il contributo delle discipline umanistiche - Università degli Studi di ...
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Cultura dell’unità,<br />
unità della cultura:<br />
<strong>il</strong> <strong>contributo</strong> <strong>delle</strong> <strong><strong>di</strong>scipline</strong> <strong>umanistiche</strong><br />
<strong>di</strong> Giovanni Cipriani<br />
Preside della Facoltà <strong>di</strong> Lettere e F<strong>il</strong>osofia<br />
“La sarà, se volete, retorica; perché oggi certa<br />
gente chiama retorica tutto quello che ha<br />
<strong>il</strong> torto <strong>di</strong> parlare al cuore e alla mente dei<br />
buoni e gent<strong>il</strong>i un po’ più presto e un po’ più<br />
efficacemente che non le loro cifre e i resoconti,<br />
le quali e i quali han poi bisogno d’una<br />
retorica tutta speciale per apparire quello che<br />
non sono: ora io tra retorica e retorica scelgo<br />
la più bella ed onesta. E l’elmo <strong>di</strong> Scipio 1 , a<br />
<strong>di</strong>spetto del figurino <strong>delle</strong> guar<strong>di</strong>e civiche<br />
del ’47, posto da Mameli su ‘l capo all’Italia,<br />
mi piace”. Con queste parole Giosuè<br />
Carducci, <strong>il</strong> 9 giugno del 1872, in occasione<br />
della cerimonia <strong>di</strong> traslazione al Verano dei<br />
poveri resti del giovane patriota, sperava <strong>di</strong><br />
evitare o almeno <strong>di</strong> arginare quella valanga<br />
<strong>di</strong> critiche malevole e ingiuste che sarebbe<br />
piombata (e ancora piomba) addosso all’Inno<br />
più famoso composto da Goffredo Mameli,<br />
una valanga che avrebbe cercato <strong>di</strong> destituire<br />
quei nob<strong>il</strong>i accenti patriottici <strong>di</strong> qualsivoglia<br />
pregnanza semantica e che si sarebbe<br />
accanita nel sottolineare ad arte solo i tratti<br />
linguistici inesorab<strong>il</strong>mente esposti, nel corso<br />
<strong>di</strong> centocinquant’anni, da un lato all’usura e<br />
all’ingiuria del tempo, dall’altro alla d<strong>il</strong>agante<br />
incompetenza letteraria e storica <strong>di</strong> lettori<br />
1 - Il riferimento all’elmo non è isolato nella produzione<br />
poetica del Mameli, così come fa notare Costa 1998,<br />
p. 218: “Nella sua ode ‘L’alba’ del 1846, al verso 36,<br />
Mameli scrive: ‘L’elmo antico s’adatta alla fronte; /<br />
Roma è sorta, davanti ci sta’ che ricorda l’ode del<br />
Rossetti ‘All’anno 1831’ che recita: «Cingi l’elmo, la<br />
mitra deponi, / O vetusta signora del mondo, / Sorgi,<br />
sorgi dal sonno profondo; / Io son l’alba del nuovo<br />
tuo dì». In verità ci sarebbe da aggiungere un altro<br />
locus: Mameli (1846), La battaglia <strong>di</strong> Marengo, VI<br />
‘E mitre e gonne, e ciondolini, e suono /Di molli<br />
cetre abbandonar ti fênno / Elmo e spada, e tremar<br />
dell’armi al tuono’”.<br />
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<strong>di</strong>rettamente alla pagina dove troverai i contenuti integrali <strong>di</strong> questo articolo.<br />
‘impreparati’ 2 . Prevedendo quell’ammasso <strong>di</strong><br />
banali e stucchevoli riserve relative all’impasto<br />
linguistico e al retroterra ideologico dell’Inno<br />
<strong>di</strong> Italia e cercando <strong>di</strong> stornare quelle punte<br />
<strong>di</strong> ironia e sarcasmo che, persino dalle pagine<br />
<strong>di</strong> quoti<strong>di</strong>ani e da romanzi autobiografici 3 ,<br />
avrebbero cercato <strong>di</strong> sfigurare la portata sociale<br />
<strong>di</strong> quel canto (“Il canto <strong>degli</strong> italiani”),<br />
Carducci si lasciava andare al ricordo <strong>delle</strong><br />
emozioni che, fin dall’ascolto della prima<br />
strofe, toccavano <strong>il</strong> suo cuore: “«Fratelli d’Italia,<br />
/ L’Italia s’è desta: / Dell’elmo <strong>di</strong> Scipio /<br />
S’è cinta la testa». Io era ancora fanciullo; ma<br />
queste magiche parole, anche senza la musica,<br />
2 - Cfr., e. g., Scioscioli 1998, pp. 65-67; Barberis<br />
2002, p. 45.<br />
3 - Cfr. Serra in “La Repubblica” 2002; Bruni 2004,<br />
pp. 99-101: se nel primo caso si invita ‘paradossalmente’<br />
a tradurre l’inno d’Italia, quasi si fosse in<br />
presenza <strong>di</strong> un italiano ‘straniero’ (l’autore dell’articolo<br />
coerentemente preconizza la nascita <strong>di</strong> un nuovo inno<br />
più alla portata <strong>delle</strong> coscienze contemporanee), nel<br />
secondo caso ad agire è un maestro <strong>di</strong> scuola ‘confuso’<br />
dai suoi stessi allievi allorché deve procedere ad una<br />
balbettante esegesi della poesia mameliana: <strong>il</strong> rischio<br />
maggiore, stando al contesto narrativo, è che si intraveda<br />
nel canto <strong>di</strong> Mameli un sanguinoso invito alla<br />
guerra e alle armi, un invito che suona come minaccia<br />
al desiderato pacifismo [cfr. Bruni 2004, pp. 99-101:<br />
“Obiettò Francesca: «Non capisco che senso abbiano<br />
le parole <strong>di</strong> quest’inno, nell’Italia <strong>di</strong> oggi». «Io spero»<br />
- replicò <strong>il</strong> prof. - «che non ne abbiano nessuno. Perché<br />
se lo avessero, vorrebbe <strong>di</strong>re che l’Italia si è risvegliata a<br />
una politica guerra imperialistica, mettendosi in testa<br />
donchisciottescamente l’elmo <strong>di</strong> Scipione l’Africano,<br />
come ai tempi in cui la buonanima del Duce mandò<br />
(‘armiamoci e partite’) l’esercito italiano a gassare gli<br />
abissini per incoronare come imperatore <strong>di</strong> Etiopia <strong>il</strong><br />
‘piccolo re’ Vittorio Emanuele… Il vero amor <strong>di</strong> patria<br />
non va confuso con l’accettazione <strong>di</strong> questa paccottiglia,<br />
che non rispechia i gran<strong>di</strong> valori <strong>di</strong> umanità e <strong>di</strong><br />
cultura espressi nel passato e nel presente dal popolo<br />
italiano»”].<br />
mi mettevano i brivi<strong>di</strong> per tutte le ossa; e anche<br />
oggi, ripetendole mi si inumi<strong>di</strong>scono gli occhi.<br />
Se non che oggi l’età è scettica e positiva; e a più<br />
d’uno darà per avventura molestia «quell’elmo<br />
<strong>di</strong> Scipio», mito da panche <strong>di</strong> scuola…”.<br />
Non era semplice e romantico sentimentalismo<br />
quello che pervadeva la prosa del Carducci,<br />
che peraltro nel suo <strong>di</strong>scorso ricapitolava<br />
con fini argomenti <strong>di</strong> critica letteraria la<br />
carriera poetica e ideologica <strong>di</strong> Mameli e ne<br />
evidenziava gli originari limiti e le successive<br />
e più consapevoli altezze cui era giunta l’ispirazione<br />
del poeta genovese; vi si doveva e vi<br />
si deve cogliere piuttosto l’invito pressante a<br />
non <strong>di</strong>sgiungere l’analisi e la ricezione <strong>di</strong><br />
quell’inno dall’ampia e articolata cultura che<br />
ne costituiva <strong>il</strong> sostrato e la cifra più originale;<br />
d’altronde si tratta della stessa cultura che<br />
dovrebbe essere tuttora, a centocinquant’anni<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza, <strong>il</strong> collante <strong>di</strong> tutti quelli che si<br />
sono sentiti e si sentono parte <strong>di</strong> un modo <strong>di</strong><br />
sentire in cui convivono armoniosamente le<br />
matrici <strong>delle</strong> nostre origini italiche, me<strong>di</strong>terranee<br />
ed europee 4 . Di qui <strong>il</strong> suo vibrante<br />
4 - È celebre l’omaggio che Hannah Arendt tributò,<br />
nel 1963, alle civ<strong>il</strong>tà antiche e alla loro funzione civ<strong>il</strong>e,<br />
pienamente assolta, in forme attive e non nostalgiche,<br />
anche nell’età <strong>delle</strong> rivoluzioni: “Senza l’esempio classico<br />
[…] - ella scrive -nessuno <strong>degli</strong> uomini <strong>delle</strong> rivoluzioni,<br />
<strong>di</strong> qua e <strong>di</strong> là dell’Atlantico, avrebbe avuto <strong>il</strong> coraggio <strong>di</strong><br />
accingersi a quella che allora apparve un’azione senza<br />
precedenti. Dal punto <strong>di</strong> vista storico, era come se la<br />
rinascita dell’antichità avvenuta nel Rinascimento,<br />
e giunta bruscamente alla fine con l’avvento dell’età<br />
moderna, avesse trovato improvvisamente una nuova<br />
prospettiva <strong>di</strong> vita […]: non era, dobbiamo affermarlo<br />
con la maggiore decisione, un romantico rimpianto del<br />
passato e della tra<strong>di</strong>zione. […] Non fu quin<strong>di</strong> la tra<strong>di</strong>zione<br />
che li riportò agli inizi della storia occidentale, ma<br />
furono al contrario le loro stesse esperienze, per le quali<br />
avevano bisogno <strong>di</strong> modelli e precedenti” [Arendt 1983,<br />
Goffredo Mameli<br />
monito a non cogliere in quei versi unicamente<br />
“un mito da panche <strong>di</strong> scuola” 5 . È<br />
pp. 226-227; per <strong>il</strong> testo originale cfr. Arendt 1990<br />
(1963), pp. 196-197. Su questo passo cfr. almeno<br />
Giar<strong>di</strong>na - Vauchez 2000, p. 126 e Centanni 2005,<br />
p. 13]. Le parole della Arendt danno buon conto, in<br />
breve, <strong>delle</strong> possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> reimpiego esprimib<strong>il</strong>i e concretamente<br />
espresse dalla cultura classica in fasi storiche<br />
particolarmente delicate: <strong>il</strong> bisogno, manifestato dai<br />
moderni, <strong>di</strong> para<strong>di</strong>gmi cui conformarsi non annulla,<br />
ma accresce e implementa, grazie alla funzione modellante<br />
<strong>degli</strong> esempi, nuove tensioni e cogenti urgenze<br />
dell’attualità. Questo processo - come acutamente vide<br />
la Arendt - si manifestò pienamente anche nel corso<br />
della Rivoluzione francese. Sottoposta ad una <strong>di</strong>namica<br />
<strong>di</strong> confronto <strong>di</strong>alettico con circostanze e ideologie<br />
coeve, la simbologia <strong>di</strong> Roma antica, importata in<br />
Francia a quei tempi [cfr., in generale, Parker 1965;<br />
Mossé 1989; Giar<strong>di</strong>na - Vauchez 2000, pp. 122<br />
sgg.] e presto tornata in Italia attraverso la me<strong>di</strong>azione<br />
<strong>degli</strong> stessi Francesi [cfr., almeno a proposito della tra<strong>di</strong>zione<br />
musical-patriottica, Pivato 2005, p. 48], andò<br />
incontro ad usi eclettici e volutamente stravaganti - per<br />
non <strong>di</strong>re stranianti - da parte dei rivoluzionari. Non<br />
si trattò solo del recupero <strong>di</strong> antichi simboli, quali <strong>il</strong><br />
p<strong>il</strong>leus libertatis, (copricapo che a Roma si concedeva<br />
agli schiavi affrancati) o <strong>il</strong> fascio littorio (allegoria<br />
del potere finalmente passato al popolo e dell’unità<br />
della Nazione); ci si riappropriò in modo funzionale<br />
della cultura latina [con <strong>il</strong> suo pantheon <strong>di</strong> eroi e viri<br />
<strong>il</strong>lustres (Bruto, Catone, i Gracchi)] e in particolare <strong>di</strong><br />
quei ‘medaglioni’ <strong>di</strong> eroismo e virtù che affollavano la<br />
storiografia romana e che si trasmettevano per <strong>il</strong> tramite<br />
<strong>delle</strong> letture scolastiche [cfr. Parker 1965, pp. 8 sgg.<br />
(con un comodo inventario <strong>degli</strong> auctores più letti dai<br />
rivoluzionari) e pp. 37 sgg.].<br />
5 - Risale al 1855 la polemica che <strong>il</strong> non classicista<br />
Francesco De Sanctis intraprese nei confronti <strong>di</strong> un<br />
<strong>il</strong>lustre storico tedesco, G. G. Gervinus, colpevole <strong>di</strong><br />
aver frainteso e largamente <strong>di</strong>sprezzato <strong>il</strong> classicismo <strong>di</strong><br />
Alfieri e <strong>di</strong> Foscolo. Tacciata <strong>di</strong> anacronismo retrivo, la<br />
scelta dei due poeti italiani fu duramente <strong>di</strong>fesa da De<br />
Sanctis, autore, nel frangente, non solo <strong>di</strong> una generica<br />
apologia dell’istruzione classica [cfr., a proposito del<br />
ruolo <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong> greci e latini nell’Ottocento, anche<br />
15
16<br />
Moneta romana. 44 a.C., in commemorazione<br />
<strong>delle</strong> I<strong>di</strong> <strong>di</strong> Marzo [EIDibus MARtiis].<br />
Due pugnali e un p<strong>il</strong>leus libertatis.<br />
Conio voluto da Marco Giunio Bruto, cesaricida.<br />
l’ottica su cui anche oggi varrebbe la pena <strong>di</strong><br />
insistere, e non solo per riven<strong>di</strong>care alla scuola<br />
un ruolo ben <strong>di</strong>verso da quello <strong>di</strong> fornire<br />
panche o luoghi <strong>di</strong> intrattenimento a tempo<br />
determinato (almeno finché dura l’adolescenza).<br />
Mameli peraltro vi aveva trovato, grazie<br />
alla cultura classica e moderna, quella fucina<br />
<strong>di</strong> idee e quei modelli <strong>di</strong> comportamento che<br />
avrebbero ispirato la sua vena poetica e politica<br />
e che successivamente gli avrebbero<br />
prestato quelle coor<strong>di</strong>nate socioculturali<br />
lungo le quali sv<strong>il</strong>uppare <strong>il</strong> suo entusiastico<br />
credo. Non è un mistero, fra l’altro, che nel<br />
pensiero dei padri del Risorgimento l’ere<strong>di</strong>tà<br />
classica (e l’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Roma in particolare) fu<br />
per l’appunto strumento <strong>di</strong> pianificazione<br />
politica, cioè con<strong>di</strong>tio sine qua non per progettare<br />
<strong>il</strong> futuro della Nazione 6 . L’Italia unita,<br />
nell’ambito dell’istruzione scolastica, Rossi 1993; più<br />
in generale, per la funzione assolta dalle letture giovan<strong>il</strong>i<br />
nella formazione dei patrioti italiani, cfr. Banti 2000,<br />
pp. 37 sgg.], ma anche <strong>di</strong> una ‘confessione’ - per niente<br />
professorale - sulle possib<strong>il</strong>i ricadute politiche e civ<strong>il</strong>i <strong>di</strong><br />
un sistema educativo incentrato sull’intelligenza <strong>delle</strong><br />
civ<strong>il</strong>tà antiche. Merita <strong>di</strong> essere letto per intero questo<br />
passo <strong>di</strong> De Sanctis, vuoi per i suoi toni sentimentali,<br />
vuoi - <strong>di</strong>ciamolo pure - per l’uso che ancora oggi<br />
potremmo farne a mo’ <strong>di</strong> citazione contro l’ ‘incauto’<br />
proposito <strong>di</strong> accompagnare una lenta ma inesorab<strong>il</strong>e<br />
espulsione dell’antichistica dalle nostre aule scolastiche:<br />
“L’educazione - scrive De Sanctis - era stata classica da<br />
secoli. Il nostro ideale era Roma e Grecia; i nostri eroi<br />
Bruto e Catone; i nostri libri Livio, Tacito e Plutarco.<br />
E se questo in tutta Europa, quanto più in Italia, dove<br />
questa storia poteva chiamarsi domestica, cosa nostra,<br />
parte <strong>delle</strong> nostre tra<strong>di</strong>zioni, viva ancora agli occhi nelle<br />
città e ne’ monumenti? Onde da Dante al Macchiavelli,<br />
dal Macchiavelli al Metastasio la nostra tra<strong>di</strong>zione classica<br />
non fu mai interrotta. Questo ideale, senza alcun riscontro<br />
con la realtà, senza possib<strong>il</strong>e applicazione, era rimaso un<br />
ideale da scuola, accademico ed arca<strong>di</strong>co; […] era una<br />
perfezione astratta, tenuta superiore all’umanità e rimasa<br />
un ozioso concetto, un ente <strong>di</strong> ragione. Nella <strong>di</strong>ssoluzione<br />
sociale del passato secolo, tutto sparve, fuorché quello ideale<br />
[…]. Esso dalle scuole passò nella vita, dominò le fantasie,<br />
infiammò le volontà; tutto allora sembrava possib<strong>il</strong>e,<br />
tutti credettero <strong>di</strong> poterlo effettuare. Si operò e si morì<br />
romanamente. In America le nuove città presero nomi<br />
greci e romani; in Francia gli uomini si ribattezzarono<br />
Bruti, Fabrizii e Catoni; si giunse fino alla pedanteria,<br />
fino al grottesco. Sotto l’aspetto ri<strong>di</strong>colo ci era però qualche<br />
cosa <strong>di</strong> ben serio: <strong>il</strong> ri<strong>di</strong>colo è ito via, <strong>il</strong> serio è rimasto.<br />
La rivoluzione parlò […] col linguaggio <strong>delle</strong> scuole.<br />
Pompose sentenze. Citazioni e paragoni greci e romani.<br />
Figure rettoriche. Orazioni ciceroniane. Cose moderne in<br />
forma antica. Si facea guerra al feudalismo con vocaboli<br />
tolti alle guerre civ<strong>il</strong>i […]. Il classicismo nel suo senso più<br />
elevato significa due cose: la patria fatta principio e fine <strong>di</strong><br />
ogni virtù; la <strong>di</strong>gnità dell’uomo, l’agere ed <strong>il</strong> pati fortia.<br />
Questa patria e questa <strong>di</strong>gnità non viveva più che nelle<br />
scuole” [cfr. De Sanctis 1855, pp. 632-634].<br />
6 - Si legge in Pivato 2003, p. 149: “Dagli storici del<br />
repubblicanesimo ottocentesco è stato osservato che<br />
l’ «l’estetica repubblicana […] proprio nell’identificazione<br />
con la tra<strong>di</strong>zione dell’antichità aveva trovato<br />
come entità nazionale, non godeva <strong>di</strong> alcun<br />
precedente storico e si insisteva, anche durante<br />
l’età risorgimentale, nell’ascrivere proprio<br />
all’età antica (romana e pre-romana) le presunte<br />
matrici <strong>di</strong> un ‘popolo italico’ 7 . L’opzione<br />
unitaria, certamente traumatica sul piano<br />
dei fatti (perché mai avvenuta fino ad allora),<br />
poteva trovare, quin<strong>di</strong>, solo sul terreno della<br />
cultura e al più della storia antica 8 i mezzi<br />
necessari alla propria legittimazione e i vocaboli<br />
in<strong>di</strong>spensab<strong>il</strong>i al proprio racconto. Ecco<br />
perchè, nata ex nih<strong>il</strong>o e per giunta col pesante<br />
fardello <strong>di</strong> atavici particolarismi, l’Italia<br />
avrebbe fatto appello, anche per una sorta <strong>di</strong><br />
obbligo morale, al glorioso passato <strong>delle</strong> antichità<br />
classiche e soprattutto all’egida <strong>di</strong><br />
Roma, l’unica a garantire nel corso <strong>di</strong> tanti<br />
secoli, sebbene nell’alveo dell’universalismo<br />
imperiale, l’esperienza <strong>di</strong> un’aggregazione<br />
territoriale. Ne era ben consapevole anche<br />
Giuseppe Mazzini: correva infatti l’anno<br />
1849, quando, scacciato <strong>il</strong> Pontefice, indette<br />
le elezioni a suffragio universale e finalmente<br />
inse<strong>di</strong>atasi l’Assemblea Costituente, <strong>il</strong> 9 febbraio,<br />
per decreto, si sancì <strong>il</strong> crollo del potere<br />
temporale del Papato e la nascita della Repubblica<br />
Romana. Il 6 marzo, infatti, Giuseppe<br />
Mazzini, intervenuto alla seduta<br />
dell’Assemblea, <strong>di</strong>chiarò: “Roma fu sempre una<br />
specie <strong>di</strong> talismano per me: giovinetto io stu<strong>di</strong>ava<br />
la storia d’Italia, e trovai che, mentre in<br />
tutte le altre storie tutte le nazioni […] cadevano,<br />
[…] una sola città era priv<strong>il</strong>egiata da Dio<br />
nel potere <strong>di</strong> morire, e <strong>di</strong> risorgere più grande <strong>di</strong><br />
prima. […] Dopo la Roma che operò colla<br />
conquista <strong>delle</strong> armi, dopo la Roma che operò<br />
una <strong>delle</strong> sue fondamentali chances per imporsi, a<br />
livello <strong>di</strong> st<strong>il</strong>e <strong>di</strong> vita, <strong>di</strong> modelli <strong>di</strong> comportamento,<br />
all’attenzione <strong>delle</strong> giovani generazioni <strong>di</strong> bohémien<br />
tardo-risorgimentali»; appunto per questo «non esitava<br />
ad assecondare, anche inconsapevolmente, la retorica<br />
della ‘terza Roma’ (cfr. G. Spadolini, L’Italia repubblicana,<br />
Roma 1988, p. 30)». Non a caso già nella strofe<br />
iniziale, secondo uno schema della classicità allora<br />
assai in voga nella simbologia repubblicana, la prima<br />
citazione dell’inno è de<strong>di</strong>cata alla figura <strong>di</strong> Scipione<br />
(«dell’elmo <strong>di</strong> Scipio / s’è cinta la testa»). Con tutta<br />
evidenza si tratta del richiamo ad un personaggio che<br />
non solo aveva contribuito a rafforzare <strong>il</strong> primato <strong>di</strong><br />
Roma, ma aveva anche rappresentato un momento <strong>di</strong><br />
apertura ideale contro <strong>il</strong> tra<strong>di</strong>zionalismo. In questo senso<br />
l’evocazione <strong>di</strong> Scipione, secondo l’uso della storia<br />
elaborato dai rivoluzionari francesi, stava a significare<br />
l’elevazione dell’epopea classica a modello <strong>di</strong> una società<br />
nuova. In particolare, Scipione simboleggiava non<br />
già la Roma imperiale dei Cesari ma, secondo la vulgata<br />
del classicismo giacobino, la grandezza e <strong>il</strong> riscatto del<br />
popolo romano nei confronti dei cartaginesi <strong>di</strong> Annibale.<br />
La citazione <strong>di</strong> Scipione non costituisce l’unico<br />
debito <strong>di</strong> Mameli nei confronti <strong>di</strong> quella cultura della<br />
Rivoluzione francese cara agli ere<strong>di</strong> del giacobinismo.<br />
Fin troppo evidente è infatti nel verso «Stringiamoci<br />
a coorte» l’evocazione della Marsigliese «formez vos<br />
bata<strong>il</strong>lons»” (poi in Pivato 2005, p. 48).<br />
7 - In generale, sull’immagine dell’Italia e sulla sua<br />
fortuna sia in Roma antica (a partire dalla fine della<br />
guerra sociale), sia nella tra<strong>di</strong>zione culturale e letteraria<br />
italiana (specie trecentesca), cfr. Cracco Ruggini -<br />
Cracco 1973.<br />
8 - Sulla storia romana e la sua presenza nella storiografia<br />
italiana dell’Ottocento cfr. Gabba 1993; a proposito,<br />
in particolare, della ricezione della storia <strong>di</strong> Roma<br />
antica nel pensiero e negli scritti <strong>di</strong> Carlo Pisacane, cfr.<br />
Mel<strong>il</strong>lo 2007. Per la storia greca e <strong>il</strong> suo riuso in senso<br />
patriottico nella letteratura italiana ottocentesca cfr.<br />
Braccesi 1993 (dove si riprendono, almeno in parte,<br />
i contenuti espressi in Braccesi 1983).<br />
Moneta romana. 68 d.C.<br />
Sul verso Libertas publica che regge<br />
<strong>il</strong> p<strong>il</strong>leus libertatis.<br />
colla conquista della parola, verrà, io <strong>di</strong>ceva a<br />
me stesso, verrà la Roma che opererà colla virtù<br />
dell’esempio: dopo la Roma <strong>degli</strong> imperatori,<br />
dopo la Roma dei papi, verrà la Roma del popolo”.<br />
Senza dubbio, la ‘terza Roma’ vagheggiata<br />
da Mazzini molto doveva alla res publica<br />
poi schiacciata dalla Roma dei principes: la<br />
menzione dei soli calchi romani, adoperati<br />
sistematicamente per le cariche istituzionali<br />
(triumvirato, consolato, tribunato, <strong>di</strong>ttatura,<br />
al pari <strong>di</strong> quanto era accaduto durante la repubblica<br />
proclamata nel 1798), non farebbe<br />
giustizia dell’ampio <strong>di</strong>battito che, fino al 3<br />
luglio <strong>di</strong> quell’anno, accompagnò la redazione<br />
della Costituzione, profondamente segnata<br />
dalla riflessione sul modello costituzionale<br />
antico 9 . Né la visione ‘romanocentrica’, orgogliosamente<br />
riven<strong>di</strong>cata dai mazziniani,<br />
escludeva prospettive europeiste e sovranazionali.<br />
Tutt’altro. “L’Europa ci guarda, l’Italia<br />
aspetta la sua vita da Roma”: questa celebre<br />
definizione, che Mazzini offrì all’Assemblea<br />
in quei giorni <strong>di</strong> marzo, ambiva a sod<strong>di</strong>sfare,<br />
per certi versi, quel requisito <strong>di</strong> ‘cosmopolitismo’<br />
tra<strong>di</strong>zionalmente preteso dai cultori<br />
della romanità classica. Eppure, ancora nel<br />
1871, a pochi mesi dalla breccia <strong>di</strong> Porta Pia,<br />
<strong>il</strong> problema della <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e integrazione <strong>di</strong><br />
Roma in un quadro nazionale sembrava irrisolto;<br />
a colloquio con Quintino Sella, allora<br />
Ministro <strong>delle</strong> Finanze del Regno d’Italia, lo<br />
storico e f<strong>il</strong>ologo Theodor Mommsen, fedele<br />
all’ideale <strong>di</strong> Roma come caput mun<strong>di</strong>, chiedeva<br />
con toni perentori: “Ma che cosa intendete<br />
fare a Roma? Questo ci inquieta tutti; a<br />
Roma non si sta senza avere dei propositi<br />
cosmopoliti” 10 . È storia nota <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong><br />
monito a salvaguardare la vocazione universale<br />
<strong>di</strong> Roma trovasse, proprio in Sella, un<br />
interprete intelligente, ma non fortunato. Il<br />
suo progetto <strong>di</strong> fare <strong>di</strong> Roma una capitale<br />
della scienza non ebbe successo. E così, <strong>il</strong><br />
passo dal cosmopolitismo al colonialismo fu<br />
breve: ben presto la ‘naturale’ <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong><br />
Roma verso <strong>di</strong>mensioni sovra-nazionali fu<br />
declinata nelle forme della conquista m<strong>il</strong>itare<br />
e non, come forse Mommsen avrebbe gra<strong>di</strong>to,<br />
nei termini <strong>di</strong> un internazionalismo <strong>di</strong><br />
or<strong>di</strong>ne politico e culturale. La campagna in<br />
Eritrea (1887-) e quella in Libia (1911-) <strong>di</strong>ventarono,<br />
fra le altre, <strong>il</strong> simbolo <strong>di</strong> una ‘volontà<br />
<strong>di</strong> potenza’, pericolosa e velleitaria, che<br />
auspicava <strong>il</strong> ritorno in auge dell’impero. Fu<br />
allora che, <strong>di</strong> nuovo, i fantasmi dei classici<br />
9 - Cfr. almeno Giar<strong>di</strong>na - Vauchez 2000, pp. 175<br />
sgg. e Balzani 2006, praes. p. 81.<br />
10 - Sella 1887, p. 292. In generale, sulla questione<br />
dell’universalismo come tratto <strong>di</strong>stintivo della storia e<br />
dell’idea <strong>di</strong> Roma, cfr. Treves 1962, pp. 6 sgg.<br />
furono evocati nel tentativo <strong>di</strong> mutuarne<br />
precedenti <strong>il</strong>lustri e incontestab<strong>il</strong>i. In generale,<br />
in età fascista, <strong>il</strong> processo <strong>di</strong> ‘torsione’ in<br />
senso propagan<strong>di</strong>stico della civ<strong>il</strong>tà antica fu<br />
massivo: l’operazione passò per molteplici<br />
iniziative culturali anche meritorie (si pensi<br />
alla costituzione dell’Istituto Nazionale del<br />
Dramma Antico), per l’accurata selezione e<br />
promozione <strong>di</strong> classicisti opportunamente<br />
‘allineati’, per la tuttora celebre riforma gent<strong>il</strong>iana,<br />
che dal 1923 impresse alla formazione<br />
classica una posizione - non giustificab<strong>il</strong>e<br />
- <strong>di</strong> egemonia socio-culturale. Accanto alle<br />
azioni intraprese sul terreno dell’educazione<br />
e della cultura accademica, è persino superfluo<br />
citare <strong>il</strong> prolifico recupero <strong>di</strong> icone romane (e<br />
‘rivoluzionarie’: si pensi solo al fascio littorio<br />
11 ) assurte a ‘logo <strong>di</strong> regime’, per non<br />
parlare dell’impulso dato ad un genere cinematografico<br />
(<strong>il</strong> peplum) che, nelle forme del<br />
‘kolossal casereccio’, affidava <strong>il</strong> mondo antico<br />
ad una patina <strong>di</strong> buoni sentimenti e nerboruto<br />
eroismo. Anche in questo caso, <strong>il</strong> ‘fantasma’<br />
<strong>di</strong> Scipione non tardò a materializzarsi,<br />
bucando ‘<strong>il</strong> grande schermo’ e rag giungendo<br />
l’insi<strong>di</strong>oso terreno dell’attualità. Nel 1937<br />
Carmine Gallone curò la regia <strong>di</strong> Scipione<br />
l’Africano 12 , f<strong>il</strong>m che, nel bim<strong>il</strong>lenario della<br />
nascita <strong>di</strong> Augusto, doveva celebrare <strong>il</strong> revival<br />
dell’impero su suolo africano 13 . Un’iniziativa,<br />
questa, che si collocava, in realtà, nell’ambito<br />
<strong>di</strong> una più vasta pubblicistica anti-cartaginese<br />
promossa dal regime e, come si è visto,<br />
avviata già ai tempi del ‘colonialismo liberale’.<br />
Se alla fine del secolo XIX l’Italia e i suoi<br />
governanti erano “cullati dall’<strong>il</strong>lusione <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire<br />
gli ere<strong>di</strong> del dominio africano della<br />
Roma antica” 14 , durante <strong>il</strong> ventennio fascista<br />
i Cartaginesi, <strong>di</strong>pinti come gli antenati <strong>degli</strong><br />
‘imperi demo-plutocratici’ <strong>di</strong> origine semita<br />
(Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti), sarebbero<br />
<strong>di</strong>ventati <strong>il</strong> bersaglio <strong>di</strong> una strumentale<br />
propaganda a sfondo razzista (come anche <strong>di</strong><br />
una tra<strong>di</strong>zione letteraria 15 ). L’origine etnica<br />
affine a quella <strong>degli</strong> Ebrei avrebbe indotto i<br />
tanti ‘yes-man’ del fascismo a considerare i<br />
‘semiti della colonia <strong>di</strong> Tiro’ come i nemici <strong>di</strong><br />
un tempo ancora da debellare: la guerra, già<br />
giustificata - nel caso <strong>delle</strong> colonie - con <strong>il</strong><br />
ricorso alla retorica della ‘missione civ<strong>il</strong>izzatrice’,<br />
sarebbe stata alimentata, in più, da<br />
falsi presupposti biologici (<strong>il</strong> mito della razza<br />
impura) e storici (la necessità <strong>di</strong> volgersi ad<br />
una “quarta guerra punica” 16 ). Se E. Pais<br />
equiparava l’impero inglese a quello cartaginese,<br />
la mistica fascista, più in generale, ebbe<br />
gioco fac<strong>il</strong>e nel <strong>di</strong>segnare la nuova lotta contro<br />
l’impero ‘siro-giudaico’ con i tratti dell’an-<br />
11 - Cfr. Giar<strong>di</strong>na - Vauchez 2000, pp. 224 sgg.<br />
12 - Cfr. Braccesi 1999, p. 149 e Barberis 2002,<br />
p. 6.<br />
13 - Cfr., in generale, Giar<strong>di</strong>na - Vauchez 2000,<br />
pp. 248 sgg.<br />
14 - Sono le parole riferite, a proposito della politica<br />
coloniale del Regno d’Italia, da un segretario dell’ambasciata<br />
francese a Roma: cfr. Cagnetta 1979, p. 24<br />
e p. 119 n.14.<br />
15 - Per vari esempi che risalgono a G. Carducci, G.<br />
D’Annunzio e G. Pascoli, cfr. Braccesi 1989, pp.<br />
19 sgg.<br />
16 - F. W. Deakin, Storia della Repubblica <strong>di</strong> Salò,<br />
Torino 1963, p. 8, come leggo in Cagnetta 1979,<br />
p. 90 e p. 147 n. 2.
tico scontro tra Roma e Cartagine. Era, forse,<br />
questo, l’ultimo atto <strong>di</strong> una sgradevole esibizione<br />
<strong>di</strong> forza e <strong>di</strong> violenza. Lontana era, ormai,<br />
la vetusta e imponente icona <strong>di</strong> Roma,<br />
magna mater e fedele custode dei suoi figli,<br />
armata sì, ma composta e immob<strong>il</strong>e nella sua<br />
inattaccab<strong>il</strong>e autorevolezza. Di lei, dell’antica<br />
Urbe con lo scudo al petto e lo sguardo quieto,<br />
restava, al massimo, qualche tar<strong>di</strong>va (e<br />
ormai leziosa) testimonianza monumentale,<br />
come, ad esempio, <strong>il</strong> misconosciuto monumento<br />
a Cavour, realizzato da Stefano Galletti<br />
ed eretto nel 1895, a Roma, nel rione<br />
Prati: tra le allegoriche personificazioni, che<br />
adornano <strong>il</strong> pie<strong>di</strong>stallo, si stagliano anche<br />
Roma, seduta e cinta <strong>di</strong> elmo, e l’Italia, in<br />
pie<strong>di</strong>, col fascio littorio in pugno e <strong>il</strong> capo<br />
turrito 17 . Due immagini, queste, che, a fronte<br />
della loro antica memoria 18 , servivano ormai,<br />
forse, solo da comodo orpello ad un’idea<br />
<strong>di</strong> Nazione già in crisi.<br />
Ma lasciamo la deriva e torniamo a Mameli<br />
e al suo Inno. “Come Goffredo abbia in<br />
realtà trascorso la prima parte del passaggio<br />
dall’adolescenza alla giovinezza” - scrive<br />
Massimo Scioscioli 19 - “è <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e affermare<br />
17 - Su questo monumento, cfr. Giar<strong>di</strong>na - Vauchez<br />
2000, p. 195.<br />
18 - A titolo esemplificativo, tra i possib<strong>il</strong>i antecedenti<br />
antichi <strong>di</strong> questo binomio (la personificazione dell’Italia<br />
e quella <strong>di</strong> Roma, l’una <strong>di</strong> fronte all’altra), qui si<br />
cita l’immagine impressa sul verso <strong>di</strong> uno dei denarii<br />
coniati da Q. Fufio Caleno e da M. Cordo nel secolo I<br />
a. C., dopo la fine della guerra sociale. Qualche nota <strong>di</strong><br />
commento su questa moneta e, in generale, sull’antico<br />
‘cliché’ iconografico della coppia Italia-Roma si ricava<br />
da Cracco Ruggini - Cracco 1973, p. 5 e p. 23.<br />
19 - Cfr. Scioscioli (2000, p. 38), <strong>il</strong> quale così continua:<br />
“Questa breve rassegna <strong>delle</strong> citazioni trascritte<br />
nei quaderni del 1845-1847, nei quali, accanto alle<br />
annotazioni <strong>di</strong> cultura, si trovano canti e poesie, […]<br />
conferma che in quegli anni Mameli era combattuto<br />
fra la storia e le lettere, fra l’arte e la passione civ<strong>il</strong>e. Egli<br />
non aveva trascurato l’<strong>il</strong>luminismo; ma le sue preferenze<br />
andavano, non c’è dubbio, al mondo romantico in<br />
tutte le sue manifestazioni: dal primo romanticismo,<br />
con certezza. Ma questo mistero si <strong>di</strong>ssolve a<br />
partire dal 1845. I quaderni custo<strong>di</strong>ti presso<br />
l’Istituto mazziniano <strong>di</strong> Genova <strong>di</strong>mostrano<br />
che Mameli, ancor prima <strong>di</strong> tornare agli stu<strong>di</strong><br />
universitari, prende decisamente in pugno la<br />
sua educazione e si getta con impeto nella<br />
lettura, nella quale spera <strong>di</strong> trovare ciò che<br />
l’<strong>Università</strong> non poteva dargli. I suoi interessi<br />
sono concentrati sulla storia e sulla letteratura<br />
e dall’<strong>il</strong>luminismo si allargano fino al romanticismo<br />
per raggiungere le prime esperienze<br />
del verismo francese. Parini, Foscolo, Leopar-<br />
rappresentato da Madame de Stael e da lord Byron,<br />
fino agli autori, Victor Hugo, Geoge Sand ed Eugène<br />
Sue, che avevano superato quella prima fase e si erano<br />
inoltrati sulla strada che conduceva al verismo, aprendosi<br />
alla questione sociale. Sui suoi quaderni ritorna<br />
insistentemente <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> Tito Livio. Egli concentra la<br />
sua attenzione sui passaggi riguardanti la guerra contro<br />
Pirro. Sembra quasi che attraverso la lettura <strong>di</strong> quelle<br />
pagine egli cerchi <strong>di</strong> comprendere come sia possib<strong>il</strong>e,<br />
per un popolo, passare dalla sconfitta alla vittoria, e<br />
trovare, nella sofferenza, l’energia morale necessaria<br />
per reagire: <strong>il</strong> tema dominante dei canti politici, a<br />
cominciare da Fratelli d’Italia”. Naturale <strong>di</strong>venta l’opzione<br />
– al fine <strong>di</strong> dar corso a questa intuizione civ<strong>il</strong>e<br />
e patriottica – per una poesia che si affida al ritmo<br />
esortativo (un ritmo che serpeggia già ne la Battaglia<br />
<strong>di</strong> Marengo, ritmo scan<strong>di</strong>to da accenni rinvianti a<br />
Vincenzo Monti e che si avvale <strong>di</strong> riferimenti alle<br />
tombe - le tombe, insieme ai morti, sono motivo caro<br />
all’ispirazione del Mameli -, premessa a un risveglio <strong>di</strong><br />
coscienza e <strong>di</strong> energie fisiche), una poesia che ammicca<br />
a Foscolo (<strong>il</strong> Foscolo me<strong>di</strong>ato attraverso la lettura che<br />
ne condusse Mazzini) e che non riesce a celare “veri e<br />
propri tasselli storici e ritmici danteschi, manzoniani<br />
e rossettiani (cfr. Cattanei 1998, p. 47 e p. 50, n. 6:<br />
‘Dal giar<strong>di</strong>n d’Italia’ [Dante, Purgat. VI, 105]; ‘non<br />
ardì <strong>il</strong> mio genio’ [Manzoni, 5 maggio]; ‘inspirato mio<br />
genio deh tuona’ [Rossetti, All’anno 1831])”. Sulla<br />
scorta <strong>di</strong> sim<strong>il</strong>i premesse, da cui traspare l’idea <strong>di</strong> una<br />
Era da lungo attesa e ormai non più procrastinab<strong>il</strong>e,<br />
si giustifica la scelta del genere letterario dell’ ‘Inno’,<br />
un genere consono alla religiosità mazziniana e più<br />
dutt<strong>il</strong>e a sostenere le battaglie politiche, un genere<br />
che implicherà l’accelerazione del ritmo, “gli scoppi<br />
trascinanti dei versi martellati, <strong>delle</strong> riprese accanite,<br />
dei finali tronchi, in accentuati futuri e passati remoti<br />
conclusivi” (cfr. Cattanei 1998, pp. 50-51).<br />
C. Ripa, Della novissima iconologia,<br />
Padova 1625, s.v. Libertà.<br />
Moneta francese. 1793.<br />
Sul verso una b<strong>il</strong>ancia sormontata<br />
da un p<strong>il</strong>leus libertatis.<br />
<strong>di</strong>, Gioberti e Cantù sono gli autori ai quali,<br />
stando almeno alle citazioni contenute nei<br />
quaderni, rivolge <strong>di</strong> preferenza l’attenzione.<br />
Tra gli stranieri si possono trovare, in particolare,<br />
i nomi <strong>di</strong> lord Gibbon, quelli <strong>di</strong> Voltaire,<br />
d’Alembert, Rousseau, Madame de Stael,<br />
Byron, Victor Hugo, Alphonse de Lamartine,<br />
Guizot, Eugène Sue, Dumas e Georg Sand”.<br />
È, in ogni caso, proprio nel campo <strong>di</strong> quella<br />
retorica “bella e onesta”, <strong>di</strong> cui parlava Carducci,<br />
che Mameli otteneva le sue prime<br />
affermazioni: era <strong>il</strong> 1840 e, a conclusione<br />
del primo anno del corso <strong>di</strong> retorica 20 , Mameli,<br />
nell’agone consacrato a riconoscere<br />
<strong>il</strong> ‘princeps juventutis’, si classifica primus<br />
inter pares (con altri tre compagni: Bartolomeo<br />
Boccar<strong>di</strong>, Carlo Tagliavacche e Carlo<br />
Randaccio; <strong>il</strong> titolo del programma su cui si<br />
<strong>di</strong>stinsero i quattro fu Verità e amore fonti del<br />
bello; professore <strong>di</strong> retorica era padre Agostino<br />
Muraglia 21 ). La sua coscienza politica deve<br />
peraltro la prima genesi al contatto - appunto<br />
su quelle ‘panche <strong>di</strong> scuola’ - con le anime <strong>di</strong><br />
Guerrazzi, Niccolini, Goethe, Sch<strong>il</strong>ler, Byron,<br />
oltre che con quelle dei ‘veteres auctores’ che<br />
alimentavano la sua fede nella repubblica: non<br />
è un caso che ‘Gotfridus’ Mameli, iscrittosi al<br />
secondo corso <strong>di</strong> retorica nell’anno scolastico<br />
20 - Cfr. Maiorino - Marchetti Tricamo - Giordano<br />
2001, p. 79: “L’iniziazione agli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Goffredo<br />
Mameli avvenne presso la scuola «Calasanzio». Nel<br />
novembre 1840, aveva tre<strong>di</strong>ci anni, si iscrisse al biennio<br />
<strong>di</strong> retorica nell’istituto dei padri scolopi. La scelta non<br />
<strong>di</strong>pese soltanto dalla vicinanza a casa: si sapeva che<br />
l’orientamento <strong>di</strong> questi religiosi, che originariamente<br />
avevano gestito le scuole pie riservate ai poveri, era<br />
abbastanza progressista. Sui loro banchi si stu<strong>di</strong>avano<br />
anche testi <strong>di</strong> autori come Guerrazzi, Goethe, Sch<strong>il</strong>ler,<br />
Byron a cui nelle altre scuole cattoliche veniva dato<br />
l’ostracismo. I gesuiti, schierati dalla parte dell’ortodossia<br />
e della cultura conservatrice, consideravano<br />
ad<strong>di</strong>rittura sovversivi gli scolopi”.<br />
21 - Cfr. Scioscioli 2000, p. 31: “I biografi <strong>di</strong> Mameli,<br />
in particolare Anton Giulio Barr<strong>il</strong>i [1902], lo<br />
descrivono come un classicista convinto, legato alla<br />
più alta tra<strong>di</strong>zione della poesia italiana, ma capace <strong>di</strong><br />
apprezzare anche le più recenti manifestazione della<br />
scuola romantica […]. Non era ostinatamente chiuso<br />
nell’ossequio alla tra<strong>di</strong>zione, ma accettava pienamente<br />
Manzoni e tollerava persino che nella scuola si facessero<br />
i nomi <strong>di</strong> F.D.Guerrazzi e <strong>di</strong> G.B. Niccolini, a quei<br />
tempi sospetti sia dal punto <strong>di</strong> vista politico sia dal<br />
punto <strong>di</strong> vista letterario, in quanto <strong>di</strong> convinzioni<br />
repubblicane, legati al romanticismo e poco amanti<br />
della Chiesa”.<br />
1841-1842, concluda questo tirocinio dando<br />
vita ad un pezzo <strong>di</strong> retorica encomiastica dal<br />
titolo Elogio <strong>di</strong> Cicerone: sarà <strong>il</strong> titolo che gli<br />
consentirà l’ammissione al corso <strong>di</strong> F<strong>il</strong>osofia<br />
presso l’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Genova. Quel Mameli,<br />
che, grazie alle sue personali, puntuali e<br />
ancor oggi accessib<strong>il</strong>i traduzioni <strong>di</strong> Virg<strong>il</strong>io<br />
e <strong>di</strong> Seneca, avrà anche modo <strong>di</strong> trasferire su<br />
<strong>di</strong> sé la patologia amorosa <strong>di</strong> eroine del mito<br />
come Didone e Fedra, è lo stesso che contemporaneamente<br />
r<strong>il</strong>egge, attraverso l’esperienza<br />
esistenziale e politica <strong>di</strong> Cicerone 22 , i destini <strong>di</strong><br />
una nazione fatalmente destinata a registrare<br />
<strong>il</strong> declino <strong>delle</strong> istituzioni repubblicane, lungo<br />
una china che avrebbe poi portato alla per<strong>di</strong>ta<br />
dell’in<strong>di</strong>pendenza. Se è lecito già parlare <strong>di</strong><br />
inno, le parole conclusive <strong>di</strong> quel saggio sono<br />
un vero e proprio inno alle virtù repubblicane,<br />
un inno in cui, sulla scorta <strong>delle</strong> emozioni che<br />
la letteratura greca (in particolare la lirica <strong>di</strong><br />
Tirteo: non senza motivo venne attribuito a<br />
Mameli l’appellativo “Tirteo”, quale riconoscimento<br />
della sua vena patriottica) era stata<br />
capace <strong>di</strong> trasmettere, la nota dominante è la<br />
totale e incon<strong>di</strong>zionata de<strong>di</strong>zione al bene della<br />
patria, quale quella esibita da Cicerone: “Ucciso<br />
Cesare, Cicerone parteggiò per Bruto, <strong>il</strong> che<br />
<strong>di</strong>ede occasione a quelle terrib<strong>il</strong>i orazioni contro<br />
Antonio che gareggiano in robustezza colle F<strong>il</strong>ippiche<br />
<strong>di</strong> Demostene, nel mentre Bruto e Cassio<br />
perivano, le loro armate erano sperse, ed i triumviri<br />
<strong>di</strong>venuti Signori <strong>di</strong> Roma si affrettarono ad<br />
uccidere colui la cui parola li avea fatti tremare,<br />
e potea farli crollare dai loro sogli. Più felice <strong>di</strong><br />
altri che, o resistendo invano o infamandosi essi<br />
stessi videro <strong>il</strong> <strong>di</strong>sonore della patria, egli muore<br />
colla Repubblica”. È l’abbrivo che porterà alla<br />
composizione della prima strofe del Canto<br />
<strong>degli</strong> Italiani (ben presto noto come Fratelli<br />
d’Italia), una strofe che esalta quale momento<br />
<strong>di</strong> maggiore splendore <strong>di</strong> Roma non quello<br />
dell’età imperiale, ma quello della vittoria su<br />
Cartagine 23 : “La Romana Repubblica” – così<br />
si legge in Mameli, Elogio… – “che ai tempi<br />
della caduta <strong>di</strong> Cartagine avea toccato <strong>il</strong> colmo<br />
della sua gloria, ora cominciava a sentir fatale<br />
a se stessa la propria grandezza, sicché pareva<br />
meglio coll’avversa che colla buona fortuna<br />
pugnasse”. D’altronde, è sempre alla sua formazione<br />
retorica che Mameli ‘deve’ la scelta<br />
22 - Cfr. Scioscioli 2000, p. 38<br />
23 - Cfr. Scioscioli 2000, pp. 79-80.<br />
Moneta francese. 1791.<br />
Sul verso la corona civ<strong>il</strong>is,<br />
<strong>il</strong> fascio littorio e una picca<br />
sormontata da un p<strong>il</strong>leus<br />
libertatis.<br />
17
18<br />
S. Jennings, La Libertà <strong>il</strong>lustra le arti e le scienze, 1792.<br />
Olio su tela. Ph<strong>il</strong>adelphia, Library Company.<br />
- ad apertura <strong>di</strong> Inno - <strong>di</strong> un meccanismo<br />
espressivo ad alto impatto emotivo qual è da<br />
considerarsi la prosopopea, che nelle sue linee<br />
teoriche rinviava a ‘maestri’ quali l’anonimo<br />
autore della Rhetorica ad Herennium 24 e Quint<strong>il</strong>iano<br />
25 e che offriva - in quanto a prove <strong>di</strong><br />
realizzazione pratica, allorché si trattava <strong>di</strong> patria<br />
e <strong>di</strong> Roma/patria - alcuni passi resi celebri<br />
nei secoli dall’alta frequentazione ‘scolastica’,<br />
come la poesia politicamente impegnata <strong>di</strong> un<br />
Anneo Lucano e del suo ‘bellum civ<strong>il</strong>e’ 26 . Questi,<br />
ad esempio, in b.c. 1,185 sgg. immagina<br />
24 - Rhet. Her. 4,53,66: “Si ha una conformatio quando<br />
una persona assente viene rappresentata come se fosse<br />
presente, o quando una entità priva <strong>di</strong> parola o astratta<br />
prende voce, e le viene attribuita una forma esteriore e<br />
un modo <strong>di</strong> parlare o <strong>di</strong> agire adatto alla sua <strong>di</strong>gnità, nel<br />
modo seguente: «Perché se ora questa città invincib<strong>il</strong>e<br />
parlasse, non <strong>di</strong>rebbe forse: io, ornata <strong>di</strong> innumerevoli<br />
trofei, ricca <strong>di</strong> in<strong>di</strong>scutib<strong>il</strong>i trionfi, arricchita da celebri<br />
vittorie, ora, o citta<strong>di</strong>ni, sono tormentata dalle vostre<br />
<strong>di</strong>visioni sovversive; io, che né Cartagine con i suoi<br />
perfi<strong>di</strong> inganni, né Numanzia con la sua forza messa<br />
alla prova, né Corinto ricca <strong>di</strong> cultura riuscirono a<br />
<strong>di</strong>struggere, ora dovrei sopportare <strong>di</strong> essere malmenata<br />
e calpestata dai peggiori omiciattoli?»”.<br />
25 - Quint. inst. 9,2,29-33: “Figure ancora più ar<strong>di</strong>te<br />
e - come <strong>di</strong>ce Cicerone - che richiedono energie più<br />
robuste sono le personificazioni, dette prosopopee:<br />
infatti rendono straor<strong>di</strong>nariamente varia l’orazione e<br />
al tempo stesso la ravvivano […]. Con questo strumento<br />
retorico è lecito trasportare gli dèi sulla terra e<br />
resuscitare i morti. Persino città e popoli acquistano<br />
una loro voce. Ci sono tuttavia alcuni che chiamano<br />
prosopopee solo quelle in cui vengono inventati sia i<br />
corpi che le parole: i <strong>di</strong>scorsi fittizi <strong>di</strong> uomini preferiscono<br />
chiamarli ‘<strong>di</strong>aloghi’, cosa che alcuni fra i latini<br />
chiamano sermocinatio […]. Ma in quelle tipologie<br />
<strong>di</strong> personificazione che vanno contro le leggi della<br />
natura la figura <strong>di</strong>viene meno dura in questo modo:<br />
«e infatti se la mia patria, che mi è <strong>di</strong> gran lunga più<br />
cara della mia vita stessa, se tutta l’Italia, se lo Stato<br />
intero mi parlasse, <strong>di</strong>cendo ‘Marco Tullio, che fai?’»<br />
(Cic. Cat. 1,27). In questo modo è invece più audace<br />
«Costei si rivolge a te, Cat<strong>il</strong>ina, e in qualche modo ti<br />
parla s<strong>il</strong>enziosamente. ‘Già da alquanti anni nessun<br />
delitto viene compiuto se non per mano tua’» (Cic.<br />
Cat<strong>il</strong>. 1,18). Fac<strong>il</strong>mente inoltre […] fingiamo <strong>di</strong><br />
avere sotto gli occhi le immagini <strong>di</strong> cose, persone e<br />
le loro parole”.<br />
26 - Illuminante sul repertorio previsto dalla retorica<br />
e sull’applicazione lucanea è Narducci 2002, pp.<br />
194-207.<br />
che, davanti agli occhi <strong>di</strong> Cesare già pronto ad<br />
attraversare ‘maledettamente’ <strong>il</strong> Rubicone, si<br />
verifichi un’apparizione straor<strong>di</strong>naria: “Giunto<br />
che fu alle onde del piccolo Rubicone, /<br />
gran<strong>di</strong>osa apparve al condottiero la figura<br />
della Patria trepidante, / fulgida nell’oscurità<br />
della notte, con volto mestissimo, / i canuti<br />
capelli fluenti dalla testa turrita, / con le<br />
chiome lacere e le braccia nude. / E <strong>di</strong>ceva<br />
tra i gemiti: «dove vi spingete ancora, / dove<br />
portate le mie insegne, o guerrieri? Se venite<br />
nella legalità, / da citta<strong>di</strong>ni, solo fin qui vi è<br />
concesso <strong>di</strong> arrivare»” 27 .<br />
È innegab<strong>il</strong>e peraltro che l’‘ouverture’ dell’Inno<br />
d’Italia sia <strong>di</strong> fatto fonte <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria<br />
suggestione: da un lato la ‘rivelazione’ secondo<br />
cui «l’Italia s’è desta» 28 , dall’altro <strong>il</strong> gesto sim-<br />
27 - Sull’argomento, fondamentale sia per le pagine<br />
sulla prosopopea, sia per la rappresentazione iconografica<br />
<strong>di</strong> Roma e della Fortuna nella civ<strong>il</strong>tà greca e<br />
romana, è Moretti 2007. Ugualmente ut<strong>il</strong>e è <strong>il</strong> saggio<br />
<strong>di</strong> Peruzzi 1999.<br />
28 - In verità - come suggerisce Scioscioli 2000, pp.<br />
78-79 - non sono rari i componimenti aperti da esortazioni<br />
più o meno sim<strong>il</strong>i: si va dal “Sorgete, / genti<br />
oppresse” [V. Monti, Inno cantato al teatro della Scala<br />
in M<strong>il</strong>ano <strong>il</strong> 21 gennaio 1799, anniversario della morte<br />
<strong>di</strong> Luigi XVI, in Opere, a cura <strong>di</strong> Manara Valgimigli<br />
e Carlo Muscetta, M<strong>il</strong>ano - Napoli, 1960, p. 768]<br />
all’analoga movenza che si ritrova nel controverso<br />
Bella Italia ormai ti desta, / Italiani all’armi, all’armi;<br />
/ Altra sorte ormai non resta / che <strong>di</strong> vincere o morir. /<br />
Dalla terra dei delitti / mosse i passi <strong>il</strong> Franco audace /<br />
e nel sen <strong>di</strong> nostra pace / venne l’empio ad infierir [inno<br />
scritto da V. de Mattei <strong>di</strong> Torre Susanna e messo in<br />
musica da Cimarosa (si è a lungo ritenuto che fosse<br />
un Inno de<strong>di</strong>cato alla Repubblica Partenopea mentre<br />
in realtà si trattava <strong>di</strong> un componimento attraverso<br />
<strong>il</strong> quale Cimarosa aveva tentato invano <strong>di</strong> ottenere<br />
<strong>il</strong> perdono dei Borboni per aver scritto l’Inno Per lo<br />
abbruciamento <strong>delle</strong> immagini dei tiranni, che fu l’inno<br />
della Repubblica Partenopea; si rinvia in proposito a<br />
Tibal<strong>di</strong> Chiesa 1939, pp. 292-293)]. Dallo stu<strong>di</strong>o<br />
<strong>di</strong> Scioscioli, peraltro, si apprende che, oltre alla sostituzione<br />
- nel verso iniziale - dell’incipit Evviva l’Italia<br />
con l’espressione “Fratelli d’Italia”, dal manoscritto<br />
dell’Inno custo<strong>di</strong>to presso l’Istituto mazziniano <strong>di</strong><br />
Genova risulta che Mameli cancellò dalla prima stesura<br />
(pare avvenuta nell’abitazione del console francese a<br />
Genova) quattro versi: “Tessete, o donzelle, / Ban<strong>di</strong>ere<br />
e coccarde; / Fa l’alme gagliarde / L’invito d’amor”.<br />
bolico <strong>di</strong> una Vittoria che porge la chioma 29<br />
non possono non avvertire che si è pronti<br />
ad una svolta dalla fase della preparazione<br />
alla fase della realizzazione del Risorgimento<br />
italiano; ma non meno esaltanti e significative<br />
sono le ‘verità’ esposte nella terza e quarta strofe,<br />
laddove si consacra <strong>il</strong> principio, <strong>di</strong> stretta<br />
e <strong>di</strong>retta derivazione mazziniana, secondo<br />
cui l’unità non è un dato materiale ma un<br />
elemento morale 30 . Insomma, quei versi chia-<br />
29 - Il gesto iconicamente proposto da Mameli richiede<br />
in verità una duplice giustificazione <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne letterario:<br />
da un lato reminiscenza proveniente da spartiti<br />
musicali; dall’altro suggestione proveniente da letture<br />
f<strong>il</strong>osofiche. Nel primo caso, sulla scorta dell’immaginario<br />
antico che vede assim<strong>il</strong>ate la dea Vittoria e la<br />
dea Fortuna nel loro girare attorno ad una ruota e nel<br />
loro prestarsi ad essere afferrate per i capelli, si coglie<br />
l’eco <strong>di</strong> un passaggio presente nel libretto d’opera ‘Il<br />
pirata’ <strong>di</strong> Felice Romani, musicato da Vincenzo Bellini<br />
[si legge nell’Atto I, scena X: “La fortuna le porse le<br />
chiome, La Vittoria seguì le sue vele”]: si tratta <strong>di</strong> un<br />
dramma che Mameli aveva probab<strong>il</strong>mente conosciuto<br />
(cfr. Costa 1998, p. 218). Nel secondo caso è cogente<br />
<strong>il</strong> rinvio a Condorcet, così come suggerisce Scioscioli<br />
2000, p. 80: “In questa strofa, che fin dai tempi <strong>di</strong><br />
Carducci è stata la più controversa dell’inno, oggetto<br />
<strong>di</strong> ricorrente e feroce sarcasmo, in realtà Mameli trasferisce<br />
nella cultura popolare una <strong>delle</strong> manifestazioni<br />
più alte della cultura europea del XVIII secolo e della<br />
prima metà del XIX. Quei versi che <strong>di</strong>cono «Dov’è la<br />
vittoria? / Le porga la chioma / Che schiava <strong>di</strong> Roma /<br />
Id<strong>di</strong>o la creò» sembrano integralmente presi dal Saggio<br />
sul progresso umano <strong>di</strong> Condorcet, <strong>il</strong> libro sul quale <strong>il</strong><br />
Mazzini si era formato all’idea del progresso, dove è<br />
scritto: «Elle [Roma] donnait des lois à tous les pays<br />
où les Grecs avaient porté leur langue, leurs sciences<br />
et leur ph<strong>il</strong>osophie. Tous ces peuples, suspendues à<br />
une chaine que la victoire avait attachée au pied du<br />
Capitole, n’èxistaient plus que par volonté de Rome<br />
et pour les passions de ses chefs [Condorcet, Tableau<br />
historique du Progrès de l’esprit Humaine, Paris 1900,<br />
p. 59]». Condorcet si riferisce alla Roma imperiale.<br />
Goffredo preferisce collegare <strong>il</strong> ricordo <strong>di</strong> Roma all’età<br />
repubblicana”.<br />
30 - Lo stesso vocabolo Fratelli, con cui si apre l’inno è<br />
“termine mazziniano che si ricollega a tutta la tra<strong>di</strong>zione<br />
patriottica dalla fine del Settecento: i fratelli sono<br />
<strong>di</strong> tutta l’Italia e non soltanto del Regno <strong>di</strong> Sardegna.<br />
Il termine fratelli dà <strong>il</strong> tono a tutto l’inno. Tutti sono<br />
fratelli <strong>di</strong> una patria e ora più vicini che è scoccato <strong>il</strong><br />
tempo della riscossa”: cfr. Costa 1998, p. 217. Non<br />
è escluso che la scelta lessicale sia stata influenzata dal<br />
coro <strong>di</strong> Giuseppe Giusti per Ciro Menotti e Vincenzo<br />
Morelli, scritto nel 1831 che così recita: “Fratelli<br />
sorgete, / La patria vi chiama; / Snudate la lama / Del<br />
libero acciar / Sussurran vendetta / Menotti e Borelli; /<br />
Inno nazionale. Poesia <strong>di</strong> G. Mameli. Musica <strong>di</strong><br />
M. Novaro, M<strong>il</strong>ano: F. Lucca [s.d.]<br />
riscono <strong>il</strong> senso dell’espressione “Unità <strong>di</strong> una<br />
Nazione”, da intendersi non come un fatto<br />
meramente territoriale, ma come la conquista<br />
<strong>di</strong> una certezza, quella appunto <strong>di</strong> avere valori<br />
e fini comuni; è questa certezza a generare <strong>il</strong><br />
vincolo dell’unione e della solidarietà, cui si<br />
richiama <strong>il</strong> Mameli. “Da questo richiamo” -<br />
scrive Scioscioli 31 - “deriva che l’unità italiana,<br />
tale è <strong>il</strong> senso della quarta strofa (che rievoca<br />
le glorie <strong>delle</strong> <strong>di</strong>verse regioni italiane) 32 , non<br />
deve tradursi nella piatta uniformità e nella<br />
compressione <strong>delle</strong> <strong>di</strong>versità territoriali e <strong>di</strong><br />
cultura, la vera ricchezza dell’Italia secondo<br />
Mazzini 33 , che tutte, invece, devono concorrere,<br />
con la loro storia secolare a rendere<br />
più salda questa unità. Infine, l’ultima strofa,<br />
quella vietata dalla censura sabauda, sottolinea<br />
la con<strong>di</strong>zione comune nella quale si trovano<br />
tutti i popoli oppressi dell’Europa. Di qui <strong>il</strong><br />
richiamo ad un principio <strong>di</strong> solidarietà che<br />
deve unire tutti i popoli. Richiamo implicito<br />
nell’Inno, ma esplicito in tutti gli scritti in cui<br />
Mameli si sofferma sulla questione europea”.<br />
È innegab<strong>il</strong>e che, a voler trovare, se ce ne<br />
fosse bisogno, ancora un senso e una attualità<br />
all’Inno <strong>di</strong> Mameli, basterebbe riconoscere la<br />
grande apertura - avviata dal patriota genovese<br />
- a due temi decisivi che <strong>il</strong> nostro paese<br />
in questi anni sta faticosamente affrontando:<br />
l’autonomia <strong>delle</strong> sue regioni e dei suoi<br />
comuni 34 e l’unificazione politica, oltre che<br />
Sorgete, fratelli / La patria a salvar! / Dell’itala tromba<br />
/ Rintuoni lo squ<strong>il</strong>lo, / s’innalzi un vess<strong>il</strong>lo, / Si tocchi<br />
l’altar / Ai forti l’alloro, / L’infamia agl’imbelli / Sorgete,<br />
fratelli / La patria a salvar”.<br />
31 - Scioscioli 1993, p. 68.<br />
32 - Non <strong>di</strong>verso è <strong>il</strong> parere <strong>di</strong> Pivato 2003, p. 150,<br />
secondo cui la strofe asseconda l’opera <strong>di</strong> costruzione<br />
dell’identità nazionale che attribuiva un compito civ<strong>il</strong>e<br />
alla storia: una storia che non era solo quella recente<br />
del Risorgimento, dei suoi eroi e <strong>delle</strong> sue battaglie,<br />
ma anche quella che affondava nella notte dei tempi<br />
dell’Italia dei comuni, del Me<strong>di</strong>oevo e, soprattutto,<br />
<strong>delle</strong> Repubbliche. Sotto questo prof<strong>il</strong>o la quarta strofe<br />
sintetizza quello sforzo che le ‘élites’ risorgimentali<br />
compiono verso la metà dell’Ottocento per 1’in<strong>di</strong>viduazione<br />
<strong>di</strong> modelli storici <strong>di</strong> riferimento e per una<br />
r<strong>il</strong>ettura in chiave storica del passato al fine <strong>di</strong> legittimare<br />
le aspirazioni all’unità e all’in<strong>di</strong>pendenza.<br />
33 - Annota Cattanei 1998, p. 54: “L’obbe<strong>di</strong>enza alla<br />
spinta mazziniana [«insinuare la coscienza <strong>delle</strong> proprie<br />
forze nel popolo - insegnargli <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> Roma - insegnargli<br />
l’o<strong>di</strong>o all’Austria» (Giuseppe Mazzini, Scritti<br />
e<strong>di</strong>ti ed ine<strong>di</strong>ti. E<strong>di</strong>zione nazionale, XXXIII; Epistol.<br />
XVII, p. 95: A Napoleone Ferrari, <strong>il</strong> 17-XI-1847)]<br />
convive dunque per mesi coi residui classicheggianti<br />
reperib<strong>il</strong>i in ogni componimento, né si può affermare<br />
che <strong>il</strong> poeta non tragga da essi accensione e spinta<br />
ispirativa almeno riflessa, stando alle in<strong>di</strong>cazioni offerte<br />
da F. L. Mannucci (Scritti <strong>di</strong> G. Mameli, a cura <strong>di</strong> F. L.<br />
Mannucci, 1927): si va dal Rossetti («Fratelli concor<strong>di</strong>a<br />
/ concor<strong>di</strong>a non guerra; / dal seme, dal fiore / s’impari<br />
l’amore») al concetto mazziniano d’una vittoria schiava<br />
<strong>di</strong> Roma perché gli Italiani siano popolo e riacquistino<br />
la loro in<strong>di</strong>pendenza, al Prati del «siam popoli vaganti<br />
derisi», fino alle parole profetiche <strong>di</strong> Mazzini «se lunghi<br />
anni <strong>di</strong> tenebre e <strong>di</strong> sconforto devono ancor passare<br />
sull’Italia prima che si rivelino ad esse le vie del Signore…»<br />
(Ed. naz., Pol. n. X, p. 18)”.<br />
34 - Sullo sfondo, ovviamente, sembra <strong>di</strong> risentire quella<br />
feroce <strong>di</strong>samina fatta da Massimo d’Azeglio (1867)<br />
a proposito della tendenza ‘separatista’ <strong>degli</strong> Italiani:<br />
“L’Italia da circa mezzo secolo s’agita, si travaglia per<br />
<strong>di</strong>venire un sol popolo e farsi nazione. Ha riacquistato<br />
<strong>il</strong> suo territorio in gran parte. La lotta collo straniero<br />
è portata a buon porto, ma non è questa la <strong>di</strong>fficoltà<br />
maggiore. La maggiore, la vera, quella che mantiene<br />
tutto incerto, tutto in forse, è la lotta interna. I più
economica e finanziaria, dell’Europa 35 .<br />
Lo snodo culturale e ideologico <strong>di</strong> tutta la<br />
proposta avanzata da Mameli rimane comunque,<br />
come si accennava <strong>di</strong>anzi, nella scelta <strong>di</strong><br />
un’epoca, <strong>di</strong> un personaggio e <strong>di</strong> un simbolo<br />
come punti <strong>di</strong> riferimento imprescin<strong>di</strong>b<strong>il</strong>i e<br />
come motori <strong>di</strong> un’azione <strong>di</strong> recupero e <strong>di</strong><br />
affermazione della propria identità. Alludo<br />
alla res publica romana, alla figura <strong>di</strong> Scipione<br />
e all’elmo, che, appartenuto al vincitore<br />
<strong>di</strong> Zama, dovrà ora quasi per ‘contagio’ far<br />
scattare l’ora della riscossa dalla soggezione.<br />
D’altronde, quell’elmo nella storia della nostra<br />
Nazione ne ha fatta <strong>di</strong> strada, come r<strong>il</strong>eva<br />
Lorenzo Braccesi 36 : “Un «elmo» che nasce<br />
repubblicano nel 1848, che <strong>di</strong>viene monarchico<br />
nel 1861, che si trasforma in squadrista<br />
nel 1922, e che torna a essere repubblicano<br />
nel 1946, crollato <strong>il</strong> fascismo, deposto <strong>il</strong> re<br />
e affermatosi <strong>il</strong> nuovo stato dalla resistenza.<br />
Ma anche in esso non muore <strong>il</strong> para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong><br />
Scipione! Non solo per complicità «dell’elmo<br />
<strong>di</strong> Scipio», ma anche per riattualizzazione<br />
democristiana della pax Romana in contrapposizione<br />
alla pax Punica nell’anno tragico<br />
della firma del trattato <strong>di</strong> pace impostoci dalle<br />
potenze vincitrici a conclusione della seconda<br />
guerra mon<strong>di</strong>ale”. In verità, nell’immaginario<br />
<strong>di</strong> Mameli, negli anni fra <strong>il</strong> 1846 e <strong>il</strong> 1847, si<br />
pericolosi nemici d’Italia non sono gli Austriaci, sono<br />
gl’Italiani. E perchè? Per la ragione che gli Italiani hanno<br />
voluto far un’Italia nuova, e loro rimanere gl’Italiani<br />
vecchi <strong>di</strong> prima, colle dappocaggini e le miserie morali<br />
che furono ab antico <strong>il</strong> loro retaggio; perchè pensano <strong>di</strong><br />
riformare l’Italia, e nessuno s’accorge che per riuscirci<br />
bisogna, prima, che si riformino loro, perchè l’Italia,<br />
come tutti i popoli, non potrà <strong>di</strong>venire nazione, non<br />
potrà essere or<strong>di</strong>nata, ben amministrata, forte così con<br />
lo straniero, come contro i settari dell’interno, libera e<br />
<strong>di</strong> propria ragione, finché gran<strong>di</strong> e piccoli e mezzani,<br />
ognuno nella sua sfera non faccia <strong>il</strong> suo dovere, e non<br />
lo faccia bene, od almeno <strong>il</strong> meglio che può. Ma a fare<br />
<strong>il</strong> proprio dovere, <strong>il</strong> più <strong>delle</strong> volte fasti<strong>di</strong>oso, volgare,<br />
ignorato, ci vuol forza <strong>di</strong> volontà e persuasione che <strong>il</strong><br />
dovere si deve adempiere non perché <strong>di</strong>verte o frutta,<br />
ma perché è dovere; e questa forza <strong>di</strong> volontà, questa<br />
persuasione, è quella preziosa dote che con un solo<br />
vocabolo si chiama carattere, onde, per <strong>di</strong>rla in una<br />
parola sola, <strong>il</strong> primo bisogno d’Italia è che si formino<br />
Italiani dotati d’alti e forti caratteri. E pur troppo si va<br />
ogni giorno più verso <strong>il</strong> polo opposto: pur troppo s’è<br />
fatta l’Italia, ma non si fanno gli Italiani” (Massimo<br />
D’Azeglio, I miei ricor<strong>di</strong>, a cura <strong>di</strong> A. M. Ghisalberti,<br />
Torino 1971 [1949], pp. 5-6).<br />
35 - Così Cattanei 1998, p. 55 riep<strong>il</strong>oga l’andamento<br />
dell’inno: “All’incitamento subentra l’idea dell’amore e<br />
<strong>il</strong> canto, più largo, può concedersi la carrellata storica<br />
italo-europea con vis e concitazione non consueta per<br />
l’epoca, specie quando si risolve nel ritornello lo slancio<br />
preparatorio <strong>di</strong> battute precedenti. Chiamandolo a<br />
prender coscienza, al popolo son ricordate la sua storia,<br />
l’occasione suprema, i precedenti <strong>delle</strong> sacre rivolte genovesi<br />
e palermitane grazie a un proce<strong>di</strong>mento strofico<br />
che scuote e torna assiduo sull’affermazione siglata dal<br />
tronco verso finale del ritornello. L’idea della patria<br />
(come già in idea si trasformavano le giovinette amate)<br />
beneficia negli inni <strong>di</strong> Mameli <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> quoti<strong>di</strong>ano,<br />
<strong>di</strong> fam<strong>il</strong>iare, domestico; naturalmente connesso<br />
ai superstiti mo<strong>di</strong> classici conferisce a temi e figure la<br />
possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> essere assunte e fatte proprie da un popolo.<br />
Vi si coglie quel tanto <strong>di</strong> mistico e <strong>di</strong> religioso che<br />
propositi, giuramenti, idea <strong>di</strong> morte introducono nel<br />
nuovo grido popolare. Qui sta <strong>il</strong> segreto del successo<br />
<strong>degli</strong> inni: nell’aver trasferito lo slancio e la spinta ad<br />
agire in giorni e situazioni proprio caratterizzate dalla<br />
partecipazione e dall’azione popolare, travolti ormai<br />
gli schemi moderato-accademici”.<br />
36 - Braccesi 1999, p. 149.<br />
consolida l’idea che «Scipione 37 », la «Vittoria»<br />
e «Roma» siano stretti in un nesso inscin<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e:<br />
sono tutti e tre strumenti della volontà<br />
<strong>di</strong>vina e sono momenti tra loro inseparab<strong>il</strong>i<br />
<strong>di</strong> un processo storico necessario 38 . È proprio<br />
questa certezza <strong>di</strong> un processo storico, in<br />
cui <strong>il</strong> fato o una <strong>di</strong>vinità guidano gli avvenimenti,<br />
a far percepire, nel reticolo ideologico<br />
<strong>di</strong> Mameli, la presenza totalizzante-religiosa<br />
del “mito” e a consentirgli <strong>di</strong> avvicinarsi al<br />
pensiero <strong>di</strong> Mazzini, <strong>di</strong> cui sostanzialmente<br />
finirà per interpretare la visione profetica<br />
della “terza Roma”, la “Roma del Popolo”.<br />
Questo suo credo traspare imme<strong>di</strong>atamente<br />
da un componimento, Roma, datato al 1847,<br />
stesso anno della composizione dell’Inno<br />
d’Italia: “Sorgi, in eterno con<strong>di</strong>ta / Sposa<br />
fedel del fato; / Un nuovo mondo schiudesi,<br />
/ Là è <strong>il</strong> tuo cammin segnato […] / Ove del<br />
mondo i Cesari / Ebbero un dì l’impero, / E<br />
i sacerdoti tennero / Schiavo l’uman pensiero,<br />
/ Ove è sepolto Spartaco / E maledetto<br />
Dante, / Ondeggerà fiammante / L’insegna<br />
dell’amore: / Dimenticate i popoli / L’ire d’un<br />
dí che muore, / Sarà la terra agli uomini /<br />
Come una gran città: / Libera, grande, unita,<br />
/ Vivrà una nuova vita / La stanca umanità. /<br />
Città <strong>delle</strong> memorie, / Città della speranza, /<br />
Le cento suore Italiche / Chiama, e a pugnar<br />
ti avanza. / Sotto <strong>il</strong> tuo segno <strong>il</strong> Teutono<br />
/ Fia che combatta anch’esso; / Gravalo <strong>il</strong><br />
giogo istesso. / Strinse fratelli insieme / Slavi,<br />
Alemanni ed Itali / Un duolo ed una speme:<br />
/ Hanno un sol campo i popoli, / Ed un sol<br />
campo i re. / Osa, combatti, e spera, / Fida<br />
alla tua ban<strong>di</strong>era, / E sarà Dio con te”. Non<br />
<strong>di</strong>verso è l’orizzonte che si <strong>di</strong>schiude dalla sua<br />
prosa <strong>di</strong> quegli anni. Lo scritto (pubblicato in<br />
Pallade, Roma, 29 gennaio 1849, e intitolato<br />
“Roma ritorna al Campidoglio”) riporta, con<br />
accenti mazziniani, le seguenti ‘previsioni’:<br />
“Roma ritorna al Campidoglio - sulla vetta<br />
del sacro colle si è nuovamente adunato un<br />
popolo libero, un popolo ora non indegno dei<br />
gloriosi suoi padri […]. O Romani, ora, ma<br />
ora soltanto incominciate a <strong>di</strong>venire popolo<br />
libero e sovrano. Dopo tanti secoli d’infame<br />
oppressione, voi siete finalmente risorti.<br />
Dal Campidoglio è spuntata la luce. Essa si<br />
<strong>di</strong>ffonderà per tutta l’Italia, poiché caduta la<br />
Roma dei Pontefici Re, ella torne rà anche una<br />
volta la Roma del popolo!”. Si comprende che<br />
<strong>il</strong> richiamo al mito <strong>di</strong> Roma 39 è funzionale al<br />
raggiungimento <strong>di</strong> un obiettivo fondamentale,<br />
quello <strong>di</strong> vincere <strong>il</strong> vero nemico dell’Unità<br />
nazionale, nemico annidato in quello spirito<br />
<strong>di</strong> fazione e in quell’ottuso localismo da lungo<br />
tempo <strong>di</strong>ventato strumento, <strong>di</strong> cui i principi<br />
37 - Scrive Costa 1998, p. 218: “Per capire come potesse<br />
piacere questo elmo <strong>di</strong> Scipione posto sulla testa<br />
dell’Italia personificata, si pensi che allora nelle scuole,<br />
specialmente in quelle <strong>degli</strong> Scolopi, i giovani erano<br />
educati su Livio, su Virg<strong>il</strong>io, su Orazio e che ai tempi<br />
<strong>di</strong> Mameli <strong>il</strong> culto <strong>di</strong> Roma grande e vittoriosa era vivo<br />
e tema <strong>di</strong> esercizio letterario. Questo ricorso storico,<br />
artisticamente stona in un canto <strong>di</strong> carattere popolare,<br />
però non ne <strong>di</strong>sturba l’impeto. Questo ‘Scipio’ si trova<br />
frequentemente negli scrittori umanisti e nella lirica a<br />
cominciare dal Petrarca”.<br />
38 - Toppani 1983, p. 341.<br />
39 - Cfr. anche Giar<strong>di</strong>na 2000, pp. 193-199 (Il mito<br />
<strong>di</strong> Roma: dalla rivoluzione francese alla prima guerra<br />
mon<strong>di</strong>ale; L’ora <strong>di</strong> Scipione).<br />
italiani e stranieri si erano serviti per tenere<br />
l’Italia <strong>di</strong>visa e in stato <strong>di</strong> servitù 40 .<br />
Di qui la sua opzione per quell’altissimo coefficiente<br />
<strong>di</strong> virtù e <strong>di</strong> energia morale che la<br />
Roma repubblicana <strong>degli</strong> Scipioni aveva saputo<br />
<strong>di</strong>mostrare nel momento più drammatico<br />
della sua storia, allorché aveva dovuto salvaguardare<br />
dalla potenza cartaginese <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto<br />
alla propria sopravvivenza. Nel dar senso e<br />
consistenza a questa prospettiva, richiedevano<br />
contestualmente una particolare attenzione <strong>il</strong><br />
ruolo da assegnare a Roma e <strong>di</strong> conseguenza<br />
l’implicito riconoscimento <strong>di</strong> un primato: a<br />
rischio infatti era l’identità <strong>delle</strong> altre città,<br />
che a buona ragione potevano vantare un<br />
autentico patrimonio <strong>di</strong> storia, <strong>di</strong> cultura e<br />
<strong>di</strong> civ<strong>il</strong>tà. Il passo in avanti da compiere era<br />
quello <strong>di</strong> spingere le gran<strong>di</strong> città italiane («le<br />
cento suore italiche») a recuperare, in collegamento<br />
con Roma, quella energia che sembrava<br />
smarrita e a partecipare ad un processo <strong>di</strong><br />
rinnovamento che dall’Italia si sarebbe dovuto<br />
estendere all’intera umanità. “Passata l’ora dei<br />
re,” - sintetizza Scioscioli 41 - “l’iniziativa spettava<br />
al popolo. Questo è <strong>il</strong> terzo postulato dei<br />
canti mameliani. E l’unità nazionale doveva<br />
imprimere una svolta decisiva nella storia<br />
italiana, occorreva che fosse opera dello stesso<br />
popolo italiano, unito in un patto <strong>di</strong> solidarietà<br />
con gli altri popoli dell’Europa. Non,<br />
dunque, volontà <strong>di</strong> egemonia, ma <strong>di</strong>alogo e<br />
solidarietà: questo doveva essere <strong>il</strong> segno della<br />
lotta contro l’oppressore. L’unità nazionale<br />
alla quale Mameli aspirava non era, dunque,<br />
un fine ma un mezzo. Innanzitutto per affermare<br />
un principio <strong>di</strong> giustizia. In secondo<br />
40 - Cfr. Scioscioli 2000, p. 75.<br />
41 - Scioscioli 2000, p. 76.<br />
G. Mameli, Inno Nazionale. Autografo della<br />
prima stesura. Genova, Istituto Mazziniano.<br />
luogo perché doveva <strong>di</strong>ventare strumento,<br />
non <strong>di</strong> separazione, ma <strong>di</strong> concor<strong>di</strong>a e <strong>di</strong><br />
partecipazione dei popoli che tutti, secondo<br />
un concetto caro a Mazzini, avevano ricevuto<br />
da Dio un fine, un’attitu<strong>di</strong>ne speciale che li<br />
rendeva capaci <strong>di</strong> dare impulso al cammino<br />
comune dell’umanità”.<br />
Ma <strong>di</strong> qui anche la scelta in <strong>di</strong>rezione del<br />
mito <strong>di</strong> Scipione, ossia <strong>di</strong> quel personaggio<br />
storico che, insieme a Cesare, garantiva<br />
cre<strong>di</strong>b<strong>il</strong>ità alle allegorie politiche dell’Italia<br />
unita, riven<strong>di</strong>cando comunque, rispetto al<br />
suo ‘gemello’, una caratura più originale, non<br />
foss’altro che per l’alone <strong>di</strong> mistero che, per<br />
espressa volontà dello stesso, circondava la<br />
propria ‘presunta confidenza’ con Giove, suo<br />
interlocutore priv<strong>il</strong>egiato 42 . A Mameli dava<br />
nella circostanza <strong>il</strong> massimo sostegno la lettura<br />
dei classici: Livio, ma soprattutto Petrarca,<br />
che <strong>di</strong> Scipione aveva fatto <strong>il</strong> suo ‘campione’<br />
sia nel de viris <strong>il</strong>lustribus, sia e soprattutto in<br />
un intero poema epico, l’Africa, una vera<br />
riscrittura in esametri <strong>delle</strong> pagine liviane.<br />
Non a caso Petrarca aveva affidato al suo eroe<br />
un’esclamazione che era insieme retrospettiva<br />
e profetica: totius sola sit orbis Roma caput,<br />
terris dominetur sola subactis (Africa II,358-<br />
359), un’esclamazione che era destinata a<br />
lasciare <strong>il</strong> segno in chi, dopo Petrarca, avrebbe<br />
raccolto <strong>il</strong> testimone. Il compito sarà assunto<br />
da Machiavelli che - come scrive Barberis<br />
2002, p. 10 -, risorto a nuova vita a metà<br />
Ottocento, scontata la pena <strong>di</strong> aver dato i<br />
natali al riprovevole ‘machiavellismo’, aveva<br />
portato un <strong>contributo</strong> fondamentale alla vitalità<br />
del cangiante mito <strong>di</strong> Scipione. Era con<br />
lui e con i suoi ragionamenti che, facendosi<br />
42 - Si veda al riguardo <strong>il</strong> saggio <strong>di</strong> Gabba 1975.<br />
19
20<br />
strada fra le scorie <strong>di</strong> una concezione amorale<br />
della politica e della Ragion <strong>di</strong> Stato, si poteva<br />
pur sempre rintracciare la ‘base’ del ‘pensiero<br />
moderno’ e ‘<strong>il</strong> suo linguaggio’. Insomma,<br />
nel 1848 europeo, Machiavelli era stato letto<br />
come un rivoluzionario ‘a sua insaputa’ 43 .<br />
Non è <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e, d’altronde, spiegarsi <strong>il</strong> successo<br />
del Il Principe, con i suoi infiniti exempla, e<br />
dei Discorsi: queste opere insomma avevano<br />
<strong>di</strong> fatto favorito <strong>il</strong> <strong>di</strong>alogo <strong>degli</strong> intellettuali<br />
dell’Ottocento con gli antichi e, fra questi,<br />
con Scipione: “uno Scipione <strong>di</strong>verso” - scrive<br />
Barberis 2002, p. 11 - “da quello preferito<br />
e proposto prima dai nazionalisti e quin<strong>di</strong><br />
dai fascisti; <strong>il</strong> ‘suo’ Scipione non mancava<br />
naturalmente <strong>di</strong> eccellenti competenze m<strong>il</strong>itari,<br />
poiché quello era requisito scontato ed<br />
essenziale, oltre che storicamente assodato;<br />
ma, alla perfi<strong>di</strong>a e alla crudeltà <strong>di</strong> Annibale,<br />
l’Africano <strong>di</strong> Machiavelli contrapponeva<br />
«pietà, fedeltà e religione»” 44 .<br />
C’è però nella tra<strong>di</strong>zione classica, che si è fatta<br />
pro<strong>di</strong>ga <strong>di</strong>spensatrice <strong>di</strong> prove e <strong>di</strong> documenti<br />
della <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> fatalis dux attribuib<strong>il</strong>e<br />
a Scipione, un tratto poco noto, forse, ma<br />
altamente significativo ed allusivo del ruolo<br />
che quell’icona avrebbe potuto svolgere se<br />
collegata al destino <strong>di</strong>vino <strong>di</strong> una nazione.<br />
Dispiace, nel frangente, per Petrarca, che,<br />
per quanto abbia speso una vita per dotarsi<br />
dei tanti co<strong>di</strong>ci che riportavano i suoi ‘veteres<br />
auctores’, non ha mai avuto la sorte <strong>di</strong> leggere<br />
i Punica <strong>di</strong> S<strong>il</strong>io Italico ed è morto pensando<br />
43 - Continua Barberis 2002, pp. 10-12: “Nel 1870,<br />
comunque, a ridosso del quarto centenario della<br />
nascita del segretario fiorentino, nei giorni <strong>di</strong> Porta<br />
Pia, Francesco De Sanctis (F. De Sanctis, Storia della<br />
letteratura, a cura <strong>di</strong> N. Gallo, Torino 1996, cap. XV,<br />
Machiavelli, p. 512) esclamava: «In questo momento<br />
che scrivo, le campane suonano a <strong>di</strong>stesa e annunziano<br />
l’entrata <strong>degli</strong> italiani a Roma. Il potere temporale<br />
crolla. E si grida <strong>il</strong> viva all’unità d’Italia. Sia gloria al<br />
Machiavelli»”.<br />
44 - La parola ancora a Barberis 2002, p. 12: “A<br />
<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Cesare, che era pervenuto alla tirannide,<br />
cioè che ‘per forza si tolse quello che la ingratitu<strong>di</strong>ne gli<br />
negava’ [cfr. N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca<br />
<strong>di</strong> Tito Livio, I,29 (Quale sia più ingrato o uno popolo o<br />
uno principe)], egli era rimasto fedele alla repubblica,<br />
stagliando la sua figura a doppio titolo fra i gran<strong>di</strong> della<br />
patria. Scipione, ancora oltre i suoi trionfi m<strong>il</strong>itari, <strong>di</strong><br />
là dal suo coraggio <strong>di</strong> combattente, dalla sua castità e<br />
lealtà, si era comportato in ‘modo conforme al bene<br />
comune’ e perciò la sua fama, ridotta ‘in proverbio intra<br />
i suoi soggetti’ [III,34 Quale fama o voce o opinione fa<br />
che <strong>il</strong> popolo comincia a favorire uno citta<strong>di</strong>no, e se ei<br />
<strong>di</strong>stribuisce i magistrati con maggiore prudenza che un<br />
principe], aveva potuto scavalcare i secoli fin nel cuore<br />
del Risorgimento italiano. D’altra parte, dove non fosse<br />
giunto <strong>di</strong>rettamente Machiavelli, potevano arrivare<br />
Livio e Polibio. Persino un quin<strong>di</strong>cenne formato alle<br />
Scuole pie <strong>degli</strong> Scolopi poteva farne propria l’esaltazione<br />
dei valori repubblicani: appena adolescente,<br />
Goffredo Mameli si era guadagnato l’ammissione al<br />
corso <strong>di</strong> f<strong>il</strong>osofia dell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Genova con un<br />
acerbo Elogio a Cicerone, che fin dalle prime pagine<br />
esprimeva della storia <strong>di</strong> Roma un’idea ben chiara:<br />
«La Romana Repubblica che ai tempi della caduta <strong>di</strong><br />
Cartagine aveva toccato <strong>il</strong> colmo della sua gloria». Per<br />
quella via, maneggiato da un ragazzo, Scipione andava<br />
a confermare <strong>il</strong> proprio posto nel pantheon <strong>degli</strong> immortali,<br />
simbolo <strong>di</strong> virtù repubblicane, cioè romane,<br />
ovvero ancora italiane. Il passo che lo avrebbe portato<br />
nelle strofe iniziali del Canto <strong>degli</strong> Italiani, poi più noto<br />
come Fratelli d’Italia, era fatto. A <strong>di</strong>mostrazione della<br />
maneggevolezza <strong>delle</strong> fonti classiche, della <strong>di</strong>ffusione<br />
e della dutt<strong>il</strong>ità del mito <strong>di</strong> Scipione”.<br />
<strong>di</strong> essere stato <strong>il</strong> primo a dare, con l’Africa,<br />
forma poetica al racconto <strong>delle</strong> guerre puniche<br />
che trovava nell’ab Urbe con<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> Tito<br />
Livio. All’insaputa <strong>di</strong> Petrarca e con secoli<br />
<strong>di</strong> anticipo rispetto a lui, quin<strong>di</strong>, nel poema<br />
epico <strong>di</strong> S<strong>il</strong>io Italico [morto allo scadere del<br />
I sec. d.C. in Campania (nella v<strong>il</strong>la che era<br />
stata <strong>di</strong> Cicerone e nella terra che ospitava le<br />
spoglie mortali <strong>di</strong> Virg<strong>il</strong>io)] si insisteva sulla<br />
figura <strong>di</strong> Publio Cornelio Scipione, detto<br />
l’Africano, mettendo a punto tutta una collezione<br />
<strong>di</strong> prove <strong>di</strong> valore ut<strong>il</strong>i ad erigere un<br />
‘monumento’ a questo salvatore della patria,<br />
nonché dux inviato dalla <strong>di</strong>vinità a contrastare<br />
l’avanzata irresistib<strong>il</strong>e <strong>di</strong> Annibale. Come sa<br />
bene chi si occupa <strong>di</strong> retorica (e qui <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso<br />
riguarda gli autori antichi), <strong>il</strong> laboratorio<br />
idoneo alla costruzione del carisma <strong>di</strong> un<br />
personaggio sfrutta insieme sia documenti<br />
storici, sia materiale elaborato ad hoc in base<br />
ai criteri della verosimiglianza: sto chiamando<br />
in causa insomma la ‘topica’, ossia quell’insieme<br />
<strong>di</strong> ‘clichés’ che, una volta ben collaudati<br />
e ritenuti <strong>di</strong> sicuro successo sulla psiche del<br />
destinatario, vengono poi replicati in relazione<br />
a personaggi e a situazioni <strong>di</strong>fferenti,<br />
S<strong>il</strong>ius Italicus, Punica, IV,101-133<br />
Haud mora. iam tantum campi <strong>di</strong>rimebat ab ictu<br />
quantum impulsa ualet comprendere lancea nodo,<br />
cum subitum liquida non ullis nubibus aethra<br />
augurium mentes oculosque ad sidera uertit.<br />
accipiter me<strong>di</strong>o tendens a limite solis<br />
d<strong>il</strong>ectas Veneri notasque ab honore Diones<br />
turbabat uiolentus aues atque unguibus idem,<br />
idem nunc rostro, duris nunc ictibus alae,<br />
ter quinas dederat saeua inter uulnera leto.<br />
nec finis satiesue, noui sed sanguinis ardor<br />
gliscere, et urgebat trepidam iam caede priorum<br />
incertamque fugae pluma labente columbam,<br />
donec Phoebeo ueniens Iouis ales ab ortu<br />
in tenuis tandem nubis dare terga coegit.<br />
tum uictrix laetos signa ad Romana uolatus<br />
conuertit, prolesque ducis qua parte decora<br />
Scipio quassabat puer<strong>il</strong>ibus arma lacertis,<br />
clangorem bis terque de<strong>di</strong>t, rostroque coruscae<br />
perstringens conum galeae se red<strong>di</strong><strong>di</strong>t astris.<br />
Exclamat Liger huic superos sentire monentis<br />
ars fuit ac penna monstrare futura magistra:<br />
‘Poene, bis octonos Italis in finibus annos<br />
audaci sim<strong>il</strong>is uolucri sectabere pubem<br />
Ausoniam multamque feres cum sanguine praedam.<br />
sed compesce minas: renuit tibi Daunia regna<br />
armiger ecce Iouis. nosco te, summe deorum:<br />
adsis o firmesque tuae, pater, alitis omen.<br />
nam tibi seruantur, ni uano cassa uolatu<br />
mentitur superos praepes, postrema subactae<br />
fata, puer, Libyae et maius Carthagine nomen.’<br />
Contra laeta Bogus Tyrio canit omina regi,<br />
et faustum accipitrem caesasque in nube uolucres<br />
Aenea<strong>di</strong>s cladem et Veneris portendere genti.<br />
che però per analogia hanno relazione con <strong>il</strong><br />
prototipo originario. Chi, come Mameli (e<br />
non solo lui), ha conosciuto gli ‘exploits’ <strong>di</strong><br />
Scipione dalla prosa <strong>di</strong> Livio o dalla poesia<br />
<strong>di</strong> Petrarca ricorderà che <strong>il</strong> suo primo atto <strong>di</strong><br />
valore avvenne durante la battaglia del Ticino<br />
(218 a. C.), allorché egli soccorse, salvandolo,<br />
suo padre ferito in battaglia. Fu <strong>il</strong> gesto che<br />
sancì la sua investitura ad eroe, quanto mai<br />
precoce visto che aveva appena 17 anni; in<br />
verità, stando ai Punica <strong>di</strong> S<strong>il</strong>io Italico, quella<br />
fu semplicemente la prima tangib<strong>il</strong>e conferma<br />
del ruolo fatale e provvidenziale 45 che la<br />
storia antica e, simbolicamente, quella del<br />
Risorgimento gli avrebbero riconosciuto. In<br />
altre parole, che ci fosse un <strong>di</strong>segno <strong>di</strong>vino che<br />
riguardava <strong>il</strong> giovane Scipione doveva essere<br />
deducib<strong>il</strong>e da qualche altro ‘misterioso’ evento<br />
che ‘aveva toccato’ <strong>il</strong> futuro Africano e che via<br />
via si sarebbe esplicitato in una nutrita serie<br />
<strong>di</strong> strepitose aristìe. Nello specifico, quin<strong>di</strong>,<br />
<strong>il</strong> ‘servare patrem’ 46 rientrava in una già col-<br />
45 - Cfr. Fucecchi 1993, p. 21; più <strong>di</strong> recente, Marks<br />
2005.<br />
46 - Cfr. Cipriani 2009.<br />
S<strong>il</strong>io Italico, Punica, IV,101-133<br />
laudata topica, in cui erano registrati già da<br />
tempo fulgi<strong>di</strong> esempi <strong>di</strong> ‘pietas erga patrem’,<br />
a cominciare da quel ‘pio’ Enea che aveva<br />
salvato suo padre dall’incen<strong>di</strong>o che stava riducendo<br />
in cenere Troia; in questa prospettiva,<br />
Scipione “si metteva semplicemente in f<strong>il</strong>a”,<br />
con<strong>di</strong>videndo comunque <strong>il</strong> merito per aver<br />
assolto ad un obbligo morale che la società<br />
antica riteneva inelu<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e. Per una più alta<br />
cifra topica, invece, si <strong>di</strong>stingue un episo<strong>di</strong>o<br />
che S<strong>il</strong>io Italico colloca alla vig<strong>il</strong>ia dello stesso<br />
combattimento al Ticino, allorché gli eserciti<br />
sono pronti a scontrarsi e tutti i combattenti<br />
si sono dotati già <strong>di</strong> armatura.<br />
Fra questi spicca, nonostante la sua giovane<br />
età, <strong>il</strong> <strong>di</strong>ciassettenne Publio Cornelio<br />
Scipione, ‘attento’ a figurare in un’altra<br />
topica, che vede i futuri gran<strong>di</strong> generali<br />
essere maturati fin da piccoli sul campo <strong>di</strong><br />
battaglia, magari al seguito dei loro genitori:<br />
per informazioni, basta chiedere ad<br />
Annibale, che <strong>di</strong> anni ne aveva nove quando<br />
esordì in campo m<strong>il</strong>itare o, se <strong>il</strong> Punico non<br />
risponde, basta rivolgersi a Pompeo, anche<br />
lui precocissima recluta. Ma lasciamo ora<br />
la parola a S<strong>il</strong>io Italico:<br />
Non è tempo <strong>di</strong> indugi, già le due schiere <strong>di</strong>stavano l’una<br />
dall’altra quanto è lo spazio che può ricoprire una lancia<br />
scagliata dalla correggia, quando improvviso, nel cielo limpido<br />
e senza nubi, un pro<strong>di</strong>gio attirò verso l’alto gli sguar<strong>di</strong> e gli<br />
spiriti. Uno sparviero volando dal mezzogiorno seminava,<br />
violento, <strong>il</strong> terrore fra i volat<strong>il</strong>i cari a Venere e noti per <strong>il</strong> culto<br />
<strong>di</strong> Dione e ora attaccandoli con gli artigli, ora con <strong>il</strong> becco, ora<br />
con forti colpi d’ala ne aveva uccisi quin<strong>di</strong>ci, fra crudeli ferite;<br />
né si fermava, sazio, ma la sua sete <strong>di</strong> nuovo sangue cresceva,<br />
e già incalzava un’altra colomba tremante per la strage <strong>delle</strong><br />
prime e incerta dove fuggire, mentre le ali le venivano meno,<br />
finché l’uccello <strong>di</strong> Giove giungendo dal lato dove sorge Febo lo<br />
costrinse infine a fuggire nelle nubi sott<strong>il</strong>i.<br />
Poi, vincitore, <strong>di</strong>rige lieto <strong>il</strong> suo volo verso le insegne romane<br />
e, portatosi dove Scipione, <strong>il</strong> figlio del console, bran<strong>di</strong>va con<br />
tenere braccia le sue fulgide armi, gettò un grido per due,<br />
tre volte, e sfiorato col becco <strong>il</strong> cimiero dell’elmo splendente fece<br />
ritorno fra gli astri.<br />
Esclama allora Liger (egli era esperto nell’avvertire gli<br />
ammonimenti <strong>degli</strong> dèi e nel rivelare <strong>il</strong> futuro dal volo <strong>degli</strong><br />
uccelli): «O Punico, per se<strong>di</strong>ci anni, sim<strong>il</strong>e a questo uccello<br />
audace, inseguirai sul suolo d’Italia la gioventù ausonia e ne<br />
ricaverai gran<strong>di</strong> spoglie e verserai molto sangue. Ma modera le<br />
tue minacce; ecco, l’uccello che porta l’arma <strong>di</strong> Giove ti nega <strong>il</strong><br />
regno <strong>di</strong> Dauno. Ti riconosco, o sommo <strong>di</strong>o. Assistici, padre,<br />
e conferma <strong>il</strong> presagio dell’aqu<strong>il</strong>a a te devota. A meno che<br />
quest’aqu<strong>il</strong>a ci inganni con vano volo e renda menzogneri gli<br />
dei, è a te, ragazzo, che sono riservati i destini ultimi della Libia<br />
vinta e un nome più grande <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Cartagine». Nell’altro<br />
campo, Bogo, preannuncia lieti presagi al signore tirio: lo<br />
sparviero è segno propizio e le colombe uccise in mezzo alle nubi<br />
annunciano <strong>il</strong> massacro <strong>degli</strong> Enea<strong>di</strong> e della stirpe <strong>di</strong> Venere”.
Chi ha confidenza con gli stu<strong>di</strong> classici non<br />
può non ricordare che un siffatto ‘pro<strong>di</strong>gio’,<br />
autentica manifestazione <strong>di</strong> un favore e <strong>di</strong><br />
un destino <strong>di</strong>vino “in un’atmosfera <strong>di</strong> attesa<br />
messianica e soteriologica” 47 , non è senza<br />
precedenti: nella sua ossessiva competizione<br />
con Virg<strong>il</strong>io, S<strong>il</strong>io Italico 48 arriva a gareggiare<br />
con <strong>il</strong> modello mantovano anche in questo<br />
delicato ambito della predestinazione, regalando<br />
al lettore un piccolo ‘gioiello’ <strong>di</strong> ri-uso<br />
<strong>di</strong> quanto Virg<strong>il</strong>io nel II libro dell’Eneide<br />
aveva riservato a Iulo e alla sua testa grazie al<br />
pro<strong>di</strong>gio della fiammella, che, manifestatasi<br />
inaspettatamente e interpretata come segno<br />
della volontà <strong>di</strong> Giove, aveva orientato verso<br />
la fuga per mare i Troiani sopravvissuti all’incen<strong>di</strong>o<br />
della loro patria. A voler cercare le<br />
analogie, <strong>di</strong> non minore gravità e precarietà,<br />
rispetto a questo precedente virg<strong>il</strong>iano, è <strong>il</strong><br />
47 - Sono parole <strong>di</strong> Fucecchi, ibidem.<br />
48 - Cfr. Spaltenstein 1986, pp. 271-273, per saperne<br />
<strong>di</strong> più sulla corrispondenza aqu<strong>il</strong>a/Giove e avvoltoio/<br />
Annibale; ut<strong>il</strong>e <strong>il</strong> commento anche per le osservazioni<br />
circa la calcolata scelta, operata da S<strong>il</strong>io Italico, <strong>di</strong><br />
abbassare <strong>il</strong> co<strong>di</strong>ce anagrafico <strong>di</strong> Scipione al fine <strong>di</strong><br />
creare una analogia fra Iulo (Ascanio) e Scipione. Cfr.,<br />
su questo aspetto ‘anagrafico’, anche Cipriani 1987 e<br />
1993. Vale la pena, sulla <strong>di</strong>ffusione in generale <strong>di</strong> un<br />
sim<strong>il</strong>e pro<strong>di</strong>gio nella civ<strong>il</strong>tà indoeuropea, consultare<br />
Ch. O. Tommasi Moreschini 2006.<br />
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1979.<br />
momento in cui Giove <strong>di</strong>mostra ai Romani<br />
(schiacciati e perseguitati dai Cartaginesi) che<br />
l’ora della riscossa è giunta e che, nel progetto<br />
<strong>di</strong>vino da lui <strong>di</strong>segnato, sarà un in<strong>di</strong>viduo in<br />
particolare a guidare la ‘revanche’: per questo<br />
scopo invia un’aqu<strong>il</strong>a, che dapprima becca<br />
appena appena (perstringens) la punta dell’elmo<br />
(<strong>di</strong> Scipio, appunto) e imme<strong>di</strong>atamente<br />
dopo, sod<strong>di</strong>sfatta, riprende <strong>il</strong> volo verso la<br />
volta celeste 49 . Non c’è bisogno <strong>di</strong> andare a<br />
scomodare la retorica e la connessa figura della<br />
sineddoche per intuire cosa rappresentino la<br />
49 - Osservazioni interessanti offre, a proposito <strong>di</strong><br />
questa tipologia <strong>di</strong> augurium, Fucecchi 1993, p. 22:<br />
“L’apparizione <strong>di</strong> un’aqu<strong>il</strong>a precede, quasi costantemente<br />
<strong>il</strong> verificarsi <strong>di</strong> un evento felice o, almeno, può<br />
consentire al destinatario del pro<strong>di</strong>gio <strong>di</strong> evitare <strong>di</strong><br />
compiere un passo falso (cfr. PAUL. Fest. 3; Sen. nat.<br />
II,32,5). Svetonio, un autore che riserva ampio spazio<br />
alla descrizione <strong>di</strong> portenta, offre una vasta gamma <strong>di</strong><br />
esempi che testimoniano <strong>il</strong> rapporto esistente fra un<br />
certo genere <strong>di</strong> auspici e la propaganda ideologica<br />
imperiale. In Aug. 94,7 abbiamo <strong>il</strong> motivo dell’aqu<strong>il</strong>a<br />
che rivolge le sue attenzioni ad un giovane predestinato<br />
(l’uccello sottrae del pane dalle mani <strong>di</strong> Augusto, quin<strong>di</strong><br />
scende per restituirglielo). Un’aqu<strong>il</strong>a si posò sulla<br />
spalla destra del futuro imperatore Clau<strong>di</strong>o, già in occasione<br />
del primo ingresso nel Foro con i fasci consolari<br />
(Claud. 7), e una statua <strong>di</strong> Domiziano, appena prima<br />
che le truppe <strong>di</strong> quest’ultimo riportassero una vittoria<br />
sul governatore della Germania superiore…”.<br />
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romana nella storiografia italiana dell’Ottocento, in L.<br />
testa e <strong>il</strong> suo apice nell’immaginario antropologico,<br />
religioso e giu<strong>di</strong>ziario <strong>degli</strong> Antichi 50 ;<br />
né c’è bisogno <strong>di</strong> insistere sulla straor<strong>di</strong>naria<br />
valenza iconica <strong>di</strong> un giovane che si accinge a<br />
compiere la sua eroica missione m<strong>il</strong>itare e che,<br />
in questa prospettiva, dà <strong>il</strong> segnale della sua<br />
<strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità cingendosi la testa con l’elmo,<br />
come avrebbe fatto l’Italia immaginata da<br />
Mameli. C’è solo forse bisogno <strong>di</strong> ricordarsi<br />
che quell’elmo è, ‘pour cause’, metonimia<br />
dell’unità stessa della nostra nazione!<br />
50 - Ci viene in aiuto, in questo caso, Livio (1,34,8-9)<br />
allorché riporta la spiegazione <strong>di</strong> un fenomeno molto<br />
sim<strong>il</strong>e capitato a Lucumone, <strong>il</strong> futuro re Tarquinio<br />
Prisco, cui un’aqu<strong>il</strong>a strappò via <strong>il</strong> copricapo mentre<br />
era <strong>di</strong>retto a Roma: “Erano giunti per caso nei pressi<br />
del Gianicolo. Qui, mentre Lucumone è seduto sul<br />
cocchio con la moglie Tanaqu<strong>il</strong>la, un’aqu<strong>il</strong>a calatasi<br />
lentamente ad ali tese gli porta via <strong>il</strong> p<strong>il</strong>leo, e svolazzando<br />
sul cocchio con grande strepito glielo rimette<br />
<strong>di</strong> nuovo acconciamente sul capo, come se fosse stata<br />
mandata dagli dèi a compiere una missione: quin<strong>di</strong> si<br />
levò nel cielo. Si <strong>di</strong>ce che Tanaqu<strong>il</strong>la, donna esperta<br />
<strong>di</strong> pro<strong>di</strong>gi celesti, come lo sono in genere gli Etruschi,<br />
abbia accolto lietamente quell’augurio. Abbracciando <strong>il</strong><br />
marito, gli fa sperare alti onori: gli spiega che si trattava<br />
del tale uccello, ch’era venuto dalla tal parte del cielo e<br />
messaggero <strong>di</strong> tale <strong>di</strong>vinità; che aveva dato l’auspicio<br />
sulla parte più alta del corpo; che aveva tolto l’ornamento<br />
posto sul suo capo umano, onde rimetterglielo<br />
per volontà <strong>di</strong>vina”.<br />
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Roma 1887.<br />
Spaltenstein 1986<br />
F. Spaltenstein, Commentaire des Punica de S<strong>il</strong>ius<br />
Italicus (livres 1 à 8), Genève 1986.<br />
Tibal<strong>di</strong> Chiesa 1939<br />
M. Tibal<strong>di</strong> Chiesa, Cimarosa e <strong>il</strong> suo tempo, M<strong>il</strong>ano<br />
1939.<br />
Tommasi Moreschini 2006<br />
Ch. O. Tommasi Moreschini, Ascagne et la<br />
«splendeur royale». À la recherche d’une image indoeuropeenne<br />
à Rome, “Revue des Études Latines” 84,<br />
2006, pp. 112-146.<br />
Toppani 1983<br />
I. Toppani, L’inno d’Italia e <strong>il</strong> mito <strong>di</strong> Roma, in A.<br />
Mastrocinque (cur.), Omaggio a Piero Treves, Padova<br />
1983, pp. 339-344.<br />
Treves 1962<br />
P. Treves, L’idea <strong>di</strong> Roma e la cultura italiana del<br />
secolo XIX, M<strong>il</strong>ano - Napoli 1962.<br />
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