazione, coinvolgimento, formazione e sviluppo

di potenziale. L’infermiere specializzato

che assumerà il ruolo di consulente dovrà possedere

le competenze necessarie in entrambi

gli ambiti: qualora desiderasse sviluppare di

più un’ attività di consulenza prettamente organizzativa

o manageriale non dovrà mai perdere

il contatto con gli sviluppi della pratica clinica

infermieristica .

TECNICHE DI SUPPORTO PER LO STAFF

L’infermiere consulente è ritenuto dai colleghi

infermieri un’effettiva risorsa per il possedimento

di vaste competenze cliniche di base e

avanzate, senza per questo minare la credibilità

di questi agli occhi dei pazienti, ma per spin-

gerli ad intraprendere nuove ‘sfi de’ nell’ambito

della cura degli assistiti ad alta complessità assistenziale.

La maggior parte delle consulenze

richieste si espleta nell’ambito della pratica clinica

e nell’attuazione del Problem Solving, pratiche

che cooperano al sostegno dei colleghi

dello staff. Naturalmente a sua volta l’infermiere

consulente deve godere della fi ducia, base

di tutte le relazioni, del sostegno dei colleghi

e dello staff medico (sostegno individuale),

dell’ausilio delle infrastrutture e delle risorse

(sostegno organizzativo) e dell’utilizzo di una

rete di relazioni nazionali come mezzo per collaborare

e condividere una linea di sviluppo del

proprio ruolo (sostegno nazionale) L’attività di

supporto/formazione dello staff infermieristico

si espleta nell’attuazione di tecniche che sono

abitualmente applicate in ambiti diverse dall’infermieristica

(ad esempio quello della fi nanza)

ma che ben si adattano per i contenuti, quali: il

Mentoring, la Supervisione Clinica, il Feedback,

le Sessioni Individuali (One to one session).

- Il Mentoring (è una relazione volontaria tra

due persone, non un sistema direzionale) che

concede all’allievo di focalizzarsi su un aspetto

particolare della propria carriera; è caratterizzato

da incontri focalizzati ma informali sul problema

che comprendono discussione, sostegno

e consiglio. Il Mentore spesso “spronerà’’

l’allievo ad operare fuori dalla propria zona di

competenza abituale e gli insegnerà ‘la saggezza’

di acquisire conoscenza piuttosto che

capacita’ specifi che.

- La Supervisione Clinica (raccomandata dal

Consiglio di Infermieri ed Ostetriche come

‘buona pratica’) permette alla persona di focalizzarsi

su un particolare aspetto della pratica

clinica: è caratterizzata dalla rifl essione su

azioni compiute e le ripercussioni di queste

sulle azioni future!Il supervisore clinico spesso

spingerà il ‘discepolo’ ad uscir fuori dagli schemi

della linea abituale di procedere e essendo

interessato alla qualità della prestazione offrirà

un feed-back costruttivo.

- Il Feed-back è riconosciuto come metodo per

fare ‘il punto della situazione’, identifi care cosa

è andato bene, cosa non è andato per il verso

giusto, da questo partire per rifl ettere sugli errori

compiuti e insieme fare passi avanti. Per


ottenere questo viene utilizzato il ‘ Modello del

Sandwich’:

- ‘prima fetta di pane’: stabilire la base dei

fatti:cosa è accaduto e perché;

- ‘farcitura’(la sostanza del feed-back): stabilire

cosa è andato bene e cosa no;il

feedback è un processo a doppio senso:essere

capaci di accettare le critiche ed elogi e importante

quanto essere capace di farli;

- ‘ultima fetta di pane’: è la ricapitolazione di tutto

il processo,conducendo insieme il feedback

e valutando il modo per compiere passi in

avanti ).

- Sessioni individuali: per costruire una serie di

relazioni individuali di fi ducia e rispetto all’interno

del team, identifi cando uno scopo comune

da raggiungere.La strutturazione delle sessioni

individuali comprende:

- identifi care tempo e luogo: stimare di quanto

tempo si avrà bisogno e riferire ad altri componenti

dello staff di non essere disturbati in quel

lasso di tempo;

- avendo precedentemente stabilito quale è l’obiettivo

dell’incontro, chiedere quali pensieri si

sono sviluppati sull’argomento;

- rendere sicuri gli altri di essere ascoltati e di

concedere loro ‘tempo di qualità’;

- identifi care ogni problema da discutere;

- ringraziare i colleghi per il tempo dedicato e

per gli input forniti.

Da tutto questo si evince l’importanza e la versatilità

delle competenze della fi gura del consulente

infermieristico, il quale per l’attività svolta

verso i colleghi è considerato da questi come

un leader,una guida che sa’ adattarsi a situazioni

complesse e opera a livello individuale, di

gruppo, organizzativo e strategico.

La leadership del consulente infermieristico

viene esercitata a quattro livelli distinti: individuale,

di gruppo, organizzativo e strategico.

Questa funzione richiede grande competenza

per ‘infl uenzare’ le convinzioni ‘dei più grandi

anziani della professione’, spesso il coraggio di

intraprendere nuove sfi de ed di sostenere e

difendere opinioni che si mostrano contrarie

alla pratica clinica corrente…. la pratica della

leadership del consulente infermieristico esige

un ‘mix’ di competenze da adattare ad ogni ambito

lavorativo per affrontare con grande abilità

IPASVI

le nuove sfi de che la professione richiede, ma

soprattutto richiede un sostegno della persona

e del ruolo da parte dei colleghi dello staff per

permettere che questa fi gura continui a sviluppare

al meglio le proprie potenzialità.

VERSO LA FIGURA DI UN MANAGER

Nel Dipartimento del Consiglio Sanitario nel Regno

Unito uno degli obbiettivi dall’introduzione

della fi gura del consulente infermieristico era

quello di garantire migliori risultati per i pazienti

(migliorando i servizi e la qualità) e rafforzarne

la leadership, garantendo così l’opportunità di

una nuova carriera e un’adeguata remunerazione

economica. Il Dipartimento Sanitario nel

2006 intraprese una revisione dell’infermieristica

e dell’ostetricia e pubblicò: ‘Modernizzando

le carriere infermieristiche-Stabilire la Direzione

puntando sul garantire le nuove direzioni per le

carriere infermieristiche’. Il rapporto riconobbe

il ruolo di guida del consulente infermieristico

e il bisogno crescente di schemi strategici per

intraprendere decisioni e perspicacia nel business

per assicurare massimo guadagno per

acquisire risultati sanitari migliori. Dall’esame

del Dipartimento Sanitario fu pubblicato un

quadro di carriere per modernizzare le carriere

infermieristiche che identifi cano il ruolo del

consulente come il ruolo di miglior prestigio per

infermieri esperti. La futura direzione infermieristica

delineata in questi documenti, fu sostenuta

e rinforzata dalla Commissione del Primo

Ministro nel 2010 nel documento:Cura Frontale:

Il Futuro di Infermieri ed Ostetriche in Inghilterra.

Da uno studio condotto sulle aspirazioni

degli infermieri consulenti sulla progressione

della carriera furono individuate cinque aree di

interesse da parti di questi:

- rimanere nel ruolo di consulenti;

- intraprendere il ruolo di direttore o assistente

di direzione di un servizio di consulenza;

- intraprendere il ruolo di consulente guida;

- intraprendere il ruolo di consulente regionale

o nazionale;

- intraprendere il ruolo di consulente in ambito

educativo.

Le aree dove ad oggi vi sono esperienze di

progressione di carriera di consulenti infermieristici

sono componenti della cultura manage-

51


52

IPASVI

riale: l’area gestionale, strategica, direzionale e

clinica .I ruoli intrapresi da questi sono:

- assistenti o direttori;

- capi di servizi di connessione e direttori di rete

consulenziale;

- consulenti in leadership o in pratica clinica;

- specialisti in pratica clinica.

È da circa 10 anni che, grazie all’accreditamento

professionale, l’infermiere consulente

nei Paesi Anglosassoni lavora al di fuori della

realtà ospedaliera seguendo un Modello di

Gestione della Performance. Secondo tale modello

ciascun infermiere stipula un accordo annuale

di prestazione con l’ente datore di lavoro,

sottoponendo un’analisi semestrale delle prestazioni

e presentando mensilmente un report

alla gestione infermieristica (che espleterà l’analisi

delle prestazioni) sulle attività lavorative

dal quale si evince che la maggior parte delle

prestazioni viene fornita nell’ambito del servizio

clinico e nella consulenza verso i colleghi

(non consulenti), assistiti, caregiver e altri professionisti

della salute (27). Comunque il ruolo

del consulente infermieristico non-medico essendo

il pinnacolo della carriera in ambito clinico

rimane ancora oggi la posizione più ambita;

l’esperienza di consulenza rappresenta inoltre

il punto di partenza e una piattaforma di lancio

per infermieri che hanno aspirazioni anche in

ambito non clinico per capacità strategiche e di

leadership sviluppate.

RISULTATI

Da quanto appreso risulta che partendo già

dall’ambito formativo si riscontrano profonde

differenze tra le due realtà.

Nei Paesi Anglosassoni l’infermiere consulente

per essere defi nito tale oltre all’attività consulenziale

(specialmente in ambito clinico) deve

incrementare e sviluppare ulteriormente: leadership

professionale, educazione e sviluppo,

pratica e sviluppo dei servizi legati alla ricerca

e alla valutazione, autorevolezza clinica, consapevolezza

strategica, capacità relazione e

valutazione dei risultati del gruppo, comprensione

delle implicazioni etiche, medico-legali e

professionali e intelligenza emozionale (capacità

di instaurare con i colleghi e con i pazienti

un rapporto empatico).

In Italia invece non vi è l’istituzione formalizzata

della fi gura dell’infermiere consulente e di

conseguenza dell’attività consulenziali, ma vi

sono progetti da circa dieci anni (per l’Azienda

Ospedaliera San Carlo Borromeo si parte

solo da gennaio 2011) di esperienze consulenziali

(Aziende Ospedaliere: Policlinico di

Modena, Careggi di Firenze, dei Servizi n.2

di Gorizia) all’interno delle quali viene defi nito

infermiere consulente un infermiere con: conoscenza

dell’inglese scientifi co fi nalizzato alla

ricerca e lettura di articoli scientifi ci,esperienza

pratica di almeno 3 anni nell’assistenza

specialistica,aggiornamento annuale di almeno

20 ore sul tema in oggetto, conoscenza e utilizzo

dei programmi informatici e delle banche

dati, corso di specializzazione ed esperienza in

attività di tutoring o anche un infermiere con:

diploma di infermiere, diploma di maturità, diploma

universitario di perfezionamento in campo

specialistico, aggiornamento annuale di almeno

30 ore sul tema in oggetto, conoscenza

della lingua inglese parlata e scritta, esperienza

pratica nell’assistenza di almeno tre anni,

esperienza in attività formativa e del processo

metodologico di qualità adottato dall’Azienda

Ospedaliera, conoscenza della metodologia di

ricerca e della normativa per la stesura dei capitolati

e infi ne utilizzo e conoscenza dei sistemi

informatici (Word, Excel, Internet)

DISCUSSIONE/CONCLUSIONI

Da quanto si evince dai risultati sull’attività

consulenziale e sulla fi gura dell’infermiere consulente

non si può far altro che riscontrare la

profonda discrepanza tra la realtà italiana molto

arretrata dal punto di vista dell’istituzionalizzazione

della fi gura dell’infermiere consulente

e della consulenza infemieristica formale e la

realtà anglosassone che vanta addirittura già

da dodici anni la nascita della consulenza infermieristica

e al giorno d’oggi le prime esperienze

di specializzazione della fi gura dell’infermiere

consulente in ambito manageriale. Anche in

Italia vi sono corsi di laurea post-base come i

Master e iI Dottorato di Ricerca che nei Paesi

Anglosassoni (precisamente nel Regno Unito)

insieme ad una base solida in pratica clinica

sono gli unici requisiti formativi richiesti per


intraprandere il ruolo consulenziale. Considerando

soprattutto i momenti formativi ( come il

Feed-back e le Sessioni Individuali in riunioni

predefi nite e di attività come la Supervisione

Clinica e il Mentoring durante la pratica clinica)

che il consulente nei Paesi Anglosassoni offre e

paragonandoli alle sole riunioni di staff presenti

in Italia (e non ancora in tutte le realtà ospedaliere)

allora viene da proporre ancora con più

enfasi, l’istituzione formalizzata di questa fi gura

in Italia, sottolineando anche il benefi cio che

può trarre il paziente dalla migliore prestazione

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IPASVI

assistenziale fornita. Forse con l’avvento del

consulente infermieristico si potrebbe temere,

in un primo tempo, anche una diatriba professionale

con i medici (come è già successo nei

Paesi Anglosassoni) ma come ogni nuova professione

basta delinearne l’ambito e defi nirne

i confi ni per stabilire un’attività di collaborazione

volta ad avere come unico scopo il bene

dell’assistito, anche perché da ciò che si evince

nelle esperienze consulenziali italiane, vi sono

sompre uno o più referenti medico che collabora

all’interno dei progetti.

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(21)Fowler J. Supporting self and others: from staff nurse to nurse

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(22)Fowler J. Supporting self and others: from staff nurse to nurse

consultant. Part 6: Giving and receiving feedback .British Journal of

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2011 Dec-Feb; 28 (2): 33-40.

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54

IPASVI

Abbracciamo un sogno

Oltre la malattia. Frammenti di storie di vita, è

il titolo della prima festa dell’oncologia che lo

scorso trenta giugno ha richiamato centinaia

di persone presso l’incantevole parco di Monte

Claro, nella città di Cagliari. Una pagina rilevante

della storia sociale e culturale del capoluogo

voluta e scritta da un gruppo di pazienti,

operatori sanitari e volontari che, insieme, con

spirito di amicizia e solidarietà, hanno operato

per la riuscita dell’evento.

Una giornata magica, ricca di emozioni e divertimento,

non studiata a tavolino, non pensata

dai vertici delle direzioni politiche, né sanitarie,

ma proveniente dal basso, da persone tanto

anonime quanto preziose che da anni seguono,

in maniera più o meno diretta, i percorsi

della malattia: vivendoli in prima persona, da

pazienti, accompagnatori o familiari, oppureper

lavoro e dedizione. Così come riferisce Maria

Dolores Palmas, promotrice dell’iniziativa, in

Dott.ssa Maria Dolores Palmas

Master Psiconcologia - S.C. Oncologia Medica

e DH “Businco” Cagliari

occasione della presentazione della giornata.

Dolores lavora nell’ambito ospedaliero da tanti

anni e ha conosciuto tante storie di vita e tanti

modi di affrontare quanto di bello e meno bello

essa propone: gli insegnamenti che dalle esperienze

possono essere tratti, i cambiamenti degli

stili di vita, ed in particolare, i molteplici modi

di interpretare e dare senso al tempo.

Ecco nascere il sogno di Dolores: far conoscere

alla comunità, fuori dalle strutture ospedaliere,

pensieri, emozioni e signifi cati dei percorsi

di vita dei pazienti oncologici.A partire dallo

scorso inverno, con determinatezza, professionalità

ed entusiasmo organizza calendari di

incontri tra persone che desiderano rifl ettere,

insieme,sui rispettivi percorsi di cura;invita le

pazienti a scrivere le proprie esperienze sul

“senso del tempo”; realizza videointerviste per

la creazione di un fi lmato intitolato “il nostro

tempo”. Ancora, chiede e riceve in dono centinaia

di foulard che serviranno per la realizzazione

del simbolo della giornata: il caleidoscopio

(foto). Così, pian piano, Dolores coinvolge

e condivide il suo sogno con altre sognatrici

disposte a raccontare le proprie storie di vita,

e prende forma un corposo quanto delicato

insieme di materiali, fi lmati e scritti, che documentano

i tanti aspetti della vita segnata dall’esperienza

della malattia.Ed è proprio a partire

dalle storie raccontate che si decide di stilare il

programma della festa e di pensare all’allestimento

di una mostraper la presentazione delle

testimonianze.

Tra i tanti racconti si scelgono ed espongono

su pannelli esplicativi “frammenti” di storie trascritte

a manodalle carissime e generoseSorelle

Povere di Santa Chiara di Iglesias. (foto)

Anche il video “Il nostro tempo” presentato per

la prima volta in occasione della festa è un collage

di “frammenti” di immagini e parole dette

dalle protagoniste delle testimonianze. Il ter-


mine “frammenti”, però, non ha niente a che

vedere con la rottura e la frammentarietà della

vita del paziente oncologico, ma, come tiene

a precisare una giovane paziente,la parola

“frammenti” è strettamente legata al simbolo

dell’evento: per spiegare cosa intendiamo con

la parola frammenti, ci piace proporvi l’esempio

del caleidoscopio, vale a dire un tubo cilindrico

che racchiude frammenti di vetro colorato che

rifl ettendosi in un gioco di specchi angolari vi

producono infi nite combinazioni di immagini e

colori.

Ecco, oggi, ciascuna di noi vi offre il proprio caleidoscopio,

metaforicamente la nostra vita, e vi

offre per alcuni minuti la possibilità di poggiarvi

l’occhio e di vedere delle immagini composte

da frammenti di racconti. Sono combinazioni di

immagini e di colori scelti da noi. Ciò signifi ca

che esistono tante altre immagini e altri colori

legati alla nostra vita, e quindi anche all’esperienza

della malattia, che però oggi non vengono

mostrati, a prescindere che possano avere

il colore della tristezza, della gioia, della felicità,

della spensieratezza.

Una volta che distoglieremo l’occhio dal cilindro,

a ciascuno di noi resterà qualcosa. Logicamente

senza mai pensare di aver capito l’Altro,

perché non lo abbiamo conosciuto, non ci abbiamo

parlato, non abbiamo avuto la possibilità

di ascoltarlo, di conoscere i suoi problemi, i suoi

progetti, il suo passato ,

il suo presente [ ].

I “frammenti” diventano

testimonianze

che trasmettono forti

emozioni, centinaia di

persone le ascoltano

con un silenzio quasi

sacrale,senza mai cogliere

connotazioni di

banalità; colgono signifi

cati legati al senso del

tempo e della vita intesa

come dono. E, come

scrive Valentina sul

diario delle presenze,

la festa dell’oncologia

è una occasione per ripensare

alla propria vi-

IPASVI

tae a ciò che si ha senza saperlo, come anche

un’occasione per arricchirsi spiritualmente: […]

grazie, senza le vostre storie di vita non sarei

riuscita ad apprezzare quello che ho [….].

Alla presentazione della mostra e del fi lmato

seguono momenti di rifl essione e comunicazione

con alcuni medici oncologi che hanno trattato

il tema “Prevenzione e salute”.

Non mancano gli spazi per la convivialità e il

divertimento con attori di cabaret e clown: tra le

tante persone non si riconoscono i pazienti dai

medici, gli infermieri dai familiari dei pazienti, il

dirigente sanitario dal curioso capitato alla festa

per caso: non esistono distanze tra persone,

né colori di divise e di camici,né gerarchie.

Si lascia spazio alle persone: mamme e papà,

fi gli, nonni, fi danzati, fi danzate, amici e parenti.

Tutti, partecipano alla realizzazione della festa

donando qualcosa: contributi in denaro, competenze

lavorative, buona volontà per allestire

le sale, per realizzare torte, tortine e dolci di

ogni foggia.

Ciò che dà rilievo alla giornata è il modo in cui

avviene la condivisione della festa, cioè attraverso

la forma del dono. Il dono che, in qualunque

sua forma, crea e salda legami tra persone.

Il dono che ci fa rifl ettere sulla bellezza

della vita, anche quando ci mette a dura prova.

Il dono come comprova della vera amicizia.

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IPASVI

MI SENTO...

UN PO’ PAZZA...

È nata da un’idea “collettiva” - Direttore di

Struttura Dr.ssa Maria Nacci, Medici, Coord.

Inf. , Infermieri -nel Giugno 2010, una sorta

di ristrutturazione del reparto del Servizio

Psichiatrico di Diagnosi e Cura, ubicato nello

Stabilimento S.G.Moscati.

La motivazione era nel desiderio di creare intorno

al paziente e per il paziente stesso tutto

ciò che può servire, vale a dire un mondo

confacente alle sue esigenze, adeguato ai suoi

bisogni, calato nella realtà, in grado di smantellare

quei timori e quei pregiudizi che permeavano

alcuni colleghi e studenti restii ad entrare

in contatto con il paziente psichiatrico e con il

servizio stesso.

Ma consentitemi di affermare che varrebbe la

pena, anche solo per un istante, guardare la

vita del reparto e del servizio stesso: se ne trarrebbero

insegnamenti e si capirebbero tante

cose, a cominciare dalla umanità dei pazienti

per fi nire all’impegno degli operatori, la cui priorità

è solo e sempre il paziente, centro dell’attenzione

relazionale, pazienti con i quali condividono

momenti ricreativi e ludici.

La carenza infermieristica rilevante potrebbe

ma non frena la cura della condivisione e della

comunicazione.

Il merito è anche della giovane dott.ssa Maria

Nacci, dal febbraio 2010 venuta a dirigere la S.

C. di Psichiatria, portando una freschezza giovanile

che ha contagiato tutti quanti, facendo

nascere negli operatori, fi n ad allora messi in

secondo ordine, la voglia di poter dire “ anch’io

nell’ASL di TA esisto e conto qualcosa”.

Personale, allora, motivato, ma anche pazienti

ben contenti del nuovo reparto. Accade così

che, rientrata in reparto dopo un incidente che

Dott.ssa Filomena Perrucci

Inf.f.f. Coord. Inf. SPDC

mi ha tenuta lontana dal servizio dal 14 giugno

2012 al 1 luglio 2012, sono stata invitata a

pranzo da un paziente che ha tenuto a sottolineare

come, da quando il reparto è in ristrutturazione,

si respira un’aria diversa, di cordialità

e serenità tra degenti ed operatori.

Una soddisfazione, il riconoscimento di un impegno

della struttura e degli operatori, ma, anche,

dei pazienti, soggetti unici.

A breve il reparto sarà inaugurato uffi cialmente

e noi tutti ci auguriamo sia sempre in grado di

dare risposte alle aspettative, a quelle psicopatologie

con le quali veniamo a contatto ogni

giorno.

Noi siamo ben intenzionati a non permettere ad

alcunché di bloccare il cammino intrapreso, ci

auguriamo soltanto che altre fi gure professionali

possano venire a coadiuvarci nel lavoro.

Purtroppo, nel passato abbiamo vissuto problemi

di carenza di organico che non hanno

permesso l’offerta qualifi cata che avremmo voluto

offrire ed alla quale i malati hanno diritto.

Oggi la situazione è migliorata ed ha permesso

di superare alcuni gap, ha permesso di intraprendere

un cammino di “coinvolgimento” che

motiva fortemente e gratifi ca. Così, ad esempio,

io sono stata chiamata nella commissione

per la scelta degli arredi, perché è logico che,

chi opera a stretto contatto con i degenti, possa

poter scegliere il meglio da un punto di vista

alberghiero e dei comfort in generale, rispettando

le necessità dei degenti stessi.

E dare al paziente risposte adeguate nel rispetto

della sua piena totalità psicofsica è uno

degli obiettivi del nostro progetto condiviso .


EVENTO FORMATIVO ITINERANTE

INFERMIERISTICA CLINICA:

STRUTTURAZIONE DI UN PIANO DI ASSISTENZA

Professioni sanitarie cui è rivolto l’evento:

Infermieri

n. partecipanti 100

CORSO GRATUITO

IPASVI

DESCRIZIONE GENERALE

La professione infermieristica si caratterizza come professione sanitaria fondata su un proprio corpo

sistematico di conoscenze e sull’espressione di una competenza autonoma nelle valutazioni, nelle

decisioni e nei comportamenti professionali. Per tale motivo l’esercizio professionale richiede il ricorso

continuo a teorie proprie e l’adozione di metodi e strumenti validi, intersoggettivi e collocati in un contesto

di relazioni multidisciplinari.

Il Corso in oggetto intende introdurre il partecipante ai fondamenti metodologici dell’assistenza

infermieristica, dove l’adozione di un validato e condiviso sistema di regole metodologiche assicura

all’assistenza stessa le condizioni per interpretare correttamente e risolvere con appropriatezza, effi cacia,

effi cienza e sicurezza i problemi di salute posti all’infermiere nei diversi ambiti operativi dell’esercizio

professionale.

Il metodo della disciplina infermieristica maggiormente riconosciuto in Italia, cioè il “processo di

assistenza infermieristica”, è considerato una funzione esplicita sul piano normativo, come sottolinea

il Profi lo dell’Infermiere (D.M. Sanità 739/94), che riconosce l’autonomia professionale connessa

all’identifi cazione dei bisogni, alla formulazione degli obiettivi, alla pianifi cazione e valutazione degli

interventi di competenza.

PROGRAMMA

8.00-9.00 L’infermiere e la titolarità del nursing.

9.00-10.00 I modelli organizzativi: dal “compito” all’assistenza

personalizzata.

10.00-11.00 La metodologia del processo assistenziale:

dalla teoria alla prassi.

11.00-12.00 Strumenti a supporto dell’attività clinica.

12.00-13.00 Strutturazione di un piano di assistenza: confronti esperienziali.

Presentazione delle varie realtà locali.

13.00-13.30 Discussione

13.30-15.00 Intervallo

15.00-18.00 Elaborazione di un piano di assistenza individualizzato

applicato a casi clinici.

18.00-18.30 Discussione in plenaria dei lavori di gruppo.

18.30 Chiusura del corso

Crediti ECM: 10

Sede dell’evento:

12-11-2012 - Centro Monticello, Via K. Marx, 1 - GROTTAGLIE (TA)

24-11-2012 - Sede CIOFS - Istituto S. Teresa, Via P. Capponi, 15 - MARTINA FRANCA (TA)

12-12-2012 - Sede Collegio IPASVI TA, Via Salinella, 15 - TARANTO

LE modalita’ di Iscrizione saranno pubblicate nel Sito del Collegio IPASVI: www.ipasvitaranto.

it a partire dal 15 Ottobre. Il corso sarà riproposto a Gennaio 2013 nelle sedi di Manduria e

Castellaneta.

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IPASVI

IL PRINCIPIO DI “NON DISCRIMINAZIONE” TRA LAVORATORI A

TEMPO DETERMINATO E QUELLI A TEMPO INDETERMINATO:

ANCHE AI PRECARI SPETTANO LE 150 ORE PER IL DIRITTO

ALLO STUDIO E LE FASCE STIPENDIALI.

Sono trascorsi ormai più di dieci anni da quando

è stata emanata la direttiva 1999/70/CE del 28

giugno 1999 da parte della Comunità europea,

con cui sono state dettate a tutti gli Stati membri

le linee guida aventi come obiettivo fondamentale

il miglioramento della qualità del lavoro a

tempo determinato, garantendo il rispetto del

principio di non discriminazione. Ma nulla è ancora

cambiato…..

La direttiva 1999/70/CE , recepita dallo Stato

italiano con il decreto legislativo 368/2001, afferma

che

i lavoratori a tempo determinato non

possono essere trattati in modo meno

favorevole, rispetto ai lavoratori a tempo

indeterminato, per il solo fatto di avere un

contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato,

a meno che non esistano ragioni

oggettive.

Il principio di “non discriminazione” è disatteso

da tutti i CCNL presenti sul territorio nazionale,

ed è per questo che spetta al Giudice del

Lavoro dichiarare la non conformità degli stessi

alla Direttiva comunitaria, disapplicando ogni

norma, articolo o comma in contrasto con esso.

Palesemente in contrasto con la direttiva

1999/70/CE è l’art. 22 del CCNL Integrativo

1998/2001 del Comparto Sanità Pubblica dove

sono concessi appositi permessi retribuiti per il

“diritto allo studio”, nella misura di 150 ore

individuali per ciascun anno, ai dipendenti a

tempo indeterminato. Così come discriminatorio

appare il non garantire anche al tempo determinato

la progressione di carriera attraverso

l’ottenimento delle fasce stipendiali.

Per quanto riguarda il danno patrimoniale da

non progressione di carriera le sentenze che

hanno visto vittoriosi i precari che hanno rivendicato

il riconoscimento ab origine di tale diritto,

INFORMU

Dott. Pierpaolo Volpe

ormai sono innumerevoli e diffi cili da contare.

L’ultima sentenza è di Maggio 2012, dove nella

Sezione Lavoro del Tribunale di Taranto, il dott.

Gentile, ha riconosciuto il diritto alla progressione

di carriera ad alcuni precari della scuola.

Al lavoratore precario spettano in base a quanto

suddetto, anche le 150 ore per il diritto allo

studio, lo ha ribadito laCorte di Cassazione Sez.

Lavoro con Sentenza del 17.02.2011, n. 3871,

nel contenzioso tra Ministero della Giustizia e

un lavoratore precario.

Il principio di “non discriminazione” non deve

essere minato e disatteso da nessuna norma, e

qualora questo avvenisse è nostro diritto e dovere

ricorrere in tutte le sedi opportune.

La Sentenza del 17.02.2011, n. 3871 della Corte

di Cassazione Sez. Lavoro è un precedente rivoluzionario,

che fa e farà giurisprudenza,aprendo

scenari importanti per i lavoratori precari della

sanità, vedendo anche ad essi riconosciuto il

diritto allo studio attraverso l’ottenimento delle

150 ore.

Le prime sentenze in sanità arriveranno a breve

( 20 settembre 2012), dove vedremo riconoscere

anche nel nostro settore l’illegittimità dei

contratti apposti ai precari da parte della Asl sul

posto vacante e la progressione di carriera. In

Giudice del lavoro si pronuncerà in seguito al

ricorso adotto dai precari nei confronti della Asl,

in base ai precedenti giurisprudenziali, secondo

le seguenti possibilità:

1. Contratto a tempo indeterminato + fasce

stipendiali

2. Contratto a tempo indeterminato + risarcimento

del danno (circa 5 mensilità) +

fasce stipendiali

3. Risarcimento del danno pari a circa 20

mensilità + fasce stipendiali.


UTILI a cura di Dott. Pierpaolo Volpe - Inf. Centro Diurno EPASSS - Grottaglie (Taranto)

Il riposo di 2 ore giornaliero spetta anche al lavoratore padre

anche se la moglie non lavora perchè casalinga. La circolare

INPS n. 8 del 17 gennaio 2003 e con quella successiva n. 95bis

del 6 settembre 2006 precisavano che spettava solo ai padri

aventi come moglie una “lavoratrice autonoma”, ma il consiglio

di stato nel 2008 ha riformato il tutto facendo giurisprudenza.

E questo perchè lo status di casalinga è paragonabile

a quello di “prestatore d’opera”( Consiglio di Stato, sez. VI, n.

4293/2008; Cassazione, sez. III, n. 20324/2005 e lettera circolare

del ministero del Lavoro del 12 maggio 2009)

Riposi giornalieri (ex permessi per allattamento)

Entro il 1° anno di vita del bambino sono riconoscibili alla madre

(art. 39):

• 2 ore giornaliere anche cumulabili se l’orario è pari

o superiore a 6 ore

• 1 ora se l’orario di lavoro è inferiore a 6 ore

• 1 ora quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra

struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’azienda

riposi sono riconosciuti anche al padre lavoratore (art. 40):

• quando il fi glio è affi dato al padre

• in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se

ne avvalga

• quando la madre non è lavoratrice dipendente

• in caso di morte o grave infermità della madre

Nell’ipotesi di madre non lavoratrice dipendente, deve essere

ricompresa anche la lavoratrice casalinga (si vedano Consiglio

di Stato, sez. VI, n. 4293/2008; Cassazione, sez. III, n. 20324/2005

e lettera circolare del ministero del Lavoro del 12 maggio 2009)

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INFORMUTILI a cura di Dott. Pierpaolo Volpe - Inf. Centro Diurno EPASSS - Grottaglie (Taranto)

IPASVI

DA OGGI CERTIFICATI DI MALATTIA

SOLO ON LINE

14/09/2011 - Addio carta per i certifi cati di malattia:

da oggi anche per i dipendenti privati bisognerà

utilizzare le procedure telematiche.

Dopo i dipendenti pubblici, anche per quelli privati

è arrivato il giorno delle certifi cazioni di malattia

on line: da oggi, 14 settembre, non sono

più obbligati a inviarli al loro datore di lavoro

e nemmeno all’Inps, secondo quanto previsto

dalla Circolare n. 4 dello scorso 18 marzo dei

ministri della Funzione Pubblica e del Lavoro.

Il datore di lavoro, dunque, non potrà più chiedere

al lavoratore l’invio della copia cartacea

dell’attestazione di malattia, ma dovrà prenderne

visione avvalendosi dei servizi resi disponibili

dall’Inps. Potrà, tuttavia, chiedere ai propri

dipendenti di comunicare il numero di protocol-

Dott. Pierpaolo Volpe

lo identifi cativo del certifi cato inviato online dal

medico.

Anche il dipendente potrà consultare i propri

certifi cati direttamente sul sito dell’Inps.

Il medico certifi catore dovrà comunque consegnargli

una copia del documento trasmesso per

via telematica e comunicargli il numero del protocollo

del documento.

Questo anche perché, se si verifi casse un impedimento

all’invio telematico (per esempio il

malfunzionamento del sistema di trasmissione),

il lavoratore dovrà tornare alla “vecchia” procedura,

presentando al proprio datore di lavoro

l’attestazione cartacea rilasciata dal medico e,

laddove previsto, consegnando all’Inps il certifi

cato.


RASSEGNA STAMPA

02 settembre 2012

Fibrillazione atriale. I pazienti europei

sono scontenti della terapia

anticoagulante

Per trattare la condizione si assumono

anticoagulanti orali, che necessitano costante

monitoraggio e continua regolazione della

dose. Ma il 60% dei pazienti vorrebbe ridurre lo

screening, l’80% preferirebbe assumere i farmaci

una volta al giorno. Ecco i risultati di una

nuova indagine presentata al Congresso Esc.

02 SET - Oltre il 60% dei pazienti affetti da fi -

brillazione atriale (FA), condizione responsabile

del 15-20 percento degli ictus ischemici,

sarebbe felice di potere ridurre il regolare monitoraggio

del trattamento anticoagulante, così

come il 55% circa vorrebbe rivedere le modalità

di assunzione dell’anticoagulante stesso

che prevede un costante riaggiustamento delle

dosi, e magari preferirebbe arrivare ad assumerlo

una sola volta al giorno. Questo quanto

emerge da un’indagine Daiichi Sankyo presentata

al Congresso della European Society of

Cardiology (Esc) di Monaco. La ricerca è stata

condotta da un team internazionale - di cui fanno

parte ricercatori dell’Università di Ramon y

Cajal di Madrid, della Oxford PharmaGenesis

e del NHS inglese – su un campione di 1.507

pazienti in Italia, Francia, Germania, Spagna e

Gran Bretagna. Dagli stessi dati, emerge anche

una certa insoddisfazione dei pazienti affetti

da questa condizione in tutta Europa, ma

soprattutto in Italia. A dipingere questo quadro

è infatti la 1a Indagine Paneuropea sui Pazienti

con Fibrillazione Atriale (EUPS-AF). “L’obiettivo

dell’indagine – ha dichiarato José Luis Zamorano,

direttore dell’Istituto Cardio-Vascolare

all’Università di Madrid – era quello di cogliere

il punto di vista del paziente sullo stato dell’arte

del trattamento della FA, con riguardo alle aree

in cui è possibile migliorare la sua soddisfazio-

IPASVI

a cura di Dott.ssa Elena De Santis

Inf. D.H.Oncologia P.O. “Giannuzzi” - Manduria (TA)

ne e la sua aderenza alla terapia. È chiaro che

i limiti attuali della terapia anticoagulante sono

legati alla necessità di un continuo monitoraggio

e aggiustamento della dose con il conseguente

carico che ricade sul paziente. Adattare

i sistemi di cura in funzione delle esigenze dei

pazienti risulta cruciale per migliorare l’effi cacia

e la qualità dell’assistenza”. Per giungere

ai risultati, dunque, gli scienziati hanno intervistato

gli oltre 1500 pazienti di età media di

70 anni, concentrandosi in particolare su quelli

che assumono antagonisti della vitamina K

come trattamento anticoagulante orale. Tra

questi, addirittura il 61% avrebbe dichiarato di

vedere di buon occhio la possibilità di ridurre

i monitoraggi, per diverse ragioni: alcuni per

questioni di tempo (28% del totale); altri per

dover andare meno spesso nei centri specializzati

(29%). Molti altri, inoltre, vorrebbero non

dover continuamente aggiustare la dose dei

loro farmaci (55%) e soprattutto sarebbero felici

se potessero assumere le loro medicine solo

una volta al giorno (80%).Ma non solo. Una

delle esigenze fondamentali dei pazienti con

FA è la necessità di conseguire una maggiore

consapevolezza rispetto al proprio regime

di trattamento. “L’ipertensione e la fi brillazione

atriale – ha sottolineato Florian Abel, Medical

Affairs Director Daiichi Sankyo Europa – sono

entrambe patologie croniche con complessi

meccanismi di trattamento, che richiedono un

notevole impegno da parte del paziente; l’indagine

EUPS-AF mostra che gli attuali livelli

di soddisfazione dei pazienti con FA riguardo

ai trattamenti e l’effi cacia dell’assistenza sono

sub-ottimali. Anche lo stesso controllo della

pressione arteriosa, nonostante le opzioni terapeutiche

disponibili, è risultato sub-ottimale.

Per questo è fondamentale adottare in Europa

standard clinici più avanzati per coinvolgere

maggiormente il paziente con FA nella gestione

più diretta e responsabile della terapia antipertensiva”.

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IPASVI

23 agosto 2012

Trapianti. 161 effettuati su bambini

nel 2011. Ma 195 piccoli pazienti

ancora aspettano un organo

Sono stati 73 i trapianti di rene, 60 quelli di fegato

e 28 di cuore. Per il cuore e il fegato l’età

dei pazienti è solitamente superiore ai 9 anni.

Nel caso dei reni, invece, i bambini fi niscono

sotto i ferri prima di averne compiuti 3. Al 31

dicembre 2011 c’erano ancora 117 bambini che

aspettavano un rene, 23 che aspettavano un

fegato e 55 che aspettavano un cuore. Ecco

i dati del Programma nazionale pediatrico del

Cnt.

23 AGO - Il trapianto di organo è un intervento

molto complesso e delicato. Un processo in cui

la speranza di vita per qualcuno si lega inevitabilmente

al dramma di qualcun altro. Quando si

pensa che ad essere coinvolti siano dei bambini,

il quadro si fa ancora più impressionante e

il procedimento ancora più diffi cile e rischioso,

considerata la necessità di reperire organi di

piccole dimensioni compatibili con il corpicino

del paziente.

Eppure stiamo parlando di casi tutt’altro che

eccezionali. Se si considera, infatti, solo cuore,

rene e fegato, sono stati ben 161 i trapianti

effettuati nel 2011 su bambini e adolescenti. In

particolare, 73 i trapianti di rene, 60 quelli di

fegato e 28 quelli di cuore. A rilevarlo sono i

dati del Programma nazionale pediatrico al 31

dicembre 2011 del Centro nazionale trapianti

(Cnt), diffusi nei giorni scorsi dal ministero della

Salute (vedi i dati relativi al cuore, quelli relativo

al fegato e quelli relativi al rene).

Un’occasione anche per fare il punto sull’attività

dei trapianti pediatrici negli ultimi 10 anni:

in particolare, dal 2002 al 2011 sono stati 204

i trapianti di cuore, 653 quelli di fegato e 633

quelli di rene. Ma vediamo i dettagli per ciascuno

dei tre organi.

29 agosto 2012

Il dolore è in testa. Per studiarlo

e combatterlo si fotografa il cervello

Al via a Milano il Congresso Mondiale sul Dolore.

Oltre 7 mila gli esperti da tutto il mondo

riuniti per confrontarsi sugli ultimi sviluppi della

ricerca e della terapia del dolore: dal brain

imaging all’epigenetica, dal dolore viscerale al

mal di testa, fi no all’importanza degli interventi

psicosociali.

29 AGO - Un adulto su 5 soffre di dolore da

moderato a severo Mal di schiena ed emicrania

sono i dolori più diffusi:ogni adulto ha sofferto

di un episodio di dolore muscoloscheletrico

almeno una volta nella propria vita e si stima

che 1 persona su 2 soffra di mal di testa almeno

una volta all’anno. Ma tutti i dolori, rilevano

gli esperti, sono “in testa”. Tanto che oggi


l’analisi del cervello con le moderne tecniche

di brain imaging sta aprendo nuove prospettive

per la terapia e la gestione dei pazienti.Proprio

questa innovazione sarà al centro del 14° Congresso

Mondiale sul Dolore che si è aperto ieri

a Milano. Si tratta del più importante appuntamento

internazionale sul tema della ricerca e

della terapia del dolore, organizzato ogni due

anni dall’International Association for the Study

of Pain (IASP). Sono oltre 7 mila gli esperti che,

provenienti da più di 110 Paesi di tutto il mondo,

si confronteranno fi no al 31 agosto al MiCo

- Milano Congressi per favorire il progresso

scientifi co e contrastare il dolore: un’emergenza

sociale che nel mondo colpisce molti milioni

di persone. “Il brain imaging - ha spiegato Irene

Tracey, presidente del Comitato Scientifi co del

14° Congresso Mondiale sul Dolore, Università

di Oxford - ci consente di ‘vedere’ all’interno

del sistema nervoso centrale umano (encefalo

e midollo spinale) e di misurare il suo funzionamento.

Possiamo ‘osservare’ il cervello

mentre elabora i segnali provenienti dalle aree

danneggiate dell’organismo, generando l’esperienza

conscia del dolore. Così – ha proseguito

Tracey - possiamo identifi care le aree più importanti

da cui nasce il dolore e studiare come

altre aree, una volta divenute attive, lo peggiorino

notevolmente, generando ansia, depressione,

aspettative negative eccetera. Sono

state fatte nuove scoperte e apprese nuove informazioni

sul cervello e sulla centralità del suo

ruolo: speriamo che da qui possano svilupparsi

nuove terapie e nuove strategie per la gestione

dei pazienti”.

29 agosto 2012

Infermieri sempre più giovani.

L’iscrizione all’Albo arriva prima

dei 25 anni

Tra il 2007 e il 2011 la quota di laureati con

meno di 25 anni è cresciuta dal 45,6% al

57,8%. Ipasvi: “Segno evidente di un percorso

universitario che regge e di un appeal ritrovato

IPASVI

nei confronti della professione da parte dei giovanissimi”.

29 AGO - Infermieri sempre più giovani. Diminuisce

ancora, infatti, l’età media di iscrizione

all’albo (e quindi di conseguimento della Laurea

in Scienze infermieristiche). Già bassa nel

2007 (25,3 anni di età in media), è scesa fi no

a 24,7 anni nel 2011. Una riduzione che ha interessato

indistintamente uomini (da 25,5 anni

a 25,2) e donne (da 25,3 a 24,5) così come,

a livello territoriale, ha investito tutte le ripartizioni

geografi che. I dati arrivato dalla ricognizione

della Federazione dei Collegi Ipasvi

sulle “transizioni in ingresso e in uscita dalla

condizione professionale di infermiere” nel

quadriennio 2007-2011. Si tratta di informazioni

utili ad analizzare la reattività della professione

infermieristica alle sollecitazioni della

realtà sociale ed economica del nostro Paese

e alle modifi che che intervengono in essa nel

corso degli anni. Sotto la lente di ingrandimento

sono fi niti i nuovi iscritti agli Albi provinciali

Ipasvi appartenenti alla fascia d’età 22-30 anni,

proprio per fotografare al meglio la transizione

università-lavoro. Quello che emerge è che i

ragazzi diventano infermieri in età sempre più

giovane, appunto. Un successo che, secondo

l’analisi degli uffi ci della Federazione, dipende

da molteplici fattori: “L’accorciamento dei tempi

di conseguimento della laurea derivante da

una maggiore applicazione negli studi, verosimilmente

determinata da una maggiore motivazione

e fi ducia nelle opportunità offerte dalla

professione”. E ancora, “l’anticipo dei tempi di

ingresso ai corsi universitari, almeno in parte

dovuta al fatto che la professione di infermiere

non è più vista come scelta di ‘ripiego’”. In

generale, secondo l’Ipasvi, “l’ingresso ai corsi

universitari di studenti di ‘qualità’, che si rifl ette

positivamente sui punti precedenti. Tutti fattori

che, secondo la Federazione, “testimoniano

di un accresciuto appeal della professione

infermieristica e di una maggiore fi ducia sulle

relative prospettive professionali”. Conclusione

che per l’Ipasvi trova conferma anche nel

dato sulle iscrizioni di giovani 22-30enni, che

per il 2011 parla di un incremento del 17% rispetto

al 2010 e del 53% rispetto al 2007.

63


64

IPASVI

VERTENZA SANTA RITA

Al Presidente della Regione Puglia Dott. Nichi Vendola

All’Assessore alla Salute Regione Puglia Dott. Ettore Attolini

OGGETTO: Licenziamento 26 unità

Il Collegio interviene su:

DELIBERAZIONE ASL-TA

SU TRACHEO-BRONCOASPIRAZIONE

Il Collegio degli Infermieri della Provincia di Taranto esprime profondo rammarico per quanto accade nella Casa di Cura

“S. Rita”, gravata dalle diffi coltà economiche rivenienti dalla riduzione del budget. Il licenziamento collettivo di 26 unità

sarà l’ennesimo attacco alla qualità dell’assistenza e ad una economia già collassata.

La Regione non può limitarsi al riconoscimento verbale delle diffi coltà, deve mettere in atto strumenti per risollevare la

Sanità e dare risposte effi cienti ed effi caci alle domande di salute di una città affossata dall’immobilismo.

Benedetta Mattiacci

Presidente Collegio IPASVI - Taranto


IPASVI

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA”

“MANAGEMENT INFERMIERISTICO

PER LE FUNZIONI DI COORDINAMENTO”

AA.2010/2011-20 LUGLIO 2012 SEDE IDI - TARANTO

ELENCO DEGLI INFERMIERI CHE HANNO CONSEGUITO

LA SPECIALIZZAZIONE:

1) CAFAGNA LUCIA

2) CAVALLO RAFFAELA RITA

3) CIMINO ITALIA

4) GALEANDRO VINCENZA

5) LAGHEZZA RAFFAELLA

6) PANARELLA LEONARDA ANNA

65


MASTER UNIVERSITARIO PRIMO LIVELLO

“GESTIONE LESIONI DELLA CUTE

E DELLE FERITE COMPLESSE”

(WOUND CARE)

Art. 1– Istituzione

E’ istituito, presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia

dell’Università degli Studi di Roma “Tor

Vergata”, in convenzione con la Provincia Italiana

della Congregazione dei Figli dell’Immacolata

Concezione (PICFIC) - Istituto Dermopatico

dell’Immacolata e la Società scientifi ca

a carattere interdisciplinare AISLEC., il Master

universitario di primo livello in “Gestione

lesioni della cute e delle ferite complesse

(Wound Care) . Il Master sarà effettuato presso

la sedi dell’Istituto Dermopatico dell’Immacolata

di Roma e nelle altre sedi in Italia coinvolte

nella formazione.

Art. 2 - Finalità

Il Corso si rivolge agli operatori sanitari in possesso

della Laurea di primo livello di area sanitaria

in Infermieristica, Ostetricia, Infermieristica

Pediatrica, e diploma di scuola media

superiore quinquennale

A termine del Master lo studente dovrà essere

in grado di:

- Saper effettuare una valutazione complessiva

del rischio di sviluppo di lesioni cutanee nei

pazienti in tutte le situazioni clinico-assistenziali

e a domicilio.

- Individuare ed elaborare gli strumenti infermieristici

per la pianifi cazione assistenziale nel

wound care.

-Individuare, selezionare e utilizzare gli strumenti

e gli ausili idonei per la prevenzione delle

lesioni da pressione.

- Essere in grado di effettuare una valutazione

delle diverse tipologie di lesioni cutanee croni-

STATUTO

che correlate a stati patologici (lesioni da pressione,

vascolari, diabetiche, da ustione, traumatiche

e neoplastiche

- Impostare il trattamento di lesioni cutanee

croniche nella situazione specifi ca, in collaborazione

con le altre fi gure professionali componenti

l’èquipe

- Contribuire al miglioramento continuo della

qualità assistenziale, attraverso l’utilizzo nella

pratica clinica di conoscenze validate secondo

i criteri dell’evidenza scientifi ca e la revisione

periodica degli strumenti operativi in uso nelle

Unità Operative

- Fornire consulenza per la valutazione e il trattamento

delle lesioni cutanee croniche.

- Partecipare ad attività di ricerca infermieristica

nella situazione specifi ca

- Realizzare attività di tutorato clinico nei confronti

di studenti o di altri operatori in formazione

- Conoscere e progettare forme di attività professionale

innovative nell’ambito del Wound

Care

Il professionista che ha conseguito il titolo di

Master in Gestione lesioni della cute e delle

ferite complesse (Wound Care) è colui

che può esercitare una competenza specifi ca

nell’area assistenziale clinica, nell’ambito della

prevenzione e cura delle lesioni cutanee

(disciplina nota nella letteratura internazionale

come “Wound care”, in Italia con il termine

“vulnologia”) e dell’uso delle medicazioni cosiddette

“avanzate”, che può operare nei settori

assistenziali, organizzativi e gestionali ove tali

competenze sono ormai necessarie a realizza-


e un’assistenza sanitaria orientata al cliente, e

impegnata nello sviluppo delle strutture e delle

tecnologie.

Gli sbocchi professionali possibili riguardano

vari ambiti:

responsabili dell’organizzazione, della consulenza

e dell’assistenza ai pazienti con lesioni

cutanee

croniche all’interno dei servizi infermieristici

aziendali; referenti di Unità Operativa per le

problematiche relative al wound care; responsabili

e referenti negli ambulatori infermieristici

vulnologici; referenti nelle ADI per le problematiche

legate al wound care.

Art. 3 - Requisiti di ammissione

Per l’ammissione al Master è necessario il Diploma

di scuola media superiore quinquennale

e la Laurea di primo livello di area sanitaria in

Infermieristica, Ostetricia, Infermieristica Pediatrica,

o titolo equipollente.

I posti saranno assegnati in base ad una graduatoria

generale di merito tra tutti i partecipanti

alla selezione.

Art. 4 - Durata

La durata del Master è di un anno accademico

e l’attività formativa prevista è di 60 crediti pari

a 1500 ore di cui 510 dedicati all’attività didattica

frontale alla presenza di docenti (lezioni

tradizionali, laboratorio guidato, esercitazioni

guidate).

Ai sensi dell’art. 8, comma 1 del Regolamento

didattico di Ateneo, possono essere riconosciute,

dal Consiglio del Master attività formative, di

perfezionamento e di tirocinio seguite successivamente

al conseguimento del titolo di studio

che dà accesso al Master universitario e delle

quali esista attestazione (ivi compresi insegnamenti

attivati nell’ambito di corsi di studio), purché

coerenti con le caratteristiche del Master

stesso. A tali attività vengono assegnati crediti

utili ai fi ni del completamento del Master universitario,

con corrispondente riduzione del carico

formativo dovuto, fi no a un massimo di 20.

La prova fi nale deve essere sostenuta entro

l’ultima sessione del secondo anno accademico

successivo all’ultimo anno di iscrizione al

IPASVI

corso. Oltre tale termine il titolo non è più conseguibile.

Art. 14 - Iscrizione al Master Universitario

Il Master è rivolto a un numero massimo di 30

partecipanti per ogni singola struttura, salvo diverse

indicazioni delle stesse strutture date in

base alla loro capacità recettiva e che saranno

comunque specifi cate nel bando. Il numero minimo

di partecipanti al di sotto del quale il master

non sarà attivato è di 20 per ogni singola

struttura salvo diverse indicazioni delle strutture

in convenzione.

L’ammissione dei candidati è subordinata al

superamento di una prova scritta di tipo psicoattitudinale

di cultura professionale.

La quota di partecipazione verrà stabilita, anno

per anno, dal Consiglio del Master.

La quota stabilita per l’iscrizione è pari a €

2.300,00 suddivisa in n. 2 rate: la prima di €

1.150,00 da versare al momento dell’iscrizione,

la seconda di € 1.150,00 dovrà essere versata

entro il termine stabilito dal bando.

Art. 15 - Obbligo di frequenza

La frequenza al Master è obbligatoria e deve

essere attestata con le fi rme degli studenti.

Una frequenza inferiore al 75% delle ore previste

comporterà l’esclusione dal Master e la

perdita della tassa di iscrizione.

Art. 16 - Conseguimento del titolo

L’attività formativa svolta nell’ambito del Master

è pari a 60 crediti formativi. A conclusione del

Master agli iscritti che supereranno con esito

positivo le prove di verifi ca del profi tto e la

prova fi nale consistente nella dissertazione di

un elaborato su tematiche manageriali, verrà

rilasciato il diploma con il titolo di master universitario

di primo livello in “Gestione Lesioni

della cute e delle ferite complesse (WOUND

CARE)”.

IL MASTER SI TERRÀ IN TARANTO, NELLA

SEDE DEL COLLEGIO IPASVI DI TARANTO,

VIA SALINELLA N. 15.

PER INFORMAZIONI RIVOLGERSI, NEGLI

ORARI D’UFFICIO, ALLA SEGRETERIA DEL

COLLEGIO.

67


In questo momento la nostra

città vive una fase drammatica, dilaniata,

come è, dal dilemma salute

e lavoro.

Come infermieri sappiamo che il

diritto alla salute è “diritto inviolabile”

per tutti: per quanti vivono

ambienti lavorativi “a rischio” e

per quanti ne subiscono le conseguenze.

ILVA, ENI, CEMENTIR, occasioni di

lavoro, non possono e non devono

essere fonte di morte. Coniugare

salute e lavoro è un dovere della

società civile, è un diritto sancito

dalla Costituzione. Violare questi

diritti è un reato.

Taranto merita di più del “saccheggio”

al quale è stato sottoposto;

merita rispetto dalla Grande Industria,

ma, in primis, dai rappresentanti

politici e amministrativi che

non sono riusciti a rispettare il loro

mandato.

Taranto merita, anche, che si costruiscano

alternative all’industria,

rispolverando le vocazioni del territorio.

Ma non solo a parole.

Il Consiglio Direttivo

IPASVI - TARANTO

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