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Comunicazioni orali e Poster sul Monitoraggio biologico - Giornale ...

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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl, 17-112 © PI-ME, Pavia 2004<br />

www.gimle.fsm.it<br />

COMUNICAZIONI ORALI E POSTER<br />

SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 19<br />

E.P. Abbritti 1 , N. Murgia 1 , N. Orazi 1 , M. dell’Omo 1 , T. Pierini 2 , G. Abbritti 1 , G. Muzi 1<br />

Effetti del cromo esavalente <strong>sul</strong>la cellularità polmonare di addetti<br />

alla cromatura galvanica<br />

1 Sezione di Medicina del Lavoro e Tossicologia Professionale e Ambientale, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Perugia<br />

2 Medico Competente<br />

RIASSUNTO. Il cromo metallico ed i composti del cromo trivalente<br />

ed esavalente sono largamente impiegati in ambito industriale. L’esposizione<br />

professionale a cromo (Cr), anche a basse concentrazioni, può causare<br />

flogosi delle vie aeree e asma bronchiale. Evidenze sperimentali suggeriscono<br />

che l’espettorato indotto è una metodica valida per analizzare<br />

gli indici cellulari e biochimici di infiammazione polmonare. Allo scopo<br />

di ottenere informazioni <strong>sul</strong>l’infiammazione polmonare causata dall’esposizione<br />

professionale a Cr sono stati valutati gli effetti su 11 lavoratori maschi<br />

addetti alla cromatura galvanica ed i ri<strong>sul</strong>tati confrontati con quelli ottenuti<br />

in un gruppo di 9 soggetti non esposti. Tutti i partecipanti, non fumatori<br />

e non affetti da patologie polmonari in atto, sono stati sottoposti a<br />

spirometria e a valutazione dell’espettorato indotto. I parametri spirometrici<br />

sono ri<strong>sul</strong>tati normali. Nei campioni di espettorato la concentrazione<br />

leucocitaria totale (82,98 ± 49,00 x10 4 cell/ml vs 68,89 ± 22,71<br />

x10 4 cell/ml) e la concentrazione assoluta dei neutrofili (53,08 ± 34,79<br />

x10 4 cell/ml vs 40,45 ± 12,52 x10 4 cell/ml) sono ri<strong>sul</strong>tate maggiori negli<br />

esposti rispetto ai non esposti. I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti, anche se non statisticamente<br />

significativi, anche a causa del modesto numero di partecipanti allo<br />

studio, potrebbero indicare la presenza di iniziali alterazioni flogistiche.<br />

Parole chiave: cromo esavalente, cellularità polmonare, flogosi delle<br />

vie aeree.<br />

ABSTRACT. EFFECTS OF HEXAVALENT CHROMIUM ON LUNG CEL-<br />

LULARITY IN CHROMATE WORKERS. Chromium and tri- and hexavalent<br />

chromium compounds are widely used in industry. Occupational exposure<br />

to chromium, even though at lower concentrations than current<br />

TLV, may cause airway inflammation and bronchial asthma. Eleven male<br />

chromate workers have been evaluated using induced sputum technique,<br />

and the re<strong>sul</strong>ts have been compared to a group of 9 non-exposed<br />

subjects. Members of both groups, non-smokers and those currently<br />

unaffected by lung disease, have been submitted to lung function tests<br />

and to sputum induction. Lung function values were normal. Total<br />

leukocyte concentration and absolute neutrophils concentration, evaluated<br />

on induced sputum, were higher in exposed than in non-exposed<br />

subjects (82,98 ± 49,00 x10 4 cell/ml vs 68,89 ± 22,71 x10 4 cell/ml;<br />

53,08 ± 34,79 x10 4 cell/ml vs 40,45 ± 12,52 x10 4 cell/ml), but the differences<br />

were not statistically significant. These re<strong>sul</strong>ts, although obtained<br />

from only a few exposed workers, may indicate early inflammation<br />

alterations in the airways.<br />

Key words: hexavalent chromium, lung cellurarity, airway inflammation.<br />

Introduzione<br />

Il cromo metallico è largamente impiegato nell’industria. I<br />

principali bersagli del Cr sono cute e mucose. L’esposizione a Cr,<br />

a concentrazioni anche inferiori agli attuali TLV, può provocare<br />

infiammazione delle mucose bronchiali e asma nei lavoratori<br />

esposti (1). Studi citologici di campioni ottenuti mediante BAL e<br />

biopsia bronchiale hanno evidenziato che i composti del Cr possono<br />

essere rilevati nei tessuti polmonari degli esposti e indurre<br />

modificazioni degli indici cellulari di flogosi (2). Numerosi studi<br />

hanno evidenziato che l’espettorato indotto è una metodica valida,<br />

già utilizzata per analizzare gli indici cellulari e biochimici di<br />

flogosi polmonare nello studio dell’asma bronchiale, della bronchite<br />

cronica, delle esposizioni a tossici ambientali e professionali<br />

e dell’effetto di alcuni farmaci <strong>sul</strong>l’infiammazione delle vie<br />

aeree (3, 4, 5, 6).<br />

Questo studio è stato condotto allo scopo di ottenere informazioni<br />

<strong>sul</strong>l’infiammazione polmonare causata dall’esposizione<br />

professionale a Cr alle concentrazioni attualmente presenti negli<br />

ambienti di lavoro.<br />

Materiali e metodi<br />

Allo studio hanno partecipato 11 lavoratori maschi addetti alla<br />

cromatura galvanica (età media ± DS: 43,7 ± 7,2 aa) con<br />

un’anzianità lavorativa media pari a 9,6 ± 6,4 aa, ed un gruppo di<br />

9 soggetti non esposti (età media: 30,8 ± 4,5 aa). Tutti i partecipanti,<br />

non fumatori e non affetti da malattie respiratorie in atto,<br />

sono stati sottoposti a dosaggio del Cr urinario, spirometria ed<br />

espettorato indotto. I campioni di espettorato sono stati quindi<br />

raccolti e processati seguendo metodiche validate (7).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Tutti i partecipanti allo studio presentavano valori spirometrici<br />

normali.<br />

Nei campioni di espettorato la concentrazione leucocitaria<br />

totale (82,98 ± 49,00 x10 4 cell/ml vs 68,89 ± 22,71 x10 4<br />

cell/ml) e la concentrazione dei neutrofili (53,08 ± 34,79 x10 4<br />

cell/ml vs 40,45 ± 12,52 x10 4 cell/ml) sono ri<strong>sul</strong>tate maggiori<br />

negli esposti rispetto ai non esposti, pur non raggiungendo la significatività<br />

statistica.Non è emersa alcuna correlazione significativa<br />

tra anzianità lavorativa, concentrazione urinaria di Cr<br />

(fine turno lavorativo, 7,59 ± 4,60 µg/g creat) e indicatori di flogosi<br />

presi in esame.<br />

Discussione<br />

I ri<strong>sul</strong>tati di questo studio, pur mostrando un aumento della<br />

concentrazione dei leucociti e dei neutrofili nei lavoratori esposti,<br />

non sembrano sufficienti a supportare l’ipotesi che l’esposizione<br />

professionale a basse concentrazioni di Cr provochi alterazioni<br />

degli indici cellulari di flogosi nell’espettorato indotto.<br />

Questo studio è il primo in cui l’espettorato indotto viene impiegato<br />

per studiare la flogosi polmonare indotta da Cr. Questa<br />

tecnica è stata utilizzata nella valutazione dell’asma bronchiale<br />

e di altre patologie bronco-polmonari, anche conseguenti all’esposizione<br />

a tossici professionali (3,4,5,8), dimostrando in alcuni<br />

casi sensibilità paragonabile a quella del BAL e della biopsia<br />

bronchiale (9).<br />

L’inalazione di Cr, anche a concentrazioni al di sotto degli<br />

standard consentiti, può provocare infiammazione a livello tracheobronchiale<br />

(1). Park et al hanno rilevato un aumento della<br />

reattività bronchiale alla metacolina in soggetti sottoposti a esposizione<br />

controllata a sali di Cr (10).<br />

Kondo et al, in uno studio condotto su biopsie bronchiali di<br />

lavoratori esposti, hanno rilevato un accumulo di Cr nelle regioni<br />

bronchiolo-alveolari e subpleuriche maggiore che in quelle più<br />

prossimali dell’apparato respiratorio, dove peraltro è presente a


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

20 www.gimle.fsm.it<br />

livello delle biforcazioni bronchiali (11). Studi condotti su animali<br />

hanno evidenziato che l’inalazione di Cr provoca un incremento<br />

dei linfociti e dei macrofagi alveolari e zone di modesta<br />

infiltrazione interstiziale, per lo più costituita da linfociti, neutrofili<br />

ed eosinofili (12,13).<br />

I ri<strong>sul</strong>tati di questo studio potrebbero indicare che l’esposizione<br />

a basse concentrazioni di Cr non sia tale da indurre<br />

effetti infiammatori rilevabili con l’espettorato indotto<br />

in un limitato numero di esposti. Tuttavia, l’aumento della<br />

concentrazione leucocitaria totale e dei neutrofili, soprattutto<br />

considerando l’accurato controllo dei possibili fattori di<br />

confondimento, potrebbe indicare la presenza di iniziali alterazioni<br />

flogistiche.<br />

Bibliografia<br />

1) Bright P, Burge SP, O’Hickey SP et al. Occupational asthma due to<br />

chrome and nickel electroplating. Thorax 1997; 52: 28-32.<br />

2) Agency for toxic substances and disease registry. Toxicological profile<br />

for chromium. Washington, U.S. Department of health and human<br />

services, 1993.<br />

3) Fahy JV, Liu J, Wong H et al. Comparison of samples collected by<br />

sputum induction and bronchoscopy from asthmatic and healthy<br />

subjects. Am Rev Respir Dis 1995; 152: 53-58.<br />

4) Solomon C, Christian DL, Welch BS et al. Effect of ammonium nitrate<br />

particles, nitric acid vapour, and ozone on respiratory tract in-<br />

C.M. Ansalone 1 , G. Sarcletti 2 , V. Crespi 2 , D. Cavallo 3 , R. Borchini 2 , M. Ferrario 1,2<br />

RIASSUNTO. Vengono riportati i ri<strong>sul</strong>tati preliminari delle associazioni<br />

tra i valori medi delle concentrazioni di sevoflurano (SF) e protossido<br />

d’azoto (PA) nei campioni urinari di 65 soggetti professionalmente<br />

esposti a basse concentrazioni ed i valori medi ambientali degli stessi<br />

anestetici rilevati in 12 sale operatorie nel 2004 in un ospedale lombardo.<br />

I dati raccolti hanno dimostrato che la variabilità statistica spiegata dai rilievi<br />

biologici è superiore per il SF rispetto al PA. Il coefficiente di correlazione<br />

lineare è ri<strong>sul</strong>tato di 0,47 per il PA e di 0,63 per il SF. L’ampiezza<br />

degli intervalli di confidenza sta ad indicare la considerevole variabilità<br />

dei dosaggi biologici. Una ulteriore standardizzazione delle variabili<br />

individuali e della tecnica analitica potrebbero migliorare ulteriormente<br />

le associazioni riscontrate.<br />

Parole -chiave: sevoflurano, monitoraggio <strong>biologico</strong>, esposizione<br />

professionale, personale ospedaliero.<br />

ABSTRACT. BIOLOGICAL MONITORING OF OCCUPATIONAL EXPO-<br />

SURE TO LOW SEVOFLURANE CONCENTRATIONS: A NEW TECHNIQUE FOR<br />

MEASURING URINARY SEVOFLURANE. This paper reports the preliminary<br />

re<strong>sul</strong>ts of the association between biological and environmental measurements<br />

of exposure of two of the most frequently used anesthetics:<br />

sevoflurane (SF) and nitrous oxide (N2O). Environmental measurements<br />

of SF and N2O were performed in twelve operating theaters of a<br />

university hospital in northern Italy. Urine samples were simultaneously<br />

collected from 65 surgical staff. SF and N2O determinations were<br />

done using gas-chromatography with an ECD detector. All environmental<br />

measurements were within threshold limit values, confirming<br />

flammation and pulmonary function. Proceedings of the American<br />

Thoracic Society 1997.<br />

5) Pavord ID, Sterk PJ, Hargreave FE et al. Clinical applications of assessment<br />

of airway inflammation using induced sputum. Eur Respir<br />

J 2002; 20: 40s-43s.<br />

6) Parameswaran K, Hargreave FE. The use of sputum cell counts to evaluate<br />

asthma medications. Br J Clin Pharmacol 2001; 52: 121-128.<br />

7) Efthimiadis A, Spanevello A, Hamid Q et al. Methods of sputum processing<br />

for cell counts, immunicytochemistry and in situ hybridisation.<br />

Eur Respir J 2002; 20(Suppl. 37): 19s-23s.<br />

8) D’Ippolito R, Foresi A Chetta A et al. Induced sputum in patients<br />

with newly diagnosed sarcoidosis. Comparison with bronchial wash<br />

and BAL. Chest 1999; 115: 1611-1615.<br />

9) Solomon C, Boylen K, Pripstein L et al. Comparison of bronchoalveolar<br />

lavage versus sputum induction for assessment of ozone-induced<br />

changes in airway fluid cells in asthma. Am J Respir Crit Care<br />

Med 2000; 161(3; part 2): A617.<br />

10) Park HS, Yu HJ, Jung KS. Occupational asthma caused by chromium.<br />

Clin Exp Allergy, 1994 Jul; 24(7): 676-81.<br />

11) Kondo K, Takahashi Y, Ishikawa S et al. Microscopic analysis of chromium<br />

accumulation in the bronchi and lung of chromate workers.<br />

Cancer 2003 Dec; 98 (11): 2420-29.<br />

12) Johansson A, Robertson B, Curstedt T et al. Alveolar macrophage abnormalities<br />

in rabbits exposed to low concentrations of trivalent chromium.<br />

Environ Res 1987 Dec; 44(2): 279-93.<br />

13) Johansson A, Wiernik A, Jarstrand C et al. Rabbit alveolar macrophages<br />

after inhalation of hexa- and trivalent chromium. Environ<br />

Res 1986 Apr; 39 (2): 372-85.<br />

Messa a punto di un metodo di misura del sevoflurano urinario per<br />

il monitoraggio <strong>biologico</strong> della esposizione a basse concentrazioni<br />

1 Scuola di Specializzazione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi dell’Insubria, Varese<br />

2 Medicina del Lavoro e Preventiva, AO Ospedale di Circolo Fondazione Macchi di Varese, Varese<br />

3 Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali, Facoltà di Scienze, Università degli studi dell’Insubria, Como<br />

low-dose exposures. Correlation coefficients between biological and<br />

environmental mean values were 0.47 for N 2 O and 0.63 for SF. Only<br />

part of the environmental SF and N 2 O variability could be explained<br />

by the corresponding biological measurements. Further standardization<br />

of the duration and conditions of individual exposure and the<br />

adoption of individual environmental sampling may further improve<br />

the associations.<br />

Key words: sevoflurane, biological monitoring, occupational exposure,<br />

health care workers.<br />

Introduzione<br />

Il sevoflurano (SF) è un etere alogenato introdotto tra i gas<br />

anestetici in Italia dal 1985, in associazione con il protossido d’azoto<br />

(PA). Ha bassa solubilità ematica, che consente rapidi induzione<br />

dell’anestesia e risveglio; bassi coefficienti di ripartizione<br />

sangue-aria alveolare e sangue-tessuti, che contribuisce a conferire<br />

potenza narcotica elevata, facile dosaggio e rapide modificazioni<br />

della profondità dell’anestesia (4).<br />

La maggior parte del SF è eliminata nelle urine tal quale.<br />

Solo il 5% del SF subisce biotrasformazione epatica, con ossidrilazione<br />

ad opera dell’isoenzima CYP 2E1 e formazione di<br />

fluoraldeide (quindi di acido formico) e di alcool esa-fluoroisopropilico<br />

e liberazione di ioni fluoro (5,6). Ad elevate con-


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

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centrazioni ematiche, il SF ha dimostrato<br />

tossicità epatica, depressione<br />

respiratoria e cardiovascolare,<br />

convulsioni ed ipertermia maligna<br />

(4). Il SF reagisce con la Soda<br />

Lime [NaOH 5%, Ca(OH)2 95%],<br />

utilizzata per assorbire la CO 2 nei<br />

circuiti di anestesia, producendo il<br />

Composto A, riconosciuto nefrotossico<br />

nei ratti. Nell’uomo sono<br />

state segnalate lesioni reversibili<br />

del tubulo renale, anche a basse<br />

concentrazioni (5,7). Per il monitoraggio<br />

<strong>biologico</strong> dei soggetti professionalmente<br />

esposti sono spesso<br />

utilizzati i fluoruri nelle urine, che<br />

presentano bassa specificità. Più<br />

recentemente è stato proposto il dosaggio urinario dell’alcool<br />

esa-fluoro-isopropilico e del sevoflurano tal quale (2,5,8). Con<br />

il presente contributo si riportano i ri<strong>sul</strong>tati preliminari delle associazioni<br />

tra i valori medi delle concentrazioni di SF e PA nei<br />

campioni urinari di 65 soggetti professionalmente esposti a basse<br />

concentrazioni ed i valori medi ambientali degli stessi anestetici<br />

riscontrati in 12 sale operatorie, rilevati nel 2004 in un<br />

ospedale lombardo.<br />

Materiali e metodi<br />

Determinazioni ambientali: I monitoraggi ambientali sono<br />

stati eseguiti in 12 sale operatorie nei mesi di febbraio-marzo<br />

2004, tramite monitor Brüel-Kjaer per analisi dei gas, dotato<br />

di spettroscopia fotoacustica a raggi infrarossi, come sistema<br />

analitico, e di microfono come trasduttore di misura. Per la presente<br />

analisi sono stati utilizzati i rilievi medi relativi all’intera<br />

seduta operatoria (1). Il campionamento è avvenuto posizionando<br />

il sensore a circa 150 cm di altezza, in prossimità del<br />

campo operatorio.<br />

Raccolta e conservazione dei campioni urinari: I campioni<br />

di urine sono stati raccolti al termine della seduta operatoria o<br />

dopo almeno tre ore dall’inizio dell’intervento. La raccolta dei<br />

campioni urinari è stata condotta al di fuori del comparto operatorio,<br />

nel minor tempo possibile (entro 5 minuti), utilizzando<br />

contenitori con 0.2 ml di acido solforico 9N, immediatamente sigillati.<br />

I campioni raccolti sono stati conservati a 4°C ed analizzati<br />

entro una settimana. Le determinazioni di SF e PA sono state<br />

effettuate in gas-cromatografia con la tecnica dello spazio di<br />

testa e rilevazione ECD, secondo il metodo proposto da Buratti et<br />

al. (2), parzialmente modificato. Si è utilizzato un gas-cromatografo<br />

Perkin Elmer 8500 dotato di rivelatore a cattura di elettroni.<br />

Come gas di trasporto (carrier) e di make-up è stato utilizzato<br />

azoto puro. La linearità delle determinazioni è stata valutata tramite<br />

sequenze scalari di standard (Sevorane - Abbott) da 10 a<br />

1000 µg/L. Il limite di rilevabilità per il SF è di 1,0 µg/L. I dosaggi<br />

sono stati effettuati presso il Laboratorio di Tossicologia<br />

della UO di Medicina del Lavoro e Preventiva dell’Ospedale di<br />

Circolo di Varese.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

In Tabella I sono riportati i valori medi ambientali del SF e del<br />

PA, per le singole sale operatorie sottoposte a controllo, il numero<br />

di campioni di urine raccolte ed i valori medi urinari (e relativo<br />

errore standard) dei dosaggi di SF e PA. Un soggetto con riconosciuta<br />

infezione delle basse vie urinarie e con campioni raccolti<br />

in due sale operatore è stato escluso per il dosaggio di PA.<br />

Tabella I. Valori ambientali e biologici di protossido di azoto e sevoflurano registrati<br />

La variabilità statistica spiegata (R 2 ) dei rilievi biologici è ri<strong>sul</strong>tata<br />

superiore per il sevoflurano rispetto al protossido di azoto.<br />

Il coefficiente di correlazione lineare di Pearson è ri<strong>sul</strong>tato di<br />

0,47 per il PA e di 0,63 per il SF.<br />

Discussione<br />

I vantaggi della determinazione del SF tal quale sono rappresentati<br />

dalla elevata specificità, dalla possibilità di poterlo<br />

determinare con la medesima colonna del PA. Per contro lo<br />

svantaggio principale è rappresentato dalla necessità di avere<br />

elevate sensibilità dello strumento di rilevazione (2, 3). L’ampiezza<br />

degli intervalli di confidenza riscontrati indica la considerevole<br />

variabilità dei dosaggi biologici, che possono risentire<br />

di numerosi fattori, quali i tempi e le modalità di stazionamento<br />

in sala operatoria, oltre che delle variabilità intra-individuale e<br />

analitica. Una ulteriore standardizzazione delle variabili individuali<br />

e della tecnica analitica, potrebbero migliorare ulteriormente<br />

le associazioni con i livelli ambientali, incluso l’utilizzo<br />

di campionatori personali.<br />

Bibliografia<br />

1) Accorsi A, Barbieri A, Raffi GB, Violante FS. Biomonitoring of exposure<br />

to nitrous oxide, sevoflurane, isoflurane and halothane by automated<br />

GC/MS headspace urinalysis. Int Arch Occup Environ<br />

Health 2001; 74: 541-548.<br />

2) Buratti M, Pellegrino O, Valla C, Colombi A. <strong>Monitoraggio</strong> <strong>biologico</strong><br />

dell’esposizione professionale a gas e vapori anestetici: determinazione<br />

di protossido d’azoto, alotano e isofluorano nell’urina. Med<br />

Lav 1993; 84: 66-73.<br />

3) Cassano F, De Marinis G, Bavaro P, Dentamaro A, Basso A, Giacomantonio<br />

A, Rubino G, Ricci G, Aloise I, Minenna MT. Esposizione<br />

professionale ad anestetici inalatori: 10 anni di misure in ospedali pugliesi.<br />

G Ital Med Lav Erg 2003; 25(3 Suppl.): 279.<br />

4) Desogus GF. Esposizione occupazionale ad anestetici volatili e neurotossicità.<br />

G Ital Med Lav Erg 2003; 25(3 Suppl.): 412.<br />

5) Imbriani M, Zadra P, Negri S, Alessio A, Maestri L, Ghittori S. <strong>Monitoraggio</strong><br />

<strong>biologico</strong> dell’esposizione professionale a sevoflurane. G<br />

Ital Med Lav Erg 2003; 25: 137-141.<br />

6) Cottica D, Bartolucci GB, Grignani E, Locatelli C, Sala C, Scapellato<br />

ML, Sesana G. Gas anestetici. Minoia C, Perbellini L., (Eds.)<br />

<strong>Monitoraggio</strong> ambientale e <strong>biologico</strong> dell’esposizione professionale<br />

a xenobiotici. Volume 4. Morgan Edizioni Tecniche, Milano, 2001,<br />

pp. 32-36.<br />

7) Proietti L. Anestesia a bassi flussi ed inquinamento ambientale. G<br />

Ital Med Lav Erg 2001; 23: 14 -17.<br />

8) Virgili A, Scapellato ML, Maccà I, Perini M, Carrieri M, Gori G,<br />

Saia B, Bartolucci GB. Esposizione professionale a gas anestetici in<br />

alcuni ospedali del Veneto. G Ital Med Lav Erg 2002; 24: 447-450.


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

22 www.gimle.fsm.it<br />

A. Baccarelli 1,2 , A. Pesatori 1 , D. Consonni 3 , D.Patterson Jr. 4 , M. Bonzini 1 , B. Marinelli 1 , J. A. Grassman 5 ,P.A. Bertazzi 1 , M.T. Landi 2<br />

Metodologie molecolari e genetiche nello studio degli effetti di agenti<br />

occupazionali ed ambientali: l’esempio del “Seveso Molecular<br />

Epidemiology Project”<br />

1 Dipartimento di Medicina del Lavoro “Clinica L. Devoto”, Università degli Studi di Milano, Milano<br />

2 Genetic Epidemiology Branch, Division of Cancer Epidemiology and Genetics, National Cancer Institute, NIH, DHHS, Bethesda, MD, USA<br />

3 Unità Operativa di Epidemiologia, Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento, Milano<br />

4 Division of Environmental Health Laboratory Science, National Center for Environmental Health, Centers for Disease Control and Prevention, Atlanta,<br />

GA, USA<br />

5 Health and Nutrition Sciences, Brooklyn College, CUNY, Brooklyn, NY, USA<br />

RIASSUNTO. Nel 1997 la IARC ha classificato la 2,3,7,8tetraclorodibenzo-p-diossina<br />

(TCDD) come un cancerogeno per l’uomo<br />

<strong>sul</strong>la base di sufficienti evidenze da esperimenti animali e limitate evidenze<br />

da studi epidemiologici. Un ruolo chiave fu attribuito alla presenza<br />

di un meccanismo di azione ben definito che richiede l’attivazione del<br />

recettore Aryl-hydrocarbon (AhR). Studi sperimentali negli animali ed in<br />

vitro indicano che i livelli cellulari di AhR diminuiscono in seguito al legame<br />

recettoriale della TCDD. Approssimativamente 20 anni dopo l’incidente<br />

di Seveso, abbiamo osservato livelli diminuiti di trascrizione di<br />

AhR nei soggetti esposti che erano correlate ai livelli di TCDD plasmatica.<br />

Questi ri<strong>sul</strong>tati suggeriscono la presenza di un fenomeno di down-regulation<br />

di AhR, comparabile a quello osservabile in molti altri sistemi<br />

recettoriali. Questi ri<strong>sul</strong>tati dimostrano per la prima volta che i meccanismi<br />

di regolazione indotti da TCDD nel sistema AhR osservati precedentemente<br />

in studi sperimentali si verificano in maniera simile anche nei<br />

soggetti esposti. I nostri dati sono fondamentali per estrapolare all’uomo<br />

gli effetti conseguenti alla attivazione del sistema AhR osservati in modelli<br />

sperimentali.<br />

Parole chiave: 2,3,7,8-Tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), recettore<br />

Aryl-hydrocarbon, esposizione ambientale.<br />

ABSTRACT. MOLECULAR AND GENETIC METHODS FOR STUDYING<br />

THE EFFECTS OF OCCUPATIONAL AND ENVIRONMENTAL AGENTS: THE SE-<br />

VESO MOLECULAR EPIDEMIOLOGY PROJECT. In 1997, IARC classified<br />

2,3,7,8-tetrachlorodibenzo-p-dioxin (TCDD) as carcinogenic to humans,<br />

based on sufficient evidence from animal data and limited evidence from<br />

human data. A key role in the IARC classification was played by the welldefined<br />

mechanism of TCDD action involving the activation of the Arylhydrocarbon<br />

Receptor (AhR). Experimental animal and in-vitro studies<br />

indicate that AhR levels decrease following TCDD binding. Nearly 20<br />

years after the Seveso accident, we found a decrease in AhR mRNA levels<br />

in TCDD-exposed subjects. AhR transcript levels were correlated<br />

with plasma TCDD concentrations. Our re<strong>sul</strong>ts may reflect a down-regulation<br />

of AhR, similar to that observed in most receptorial systems. We<br />

demonstrated, for the first time in humans, that TCDD-related regulation<br />

of the AhR pathway, previously observed in experimental studies, may also<br />

occur in exposed subjects. Our data are important for extrapolating<br />

AhR-mediated effects from experimental models to humans.<br />

Key words: 2,3,7,8-tetrachlorodibenzo-p-dioxin (TCDD), Aryl-hydrocarbon<br />

Receptor, environmental exposure.<br />

Introduzione<br />

Nel 1997 la IARC ha classificato la 2,3,7,8-Tetraclorodibenzo-p-diossina<br />

(TCDD) come un cancerogeno di classe 1<br />

(cancerogeno per l’uomo) <strong>sul</strong>la base di sufficienti evidenze da<br />

esperimenti animali e limitate evidenze da studi epidemiologici.<br />

Un ruolo chiave fu attribuito dalla commissione alla presenza<br />

di un meccanismo di azione ben definito che richiede<br />

l’attivazione del recettore Aryl-hydrocarbon (AhR) per mediare<br />

gli effetti tossici della TCDD. I componenti molecolari del<br />

sistema AhR sono simili negli animali e nell’uomo. AhR è un<br />

recettore nucleare che, in presenza di TCDD, forma un eterodimero<br />

attivo con il cofattore ARNR ed induce la trascrizione<br />

di enzimi, quali il citocromo P4501A1 (CYP1A1) e P4501B1<br />

(CYP1B1) coinvolti nel metabolismo di xenobiotici. La<br />

espressione prolungata di questi enzimi può provocare un aumento<br />

di lesioni del DNA a causa della generazione di metaboliti<br />

genotossici e di radicali reattivi dell’ossigeno. Gli effetti<br />

<strong>sul</strong> sistema AhR della esposizione a diossine non è mai stata<br />

studiata nell’uomo in vivo. Abbiamo disegnato e condotto uno<br />

studio molecolare per indagare lo stato di attivazione del sistema<br />

AhR su un campione di soggetti rappresentativo della popolazione<br />

esposta a TCDD in seguito all’incidente di Seveso e<br />

di una popolazione di controllo non esposta. Abbiamo campionato<br />

casualmente 62 soggetti della popolazione delle zone altamente<br />

contaminate (A+B) e 59 dalla zona circostante non<br />

contaminata (non-ABR) (1). Nei soggetti di zona A e B, i livelli<br />

di TCDD plasmatici erano ancora elevati con concentrazioni<br />

che arrivavano fino a 90 ppt (2).<br />

Materiali e metodi<br />

I soggetti dello studio sono stati reclutati tra il dicembre 1992<br />

ed il marzo 1994. I livelli di mRNA dei geni AhR, ARNT,<br />

CYP1A1 e CYP1B1 e della attività EROD CYP1A1-dipendente<br />

sono stati misurati in linfociti periferici (3, 4). Alcuni dei marcatori<br />

del sistema AhR, come l’espressione di CYP1A1 e l’attività<br />

EROD, sono presenti solo a livelli estremamente bassi in linfociti<br />

non coltivati. Abbiamo quindi utilizzato, in aggiunta a linfociti<br />

non coltivati, linfociti coltivati con mitogeno o con mitogeno +<br />

10 nM TCDD. I livelli di mRNA di AhR, ARNT, CYP1A1, and<br />

CYP1B1 sono stati misurati tramite quantitative competitive reverse<br />

transcription PCR (RT-PCR).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Livelli dei markers del sistema AhR nelle differenti condizioni<br />

cellulari: Nelle cellule non coltivate, abbiamo analizzato<br />

soltanto AhR, ARNT e CYP1B1. I livelli medi di mRNA erano<br />

1.19 x 10 6 copie per AhR, 0.47 x 10 6 copie per ARNT e 0.11 x 10 6<br />

copie per CYP1B1. L’espressione di ARNT non è stata misurata<br />

in cellule coltivate perché la quantità di cellule disponibili era limitata.<br />

Tutti gli altri markers, che includevano AhR, CYP1A1,<br />

CYP1B1 e EROD, sono stati potentemente indotti quando le cellule<br />

sono state coltivate con mitogeno o con mitogeno + TCDD.<br />

TCDD plasmatica e il sistema AhR: Nei soggetti con più<br />

alta esposizione a TCDD, i livelli di mRNA di AhR (in tutte le<br />

condizioni cellulari utilizzate) e di ARNT tendevano ad essere<br />

più bassi. Abbiamo utilizzato tecniche di analisi statistica multivariata<br />

per correggere i ri<strong>sul</strong>tati per la presenza di fattori indivi-


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 23<br />

Figura 1. Associazione tra livelli<br />

di TCDD plasmatica e markers<br />

del sistema AhR in cellule non<br />

coltivate (riquadri in nero) ed in<br />

cellule coltivate con mitogeno e<br />

TCDD (10 nM, riquadri in bianco),<br />

in un gruppo di soggetti<br />

campionati casualmente dalla<br />

popolazione delle zone ad alta<br />

contaminazione (A+B) e della<br />

zona circostante non contaminata<br />

(non-ABR) di Seveso. La<br />

correlazione tra i markers è<br />

espressa utilizzando la statistica<br />

t ed i valori di p del test di Wald<br />

ottenuti da modelli di regressione<br />

multipla aggiustati per età,<br />

sesso, espressione di actina e<br />

data dell’esperimento (cellule<br />

non coltivate) o espressione di<br />

actina, vitalità cellulare postcultura,<br />

gruppo sperimentale,<br />

data dell’esperimento e crescita<br />

cellulare. Figura adattata da<br />

Baccarelli et al. (4)<br />

duali o di laboratorio potenzialmente in grado di alterare i ri<strong>sul</strong>tati<br />

(Figura 1) (3). L’associazione negativa tra TCDD plasmatica<br />

ed AhR era statisticamente significativa in linfociti non coltivati<br />

(t = -2.28, p = 0.03). La TCDD plasmatica non era significativamente<br />

associata ai livelli di ARNT, CYP1A1 e CYP1B1. I<br />

livelli di TCDD erano negativamente associati alla attività<br />

EROD (t = -2.61, p = 0.01).<br />

Associazione tra i markers all’interno del sistema AhR: In<br />

cellule non coltivate, abbiamo osservato una forte correlazione<br />

statistica tra l’espressione di AhR e ARNT (t=4.20; p


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

24 www.gimle.fsm.it<br />

A. Basile 1 , A. Simonelli 2 , R. Moccaldi 3 , G. Spagnoli 4 , A. Acampora 2 , N. Sannolo 1<br />

Studio preliminare mediante spettrometria di massa per la misura della<br />

dose biologicamente efficace nell’esposizione professionale ad acrilammide<br />

1 Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Medicina del Lavoro, Tossicologia ed Igiene Industriale, Seconda Università degli Studi di Napoli<br />

2 Dipartimento di Medicina Pubblica e della Sicurezza Sociale, Università degli Studi di Napoli, “Federico II”<br />

3 Servizio Medico Competente del CNR, Roma<br />

4 Dipartimento di Igiene del Lavoro, Centro Ricerche ISPESL, Monte Porzio Catone, Roma<br />

RIASSUNTO. L’Acrilammide (AA) è una molecola reattiva molto<br />

utilizzata nell’industria chimica; è un agente neurotossico, è mutagena ed<br />

è classificata dalla IARC come probabile cancerogeno per l’uomo. Il metabolismo<br />

ossidativo della AA porta alla formazione del metabolita epossidico<br />

glicidamide (GA) che è responsabile degli effetti mutageni e carcinogeni.<br />

Sia l’AA che la GA formano addotti con macromolecole biologiche.<br />

In questo lavoro sono stati caratterizzati gli addotti emoglobinici<br />

dell’AA formati in vitro, con lo scopo di sviluppare un metodo analitico<br />

sensibile per la rivelazione e la quantificazione degli addotti peptidici dell’AA,<br />

basato su metodiche analitiche di spettrometria di massa tandem<br />

accoppiata alla cromatografia liquida. È stata preliminarmente effettuata<br />

la caratterizzazione degli addotti sia <strong>sul</strong>la globina intera, utilizzando uno<br />

spettrometro di massa Q-Tof, sia <strong>sul</strong>la miscela triptica, evidenziando la<br />

forte alchilazione del residuo di cisteina 93 della β-globina.<br />

Parole chiave: acrilammide, glicidamide, addotti all’emoglobina.<br />

ABSTRACT. PRELIMINARY STUDY USING MASS SPECTROMETRY FOR<br />

MEASURING DOSES WHICH ARE BIOLOGICALLY EFFECTIVE IN TREATING<br />

OCCUPATIONAL EXPOSURE TO ACRYLAMIDE. Acrylamide (AA) is a reactive<br />

molecule extensively used in the chemicals industry; it is a neurotoxic<br />

agent, causes germ cell mutagenicity and it is classified by the IARC as<br />

a probable cancerogen for humans. Oxidative metabolism of AA leads to<br />

its epoxide metabolite, glycidamide (GA) which is responsible for mutagenic<br />

and carcinogenic effects. Both AA and GA form adducts with biological<br />

macromolecules. This paper describes the characterization of the<br />

hemoglobin adduct of AA formed in vitro with the purpose of developing<br />

a sensitive method for the detection and quantification of peptide adducts<br />

of AA based on tandem mass spectrometry coupled with LC. A preliminary<br />

characterization of adduct was performed both on whole globin<br />

chains by ESI-Q-T of mass spectrometer and on a tryptic mixture of peptides,<br />

explaining the strong alkylation of cystein 93 residue of β-globin.<br />

Key words: acrylamide, glycidamide, hemoglobin adducts.<br />

Introduzione<br />

L’Acrilammide (2-propenammide, AA) è un monomero utilizzato<br />

principalmente come prodotto intermedio nell’industria<br />

chimica per la produzione di poliacrilammide. L’AA viene anche<br />

usata per la preparazione in loco di gel di poliacrilammide per la<br />

separazione elettroforetica di macromolecole biologiche e come<br />

agente di consolidamento del suolo. La poliacrilammide è utilizzata<br />

principalmente nel trattamento delle acque reflue, nella lavorazione<br />

della carta e dei minerali, come additivo cosmetico e<br />

come ammendante (1). Ulteriore fonte di esposizione è la dieta in<br />

quanto l’AA si forma durante la cottura di alcuni cibi, come ri<strong>sul</strong>tato<br />

della reazione di Maillard tra amminoacidi e zuccheri riducenti<br />

(2).<br />

L’esposizione professionale o sperimentale all’AA determina<br />

una neuropatia caratterizzata da atassia, perdita di peso e danno<br />

neuronale. L’AA è stata anche indicata come potenziale agente<br />

mutageno e tossico per la riproduzione. L’AA è metabolizzata al<br />

corrispondente epossido glicidamide (2,3-epossipropinammide,<br />

GA) che è stata dimostrata essere mutagena e cancerogena. L’AA<br />

è classificata dalla IARC come probabile cancerogeno per l’uomo<br />

(gruppo 2A).<br />

Poiché l’AA può provenire sia da fonti esterne che dalla dieta,<br />

ri<strong>sul</strong>ta necessario caratterizzare adeguatamente l’esposizione<br />

ai fini di una corretta stima del rischio per la salute. Allo scopo di<br />

individuare un biomarcatore basato su una matrice facilmente ottenibile<br />

e rappresentativa dell’effettiva esposizione, la nostra attenzione<br />

si è rivolta agli addotti emoglobinici. La strategia analitica<br />

consiste in un’indagine preliminare su tutti i siti alchilati lungo<br />

la sequenza delle globine, seguita dalla individuazione della<br />

porzione maggiormente alchilata identificabile in un peptide facilmente<br />

ottenibile che possa essere adottato quale biomarcatore<br />

da quantificare nel monitoraggio <strong>biologico</strong>.<br />

Materiali e metodi<br />

Sono stati utilizzati reagenti di elevato grado di purezza: AA,<br />

>99%, Biorad; tripsina Sigma-Aldrich. Campioni di sangue di soggetti<br />

sani non fumatori e non esposti professionalmente ad AA sono<br />

stati utilizzati per esperimenti di incubazione in vitro. L’analisi è stata<br />

condotta in cromatografia liquida ad alta risoluzione avvalendosi<br />

di HPLC della Kontron Instruments e della Agilent, usati tal quali o<br />

in modalità on line con gli spettrometri di massa. Lo spettrometro di<br />

massa utilizzato per l’analisi delle globine alchilate è un ibrido singolo<br />

quadrupolo-tempo di volo Q-Tof (Waters); quello utilizzato per<br />

l’analisi del digerito triptico delle globine è un electrospray dotato di<br />

analizzatore a trappola ionica LCQdeca (Thermo).<br />

L’incubazione emoglobina-acrilammide è stata condotta aggiungendo<br />

una soluzione acquosa di AA al lisato eritrocitario in<br />

modo da avere rapporti molari di incubazione Hb:AA di 1:1, 1:10<br />

ed 1:100. Le catene globiniche sono state frazionate mediante<br />

RP-HPLC ed analizzate con spettrometria di massa normale e<br />

tandem. Le globine sono anche state sottoposte ad idrolisi triptica<br />

e la ri<strong>sul</strong>tante miscela peptidica è stata analizzata mediante<br />

LC/ES/MS per individuare i peptidi alchilati. Analisi<br />

LC/ES/MS/MS sono state condotte sui peptidi modificati al fine<br />

di identificare il sito amminoacidico alchilato.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Le analisi MS di globine incubate con AA hanno permesso di<br />

stabilire che in seguito ad interazione Hb-AA si formano addotti<br />

covalenti e stabili e che la β-globina é la catena più alchilata. L’analisi<br />

mediante ES/MS/MS <strong>sul</strong>la globina intera e <strong>sul</strong>l’idrolizzato<br />

triptico individuano nel peptide 83-95 della β-globina la porzione<br />

maggiormente alchilata. La cisteina 93 è ri<strong>sul</strong>tata essere il sito<br />

di alchilazione. Il peptide N-terminale della β-globina ri<strong>sul</strong>ta<br />

meno alchilato (su Val 1) rispetto al peptide a cisteina.<br />

Discussione e Conclusioni<br />

I metodi analitici finora disponibili per la determinazione degli<br />

addotti emoglobinici con l’acrilammide sono riconducibili a<br />

due categorie: la degradazione di Edman modificata per l’N-al-


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 25<br />

chile e l’idrolisi proteica acida (3, 4). Mediante degradazione di<br />

Edman viene selettivamente estratta e quantificata l’estremità Nterminale<br />

della proteina alchilata sotto forma di derivato pentafluorofeniltioidantoinico<br />

rilevabile mediante GC/MS. Attraverso<br />

l’idrolisi totale, invece, si determinano gli amminoacidi alchilati,<br />

senza che si abbia alcuna informazione circa la loro posizione in<br />

sequenza. La degradazione di Edman modificata per l’N-alchile,<br />

pur presentando il vantaggio di determinare selettivamente l’amminoacido<br />

N-terminale modificato, non considera la possibile<br />

presenza, all’interno della sequenza globinica, di residui eventualmente<br />

più alchilati rispetto alla valina N-terminale. Qualora<br />

l’amminoacido N-terminale non fosse il residuo maggiormente<br />

reattivo, alchilato anche a bassi livelli di esposizione, il monitoraggio<br />

basato <strong>sul</strong> dosaggio del solo residuo amminoacidico Nterminale<br />

potrebbe non rivelare o sottostimare la quantità di addotto<br />

realmente presente e quindi non consentire l’accurata valutazione<br />

dell’esposizione ad AA. Questa considerazione, unitamente<br />

alla scarsa informazione derivante dalla determinazione<br />

degli amminoacidi modificati rilasciati in seguito ad idrolisi totale<br />

(metodo che non permette di distinguere gli addotti che si originano<br />

per addizione dell’AA con quelli formati per addizione di<br />

acrilonitrile), hanno spinto il nostro gruppo di ricerca allo sviluppo<br />

di una metodica innovativa per una più corretta determinazione<br />

degli addotti emoglobinici originatesi per esposizione ad AA.<br />

Questo metodo, basato <strong>sul</strong>la preliminare indagine strutturale re-<br />

RIASSUNTO. Il presente studio mira alla valutazione dell’influenza<br />

dei polimorfismi genetici del citocromo P450 (CYP1A1), glutatione Stransferasi<br />

µ (GSTM1) e θ (GSTT1) sui livelli dell’1-idrossipirene urinario<br />

(1-IP) in lavoratori esposti ad idrocarburi policiclici aromatici (IPA).<br />

Sono stati indagati 355 lavoratori di 3 batterie della cokeria di uno dei più<br />

grandi stabilimenti siderurgici d’Europa, inclusi gli addetti alla manutenzione<br />

ed alle pulizie industriali. Il valore mediano di 1-IP era pari a 1.05<br />

µMol/Mol creat. . È stata osservata una differenza significativa tra i 5 gruppi<br />

di lavoratori in studio, con i valori più alti nel gruppo dei manutentori<br />

(mediana 1,71, range 0,06-14,69 µMol/Mol creat ). Il 25% dei lavoratori in<br />

studio ha riportato valori di 1-IP eccedenti il valore limite proposto di 2.3<br />

µMol/Mol creat. . Non è stata osservata differenza in relazione all’abitudine<br />

al fumo. I lavoratori con genotipo GSTT1 null hanno mostrato livelli di<br />

1-IP più alti rispetto al wild type (p=0,06). Sono necessari ulteriori studi<br />

per chiarire meglio il ruolo di GSTT1 sui livelli di 1-IP.<br />

Parole chiave: esposizione, IPA, cokeria, indicatori biologici, polimorfismi<br />

genetici.<br />

ABSTRACT. ASSESSMENT OF PAH EXPOSURE IN COKE-OVEN<br />

WORKERS AND EVALUATION OF THE INFLUENCE OF METABOLIC POLY-<br />

MORPHISMS ON EXPOSURE BIOMARKER. This study aims to investigate the<br />

influence of genetic polymorphism of the cytochrome P450 1A1<br />

(CYP1A1), glutathione S-transferases µ (GSTM1) and θ (GSTT1) on the<br />

urinary levels of 1-hydroxypyrene (1-HOP) in workers exposed to<br />

polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs). 355 coke-oven workers exposed<br />

to PAHs were selected from the 3 batteries of the coke-oven plant of<br />

one of the largest European steel plants. Maintenance workers and indu-<br />

lativa all’interazione AA-Hb, individua nel peptide maggiormente<br />

alchilato il biomarcatore da quantificare nel monitoraggio <strong>biologico</strong><br />

dei soggetti esposti ad AA. In particolare, il peptide alchilato<br />

individuato quale biomarcatore dell’esposizione ad AA è il<br />

peptide 83-95 della β-globina.<br />

Ringraziamenti<br />

Lo studio in corso è parte di un progetto di ricerca codice<br />

B71/DIL/03, finanziato dall’ISPESL dal titolo: “Valutazione del rischio<br />

da esposizione professionale ad AA monomero attraverso la determinazione<br />

della dose biologicamente efficace”.<br />

Bibliografia<br />

1) Friedman M. Chemistry, Biochemistry, and Safety of Acrylamide. A<br />

Review. J. Agric. Food Chem 2003; 51: 4504-4526.<br />

2) Mottram DS, Wedzicha BL, Dodson AT. Acrylamide is formed in the<br />

Maillard reaction. Nature 2002; 419: 448.<br />

3) IARC Monographs on the evaluation of carcinogen Risk to humans:<br />

some industrial chemicals. 1994 IARC, Lyon, no 60.<br />

4) Bergmark E, Calleman CJ, He F, Costa LG. Determination of hemoglobin<br />

adducts in humans occupationally exposed to acrylamide.<br />

Toxicol. Appl. Pharmacol. 1993; 120: 45-54.<br />

L. Bisceglia 1 , G. de Nichilo 1 , M.E. Grassi 1 , T. Giannini 1 , P. Chiumarulo 1 , G. Elia 2 , N. Schiavulli 1 , G. Assennato 1<br />

Valutazione dell’esposizione professionale ad IPA in lavoratori<br />

di cokeria e dell’influenza di polimorfismi metabolici sui livelli<br />

dell’indicatore di esposizione<br />

1 Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica - Università degli Studi di Bari, Bari<br />

2 Fondazione “S. Maugeri”, Cassano Murge (Bari)<br />

strial cleaners were included. The median value of urinary 1-HOP was<br />

1.05 µMol/Mol creat . The difference between the groups was statistically<br />

significant, with the highest value observed in the maintenance group<br />

(median 1.71, range 0.06-14.69 µMol/Mol creat ). It is remarkable that 25%<br />

of the workers exceeded the proposed benchmark guideline value of 2.3<br />

µMol/Mol creat . No statistical difference was found in relation to smoking<br />

habits. Workers with GSTT1 null genotype had higher 1-HOP levels than<br />

those with wild type (p=0.06). Further observations are needed to clarify<br />

the role of GSTT1 with regard to the 1-HOP levels.<br />

Key words: exposure assessment, PAHs, coke-oven workers, biomarkers,<br />

genetic polymorphisms.<br />

Introduzione<br />

Il presente studio è finalizzato alla valutazione dell’esposizione<br />

professionale ad idrocarburi policiclici aromatici (IPA)<br />

in lavoratori di cokeria mediante un programma di monitoraggio<br />

<strong>biologico</strong> che prevede la misurazione dei livelli urinari<br />

dell’1-idrossipirene (1-IP) quale indicatore di dose interna, verificando<br />

l’affidabilità di tale biomarcatore nel discriminare<br />

differenti situazioni operative comportanti diverse condizioni<br />

di esposizione (1). Si è proceduto inoltre alla valutazione dell’eventuale<br />

influenza di selezionati polimorfismi metabolici<br />

del citocromo P450 1A1, e della glutatione S-transferasi µ<br />

(GSTM1) e θ (GSTT1) sui livelli del biomarcatore, in quanto


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

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la variabilità inter-individuale nella suscettibilità alle sostanze<br />

cancerogene sembra dipendere in larga misura da fattori che<br />

intervengono nella sequenza di metabolizzazione di tali composti<br />

(2, 8, 9, 10).<br />

Materiali e metodi<br />

Sono stati arruolati 355 lavoratori professionalmente esposti<br />

ad IPA in quanto operanti nella cokeria di uno dei più grandi stabilimenti<br />

siderurgici europei. La cokeria consiste di 3 batterie,<br />

denominate A, B e C, costruite in differenti epoche: la batteria A<br />

è stata costruita negli anni 1964-1970 e fino alla sua chiusura -<br />

avvenuta nell’agosto 2002 e disposta a seguito di indagini giudiziarie<br />

- non è mai stata oggetto di interventi di manutenzione; la<br />

batteria B è stata costruita negli anni ’80 e la batteria C alla fine<br />

degli anni ’90. Era atteso che tale situazione corrispondesse ad un<br />

miglioramento delle tecnologie che ri<strong>sul</strong>tasse in un abbattimento<br />

dei livelli ambientali di IPA e che questo si riflettesse nell’andamento<br />

dei livelli medi di idrossipirene urinario. Sono stati inclusi<br />

nello studio anche i lavoratori addetti alla manutenzione degli<br />

impianti e alla pulizia industriale.<br />

Al fine di controllare il ruolo di eventuali fattori confondenti,<br />

ai lavoratori è stato somministrato da personale medico addestrato<br />

un questionario standardizzato per la raccolta di informazioni<br />

circa l’abitudine al fumo e il consumo di cibi cotti alla brace.<br />

I campioni biologici sono stati raccolti alla fine del turno lavorativo.<br />

La determinazione dell’idrossipirene urinario è stata<br />

eseguita mediante il metodo HPLC/Fluorescenza descritto da<br />

Jongeneelen.e coll. (3). I polimorfismi metabolici sono stati valutati<br />

su linfociti di sangue periferico con tecnica PCR e successiva<br />

ibridazione con oligopeptidi normali e mutati secondo i metodi<br />

descritti da Hayashi e colleghi (4) per CYP1A1, da Brockmoller<br />

e colleghi (5) per GSTM1 e GSTT1. L’analisi statistica<br />

univariata e multivariata è stata condotta dopo log-trasformazione<br />

dei valori di 1-IP, utilizzando il software STATA vs 8 (Stata-<br />

Corporation).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Il valore mediano di 1-IP è ri<strong>sul</strong>tato pari a 1.05 µMol/Molcreat<br />

. È stata osservata una differenza statisticamente significativa<br />

tra i 5 gruppi di lavoratori in<br />

studio, con i valori più alti riscontrati<br />

nel gruppo dei manutentori<br />

(mediana 1,71, range<br />

0,06-14,69 µMol/Molcreat ), seguito<br />

dai lavoratori della batteria<br />

C (mediana 1.12, range<br />

0.13-9.27 µMol/Molcreat ), batteria<br />

A (mediana 1,10, range<br />

0,13-31,04 µMol/Molcreat ),<br />

batteria B (media,a 0,91, range<br />

0,09-14,25 µMol/Molcreat ), e<br />

quindi dal gruppo dei pulitori<br />

(mediana 0,71, range 0,08-3,36<br />

µMol/Molcreat ) (Fig.1). Applicando<br />

i valori di riferimento<br />

indicati da Jongeneelen (6, 7) è<br />

notevole che il 25% dei lavoratori<br />

superasse il terzo livello<br />

proposto pari a 2,3 µMol/Mol-<br />

Figura 1. Valori di 1-IP per<br />

reparto di appartenenza<br />

creat , corrispondente al TLV USA di 0,2 mg/m3 di BSM e stimato<br />

corrispondere ad un rischio relativo di tumore polmonare di<br />

1,3: in particolare tale limite era superato dal 35% dei manutentori,<br />

dal 29% dei lavoratori della batteria A, dal 23% dei lavoratori<br />

delle batterie B e C e dal 16% dei pulitori. Globalmente, il<br />

41% dei lavoratori superava il secondo livello di Jongeneelen di<br />

1,4 µMol/Mol creat , corrispondente al livello di non effetto genotossico.<br />

Per quanto riguarda le mansioni, i manutentori hanno<br />

mostrato i livelli di 1-IP più elevati (mediana 4,42, range 3,25-<br />

5,58 µMol/Mol creat ), seguiti dagli operatori macchina della batteria<br />

C (mediana 4,31, range 1,29-5,27 µMol/Mol creat ), e dagli<br />

addetti a coperchi della batteria A (mediana 3,28, range 0,14-<br />

7,06 µMol/Mol creat ). Non è stata riscontrata differenza statisticamente<br />

significativa in relazione all’abitudine al fumo. Non sembrano<br />

esercitare influenza sui livelli dell’indicatore di dose i polimorfismi<br />

metabolici CYP1A1 e GSTM1. Èstato osservato che<br />

i lavoratori con genotipo GSTT1 deleto mostravano livelli più<br />

elevati di 1-IP dei soggetti con genotipo normale e che tale differenza<br />

si poneva ai limiti della significatività statistica<br />

(p=0,06). Il modello di regressione lineare multipla ha mostrato<br />

che le concentrazioni di 1-IP erano associate con il polimorfismo<br />

GSTT1, anche dopo aggiustamento per fumo, reparto di appartenenza<br />

e mansione.<br />

Conclusioni<br />

Il programma di monitoraggio <strong>biologico</strong> appare uno strumento<br />

efficace per l’implementazione di procedure di “exposure<br />

assessment”, <strong>sul</strong>le quali fondare successive strategie di intervento<br />

e prevenzione. L’indicatore di dose interna utilizzato, l’idrossipirene<br />

urinario, sembra in grado di discriminare nelle condizioni<br />

operative osservate differenti livelli di esposizione. I polimorfismi<br />

metabolici indagati non sembrano di per sé in grado di spiegare<br />

significativamente la variabilità interindividuale osservata:<br />

ulteriori valutazioni sembrano necessarie per chiarire il ruolo del<br />

GSTT1. Sono in corso ulteriori indagini che prevedono, accanto<br />

al monitoraggio <strong>biologico</strong>, l’implementazione di un programma<br />

di monitoraggio ambientale effettuato mediante campionatori<br />

personali e determinazione dell’esposizione cutanea con pads, in<br />

modo da definire una strategia integrata di valutazione dell’esposizione<br />

professionale ad IPA.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 27<br />

Bibliografia<br />

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2) Vineis P, Malats N., Lang M et al. Metabolic Polymorphisms and susceptibility<br />

to cancer. IARC 1999; 148: 109-121.<br />

3) Jongeneelen FJ, Anzion RBM, Henderson PTH. Determination of<br />

hydroxylated metabolites of polycyclic aromatic hydrocarbons in<br />

urine. J Cromatog 1987; 413: 227-232.<br />

4) Hayashi S et al. Genetic linkage of lung cancer associated MspI polymorphisms<br />

with amino acid replacement in the heme binding region of<br />

the human cytochrome P4501A1 gene. J Biochem 1991; 110: 407-411.<br />

5) Brockmoller J, Gross D, Kerb R, Drakoulis N, Root I. Correlation<br />

between trans-stilbene oxide glutathione conjugation activity and the deletion<br />

mutation in the glutathione S-transferase class Mu gene detected<br />

by polymerase chain reaction. Biochem Pharmacol 1992; 43: 647-650.<br />

RIASSUNTO. Approssimativamente 20 anni dopo l’incidente di<br />

Seveso abbiamo condotto uno studio caso controllo su 101 soggetti che<br />

hanno sviluppato cloracne in seguito all’esposizione a 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina<br />

(TCDD) e 211 controlli, per definire la relazione di<br />

dose-risposta ed identificare fattori di suscettibilità agli effetti della diossina.<br />

I soggetti con elevati livelli plasmatici correnti di diossina (>10 pg/g<br />

lipidi) avevano un rischio circa 4 volte più elevato di cloracne. Il rischio<br />

di cloracne era maggiore nei soggetti con elevata TCDD plasmatica e età<br />

più giovane all’incidente (≤8 anni) o con colore chiaro dei capelli. Lo stato<br />

di salute dei soggetti cloracneici a venti anni dall’incidente non era differente<br />

da quello dei controlli.<br />

Parole chiave: cloracne, diossina, suscettibilità, incidente di Seveso.<br />

ABSTRACT. SUSCEPTIBILITY TO DIOXIN AMONG INDIVIDUALS<br />

FROM SEVESO SUFFERING FROM CLORACNE. Approximately 20 years after<br />

the Seveso accident, we designed a case-control study on 101 subjects<br />

who developed chloracne after exposure to 2,3,7,8-tetrachlorodibenzo-pdioxin<br />

and 211 controls from the same area, to establish the dose-exposure<br />

relation and to identify dioxin susceptibility factors. Subjects with<br />

elevated plasma TCDD levels (>10 pg/g fat) showed an almost 4 times<br />

higher risk of developing chloracne. Chloracne risk was higher in<br />

subjects with high TCDD plasma levels, young people (≤8 years) and/or<br />

those with fair hair. The health status of chloracne cases twenty years after<br />

the accident was not different from that of control subjects.<br />

Key words: chloracne, dioxin, susceptibility, Seveso accident.<br />

Introduzione<br />

Tra il settembre 1976 ed il febbraio 1978, 193 soggetti esposti<br />

in seguito all’incidente di Seveso a 2,3,7,8-tetraclorodibenzop-diossina<br />

(TCDD) hanno presentato segni e sintomi di cloracne<br />

(1, 2), la patologia cutanea tipicamente associata ad esposizione<br />

occupazionale a idrocarburi alogenati (3). Di questi 193 soggetti,<br />

170 (88%) avevano meno di 15 anni di età al momento della diagnosi.<br />

La patologia è stata diagnosticata in meno dello 0.1% dei<br />

6) Jongeneelen FJ. Biological exposure limit for occupational exposure<br />

to coal tar pitch volatiles at cokeovens. Int Arch Occup Environ<br />

Health 1992; 63(8): 511-6.<br />

7) Jongeneelen FJ. Benchmark guideline for urinary 1-hydroxypyrene<br />

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8) Brescia G, Celotti L, Clonfero E et al. The influence of Cytochrome<br />

P450 1A1 and Glutathione S-transferase M1 genotypes on<br />

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9) Apostoli P, Neri G, Lucas D, Manno M, Berthou F. Influence of genetic<br />

polymorphisms of CYP1A1 and GSTM1 on the urinary levels<br />

of 1-hydroxypyrene. Toxicol Lett 2003; 144(1): 27-34.<br />

10) Alexandrie AK, Warholm M, Carstensen U, Axmon A, Hagmar L,<br />

Levin JO, Ostman C, Rannug A. CYP1A1 and GSTM1 polymorphisms<br />

affect urinary 1-hydroxypyrene levels after PAH exposure. Carcinogenesis<br />

2000; 21(4): 669-76.<br />

M. Bonzini 1 , A. Baccarelli 1,2 , A. Pesatori 1 , D. Consonni 3 , D. Patterson Jr. 4 , M. Rubagotti 1 , N.E. Caporaso 2 , P.A. Bertazzi 1 ,<br />

M.T. Landi 2<br />

Suscettibilità a diossina in soggetti cloracneici della popolazione di Seveso<br />

1 Dipartimento di Medicina del Lavoro “Clinica L. Devoto”, Università degli Studi di Milano, Milano<br />

2 Genetic Epidemiology Branch, Division of Cancer Epidemiology and Genetics, National Cancer Institute, NIH, DHHS, Bethesda, MD, USA<br />

3 Unità Operativa di Epidemiologia, Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento, Milano<br />

4 Division of Environmental Health Laboratory Science, National Center for Environmental Health, Centers for Disease Control and Prevention, Atlanta,<br />

GA, USA<br />

soggetti della coorte di Seveso, che include individui con differenti<br />

livelli di esposizione. Fattori di suscettibilità individuale<br />

possono aver contribuito a determinare quali dei soggetti esposti<br />

hanno sviluppato cloracne. Approssimativamente 20 anni dopo<br />

l’esposizione, abbiamo disegnato uno studio caso-controllo per<br />

valutare i livelli di esposizione, alla luce di dati epidemiologici e<br />

clinici, al fine di identificare fattori di suscettibilità a diossina e<br />

definire la relazione tra TCDD e cloracne.<br />

Materiali e metodi<br />

Nel periodo 1993-1998, abbiamo reclutato 101 casi di cloracne<br />

(56 maschi, 45 femmine) e 211 controlli (108 maschi, 103<br />

femmine) provenienti dalla stessa area. Le diagnosi di cloracne<br />

erano state formulate <strong>sul</strong>la base di criteri standard (4). Intervistatori<br />

specificamente addestrati per lo studio hanno somministrato<br />

a tutti i soggetti un questionario strutturato ed hanno determinato<br />

le loro caratteristiche pigmentarie. I livelli di TCDD nel plasma<br />

sono stati misurati utilizzando gas-cromatografia ad alta risoluzione/spettrometria<br />

di massa ad alta risoluzione (5). I campioni di<br />

3 casi e 16 controlli non erano adeguati e sono stati esclusi dalle<br />

analisi basate <strong>sul</strong>le misurazioni plasmatiche. I livelli di TCDD<br />

plasmatica sono stati categorizzati in due gruppi: ≤10 pg/g lipidi<br />

(equivalente a parti per trilione, aggiustati per lipidi) o >10 pg/g<br />

lipidi. Il cut-off di 10 pg/g lipidi è usato comunemente per separare<br />

i livelli elevati da quelli di background.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Caratteristiche dei soggetti e stato di salute<br />

I soggetti cloracneici avevano tra 6 mesi e 46 anni di età al<br />

momento dell’incidente (mediana: 8 anni). Lo stato di salute dei


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

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cloracneici non era differente da quello dei<br />

controlli. Allo stesso modo, i figli dei soggetti<br />

con cloracne non presentavano una<br />

frequenza di condizioni patologiche superiore<br />

a quella dei figli dei controlli.<br />

Distribuzione dei livelli di TCDD plasmatica<br />

I livelli di TCDD plasmatica variavano<br />

da background a 475.0 pg/g lipidi ed erano<br />

superiori a 10 pg/g lipidi in 78 (26.6%) dei<br />

293 soggetti con campioni di plasma adeguati<br />

per la misurazione. La frequenza di<br />

malattie e di interventi chirurgici non erano<br />

associate ad elevati livelli di TCDD plasmatica.<br />

La residenza in prossimità al luogo<br />

dell’incidente era un fattore determinante<br />

di elevati livelli di TCDD (Tabella I).<br />

Quando confrontati con i soggetti dell’area<br />

non-contaminata, i residenti in zona A alla<br />

data dell’incidente presentavano una probabilità<br />

66 volte più alta di avere valori di<br />

TCDD plasmatici >10 pg/g lipidi<br />

(OR=65.9, 95% CI: 16.6-262.1). I soggetti<br />

di zona B e R avevano OR per TCDD >10<br />

pg/g lipidi rispettivamente di 25.8 (95%<br />

CI: 7.0, 95.0) e 3.2 (95% CI: 0.5-18.4). I<br />

soggetti di età superiore a 8 anni all’incidente<br />

avevano una probabilità di elevata<br />

TCDD plasmatica di circa 3 volte più alta<br />

(OR=2.7, 95% CI: 1.4-5.2) rispetto ai soggetti<br />

più giovani. In aggiunta, la frequenza<br />

di elevati livelli di TCDD plasmatica era<br />

maggiore nelle donne e nei soggetti con<br />

elevato Body Mass Index (BMI).<br />

Cloracne e livelli plasmatici di TCDD<br />

La presenza di cloracne era di circa 4<br />

volte più frequente nei soggetti con TCDD<br />

plasmatica >10 pg/g lipidi (OR=3.7, 95%<br />

CI: 1.6-8.8, aggiustato per zona di residenza<br />

ed età all’incidente, e per sesso) (Tabella<br />

II). Ventuno casi di cloracne e 12 controlli<br />

avevano TCDD plasmatica >50 pg/g<br />

lipidi con OR=20.4 (95% CI: 5.1-81.0) per<br />

cloracne in confronto ai soggetti con<br />

TCDD ≤10 pg/g lipidi. Il rischio di cloracne<br />

era più alto nei soggetti più giovani (Tabella<br />

II). I soggetti con TCDD elevata ed<br />

età di 8 anni o più giovane avevano OR=7.4 (95% CI: 1.8-30.3)<br />

per cloracne. Il rischio era significativamente più basso nei soggetti<br />

con età superiore ad 8 anni (OR=1.3, 95% CI: 0.6-3.1;<br />

p=0.02 per l’interazione tra età e TCDD plasmatica). Il rischio di<br />

cloracne non era significativamente associato al colore degli occhi,<br />

dei capelli, della cute o alla sensibilità all’esposizione solare.<br />

Tuttavia, in presenza di livelli di TCDD plasmatica >10 pg/g lipidi<br />

i soggetti con colore chiaro dei capelli avevano un rischio<br />

più elevato di cloracne (OR=9.2, 95% CI: 2.6-32.5) rispetto ai<br />

soggetti con colore scuro (OR=2.1, 95% CI: 0.7-6.1, p=0.04 per<br />

l’interazione tra TCDD plasmatica e colore dei capelli).<br />

Conclusioni<br />

La relazione tra cloracne ed esposizione a TCDD è ancora<br />

oggetto di intensa discussione. Alcuni ricercatori hanno suggeri-<br />

Tabella I. Determinanti di livelli elevati (>10 pg/g lipidi) di 2,3,7,8tetraclorodibenzo-p-diossina<br />

(TCDD) misurati in casi di cloracne e in controlli<br />

non cloracneici della popolazione di Seveso negli anni 1993-1998<br />

Tabella II. Odds Ratio per cloracne in soggetti con livelli elevati<br />

(>10 pg/g lipidi) di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD) plasmatica<br />

misurata al momento dello studio*<br />

to in passato che la cloracne sia un effetto sentinella che compare<br />

prima di altri effetti sistemici. Altri hanno proposto che la cloracne<br />

sia associata ad esposizioni molto intense, ben al di sopra<br />

dei livelli necessari per indurre altri effetti sistemici (3). Nel nostro<br />

studio, la frequenza e la distribuzione di condizioni patologiche<br />

era simile nei casi di cloracne e nei controlli. Molti soggetti<br />

cloracneici avevano livelli plasmatici di TCDD simili a quelli<br />

dei controlli, indicando che la soglia per la presentazione della<br />

cloracne può essere differente nei soggetti esposti e dipendere da<br />

fattori di suscettibilità individuale. Abbiamo identificato un rischio<br />

maggiore di cloracne nei soggetti di età inferiore ad 8 anni<br />

ed in quelli con colore chiaro dei capelli.<br />

In conclusione, i livelli correnti di TCDD plasmatica erano<br />

correlati alla presentazione di cloracne. Questa associazione può<br />

essere modificata dall’età e da caratteristiche di pigmentazione.<br />

La tossicità della diossina appare confinata in questi soggetti agli<br />

effetti acuti dermatotossici.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 29<br />

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1031-1044.<br />

I. Borrelli 1,2 , M. Triggiani 3 , N. Sannolo 3 , G. Marone 2<br />

RIASSUNTO. Obiettivo: Valutare gli effetti dell’idrochinone sui<br />

basofili umani. METODI: i basofili sono stati separati e purificati e successivamente<br />

incubati per tempi variabili e con concentrazioni crescenti<br />

di idrochinone (HQ). Le cellule sono state quindi stimolate con diversi<br />

agonisti. La secrezione di istamina è stata determinata attraverso una tecnica<br />

fluorimetrica. RISULTATI: Nessun effetto è stato osservato esponendo<br />

i basofili ad HQ; in presenza di Anti-IgE con una concentrazione<br />

di 10 -4 M di HQ è presente una inibizione della secrezione di istamina<br />

(circa 25%); utilizzando invece come stimolo l’A23187 l’effetto inibente<br />

si osserva alla concentrazione di 3x10 -5 M; nei basofili stimolati con<br />

FMLP non sono stati osservati effetti. Non si sono avute differenze <strong>sul</strong><br />

livello di inibizione del rilascio di istamina dei basofili stimolati con Anti-IgE<br />

esponendo le cellule a tempi variabili. Conclusioni: l’idrochinone<br />

interferisce con i meccanismi metabolici e biochimici dei basofili. Il tipo<br />

di interferenza osservato non è collegato al tempo di esposizione. La<br />

riduzione della secrezione di istamina può quindi, con l’esposizione cronica,<br />

interferire con i meccanismi di infiammazione cronica delle vie aeree<br />

negli esposti a benzene.<br />

Parole chiave: idrochinone, basofili, immunotossicologia, istamina.<br />

ABSTRACT. TOXICOLOGICAL STUDIES ON THE EFFECTS OF HIDRO-<br />

QUINONE AND BENZOQUINONE ON HUMAN BASOPHYLS. The aim of the<br />

study was to evaluate the effects of the Hydroquinone (HQ) on human basophils.<br />

Methods: the basophils were separated and purified and subsequently<br />

incubated for varying times with increasing concentrations of HQ.<br />

The cells were therefore stimulated with different agonists. Histamine secretion<br />

was determined using the fluorimetric technique. Re<strong>sul</strong>ts: no effect<br />

was observed by exposing the basophils to HQ; by using Anti-IgE with a<br />

concentration of 10 -4 M of HQ an inhibition of the histamine secretion is<br />

present; by using A23187 with a concentration of 3x10 -5 M an inhibition<br />

effect was observed; with FMLP no effects were observed. No difference<br />

was observed by exposing cells to different times of incubation with HQ.<br />

Conclusions: the HQ interferes with the metabolic mechanisms and biochemists<br />

of the basophils. The type of interference observed is not connected<br />

to the period of exposure. The reduction of histamine secretion<br />

with chronic exposure is capable of interfering in chronic inflammation<br />

mechanisms of the upper respiratory tract in subjects exposed to benzene.<br />

Key words: hydroquinone, basophils, immunotoxicology, histamine.<br />

Introduzione<br />

L’obiettivo del lavoro di ricerca qui illustrato consiste nello studio<br />

degli effetti dell’idrochinone sui meccanismi cellulari di rilascio<br />

dei mediatori chimici che hanno la capacità di regolare i processi infiammatori<br />

ed in particolar modo l’infiammazione allergica.<br />

3) Silbergeld EK. Chemicals and chloracne. In: Marzulli FN, Maibach<br />

HI, eds. Dermatotoxicology. Washington, DC: Taylor & Francis,<br />

1996: 249-263.<br />

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5) Patterson DG, Jr., Hampton L, Lapeza CR, Jr., et al. High-resolution<br />

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human serum on a whole-weight and lipid basis for 2,3,7,8-tetrachlorodibenzo-p-dioxin.<br />

Anal.Chem. 1987; 59: 2000-2005.<br />

Studi tossicologici sugli effetti dell’idrochinone e del benzochinone<br />

sui basofili umani<br />

1 Cattedra di Igiene Industriale, Seconda Università degli Studi di Napoli<br />

2 Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma<br />

3 Cattedra di Immunologia, Università degli Studi Napoli Federico II<br />

Negli esperimenti effettuati abbiamo preso in considerazione<br />

primariamente le cellule umane granulocitarie (basofili) con lo scopo<br />

di registrare gli effetti <strong>sul</strong> rilascio di istamina. L’analisi dei dati<br />

ci condurrà ad elucidare i meccanismi di azione dell’idrochinone al<br />

fine di comprendere meglio attraverso quali meccanismi si innescano<br />

i processi di infiammazione e di danno imputabili al benzene.<br />

Materiali e metodi<br />

Determinazione del rilascio dell’istamina. Il sangue venoso è<br />

stato ottenuto da donatori del Centro Trasfusionale del II Policlinico<br />

di Napoli, Università Federico II. La separazione per la purificazione<br />

dei leucociti dai globuli rossi è stata ottenuta sottoponendo<br />

il buffy coat a gradiente di destrano e EDTA, utilizzato per evitare<br />

la coagulazione, per circa 45’ a circa 22°C. Lo strato superiore<br />

del gradiente è stato prelevato e lavato per 3 volte in Pipes 1X<br />

in un volume di 50 ml. Il Pellet è stato poi risospeso in PCG e la<br />

sospensione cellulare è stata trasferita in tubi Falcon di polipropilene<br />

da 3 ml; i tubi così ottenuti, aventi un VF di 1 mL sono stati<br />

messi a temperatura costante in bagnetto a 37°C. Dopo un<br />

prewarm di 5’ è partito l’esperimento aggiungendo 100 µL di HQ<br />

a varie concentrazioni (da 10 -7 M a 10 -4 M) e dopo un’esposizione<br />

variabile (da 10’ a 120’) è stato aggiunta la stimolazione (100 µL)<br />

effettuata attraverso Anti-IgE, FMLP ed A23187, si è testato anche<br />

l’effetto dell’idrochinone senza alcuna stimolazione. Dopo il tempo<br />

prestabilito è stato fermato l’esperimento e si sono centrifugati<br />

i tubi (1000 x G, + 4°C, 5’); il supernatante così ottenuto è stato<br />

raccolto per la determinazione del rilascio di istamina attraverso<br />

una tecnica fluorimetrica. La percentuale di rilascio di istamina è<br />

stata calcolata dal rilascio totale di istamina dalle cellule lisate con<br />

acido perclorico al 2%, meno l’istamina rilasciata spontaneamente<br />

dalle cellule non stimolate. Tutti gli esperimenti sono stati effettuati<br />

su donatori differenti e sono stati tutti condotti in duplicato.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

La prima serie di esperimenti è stata effettuata per valutare se<br />

la secrezione di istamina veniva influenzata dalla presenza di HQ<br />

senza utilizzare alcuna stimolazione con azione attivante la secrezione<br />

di istamina dei basofili. L’idrochinone, usato a concentrazioni<br />

variabili da 10 -7 M a 10 -4 M, non ha nessun effetto <strong>sul</strong>la<br />

secrezione di istamina. A questo punto abbiamo deciso di valuta-


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

30 www.gimle.fsm.it<br />

re se in seguito a stimolazione, praticata attraverso l’utilizzo di<br />

Anti-IgE, A23187 e FMLP, si potessero vedere degli effetti <strong>sul</strong> rilascio<br />

dell’Istamina, dopo avere esposto i basofili per un ora ad<br />

HQ con concentrazioni tra 10 -7 M a 10 -4 M.<br />

La Figura 1 mostra i valori della media dei ri<strong>sul</strong>tati degli<br />

esperimenti effettuati con Anti-IgE. Gli effetti dell’HQ sono presenti<br />

alla concentrazione di 10 -4 M con una IC superiore al 25%<br />

(Figura 1 bis). La Figura 2 mostra gli esperimenti con l’A23187:<br />

in questo caso gli effetti inibitori mostrano una inibizione già presente<br />

alla concentrazione di 3x10 -5 M con una IC superiore al<br />

25% e a 10 -4 M una IC superiore al 50% (Figura 2 bis).<br />

Alla prova con la stimolazione con FMLP non sono stati osservati<br />

effetti (Figura 3).<br />

La Figura 4 mostra i ri<strong>sul</strong>tati ottenuti esponendo i Basofili ad<br />

Idrochinone per tempi variabili tra 10’ e 120’. Dall’analisi dei ri<strong>sul</strong>tati<br />

si evince come il tempo di esposizione non influisca <strong>sul</strong> livello<br />

di inibizione del rilascio di istamina dei Basofili stimolati<br />

con Anti-IgE.<br />

Discussione<br />

Questi studi indicano che i Basofili sono cellule bersaglio<br />

dell’Idrochinone, infatti il meccanismo cellulare indagato, la se-<br />

Figura 1. Effetti dell’Idrochinone <strong>sul</strong> rilascio dell’Istamina nei<br />

Basofili umani stimolati con Anti-IgE. Per ogni valore è riportato<br />

l’errore standard<br />

Figura 1 bis. Andamento dell’inibizione del rilascio di<br />

Istamina da parte dei basofili dopo esposizione a concentrazioni<br />

crescenti di Idrochinone (HQ) e stimolazione<br />

con Anti-IgE. La IC 25% viene superata alla concentrazione<br />

di 10 -4 M<br />

crezione di istamina, viene ad essere influenzato dalla presenza<br />

di idrochinone nei terreni di cultura utilizzati. La popolazione<br />

cellulare scelta, i Granulociti Basofili, è stata selezionata nel nostro<br />

studio in quanto essi hanno un ruolo fondamentale nei meccanismi<br />

di difesa dell’organismo, ed essi attraverso mediatori<br />

chimici, come l’istamina, sono in grado di attivare fini meccanismi<br />

di difesa a livello delle vie respiratorie.<br />

La prima osservazione importante è che l’idrochinone è in<br />

grado di interferire con i meccanismi metabolici e biochimici<br />

dei basofili, e che quindi non è un metabolita inerte <strong>sul</strong> sistema<br />

immunitario in generale, e sui Basofili in specifico. Abbiamo<br />

osservato, alla concentrazione di 10 -4 M, che vi è una inibizione<br />

superiore al 25% della secrezione di Istamina per cellule trattate<br />

con Anti-IgE e A23187, mentre nessun effetto è stato osservato<br />

quando si è utilizzato come stimolo FMLP. Un dato importante<br />

è stato quello che al variare con il tempo di esposizione<br />

di Idrochinone non si è riscontrata nessuna differenza con il<br />

tipo di inibizione.<br />

Innanzi tutto bisogna evidenziare come l’Istamina, contribuisca,<br />

insieme ad altri mediatori, nell’attivazione e nel mantenimento<br />

dei meccanismi della clearance mucociliare e della secrezione<br />

di muco, attraverso i quali si attivano i processi che permettono<br />

l’azione di eliminazione di sostanze estranee sia biologiche<br />

che chimiche dall’albero respiratorio, impedendo così l’ac-<br />

Figura 2. Effetti dell’Idrochinone <strong>sul</strong> rilascio dell’Istamina nei<br />

Basofili umani stimolati con A23187. Per ogni valore è riportato<br />

l’errore standard<br />

Figura 2 bis. Andamento dell’inibizione del rilascio di Istamina<br />

da parte dei basofili dopo esposizione a concentrazioni<br />

crescenti di Idrochinone (HQ) e dopo stimolazione con<br />

A23187. La IC 25% viene superata alla concentrazione di<br />

3*10 -5 M e sale oltre il 50% a 10 -4 M


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

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Figura 3. Effetti dell’Idrochinone <strong>sul</strong> rilascio dell’Istamina nei<br />

Basofili umani stimolati con FMLP. Per ogni valore è riportato<br />

l’errore standard<br />

cumulo di agenti tossici. È quindi questo uno dei meccanismi di<br />

tossicità del benzene che può innescarsi a livello polmonare, ovvero<br />

la riduzione dell’efficacia del meccanismo di clearance, con<br />

una riduzione dei meccanismi fisiologici di rimozione e protezione<br />

delle vie aeree. Il perpetuarsi di questa riduzione dei meccanismi<br />

di protezione può quindi, nel tempo, con l’esposizione<br />

cronica, tipica del Benzene, contribuire al danno tessutale e quindi<br />

all’infiammazione cronica delle vie aeree.<br />

Conclusioni<br />

In questo lavoro si è potuto utilizzare un modello altamente<br />

rappresentativo per elucidare i meccanismi di azione dell’infiammazione<br />

cronica delle vie aeree, infatti abbiamo potuto utilizzare<br />

per gli esperimenti cellule umane prelevate da donatori sani. Abbiamo<br />

quindi potuto mettere in luce con quale meccanismo l’I-<br />

RIASSUNTO. L’obiettivo di questo studio era esaminare i profili di<br />

un gruppo di lavoratori di un reparto di manutenzione di una azienda aeronautica<br />

esposti a trichloroethilene (TCE) dopo il 2001/59/ce ed il DL n.<br />

197 06/14/2002.<br />

Parole chiave: monitoraggio <strong>biologico</strong>, trichloroetilene, biomarkers.<br />

ABSTRACT. ASSESSING CHEMICAL EXPOSURE IN THE WORKPLACE:<br />

THE ROLE OF BIOLOGICAL MONITORING IN WORKERS EXPOSED TO TRICH-<br />

LOROETHYLENE. The objective of this study was to examine the profiles<br />

of a group of workers exposed to trichloroethilene (TCE) in a group of<br />

aircraft maintenance workers in the wake of European Directive<br />

2001/59/CE and DL n. 197 06/14/2002.<br />

Key words: biological monitoring, trichloroethylene, biomarkers.<br />

Figura 4. Andamento dell’inibizione del rilascio di Istamina<br />

da parte di Basofili umani in tempi differenti di esposizione<br />

ad Idrochinone. Per ogni valore è riportato l’errore standard<br />

drochinone agisca, scoprendo che la sua azione si estrinseca con<br />

un meccanismo inibitorio <strong>sul</strong>la secrezione di istamina, e che questa<br />

azione si può manifestare con una riduzione dei meccanismi<br />

di difesa e di clearance mucociliare delle vie aeree, che con il perpetuarsi<br />

dell’esposizione può comportare danno tissutale nelle<br />

vie respiratorie.<br />

Bibliografia<br />

M. Bova 1 , A. Capri 1 , F. Cardoni 2 , S. Simonazzi 2 , G. Ricciardi-Tenore 1<br />

1) Brugnone F et al. Benzene in environmental air and human blood.<br />

Int. Arch. Occup. Environ. Health, 1998; 71: 554-559.<br />

2) Spadaio G et al. Nuove prospettive <strong>sul</strong> ruolo dei basofili umani nella<br />

risposta immunitaria. Giorn it allergol immunol clin, 2001; 11:<br />

152-166.<br />

3) Carbonelle P et al. Effects of the Benzene Metabolite, Hydroquinone,<br />

on Interleukin-1 Secretion by Human Monocytes in Vitro. Toxicol<br />

Appl Pharmacol, 1995; 132: 220-226.<br />

Valutazione dell’esposizione a sostanze chimiche: il ruolo<br />

del monitoraggio <strong>biologico</strong> in lavoratori esposti a TCE<br />

1 ALITALIA Gruppo, Servizio di Medicina Aeronautica e del Lavoro<br />

2 Dipartimento di Medicina Legale e delle Assicurazioni, Medicina del Lavoro, 1a Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Roma “La<br />

Sapienza”<br />

Introduzione<br />

Con il decreto n. 197 del 14 giugno 2002 del Ministero della<br />

Salute è stata recepita in Italia la Direttiva 2001/59/CE, che<br />

prevede la riclassificazione del tricloroetilene (TCE) da “cancerogeno<br />

di categoria 3” a “cancerogeno di categoria 2” (sostanza<br />

che può essere considerata come potenzialmente cancerogena<br />

per l’uomo). La nuova classificazione del TCE comporta<br />

per le aziende, e di conseguenza per tutte le figure professionali<br />

che concorrono alla salvaguardia della sicurezza e<br />

della tutela della salute dei lavoratori esposti, una puntuale verifica<br />

delle condizioni di igiene del lavoro e di sorveglianza sa-


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

32 www.gimle.fsm.it<br />

nitaria ed una chiara definizione del livello di “rischio residuo<br />

per la salute” (anche ai sensi e per gli effetti del disposto ex<br />

artt. 72-quater, 72-quinquies, 72-sexies e 72-decies, del D.Lgs.<br />

626/94, così come modificato ed integrato dal D.Lgs.<br />

25/2002).<br />

Lo scopo di questo contributo è di riportare pertanto i dati relativi<br />

al risk assessment effettuato su un gruppo di lavoratori di<br />

un’industria aeronautica esposti a TCE, ed altresì di verificare<br />

l’utilità e la validità del monitoraggio <strong>biologico</strong> come fattore determinante<br />

per la sicurezza degli operatori.<br />

Materiali e metodi<br />

Sono stati studiati 22 soggetti maschi, di cui 8 fumatori e<br />

14 non fumatori, con un’età media di 37 anni (range 24-55 aa)<br />

ed un’anzianità lavorativa media di 11 anni (range 2-35 aa),<br />

appartenenti ad un reparto in cui si effettuano su due turni nelle<br />

24 ore delle operazioni di incollaggio su lamiere e strutture<br />

in honey comb metallico, con presenza di vasche contenenti<br />

TCE, trattamenti quali primer attivatore incollaggi e film adesivi,<br />

ed uso di altri prodotti contenenti sostanze classificate come<br />

cancerogene quali i cromati. Gli ambienti di lavoro dei reparti<br />

in questione sono dotati di sistemi “mobili” di aspirazione<br />

localizzata per le diverse postazioni operative e di impianti<br />

di captazione centralizzata (velocità di cattura: 9m/sec); le vasche<br />

contenenti TCE, inoltre, sono provviste di una serpentina<br />

per il raffreddamento dei vapori, pannello di chiusura, nonché<br />

di un sistema di aspirazione lungo i bordi. Tutti i lavoratori, nel<br />

corso dell’esposizione, sono altresì regolarmente dotati di idonei<br />

DPI per le vie respiratorie e per la cute (maschera protettiva<br />

a carboni attivi, schermo protettivo in plexiglass, guanti in<br />

tela, camice usa e getta).<br />

Dal momento in cui il TCE è stato classificato ex lege come<br />

R45, pure a fronte dei bassi livelli di esposizione ambientale già<br />

rilevati, si è ritenuto opportuno procedere anche alla determinazione<br />

del tricloroetilene tal quale e dell’acido tricloroacetico<br />

(TCA) nelle urine (come contemplato per i BEI individuati dall’ACGIH).<br />

Per tutti i soggetti esaminati sono stati raccolti i dati<br />

anamnestici, ritenuti utili per individuare ed interpretare<br />

eventuali interferenze analitiche (abitudine al fumo, dieta, trattamenti<br />

farmacologici, etc.); al contempo si è proceduto alla<br />

con<strong>sul</strong>tazione delle cartelle sanitarie e di rischio, per la revisione<br />

sia dei dati obbiettivi che di quelli scaturiti dalle indagini<br />

integrative chimico-cliniche previste dallo specifico protocollo<br />

di “sorveglianza sanitaria” comprendente: visita medica, esami<br />

chimico-clinici annuali (emocromo, glicemia, azotemia, creatinemia,<br />

acido urico, colesterolo tot. e HDL, trigliceridi, bilirubina<br />

tot. e diretta, GGT, AST, ALT, fosfatasi alcalina, proteine totali,<br />

albumina, es. urine completo), ECG ed audiometria biennali,<br />

RX torace triennale (1).<br />

Tenuto conto che Raaschou-Nielsen et al., nello studio condotto<br />

su un gruppo di operatori esposti a TCE pubblicato nell’ottobre<br />

del 2002, hanno individuato la “proteinuria” e la “piastrinopenia”<br />

come indicatori di danno precoce in corso di esposizione<br />

prolungata ad alte dosi di TCE, (2) si è proceduto con particolare<br />

attenzione alla revisione dei dati relativi a tali parametri<br />

- oltre ad osservare altre eventuali alterazione a carico del sistema<br />

emopoietico e renale - raccolti nel corso degli ultimi tre anni<br />

di sorveglianza sanitaria <strong>sul</strong>la popolazione lavorativa oggetto di<br />

questo contributo.<br />

Raccolta e conservazione dei campioni: i campioni di<br />

urina sono stati raccolti all’inizio ed alla fine del turno di lavoro,<br />

suddivisi in due aliquote, e congelati a -20° C fino al momento<br />

della determinazione analitica (metodo: GC e colorimetrico).<br />

Le indagini ambientali (campionamento statico con po-<br />

stazione fissa e campionatori passivi) sono state mirate a valutare<br />

l’eventuale esposizione dei lavoratori a concentrazioni di<br />

vapori di TCE.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Per quanto concerne il “monitoraggio <strong>biologico</strong>”, i ri<strong>sul</strong>tati<br />

dei dosaggi del TCE e del TCA nelle urine dei soggetti presi in<br />

esame sono tutti collocati al di sotto del limite di rilevabilità della<br />

metodica analitica impiegata (2,5µg/L - 1mg/L).<br />

I ri<strong>sul</strong>tati degli esami clinici, strumentali e di laboratorio, non<br />

hanno messo in evidenza alcuna alterazione correlabile all’esposizione<br />

al tricloroetilene nel gruppo di lavoratori indagato; la revisione<br />

delle cartelle cliniche degli addetti al reparto honey comb<br />

negli ultimi tre anni, infatti, non ha mostrato alcuna modificazione<br />

in senso patologico nell’arco di tempo considerato, ad eccezione<br />

di un solo caso che presentava una proteinuria riconducibile<br />

alla patologia diabetica a cui era affetto, mentre i valori delle<br />

piastrine erano compresi nel range di normalità (150.000-<br />

400.000 µ/l).<br />

Anche i dati ottenuti dalle indagini di “monitoraggio ambientale”<br />

hanno confermato l’accettabilità dell’esposizione, ri<strong>sul</strong>tando<br />

contenuti nell’ambito del relativo TLV-TWA (170mg/m 3 ,<br />

pari a 25 ppm); il valore limite di esposizione professionale per il<br />

TCE, d’altro canto, non ri<strong>sul</strong>ta attualmente inserito nella prima lista<br />

contenuta nell’Allegato VIII-ter, ex art. 72-ter, D.Lgs. 626/94<br />

(così come modificato ed integrato dal D.M. Lavoro del<br />

26.02.2004).<br />

Conclusioni<br />

Nell’aggiornamento dell’elenco delle malattie professionali<br />

contenuto nel D.M. Lavoro del 27.04.2004 (G.U. n. 134<br />

del 10.06.2004), il TCE ri<strong>sul</strong>ta inserito nella Lista I (elevata<br />

probabilità di origine lavorativa), alla voce 32 quale fattore<br />

causale per effetti “deterministici”; mentre per effetti di tipo<br />

“stocastico” al TCE viene riconosciuta alla voce 15 la capacità<br />

cancerogena nel contesto della Lista II (limitata probabilità<br />

di origine lavorativa)(3). L’applicazione di “indicatori<br />

biologici di esposizione”, quali il TCE ed il TCA urinari, congiuntamente<br />

alle determinazioni ambientali, ri<strong>sul</strong>ta innanzitutto<br />

necessaria per una corretta ed obbiettiva definizione sia<br />

del risk assessment che del “rischio moderato” per esposizioni<br />

a basse dosi di sostanze chimiche (a conferma, tra l’altro,<br />

della validità di tutte le misure collettive ed individuali di<br />

protezione adottate). Trattandosi poi di un cancerogeno di categoria<br />

2, si ritiene opportuno prevedere anche per il tricloroetilene<br />

la definizione della dose biologicamente efficace,<br />

mediante la determinazione degli “addotti alle proteine”, in<br />

sostanziale applicazione comunque del disposto ex art. 63 del<br />

D.Lgs. 626/94 per la valutazione dell’esposizione a sostanze<br />

cancerogene.<br />

Bibliografia<br />

1) Cardoni F, Simonazzi S, Bova M, Ricciardi-Tenore G, Attività di sorveglianza<br />

sanitaria e caratterizzazione dell’esposizione a basse dosi<br />

di cromo: ri<strong>sul</strong>tati di un follow-up a dieci anni. G Ital Med Lav 2003;<br />

25 (3 suppl): 83-5.<br />

2) Greent A, Dow J, Ong C, et al., Biological monitoring of kidney<br />

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Occup Environ Med 2004; 61 (4): 312-7.<br />

3) Imbriani M, Niu Q, Negri S, Ghittori S, Trichloroethylene in urine as<br />

biological exposure index..Ind Health 2001; 39 (3): 225-30.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 33<br />

G. Brambilla 1 , F.M. Rubino 1 , S. Pulvirenti 1 , C. Verduci 1 , S. Fustinoni 2 , M. Buratti 2 , A. Colombi 1<br />

Considerazioni <strong>sul</strong> ruolo dei coniugati mercuro-tiolici nella tossicità<br />

cardiovascolare del metallo<br />

1 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Clinica L. Devoto, Università degli Studi di Milano, Sezione Ospedale San Paolo<br />

2 Azienda Ospedaliera Istituti Clinici di Perfezionamento<br />

RIASSUNTO. Nell’ambito di studi volti a definire i meccanismi<br />

molecolari coinvolti nell’azione tossica del mercurio sugli apparati cardiovascolare,<br />

nervoso, renale e immunitario, viene discusso il ruolo <strong>biologico</strong><br />

dei coniugati tiolici che il metallo è in grado di formare con i composti<br />

della griglia metabolica del glutatione e con i gruppi tiolici delle<br />

proteine funzionali, con particolare riferimento ad un loro coinvolgimento<br />

nella perturbazione dei sistemi di signalling intracellulare (formazione<br />

di S-nitroso ed S-glutationil emoglobina) dell’apparato cardiovascolare.<br />

Parole chiave: mercurio, composti tiolici, meccanismi tossicità, effetti<br />

cardiovascolari.<br />

ABSTRACT. CONSIDERATIONS ON THE ROLE OF MERCURY THIOL<br />

CONJUGATES IN THE CARDIVASCULAR TOXICITY OF MERCURY. Within the<br />

framework of current studies aimed at highlighting the molecular basis of<br />

the toxicity of mercury for the cardiovascular, nervous, renal and immune<br />

systems, we discuss the biological role of mercury conjugates with<br />

glutathione compounds and with functional proteins, with reference to<br />

their ability to disturb the redox signalling pathways based on S-nitrous<br />

and S-glutathionyl hemoglobin.<br />

Key words: mercury, thiolic compounds, cardiovascular effects.<br />

Introduzione<br />

Il mercurio è un metallo la cui tossicità per l’uomo coinvolge<br />

organi bersaglio quali il sistema nervoso centrale e il rene. Sono<br />

state inoltre espresse preoccupazioni nei confronti dell’eventuale<br />

coinvolgimento del mercurio quale agente tossico corresponsabile<br />

della comparsa di alterazioni patologiche a carico del<br />

sistema nervoso centrale e del sistema neuro-immunitario in soggetti<br />

portatori di otturazioni dentarie in amalgama di mercurio e<br />

in bambini sottoposti a vaccinazione con vaccini contenenti composti<br />

organomercuriali quali agenti conservanti antibatterici. Recentemente<br />

inoltre è stato rivalutato il suo possibile ruolo nell’eziopatogenesi<br />

di alcune malattie cardiache. Lo studio delle forme<br />

chimiche attraverso le quali il mercurio è distribuito nell’organismo<br />

ed esercita le azioni tossiche selettive su recettori cellulari<br />

specifici degli organi bersaglio rappresenta un attivo campo di ricerca<br />

(1,2). In particolare, le forme coniugate del mercurio con i<br />

composti appartenenti alla griglia metabolica del glutatione, costituiscono<br />

i metaboliti di trasporto epatobiliare sia della specie<br />

metilmercurio (MeHg + ) che dello ione mercurico (Hg 2+ ) e sono<br />

responsabili dell’accumulo irreversibile del metallo all’interno<br />

delle cellule del tubulo renale prossimale, causa prossima della<br />

nefrotossicità del mercurio.<br />

Tossicità nei confronti del sistema cardiovascolare<br />

Già Ramazzini, alla fine del XVII secolo, aveva descritto la<br />

morte per ‘sincope’ di lavoratori esposti a vapori di mercurio nella<br />

fabbricazione di specchi e nella doratura dei mobili attraverso<br />

la spalmatura di amalgami d’argento o d’oro <strong>sul</strong>le superfici e la<br />

successiva evaporazione del mercurio ad elevata temperatura.<br />

Numerosi lavori recenti concorrono a razionalizzare queste osservazioni,<br />

suggerendo un ruolo specifico del mercurio nella patologia<br />

cardiovascolare.<br />

È stato infatti osservato un accumulo selettivo di mercurio<br />

(concentrazioni di 1-800 µg/g di tessuto) in campioni di tessuto<br />

miocardico prelevato dal ventricolo sinistro di pazienti affetti da<br />

miocardiopatia dilatativa, mentre quelli di pazienti affetti da altre<br />

patologie degenerative del muscolo, quale l’infarto miocardico, e<br />

di soggetti normali mostravano valori di 0,05-0,5 µg/g (3). La<br />

perfusione del cuore di ratto con un tampone contenente Hg 2+ a<br />

concentazione nanomolare è ri<strong>sul</strong>tata in grado di ridurre la forza<br />

di contrazione del muscolo (4); questa osservazione può essere<br />

posta in relazione con l’attività inibitoria mostrata dallo ione nei<br />

confronti dell’ATP-asi Na + -K + -dipendente ouabaino-sensibile<br />

(5). Recenti studi pongono in evidenza il ruolo di un pool di emoglobina<br />

collocato in prossimità della membrana cellulare dell’eritrocita<br />

nel regolare la vasodilatazione periferica attraverso la<br />

formazione reversibile di coniugati nitroso-tiolici tra il residuo<br />

tiolico della cisteina β-93 e l’ossido di azoto (NO) circolante (6),<br />

responsabile del mantenimento del tono vascolare. Ri<strong>sul</strong>ta pertanto<br />

possibile che la quota intraeritrocitaria di Hg 2+ possa perturbare<br />

questo sistema, in quanto in grado di degradare i nitrosotioli<br />

(7) e di competere per il legame a queste molecole di emoglobina,<br />

anche attraverso la formazione di specie con connettività<br />

Hb-( 93 Cys)S-Hg-SGlutatione, che è a sua volta potenzialmente in<br />

grado di mimare gli effetti dell’analogo glutationil-emoglobina,<br />

una forma post-traduzionale fisiologicamente presente e i cui livelli<br />

ri<strong>sul</strong>tano incrementati in condizioni di stress ossidativo cellulare<br />

(8).<br />

Reattività dello ione Hg 2+ con composti bio-organici contenenti gruppi<br />

tiolici liberi<br />

Il mercurio dà origine a ‘sali’ con amminoacidi, peptidi e proteine<br />

contenenti residui di cisteina, secondo il processo descritto<br />

nell’equazione 1 seguente:<br />

Hg2+ + R1-SH ↔ R1-S-Hg + + H +<br />

R1-S-Hg + + R2-SH ↔ R1-S-Hg-S-R2 + H +<br />

(1)<br />

ovvero: Hg2+ + 2 R-SH ↔ R-S-Hg-S-R + 2 H +<br />

I valori delle costanti di equilibrio per sistemi contenenti il<br />

glutatione o la penicillamina sono ri<strong>sul</strong>tati estremamente elevati<br />

(superiori a 10 30 ), tali da dover ammettere che, in ambiente <strong>biologico</strong><br />

ed in presenza delle concentrazioni fisiologiche di gruppi<br />

tiolici liberi, non possano sussistere in pratica ioni Hg 2+ liberi. Il<br />

trasporto dello ione Hg 2+ tra i diversi compartimenti biologici<br />

avviene quindi attraverso lo scambio dei loro residui tiolici<br />

(equazione 2):<br />

R 1 -S-Hg-S-R 1 + R 2 -SH ↔ R 1 -S-Hg-S-R 2 + R 1 -SH (2)<br />

Alcuni aspetti della reattività dei coniugati mercuro-tiolici<br />

sono stati inoltre desunti <strong>sul</strong>la base delle reazioni di frammentazione<br />

osservate mediante spettrometria di massa (9). In particolare,<br />

è stata evidenziata la possibilità che specie mercuro-cisteiniche<br />

diano origine a intermedi alchilanti di tipo epi<strong>sul</strong>fonio, in<br />

grado di modificare irreversibilmente le strutture biologiche. È<br />

possibile pertanto ricondurre, almeno in termini ipotetici, il mec-


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

34 www.gimle.fsm.it<br />

canismo dell’azione tossica selettiva del mercurio all’interazione<br />

tra Hg 2+ e specifici bio-tioli che partecipano a sistemi di signalling<br />

cellulare, quali non solamente i gruppi tiolici funzionali degli<br />

enzimi, ma anche le proteine nitrosilate e glutationilate, nonché<br />

alcuni mediatori neuroendocrini di natura peptidica, quali la<br />

vasopressina e l’ossitocina, coinvolti in una vasta serie di fenomeni<br />

biologici di regolazione.<br />

Conclusioni<br />

In conclusione, le conoscenze oggi in via di acquisizione <strong>sul</strong>la<br />

reattività del mercurio nei confronti di amminoacidi, peptidi e<br />

proteine contenenti gruppi tiolici liberi o ponti disolfuro possono<br />

rendere ragione, almeno in termini speculativi, degli effetti biologici<br />

del metallo su organi ed apparati dell’organismo umano<br />

noti per essere bersagli elettivi della sua azione tossica.<br />

Bibliografia<br />

A. Caglieri 2 , M.V. Vettori 1,2 , M. Goldoni 1,2 , R. Alinovi 2 , D. Poli 1,2 , S. Ceccatelli 3 , A. Mutti 2<br />

RIASSUNTO. In questo lavoro vengono presentate le variazioni dei<br />

livelli di indicatori specifici di stress ossidativo misurati in una coltura<br />

cellulare neuronale (SK-N-MC) esposta a stirene e 7,8-ossido (SO), 0.3<br />

e 1mM per 16 ore. Il trattamento con SO provoca un significativo aumento<br />

della perossidazione lipidica associato all’incremento dei livelli di<br />

ossidazione del DNA e delle proteine. Inoltre l’esposizione a SO determina<br />

la diminuzione dell’attività della GST, il calo di GSH (solo alla concentrazione<br />

più alta) e l’incremento dell’attività dell’HO-1.<br />

Parole chiave: stress ossidativo, danno al DNA, stirene 7,8-ossido,<br />

cellule neuronali.<br />

ABSTRACT. OXIDATIVE STRESS IN HUMAN NEURONAL CELLS INDU-<br />

CED BY STYRENE 7,8-OXIDE. In this study, we report the alterations of several<br />

markers of oxidative stress measured in a neuronal cell line (SK-N-<br />

MC) exposed to styrene 7,8-oxide (SO), 0.3 and 1 mM for 16 h. SO treatment<br />

induced a significant increase in lipid peroxidation associated with<br />

an increase in the oxidation levels of DNA and proteins. In addition, SO<br />

exposure caused the reduction in GSH levels (only at the 1 mM dose),<br />

GST activity and an increased heme oxygenase (HO-1) activity.<br />

Key words: oxidative stress, DNA damage, styrene 7,8-oxide, neuronal<br />

cells.<br />

Introduzione<br />

Lo stirene è un composto organico volatile molto utilizzato<br />

a livello industriale. L’esposizione a stirene provoca alterazioni<br />

neurocomportamentali nei lavoratori, quali perdita di memoria,<br />

fatica, cambiamenti d’umore e modificazioni neurologiche<br />

che talvolta diventano permanenti (1-3). Ad oggi i meccanismi<br />

dei danni provocati <strong>sul</strong> sistema nervoso centrale (SNC)<br />

dallo stirene non sono stati completamente identificati. Lo stirene<br />

7,8-ossido (SO), il principale metabolita dello stirene, è<br />

citotossico per linee cellulari neuronali in vitro (4-6). In un recente<br />

lavoro è stata dimostrata l’azione tossica dello SO in cellule<br />

di neuroblastoma umano (SK-N-MC) ed in una cultura pri-<br />

1) Sirois & Atchison: Neurotoxicology 1996; 17: 63-84.<br />

2) RK Zalups: Pharmacol Rev 2000; 52: 113-43.<br />

3) Frustaci A, Magnavita N, Chimenti C, Caldarulo M, Sabbioni E, Pietra<br />

R, Cellini C, Possati GF, Maseri A. J. Am. Coll. Cardiol. 1999, 33:<br />

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4) Souza de Assis G, Cunha Silva CE, Stefanon I, Vassallo DV. Comp<br />

Biochem Physiol C 2003; 134: 375-83.<br />

5) Bhattacharya S, Bose S, Mukhopadhayay B, Sarkar D, Das D,<br />

Bandyopadhayay J, Bose R, Majumdar C, Mondal S, Sen S. BioMetals<br />

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J, Gernert K, Piantadosi CA. Science 1997; 276: 2034-37.<br />

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8) Bursell SE, King GL. Clin Chem 2000; 46: 146-46.<br />

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Colombi A. J Am Soc Mass Spectrom 2004; 15: 288-300.<br />

Analisi dello stress ossidativo indotto dallo stirene 7,8-ossido<br />

in cellule neuronali umane<br />

1 Centro Studi e Ricerche ISPESL, Università degli Studi di Parma<br />

2 Laboratorio di Tossicologia Industriale, Università degli Studi di Parma<br />

3 Institute of Environmental Medicine, Karolinska Institutet, Stockholm, Svezia<br />

maria di granulociti cerebellari (7). Queste linee cellulari esposte<br />

a diverse concentrazioni di SO manifestano contrazione<br />

cellulare, riarrangiamenti cromatidici ed attivazione di alcune<br />

proteasi (calpaina e caspasi), eventi caratteristici della “fase<br />

esecutiva” dell’apoptosi (7). Scopo dello studio è di chiarire i<br />

meccanismi dell’azione citotossica dello SO nella linea cellulare<br />

SK-N-MC ipotizzando che l’esposizione provochi stress<br />

ossidativo e questo possa determinare l’attivazione di enzimi<br />

specifici per la morte cellulare. Poiché il trattamento delle cellule<br />

SK-N-MC con SO 0,3 e 1 mM per 16 ore determina l’attivazione<br />

di segnali apoptotici come il riarrangiamento cromatidico<br />

e l’aumento dell’attività delle caspasi (7), queste stesse<br />

concentrazioni sono state scelte per valutare anche i parametri<br />

di stress ossidativo.<br />

Materiali e metodi<br />

Per chiarire quali siano gli eventi intracellulari che determinano<br />

la morte delle cellule neuronali, sono stati valutati i seguenti<br />

indicatori specifici per i diversi bersagli cellulari dello stress ossidativo<br />

nella linea di neuroblastoma umano SK-N-MC:<br />

1. le sostanze reattive dell’acido tiobarbiturico (TBARS), come<br />

parametro del danno ossidativo alle membrane cellulari;<br />

2. i gruppi carbonilici e gruppi <strong>sul</strong>fidrilici per valutare l’ossidazione<br />

proteica;<br />

3. i livelli di 8-idrossi-2’-desossiguanosina (8-OHdG), indicatore<br />

del danno al DNA;<br />

4. l’espressione e l’attività dell’eme-ossigenasi (HO-1) come<br />

esempio di una risposta al danno ossidativo mediato dalla regolazione<br />

genica.<br />

Sono stati inoltre stimati altri indicatori per valutare la capacità<br />

di “scavenging” delle cellule: i livelli di glutatione intracellulare<br />

(GSH) e l’attività della glutatione S-transferasi(GST).


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 35<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Nella Tabella I sono riportati i valori dei parametri<br />

cellulari stimati dopo esposizione delle cellule<br />

SK-N-MC a SO 0,3 e 1 mM. Si evidenzia un significativo<br />

aumento della perossidazione lipidica<br />

(TBARS) associato all’incremento dei livelli di ossidazione<br />

del DNA e delle proteine. Le dosi utilizzate<br />

influenzano in modo significativo la capacità di<br />

difesa della cellula diminuendo l’attività della Glutatione<br />

S-Transferasi, mentre il calo di GSH è evidente<br />

solo quando le cellule SK-N-MC vengono<br />

esposte alla concentrazione più alta (1 mM). L’esposizione<br />

a SO determina inoltre una crescita dell’attività<br />

dell’eme ossigenasi 1 (HO-1). È bene sottolineare<br />

che le dosi nominali a cui ci riferiamo sono<br />

quelle misurate nel medium iniziale (0,3 e 1 mM<br />

SO) che corrispondono, dopo il periodo di incubazione<br />

di 16 h, a 0,15 e 0,51 mM rispettivamente.<br />

Discussione e conclusioni<br />

Sebbene sia stato ampiamente dimostrato come lo stress ossidativo<br />

contribuisca in modo significativo a rendere effettiva<br />

l’azione di molti agenti neurotossici, poca attenzione è stata posta<br />

<strong>sul</strong> ruolo delle Sostanze Reattive dell’Ossigeno (ROS) nel<br />

meccanismo di neurotossicità dello SO nelle culture cellulari in<br />

vitro. In questo lavoro vengono presentate le variazioni dei livelli<br />

di indicatori specifici di stress ossidativo misurati in una<br />

linea neuronale esposta a SO. Valutando complessivamente<br />

questi parametri, si comprende come la neurotossicità dello SO<br />

si manifesti mediante l’ossidazione di diversi bersagli cellulari.<br />

È evidente, inoltre, come lo stress ossidativo sia provocato dall’esposizione<br />

a SO alle stesse concentrazioni che determinano<br />

la morte cellulare per apoptosi. In un recente studio è stato valutato<br />

quanto lo stress ossidativo sia determinante nella “fase<br />

iniziale” dell’apoptosi indotta dallo SO. Ri<strong>sul</strong>tati preliminari<br />

dimostrano che il pre-trattamento con un antiossidante specifico<br />

riduce l’attivazione delle caspasi e quindi la morte cellulare<br />

per apoptosi (8). Alla luce di questi ri<strong>sul</strong>tati si può quindi concludere<br />

che lo stress ossidativo svolga un ruolo determinante<br />

nella “fase iniziale” dell’apoptosi indotta da SO in cellule di<br />

neuroblastoma umano.<br />

Ringraziamenti<br />

Questo studio è stato finanziato dalla Comunità Europea (contratto<br />

QLK4-1999-01356).<br />

RIASSUNTO. Scopo della ricerca è stato indagare il possibile utilizzo<br />

dell’escrezione urinaria di idrocarburi policiclici aromatici (IPA)<br />

non metabolizzati, come indicatori specifici di esposizione a IPA. Lo studio<br />

è stato condotto su 24 esposti a fumi di bitume e 6 esposti a fumi diesel.<br />

I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti mostrano che l’escrezione urinaria di IPA permette<br />

Tabella I. Variazioni dei parametri di stress ossidativo in seguito<br />

all’esposizione delle cellule SK-N-MC a SO<br />

Bibliografia<br />

1) Jéngaden D, Simon JF, Habault M, Legoux B, Galopin P. Study on<br />

the neurobehavioral toxicity of styrene at low levels of exposure. Int<br />

Arch Occup Environ Health 1993; 64: 527-531.<br />

2) Viaene MK, Pauwels W, Veulemans H, Roels HA, Masschelein R.<br />

Neurobehavioural changes and persistence of complaints in workers<br />

exposed to styrene in a polyester boat building plant: influence of exposure<br />

characteristics and microsomal epoxide hydrolase phenotype.<br />

Occup Environ Med 2001; 58: 103-12.<br />

3) Mutti A, Mazzucchi A, Rustichelli P, Frigeri G, Arfini G, Franchini<br />

I. Exposure-effect and exposure-response relationship between occupational<br />

exposure to styrene and neuropsychological functions. Am J<br />

Ind Med 1984; 5: 275-286.<br />

4) Boccellino M, Cuccovillo F, Napolitano M, Sannolo N, Balestrieri C,<br />

Acampora A, Giovane A, Quagliuolo L. Styrene-7,8-oxide activates<br />

a complex apoptotic response in neuronal PC12 cell line. Carcinogenesis<br />

2003; 24: 535-40.<br />

5) Dypbukt JM, Costa LG, Manzo L, Orrenius S, Nicotera P. Cytotoxic<br />

and genotoxic effects of styrene-7,8-oxide in neuroadrenergic Pc 12<br />

cells. Carcinogenesis 1992; 13: 417-24.<br />

6) Kohn J, Minotti S, Durham H. Assessment of the neurotoxicity of<br />

styrene, styrene oxide, and styrene glycol in primary cultures of motor<br />

and sensory neurons. Toxicol Lett 1995; 75: 29-37.<br />

7) Daré E, Tofighi R, Vettori MV, Momoi T, Poli D, Saido TC et al Dare<br />

E, Tofighi R, Vettori MV, Momoi T, Poli D, Saido TC, Mutti A,<br />

Ceccatelli S. Styrene 7,8-oxide induces caspase activation and regular<br />

DNA fragmentation in neuronal cells. Brain Res 2002; 933: 12-22.<br />

8) Daré E, Tofighi R, Nutt L, Vettori MV, Emgård M, Mutti A, Beccatelli<br />

S. Styrene 7,8-oxide induces mitochondrial damage and oxidative<br />

stress in neurons. Toxicology, in press.<br />

L. Campo, L. Addario, L. Scibetta, M. Buratti, V. Foà, O. Longhi, P. Cirla, I. Martinotti, S. Fustinoni<br />

Nuovi indicatori per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />

a idrocarburi policiclici aromatici: gli IPA urinari<br />

Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano e ICP, Milano<br />

di discriminare le due casistiche e inoltre di osservare una differenza tra<br />

campioni raccolti prima e dopo l’esposizione anche a bassi livelli di esposizione<br />

ambientale.<br />

Parole chiave: idrocarburi policicicli aromatici, escrezione urinaria,<br />

esposizione professionale.


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

36 www.gimle.fsm.it<br />

ABSTRACT. URINARY POLYCYCLIC ARO-<br />

MATIC HYDROCARBONS (PAH) AS NEW BIO-<br />

MARKERS FOR THE BIOMONITORING OF EXPOSURE<br />

TO PAH. The aim of the research is the development<br />

of new biomarkers of polycyclic aromatic<br />

hydrocarbons (PAH) exposure, namely the determination<br />

of unmetabolised compounds in urine.<br />

Urine samples were obtained from 24 workers<br />

exposed to bitumen fumes and from 6 workers<br />

exposed to diesel exhaust. The re<strong>sul</strong>ts show that,<br />

even at low levels of PAH exposure, urinary PAH<br />

are suitable for discriminating the two groups<br />

and, also, samples obtained before and after the<br />

work shift.<br />

Key words: polycyclic aromatic hydrocarbons,<br />

urinary excretion, occupational exposure.<br />

Introduzione<br />

Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono una famiglia<br />

di composti organici ad alto peso molecolare, la cui struttura contiene<br />

due o più anelli benzenici condensati. Gli IPA si formano durante<br />

processi di pirolisi o di combustione incompleta di materiali<br />

organici e sono perciò presenti nell’ambiente in modo ubiquitario,<br />

sia in fase vapore che adsorbiti <strong>sul</strong> particolato atmosferico.<br />

Nelle aree urbane la fonte principale di questi composti è rappresentata<br />

dagli scarichi autoveicolari, mentre altre fonti di esposizione<br />

a IPA, oltre quelle professionali, sono il fumo di tabacco e<br />

il consumo di cibi affumicati o cotti alla griglia (1). La IARC classifica<br />

alcuni IPA come probabili o possibili cancerogeni per l’uomo<br />

(2A o 2B) (2). Per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />

a IPA viene storicamente usato l’1-idrossipirene, il principale metabolita<br />

urinario del pirene, un composto sempre presente nelle<br />

miscele aerodisperse di IPA. La composizione delle diverse miscele<br />

di IPA varia però in funzione dei differenti processi di combustione,<br />

e l’1-idrossipirene può quindi fornire solo una stima indiretta<br />

della esposizione complessiva a IPA (3,4). Scopo di questo<br />

lavoro è stato indagare il possibile utilizzo dell’escrezione urinaria<br />

di IPA tal quali come indicatori specifici di esposizione a IPA.<br />

Materiali e metodi<br />

Sono stati indagati due gruppi di lavoratori caratterizzati da<br />

diversa esposizione a IPA: 24 esposti a fumi di bitume (gruppo A)<br />

e 6 esposti a fumi diesel (gruppo B). Nessuno di questi era fumatore.<br />

Ai soggetti è stato chiesto di astenersi dal consumo di cibi<br />

ad elevato contenuto di IPA il giorno precedente e il giorno<br />

stesso della raccolta del campione <strong>biologico</strong>. Per ciascun soggetto<br />

sono stati raccolti tre campioni di urina: uno all’inizio del turno<br />

di lavoro del primo giorno della settimana lavorativa (BL) e<br />

gli altri due, uno a inizio (IT) e l’altro a fine turno (FT) di un giorno<br />

scelto nella seconda metà della settimana lavorativa. La determinazione<br />

di IPA urinari è stata effettuata, dopo campionamento<br />

degli analiti nello spazio di testa tramite microestrazione<br />

in fase solida (SPME), mediante gascromatografia accoppiata alla<br />

spettrometria di massa (GC/MS). Sono stati così quantificati:<br />

naftalene, acenaftene, acenaftilene, fluorene, fenantrene, antracene,<br />

fluorantene e pirene urinari.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Gli IPA sono stati trovati nelle urine di tutti i soggetti indagati.<br />

I composti presenti in maggiore quantità sono naftalene, fenantrene,<br />

pirene e fluorene. In Tabella I si riportano i valori di<br />

escrezione osservati nei soggetti suddivisi in base alla mansione<br />

lavorativa. L’escrezione urinaria di pirene, fluorantene, fenantre-<br />

Tabella I. Valori di escrezione di alcuni IPA urinari misurati a fine turno<br />

nei due gruppi di soggetti indagati<br />

ne e acenaftilene del gruppo A è ri<strong>sul</strong>tata più elevata di quella osservata<br />

nel gruppo B. Nel gruppo A, inoltre, per tutti gli analiti si<br />

osservano valori crescenti delle concentrazioni passando dal<br />

campione BL, o IT, al campione FT. Questa tendenza non è stata<br />

invece osservata per i soggetti del gruppo B.<br />

In Figura 1 è riportata a titolo d’esempio la distribuzione dei<br />

valori relativi al fenantrene urinario nei due gruppi di soggetti indagati.<br />

I valori di escrezione dei diversi IPA sono ri<strong>sul</strong>tati tra loro<br />

correlati (r > 0.42, p


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 37<br />

Ringraziamenti<br />

Lo studio è stato possibile anche grazie al contributo ISPESL<br />

per il progetto “Nuovi indicatori per il monitoraggio <strong>biologico</strong><br />

dell’esposizione a idrocarburi policiclici aromatici” (contratto<br />

n°B/47/DML/03.)<br />

Bibliografia<br />

1) Brandt H.C.A.Watson W.P. Monitoring human occupational and environmental<br />

exposures to polycyclic aromatic compounds. Ann. Occup.<br />

Hyg. 2003; 47: 349-378.<br />

2) International Agency for Research on Cancer. Polynuclear Aromatic<br />

compounds, Part 1. Chemical, environmental and experimental data.<br />

RIASSUNTO. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare<br />

l’esposizione a benzene dei lavoratori di una grande industria petrolchimica<br />

e determinare quale indicatore <strong>biologico</strong> di esposizione tra benzene<br />

urinario, acido trans,trans-muconico (t,t-MA) e acido S-fenilmercapturico<br />

(S-PMA) sia meglio correlato con l’esposizione ambientale. I dati del<br />

monitoraggio ambientale e <strong>biologico</strong> hanno evidenziato una contenuta<br />

esposizione a benzene (medie: benzene ambientale 0,022 mg/m 3 ; benzene<br />

urinario 1,22 µg/L; t,t-MA 81,9 µg/g creat; S-PMA 2,80 µg/g creat). Significative<br />

correlazioni sono state riscontrate tra l’esposizione ambientale<br />

e gli indicatori biologici, ma con notevole dispersione dei dati. Per livelli<br />

di benzene così bassi il monitoraggio ambientale sembra essere il<br />

metodo migliore per valutare l’esposizione individuale.<br />

Parole chiave: esposizione ambientale, acido trans,trans-muconico,<br />

acido S-fenilmercapturico, benzene urinario.<br />

ABSTRACT. COMPARISON BETWEEN DIFFERENT METHODS OF ASSES-<br />

SING OCCUPATIONAL EXPOSURE TO BENZENE. The aim of the study was to assess<br />

the benzene exposure of workers in a large petrochemical plant and to<br />

determine which biological exposure index, urinary benzene, trans,transmuconic<br />

acid (t,t-MA) or S-phenylmercapturic acid (S-PMA), showed a better<br />

correlation with the individual exposure. The environmental and biological<br />

monitoring data show that benzene exposure is low (means: benzene<br />

in air 0.022 mg/m 3 ; urinary benzene 1.22 µg/L; t,t-MA: 81.9 µg/g creat.;<br />

S-PMA: 2.80 µg/g creat.). Significant correlations have been found between<br />

exposure to benzene and biomarkers, but with significant scattering of the<br />

data. For such low levels of benzene in the air, environmental monitoring<br />

seems to be the best method of evaluating individual exposure.<br />

Key words: environmental exposure, trans,trans-muconic acid, Sphenylmercapturic<br />

acid, urinary benzene.<br />

Introduzione<br />

Il benzene, appartenente alla famiglia degli idrocarburi aromatici,<br />

è il solvente organico per eccellenza e trova applicazione<br />

sia come materiale di base per la sintesi di altri composti chimici<br />

(come solvente del lattice nell’industria della gomma, solvente<br />

di inchiostri nei processi di stampa, nella produzione di verni-<br />

In: Evaluation of the carcinogenic risk of chemicals to humans, vol.<br />

32. Lyon: IARC.<br />

3) Sedar Zhao Z.H,Quan W.Y, Tian D.H. Experiments on the effects of<br />

several factors on the 1-hydroxypyrene level in human urine as an indicator<br />

of exposure to polycyclic aromatic hydrocarbons. Sci. Total<br />

Environ. 1992; 113: 197-207.<br />

4) Buckley T.J, Lioy P.J. An examination of the time course from human<br />

dietary exposure to polycyclic aromatic hydrocarbons to urinary<br />

elimination of 1-hydroxypyrene. Br. J. Ind. Med. 1992; 49: 113-124.<br />

5) Waidyanatha S, Zheng Y, Rappaport S.M. Determination of polycyclic<br />

aromatic hydrocarbons in urine of coke coven workers by headspace<br />

solid phase microextraction and gas chomatography-mass<br />

spectrometry. Chemico-biological Interactions 2003; 145: 165-174.<br />

6) Serdar B, Egeghy P.P, Waidyanatha S, Gibson R, Rappaport S.M.<br />

Urinary biomarker of exposure to jet fuel (JP-8). Environmental<br />

Health perspectives 2003; 111: 1760-1764.<br />

M. Carrieri 1 , E. Bonfiglio 1 , G. Cancanelli 2 , O. Nardelotto 3 , A. Pasqua di Bisceglie 1 , S. Serraino 1 , G. Gori 1 , M.L. Scapellato 1 ,<br />

I Maccà 1 , G.B. Bartolucci 1<br />

Confronto tra differenti metodi di valutazione dell’esposizione<br />

occupazionale a benzene<br />

1 Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Padova<br />

2 Syndial, Medicina e Igiene Industriale, Milano<br />

3 Syndial, Servizio Sanitario, Porto Marghera (VE)<br />

ci e di materiali plastici, ecc.). Una stima OSHA negli ambienti<br />

di lavoro indica che circa 2 milioni di lavoratori sono esposti al<br />

benzene. Scopo del nostro studio è stato quello di misurare, attraverso<br />

tecniche di monitoraggio ambientale e <strong>biologico</strong>, l’esposizione<br />

a benzene dei lavoratori di una grande industria petrolchimica.<br />

Per il monitoraggio <strong>biologico</strong>, l’obiettivo è stato in particolare<br />

quello di valutare l’utilizzo di diversi indicatori biologici<br />

di esposizione: il benzene tal quale e i suoi metaboliti, gli acidi<br />

trans,trans-muconico (t,t-MA) e S-fenilmercapturico (S-<br />

PMA), dosati su campioni urinari raccolti a fine turno.<br />

Materiali e metodi<br />

Lo studio è stato condotto dosando il livello individuale di<br />

esposizione a benzene rispettivamente di 151 lavoratori (59 fumatori<br />

e 92 non fumatori). Il prelievo dei campioni ambientali è<br />

stato eseguito con l’ausilio di dosimetri personali diffusivi (Radiello®),<br />

la cui affidabilità <strong>sul</strong> campo è stata precedentemente<br />

validata (1), collocati in prossimità della zona respiratoria dei<br />

soggetti monitorati. Il campionamento è stato effettuato per l’intera<br />

durata del turno lavorativo. La determinazione quantitativa<br />

del benzene ambientale è stata condotta per via gascromatografica<br />

previo desorbimento chimico dell’analita con solfuro di carbonio<br />

(2 ml) direttamente nella cartuccia del Radiello®. Le analisi<br />

sono state effettuate con gas-cromatografo equipaggiato con<br />

rivelatore a ionizzazione di fiamma (FID).<br />

Su tutti i soggetti è stata valutata l’escrezione urinaria del solvente<br />

tal quale e dei suoi metaboliti t,t-MA e S-PMA su campioni<br />

raccolti al termine della giornata lavorativa. Il dosaggio del<br />

benzene urinario è stato effettuato in gascromatografia-FID con<br />

metodo dello spazio di testa; il dosaggio del t,t-MA è stato effettuato<br />

con una metodica HPLC e rivelatore UV mentre la determinazione<br />

dell’S-PMA è stata effettuata con metodica immunoenzimatica<br />

in chemiluminescenza. La concentrazione dei due<br />

metaboliti è stata espressa in funzione della creatinina urinaria.


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

38 www.gimle.fsm.it<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />

I livelli di benzene ambientale<br />

riscontrati sono ri<strong>sul</strong>tati decisamente<br />

contenuti rispetto al<br />

TLV dell’ACGIH (2) e quindi<br />

anche rispetto al limite italiano,<br />

nonché a quanto riscontrato in<br />

passato per questa categoria professionale<br />

(3, 4). In Tabella I<br />

vengono riportate le medie aritmetiche,<br />

le mediane ed il range<br />

dei livelli di esposizione a benzene<br />

dei soggetti, differenziati<br />

inoltre tra fumatori e non fumatori,<br />

da cui si evidenzia come l’abitudine<br />

al fumo non comporti<br />

alcun incremento dell’esposizione:<br />

il valore medio lievemente<br />

superiore è infatti imputabile ad<br />

un singolo valore elevato, di<br />

0.534 mg/m 3 , che è però attribuibile<br />

all’esposizione lavorativa.<br />

Come per l’esposizione ambientale,<br />

anche i livelli urinari dei metaboliti sono ri<strong>sul</strong>tati sostanzialmente<br />

contenuti se confrontati coi corrispondenti limiti biologici<br />

di esposizione (BEI).<br />

Al fine di valutare la validità degli indicatori biologici abbiamo<br />

messo a confronto le concentrazioni ambientali di benzene<br />

con i relativi livelli di escrezione dei due metaboliti, nonché con<br />

l’escrezione urinaria del solvente tal quale. Abbiamo evidenziato<br />

una correlazione bassa ma statisticamente significativa tra l’esposizione<br />

ambientale e l’escrezione urinaria del solvente<br />

(r=0,39; p


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 39<br />

P. Carta 1 , C. Flore 1 , A. Ibba 1 , M.G. Tocco 1 , G. Aru 1 , S. Caracoi 2 , F. Sanna Randaccio 1<br />

Esposizione ambientale a metalli in residenti in un’area industriale<br />

della Sardegna<br />

1 Dipartimento di Sanità Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Cagliari,<br />

2 ASL N° 7, Carbonia<br />

RIASSUNTO. Lo studio riporta i valori di dose interna di piombo, di<br />

cadmio e di mercurio osservati in un campione di residenti del comune di<br />

Portoscuso, situato a meno di 2 Km da un importante polo industriale<br />

comprendente anche una fonderia di piombo e zinco, a confronto con i dati<br />

osservati in altri due comuni distanti oltre 20 Km dal polo industriale. I<br />

ri<strong>sul</strong>tati mostrano che a Portoscuso i livelli ematici ed urinari dei metalli<br />

studiati ed in particolare del piombo, sono, specialmente nelle donne, significativamente<br />

superiori a quanto osservato negli altre due località. Il risiedere<br />

a ridosso del polo industriale di Portoscuso ed in particolare l’assunzione<br />

di vino sfuso di produzione locale e non controllato per il suo<br />

contenuto in piombo, così come il fumo di sigaretta rappresentano i fattori<br />

più rilevanti che spiegano le differenze osservate tra i tre comuni studiati<br />

relativamente alla dose interna di piombo. L’effetto residenza appare rilevante<br />

anche per la dose interna di cadmio, su cui è particolarmente evidente<br />

l’effetto del fumo di tabacco, e per quella di mercurio su cui ha un<br />

ruolo significativo il consumo di pescato locale ed in particolare di tonno.<br />

Parole chiave: piombo inorganico, cadmio, mercurio, inquinamento<br />

ambientale.<br />

ABSTRACT. ENVIRONMENTAL EXPOSURE TO METALS IN AN INDU-<br />

STRIALISED AREA OF SARDINIA, ITALY. Blood lead and cadmium concentration<br />

and urinary cadmium and mercury excretion were analysed in a<br />

sample of inhabitants of Portoscuso, a town less than 2 km from a lead<br />

and zinc smelting works in Sardinia, and were compared to those observed<br />

in a control group of subjects living in two towns located more than<br />

20 km from the industrialised area. Compared to the control group, blood<br />

and urinary levels of the analysed metals, and the blood lead concentrations<br />

in particular, were significantly higher among females in Portoscuso.<br />

In the multivariate analysis of individual data, living near the lead and<br />

zinc smelting works and particularly the consumption of local home-made<br />

wine, as well as cigarette smoking, were found to be the main factors<br />

underlying increases in the blood lead levels. Living in Portoscuso together<br />

with cigarette smoking were found to be the main factors causing<br />

increases in individual blood and urinary levels of cadmium, while urinary<br />

mercury was strictly dependent on the consumption of locally caught<br />

fish, particularly tuna.<br />

Key words: inorganic lead, cadmium, mercury, environmental pollution.<br />

Introduzione<br />

Dai ri<strong>sul</strong>tati di numerose indagini (1-3) svolte a più riprese<br />

nel territorio del centro abitato di Portoscuso e frazioni limitrofe<br />

appare evidente il rilevante impatto ambientale, dell’attività delle<br />

principali industrie primarie insediate nel polo di Portovesme<br />

con particolare riguardo all’inquinamento da metalli pesanti.<br />

Le sorgenti di inquinamento sono costituite dai camini degli<br />

stabilimenti e dalle aree di stoccaggio e movimentazione delle<br />

materie prime (operazioni di scarico dalle navi, abbancamento<br />

<strong>sul</strong> molo, carico e trasporto su autoarticolati) e delle scorie ubicate<br />

sia all’interno degli stessi stabilimenti che in discariche o bacini<br />

di decantazione. I metalli pesanti si ritrovano come componenti<br />

del particolato aerodisperso e tendono a depositarsi <strong>sul</strong>le<br />

superfici del terreno o dei vegetali e quindi nella catena alimentare.<br />

Il carico inquinante da metalli, ed in particolare da piombo,<br />

derivante dal traffico automobilistico nell’area di Portoscuso è da<br />

considerare meno importante rispetto a quello derivante dalle<br />

sorgenti industriali.<br />

Il presente studio è complementare alle indagini ambientali<br />

svolte in questa area industriale nei comparti aria, acqua e suolo ed<br />

è basato <strong>sul</strong>l’analisi della dose interna di alcuni metalli (Piombo,<br />

Cadmio e Mercurio) in un campione di adulti della popolazione generale<br />

non professionalmente esposta a metalli residente nel comune<br />

di Portoscuso, situato a meno di 2 chilometri dal polo industriale<br />

di Portovesme, a confronto con gruppi di controllo residenti<br />

in altri due comuni distanti circa 20 Km dal polo industriale.<br />

Materiali e metodi<br />

Gli accertamenti comprendevano:<br />

a) un prelievo di sangue venoso per la determinazione dei valori<br />

ematici di piombo (PbE µg/dl), di cadmio (CdE µg/dl) e dei<br />

valori dell’ALA-Deidratasi (ALAD mu/ml eritrociti);<br />

b) la raccolta di un campione di urine per la determinazione dell’escrezione<br />

urinaria di cadmio (CdU) e di mercurio (HgU) i<br />

cui valori sono stati espressi in unità di concentrazione per<br />

grammo di creatinina (µg/g di creatinina), contestualmente<br />

misurata <strong>sul</strong>lo stesso campione di urine;<br />

c) l’applicazione di un questionario per la rilevazione di informazioni<br />

<strong>sul</strong>le abitudini di vita (fumo, alcol, consumo di vino sfuso<br />

di produzione locale, dieta prevalente, consumo di pesce, hobbies),<br />

<strong>sul</strong>la storia occupazionale, <strong>sul</strong>le caratteristiche abitative.<br />

Le determinazioni di PbE, CdE e CdU sono state effettuate<br />

mediante spettrofotometro in assorbimento atomico (VARIAN<br />

SpectrAA-300) fornito di fornetto di grafite (Zeeman GTA), autocampionatore<br />

e lampade a catodo cavo specifiche. Il mercurio<br />

nelle urine è stato determinato tramite spettrofotometria di assorbimento<br />

atomico dei vapori freddi di Mercurio (Cold Vapor Atomic<br />

Absorption Spectrometry, CVAAS). L’ALAD è stata determinata<br />

con metodo colorimetrico ed i valori sono stati espressi in<br />

milliunità per ml di eritrociti.<br />

Per l’analisi statistica sono stati utilizzati test non parametrici, il<br />

test T di Student e l’analisi della varianza per il confronto tra gruppi<br />

e tecniche di regressione multipla e logistica stepwise per valutare la<br />

relazione tra gli indicatori biologici di dose ed il fattore residenziale,<br />

controllando per l’età, il fumo di sigaretta, il consumo di alcol, e per<br />

variabili categoriche desunte dall’analisi del questionario.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

La popolazione studiata comprende 212 soggetti di età compresa<br />

tra i 18 e gli 88 anni, 102 femmine (età media 47,5 + 11,9)<br />

e 110 maschi (età media 48,2 + 11,1) di cui 108 residenti stabilmente<br />

a Portoscuso (70 femmine e 38 maschi), 53 residenti a S.<br />

Antioco (18 femmine e 35 maschi) e 51 residenti a Villaperuccio<br />

(14 femmine e 37 maschi). All’interno di ciascun campione studiato<br />

l’età è ri<strong>sul</strong>tata confrontabile tra femmine e maschi, così come<br />

non si sono osservate sostanziali differenze di età tra i residenti<br />

di Portoscuso e il gruppo di controllo. La prevalenza degli ex fumatori<br />

e dei fumatori è ri<strong>sul</strong>tata in ciascun gruppo decisamente<br />

più elevata tra gli uomini così come più elevato ri<strong>sul</strong>ta il valore<br />

medio dell’indice cumulativo di fumo espresso come Pacchetti-


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

40 www.gimle.fsm.it<br />

Anni (P-A). Il consumo di vino sfuso prodotto localmente in proprio<br />

ri<strong>sul</strong>ta in modo statisticamente significativo più frequente tra<br />

i residenti a Villaperuccio ed in particolare tra gli uomini, che riferivano<br />

tale abitudine nel 56.8% dei casi intervistati.<br />

Nella Tabella I si possono osservare i valori centrali ed il range<br />

della piombemia e dell’ALAD rilevati nei tre gruppi analizzati,<br />

separatamente per le donne e gli uomini. All’interno di ciascun<br />

gruppo le differenze tra i due sessi sono ri<strong>sul</strong>tate statisticamente<br />

significative: PbE più basso ed ALAD più elevato nelle donne rispetto<br />

agli uomini.<br />

Nel complesso dei casi i valori individuali di ALAD sono ri<strong>sul</strong>tati<br />

ben correlati con i valori di piombemia (r: 0,51, P


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 41<br />

Il consumo di vino sfuso locale non influenza statisticamente<br />

la significatività del modello che nel complesso spiega il 45% della<br />

varianza totale dei valori individuali di tale parametro (P


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

42 www.gimle.fsm.it<br />

ABSTRACT. IODIOCYCLOPHOSPHAMIDE AS A POSSIBLE INTERNAL<br />

STANDARD IN THE ANALYSIS OF ANTINEOPLASTIC DRUGS USING MASS SPEC-<br />

TROMETRY. Cyclophosphamide is one of the most widely used antineoplastic<br />

agents in therapy and the evaluation of occupational exposure requires<br />

the dosage of the molecule in complex matrices. An internal standard<br />

is necessary for quantitative analysis in order to obtain analytical re<strong>sul</strong>ts<br />

which are free from errors in the processing phases. This study<br />

shows the synthesis and characterization of mono- and di-iodiocyclophosphamide,<br />

which are suggested as optimal internal standards. The re<strong>sul</strong>ts<br />

show that both the molecules have the same instrumental behaviour of the<br />

analyte. Therefore, monoiodide is particularly suitable for LC/MS analysis,<br />

while diiodide is appropriate for GC/MS analysis.<br />

Key words: iodiocyclophosphamide, internal standard, antineoplastic<br />

drugs, mass spectrometry.<br />

Introduzione<br />

La valutazione dell’esposizione professionale a ciclofosfamide<br />

(CP), farmaco antiblastico largamente adoperato in terapie tum<strong>orali</strong>,<br />

prevede il dosaggio della molecola tal quale in matrici<br />

complesse (1, 2). Dopo estrazione, gli analiti sono rivelati mediante<br />

cromatografia liquida/spettrometria di massa (LC/MS) (3)<br />

oppure, previa derivatizzazione, in gas cromatografia/spettrometria<br />

di massa (GC/MS) (4, 5). La quantificazione prevede l’uso di<br />

standard interni che rendano i ri<strong>sul</strong>tati indipendenti da qualsiasi<br />

errore di processamento. Attualmente, in alternativa alla ciclofosfamide<br />

deuterata (standard interno ottimale ma molto costoso)<br />

sono state proposte due molecole: ifosfamide (IP) e trofosfamide<br />

(TP). L’IP, usata anche come farmaco antitumorale in terapie pediatriche,<br />

è essa stessa fonte di inquinamento ambientale e di potenziale<br />

assorbimento da parte dell’operatore durante l’allestimento<br />

del farmaco; la TP, pur essendo strutturalmente simile alla<br />

CP, mostra diverse proprietà chimico-fisiche: scarsa solubilità<br />

in acqua e differente comportamento cromatografico. Inoltre, non<br />

avendo funzioni nucleofile libere, non ri<strong>sul</strong>ta derivatizzabile;<br />

quindi, l’analisi GC/MS non è ottimale, in quanto non tiene conto<br />

della resa di reazione. La ricerca di uno standard interno adatto<br />

al dosaggio della CP ha determinato la necessità di sintetizzare<br />

una molecola strutturalmente analoga alla ciclofosfamide, sostituendo<br />

uno o più atomi di cloro presenti nella molecola con un<br />

altro alogeno: qui è riportata la sintesi e la caratterizzazione di ciclofosfamide<br />

mono e diiodurata (CPI e CPI 2 ).<br />

Figura 1. Spettri di massa LC/MS full scan. a) ciclofosfamide; b) ciclofosfamide monoiodurata; c) ciclofosfamide diiodurata.<br />

Spettri di massa degli ioni prodotto derivanti dalla frammentazione degli ioni quasi molecolari della ciclofosfamide (d); ciclofosfamide<br />

monoiodurata (e); ciclofosfamide diiodurata (f)<br />

Metodi<br />

La iodurazione della ciclofosfamide é stata condotta facendo<br />

reagire la CP con ioduro di sodio in diversi rapporti stechiometrici<br />

(1:4, 1:10) per 4h a 55°C. Dopo allontanamento del solvente di<br />

reazione, il residuo è stato estratto adoperando solfato di sodio come<br />

agente essiccante e la miscela di sintesi purificata in cromatografia<br />

a fase inversa con una colonna C 18 . Le frazioni relative ai<br />

prodotti di reazione (CP, CPI, CPI 2 ) sono state raccolte ed analizzate<br />

in LC/MS (direttamente) e GC/MS (previa derivatizzazione<br />

degli analiti con anidride eptafluorobutirrica), e mediante colonna<br />

capillare di uso generale. Entrambe le analisi hanno previsto l’utilizzo<br />

di spettrometri di massa a trappola ionica dotati di sorgenti<br />

di ionizzazione electrospray ed elettronica, rispettivamente.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Gli spettri di massa fullscan relativi all’analisi LC/MS presentano,<br />

per gli ioni quasi molecolari della CP e della CPI, la tipica intensità relativa<br />

dei picchi isotopici, dovuta alla presenza di atomi di cloro nella<br />

struttura, rispecchiandone l’abbondanza naturale; la CPI 2 , priva di cloro,<br />

dà luogo ad un unico segnale. Gli spettri di massa tandem mostrano<br />

un’analogia tra le tre molecole (perdita di 28 Da dallo ione quasi molecolare);<br />

tuttavia, la CP e la CPI presentano una netta similitudine. Al<br />

contrario, la CPI 2 mostra uno spettro di massa degli ioni prodotto dif-


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 43<br />

Figura 2. Ionizzazione elettronica. Spettri di massa full scan di ciclofosfamide (a); ciclofosfamide monoiodurata (b); ciclofosfamide<br />

diiodurata (c). Analisi EI/MS 2 . Spettri di massa degli ioni prodotto. Ioni precursori: d) ciclofosfamide: [M-CH 2 Cl] + ,<br />

m/z 407 e 409; e) ciclofosfamide monoiodurata: [M-I] + , m/z 421 e 423; f): ciclofosfamide diiodurata: [M-I] + , m/z 513<br />

ferente (Figura 1). Nell’analisi GC/MS la ciclofosfamide dà luogo ad<br />

un frammento corrispondente alla perdita di un radicale clorometilico<br />

dalla molecola. La CPI e la CPI 2 frammentano in maniera analoga; tuttavia,<br />

la monoiodurata contiene, nella propria struttura due alogeni diversi;<br />

quindi, perde sia un radicale clorometilico sia uno iodometilico,<br />

originando due frammenti a diversi valori di m/z. Inoltre, la presenza<br />

dello iodio influenza la frammentazione; pertanto, entrambe le molecole<br />

subiscono ulteriori processi di frammentazione con perdita di radicali<br />

iodoetilici e, nel caso della monoiodurata, anche cloroetilici. La<br />

monoiodurata presenta, quindi, rispetto alla diiodurata, un elevato numero<br />

di frammenti ionici. Gli spettri di massa tandem mostrano in tutti<br />

e tre i casi perdita di 195 Da con formazione dei frammenti contenenti<br />

un atomo di cloro e/o un atomo di iodio. CPI e CPI 2 , inoltre, formano<br />

ulteriori segnali dovuti a processi di riarrangiamento (Figura 2).<br />

Discussione<br />

In teoria la sostituzione di uno o più atomi di cloro presenti<br />

nella molecola di ciclofosfamide con un altro alogeno dovrebbe<br />

portare alla formazione di strutture del tutto analoghe, senza mutare<br />

in maniera rilevante le proprietà chimico-fisiche dell’analita.<br />

Fra gli alogeni, è stato scelto lo iodio, in quanto la iodurazione è<br />

di facile realizzazione e poco costosa; quindi, consente una semplice<br />

e rapida preparazione del prodotto da adoperare quale standard<br />

interno in analisi routinarie di monitoraggio. Entrambi i prodotti<br />

iodurati ottenuti hanno la maggior parte dei requisiti necessari<br />

alla definizione di standard interno; infatti, mostrano proprietà<br />

chimico-fisiche di solubilità, reattività e comportamento<br />

cromatografico simili a quelle della ciclofosfamide; sono del tutto<br />

assenti dalle matrici reali, ambientali o biologiche e sono facilmente<br />

sintetizzabili in quantità notevole. Uno standard interno<br />

ri<strong>sul</strong>ta ottimale quando mostra una risposta strumentale quanto<br />

più possibile analoga a quella dell’analita; la risposta strumentale<br />

è caratterizzata dal pattern di frammentazione (perdita di frammenti<br />

analoghi) e, quindi, dal numero di segnali presenti nello<br />

spettro di massa e dalla loro intensità relativa. Dai ri<strong>sul</strong>tati si<br />

evince che: la CPI può essere ottimale per analisi condotte mediante<br />

LC/MS; la CPI 2 qualora si utilizzino tecniche di GC/MS.<br />

Bibliografia<br />

1) Della Morte R, Belisario MA, Farina C, Martire G, Staiano N, De Lorenzo<br />

F. In vivo studies on the transformation of cyclophosphamide to<br />

mutagenic metabolites. Boll Soc Ital Biol Sper 1982; 58: 1061-1067.<br />

2) Bagley CM, Bostick FW, De Vita V. Clinical pharmacology of cyclophosphamide.<br />

Cancer Res 1973; 33: 226-233.<br />

3) Minoia C, Turci R, Sottani C, Schiavi A, Perbellini L, Angeleri S,<br />

Frigerio F, Draicchio F, Apostoli P. Risk assessment concerning hospital<br />

personnel participating in the preparation and administration of<br />

antineoplastic drugs. G Ital Med Lav Ergon 1999; 21: 93-107.<br />

4) Sannolo N, Miraglia N, Biglietto M, Acampora A, Malorni A. Determination<br />

of Cyclophosphamide and Ifosphamide in urine at trace levels<br />

by Gas Chromatography/Tandem Mass Spectrometry. J Mass<br />

Spectrom 1999; 34: 845-849.<br />

5) Sessink PJM, Scholtes MM, Anzion RBM, Bos RP. Determination of<br />

Cyclophosphamide in urine by gas chromatography-mass spectrometry.<br />

J Chromatog B 1993; 616: 333-337.


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

44 www.gimle.fsm.it<br />

D. Cavallo 1 , C.L. Ursini 1 , M. Gismondi 2 , S. Iavicoli 1<br />

Valutazione degli effetti genotossici ed ossidativi indotti su cellule<br />

esfoliate della mucosa orale dall’esposizione ad IPA in lavoratori<br />

operanti nel settore aeroportuale<br />

1 ISPESL, Dipartimento Medicina del Lavoro, Monteporzio Catone, Roma<br />

2 Servizio di Medicina del Lavoro di Aeroporti di Roma, Roma<br />

RIASSUNTO. Il personale operante nel settore aeroportuale è occupazionalmente<br />

esposto a diversi idrocarburi policiclici aromatici (IPA)<br />

prodotti dal combustibile degli aeromobili e dai motori diesel e benzina<br />

dei mezzi operanti <strong>sul</strong>le piste. Scopo del nostro studio è stato valutare gli<br />

effetti precoci genotossici ed ossidativi in personale aeroportuale professionalmente<br />

esposto a miscele complesse di IPA (n=16) rispetto ad un selezionato<br />

gruppo di controllo (n=12), utilizzando il test del micronucleo<br />

e il Comet test (CT) modificato con l’uso dell’enzima Formamidopirimidin-glicosilasi<br />

(Fpg) su cellule esfoliate della mucosa orale. I ri<strong>sul</strong>tati<br />

hanno evidenziato nel gruppo degli esposti un più alto valore medio della<br />

frequenza di micronuclei in percentuale (0,080) rispetto ai controlli<br />

(0,071). Il CT modificato con Fpg ha mostrato negli esposti un valore medio<br />

più elevato del tail moment TM (il prodotto della lunghezza della coda<br />

della cometa per la relativa intensità di fluorescenza calcolato su 50<br />

comete scelte random), sia in cellule trattate con l’enzima TMenz (114,52<br />

vs 89,81 dei controlli) (p=0,12) che fornisce un parametro di danno ossidativo<br />

al DNA, sia su cellule non trattate con l’enzima TM (90,22 vs<br />

81,85) (p=0,24) che fornisce un parametro di danno diretto al DNA. La<br />

presenza di danno ossidativo al DNA è stato valutato in ciascun soggetto<br />

considerando il rapporto TMenz/TM. Quando tale rapporto era superiore<br />

a 2 il soggetto era considerato portatore di danno ossidativo. È stata individuata<br />

la presenza di danno ossidativo nel 12,5% dei soggetti esposti rispetto<br />

all’assenza di danno ossidativo nel gruppo di controllo. I ri<strong>sul</strong>tati<br />

dimostrano l’elevata sensibilità del CT nel valutare il danno precoce sia<br />

diretto che ossidativo al DNA. Inoltre, suggeriscono l’utilizzo delle cellule<br />

esfoliate della mucosa orale, ottenute mediante procedura non invasiva,<br />

per valutare l’esposizione professionale a miscele di sostanze chimiche<br />

inalabili a basse dosi poiché rappresentano il tessuto target per<br />

questo tipo di esposizione ed appare essere un utile strumentoper studiare<br />

popolazioni cronicamente esposte ad IPA.<br />

Parole chiave: Idrocarburi policiclici aromatici, danno ossidativo al<br />

DNA, test del micronucleo, comet test, esposizione professionale.<br />

ABSTRACT. ASSESSMENT OF GENOTOXIC AND OXIDATIVE EFFECTS<br />

IN AIRCRAFT MAINTENANCE WORKERS OCCUPATIONALLY EXPOSED TO<br />

POLYCYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS (PAH). Airport personnel are<br />

occupationally exposed, on flight lines and during aircraft routine maintenance<br />

procedures, to several polycyclic aromatic hydrocarbons (PAH)<br />

produced by jet fuel, diesel fuel or kerosene combustion. The aim of this<br />

study was to evaluate early genotoxic and oxidative effects in airport<br />

personnel (No.=16) occupationally exposed to complex mixtures of<br />

PAH in comparison to a selected control group (No.=12). We used a micronucleus<br />

test and an Fpg modified Comet assay to study early genotoxicity<br />

and oxidative DNA damage on exfoliated buccal cells. The exposed<br />

group showed a higher mean value of micronuclei frequency (%)<br />

with respect to controls (0.080 vs 0.071). For the exposed group, the Fpg<br />

modified Comet test revealed a higher value of mean tail moment TM<br />

(the product of comet relative tail intensity and length, calculated on 50<br />

randomly selected comets) both for enzyme treated cells TMenz (114.52<br />

vs 89.81), which provide a parameter of oxidative DNA damage, and for<br />

cells untreated with enzyme TM (90.22 vs 81.85), which provide a parameter<br />

of direct DNA damage. The presence of oxidative DNA damage<br />

was evaluated in each subject using the TMenz/TM ratio. When this ratio<br />

was higher than 2.0, the subject was estimated to have oxidative<br />

DNA damage. We found the presence of oxidative DNA damage in<br />

12.5% of those exposed with respect to the absence of oxidative damage<br />

of controls. These re<strong>sul</strong>ts demonstrate the high degree of sensitivity<br />

of exfoliated buccal cell for indicating early genotoxic effects of PAH<br />

exposure and confirm the high sensitivity of the Comet assay for assessing<br />

early direct and oxidative DNA damage. The re<strong>sul</strong>ts obtained on<br />

exfoliated buccal cells suggest the use of this sampling, obtained using<br />

a non-invasive procedure, for assessing the occupational exposure to a<br />

mixture of chemicals at low doses since they represent the target tissue<br />

for this exposure and appear to be a useful tool in the study of populations<br />

chronically exposed to PAH.<br />

Key words: polycyclic aromatic hydrocarbons (PAH), DNA oxidative<br />

damage, micronuclei, Comet test, occupational exposure.<br />

Introduzione<br />

I lavoratori operanti nel settore aeroportuale possono essere<br />

esposti durante le attività di rifornimento del carburante, di manutenzione<br />

routinaria degli aeromobili, di operazioni di parcheggio/traino<br />

di aeromobili e di carico-scarico bagagli, a diversi IPA<br />

provenienti dai vapori del combustibile per aerei e dai prodotti di<br />

combustione del carburante così come dalla combustione di motori<br />

diesel e benzina dei mezzi operanti <strong>sul</strong>le piste utilizzati prevalentemente<br />

nelle operazioni di carico-scarico bagagli. Tale tipo<br />

di esposizione che consiste di miscele complesse di sostanze inalabili<br />

presenti in basse dosi, tra cui alcune notoriamente cancerogene,<br />

non è stata ancora adeguatamente caratterizzata e i pochi<br />

studi presenti in letteratura (1) riguardano prevalentemente l’aviazione<br />

militare che utilizza un diverso tipo di carburante (2).<br />

Il presente lavoro si propone quindi di valutare i potenziali<br />

effetti genotossici precoci dell’esposizione a tali complesse miscele<br />

di IPA mediante l’utilizzo di metodiche molto sensibili quali<br />

il Comet test (CT) (3) modificato con Fpg che consente di valutare<br />

il danno sia diretto che ossidativo al DNA, applicandolo su<br />

cellule di sfaldamento della mucosa orale. Sullo stesso tipo cellulare<br />

è stato inoltre utilizzato il test dei micronuclei per valutare<br />

la possibile specificità di effetto genotossico all’organo bersaglio<br />

nell’esposizione inalatoria di miscele complesse a basse dosi.<br />

Materiali e metodi<br />

Lo studio è stato condotto su 16 lavoratori aeroportuali addetti<br />

alle operazioni di manutenzione degli aeromobili e al carico-scarico<br />

bagagli con età media 46,1 + 8,5 anni e su un gruppo<br />

di controllo (n=12) costituito da personale amministrativo della<br />

stessa struttura con età media 39 ± 6,2 anni. A ciascun soggetto è<br />

stato chiesto il consenso informato e somministrato un questionario<br />

conoscitivo anamnestico. Il test dei micronuclei è stato effettuato<br />

su cellule di sfaldamento della mucosa orale mediante<br />

colorazione con arancio di acridina. È stata quindi calcolata per<br />

ciascun soggetto la frequenza di micronuclei spontanei su almeno<br />

2000 cellule esfoliate. Sullo stesso tipo cellulare è stato valutato<br />

il danno sia diretto che ossidativo al DNA mediante test della<br />

cometa modificato con l’uso dell’enzima Fpg. Tale test prevede<br />

la determinazione mediante uno specifico software del valore<br />

di Tail moment (dato dal prodotto dell’intensità di fluorescenza<br />

per la lunghezza della coda della cometa) su 50 comete per cia-


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 45<br />

scun soggetto, sia su cellule trattate con<br />

l’enzima (TMenz), parametro che indica il<br />

danno ossidativo al DNA, sia su cellule non<br />

trattate con Fpg (TM) che indica il danno di<br />

tipo non ossidativo al DNA. Per ciascun<br />

soggetto è stata definita la presenza o meno<br />

di danno ossidativo al DNA in base al valore<br />

del rapporto tra TMenz e TM: se tale rapporto<br />

era >2 il soggetto era definito portatore<br />

di danno ossidativo.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti hanno evidenziato (Tabella I) un valore significativamente<br />

superiore della frequenza di micronuclei (%)<br />

nelle cellule esfoliate della mucosa orale degli esposti rispetto ai<br />

controlli (0,080 vs 0,071; p= 0,04). Il CT ha evidenziato negli<br />

esposti rispetto ai controlli un incremento del valore medio di tail<br />

moment sia per le cellule trattate con l’Fpg (specifico per le basi<br />

ossidate) TMenz (114,52 vs 89,81) (p= 0,012) sia per le cellule<br />

non trattate con l’Fpg TM (90,22 vs 81,85; p=0,024). Inoltre è stato<br />

evidenziato nel gruppo degli esposti il 12.5% di casi con danno<br />

ossidativo al DNA rispetto all’assenza di danno nei controlli.<br />

Discussione<br />

I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti sembrano suggerire una elevata sensibilità<br />

delle cellule esfoliate della mucosa orale nell’evidenziare danni<br />

di tipo genotossico quali induzione di micronuclei e danno sia<br />

diretto che ossidativo al DNA indotti da sostanze presenti nella<br />

miscela di IPA a cui sono esposti i soggetti in studio, in quanto<br />

rappresentano il primo sito d’interazione delle sostanze inalabili.<br />

Tali ri<strong>sul</strong>tati mostrano che i test utilizzati rappresentano buoni<br />

indicatori biologici di danno precoce al DNA e potrebbero dare<br />

utili indicazioni in termini di prevenzione e gestione del ri-<br />

Tabella I. Ri<strong>sul</strong>tati relativi al test del micronucleo (MN) e al comet test (Tail<br />

moment) su cellule di sfaldamento della mucosa orale di personale aeroportuale<br />

schio nell’esposizione professionale a miscele di sostanze potenzialmente<br />

cancerogene. In particolare evidenziano l’elevata<br />

sensibilità del CT nel valutare il danno precoce sia diretto che<br />

ossidativo al DNA.<br />

In conclusione, i ri<strong>sul</strong>tati di questo studio suggeriscono l’utilizzo<br />

delle cellule esfoliate della mucosa orale, ottenute mediante<br />

procedura non invasiva, per valutare l’esposizione occupazionale<br />

a miscele di sostanze chimiche inalabili a basse dosi poiché<br />

rappresenta il tessuto target per questo tipo di esposizione ed appare<br />

essere un utile strumento per studiare popolazioni cronicamente<br />

esposte ad IPA.<br />

Bibliografia<br />

A. Colombi 1 , F. M. Rubino 1 , M. Buratti 2 , S. Fustinoni 2 , C. Verduci 1 , L. Neri 1 , G. Brambilla 1<br />

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airport personnel. Mutat. Res.440: 195-204, 1999.<br />

2) Carlton GN, Smith LB. Exposures to jet fuel and benzene during aircraft<br />

fuel tank repair in the U.S. Air Force. Appl Occup Environ Hyg,<br />

15 (6): 485-191, 2000.<br />

3) Collins, A.R., Duthie, S.J., Dobson, V.L.,. Direct enzymic detection<br />

of endogenous oxidative base damage in human lymphocyte DNA.<br />

Carcinogenesis 14: 1733-1735, 1993.<br />

Il metabonoma e il metaboloma come indicatori di dose e di effetto<br />

nella moderna tossicologia industriale<br />

1 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Clinica ‘L.Devoto’, Università degli Studi di Milano, polo ‘Ospedale San Paolo’<br />

2 Azienda Ospedaliera ‘Istituti Clinici di Perfezionamento’, Milano<br />

RIASSUNTO. Vengono discusse le potenzialità delle moderne tecniche<br />

di indagine biochimica denominate metabonomica e metabolomica<br />

nell’ambito della tossicologia industriale contemporanea, in riferimento<br />

al loro impiego nello studio della relazione che agenti stressori legati ai<br />

mutati stili di vita e di lavoro possono avere nel modificare in senso patologico<br />

le condizioni dei soggetti.<br />

Parole chiave: invecchiamento, metaboliti endogeni, lavoro a turni.<br />

ABSTRACT. METABONOME AND METABOLOME AS DOSE AND EF-<br />

FECT INDICATORS IN CONTEMPORARY INDUSTRIAL TOXICOLOGY. This<br />

paper briefly describes the potential of the metabonomic/metabolomic<br />

approach in present-day industrial toxicology as a tool for studying<br />

the relationship that occupational stressors linked to changed working<br />

and living conditions can have on the health status of exposed<br />

workers.<br />

Key words: ageing, endogenous metabolites, shiftwork.<br />

Introduzione<br />

L’impiego estensivo delle moderne tecniche di chimica e biochimica<br />

analitica e l’introduzione della bio-informatica per l’interpretazione<br />

sinottica dei dati prodotti hanno determinato lo sviluppo<br />

di nuove discipline nell’ambito della farmacologia industriale<br />

ad elevata resa (high-throughput), volte ad identificare<br />

nuovi bersagli farmacologici e potenziali effetti avversi dei candidati<br />

farmaci già <strong>sul</strong>la base della sperimentazione in vitro. La loro<br />

applicazione si è estesa anche alla biologia cellulare, attraverso<br />

l’impiego estensivo delle tecnologie ‘-omiche’, fondate <strong>sul</strong>l’analisi<br />

differenziale di caratteristiche quali la presenza di eterogeneità<br />

nel DNA cellulare (genomica), della sua trascrizione in<br />

RNA (trascrittomica), della biosintesi delle proteine (proteomica)<br />

ed infine del metabolismo cellulare (metabonomica) (1).


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

46 www.gimle.fsm.it<br />

Metabonomica, metabolomica e tossicologia industriale.<br />

L’approccio metabonomico misura l’entità della perturbazione<br />

indotta <strong>sul</strong>l’insieme dei processi metabolici di un sistema <strong>biologico</strong><br />

da parte di agenti chimici endogeni o xenobiotici o da stimoli<br />

fisici. Queste informazioni vengono desunte dal confronto,<br />

effettuato mediante analisi multivariata, delle concentrazioni di<br />

un numero molto elevato di prodotti del metabolismo cellulare di<br />

base ed intermedio, in funzione dell’entità dello stimolo applicato<br />

e del suo variare nel tempo. Ciò consente di esprimere indicatori<br />

sinottici di effetto, in funzione della variazione dose-dipendente<br />

del livello non di un singolo prodotto (o gruppo di prodotti<br />

biochimicamente omogenei), come nell’approccio tradizionale<br />

(2), ma del complesso dei prodotti del metabolismo cellulare, il<br />

cui funzionamento è influenzato, in verso inibitorio o stimolatorio,<br />

dalla dose dell’agente tossico considerato.<br />

L’approccio metabonomico non si limita tuttavia allo studio<br />

delle modificazioni del metabolismo di base, ma si estende anche<br />

alle modificazioni indotte nella funzionalità delle strutture biologiche<br />

dai mutamenti nella loro composizione o struttura chimica<br />

(ad es., delle membrane cellulari: lipidomica; localizzazione intracellulare<br />

delle proteine: glicomica) e ai processi di modulazione<br />

dell’attività enzimatica e recettoriale posti in evidenza attraverso<br />

le modificazioni post-traduzionali delle proteine (fosforilazione,<br />

prenilazione, tiolazione, formazione non-enzimatica di addotti<br />

covalenti: proteomica post-traduzionale).<br />

L’approccio metabolomico rappresenta un settore specializzato<br />

della metabonomica e identifica la griglia completa dei<br />

prodotti di biotrasformazione, di norma dello xenobiotico cui il<br />

sistema <strong>biologico</strong> è esposto. I livelli assoluti e i rapporti quantitativi<br />

dei suoi metaboliti rispecchiano, in funzione della dose e<br />

del tempo, la presenza di genotipi mutanti a maggiore o minore<br />

efficienza catalitica degli enzimi responsabili delle singole tappe<br />

della biotrasformazione: il ruolo del metaboloma nella moderna<br />

tossicologia industriale ri<strong>sul</strong>ta pertanto duplice, in quanto<br />

esprime un indicatore sinottico sia di dose sia, in termini parziali,<br />

di suscettibilità.<br />

Da questo punto di vista, il ruolo delle nuove discipline ‘omiche’<br />

nell’ambito della tossicologia industriale è ancora, in<br />

larga misura, confinato all’epidemiologia molecolare, che studia<br />

l’influenza delle differenze individuali dei geni codificanti<br />

gli enzimi del metabolismo di prima e seconda fase <strong>sul</strong>la dose<br />

biologicamente attiva degli xenobiotici, con lo scopo di prevedere,<br />

a parità di dose assorbita, il maggiore o minore rischio di<br />

comparsa di malattia associato al possesso, da parte del singolo<br />

soggetto, di geni che codificano enzimi con funzionalità ridotta<br />

o aumentata (tossicogenomica), ovvero, nei termini della tossicologia<br />

tradizionale, all’esistenza della suscettibilità individuale<br />

(3, 4). Nei termini della relazione globale tra la dose esterna<br />

(concentrazione ambientale dell’agente lesivo) e gli eventi ad<br />

essa causalmente correlati (intesi come dose interna biologica-<br />

mente efficace; entità / frequenza degli effetti biologici reversibili<br />

ed effetti dannosi conseguenti), il ricorso alla tossicogenomica<br />

può concorrere nel definire solo in parte l’entità della dose<br />

interna (approccio metabolomico), ma non la natura e l’entità<br />

delle modificazioni che, a livello individuale, l’esposizione<br />

all’agente chimico provoca nella fisiologia cellulare (approccio<br />

metabonomico).<br />

L’utilità di impiegare l’approccio metabonomico/metabolomico<br />

nella tossicologia industriale risiede nella possibilità di<br />

prendere in esame effetti multipli, derivanti dall’esposizione dell’organismo<br />

umano a stimoli di natura eterogenea, non necessariamente<br />

esprimibili in funzione di un singolo agente chimico caratterizzato<br />

in termini molecolari.<br />

Conclusioni<br />

Le peculiari caratteristiche dell’approccio metabolomico/metabonomico<br />

lo rendono applicabile ai numerosi problemi<br />

che il mutamento degli scenari lavorativi pone alla Medicina<br />

del Lavoro, caratterizzati più che dall’esigenza di prevenire gli<br />

effetti lesivi conseguenti all’esposizione a singoli xenobiotici<br />

di origine industriale o alle ‘basse dosi’ di agenti chimici dotati<br />

di proprietà cancerogene o neurotossiche, dalla necessità di<br />

promuovere la salute in collettività lavorative il cui invecchiamento<br />

fisiologico deve essere procrastinato dalla necessità di<br />

prolungare nel tempo il loro ruolo sociale. In questo caso, l’esposizione<br />

alle sostanze lesive è quella che consegue ai composti<br />

naturalmente originati dal metabolismo umano e della<br />

flora batterica simbionte nelle diverse condizioni determinate<br />

dagli eventi fisiologici del ciclo di vita umano, dalle abitudini<br />

di vita dei singoli soggetti e da condizioni lavorative stressanti<br />

o fisiologicamente anomale, quali il lavoro a turni, che la<br />

moderna organizzazione sociale rende inevitabili ed il cui ruolo<br />

nel mantenimento dello stato di salute è ora indagabile con<br />

approcci integrati e globali.<br />

Bibliografia<br />

1) Fiehn O. Metabolomics: the link between genotypes and phenotypes.<br />

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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 47<br />

C. Colosio1 , S Birindelli1 , L. Campo2 , S. Fustinoni2 , G. De Paschale3 , M. Tiramani1 , S. Visentin1 , M.Maroni1, 4<br />

<strong>Monitoraggio</strong> <strong>biologico</strong> dell’esposizione professionale a mancozeb<br />

in agricoltura<br />

1 International Centre for Pesticides and Health Risk Prevention, Azienda Ospedaliera L. Sacco, Polo Universitario, Milano<br />

2 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Milano<br />

3 Azienda Sanitaria Locale di Pavia<br />

4 Università degli Studi di Milano<br />

RIASSUNTO. Questo studio, condotto per misurare i livelli di<br />

escrezione urinaria di etilentiourea (ETU) in un gruppo di 46 agricoltori<br />

esposti a mancozeb e in 36 controlli, ha mostrato un incremento significativo<br />

della concentrazione urinaria di ETU nei campioni raccolti a fine<br />

turno (mediana: 10 µg/g creatinina). I livelli basali dei lavoratori e i controlli<br />

non hanno mostrato differenze, con valori mediani inferiori a 1 µg/g<br />

creatinina. Le esposizioni più elevate sono state osservate negli assistenti<br />

degli elicotteristi, negli addetti all’applicazione con trattore aperto e<br />

negli addetti al rientro.<br />

Parole chiave: mancozeb, etilentiourea urinaria, esposizione professionale<br />

ABSTRACT. BIOLOGICAL MONITORING OF OCCUPATIONAL EXPOSU-<br />

RE TO MANCOZEB IN AGRICULTURE. This study, carried out to measure the<br />

levels of urine excretion of ethylenethiourea (ETU) in a group of 46 agricultural<br />

workers exposed to mancozeb and 36 controls, has shown a statistically<br />

significant increase of ETU excretion in workers, after the<br />

workshift (median: 10 µg ETU/g creatinine); baseline determinations in<br />

workers and controls did not show any statistically significant difference,<br />

with median values less than 1 µg ETU/g creatinine. The highest levels<br />

of exposure were observed, respectively, in helicopter assistants, tractor<br />

applicators and re-entry workers.<br />

Key words: mancozeb, ethylenthiourea excretion, occupational exposure.<br />

Introduzione<br />

I fungicidi etilenbisditiocarbammati (EBDC) subiscono un<br />

metabolismo complesso, con principale produzione di etilentiourea<br />

(ETU), alla quale sono state attribuite, nel modello sperimentale,<br />

proprietà cancerogene e teratogene (1). Gli effetti<br />

cancerogeni sono conseguenti all’inibizione della sintesi di ormoni<br />

tiroidei, con iperincrezione di TSH e gozzo, talora evolvente<br />

in neoplasia (2). In lavoratori esposti sono state sporadicamente<br />

osservate alterazioni tiroidee, ma non neoplasie (2, 3).<br />

Recentemente, la IARC ha rivalutato l’ETU, trasferendola da<br />

classe 2B a classe 3, poiché gli effetti can-<br />

cerogeni osservati erano conseguenti ad<br />

una peculiare suscettibilità dei roditori e insorgevano<br />

solo per dosi gozzigene (2). Dato<br />

che l’ETU viene prevalentemente escreta<br />

con le urine, è stata proposta come indicatore<br />

per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />

ad EBDC (4, 5). Scopo dello<br />

studio è stato misurare i livelli di esposizione<br />

ad un EBDC, il mancozeb, di un gruppo<br />

di viticoltori dell’Oltrepò Pavese, impegnati<br />

in diverse mansioni tipiche.<br />

Materiali e metodi<br />

Lo studio è stato condotto su 46 viticoltori<br />

e 36 controlli. Tra i lavoratori, che prestavano<br />

la loro opera in 11 aziende agricole e<br />

4 basi di elicotteri, 2 svolgevano attività di pesatore, 18 erano trattoristi,<br />

18 addetti al rientro, e 8 erano elicotteristi (piloti e “uomini<br />

a terra”). Per ogni lavoratore è stato raccolto un campione di urine<br />

prima dell’inizio della campagna di applicazioni; un secondo campione<br />

è stato raccolto al mattino del giorno di lavoro successivo all’ultima<br />

applicazione della stagione, mentre un solo campione è<br />

stato raccolto nei soggetti di controllo. I campioni sono stati congelati<br />

subito dopo la raccolta. L’analisi è stata effettuata in GC-MS<br />

con detector ad impatto di elettroni (5), con limite di rilevabilità di<br />

0,5 µg/g creatinina. L’analisi statistica dei ri<strong>sul</strong>tati è stata realizzata<br />

utilizzando il programma “SPSS per Windows”.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />

Le concentrazioni urinarie di ETU a fine-turno erano significativamente<br />

più elevate sia rispetto ai campioni basali, sia rispetto<br />

ai controlli; questi ultimi non mostravano valori di concentrazione<br />

urinaria di ETU significativamente diversi da quelli basali<br />

dei lavoratori (Tabella I). I valori di escrezione urinaria di ETU<br />

(post esposizione), suddivisi per mansione, illustrati in Tabella II,<br />

mostrano che le mansioni comportanti i livelli di esposizione più<br />

elevati sono quelle di “uomo a terra”, assistente dell’elicotterista,<br />

e trattorista. Per quanto concerne quest’ultimo gruppo, l’elaborazione<br />

dei dati ha mostrato i livelli più elevati nei trattoristi che<br />

hanno fatto uso di trattori aperti, mentre i soggetti equipaggiati<br />

con trattore condizionato non hanno mostrato livelli di concentrazione<br />

urinaria di ETU più elevati dei controlli. Anche gli addetti<br />

ad attività di rientro sono ri<strong>sul</strong>tati esposti a mancozeb.<br />

Conclusioni<br />

L’indagine ha portato a conclusioni significative: in particolare,<br />

la concentrazione urinaria di ETU si conferma un buon in-<br />

Tabella I. Escrezione urinaria di ETU negli agricoltori e nei controlli<br />

(µg/g creatinina)<br />

Tabella II. Livelli di escrezione urinaria di ETU nei diversi gruppi di lavoratori,<br />

a fine turno (µg/g creatinina)


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

48 www.gimle.fsm.it<br />

dicatore di dose per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />

professionale ed ambientale a mancozeb, ed il suo impiego potrà<br />

a breve essere introdotto in attività di sorveglianza sanitaria condotte<br />

su base routinaria. Dati preliminari ottenuti da altri nostri<br />

studi suggeriscono che i valori di riferimento per questo indicatore<br />

possono essere indicativamente compresi tra 1,21 - 1,54 µg/g<br />

creatinina (95%, intervallo di confidenza), con valori al 95° percentile<br />

di 3,84-6,2 µg/g creatinina (95%, intervallo di confidenza).<br />

Le attività di applicazione di antiparassitari connesse alla<br />

coltura della vite comportano esposizione dei lavoratori addetti.<br />

Tra questi, l’”uomo a terra” che assiste l’elicotterista preparando<br />

le miscele, mostra i livelli di esposizione più elevati. Tale dato<br />

può essere attribuito all’elevato numero di miscelazioni effettuato<br />

in una giornata ed all’impiego di miscele più concentrate rispetto<br />

a quelle destinate all’applicazione a terra. Per quanto concerne<br />

i trattoristi, i livelli di esposizione dipendono in modo pressoché<br />

esclusivo dal tipo di trattore impiegato, ri<strong>sul</strong>tando non significativamente<br />

diversi da quelli dei controlli negli utilizzatori<br />

di trattore chiuso e condizionato. Anche gli addetti alle attività di<br />

rientro possono essere esposti: tale dato indica la necessità di verificare<br />

con attenzione i tempi di rientro, e di dotare questi soggetti<br />

di guanti protettivi. I dati raccolti da questa indagine po-<br />

tranno essere utilizzati nella definizione di “profili di esposizione/rischio”<br />

per i viticoltori.<br />

Bibliografia<br />

1) Lyman WR, Lacoste RJ, New developments in the chemistry and fate<br />

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4) Colosio C., Fustinoni S:, S., Bonomi I., De Paschale G., Mammone<br />

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workers. Toxicol Lett, 2002; 134, 133-140.<br />

5) Fustinoni S, Campo L, Colosio C, Birindelli S, Foà V. A gas chromatography/mass<br />

spectrometry method for the determination of urinary<br />

ethylenethiourea in humans. (Sottoposto per pubblicazione a:<br />

Journal of Chromatography B).<br />

A. Cristaudo 1 , R. Foddis 1 , A. Vivaldi 1 , R. Buselli 1 , V. Gattini 1 , G. Guglielmi 1 , F. Cosentino 1 , F. Ottenga 1 , E. Ciancia 2 ,<br />

R. Libener 3 , R. Filiberti 4 , M. Neri 4 , P.G. Betta 3 , M. Tognon 6 , L. Mutti 5 , R. Puntoni 4<br />

Studio del ruolo combinato dell’amianto e di SV40 nella patogenesi<br />

del mesotelioma maligno<br />

1 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e Traumatologia, Medicina del Lavoro, Università di Pisa<br />

2 Servizio di Anatomia Patologica, Ospedale S.Chiara, Pisa<br />

3 Dipartimento di Oncologia, unità di Patologia, Azienda Sanitaria Ospedaliera, Alessandria<br />

4 Istituto Nazionale per la Ricerca <strong>sul</strong> Cancro, Unità Epidemiologia ambientale, Genova<br />

5 Ospedale S.Pietro e Paolo, ASL 11 Borgosesia e S.Maugeri Fondazione di Ricerca e Cura, Pavia<br />

6 Dipartimento di Morfologia e Embriologia, Sezione di Istologia ed Embriologia, Università di Ferrara<br />

RIASSUNTO. Sono riportati i dati preliminari di uno studio casocontrollo<br />

condotto su 11 mesoteliomi maligni (MMs) e 18 uroteliomi della<br />

vescica (BUs). Sequenze di DNA del Simian Virus 40 (SV40) sono state<br />

riscontrate in 7 MMs (63,6%) e in 6 BUs (33,3%). Una esposizione ad<br />

amianto è stata accertata in 8 pazienti con MM (72,7%) ed in 4 con BU<br />

(22,2%). Nel nostro studio, l’associazione tra SV40 e MM ri<strong>sul</strong>tava positiva<br />

quando valutata nell’ambito dell’intera popolazione in studio (OR<br />

9,0; CL 0,5-143,8), ma non quando era valutata tra i pazienti senza esposizione<br />

ad amianto (OR 0,9; CL 0,06-12,5). L’associazione tra amianto ed<br />

MM era chiaramente positiva se valutata nell’intera popolazione in studio<br />

(OR 9,3; CL 1,6-52,7). La forza di tale associazione era ancora più alta<br />

se valutata nel gruppo dei pazienti SV40 positivi (30,0; CL 1,4-611,8).<br />

I ri<strong>sul</strong>tati del nostro studio suggeriscono che l’SV40 giuochi un ruolo come<br />

cofattore dell’amianto nella patogenesi del MM.<br />

Parole chiave: SV40, asbesto, mesotelioma maligno.<br />

ABSTRACT. STUDY OF THE COMBINED ROLE OF ASBESTOS AND<br />

SV40 IN THE PATHOGENESIS OF MALIGNANT MESOTHELIOMA. The preliminary<br />

re<strong>sul</strong>ts of a case-control study on asbestos exposure and SV40 in<br />

11 malignant mesotheliomas (MMs) and 18 bladder urotheliomas (BUs)<br />

are reported. SV40 DNA was found in 7 (63.6%) MMs and in 6 (33.3%)<br />

BUs. A history of asbestos exposure was established in the cases of 8 MM<br />

patients (72.7%) and 4 BU patients (22.2%). In our small scale study,<br />

SV40 was positively associated with MMs from asbestos-exposed patients<br />

(OR 9.0, CL 0.5-143.8), but not with MMs from patients without<br />

asbestos exposure (OR 0.9, CL 0.06-12.5). The association between asbestos<br />

and MM in the whole population under study was clearly positive<br />

(OR 9.3, CL 1.6-52.7) and the strength of the association was higher<br />

when evaluated for SV40-positive MMs (30.0, CL 1.4-611.8). Our study<br />

suggests that SV40 plays a role as a co-factor with asbestos in MM pathogenesis.<br />

Key words: SV40, asbestos, malignant mesothelioma.<br />

Introduzione<br />

Nonostante la frequente associazione con una pregressa<br />

esposizione ad asbesto, il cui ruolo eziopatogenetico è indiscusso,<br />

solo una relativamente piccola frazione di esposti sviluppa un<br />

mesotelioma maligno (MM) (1). Questa osservazione associata<br />

alla tipica lunga latenza (2) del MM suggeriscono, così come per<br />

molti altri tumori, un’evoluzione multistadiale ed una patogenesi<br />

multifattoriale.<br />

Negli ultimi anni, numerosi sono stati gli studi mirati ad individuare<br />

potenziali co-fattori dell’asbesto. L’individuazione di<br />

fattori di rischio che possano identificare più precisamente gruppi<br />

di persone a maggior probabilità di sviluppare un MM sia nell’ambito<br />

degli ex esposti ad amianto, che rappresentano sicuramente<br />

la maggior parte dei soggetti a rischio, ma anche nel gruppo<br />

dei non esposti che pure svilupperanno un MM è divenuto l’obiettivo<br />

di diversi gruppi di ricerca.<br />

Da circa dieci anni un virus chiamato Simian Virus 40<br />

(SV40) si è guadagnato credibilità scientifica come potenziale


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 49<br />

agente co-cancerogeno dell’amianto (3-6). SV40 è un virus a<br />

DNA appartenente ai Polyomavirus, sottogruppo della famiglia<br />

Papovavirus. Il suo genoma codifica due oncoproteine, il Large T<br />

antigen (Tag) e lo Small t antigen (tag), che sono responsabili di<br />

numerose attività intracellulari orientate verso la perdita del controllo<br />

cellulare e l’acquisizione di una capacità replicativa tipica<br />

dei fenotipi tum<strong>orali</strong>. Sebbene l’ospite naturale del virus SV40<br />

sia la scimmia, la presenza del virus è stata dimostrata anche nella<br />

specie umana, in alcuni tumori ed in misura minore, in portatori<br />

sani. Numerose sono le evidenze biologiche a favore di un<br />

ruolo eziopatogenetico dell’SV40 nello sviluppo del MM (biologia<br />

molecolare e esperimenti su animali) (3,7,8). L’epidemiologia<br />

classica, invece, non ha ad oggi fornito dati univoci <strong>sul</strong> ruolo dell’SV40.<br />

Alcune difficoltà intrinseche all’argomento come la lunga<br />

latenza naturale della malattia e l’inevitabile imprecisione nella<br />

definizione dei soggetti esposti ad SV40, <strong>sul</strong>la base di un presunto<br />

contatto con vaccini contaminati dal virus possono spiegare<br />

i ri<strong>sul</strong>tati di questi studi.<br />

Il presente lavoro presenta i ri<strong>sul</strong>tati di uno studio basato su<br />

un approccio combinato di epidemiologia biomolecolare mirato a<br />

valutare l’associazione fra esposizione ad amianto e SV40 nel determinismo<br />

del MM.<br />

Materiali e metodi<br />

Sono stati reclutati 11 casi di MM (37,9%) e 18 controlli di<br />

urotelioma (62,1%) della vescica (BU). Casi e controlli non differivano<br />

significativamente per età media alla diagnosi (69,2 anni,<br />

DS +/- 12,9 per i casi; 71,3 anni, DS +/- 9,2 per i controlli),<br />

né per distribuzione di sesso: i casi erano 8 maschi (72,7%) e 3<br />

femmine (27,3%) ed i controlli erano 15 maschi (83,3%) e 3<br />

femmine (16,7%). Il protocollo per l’estrazione del DNA, l’amplificazione<br />

di un segmento della regione regolatrice (R.Reg.) virale<br />

e le metodiche di visualizzazione dell’amplificato sono descritte<br />

in letteratura (9).<br />

Informazioni dettagliate su esposizioni occupazionali o non<br />

ad asbesto sono state acquisite attraverso un questionario specifico<br />

somministrato telefonicamente ai pazienti, quando possibile, o<br />

a stretti familiari, qualora il paziente fosse deceduto. La classificazione<br />

dell’esposizione ad amianto è stata effettuata in accordo<br />

con i criteri adottati da alcuni Registri Regionali del Mesotelioma<br />

ed approvati dall’ISPESL. Attraverso l’elaborazione statistica<br />

è stata valutata sia indipendente che in combinazione l’associazione<br />

tra amianto/SV40 ed il MM (software statistico EpiInfo<br />

versione 3.2, CDC, Atlanta, USA).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

La Tabella I riporta la numerosità dei MM e dei BU nei casi<br />

considerati, in presenza o in assenza rispettivamente di SV40 e<br />

dell’esposizione ad amianto. La tabella<br />

riporta inoltre l’OR calcolato<br />

<strong>sul</strong>l’associazione fra Sv40 e amianto<br />

nei MM rispetto ai BU.<br />

Dalla Tabella I si nota che sequenze<br />

di DNA della Regione Regolatrice<br />

di SV40 sono state riscontrate<br />

in 7 MM (63,6%) e in 6 BU (33,3%).<br />

Una esposizione ad amianto è stata<br />

accertata in 8 pazienti con MM<br />

(72,7%) ed in 4 con BU (22,2%). Nel<br />

nostro studio, l’associazione tra SV40<br />

e MM ri<strong>sul</strong>tava positiva quando valutata<br />

nell’ambito dell’intera popola-<br />

zione in studio (OR 9.0; CL 0,5-143,8), ma non quando era valutata<br />

tra i pazienti senza esposizione ad amianto (OR 0,9; CL 0,06-<br />

12,5). L’associazione tra amianto ed MM era chiaramente positiva<br />

se valutata nell’intera popolazione in studio (OR 9,3; CL 1,6-<br />

52,7). La forza di tale associazione era ancora più alta se valutata<br />

nel gruppo dei pazienti SV40 positivi (OR 30,0; CL 1,4-611,8).<br />

Discussione e Conclusioni<br />

L’amianto è indiscutibilmente il principale fattore eziologico<br />

del MM. Fino ad oggi, il ruolo dell’SV40 non è mai stato<br />

confermato da dati epidemiologici. Dal 1994 più di 50 laboratori<br />

indipendenti in vari paesi del mondo hanno riportato la presenza<br />

di SV40 in campioni di MM e dato conferme <strong>sul</strong> ruolo<br />

dello stesso nella patogenesi del MM. Alcuni degli autori del<br />

presente lavoro sono stati i primi in Europa a riscontrare DNA<br />

virale nei MM. La misura (o quantificazione) di una associazione<br />

rappresenta un passo importante nell’investigazione <strong>sul</strong><br />

rapporto patogenetico di un fattore con una malattia. L’O.R.<br />

rappresenta una buona stima del rischio relativo e quindi dell’associazione<br />

fra i fattori causali o concausali ed un tumore negli<br />

studi caso-controllo, soprattutto quando si tratta di una malattia<br />

particolarmente rara.<br />

Il presente lavoro per la prima volta ha permesso di valutare<br />

l’apporto eziologico di SV40 come cofattore dell’amianto. I ri<strong>sul</strong>tati<br />

della nostra ricerca suggeriscono che l’SV40 non abbia un<br />

ruolo causale diretto nella patogenesi del MM, bensì svolga un<br />

ruolo di fattore concausale in grado di rafforzare notevolmente il<br />

rischio di sviluppare un MM tra i soggetti che abbiano avuto<br />

un’esposizione ad amianto. Molti aspetti della presente ricerca, a<br />

partire dalla numerosità del campione studiato, permettono di<br />

considerare i dati dello studio solo come preliminari. Ciò non toglie<br />

valore ed importanza ai ri<strong>sul</strong>tati ottenuti e richiama la necessità<br />

di approfondire lo ricerca <strong>sul</strong>l’interazione tra SV40 ed<br />

amianto.<br />

Ringraziamenti<br />

Questo lavoro è stato finanziato dall’ISPESL. Ringraziamenti per<br />

l’aiuto fornito vanno alla Unità di Epidemiologia Occupazionale ed Ambientale<br />

del CSPO di Firenze.<br />

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Tabella I. Numerosità dei MM e dei BU in rapporto a SV40 e all’esposizione<br />

all’asbesto e relativi OR


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

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2 Dipartimento di Scienze Fisiologiche e Farmacologiche, Università degli Studi di Pavia<br />

3 Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Università degli Studi di Pavia<br />

RIASSUNTO. È stato caratterizzato il ruolo di ossido nitrico (NO),<br />

polipeptide intestinale vasoattivo (VIP), ATP e monossido di carbonio<br />

(CO) nel rilasciamento neuromediato indotto dalla stimolazione elettrica<br />

di campo nella trachea isolata di cavia, valutando le risposte di rilasciamento<br />

prima e dopo il trattamento con inibitori della sintesi o dell’azione<br />

di ciascun mediatore. È stato mostrato un ruolo significativo e quantitativamente<br />

simile del NO e della componente purinergica. Non è stato evidenziato<br />

un ruolo significativo di mediatori peptidici. Il ruolo del CO è<br />

stato evidenziato solo in presenza di blocco delle altre componenti della<br />

risposta. In conclusione, oltre i mediatori considerati più importanti, almeno<br />

altri due mediatori, tra cui l’ATP, o altra sostanza purino-simile, e<br />

il CO, sono implicati nel rilasciamento NANC della trachea di cavia.<br />

Parole chiave: neurotrasmettitori, trachea di cavia, rilasciamento<br />

delle vie aeree.<br />

ABSTRACT. NEUROTRANSMITTERS IN THE AIRWAYS: PHARMACO-<br />

LOGICAL CHARACTERIZATION OF THE NON- ADRENERGIC NON-CHOLINER-<br />

GIC INIBITORY SYSTEM IN GUINEA-PIG TRACHEA. In order to characterize<br />

the role of nitric oxide (NO), vasoactive intestinal peptide (VIP), ATP and<br />

carbon monoxide (CO) in the neurally mediated EFS-induced relaxation<br />

of isolated guinea-pig trachea, we evaluated the relaxing responses before<br />

and after treatment with known blockers of either synthesis or action<br />

of each mediator. The role of NO and ATP was shown to be both significant<br />

and similar. Peptide mediators did not show a significant role. The<br />

role of CO was shown only incases of blockage of the other mediators. In<br />

conclusion, apart from the most well-known mediators, at least two other<br />

mediators, i.e. ATP, or a related purine, and CO, are involved in the<br />

NANC relaxation of guinea-pig trachea.<br />

Key words: neurotrasmitters, guinea-pig trachea, airway relaxation.<br />

Introduzione<br />

Il controllo nervoso non adrenergico, non colinergico<br />

(NANC) regola in maniera importante il tono delle vie aeree (1,<br />

2). Il monossido di azoto (NO) e il polipeptide intestinale vasoattivo<br />

(VIP) sono considerati i principali neurotrasmettitori<br />

delle risposte inibitorie NANC (2, 4). In altri apparati viene attribuito<br />

tale ruolo anche a ATP (5, 7) e monossido di carbonio (CO)<br />

(8, 9), quest’ultimo noto per indurre broncodilatazione in vivo<br />

(10). Il CO è prodotto nei neuroni dalla eme-ossigenasi 2 (HO-2)<br />

(11) e agisce <strong>sul</strong> muscolo liscio attraverso il sistema della guanilato<br />

ciclasi solubile intracellulare (GCS) (10).<br />

Scopo di questo studio è stato di caratterizzare il ruolo di NO,<br />

VIP, ATP e CO nel rilasciamento neuromediato indotto dalla stimolazione<br />

elettrica di campo nella trachea di cavia.<br />

Materiali e metodi<br />

Preparati in toto di trachea di cavia sono stati mpolipeptide<br />

intestinale vasoattivoontati in un bagno termostatato e ossigenato<br />

e stimolati con treni di impulsi a frequenze da 3 a 10<br />

Hz, in presenza di ioscina. Le risposte di rilasciamento, misurate<br />

come diminuzioni della pressione intratracheale, sono state<br />

valutate prima e dopo il trattamento in vitro con le seguenti<br />

sostanze: alfa-chimotripsina (2 U/ml), che inattiva i mediatori<br />

peptidici, L-NAME (10 -4 M), un inibitore della sintesi di<br />

NO, suramina (10 -4 M), un antagonista dei recettori purinergici,<br />

apamina (10 -7 M), un bloccante dei canali Ca 2+ -dipendenti<br />

del potassio, attivati dall’ATP, zinco-protoporfirina IX (ZnPP<br />

IX) (10 -5 M), un inibitore della HO-2, e 1H-[1,2,4]oxadiazolo-[4,3-a]quinoxalin-1-one<br />

(ODQ) (10 -5 M), un inibitore della<br />

GCS. L’analisi statistica è stata effettuata mediante analisi<br />

della varianza a una e a due vie e mediante test t di Student per<br />

dati appaiati.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Il trattamento con L-NAME, apamina e ODQ, somministrati<br />

singolarmente, ha ridotto (p


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 51<br />

Discussione e Conclusioni<br />

La riduzione dei rilasciamenti causata da L-NAME e apamina<br />

mostra un ruolo significativo e quantitativamente simile del NO e<br />

della componente purinergica nel rilasciamento neuromediato indotto<br />

dalla stimolazione elettrica di campo nella trachea di cavia. La<br />

componente dovuta al NO appare quantitativamente meno importante<br />

di quanto descritto in precedenza (2, 3) nella stessa specie. Non<br />

sono state invece evidenziate significative componenti dovute a mediatori<br />

peptidici, come mostrato dall’inefficacia dell’alfa-chimotripsina.<br />

Il ruolo della via dipendente dalla HO-2 è stato messo in luce<br />

solo in presenza di blocco delle altre componenti della risposta inibitoria.<br />

Il mediatore implicato è verosimilmente il CO, come suggerito<br />

dai dati <strong>sul</strong> trattamento combinato con ZnPP IX e con ODQ.<br />

I nostri dati mostrano che il sistema NANC inibitorio nella<br />

trachea di cavia è formato da due componenti principali, identificate<br />

dalla loro sensibilità all’ODQ o all’apamina: una ha come<br />

neurotrasmettitori NO e CO e come secondo messaggero intracellulare<br />

il GMPc, l’altra agisce attraverso l’attivazione di canali<br />

ionici ed ha come neurotrasmettitore un derivato purinico. Una<br />

terza componente, comprendente agenti che abbiano come secondo<br />

messaggero intracellulare l’AMPc, cioè soprattutto VIP e<br />

peptidi correlati, non ha mostrato di avere un ruolo significativo<br />

nel nostro modello sperimentale.<br />

In conclusione, il presente studio mostra che, oltre i mediatori<br />

considerati più importanti, almeno altri due mediatori, tra cui<br />

l’ATP, o altra sostanza purino-simile, e il CO, sono implicati nel<br />

rilasciamento NANC della trachea di cavia. Il CO appare avere<br />

un ruolo in condizioni che riducano l’efficienza delle altre vie di<br />

controllo inibitorio.<br />

Questi dati contribuiscono a chiarire il funzionamento di un<br />

sistema fondamentale di controllo del tono delle vie aeree. Ulteriori<br />

studi potranno valutare un eventuale coinvolgimento differenziale<br />

delle componenti identificate del sistema NANC inibitorio<br />

in condizioni patologiche.<br />

Bibliografia<br />

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Impiego della cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria<br />

di massa per la definizione di valori di riferimento di metaboliti di<br />

solventi in campioni biologici: acido mandelico e acido fenilgliossilico<br />

1 Centro Studi e Ricerche ISPESL, Università di Parma<br />

2 Laboratorio di Tossicologia Industriale, Dip. di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione, Università degli Studi di Parma<br />

RIASSUNTO. Le concentrazioni degli acidi mandelico (AM) e fenilgliossilico<br />

(AFG) sono state determinate nei campioni di urina di 129<br />

soggetti sani non professionalmente esposti a stirene mediante cromatografia<br />

liquida accoppiata alla spettrometria di massa tandem. Le distribuzioni<br />

dei metaboliti dello stirene sono ri<strong>sul</strong>tate essere log-normali, con<br />

medie geometriche (e deviazioni standard geometriche) pari a 0,443<br />

(2,33) e 0,107 (3,49) mg/g creatinina rispettivamente per AM e AFG. Gli<br />

intervalli di riferimento stimati per AM e AFG sono ri<strong>sul</strong>tati rispettivamente<br />

0,084-2,339 e 0,009-1,238 mg/g creatinina.<br />

Parole chiave: acido mandelico, acido fenilgliossilico, valori di riferimento,<br />

cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa.<br />

ABSTRACT. USE OF LIQUID CHROMATOGRAPHY-TANDEM MASS<br />

SPECTROMETRY TO DETERMINE REFERENCE VALUES FOR METABOLITES OF<br />

SOLVENTS IN BIOLOGICAL SAMPLES: MANDELIC ACID AND PHENYL-<br />

GLYOXYLIC ACID. Urinary levels of mandelic acid (MA) and phenyl-<br />

glyoxylic acid (PGA) were determined by liquid chromatography-tandem<br />

mass spectrometry in samples from 129 healthy Italian subjects, not occupationally<br />

exposed to styrene (67 men, 37% smokers). The distribution<br />

of styrene metabolites was log-normal. The geometric means (and geometric<br />

standard deviations) of MA and PGA concentrations were 0.443<br />

mg/g creatinine (GSD, 2.34) and 0.107 (GSD 3.49) mg/g creatinine, respectively.<br />

The reference intervals estimated for MA and PGA were<br />

0.084-2.339 and 0.009-1.238 mg/g creatinine, respectively.<br />

Key words: mandelic acid, phenylglyoxylic acid, reference values,<br />

liquid chromatography-tandem mass spectrometry.<br />

Introduzione<br />

Il largo impiego dello stirene nella produzione della gomma<br />

sintetica e di molteplici polimeri e copolimeri, rende probabile


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

52 www.gimle.fsm.it<br />

un’esposizione al solvente della popolazione<br />

generale. In effetti, in alcune città<br />

europee, sono state rilevate concentrazioni<br />

atmosferiche di stirene non trascurabili<br />

più elevate negli ambienti interni<br />

(0,771 µg/m 3 ) rispetto all’esterno (0,296<br />

µg/m 3 ) (1). Le informazioni relative ai<br />

valori di riferimento dei due metaboliti<br />

principali dello stirene, gli acidi mandelico<br />

(AM) e fenigliossilico (AFG), sono<br />

però scarse a causa dell’insufficiente sensibilità e selettività delle<br />

tecniche analitiche comunemente utilizzate per il monitoraggio<br />

<strong>biologico</strong> dell’esposizione a stirene. Negli anni Ottanta, Elia e<br />

coll. (2) hanno trovato in 34 soggetti della popolazione generale<br />

una concentrazione media di AM di 3,8 mg/g creatinina, determinabile<br />

però solo nel 22% dei casi. Mürer e coll. (3) hanno successivamente<br />

rilevato su 59 soggetti concentrazioni di AM inferiori<br />

al limite di rivelazione (LR, 11 mg/l) nell’80% dei campioni,<br />

con un valor medio di 7,3 mg/g creatinina; negli stessi campioni,<br />

l’AFG è ri<strong>sul</strong>tato inferiore al LR (5,2 mg/l) nel 66% dei casi,<br />

con un valore medio di 4,3 mg/g creatinina. Recentemente,<br />

l’impiego della cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria<br />

di massa tandem (LC-MS/MS) ha permesso di caratterizzare<br />

l’escrezione di metaboliti coniugati dello stirene nell’uomo, consentendo<br />

inoltre un notevole miglioramento in termini di sensibilità<br />

nella determinazione dei metaboliti principali (4). Scopo del<br />

presente lavoro era l’applicazione di tecniche analitiche basate<br />

<strong>sul</strong>la spettrometria di massa per la determinazione delle concentrazioni<br />

urinarie di metaboliti di solventi organici, quali lo stirene,<br />

nella popolazione generale.<br />

Materiali e metodi<br />

Soggetti. Il gruppo in studio era costituito da 129 soggetti sani<br />

(67 maschi), di età media 39,1 ± 10,7 anni, non professionalmente<br />

esposti a stirene, reclutati come gruppo di controllo di una<br />

popolazione di addetti alla realizzazione di manufatti in materiale<br />

plastico rinforzato con fibra di vetro. A ciascun soggetto è<br />

stato chiesto di completare un questionario per la raccolta di<br />

informazioni riguardanti sesso, età, abitudine al fumo, consumo<br />

di alcool e di farmaci. Dei soggetti in esame, 48 erano fumatori<br />

e rappresentavano il 42% dei maschi ed il 36% delle femmine,<br />

mentre 72 dichiaravano di bere almeno un bicchiere di vino al<br />

giorno. Il protocollo dello studio è stato approvato dal locale Comitato<br />

Etico.<br />

<strong>Monitoraggio</strong> <strong>biologico</strong>. I metaboliti principali dello stirene<br />

(AM e AFG) sono stati determinati mediante cromatografia liquida<br />

accoppiata alla spettrometria di massa tandem (LC-<br />

MS/MS) (3) su campioni estemporanei di urina (10 ml) raccolti<br />

tra le 8:00 e le 9:00 del mattino. Il LR della tecnica ottenuto nella<br />

modalità più sensibile e selettiva, denominata “selected reaction<br />

monitoring” (SRM) è ri<strong>sul</strong>tato essere 0,010 mg/l per entrambi<br />

gli analiti. L’imprecisione analitica è ri<strong>sul</strong>tata essere<br />

120) ed<br />

alla loro distribuzione log-normale, i dati sono stati trattati applicando<br />

test parametrici per la stima dei frattili. È stata scelta la<br />

frazione centrale (0,95), poiché tutte le determinazioni cadevano<br />

al di sopra dello “zero analitico”. I valori di riferimento (limiti superiori)<br />

deteminati in questo modo per AM e AFG sono ri<strong>sul</strong>tati<br />

di circa 20 volte più bassi rispetto a quelli proposti 10 anni fa da<br />

Mürer e coll. per la popolazione danese (3)(31 µmol/mol creatinina<br />

e 20 µmol/mol creatinina), stimati su un numero limitato di<br />

campioni ed applicando test non parametrici (intervallo di tolleranza<br />

unilaterale).<br />

Conclusione<br />

I ri<strong>sul</strong>tati del presente studio dimostrano come l’applicazione<br />

della cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa<br />

possa essere di rilevante utilità non solo per una migliore caratterizzazione<br />

di esposizioni professionali a basse concentrazioni<br />

ma anche nella determinazione dei valori di riferimento per i<br />

metaboliti di solventi organici.<br />

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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 53<br />

G.F. Desogus 1 , S. Fois 2 , R. Carta 2 , R. Cantone 3 , C. Usai<br />

<strong>Monitoraggio</strong> ambientale e <strong>biologico</strong> dell’esposizione lavorativa<br />

ad anestetici volatili<br />

1 Servizio Qualità, Ambiente e Sicurezza, Azienda USL 7 di Carbonia<br />

2 Servizio Medico competente, Azienda USL 7 di Carbonia<br />

3 Direzione sanitaria, Azienda USL 7 di Carbonia<br />

RIASSUNTO. 56 addetti di sala operatoria sono stati sottoposti a<br />

studio tossicologico e sorveglianza sanitaria per il rischio da esposizione<br />

ad anestetici volatili. Lo studio include l’acquisizione di dati clinicoanamnestici<br />

relativi alla patologia renale, epatica, emopoietica e a livello<br />

del SNC e un monitoraggio ambientale e <strong>biologico</strong>. L’analisi dei ri<strong>sul</strong>tati<br />

non dimostra una significativa alterazione dei parametri ematochimici<br />

e dei test neurocomportamentali tra esposti a gas anestetici e controlli.<br />

Nell’esposizione lavorativa ad anestetici volatili diventa una necessità<br />

sperimentare nuovi metodi di valutazione per una corretta ponderazione<br />

del rischio residuo.<br />

Parole chiave: anestetici volatili, monitoraggio ambientale, biomonitoraggio.<br />

ABSTRACT. ENVIRONMENTAL AND BIOLOGICAL MONITORING OF<br />

OCCUPATIONAL EXPOSURE TO VOLATILE ANAESTHETICS. Fifty six operating<br />

theater staff were recruited for a toxicological and health surveillance<br />

study aimed at assessing the risk of exposure to volatile anaesthetics. The<br />

study also aimed to obtain clinical-anamnestic data related to renal, liver,<br />

haematopoietic and central nervous system disorders as well as to conduct<br />

environmental and biological monitoring. The analysis of the re<strong>sul</strong>ts<br />

shows no significant differences in the re<strong>sul</strong>ts of the parameters and of the<br />

neurobehavioural tests among exposed workers and controls. In assessing<br />

the health impact of occupational exposure to volatile anaesthetics, it is<br />

necessary to try out new methods of evaluation of the residual risk.<br />

Key words: volatile anaesthetics, environmental monitoring, biomonitoring.<br />

Introduzione<br />

L’esposizione ad anestetici volatili è un potenziale rischio<br />

per gli addetti alla sala operatoria, essendo note alterazioni a li-<br />

vello del SNC (alterazione dei test neurocomportamentali),<br />

del sistema linfoemopoietico<br />

(ridotta sintesi midollare dei leucociti),<br />

del fegato (aumento di SGOT, SGPT e<br />

γ-GT) e del rene (modifica dei meccanismi<br />

di riassorbimento tubulare) (1, 2, 3, 4). Gli<br />

anestetici volatili hanno un coefficiente di<br />

ripartizione influenzato dalla temperatura,<br />

dall’età e da costituenti plasmatici che formano<br />

legami con i gruppi polari di proteine<br />

ematiche, in particolare con l’albumina. In<br />

questo studio si analizzano gli effetti dell’esposizione<br />

a gas anestetici (N 2 O, sevoflurane,<br />

desflurane) <strong>sul</strong>la funzione emopoietica,<br />

renale ed epatica in lavoratori<br />

esposti professionalmente.<br />

Metodi<br />

Il campione esaminato era costituito da<br />

35 esposti, Gruppo A [anestesisti e chirurghi:<br />

28 maschi (età media: 47 ± 5 anni;<br />

A.L. 15 ± 6 anni), 17 femmine (e.m.: 43 ±<br />

4; A.L. 11 ± 7)] e 11 non esposti, Gruppo<br />

B [medici di reparto: 8 maschi (età media: 44 ± 6; A.L. 6 ± 5),<br />

3 femmine (età media: 44 ± 5; A.L. 12 ± 7)]. Nei periodi corrispondenti<br />

alla fascia A (periodo di esposizione 1998-2000) e B<br />

(2001-2004, dopo attuazione di misure di adeguamento di componenti<br />

impiantistiche ed organizzative) è stato eseguito un monitoraggio<br />

ambientale degli anestetici volatili con l’uso di un<br />

Monitor analizzatore automatico Pollution 2002P (metodo gascromatografico<br />

e rilievo in tempo reale di TLV-TWA). Ogni lavoratore<br />

è stato sottoposto a visita medica e prelievo ematico<br />

per l’analisi di specifici indicatori di funzionalità epatica<br />

(SGOT, SGPT, γ-GT), renale (creatinemia, azotemia) ed esame<br />

emocromocitometrico e delle sieroproteine e sono rilevati i sintomi<br />

soggettivi di tipo neurocomportamentale. I ri<strong>sul</strong>tati sono<br />

stati espressi come medie e deviazioni standard, eseguendo test<br />

di significatività statistica (p < 0.05).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

I dati ambientali sono riportati nella Tabella I.<br />

L’analisi dei dati evidenzia una riduzione significativa dei<br />

livelli ambientali di N 2 O ed alogenati volatili nella fascia B,<br />

così come l’indice di rischio, espressione del rapporto tra<br />

esposizione ponderata e limite ambientale. Dai dati del monitoraggio<br />

<strong>biologico</strong>, riportati nella Tabella II, non si evidenziano<br />

variazioni significative tra esposti e controlli specificatamente<br />

per i test di funzionalità renale ed epatica. I parametri<br />

ematochimici e i livelli ematici delle proteine e albumina rientrano<br />

nei limiti fiduciali della popolazione per entrambi i<br />

gruppi in esame.<br />

Tabella I. Tipologia del campione e dati del monitoraggio ambientale<br />

degli anestetici volatili<br />

Tabella II. Dati del monitoraggio <strong>biologico</strong> negli esposti ad anestetici volatili


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

54 www.gimle.fsm.it<br />

L’analisi dei sintomi soggettivi legati a disturbi neurocomportamentali<br />

(tremori muscolari, capogiri, insonnia, inappetenza,<br />

bocca amara, digestione lenta, disturbi del ritmo cardiaco e dell’attenzione,<br />

cefalea, sonnolenza, astenia, vertigini, irritabilità,<br />

depressione), riportati nella tabella III, mostra una inversione significativa<br />

del quadro clinico correlato all’esposizione lavorativa<br />

nella fascia B e una riduzione dell’indice di rischio relativo.<br />

Discussione<br />

Tabella III. Sintomi soggettivi legati ad esposizione professionale<br />

ad anestetici volatili<br />

Nessun effetto nocivo rilevante è stato osservato a carico della<br />

funzionalità epatica, renale, a livello del SNC, per esposizione<br />

ambientale a gas anestetici. Ciò non esclude l’impegno a ridurre<br />

i fattori di rischio residui, anche con la sperimentazione di nuove<br />

sostanze e l’uso di migliori tecniche anestesiologiche. Un approccio<br />

corretto per caratterizzare il rischio associato all’esposizione<br />

ad anestetici deve tener conto del principio di additività<br />

d’esposizione, per azione di diversi agenti <strong>sul</strong>lo stesso sito con<br />

meccanismi tossicocinetici simili e così gli effetti si sommano in<br />

relazione a specifici rapporti di conversione nell’ambito di una<br />

stessa relazione dose-risposta.<br />

Nella stima dell’indice di rischio HI,<br />

funzione dell’additività e proporzionalità di<br />

esposizione di N 2 O ed alogenati volatili, è<br />

necessario integrare i parametri di altri inquinanti<br />

aerodispersi per essere rappresentativo<br />

del metodo di caratterizzazione dei rischi<br />

associati all’esposizione. Un obiettivo<br />

scientifico è lo studio dei processi d’interazione<br />

tra le diverse sostanze impiegate che ci<br />

permette di modificare il calcolo di HI con<br />

l’introduzione di fattori di sicurezza rappresentativi dell’incertezza<br />

complessiva dei metodi e della significatività degli effetti tossicologici<br />

dei componenti della miscela utilizzata in anestesia. È<br />

evidente come le condizioni operative ed ambientali presenti nelle<br />

sale operatorie rende difficile una valutazione del nesso di causalità<br />

che, invece, deve basarsi <strong>sul</strong>l’applicazione di metodi di analisi<br />

standardizzati per ridurre distorsioni o confondimenti.<br />

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The effects of sevoflurane on serum creatinine and blood urea nitrogen<br />

concentrate. Anesth Analg 2000; 90: 683-688.<br />

L. Di Giampaolo 1 , P. Travaglini 1 , A. D’Intino 1 , I. Di Zio 1 , M. Di Gioacchino 1 , M. L. Castellani 2 , M. Reale 2 , P. Boscolo 1<br />

Modulazione di selenio, zinco e rame su effetti immunotossici<br />

del cadmio<br />

1 Sezione di Medicina del Lavoro, Allergologia ed Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università<br />

“G. D’Annunzio”, Chieti<br />

2 Dipartimento di Neuroscienze ed Oncologia, Università “G. D’Annunzio”, Chieti<br />

RIASSUNTO. Questo studio ha lo scopo di valutare gli effetti del<br />

Cd <strong>sul</strong>la proliferazione cellulare ed il rilascio di citochine da PBMC stimolate<br />

da PHA in presenza di sali di Se, Zn e Cu. A dosi 10 -4 e 10 -5 M il<br />

Cd aveva un effetto dose-risposta inibitorio mentre il rame era blandamente<br />

immunotossico e lo Zn ed il Se 10 -4 avevano un effetto stimolante.<br />

I sali di tutti i metalli a concentrazione 10 -6 M non inducevano modificazioni<br />

significative. Inoltre, lo Zn ed il Se, presenti nelle colture cellulari<br />

assieme al Cd, esercitavano un’azione protettiva sugli effetti immunotossici<br />

del Cd probabilmente con meccanismi metabolici differenti.<br />

Parole chiave: immunotossicità, cadmio, proliferazione cellulare,<br />

citochine.<br />

ABSTRACT. MODULATION OF SELENIUM, ZINC AND COPPER ON IMMU-<br />

NOTOXIC EFFECTS OF CADMIUM. The effects of Cd, on PHA stimulated proliferation<br />

and cytokine release from human PBMC in presence of Se, Zn and<br />

Cu salts were the object of this study. 10 -4 and 10 -5 M Cd exerted an inhibitory<br />

action, while Cu was slightly immunotoxic and 10 -4 and 10 -5 M. Se and<br />

Zn exerted a stimulatory effect; 10 -6 M salts did not exert significant immune<br />

effects. Moreover, 10 -4 and 10 -5 M Se or Zn counteracted the immunotoxic<br />

effects of 10 -5 M Cd possibly with different metabolic mechanisms.<br />

Key words: immunotoxicity, cadmium, cell proliferation, cytokines.<br />

Introduzione<br />

L’esposizione ambientale ed occupazionale a cadmio (Cd)<br />

può provocare gravi danni alla salute includenti neoplasie, nefropatia<br />

ed ipertensione arteriosa (1). L’organismo contrasta gli effetti<br />

citotossici del metallo sintetizzando metallotioneina, proteina<br />

a basso peso molecolare in grado di legare anche il mercurio<br />

(Hg), lo zinco (Zn) ed il rame (Cu) (1). Il Cd ha un effetto competitivo<br />

con lo Zn a livello intracellulare, ad es. sui fattori di trascrizione<br />

(2). È pure noto che il selenio (Se), con azione anti-ossidante,<br />

può proteggere dagli effetti citotossici del Cd (3).<br />

Scopo di questo studio è quello di verificare se sali di Se, Zn<br />

e Cu sono in grado di contrastare “in vitro” l’effetto tossico del<br />

Cd <strong>sul</strong> sistema immunitario.<br />

Materiali e metodi<br />

Cellule mononucleate di sangue periferico (PBMC) di nove<br />

donatori sono state utilizzate per determinare la prolifera-


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 55<br />

zione cellulare ed il rilascio di interferone-γ<br />

(IFN-γ) e Tumor-Necrosis-Factor<br />

(TNF) α nelle seguenti<br />

condizioni:<br />

a) con o senza stimolazione con<br />

PHA (10 o 20 µg/ml) senza<br />

sali di metalli (campioni di<br />

controllo);<br />

b) in presenza di 10 -4 , 10 -5 e 10 -6<br />

M solfato di cadmio, selenito di<br />

sodio, solfato di zinco e solfato<br />

di rame;<br />

c) in presenza di solfato di cadmio<br />

10 -5 M in combinazione<br />

con i sali di Se, Zn o Cu 10 -4 o<br />

10 -5 M con o senza 20 µg/ml di<br />

PHA (per determinare la proliferazione<br />

cellulare per 72 ore)<br />

o 10 µg/ml di PHA (per determinare<br />

il rilascio di citochine<br />

per 32 ore).<br />

I metodi dettagliati per l’incubazione<br />

delle PBMC e per determinare<br />

la proliferazione cellulare ed il<br />

rilascio di citochine sono riportati in<br />

un lavoro del nostro gruppo (4).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />

A dosi 10 -4 e 10 -5 M il Cd aveva un effetto inibitorio dose-dipendente<br />

<strong>sul</strong>la proliferazione cellulare mentre lo Zn ed il Se 10 -4 e<br />

10 -5 M avevano un effetto stimolante non dose-dipendente (Tabella<br />

I). I sali di Cu a tutte le concentrazioni, ed i sali di tutti i metalli a<br />

concentrazione 10 -6 M non avevano effetti significativi <strong>sul</strong>la proliferazione<br />

cellulare. Il rilascio di IFN-γ e TNF-α dalle PBMC era generalmente<br />

correlato con i valori di proliferazione cellulare in presenza<br />

di sali di Zn e Se, mentre il rame aveva un blando effetto inibitorio<br />

<strong>sul</strong> rilascio di citochine. Lo Zn ed il Se, al contrario del rame,<br />

esercitavano un effetto protettivo <strong>sul</strong>l’inibizione della proliferazione<br />

cellulare ed il rilascio di citochine indotte dal Cd 10 -5 M (Tabella II).<br />

La nostra indagine conferma che il Cd, a dosi elevate, ha un<br />

effetto immunotossico (5). Vengono anche confermati i ri<strong>sul</strong>tati<br />

di un recente studio del nostro gruppo evidenziante un effetto stimolante<br />

dello Zn <strong>sul</strong>la risposta immunitaria di individui atopici<br />

(6). Infine si evidenzia che il Se (ma non il Cu) stimolano la proliferazione<br />

cellulare ed il rilascio di citochine. I meccanismi attraverso<br />

i quali Se e Zn proteggono dagli effetti immunotossici<br />

del Cd necessitano di essere ulteriormente indagati.<br />

S. Dragoni 1 , P. Franceschetti 2 , D. Doria 2 , M. Valoti 1 , M.E. Fracasso 2<br />

Tabella I. Percentuale di proliferazione delle PBMC stimolate da PHA in presenza<br />

di sali di Cd, Se, Zn e Cu a diverse concentrazioni, rispetto ai controlli senza metalli<br />

Tabella II. Attività proliferativa e rilascio di citochine dalle PBMC in<br />

presenza di cadmio solfato (Cd) 10 -5 M da solo e in combinazione con sali<br />

di Se, Cu e Zn 10 -5 M in % rispetto ai controlli senza metalli<br />

Bibliografia<br />

1) Boscolo P, Carmignani M. Mechanisms of cardiovascular regulations<br />

in male rabbits chronically exposed to cadmium. Br J Ind Med<br />

1986; 43: 605-610.<br />

2) Petering DH, Huang M, Moteki S, Shaw CF, Cadmium and lead interactions<br />

with transcription factor IIIa from Xenopus laevis: a model<br />

for finger protein reactions with toxic metal ions and metallothionein.<br />

Mar Environ Res 2000; 50: 89-92.<br />

3) Frisk P, Yaqob A, Lindh U. Indications of selenium protection against<br />

cadmium toxicity in cultured K-562 cells. Sci Total Environ 2002;<br />

296: 189-197.<br />

4) Boscolo P, Di Giampaolo L, Reale M, Castellani L, Volpe AR, Carmignani<br />

M, Ponti J, Paganelli R, Sabbioni E, Conti P, Di Gioacchino M.<br />

Different effects of platinum, palladium and rhodium salts on lymphocyte<br />

proliferation and cytokine release. Ann. Clin Lab Sci. 2004; 34.<br />

5) Marth E, Barth S, Jelovcan S Influence of cadmium on the immune<br />

system. Description of stimulant reactions. Cent Eur J Public Health<br />

2000; 8: 4-44.<br />

6) Paganelli R, Buttari B, Camera E, Dell’Anna ML, Mastrofrancesco A,<br />

Di Giampaolo L, Reale M, Schiamone C, Verna N, Di Gioacchino M,<br />

Sabbioni E, Boscolo P, Picaro M. J. In vitro effects of nickel-<strong>sul</strong>phate<br />

on immune functions of normal and nickel-allergic subjects: a regulatory<br />

role of zinc. Trace Elem Bio. Med. 2003; 17 (suppl.) 11-15.<br />

Effetto del trattamento subcronico con benzene in topi C57/Bl<br />

1 Dipartimento di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Siena<br />

2 Dipartimento di Medicina e Salute Pubblica, Sezione di Farmacologia, Università degli Studi di Verona<br />

RIASSUNTO. Il benzene è un composto ampiamente utilizzato<br />

nell’industria in grado di determinare la comparsa di anemia aplastica<br />

e leucemia mieloide acuta nell’uomo e forme diverse di cancro nei roditori.<br />

Il benzene è metabolizzato nel fegato, ad opera del citocromo P450<br />

2E1, in fenolo, catecolo ed idrochinone. I derivati fenolici, successivamen-<br />

te, ad opera della mieloperossidasi (MPO) presente a nel midollo osseo, possono<br />

originare radicali semichinonici responsabili della tossicità del benzene.<br />

Lo scopo di questo lavoro è stato studiare l’effetto del trattamento con<br />

benzene a basse ed alte dosi (5 e 100 mg/Kg) in topi C57BL. L’osservazione<br />

che il trattamento ad alte dosi determinava un aumento dell’attività della


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

56 www.gimle.fsm.it<br />

MPO, nei mielociti, suggerisce che il benzene promuova una<br />

modulazione positiva della propria bioattivazione. L’induzione<br />

di MPO può svolgere, quindi, un ruolo importante nel<br />

danno al DNA, osservato nelle cellule del midollo con il test<br />

“comet assay”, ad entrambe le dosi di benzene utilizzate.<br />

Parole chiave: benzene, mieloperossidasi.<br />

ABSTRACT. EFFECTS ON C57/BL MICE OF SUBCH-<br />

RONIC TREATMENT WITH BENZENE. Benzene, a chemical<br />

widely used in industry, is capable of causing aplastic anemia<br />

and acute myelogenous leukemia in humans and multiple<br />

forms of cancer in rodents. Hepatic cytochrome P450<br />

2E1 catalyzes the formation of phenolic metabolites of<br />

benzene. Mielopeoxidase (MPO), present in bone marrow,<br />

may further convert the phenolic metabolites to free radicals,<br />

which are responsible for in situ bioactivation of benezene.<br />

The aim of this work was to study the effects of<br />

low and high doses of benzene (5 and 100 mg/Kg) in subchronically<br />

treated mice. Treatment with 100 mg/Kg led to<br />

a significative increase in MPO and in NAD(P)H:quinoneoxidoreductase<br />

(NADHQ). Furthermore “comet assay” in<br />

myelocytes revealed DNA damage for both types of benzene treatment.<br />

Key words: benzene, mieloperoxidase.<br />

Introduzione<br />

L’esposizione a benzene è in grado di determinare la comparsa<br />

di anemia aplastica e leucemia mieloide acuta nell’uomo e<br />

di diverse forme di cancro nei roditori. Tuttavia, il composto è<br />

ancora utilizzato in alcuni processi industriali e lo si trova a basse<br />

concentrazioni nella benzina, nel fumo di sigaretta ed in vari<br />

prodotti di consumo (5). Il benzene è metabolizzato nel fegato a<br />

fenolo ad opera del citocromo P450 2E1. Il fenolo, a sua volta,<br />

può essere trasformato in catecolo ed idrochinone che si accumulano<br />

a livello del midollo osseo. A questo livello possono essere<br />

trasformati dalla mieloperossidasi (MPO) a radicali semichinonici<br />

responsabili della genotossicità (6, 4).<br />

Lo scopo di questo lavoro è stato mettere a punto un modello<br />

animale di esposizione al benzene in topi C57BL nei quali sono<br />

stati monitorati il danno genotossico e la variazioni di alcune<br />

attività enzimatiche.<br />

Materiali e metodi<br />

Animali. Topi C57BL maschi del peso di 20-25 g sono stati suddivisi<br />

in 3 gruppi (n = 4) ciascuno dei quali è stato trattato per 15<br />

giorni per os con il veicolo o con benzene alle dosi di 5 o 100 mg/kg<br />

p.c. Alla fine del trattamento il fegato ed il midollo sono stati prelevati<br />

da ciascun animale ed utilizzati per il dosaggio delle attività enzimatiche<br />

e per la stima della genotossicità tramite “comet assay”.<br />

Comet Assay. Il saggio del comet veniva effettuato come descritto<br />

da Faccioni et al. (2).<br />

Dosaggi Enzimatici. L’attività della MPO veniva dosata su<br />

omogenato di midollo osseo con guaiacolo secondo Valoti et al.<br />

(8). La glutatione transfersi (GSH-T) era determinata su frazioni<br />

di citosol epatico, utilizzando il metodo di Habig et al. (3). La<br />

NAD(P)H:chinone ossidoreduttasi (NADHQ) era determinata su<br />

frazioni di citosol epatico secondo Benson et al. (1).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

L’attività della MPO subiva un significativo incremento del<br />

55% in topi trattati con alte dosi di benzene, mentre nessuna differenza<br />

rispetto al controllo veniva osservata alla dose di 5 mg/kg<br />

(Tabella I). Analogamente, l’attività enzimatica della NADHQ a<br />

livello epatico era incrementata significativamente del 50% solo<br />

alla più alta dose di benzene testata. La GSH-T, pur presentando<br />

Tabella I. Parametri descrittivi del comet assay in cellule del midollo<br />

osseo in topi C57Bl dopo somministrazione subcronica di benzene<br />

Tabella II. Attività enzimatiche in citosol epatico (GSH-T e NADHQ)<br />

e midollo osseo (MPO) di topi trattati subcronicamente con benzene<br />

un aumento rispetto al controllo, non raggiungeva valori statisticamente<br />

significativi (Tabella I).<br />

Il “comet assay” mostrava un aumento dei parametri descrittivi<br />

della cometa già alla minima dose di benzene (Tabella II).<br />

Discussione<br />

L’osservazione che il trattamento con il benzene determina<br />

un aumento dell’attività della MPO suggerisce che il composto<br />

promuova una modulazione positiva della propria bioattivazione.<br />

L’incremento di questa attività può spiegare, inoltre, il danno al<br />

DNA evidenziato dal “comet assay” dopo trattamento con il benzene.<br />

Il dosaggio di ulteriori attività enzimatiche e la determinazione<br />

dei metaboliti fenolici, in animali trattati cronicamente con<br />

benzene, dovrà chiarire l’effettivo ruolo del benzene nella modulazione<br />

della propria tossicità.<br />

Ringraziamenti<br />

Il presente studio è stato finanziato con fondi MIUR (PRIN<br />

2003) e dell’Università degli Studi di Siena.<br />

Bibliografia<br />

1) Benson AM, Hunkeler MJ, Talalay P. Increase of NAD(P)H:quinone reductase<br />

by dietary antioxidants: possible role in protection against carcinogenesis<br />

and toxicity. Proc Natl Acad Sci U S A. 1980; 77: 5216-5220.<br />

2) Faccioni F, Franceschetti P, Cerpelloni M, Fracasso ME. In vivo study<br />

on metal release from fixed orthodontic appliances and DNA damage in<br />

oral mucosa cells. Am J Orthod Dentofacial Orthop. 2003; 124:687-693.<br />

3) Habig WH, Pabst MJ, Jakoby WB. Glutathione S-transferases. The<br />

first enzymatic step in mercapturic acid formation. J Biol Chem.<br />

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4) Kolachana P, Subrahmanyam VV, Meyer KB, Zhang L, Smith MT.<br />

Benzene and its phenolic metabolites produce oxidative DNA damage<br />

in HL60 cells in vitro and in the bone marrow in vivo. Cancer Res.<br />

1993; 53: 1023-1026.<br />

5) Lofroth G, Stensman C, Brandhorst-Satzkorn M. Indoor sources of<br />

mutagenic aerosol particulate matter: smoking, cooking and incense<br />

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other phenolic compounds. Arch Biochem Biophys 1991; 286: 76-84.<br />

7) Thomas DJ, Sadler A, Subrahmanyam VV, Siegel D, Reasor MJ, Wierda<br />

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and fibroblastoid cells. Mol Pharmacol 1990; 37: 255-262.<br />

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(BHA). Biochem J 1988; 250: 501-507.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 57<br />

D. Fanin, S. Ferrazzoni, S. Ferrarese, R. Accordino, A. Visentin, P. Maestrelli<br />

Valori di riferimento delle concentrazioni di ossido nitrico<br />

esalato nella popolazione adulta<br />

Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Sede di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Padova<br />

RIASSUNTO. In 124 soggetti normali (77M, 47F; età 40 anni ±11)<br />

sono stai esaminati i determinanti fisiologici delle concentrazioni di NO<br />

esalato (ENO). Concentrazioni più elevate di ENO sono state rilevate nei<br />

maschi rispetto alle femmine e nei non fumatori rispetto ai fumatori. Tuttavia<br />

il determinante principale della concentrazione di ENO nei soggetti<br />

normali è ri<strong>sul</strong>tato essere il peso corporeo. Pertanto i valori di riferimento<br />

delle concentrazioni di ENO nella popolazione adulta possono essere calcolati<br />

con una semplice formula che comprende il peso del soggetto.<br />

Parole chiave: valori di riferimento, ossido nitrico esalato, popolazione<br />

adulta.<br />

ABSTRACT. REFERENCE VALUES OF EXHALED NITRIC OXIDE CON-<br />

CENTRATIONS IN ADULT SUBJECTS. Physiological determinants of exhaled<br />

nitric oxide (ENO) concentrations were examined in 124 normal subjects<br />

(77 M, 47 F) aged 40 yr. ± 11. Higher concentrations of ENO were detected<br />

in males compared with females and in non-smokers compared to<br />

smokers. However, the predominant determinant of ENO in normal<br />

subjects was the body mass. Based on this observation, the predicted values<br />

of ENO in adult population can be calculated by a simple equation<br />

including body weight.<br />

Key words: reference values, exhaled nitric oxide, adult population.<br />

Introduzione<br />

L’ossido nitrico (NO) rappresenta un importante mediatore<br />

<strong>biologico</strong> prodotto dall’enzima NO-sintetasi di cui sono state<br />

identificate due isoforme costitutive ed una inducibile (iNOS).<br />

La iNOS è espressa prevalentemente in cellule infiammatorie come<br />

macrofagi, eosinofili, neutrofili e mastociti, nelle cellule epiteliali<br />

delle vie respiratorie e nei pneumociti di tipo II (1, 2). L’i-<br />

NOS è indotto da stimoli infiammatori quali alcune citochine come<br />

TNFα, IL-1β, INFγ, endotossine ed altri prodotti batterici.<br />

Per questi motivi la misura della concentrazione di NO nell’aria<br />

esalata (ENO) è usata come indicatore non invasivo di infiammazione<br />

bronchiale. In particolare, i valori di ENO ri<strong>sul</strong>tano ben<br />

correlati con l’eosinofilia delle vie aeree che costituisce la caratteristica<br />

più costante della flogosi bronchiale nell’asma. L’infiammazione<br />

bronchiale nell’asma professionale, anche da composti<br />

a basso peso molecolare, non differisce da quella che si riscontra<br />

nell’asma di altra origine. Tuttavia i metodi per valutare<br />

questo aspetto anatomopatologico della malattia sono difficilmente<br />

applicabili nella sorveglianza sanitaria di lavoratori esposti<br />

a tossici inalatori o a rischio asmogeno. La misura dell’ENO<br />

può rappresentare una valida alternativa a metodi invasivi quali<br />

biopsie, lavaggio bronco alveolare o minimamente invasivi, ma<br />

indaginosi, come l’analisi dell’espettorato indotto. Nel campo<br />

della Medicina del Lavoro la misura dell’ENO è stata utilizzata<br />

in pochi studi per valutare la risposta delle vie<br />

aeree dopo esposizione sperimentale ad asmogeni<br />

professionali (3, 4). Non esistono al momento<br />

valori di riferimento dell’ENO validati per gli<br />

adulti, pertanto in questo studio ci siamo proposti<br />

di stabilire i valori di normalità dell’ENO in<br />

una popolazione adulta sana e di determinare<br />

l’influsso di vari parametri fisiologici, di funzionalità<br />

respiratoria e dell’abitudine al fumo di sigaretta<br />

su questa misura.<br />

Metodi<br />

Il campione di riferimento studiato era costituito da soggetti<br />

senza storia clinica di malattie respiratorie, né di virosi respiratorie<br />

recenti, che non avessero ingerito cibi o bevande nell’ora precedente<br />

la misurazione e che non fossero in terapia farmacologia<br />

da almeno 4 settimane, essendo questi fattori in grado di influenzare<br />

l’ENO. Tutti avevano valori spirometrici nella norma ed erano<br />

non fumatori. Sono stati reclutati soggetti di età compresa tra<br />

i 20 e i 65 anni in modo che tutte le classi di età fossero rappresentate.<br />

A tutti, prima dei parametri di funzionalità respiratoria<br />

(CV,VEMS), è stato misurato l’ENO mediante un analizzatore a<br />

chemiluminescenza secondo le linee guida dell’American Thoracic<br />

Society (1), a un flusso espiratorio costante di 0,05 litri/sec.<br />

Per ciascuno è stato calcolato il Body Mass Index (BMI) e la<br />

Body Surface Area (BSA), estrapolata da normogrammi standardizzati<br />

a partire dall’altezza e dal peso. È stato esaminato inoltre<br />

un gruppo di 25 soggetti normali, con le caratteristiche di cui sopra,<br />

ma fumatori. Poiché la distribuzione delle concentrazioni di<br />

ENO ri<strong>sul</strong>ta logaritmica, per l’analisi statistica i dati sono stati<br />

trasformati nel loro logaritmo. L’influenza dei vari fattori <strong>sul</strong>l’E-<br />

NO è stata valutata mediante regressione semplice e multipla. Per<br />

confrontare i valori di ENO tra maschi e femmine e tra fumatori<br />

e non fumatori è stata eseguita l’analisi della covarianza.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

La casistica studiata comprendeva 124 soggetti normali (77M,<br />

47F) con età media di 40 anni ±11,3. Le concentrazioni di ENO<br />

mostravano una distribuzione normale logaritmica, la cui media<br />

geometrica era di 19,5 ppb (5°percentile = 7 ppb; 95° percentile =<br />

40 ppb). L’ENO correlava in maniera significativa con tutti i parametri<br />

antropometrici considerati: età (r = 0,27; p


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

58 www.gimle.fsm.it<br />

I maschi dimostravano valori medi di ENO significativamente<br />

superiori alle femmine (21,6 vs 16,2 ppb; p


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 59<br />

Figura 1. Decorso delle concentrazioni di NO esalato e FEV 1 dopo esposizione ad isocianati<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Dei 10 soggetti studiati, 5 sono ri<strong>sul</strong>tati<br />

positivi al test di stimolazione bronchiale specifico,<br />

di cui 2 a TDI, 2 ad MDI ed 1 a HDI.<br />

I 5 soggetti negativi al test sono stati esposti<br />

ad HDI (n.=3), TDI (n.=1) ed MDI (n.=1).<br />

Tutti i soggetti positivi hanno presentato una<br />

reazione di tipo ritardato; in un caso è stata<br />

osservata anche una reazione di tipo immediato.<br />

Il massimo decremento di FEV 1 è stato osservato tra la 5°<br />

e 6° ora dopo esposizione ad isocianato, mentre alla 24° ora i valori<br />

erano tornati pressoché a norma. (Figura 1B). Nel giorno di<br />

controllo il coefficiente di variazione dell’NO esalato era del<br />

10±5,4%. Nei soggetti negativi al test di stimolazione bronchiale<br />

specifico non si è osservata alcuna variazione significativa della<br />

concentrazione di NO esalato, mentre nei soggetti positivi si è osservato<br />

un marcato incremento alla 24° ora (p


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

60 www.gimle.fsm.it<br />

R. Foddis 1 , A.Vivaldi 1 , R. Buselli 1 , V. Gattini 1 , G. Guglielmi 1 , F. Cosentino 1 , F. Ottenga 1 , E. Ciancia 2 , R. Libener 3 ,R. Filiberti 4 ,<br />

M. Neri 4 , P.G. Betta 3 , M. Tognon 6 , L. Mutti 5 , R. Puntoni 4 , A. Cristaudo 1<br />

Ricerca di anticorpi anti-SV40 come marker di infezione nello screening<br />

di fattori di rischio aggiuntivi in soggetti ex-esposti ad amianto<br />

1 Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e Traumatologia, Medicina del Lavoro, Università di Pisa<br />

2 Unità Operativa Anatomia Patologica, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana<br />

3 Unità Operativa Anatomia Patologica, Azienda Sanitaria Ospedaliera, Alessandria<br />

4 Istituto Nazionale Ricerca <strong>sul</strong> Cancro, Unità Operativa di Epidemiologia Ambientale, Genova<br />

5 Ospedale S.Pietro e Paolo, ASL 11 Borgosesia e Fondazione Maugeri, Pavia<br />

6 Dipartimento di Morfologia e Embriologia, Sezione di Istologia e Embriologia, Università di Ferrara<br />

RIASSUNTO. Ad oggi tra gli ipotizzati cofattori dell’amiato nella<br />

patogenesi del mesotelioma maligno (MM) il più accreditato, <strong>sul</strong>la base<br />

di dati di biologia molecolare, è il Simian Virus 40 (SV40). Lo scopo del<br />

presente studio era quello di valutare la prevalenza e la affidabilità del dosaggio<br />

di anticorpi anti-SV40 come marker di infezione con finalità preventive.<br />

Solo 1 paziente con MM (2,7%) ed 1 lavoratore sano con pregressa<br />

esposizione ad amianto (1,3%) sono ri<strong>sul</strong>tati positivi alla ricerca di<br />

anticorpi anti-SV40. Nessuno dei 71 pazienti con patologie non neoplastiche<br />

inclusi nello studio era positivo per gli anticorpi.<br />

Parole chiave: SV40, asbesto, mesotelioma maligno.<br />

ABSTRACT. ANTI-SV40 ANTIBODIES AS INFECTION MARKERS FOR<br />

ASSESSING ADDITIONAL RISK FACTORS IN WORKERS PREVIOUSLY EXPOSED<br />

TO ASBESTOS. Although the prevalence of asbestos exposure among malignant<br />

mesothelioma (MM) patients is very high, only a relatively small<br />

percentage of workers previously exposed to asbestos develop a MM.<br />

This observation suggests that some tumoral agents may act as a co-factor<br />

together with asbestos in MM pathogenesis. To date, among the hypothesized<br />

cofactors, the Simian Virus 40 (SV40) is one of the most widely<br />

investigated and is supported by biomolecular findings. The aim of<br />

this study was to evaluate the incidence and feasibility of Anti-SV40 Antibodies<br />

as an infection marker with preventive application. We found<br />

that only 1 MM patient out of 44 (2.7%) and 1 out of 75 workers previosly<br />

exposed to asbestos (1.3%) were positive for the detection of Anti-<br />

SV40 antibodies. None of the 71 patients with non-neoplastic diseases<br />

were positive.<br />

Key words: SV40, asbestos, malignant mesothelioma.<br />

Introduzione<br />

La discrepanza tra l’elevata prevalenza di anamnesi lavorativa<br />

positiva per esposizione ad amianto tra i pazienti con mesotelioma<br />

maligno della pleura (MM) e la relativamente bassa incidenza<br />

di MM nella popolazione degli ex esposti suggerisce l’esistenza<br />

di un ruolo cofattoriale di altri agenti cancerogeni con attività<br />

additiva, sinergica od eventualmente moltiplicativa. Tra gli<br />

ipotetici cofattori, uno dei più accreditati negli ultimi dieci anni è<br />

il Simian Virus 40 (SV40). Una mole impressionante di dati di laboratorio<br />

(1-5) supporta l’ipotesi di un’attività cancerogenetica<br />

del virus nella specie umana. Dal punto di vista epidemiologico,<br />

invece, non ci sono ad oggi dati univoci. A fronte di studi longitudinali<br />

o storici retrospettivi che non hanno fornito evidenze di<br />

associazioni significative con la patologia tumorale, alcuni autori<br />

hanno rilevato un incremento di mortalità per alcuni dei tumori<br />

compreso il MM (6) per cui l’SV40 è responsabile in esperimenti<br />

con animali. Un recente studio caso-controllo condotto dal<br />

nostro gruppo di ricerca ha permesso, per la prima volta, di calcolare<br />

una stima del rischio relativo alla combinazione<br />

SV40/amianto che ri<strong>sul</strong>terebbe più alta anche della somma della<br />

stima calcolata per i due singoli fattori separatamente. Il presente<br />

studio si poneva l’obiettivo di effettuare una titolazione nel siero<br />

di anticorpi anti-SV40 (Ab Anti-SV40) al fine di verificare che<br />

questi ultimi potessero costituire un fattore predittivo utilizzabile<br />

a scopo preventivo nello screening di popolazioni di lavoratori ex<br />

esposti ad amianto.<br />

Materiali e metodi<br />

Sono stati stoccati a -80°C campioni di siero derivanti da soggetti<br />

con diagnosi di MM, di malattia polmonare non neoplastica<br />

(BPCO, silicosi, asbestosi, etc.) e da soggetti con pregressa esposizione<br />

professionale ad amianto, nonché da soggetti sani o comunque<br />

privi di patologie polmonari (donatori di sangue, pazienti<br />

oculistici od ortopedici non oncologici). In un laboratorio<br />

statunitense (Dipartimento di Microbiologia e Virologia Molecolare,<br />

Baylor College of Medicine di Houston, TX) sono stati titolati<br />

i livelli sierici di anticorpi contro una oncoproteina virale,<br />

chiamata Large T Antigen (LTAg). È stata utilizzata la tecnica<br />

dell’immuno-fluorescenza indiretta (IFI).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Nel gruppo dei soggetti con patologie polmonari, oculari od<br />

ortopediche non neoplastiche non si è riscontrata positività alcuna<br />

per anticorpi anti-SV40. Un solo paziente tra i 44 affetti da<br />

MM (2,3%), così come un solo soggetto su 75 lavoratori ex-esposti<br />

ad amianto (1,3%) presentavano Ab anti-SV40 titolabili nel<br />

siero. I due campioni positivi appartenenti ad un paziente affetto<br />

da MM ed ad lavoratore ex esposto ad amianto, si caratterizzavano<br />

per una titolazione di 1:50 e di 1:10, rispettivamente.<br />

Discussione<br />

L’insieme dei dati di biologia molecolare accumulati nell’ultimo<br />

decennio, confermati dai ri<strong>sul</strong>tati di un recente studio casocontrollo<br />

di epidemiologia biomolecolare condotto dal nostro<br />

gruppo di ricerca che ha evidenziato un’interazione più che additiva<br />

tra i due fattori, rendono sempre più credibile il ruolo dell’-<br />

SV40 come cofattore dell’amianto nella patogenesi del MM. Sulla<br />

base di questo convincimento, la scoperta di un marker attendibile<br />

di infezione da SV40 potrebbe costituire un elemento di<br />

screening in grado di delineare subpopolazioni di soggetti ex<br />

esposti ad amianto a più alto rischio (7). Il primo obiettivo di questo<br />

studio, quindi, era quello di verificare che la ricerca di anticorpi<br />

anti-SV40 (LTAg), con la metodica dell’IFI, potesse essere<br />

un buon “indicatore di infezione virale”. Fino ad oggi non erano<br />

disponibili dati di letteratura significativi <strong>sul</strong>la distribuzione di<br />

sieropositività all’SV40 in popolazioni normali o di soggetti con<br />

MM (8), né erano disponibili dati <strong>sul</strong>la durata media della sieropositività<br />

a seguito di una prima infezione. La prevalenza osservata<br />

nei pazienti con MM (1 caso/44, 2,27%) ci fa ipotizzare che


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 61<br />

questa tecnica sottostimi la reale prevalenza di infezione attuale<br />

o pregressa. Infatti, nonostante non sia stata ancora indagata la<br />

presenza di DNA virale nei MMs dello studio, <strong>sul</strong>la base dei dati<br />

di letteratura (1, 3-6) si può ipotizzare che almeno il 50% dei<br />

pazienti italiani con MM abbiano avuto un contatto con il virus.<br />

Supponendo che la verifica con PCR dia i ri<strong>sul</strong>tati attesi, è<br />

possibile avanzare alcune ipotesi riguardo il significato <strong>biologico</strong><br />

dei dati del presente studio. Nelle scimmie, al contrario di quanto<br />

accade nei roditori, a seguito di infezione con SV40 non si osservano<br />

titoli elevati di anticorpi a meno che tali animali non siano<br />

infettati con quantità molto alta di virus. Analogamente si può<br />

ipotizzare che nella specie umana all’infezione con SV40, qualunque<br />

sia la via di ingresso, non faccia seguito una produzione<br />

di LTAg quantitativamente sufficiente per stimolare una risposta<br />

immunitaria. Il virus si comporterebbe in vivo come si osserva in<br />

vitro, dove si replica a bassi livelli nelle cellule mesoteliali permettendo<br />

così la permanenza nella cellula ospite con la piena<br />

espressione delle sue capacità oncogene.<br />

Concludendo, la determinazione del titolo anticorpale anti-<br />

LTAg con la tecnica dell’IFI, non può essere proposta come metodo<br />

di screening per l’individuazione di una popolazione di soggetti<br />

infettati da SV40. Infatti, questa tecnica, pur garantendo<br />

un’elevata specificità ed un costo contenuto, ri<strong>sul</strong>ta dotata di<br />

scarsa sensibilità.<br />

Ringraziamenti<br />

Questo lavoro è stato finanziato dall’ISPESL. Si ringrazia l’Unità di<br />

Epidemiologia Occupazionale ed Ambientale del CSPO di Firenze.<br />

Bibliografia<br />

M.E. Fracasso 1 , P. Franceschetti1 , D. Doria 1 , E. Quintarelli 2 , P. Noris 2 , F. Brugnone 2 , L. Romeo 2<br />

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Buselli R, Sensales G, Ciancia E, Ottenga F. SV 40 can be reproducibly<br />

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7) Cristaudo A. Detection of SV40 sequences in pleural mesothelioma: this<br />

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University of Chicago Gleacher Center, Chicago II, 20-21 april 2001.<br />

8) Butel JS, Wong C, Vilchez RA, Szucs G, Domok I, Kriz B, Slonim<br />

D, Adam E. Detection of antibodies to polyomavirus SV40 in two<br />

central European countries. Cent Eur J Public Health 2003; 11: 3-8.<br />

Valutazione di danno e riparo del DNA mediante comet assay in linfociti<br />

di soggetti non-fumatori ed ex-fumatori esposti a fumo passivo<br />

1 Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Verona<br />

2 Sezione di Farmacologia, Sezione di Medicina del Lavoro, Università di Verona<br />

RIASSUNTO. Il comet assay è un metodo che è in grado di riconosce<br />

varie forme di danni al DNA in singole cellule e può valutare la loro<br />

capacità riparativa. I linfociti di fumatori presentano danni al DNA significativamente<br />

superiori ai controlli, ed il danno è correlato con il numero<br />

di sigarette fumate. Il danno cellulare è presente anche nei soggetti esposti<br />

a fumo passivo (ex- e non-fumatori). La capacità di riparare i danni indotti<br />

dall’H 2 O 2 è gravemente ed ugualmente compromessa nei fumatori<br />

attivi e passivi.<br />

Parole chiave: danno al DNA, riparazione del DNA, test della cometa,<br />

fumo passivo.<br />

ABSTRACT. ASSESSMENT OF DNA DAMAGE AND REPAIR BY THE<br />

COMET ASSAY IN LYMPHOCYTES OF NON-SMOKERS AND EX-SMOKERS EX-<br />

POSED TO ENVIRONMENTAL TOBACCO SMOKE. Assessment of DNA damage<br />

and repair by comet assay in peripheral blood lymphocytes of nonsmokers<br />

and ex-smokers exposed to passive smoking. DNA damage was<br />

assessed in the lymphocytes of active and passive smokers by comet assay.<br />

Smokers, as well as passive smokers, showed higher basal DNA damage<br />

compared to a control group. The cellular damage was significantly<br />

correlated with smoking habits. The lymphocyte capacity to repair<br />

H 2 O 2 -induced damage was seriously decreased in both groups, while the<br />

same damage in the control lymphocytes was repaired in a short time.<br />

Key words: DNA damage, DNA repair, comet assay, environmental<br />

tobacco smoke.<br />

Introduzione<br />

Il fumo passivo o involontario consiste in una miscela di fumo<br />

esalato dal fumatore e di fumo liberato dalla sigaretta accesa,<br />

che viene diluito nell’aria ambientale (secondhand smoke o<br />

environmental tabacco smoke). Il fumo passivo o involontario<br />

contiene carcinogeni inalanti altamente volatili come il benzene,<br />

l’1,3-butadiene, il benzo(α)pirene, il 4-metilnitrosamina,<br />

l’1,3-piril-1-butanone e molti altri, ed è anche costituito da una<br />

fase di particolato disperso nell’aria ambientale (1). La cotinina<br />

ed il composto parente, la nicotina, sono considerati attendibili<br />

biomarcatori di esposizione, soprattutto in caso di recente esposizione<br />

(2). Nell’uomo il fumo passivo è associato a mutagenicità<br />

urinaria ed è stata dimostrata una correlazione tra mutagenicità<br />

urinaria e concentrazione di cotinina nelle urine di soggetti<br />

esposti (3).<br />

Un metodo particolarmente sensibile che dà informazioni su<br />

esposizioni biologicamente attive è il test della cometa che riconosce<br />

varie forme di danni al DNA in singole cellule (rotture in<br />

singolo e/o doppio filamento, eventi di inefficienza nei processi<br />

riparativi) (4). L’attività riparativa è un meccanismo di difesa<br />

presente in tutte le cellule, ed è noto che la capacità di riparare i


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

62 www.gimle.fsm.it<br />

danni del DNA è strettamente legata alla suscettibilità soggettiva<br />

di sviluppare tumori. Recentemente, la versione del comet test a<br />

pH alcalino si è rivelata particolarmente utile nel valutare simultaneamente<br />

danni al DNA e capacità di riparo in campioni biologici<br />

di facile reperibilità come i linfociti (5).<br />

In base a queste considerazioni e <strong>sul</strong>l’esperienza acquisita nel<br />

nostro laboratorio nelle diverse applicazioni di tale test, è stato<br />

condotto uno studio rivolto alla valutazione del danno e dell’efficienza<br />

riparativa del DNA in linfociti di soggetti non-fumatori,<br />

fumatori e fumatori passivi (non- ed ex-fumatori). I linfociti, dopo<br />

aver registrato i parametri basali di danno, vengono opportunamente<br />

trattati in vitro con H 2 O 2 e successivamente <strong>sul</strong>le cellule,<br />

messe in condizioni di poter riparare i danni subiti, viene determinata<br />

una cinetica di capacità riparativa.<br />

Materiali e metodi<br />

Lo studio è stato eseguito su linfociti di 165 soggetti sani, lavoratori<br />

d’ufficio (29-56 anni). Di questi, 41 erano fumatori<br />

(21±8 sigarette/die), 47 non fumatori (controlli) e 67 esposti a fumo<br />

passivo (43 non- e 24 ex-fumatori). Ciascun soggetto ha compilato<br />

un questionario in cui venivano registrati modalità e durata<br />

dell’abitudine al fumo, durata di esposizione a fumo passivo,<br />

abitudini alimentari. L’esposizione a fumo attivo e passivo è stata<br />

verificata determinando la nicotina e cotonina urinarie.<br />

Il danno al DNA indotto dall’esposizione è stato stimato mediante<br />

comet test in linfociti isolati da sangue intero eparinizzato.<br />

Dopo aver eseguito la conta e la vitalità cellulare, i linfociti sono<br />

stati stratificati su un vetrino con tecnica “sandwich”, quindi sottoposti<br />

ad elettroforesi submarine. I parametri di danno sono stati<br />

valutati al microscopio in fluorescenza mediante softwere (Comet<br />

Assay II, Perceptive Instruments, UK). Ogni cellula danneggiata<br />

si presenta come una cometa con testa e coda. La lunghezza<br />

e l’intensità di fluorescenza della coda sono correlate al danno<br />

del DNA. I parametri caratterizzanti il danno considerati sono: il<br />

numero di comete, la lunghezza della coda (TL), % di DNA nella<br />

coda (TI), tail moment (TM); quest’ultimo è il prodotto integrato<br />

dei due precedenti parametri. Per ogni soggetto sono state<br />

lette 50 cellule random in due esperimenti separati.<br />

La capacità riparativa viene valutata mediante comet test trattando<br />

i linfociti con H 2 O 2 (0-100-200 µM) per 5 min.; quindi le<br />

cellule vengono mantenute a 37° C per 20 e 60 min per favorire<br />

la riparazione. Il contenuto di GSH totale nei linfociti di ciascun<br />

soggetto è stato determinato mediante test colorimetrico (Calbiochem,<br />

Gluthatione Assay Kit).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti indicano che i fumatori presentano di base<br />

parametri di danno significativamente superiori ai controlli e<br />

che TM, TI e numero di comete sono positivamente e significativamente<br />

correlati con il numero di sigarette/die. I soggetti<br />

esposti a fumo passivo mostrano livelli dosabili di nicotina e cotinina<br />

nelle urine. Il danno cellulare (TM, TI e numero di comete)<br />

è presente anche nei soggetti esposti a fumo passivo, sia exche<br />

non-fumatori. Gli ex-fumatori esposti a fumo passivo mostrano<br />

una correlazione inversa statisticamente significativa tra<br />

numero di comete e anni di astinenza dal fumo. Il contenuto cellulare<br />

di GSH non differisce medialmente nei diversi gruppi, ma<br />

solo nei fumatori il GSH linfocitario è inversamente e significativamente<br />

correlato con TM e TL. La capacità di riparare i danni<br />

indotti da diverse dosi di H 2 O 2 è stata valutata mediante una<br />

cinetica riparativa (T0, T20 e T60 min). I ri<strong>sul</strong>tati indicano che i<br />

controlli riparano il danno indotto dall’H 2 O 2 a 100 µM in breve<br />

tempo (T20 min) e dopo 60 min a 200 µM. I linfociti provenienti<br />

dai fumatori attivi e passivi (ex- e non-fumatori) ri<strong>sul</strong>tano gravemente<br />

danneggiati da ambedue le dosi di H 2 O 2 : i danni non<br />

vengono riparati neanche dopo 60 min.<br />

Discussione<br />

Numerosi e noti sono i dati della letteratura che indicano che<br />

i linfociti di soggetti fumatori presentano danni al DNA misurabili<br />

mediante diversi test genetici (SCE, CA, micronuclei, comet<br />

test). I ri<strong>sul</strong>tati di questo studio confermano gli effetti genotossici<br />

del fumo, e dimostrano che i parametri di danno cellulare sono<br />

correlati con il numero di sigarette fumate e con la presenza di<br />

nicotina nelle urine, mentre sono inversamente correlati con il<br />

contenuto di GSH, molecola attiva nei processi molecolari di detossificazione.<br />

È da notare che un soggetto dichiaratosi non fumatore,<br />

che presentava bassi livelli di nicotina e cotinina nelle<br />

urine, ma con parametri di danno cellulare al comet test paragonabili<br />

ad un fumatore, ad una successiva intervista affermava di<br />

aver smesso di fumare da cinque giorni. Tale dato fornisce un’ulteriore<br />

conferma che il comet test è particolarmente sensibile nel<br />

rilevare i danni indotti dal fumo di sigaretta.<br />

Recentemente si è dimostrato che anche l’inalazione passiva<br />

di fumo di sigaretta costituisce un fattore di rischio per neoplasie<br />

polmonari. Meno noti sono i dati che indicano che esposizioni a<br />

fumo passivo, di soggetti che non hanno mai fumato o che sono<br />

degli ex-fumatori, possono indurre danni al DNA dei linfociti. I<br />

dati ottenuti evidenziano che i non-fumatori esposti presentano<br />

un danno basale medialmente superiore del 30% rispetto ai controlli,<br />

mentre negli ex-fumatori il danno raggiunge circa il 48%.<br />

Interessante è il dato emerso nel gruppo degli ex-fumatori esposti,<br />

questi presentano una minor percentuale di cellule con cometa<br />

aumentando il tempo trascorso dalla sospensione dal fumo.<br />

Drammatico è il ri<strong>sul</strong>tato ottenuto riguardo l’efficienza riparativa<br />

dei linfociti provenienti dai fumatori attivi e dai non- ed ex-fumatori<br />

esposti: i tre gruppi non riescono a riparare i danni indotti<br />

dall’H 2 O 2 , e i dati indicano che i soggetti che presentano il danno<br />

più consistente sono gli esposti non-fumatori.<br />

Ringraziamenti<br />

Parzialmente supportato da 2003063319-005 MIUR-COFIN 2003.<br />

Bibliografia<br />

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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 63<br />

S. Fustinoni, R. Mercadante, L. Campo, L. Scibetta, C. Valla, V. Foà<br />

Confronto tra orto-cresolo e toluene urinari come indicatori biologici<br />

di esposizione a toluene aerodisperso<br />

Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano e ICP, Milano<br />

RIASSUNTO. In questo studio sono confrontati,<br />

come indicatori biologici di esposizione a toluene,<br />

l’orto-cresolo e il toluene urinari. Lo studio<br />

è stato condotto su 100 lavoratori dell’industria rotocalcografica<br />

e 87 controlli. Entrambi gli indicatori<br />

discriminano i due gruppi a diversa esposizione.<br />

Sia nei controlli che negli esposti l’abitudine al<br />

fumo di sigaretta influenza l’escrezione di ortocresolo,<br />

ma non quella di toluene urinario. I nostri<br />

ri<strong>sul</strong>tati dimostrano che il toluene urinario è preferibile<br />

all’orto-cresolo per il monitoraggio <strong>biologico</strong><br />

dell’esposizione professionale a toluene.<br />

Parole chiave: toluene, orto-cresolo, esposizione<br />

professionale, rotocalcografia.<br />

ABSTRACT. COMPARISON BETWEEN ORTHO-CRESOL AND TOLUENE<br />

IN URINE AS BIOLOGICAL MARKERS OF EXPOSURE TO TOLUENE IN AIR. Two<br />

different biological markers of exposure to toluene are compared: urinary<br />

ortho-cresol and toluene. The study was performed on 100 rotogravure<br />

workers and 87 employees as controls. Significant differences were<br />

found for the two groups using both markers. Smoking habits affect the<br />

excretion of ortho-cresol but not of urinary toluene. For this reason, urinary<br />

toluene is a better marker of occupational exposure than toluene.<br />

Key words: toluene, ortho-cresol, occupational exposure, rotogravure<br />

industry.<br />

Introduzione<br />

Il toluene è uno dei solventi a maggiore uso industriale al<br />

mondo. Essendo una sostanza neurotossica, la sua esposizione<br />

negli ambienti di lavoro è regolamentata, ed un valore limite pari<br />

a 188 mg/m3 , come valore medio ponderato nel turno di lavoro<br />

(TWA), è consigliato o prescritto da diverse agenzie regolatorie<br />

(1, 2). Il toluene è anche un inquinante ubiquitario degli ambienti<br />

di vita, essendo emesso insieme al gas di scarico dagli autoveicoli.<br />

In questa indagine l’orto-cresolo, un indicatore <strong>biologico</strong><br />

di uso consolidato (1, 2), ed il toluene urinario, suggerito da<br />

numerosi autori come specifico e sensibile indicatore di esposizione<br />

a breve termine (3-5), sono stati confrontati come indicatori<br />

biologici di esposizione a toluene.<br />

Materiali e metodi<br />

Lo studio è stato condotto su 100 lavoratori dell’industria rotocalcografica,<br />

esposti a toluene aerodisperso durante la stampa,<br />

a seguito dell’asciugatura degli inchiostri, ed in 87 soggetti che<br />

svolgono mansioni di ufficio, designati come controlli. L’esposizione<br />

a toluene aerodisperso è stata valutata attraverso un campionamento<br />

personale durante il turno di lavoro. Nello stesso<br />

giorno è stato raccolto un campione di urina a fine turno. Il toluene<br />

e l’orto-cresolo urinario sono stati misurati utilizzando sensibili<br />

procedure analitiche basate <strong>sul</strong>l’estrazione degli analiti dello<br />

spazio di testa del campione, utilizzano la microestrazione in<br />

fase solida, e successiva analisi in gascromatografia-spettrometria<br />

di massa (GC/MS).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

In Tabella I si riportano i principali parametri statistici ri-<br />

Tabella I. Principali parametri statistici per o-cresolo urinario,<br />

toluene urinario ed esposizione personale a toluene aerodisperso<br />

nelle due categorie di soggetti indagati<br />

guardanti l’esposizione personale a toluene aerodisperso, l’escrezione<br />

di orto-cresolo e di toluene urinari nei soggetti suddivisi<br />

in esposti e controlli. Tutti gli indicatori utilizzati consentono<br />

di discriminare i due gruppi a diversa esposizione. Gli indicatori<br />

biologici sono significativamente correlati con l’esposizione<br />

ambientale (r = 0,64 per orto-cresolo e 0,82 per il toluene<br />

urinario), e tra loro (r = 0,61). Sia nei soggetti di controllo che<br />

negli esposti l’abitudine al fumo di sigaretta influenza l’escrezione<br />

di orto-cresolo, ma non quella di toluene urinario, come<br />

mostrato nella Figura 1.<br />

Figura 1. Orto-Cresolo urinario (mg/g creat) in tutti i soggetti<br />

indagati, suddivisi in base all’esposizione occupazionale e<br />

all’abitudine al fumo di sigaretta<br />

Discussione<br />

Sia l’orto-cresolo che il toluene urinario sono in grado di discriminare<br />

l’esposizione nei due gruppi indagati. Ciononostante,<br />

sebbene l’uso del toluene urinario imponga alcune restrizioni<br />

procedurali relative alla raccolta e preparazione del campione,<br />

esso presenta caratteristiche di maggiore sensibilità e specificità<br />

rispetto all’orto-cresolo, come confermano la mancanza


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

64 www.gimle.fsm.it<br />

di sovrapposizione delle distribuzioni dei valori nei soggetti<br />

esposti e di controllo e la migliore correlazione con l’esposizione<br />

personale a toluene. Inoltre, si conferma che l’orto-cresolo<br />

è influenzato dall’abitudine al fumo di sigaretta, come già<br />

noto in letteratura (6), mentre il toluene urinario non appare influenzato.<br />

I nostri ri<strong>sul</strong>tati dimostrano che il toluene urinario è<br />

preferibile all’orto-cresolo per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />

a toluene.<br />

Bibliografia<br />

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styrene in urine as biological exposure indices. Applied Industrial<br />

Hygiene 1 1986; 4: 172-176.<br />

4) Kawai T., Mizunuma K., Okada Y., Horiguchi S., Ikeda M. Toluene<br />

itself as the best urinary marker of toluene exposure. Int. Arch. Occup.<br />

Environ. Health 1996; 68: 289-297.<br />

5) Fustinoni S., Buratti M., Giampiccolo R., Brambilla G., Foà V., Colombi<br />

A. Comparison between blood and urinary toluene as biomarkers<br />

of exposure to toluene. Int. Arch. Occup. Environ. Health<br />

2000; 73: 389-396.<br />

6) Nise G. Urinary excretion of o-cresol and hippuric acid after toluene<br />

exposure in rotogravure printing. Int. Arch. Occup. Environ. Health<br />

1992; 63: 377-381.<br />

Ruolo dei marcatori di turnover osseo nella valutazione del low back pain<br />

Istituto di Medicina del Lavoro, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma<br />

RIASSUNTO. I biomarcatori sono stati utilizzati per decenni nella<br />

ricerca epidemiologica della tossicologia ambientale e occupazionale.<br />

Recentemente si è introdotto l’uso dei biomarcatori anche nello studio<br />

delle patologie muscoloscheletriche lavoro-correlate. È stato sperimentato<br />

che marcatori sufficientemente definiti possono individuare le fasi iniziali<br />

precliniche dei disordini muscoloscheletrici e monitorarne la evoluzione.<br />

L’obbiettivo di questo studio è di valutare il possibile utilizzo di alcuni<br />

marcatori di turnover osseo nella valutazione del low back pain lavoro-correlato.<br />

Parole chiave: biomarcatori di turnover osseo; professionale; lombalgia.<br />

ABSTRACT. USE OF BIOMARKERS OF BONE TURNOVER IN THE AS-<br />

SESSMENT OF LOW BACK PAIN. Biomarkers have been used for decades in<br />

epidemiologic research in environmental and occupational toxicology.<br />

During recent years, the concept of biomarkers for studying mechanisms<br />

of occupational musculoskeletal disorders has gained support. It has been<br />

stated that sufficiently defined biomarkers have the potential to detect<br />

musculoskeletal disorders at an early, preclinical stage and to monitor the<br />

severity in people and populations. The objective of this study is to investigate<br />

the potential of the use of some markers of bone turnover in the<br />

assessment of work-related low back pain.<br />

Key words: biomarkers of bone turnover; occupational; low back<br />

pain.<br />

Introduzione<br />

Il corretto inquadramento diagnostico del low back pain<br />

(LBP) rimane tuttora un problema complesso, tanto più se si<br />

considera il gran numero di lavoratori che ne sono affetti essendo<br />

esposti a rischio di movimentazione manuale dei carichi<br />

(MMC). L’approccio corretto deve essere multispecialistico<br />

con contributi di ambito neurologico, fisiatrico, ortopedico,<br />

reumatologico. Le aspettative riposte nella diagnosi radiologica<br />

sono migliorate solo con la RM che estende la valutazione<br />

radiologica tradizionale limitata alle strutture ossee. Sull’enciclopedia<br />

del BIT, a testimonianza della complessità del problema,<br />

si legge: “è raro che Rx e TC siano d’aiuto nella diagnosi<br />

dato che nella maggior parte dei casi l’origine risiede nei muscoli<br />

e nei legamenti piuttosto che nelle strutture ossee. Di fatto<br />

è molto frequente trovare anomalie ossee in individui che<br />

non hanno mai avuto il mal di schiena. Ascrivere il mal di<br />

schiena ad un assottigliamento del disco o a spondilosi, può<br />

portare ad inutili trattamenti eroici”.<br />

Un ulteriore elemento diagnostico di recente impiego è costituito<br />

dai marcatori bioum<strong>orali</strong> per la valutazione del danno nelle<br />

artropatie lavoro-correlate. Infatti in quest’ultimo decennio numerose<br />

sono state le segnalazioni di marcatori biologici di alterazioni<br />

a carico dell’apparato osteo-articolare che potrebbero essere<br />

utilizzati come indici predittivi della fase di attività delle<br />

osteoartropatie, capaci di monitorarne la evolutività, della sua<br />

stabilizzazione e della risposta alla terapia (1).<br />

Un biomarcatore può essere definito come un indicatore di<br />

alterazioni biochimiche o molecolari che interessano un sistema<br />

<strong>biologico</strong>, in grado di riflettere un evento o una sequenza di eventi<br />

e che può essere dosato in mezzi biologici come i fluidi corporei.<br />

I biomarcatori sono stati usati per decenni nella ricerca epidemiologica<br />

della tossicologia ambientale e fanno parte del patrimonio<br />

dottrinale della Medicina del Lavoro nella convenzionale<br />

accezione di indicatori di esposizione, di effetto e di suscettibilità<br />

(2).<br />

Un biomarcatore per essere utile nella ricerca epidemiologica<br />

e nello screening diagnostico deve essere sensibile, ovvero capace<br />

di individuare alterazioni in fase precoce, specifico, ovvero<br />

indipendente da altri fattori confondenti come l’alimentazione o<br />

disordini metabolici, economico. Marcatori sierologici sensibili e<br />

specifici che valutano l’entità del danno a livello della cartilagine,<br />

del tessuto sinoviale ed osseo di pazienti affetti da artrite reumatoide<br />

(AR) e da osteoartrosi, a fini di prognosi e di monitoraggio<br />

delle varie fasi della malattia, sono utilizzati da molti anni<br />

(1). Recentemente alcuni ricercatori hanno valutato il possibile<br />

impiego di tali biomarcatori quali ad esempio il cheratan solfato,<br />

il PICP e il CTX su popolazioni di lavoratori sottoposti a<br />

stress meccanico del rachide (3, 4). Questi marcatori si dividono<br />

in tre gruppi a seconda della struttura anatomica dell’articolazione<br />

di cui indicano l’alterazione: 1) Marcatori di alterazione ossea;<br />

2) Marcatori di alterazione sinoviale; 3) Marcatori di alterazione<br />

cartilaginea (1).<br />

Nella Tabella I sono riportati, sinteticamente, per apparato<br />

e per tipo alterazione segnalata (a seconda se indicano la sintesi<br />

di nuova matrice o il rimaneggiamento della matrice) i marcatori<br />

più importanti, le note caratteristiche e il loro significato<br />

clinico.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 65<br />

In pazienti affetti da osteoartrosi<br />

del ginocchio, ad esempio, Garnero<br />

e coll. hanno riscontrato un<br />

diminuito turnover osseo, ma un<br />

aumentato turnover sinoviale e cartilagineo:<br />

l’U-Glc-Gal-PYD, specifico<br />

marcatore dell’attività sinoviale,<br />

si rivelò un buon indice predittivo<br />

del dolore e della funzionalità<br />

articolare, mentre elevati livelli di<br />

U-CTX-II, S-PIIINP, e U-Glc-Gal-<br />

PYD si associavano ad un aumentata<br />

perdita di cartilagine (1). Questo<br />

studio confermava i ri<strong>sul</strong>tati di<br />

altre indagini su forme di artrosi<br />

diverse per eziologia e localizzazione.<br />

L’utilizzo del cheratan-solfato<br />

come biomarcatore degli effetti<br />

di un eccessivo stress meccanico<br />

<strong>sul</strong> disco intervertebrale, anche in<br />

ambito occupazionale per la valutazione<br />

diagnostica e preventiva<br />

delle low back pain, sono proposti<br />

da diversi autori (3).<br />

Questi ed altri studi recenti hanno<br />

permesso di distinguere gli eventi<br />

infiammatori da quelli degenerativi<br />

in molte patologie articolari. Ad<br />

esempio, Cunnane e coll. hanno dimostrato<br />

che i livelli di MMP-3 sierica<br />

permettono di studiare gli eventi infiammatori in corso di<br />

AR, mentre le concentrazioni di MMP-1 si correlano con l’andamento<br />

della distruzione ossea e cartilaginea in questa come di altre<br />

patologie articolari (1).<br />

I dati presentati nella tabella indicano che c’è un consistente<br />

fondamento razionale che spinge a ritenere che i marcatori bioum<strong>orali</strong><br />

di turnover osseo, cartilagineo e sinoviale siano utilizzabili<br />

in Medicina del Lavoro nell’ambito della valutazione di condizioni<br />

di sovraccarico della colonna vertebrale, quali la MMC,<br />

l’impiego di strumenti vibranti, vibrazioni trasmesse a tutto il<br />

corpo. Più promettenti sembrano essere il propeptide amino-terminale<br />

del procollagene di tipo I (PINP) e il telopeptide carbossi-terminale<br />

(ICTP) (4).<br />

F. Gobba 1, 2 , M. Scaringi 1 , L. Roccatto 2<br />

Bibliografia<br />

1) Young-Min S A, Cawston T E, Griffiths I D. Markers of joint destruction:<br />

principles, problems, and potential. Ann Rheum Dis 2001;<br />

60: 545-549.<br />

2) Mastin JP, Henningsen GM, Fine LJ. Use of biomarkers of occupational<br />

musculoskeletal disorders in epidemiology and laboratory animal model<br />

development. Scand J Work Environ Health 1992; 18 (Suppl) 2: 85-7.<br />

3) Kuiper J I, Verbeek A. M., Frings-Dresen M. H. W., Klein Ikkink A.<br />

J. Keratan Sulfate as a potential biomarker of loading of the intervertebral<br />

disc. Spine 1998; 23: 657-663.<br />

4) Kuiper J I et al. Physical workload of student nurses and serum<br />

markers of collagen metabolism. Scand J Work Environ Health 2002;<br />

28(3): 168-175.<br />

Effetto della esposizione occupazionale a campi magnetici a 50 Hz<br />

<strong>sul</strong>la escrezione urinaria di 6-idrossimelatonina solfato<br />

1 Cattedra di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Scienze Igienistiche, Università di Modena e Reggio Emilia<br />

2 Dottorato di Ricerca in Sanità Pubblica, Università di Modena e Reggio Emilia<br />

RIASSUNTO. In 73 lavoratori è stata stimata la esposizione a campi<br />

magnetici ELF con dosimetri personali, e la secrezione di melatonina mediante<br />

dosaggio della 6-idrossimelatonina solfato (6-OHMS) in campioni<br />

di urina raccolti il venerdì mattina e il lunedì mattina successivo. Nei campioni<br />

del venerdì non è stata osservata alcuna variazione della melatonina<br />

in funzione dell’esposizione; né è stata rilevata alcuna variazione del 6-<br />

OHMS tra venerdì, in corso di esposizione, e lunedì, in assenza di esposizione<br />

professionale. I ri<strong>sul</strong>tati non evidenziano alcuna relazione tra indicatore<br />

<strong>biologico</strong> ed esposizione professionale a campi magnetici ELF.<br />

Tabella I. Marcatori biochimici di turnover osseo, cartilagineo e sinoviale<br />

Legenda: PINP, propeptide amino-terminale del procollagene di tipo I; PICP, propeptide carbossi-terminale; ALP ossea,<br />

fosfatasi alcalina ossea; DPYD, deossi-piridolina; PYD, piridolina; Glc-Gal-PYD, glucosil-galattosil-piridolina;<br />

NTX, telopeptide N-terminale del collageno di tipo I-2; CTX, telopeptide C-terminale del collageno di tipo I-1; BSP,<br />

sialoproteina ossea; PIICP, propeptide carbossi-terminale del procollageno di tipo II; PIIANP, propeptide amino-terminale<br />

del procollageno di tipo IIA; YKL-40, frammenti della proteina core di aggrecano; CTX-II, telopeptide C-terminale<br />

del collageno di tipo II; COMP, proteina oligomerica della cartilagine; MMP, metalloproteinasi della matrice;<br />

TIMP, inibitori delle metalloproteinasi della matrice; PIIIINP, propeptide amino-terminale del procollageno di tipo III.<br />

Parole chiave: campi magnetici ELF, 6-idrossimelatonina solfato,<br />

escrezione urinaria, esposizione professionale.<br />

ABSTRACT. EFFECT OF THE OCCUPATIONAL EXPOSURE TO ELF-MF<br />

ON THE URINARY EXTRETION OF 6-HYDROXYMELATONIN SULFATE. In 73<br />

workers, extremely low frequency- magnetic fields (ELF-MF) exposure<br />

was monitored during 3 consecutive work-shifts using personal dosimeters.<br />

Melatonin secretion was evaluated by measuring 6-hydroxymelatonin<br />

<strong>sul</strong>fate (6-OHMS) in samples of urine collected on Friday morning


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

66 www.gimle.fsm.it<br />

and on the following Monday morning. No relation between 6-OHMS and<br />

exposure was observed in the Friday samples. No difference was observed<br />

in 6-OHMS values on Friday, during exposure, and on Monday, in absence<br />

of occupational exposure. The re<strong>sul</strong>ts do not support the hypothesis that<br />

ELF-MF occupational exposure may affect melatonin excretion.<br />

Key words: ELF electromagnetic fields, 6-hydroxymelatonin <strong>sul</strong>fate,<br />

urinary excretion, occupational exposure.<br />

Introduzione<br />

Sebbene alcuni studi epidemiologici suggeriscano un aumento<br />

del rischio di talune patologie, quali le leucemie o la depressione,<br />

in relazione alla esposizione occupazionale a campi magnetici<br />

indotti dalla corrente elettrica (Extremely Low Frequency<br />

o ELF), i ri<strong>sul</strong>tati della ricerca sono molto contrastanti (1). Uno<br />

dei principali problemi nella valutazione complessiva dei dati è<br />

la mancata dimostrazione di un meccanismo patogenetico. Tra i<br />

meccanismi ipotizzati, quello che ha destato maggiore interesse è<br />

una possibile interferenza degli ELF <strong>sul</strong> picco notturno della melatonina;<br />

i ri<strong>sul</strong>tati degli studi finora condotti, però, sono contrastanti<br />

ed inconclusivi (1). Una delle principali critiche mosse agli<br />

studi sugli effetti degli ELF, che potrebbe spiegare la scarsa coerenza<br />

dei ri<strong>sul</strong>tati, è una inaccuratezza nella valutazione dell’esposizione,<br />

spesso basata su dati qualitativi o su misurazioni inadeguate<br />

(2). Per superare tale problema può essere adottata la dosimetria<br />

personale che, sebbene relativamente costosa e complessa<br />

dal punto di vista organizzativo, è certamente molto più<br />

rappresentativa della esposizione individuale. In questo lavoro<br />

presentiamo i ri<strong>sul</strong>tati di uno studio sugli effetti della esposizione<br />

occupazionale a campi magnetici ELF a carico della secrezione<br />

di melatonina. L’esposizione è stata misurata mediante campionamento<br />

personale protratto per più turni lavorativi.<br />

Materiali e metodi<br />

Sono stati studiati 73 lavoratori, addetti a 17 diverse mansioni<br />

in vari comparti produttivi e nei servizi. L’anamnesi lavorativa,<br />

fisiologica e patologica è stata raccolta mediante questionario. Sono<br />

stati esclusi i lavoratori con forme neoplastiche anche pregresse<br />

e quelli con patologie, o che facevano uso di farmaci in grado<br />

di interferire con la melatonina, od addetti a turni notturni. L’esposizione<br />

ai campi magnetici ELF è stata misurata con campionatori<br />

personali EMDEX LITE (Enertech Con<strong>sul</strong>tants, Cambpell,<br />

CA, USA) indossati alla cintura per tre turni lavorativi (intervallo<br />

di campionamento: 10 secondi). I valori di esposizione sono<br />

espressi come Time Weighted Average (TWA). La secrezione di<br />

melatonina è stata valutata attraverso il dosaggio del suo principale<br />

metabolita, la 6-idrossimelatonina solfato (6-OHMS), in<br />

campioni della prima urina del venerdì mattina (per valutare l’eventuale<br />

effetto correlato alla esposizione professionale ad ELF),<br />

e del lunedì successivo (al fine di verificare i valori in assenza di<br />

esposizione professionale). I dosaggi sono stati effettuati con il<br />

metodo radioimmunologico di Aldous e Arendt (3). È stata misurata<br />

anche la creatinina. L’escrezione di 6-OHMS è stata espressa<br />

in funzione della creatinina urinaria (ng/mg di creatinina).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

I lavoratori sono stati suddivisi in 3 gruppi in funzione dell’esposizione:<br />

≤ 0,2 µT, 0,2 - 1 µT e ≥ 1 µT. Non è stata osservata<br />

alcuna differenza significativa nei valori di 6-OHMS urinario<br />

tra i gruppi a differente esposizione nei campioni raccolti al venerdì<br />

né in quelli del lunedì (Tabella 1). Mediante analisi per dati<br />

appaiati è stata anche esclusa una variazione significativa tra i<br />

valori di 6-OHMS al venerdì ed al lunedì nello stesso individuo.<br />

L’assenza di una relazione tra valori di 6-OHMS ed esposizione<br />

è confermata anche con analisi della regressione multipla. Infine,<br />

un’eventuale relazione tra variazione lunedì/venerdì della melatonina<br />

ed esposizione è stata ulteriormente studiata calcolando,<br />

per ogni lavoratore, il rapporto tra i valori del 6-OHMS al venerdì<br />

ed al lunedì ed i valori di esposizione TWA: anche in questo caso,<br />

però, non è stata riscontrata alcuna differenza significativa tra<br />

i gruppi a differente esposizione (Tabella 1). L’assenza di una tale<br />

relazione significativa è stata confermata mediante analisi della<br />

regressione multipla.<br />

Discussione e Conclusioni<br />

L’esposizione a campi magnetici ELF non sembra influenzare<br />

l’escrezione di 6-OHMS urinaria. I ri<strong>sul</strong>tati non possono essere<br />

stati influenzati da fattori noti in grado di interferire <strong>sul</strong>la melatonina,<br />

quali turni notturni, malattie e/o uso di farmaci, che sono<br />

stati esclusi mediante selezione preliminare del campione.<br />

Anche l’interferenza di fattori quali età, sesso, durata del sonno,<br />

fumo ed alcool è stata controllata mediante studio dell’analisi<br />

multivariata. Il problema della inaccuratezza della stima dell’esposizione<br />

è stato affrontato effettuando un campionamento personale<br />

per più turni lavorativi completi. La secrezione di melatonina<br />

è stata stimata mediante dosaggio RIA della 6-OHMS, che<br />

rappresenta la metodica applicata negli studi recenti <strong>sul</strong>la melatonina<br />

e <strong>sul</strong>le sue variazioni connesse a fattori ambientali. Per tutte<br />

queste ragioni riteniamo che i ri<strong>sul</strong>tati ottenuti riflettano correttamente<br />

l’effettivo fenomeno <strong>biologico</strong>. Il possibile effetto dei<br />

campi magnetici ELF <strong>sul</strong>la melatonina rimane controverso (1, 2):<br />

i nostri dati non sono indicativi di alcuna interferenza della esposizione<br />

professionale <strong>sul</strong>la secrezione di quest’ormone.<br />

Bibliografia<br />

Tabella I. Valori di 6-OHMS (ng/mg di creatinina)<br />

misurati il venerdì e lunedì mattina in lavoratori<br />

a diversa esposizione a ELF<br />

ESPOSIZIONE VENERDI LUNEDI<br />

RAPP.<br />

LUN/VEN<br />

N media ± DS N media ± DS N media ± DS<br />

≤ 0,2 µT 31 27,75 8,97 31 28,93 11,23 26 1,04 0,49<br />

0,2 µT < 1 µT 21 33,46 13,80 15 31,01 12,61 14 1,16 0,33<br />

≥ 1 µT 8 33,84 8,01 13 37,51 12,46 7 1,00 0,45<br />

I valori si riferiscono a campioni di urina raccolti il venerdi mattina ed il lunedì successivo<br />

e al rapporto tra i valori del venerdì e del lunedì. Né i valori di 6-OHMS al<br />

Venerdì e al Lunedì, né il loro rapporto differiscono significativamente tra i gruppi<br />

a differente esposizione.<br />

1) NRPB: ELF Electromagnetic Fields and the Risk of Cancer. National<br />

Radiological Protection Board, Doc NRPB 2001;12(1).<br />

2) ICNIRP. International Commission for Non Ionizing Radiation Protection.<br />

Standing Committee on Epidemiology: Review of the Epidemiologic<br />

Literature on EMF and Health. Environ Health Perspect.<br />

2001; 109 (Suppl 6): 911-33.<br />

3) Aldous M.E., Arendt J. Radioimmunoassay for 6-<strong>sul</strong>phatoxymelatonin<br />

in urine using an iodinated tracer. Ann.Clin.Biochem.1988; 25:<br />

298-303.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 67<br />

M. Goldoni 1,2 , S. Catalani 3 , G. De Palma 1,2 , P. Manini 1,2 , O. Acampa 2 , M. Corradi 1,2 , R. Bergonzi 3 , P. Apostoli 3 , A. Mutti 2<br />

Il condensato dell’aria espirata come nuova matrice per la determinazione<br />

d’indicatori di dose e d’effetto in lavoratori esposti a cobalto e tungsteno<br />

1 Centro Studi e Ricerche I.S.P.E.S.L., Università di Parma<br />

2 Dipartimento di Clinica Medica, Nefrologia e Scienze della Prevenzione, Università di Parma<br />

3 Dipartimento di Medicina Sperimentale ed Applicata, Università di Brescia<br />

RIASSUNTO. Lo scopo dello studio era valutare se il condensato<br />

dell’aria espirata (CAE) possa essere proposto come nuova matrice biologica<br />

per valutare indicatori di dose ed effetto in lavoratori esposti a metalli<br />

duri, quali cobalto (Co) e tungsteno (W), usando la malondialdeide<br />

(MDA) come indicatore di danno ossidativo polmonare. I livelli di Co e<br />

W nel CAE a fine turno erano più elevati rispetto ai livelli osservati prima<br />

del turno lavorativo. I livelli di MDA nel CAE erano positivamente<br />

correlati con la concentrazione di Co nel CAE ma non con i livelli di Co<br />

nell’urina. Questi dati indicano la utilità del CAE per integrare le procedure<br />

di monitoraggio <strong>biologico</strong> sui lavoratori esposti.<br />

Parole chiave: espirato condensato, cobalto, tungsteno, malondialdeide,<br />

monitoraggio <strong>biologico</strong>.<br />

ABSTRACT. EXHALED BREATH CONDENSATE AS A NEW MATRIX FOR<br />

ASSESSING DOSE AND EFFECT MARKERS IN WORKERS EXPOSED TO COBALT<br />

AND TUNGSTEN. The study was performed to assess whether exhaled<br />

breath condensate (EBC) could be used as a suitable matrix for evaluating<br />

tissue dose and effects in workers exposed to cobalt (Co) and tungsten<br />

(W), using EBC malondialdehyde (MDA) as a biomarker of lung<br />

oxidative stress. Co and W in EBC were higher at the end of the work<br />

shift in comparison to pre-exposure values and MDA levels were correlated<br />

with Co levels in EBC. This correlation, however, was not observed<br />

with urinary concentration of either element. The re<strong>sul</strong>ts suggest the usefulness<br />

of EBC for integrating traditional biomonitoring among exposed<br />

workers.<br />

Key words: exhaled breath condensate (EBC), cobalt, tungsten, malondialdehyde,<br />

biological monitoring.<br />

Introduzione<br />

L’esposizione professionale a cobalto (Co) può portare a<br />

varie affezioni polmonari, quali la polmonite, la fibrosi e l’asma<br />

bronchiale. Anche se i meccanismi della tossicità polmonare<br />

indotta dal Co non sono completamente noti, dati sia in<br />

vivo che in vitro sembrano dimostrare che il Co induca la generazione<br />

di specie reattive dell’ossigeno (ROS), con conseguente<br />

stress ossidativo. Inoltre, sembra che la generazione di<br />

ROS indotta dal Co sia potenziata dalla co-esposizione a tungsteno<br />

(W), in particolare a carburo di W, attraverso un mecca-<br />

nismo fisico-chimico di<br />

interazione. Il Co e il W<br />

sono essenzialmente assorbiti<br />

per via inalatoria,<br />

ed in minor parte per via<br />

cutanea e digestiva. I<br />

metalli sono poi escreti<br />

per via urinaria, e la loro<br />

determinazione è attualmente<br />

utilizzata per il<br />

monitoraggio <strong>biologico</strong><br />

nei lavoratori esposti.<br />

Tuttavia, i livelli di Co e<br />

W nell’urina costituiscono<br />

un indicatore di<br />

dose sistemica, e non di<br />

dose al bersaglio, in questo caso il polmone. Il condensato<br />

dell’aria espirata (CAE), liquido che si forma raffreddando<br />

l’esalato, è stato proposto come nuovo metodo per campionare<br />

il fluido di rivestimento bronco-polmonare, quindi potenzialmente<br />

utile per ottenere informazioni <strong>sul</strong>la dose e <strong>sul</strong>l’effetto<br />

al bersaglio.<br />

Lo scopo del presente studio è stato valutare se il CAE possa<br />

essere utilizzato per la determinazione di indicatori di esposizione,<br />

come Co e W, e di effetto, come la malondialdeide (MDA)<br />

quale indicatore di stress ossidativo, in lavoratori esposti a metalli<br />

duri.<br />

Materiali e metodi<br />

Trentatrè lavoratori esposti a Co e W nella lavorazione di<br />

utensili diamantati e di parti meccaniche hanno partecipato a questo<br />

studio. Ogni soggetto è stato valutato all’inizio e alla fine di<br />

una tipica giornata lavorativa. Durante ogni valutazione i soggetti<br />

hanno raccolto il CAE ed un campione di urina. Campioni di<br />

urina e di CAE sono anche stati raccolti in un gruppo di soggetti<br />

sani professionalmente non esposti a metalli duri (gruppo di controllo).<br />

Il CAE è stato raccolto raffreddando l’aria espirata a volume<br />

corrente in un apposito “device” di polipropilene. Il Co, il<br />

We la MDA nel CAE sono stati analizzati con i metodi analitici<br />

basati <strong>sul</strong>la spettrometria di massa.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

La Tabella I riassume i dati relativi al monitoraggio <strong>biologico</strong>.<br />

Nel CAE dei soggetti di controllo, il Co era rilevabile a livelli<br />

molto bassi, mentre il W non era dosabile. Nei lavoratori esposti,<br />

i livelli di Co nel CAE variavano da alcuni a diverse centinaia<br />

di nmol/L. I corrispettivi livelli di W nel CAE andavano da livelli<br />

non dosabili a parecchie decine di nmol/L. I livelli sia di Co che<br />

di W nel CAE e nell’urina erano più alti alla fine del turno lavorativo<br />

rispetto all’inizio del turno.<br />

Tabella I. Livelli di indicatori biologici a fine turno lavorativo nel CAE e nell’urina<br />

dei lavoratori esposti e dei controlli. I dati sono espressi come mediana e interquartili


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

68 www.gimle.fsm.it<br />

Figura 1. Correlazione tra concentrazione di MDA e quella<br />

di Co nel CAE di lavoratori<br />

Nel CAE, i livelli di MDA erano positivamente correlati<br />

con i rispettivi livelli di Co, e laddove era presente co-esposizione<br />

a W, questa determinava un ulteriore incremento nei livelli<br />

di MDA (Figura 1). Al contrario, i livelli di MDA nel<br />

CAE non correlavano con le concentrazioni urinarie di Co<br />

(Figura 2).<br />

C. Grandi, N. Vonesch, S. Signorini<br />

Figura 2. Correlazione tra concentrazione di MDA nel CAE e<br />

quella di Co nell’urina dei lavoratori<br />

Conclusioni<br />

Questi ri<strong>sul</strong>tati indicano l’utilità potenziale del CAE come<br />

nuova matrice da utilizzare per il monitoraggio <strong>biologico</strong> e per le<br />

procedure di controllo sanitario fra i lavoratori esposti alle miscele<br />

di metalli duri.<br />

Impiego di biosensori nel monitoraggio dell’esposizione lavorativa<br />

ad agenti biologici: analisi della letteratura<br />

ISPESL, Dipartimento Medicina del Lavoro, Monteporzio Catone (RM)<br />

RIASSUNTO. L’aria rappresenta uno dei principali veicoli per le infezioni<br />

nosocomiali, il cui controllo può porre problemi in parte simili a quelli<br />

relativi all’identificazione e al monitoraggio dei contaminanti biologici aerodispersi<br />

negli ambienti confinati. Le attuali metodologie di campionamento<br />

e quantificazione degli agenti biologici nell’aria ambiente presentano<br />

una serie di limitazioni che possono essere superate dall’impiego di metodi<br />

innovativi. Tra questi, i biosensori sono i più promettenti. Al momento, sono<br />

stati allestiti una serie di immunosensori e di sensori a DNA per rilevare<br />

specifici ceppi batterici e virali, ma tutti evidenziano alcuni tipi di limitazione.<br />

La sfida è rappresentata dalla messa a punto di biosensori in grado di<br />

operare in fase gassosa, con elevata specificità e sensibilità, possibilità di misure<br />

ripetute, controllo in remoto, rapidità di misura e bassi costi.<br />

Parole chiave: biosensori, agenti biologici, infezioni nosocomiali.<br />

ABSTRACT. USE OF BIOSENSORS IN THE ASSESSMENT OF OCCUPA-<br />

TIONAL EXPOSURE TO BIOLOGICAL AGENTS: REVIEW OF THE LITERATURE.<br />

Air is one of the most important vehicle for nosocomial infections, whose<br />

control may pose problems partly similar to those concerning the identification<br />

and monitoring of airborne biological contaminants in indoor<br />

environments. The current methodologies for sampling and quantifying<br />

biological agents in ambient air have various limitations which can be<br />

overcome by innovative methods, of which biosensors are the most promising.<br />

A series of immunosensors and DNA sensors have been set up to<br />

monitor specific strains of bacteria and viruses, but all demonstrate some<br />

disadvantages. The challenge is to create biosensors capable of operating<br />

in gaseous phase, with high specificity and sensitivity, capable of repeated<br />

and rapid measures, remote control, and low costs.<br />

Key words: biosensors, biological agents, nosocomial infections.<br />

Introduzione<br />

Negli ambienti di lavoro l’aria rappresenta un importante veicolo<br />

per agenti biologici. In particolare negli ambienti di lavoro<br />

confinati è importante rilevare sia la carica microbica totale (indice<br />

di tipo igienistico) sia la ricerca di specie o ceppi che possono<br />

assumere rilevanza per quanto riguarda il rischio di infezioni<br />

in relazione al settore di attività. I metodi di determinazione disponibili<br />

(soprattutto quelli basati <strong>sul</strong> campionamento attivo dell’aria<br />

e <strong>sul</strong>la messa in coltura, identificazione e conta microbica)<br />

per quanto ruotinariamente utilizzati non sono ancora in molti casi<br />

standardizzati e validati (1) e presentano limitazioni in riferimento<br />

ad accuratezza, precisione, tempi di esecuzione, necessità<br />

di strutture laboratoristiche adeguate, costi. Metodi innovativi basati<br />

su campionamento e misura di costituenti macromolecolari<br />

microbici non sono ancora stati validati, necessitano di dotazioni<br />

laboratoristiche e possono presentare costi elevati (2).<br />

Le infezioni nosocomiali sono definite come infezioni acquisite<br />

durante la degenza in ospedale, che non sono presenti o in fase<br />

di incubazione al momento dell’ammissione nella struttura sanitaria.<br />

Tali infezioni interessano prevalentemente i pazienti ospedalizzati,<br />

ma possono anche essere acquisite, meno frequentemente, dal<br />

personale sanitario coinvolto nell’assistenza (3). Il controllo delle<br />

infezioni ospedaliere è parte del più generale programma di controllo<br />

delle contaminazioni biologiche in ambiente sanitario. Parte<br />

imprescindibile di tale programma è rappresentata dal monitoraggio<br />

dei livelli di contaminazione, sia generali (cariche microbiche)<br />

sia specifici (ricerca di singole specie e/o ceppi), non solo per<br />

quanto riguarda le matrici biologiche del paziente, gli indumenti, i<br />

supporti e presidi sanitari e le superfici esposte, ma anche in relazione<br />

all’aria ambiente, che rappresenta un veicolo non secondario<br />

per numerosi agenti infettanti e investe le problematiche più generali<br />

del controllo micro<strong>biologico</strong> negli ambienti confinati (indoor).<br />

In questo contesto si ritiene che un approccio di svolta ai problemi<br />

posti dal monitoraggio microbico in aria possa essere rap-


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 69<br />

presentato dalla messa a punto di biosensori per la determinazione<br />

diretta di agenti biologici nell’aria ambiente.<br />

Biosensori per la determinazione di agenti biologici<br />

Per biosensore si intende un dispositivo analitico costituito da<br />

un elemento sensibile di natura biologica (sensore) accoppiato ad<br />

un trasduttore di segnale. Il sensore può essere rappresentato da<br />

un enzima che catalizza una specifica reazione che coinvolge la<br />

molecola dell’analita, da un anticorpo che lega in modo specifico<br />

la molecola dell’analita, da cellule batteriche in grado di utilizzare<br />

l’analita come substrato, da sequenze oligonucleotidiche in grado<br />

di legare sequenze complementari o di subire modificazioni<br />

chimiche a contatto con alcune classi di analiti (genotossici), etc.<br />

Il trasduttore è interfacciato direttamente all’elemento sensibile<br />

ed è in grado di convertire il segnale biochimico di quest’ultimo<br />

in un segnale di tipo diverso, elettrico o ottico (elaborato e visualizzato<br />

su display o trasmesso a postazioni remote). I vantaggi potenziali<br />

connessi all’impiego di biosensori nelle determinazioni<br />

analitiche sono riassumibili in: 1) elevata specificità e sensibilità;<br />

2) rapidità di risposta; 3) eliminazione della fase di pretrattamento<br />

del campione; 4) possibilità di determinazione ripetute o, al limite,<br />

in continuo; 5) compattezza e portatilità del dispositivo; 6) possibilità<br />

di trasmissione dei dati a distanza on line; 7) costi ridotti.<br />

Numerose rassegne sono disponibili in letteratura <strong>sul</strong>lo stato<br />

dell’arte o sugli sviluppi di ricerca per quanto riguarda specifici<br />

ambiti di impiego (fondamentalmente clinico, del controllo alimentare<br />

e della ricerca di inquinanti nelle acque e dei suoli) o categorie<br />

di biosensori (4, 5). Relativamente a biosensori per rilevare<br />

microrganismi, virus e agenti biologici in generale l’ambito<br />

che ha ricevuto maggior impulso è quello legato alla sicurezza<br />

alimentare, in relazione all’identificazione di contaminazioni microbiche<br />

di alimenti come latte e carni da parte di specie quali E.<br />

coli e Salmonella. Anche le acque reflue (controllo ambientale) e<br />

i fluidi biologici (diagnostica clinica) sono sempre più oggetto di<br />

ricerca in relazione alla messa a punto di biosensori per l’identificazione<br />

e la quantificazione di agenti biologici (6).<br />

I biosensori per agenti biologici allestiti fino ad ora sono riconducibili<br />

a due fondamentali classi: ad anticorpi e ad acidi nucleici.<br />

In relazione ai primi si dispone dell’esperienza più consolidata.<br />

Anticorpi specifici nei confronti di antigeni di superficie<br />

(proteine batteriche e/o virali) sono immobilizzati su supporto e<br />

accoppiati ad un sistema di trasduzione. Le prestazioni, soprattutto<br />

in termini di sensibilità, di intervallo dinamico e di rigenerazione<br />

dell’elemento sensibile sono molto variabili, in relazione<br />

alla natura del complesso antigene-anticorpo, al sistema di trasduzione<br />

e alla matrice di indagine. In alcuni casi sono confrontabili<br />

con quelle di metodi ormai consolidati (es. saggio ELISA)<br />

o addirittura superiori (7). Attualmente la messa a punto di sensori<br />

capaci di operare in aria è ostacolata dalla necessità della<br />

presenza di una matrice liquida a livello della quale possa avvenire<br />

il legame antigene-anticorpo.<br />

I biosensori ad acidi nucleici hanno una struttura di base costituita<br />

da sequenze oligonucleotidiche a singolo filamento immobilizzate<br />

su supporto (che può fungere o meno da trasduttore). Il legame<br />

a dette sequenze di sequenze complementari o di parti di sequenze<br />

complementari (sequenze target) determina una modificazione<br />

(aumento di massa, variazione di potenziale, variazione della<br />

frequenza basale di oscillazione) che può essere trasdotta in segnale<br />

elettrico o ottico. Le problematiche operative connesse alla<br />

preparazione di sensori ad acidi nucleici (genosensori) sono state<br />

recentemente prese in rassegna (8). La sequenza complementare da<br />

rilevare è costituita nella maggior parte dei casi dalla sequenza di<br />

un gene caratteristico di una determinata specie o ceppo microbico<br />

o da una sequenza di DNA virale. Di solito il sensore è accoppiato<br />

con un elettrodo, ma sono stati realizzati sensori a DNA abbinati a<br />

sistemi di trasduzione diversi. I biosensori ad acidi nucleici hanno<br />

il vantaggio di un’elevatissima specificità e richiedono tempi ridotti.<br />

Possono però presentare problemi per quanto riguarda la rigenerazione<br />

dell’elemento sensibile: è infatti necessario dissociare<br />

l’ibrido formatosi tra la sequenza bersaglio e la sequenza sensing.<br />

Idealmente la sensibilità di questi dispositivi consente di rilevare la<br />

presenza di una singola sequenza target presente nella matrice liquida.<br />

La sequenza bersaglio deve però trovarsi libera nel mezzo:<br />

ciò implica di solito la necessità di una fase di estrazione degli acidi<br />

nucleici dalle cellule batteriche o dalle particelle virali. L’estrazione<br />

potrebbe non essere necessaria se nel mezzo è presente acido<br />

nucleico libero derivato da morte e sfaldamento di alcuni dei<br />

corpi cellulari batterici o da disgregazione di particelle virali. In secondo<br />

luogo, per la maggior parte dei sistemi realizzati finora è in<br />

pratica necessaria una fase di amplificazione preanalitica della sequenza<br />

bersaglio eventualmente presente tramite PCR. Infine la sequenza<br />

bersaglio deve essere a singolo filamento, allo scopo di permettere<br />

l’ibridazione con la sequenza sensing: ciò implica una fase<br />

di denaturazione post-amplificazione.<br />

Conclusioni<br />

Il panorama tracciato è in rapida evoluzione. La miniaturizzazione<br />

dei dispositivi e l’ottimizzazione delle fasi di realizzazione<br />

e montaggio della componentistica stanno portando anche<br />

ad una progressiva contrazione dei costi. Nell’insieme i sensori a<br />

DNA per agenti biologici realizzati assicurano per ora un importante<br />

vantaggio: l’eliminazione della corsa elettroforetica degli<br />

amplificati e della successiva identificazione delle bande, con sostanziale<br />

riduzione dei tempi di analisi e della dotazione strumentale<br />

necessaria.<br />

Un ambito gravido di rapidi sviluppi è rappresentato dalla<br />

realizzazione di sensori multisequenza tramite l’allestimento di<br />

DNA arrays, in grado di rilevare simultaneamente più sequenze<br />

di acido nucleico e quindi potenzialmente più di un agente <strong>biologico</strong><br />

in contemporanea. L’altro ambito (di difficile percorso ma<br />

fortemente innovativo) è dato dall’allestimento di sensori a DNA<br />

per la determinazione di sequenze di acido nucleico libere in aria,<br />

indispensabile <strong>sul</strong>la base dell’insieme delle considerazioni fin qui<br />

formulate per il monitoraggio di agenti microbici, inclusi quelli<br />

responsabili di infezioni nosocomiali. Dai dati emersi fino ad oggi<br />

per entrambe le categorie di biosensori (ad acido nucleico o ad<br />

anticorpi) si evidenziano in ogni caso prospettive interessanti a<br />

fronte delle criticità riscontrate.<br />

Bibliografia<br />

1) Pasquarella C, Pitzurra O, Savino A. The index of microbial air contamination.<br />

J Hosp Infect 2000; 46: 241-256.<br />

2) Douwes J, Thorne P, Pearce N, Heederik D. Bioaerosol health effects<br />

and exposure assessment: progress and prospects. Ann Occup Hyg<br />

2003; 47: 187-200.<br />

3) World Health Organization. Prevention of hospital-acquired infections.<br />

A practical guide 2 nd edition. WHO, 2002:<br />

http://www.who.int/emc.<br />

4) Nakamura H, Karube I. Current research activity in biosensors. Anal<br />

Bioanal Chem 2003; 377: 446-468.<br />

5) Rodriguez-Mozaz S, Marco MP, Lopez de Alda MJ, Barcelo’ D. Biosensors<br />

for environmental monitoring of endocrine disruptors: a review<br />

article. Anal Bioanal Chem 2004; 378: 588-598.<br />

6) D’souza SF. Microbial biosensors. Biosens Bioelectron 2001; 16:<br />

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7) Mello LD, Kubota LT. Review of the use of biosensors as analytical<br />

tools in the food and drink industries. Food Chem 2002; 77: 237-256.<br />

8) Lucarelli F, Marrazza G, Turner AP, Mascini M. Carbon and gold<br />

electrodes as electrochemical transducers for DNA hybridisation<br />

sensors. Biosens Bioelectron 2004; 19: 515-530.


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

70 www.gimle.fsm.it<br />

G. Lacca 2 , A. Provenzani 2 , S. Schillaci 1 , M.G. Verso 1 , D. Picciotto 1<br />

Prevalenza di anticorpi anti-HCV ed anti-HBV nei lavoratori<br />

della sanità di un nosocomio palermitano<br />

1 Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Clinica e delle Patologie Emergenti Università degli Studi di Palermo<br />

2 Dipartimento di Scienze Farmacologiche, Università degli Studi di Palermo<br />

RIASSUNTO. Scopo del presente lavoro è quello di stimare la prevalenza<br />

del rischio dell’infezione da HCV ed HBV del personale sanitario<br />

di un ospedale di Palermo confrontando tale ri<strong>sul</strong>tato con un gruppo<br />

di controllo costituito da donatori di sangue italiani. Dallo studio è emerso<br />

che la prevalenza nei lavoratori della sanità è ri<strong>sul</strong>tato inferiore di circa<br />

la metà rispetto a quella dei donatori di sangue. È nostra opinione,<br />

quindi, che le misure preventive, già attuate tra il personale sanitario, siano<br />

state efficaci ed attente.<br />

Parole chiave: HCV e HBV prevalenza, personale sanitario.<br />

ABSTRACT. PREVALENCE OF ANTI-HCV AND ANTI-HBV ANTI-<br />

BODY IN A HOSPITAL’S SANITARY PERSONNEL<br />

The project aim is to estimate HCV and HBV infection risk prevalence,<br />

in a hospital’s sanitary personnel, in comparison with a control<br />

group consisting in Italian blood donors. We conclude that the sanitary<br />

personnel prevalence is lower than blood donors one.We are of opinion<br />

that preventive measures, carried out in sanitary personnel, are efficacious<br />

and accurate.<br />

Key words: HCV and HBV prevalence, sanitary personnel.<br />

Introduzione<br />

Il virus dell’epatite B è il principale rischio infettivo in ambiente<br />

ospedaliero, sia per frequenza che per gravità. È ormai ampiamente<br />

documentato nella letteratura scientifica che l’epatite virale<br />

B insorge negli operatori sanitari con una frequenza maggiore rispetto<br />

alla popolazione generale (3). In particolare il rischio di contrarre<br />

un’epatite virale è maggiore per il personale di laboratorio,<br />

per coloro che lavorano in sala autoptica e per chi opera in ambiente<br />

chirurgico rispetto a coloro che operano in ambiente medico. Il<br />

pericolo è legato all’esposizione ed alla manipolazione di materiale<br />

<strong>biologico</strong> (derivati ematici) di pazienti infetti. I veicoli più importanti<br />

dell’infezione sono rappresentati dal sangue e dai suoi derivati.<br />

Oltre alla via parenterale apparente (ferite con aghi, bisturi, forbici<br />

e/o altro materiale infetto) è ammessa una via parenterale inapparente<br />

da penetrazione del virus attraverso lesioni di continuo difficilmente<br />

individuabili di cute e mucose venute a contatto con materiale<br />

<strong>biologico</strong> infetto (1). Anche lo sperma e le secrezioni vaginali,<br />

la saliva, le lacrime ed il sudore dei soggetti infetti possono<br />

contenere quantità potenzialmente infettanti di virus (3).<br />

La trasmissione del virus C avviene per via parenterale. La<br />

maggiore fonte di infezione è costituita dalla trasfusioni di sangue<br />

e di derivati (concentrati piastrinici, fattori della coagulazione).<br />

L’HCV è responsabile del 75% dei casi di epatite post-trasfusionale<br />

(1). Il virus dell’epatite C non sembra dotato della<br />

stessa pericolosità dell’HBV per gli operatori sanitari: il suo potere<br />

infettante, soprattutto attraverso le mucose è minore, ed in<br />

ambito sanitario la via di trasmissione più frequente è il contatto<br />

del sangue infetto con il sangue dell’operatore.<br />

Lo scopo del presente lavoro è stato quello di stimare la prevalenza<br />

del rischio dell’infezione da HCV ed HBV nel personale<br />

sanitario di un ospedale della città di Palermo confrontando tale<br />

ri<strong>sul</strong>tato con un gruppo di controllo costituito da donatori di sangue<br />

italiani. Dall’analisi di precedenti studi analoghi e sovrapponibili,<br />

si evince come il rischio occupazionale di trasmissione dei<br />

virus sopra citati non ha una considerazione quantitativa univoca.<br />

Materiali e metodi<br />

Tutti i lavoratori della sanità (medici, infermieri professionali,<br />

ausiliari socio-sanitari) di un nosocomio palermitano, potenzialmente<br />

esposti al rischio <strong>biologico</strong>, sono stati sottoposti nel corso<br />

del 2002 a sorveglianza sanitaria comprendente oltre l’anamnesi,<br />

l’esame obiettivo, gli esami emato-chimici ed esami strumentali,<br />

quali ECG, spirometria, audiometria, anche l’esecuzione di tests<br />

evidenzianti anticorpi anti-HCV ed anti-HBV (anti-HBc, anti HBs<br />

e anti-Hbe) dosati tramite tecnica ELISA di III generazione.<br />

I tassi di sieroprevalenza del personale sanitario sono stati poi<br />

comparati con i tassi provenienti dallo screening anti-HBV ed anti-HCV<br />

dei donatori di sangue della popolazione italiana.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Gli operatori sanitari esaminati nel corso dell’anno 2002 sono<br />

stati 840. La prevalenza assoluta di soggetti anti-HCV positivi<br />

è stata di 6 persone, cioè lo 0.71%; invece per quanto riguarda<br />

l’HBV la prevalenza è stata di 10 soggetti, quindi l’1.19%. L’età<br />

media dei primi era 51,16 aa con DS di 6,24 aa, quella dei secondi<br />

48,12 aa con DS di 6,77 aa.<br />

I soggetti positivi per HCV presentavano un’anzianità lavorativa<br />

media di 22 aa e fra costoro vi erano: un ausiliario sociosanitario<br />

del reparto di oculistica, un infermiere professionale di<br />

sala operatoria del reparto di chirurgia pediatrica, un ferrista di<br />

sala operatoria del reparto di ortopedia, un ausiliario socio-sanitario<br />

del reparto di cardiologia, un infermiere professionale del<br />

reparto di chirurgia oncologica ed un infermiere professionale del<br />

reparto di chirurgia generale.<br />

I soggetti positivi per HBV avevano un’anzianità lavorativa<br />

di 14,5 aa e fra loro vi erano: un infermiere professionale del reparto<br />

di chirurgia vascolare, un tecnico di laboratorio del servizio<br />

immuno-trasfusionale, un caposala dell’unità di terapia intensiva<br />

metabolica, un medico ed un infermiere professionale del reparto<br />

di neurologia, un infermiere professionale del reparto di dermatologia,<br />

un infermiere professionale del reparto di chirurgia toracica,<br />

un agente socio-sanitario ed un infermiere professionale<br />

del servizio AIDS, una infermiera professionale di sala operatoria<br />

del reparto di ostetricia.<br />

Inoltre come già accennato, sono stati valutati i tassi di prevalenza<br />

di anticorpi anti-virus B e C dei donatori di sangue della<br />

popolazione italiana, che sono ri<strong>sul</strong>tati essere:<br />

• 1.3% prevalenza di anticorpi antivirus C nei donatori di sangue;<br />

• 2% prevalenza di anticorpi antivirus B nei donatori di sangue<br />

del Nord d’Italia;<br />

• 4% prevalenza di anticorpi antivirus B nei donatori di sangue<br />

del Sud d’Italia.<br />

Considerazioni e Conclusioni<br />

Alla luce degli accertamenti effettuati nell’ambito della sorveglianza<br />

sanitaria di soggetti esposti a rischio <strong>biologico</strong> di un<br />

ospedale palermitano è emerso che la prevalenza nei lavoratori


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 71<br />

della sanità è ri<strong>sul</strong>tata inferiore di circa la metà rispetto a quella<br />

dei donatori di sangue della popolazione italiana. È nostra opinione<br />

quindi che le misure preventive, già attuate tra il personale<br />

sanitario esposto a rischio <strong>biologico</strong>, siano state efficaci ed attente.<br />

Le 2 strategie adottate per evitare il contagio da epatite sono:<br />

la prevenzione generica, analoga a tutte le malattie a trasmissione<br />

parenterale e la prevenzione specifica, solo però nel caso dell’HBV,<br />

basata <strong>sul</strong>l’immunizzazione attiva; purtroppo non esiste<br />

al momento alcun vaccino o immunoglobulina contro l’HCV (3).<br />

Quindi la prevenzione si basa <strong>sul</strong> controllo e <strong>sul</strong>la educazione sanitaria,<br />

<strong>sul</strong>lo screening del sangue e dei suoi derivati nell’ambito<br />

della sorveglianza sanitaria effettuata dal medico competente e<br />

<strong>sul</strong>la immunoprofilassi nel caso del virus dell’epatite B, che si<br />

avvale di un efficace vaccino prodotto con DNA ricombinante.<br />

Lo schema vaccinale prevede la somministrazione di 1 ml di vaccino<br />

i.m. o sottocute (braccio, deltoide o coscia) ai tempi di 0, 1,<br />

6 mesi. La risposta è considerata buona se il titolo anticorpale anti-HBsAg<br />

è maggiore di 100 UI/l; accettabile con titolo tra 100 e<br />

A. Lai, A. Gaiardo, A. Pulliero, E. Clonfero, S. Pavanello<br />

10 UI/l; insufficiente se il titolo è inferiore a 10 UI/l. In tema di<br />

profilassi da epatite C è indispensabile eseguire test immunologici<br />

pretrasfusionali; va ricordato infatti che il test dell’anticorpo<br />

anti-HCV è stato reso obbligatorio su tutte le unità di sangue nei<br />

centri trasfusionali italiani fin dall’Agosto del 1990 (2).<br />

Bibliografia<br />

1) Terrana T, L’Abbate N. Il lavoro degli operatori della sanità. In L.<br />

Ambrosi, V. Foà: Trattato di Medicina del Lavoro, UTET, Torino,<br />

1996; pp 607-614<br />

2) Okolicsanyi L, Nassuato G, R.M. Immolo R.M. Epatiti acute virali e<br />

danno epatico da farmaci. In L. Okolicsanyi, A. Pernacchia. Malattie<br />

dell’Apparato Gastrointestinale, McGraw-Hill, Milano, 1994; pp<br />

253-267.<br />

3) Sali D. I fattori di rischio microbiologici. In F. Gobba, D. Sali: Rischi<br />

professionali in ambito ospedaliero, McGraw-Hill, Milano,<br />

1995; pp 13-41.<br />

Influenza della riduzione del nucleotide excision repair e del genotipo GSTM1<br />

nullo sui livelli di addotti al DNA nei leucociti mononucleati in lavoratori di<br />

cokeria con elevate esposizioni ad idrocarburi policiclici aromatici<br />

Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Padova<br />

RIASSUNTO. Abbiamo valutato l’influenza di quattro polimorfismi<br />

dei geni nucleotide excision repair (NER) e quella del glutatione S-transferasi<br />

µ 1 (GSTM1-attivo o nullo) sui livelli di addotti al DNA dell’anti-benzo[a]pirene<br />

diol epossido (BPDE) dalla frazione di linfociti e monociti<br />

(LMF) di 67 lavoratori di cokeria esposti ad elevati livelli di idrocarburi<br />

policiclici aromatici (PAH). I livelli di addotti al DNA anti-BPDE<br />

sono stati determinati tramite l’analisi HPLC/fluorescenza. I genotipi sono<br />

stati determinati tramite PCR <strong>sul</strong> DNA genomico di ogni soggetto. Abbiamo<br />

trovato che i livelli di addotti al DNA anti-BPDE nella LMF dei<br />

lavoratori della cokeria erano significatimente aumentati dalla bassa capacità<br />

di riparazione del DNA dei genotipi XPC-PAT+/+ e XPA-A23A.<br />

Inoltre, gli addotti al DNA sono fortemente influenzati dal genotipo<br />

GSTM1. La frequenza più elevata di lavoratori con genotipo NER sfavorevole<br />

XPC-PAT+/+ e XPA- A23A, solo o combinato con il genotipo<br />

GSTM1-nullo, apparteneva al terzile con il più alto livello di addotti, essendo<br />

XPC-PAT +/+ e XPA-A23A significativamente presenti in circa 2/3<br />

dei soggetti. La minoranza di soggetti con il genotipo NER sfavorevole<br />

XPC-PAT +/+ e XPA- A23A insieme con GSTM1 nullo appartengono tutti<br />

ai due terzili più alti di addotti e nel 75% a quello più alto. L’analisi della<br />

regressione lineare multipla mostrava che i livelli di addotti al DNA anti-BPDE<br />

nella LMF erano significativamente correlati all’esposizione<br />

PAH, alla mancanza di attività di GSTM1 e alla bassa capacità di riparazione<br />

del DNA del genotipo XPC-PAT +/+. L’influenza del genotipo<br />

XPA-A23A non è stata evidenziata in questa analisi statistica e non è stata<br />

trovata nessuna associazione di polimorfismi XPD, abitudini alimentari<br />

e fumo di tabacco con gli addotti al DNA anti-BPDE. La modulazione<br />

degli addotti al DNA anti-BPDE nella frazione linfomonocitica da parte<br />

di GSTM1-nullo e di alcuni genotipi NER a bassa attività può essere considerata<br />

come potenziale fattore di suscettibilità genetica capace di modulare<br />

la risposta individuale all’esposizione genotossica a PAH e un conseguente<br />

rischio di cancro nei lavoratori di cokeria.<br />

Parole chiave: polimorfismo genetico, glutatione-S-transferasi µ1<br />

(GSTM1), addotti al DNA, anti-benzo[a]pirene diol epossido (BPDE),<br />

idrocarburi policiclici aromatici, lavoratori di cokeria.<br />

ABSTRACT. EFFECT OF NUCLEOTIDE EXCISION REPAIR AND GSTM1<br />

NULL POLYMORPHISMS ON THE LEVELS OF DNA ADDUCTS IN LYMPHOCYTES<br />

OF COKE-OVEN WORKERS HIGHLY EXPOSED TO PAH. We evaluated the influence<br />

of four polymorphisms of nucleotide excision repair (NER) genes<br />

and that of glutathione S-transferase µ 1 (GSTM1-active or -null) on antibenzo[a]pyrene<br />

diol epoxide (BPDE)-DNA adduct levels from the<br />

lymphocyte plus monocyte fraction (LMF) of 67 highly PAH (polycyclic<br />

aromatic hydrocarbons)-exposed coke oven workers. The bulky anti-BP-<br />

DE-DNA adduct levels were detected by HPLC/fluorescence analysis.<br />

Genotypes were determined by PCR on the genomic DNA of each subject.<br />

We found that anti-BPDE-DNA adduct levels in the LMF of coke oven<br />

workers were significantly increased by the low DNA repair capacity of<br />

XPC- PAT +/+ and XPA- A23A genotypes. Moreover, DNA adducts are<br />

strongly influenced by GSTM1 genotype. The higher frequencies of<br />

workers with unfavourable XPC- PAT +/+ and XPA- A23A NER genotypes,<br />

alone or combined with GSTM1-null genotype belonged to the tertile<br />

with the highest adduct level, XPC- PAT +/+ and XPA- A23A being significantly<br />

present in about two-thirds of the subjects. The few subjects with<br />

unfavourable XPC- PAT +/+ and XPA- A23A NER genotypes, together<br />

with GSTM1-null deletion, all belonged to the two higher adduct tertiles<br />

and in 75% to the highest one. Multiple linear regression analysis showed<br />

that anti-BPDE-DNA adduct levels in LMF were significantly related to<br />

PAH exposure, to the lack of GSTM1 activity and to the low DNA repair<br />

capacity of XPC- PAT +/+ genotype. The influence of the XPA-A23A genotype<br />

was not evident in this statistical analysis, and no association of<br />

XPD polymorphisms, dietary habits and tobacco smoking with anti-BP-<br />

DE-DNA adducts was found. The modulation of anti-BPDE-DNA adducts<br />

in the LMF by GSTM1-null and some low-activity NER genotypes may be<br />

considered as potential genetic susceptibility factors capable of modulating<br />

the individual response to PAH (BaP: benzo[a]pyrene) genotoxic exposure<br />

and a consequent risk of cancer in coke oven workers.<br />

Key words: genetic polymorphism, glutathione-S-transferase µ1<br />

(GSTM1), DNA adducts, anti-benzo[a]pyrene diol epoxide (BPDE),<br />

polycyclic aromatic hydrocarbons, coke oven workers.


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

72 www.gimle.fsm.it<br />

Introduzione<br />

Nell’uomo esiste una considerevole variabilità interindividuale<br />

in risposta all’esposizione a PAH genotossici e conseguente rischio<br />

di cancro. Gli addotti al DNA indotti dal BaP nei leucociti<br />

mononucleati possono essere considerati un marker non solo di<br />

esposizione genotossica a BaP ma anche delle capacità individuali<br />

di metabolizzarlo e di riparare il DNA. L’attivazione del BaP genera<br />

anti-BPDE, l’intermedio più reattivo; la reazione di detossificazione,<br />

catalizzata da GSTM1 può prevenire il suo legame al<br />

DNA, fase critica nel processo di cancerogenesi. Gli addotti al<br />

DNA possono essere rimossi dal meccanismo nucleotide excision<br />

repair (NER), uno dei vari processi di riparazione del DNA di cui<br />

recentemente sono stati identificati alcuni polimorfismi (1). Nel<br />

nostro studio abbiamo valutato l’influenza di quattro polimorfismi<br />

dei geni NER insieme con quello del GSTM1 sugli addotti al DNA<br />

anti-BPDE di lavoratori della cokeria esposti ad alti livelli di PAH.<br />

Materiali e metodi<br />

Da una popolazione di 95 soggetti è stato<br />

estratto un campione di 67 lavoratori maschi<br />

che presentavano un livello urinario post turno<br />

di 1-pirenolo superiore al BEI (2.28 µmoli/mol<br />

di creatinina). Per ogni soggetto sono<br />

state raccolte, mediante questionario, informazioni<br />

riguardo età, fumo di tabacco, consumo<br />

di carne cotta alla brace, esposizione occupazionale<br />

e ambientale a PAH e uso di pomate e<br />

shampoo a base di catrame. Sono stati raccolti<br />

campioni di urine (50 ml) e sangue (20 ml)<br />

alla fine del turno di lavoro dopo almeno tre<br />

giorni consecutivi di lavoro. I campioni di urine<br />

sono stati usati per la determinazione<br />

dell’1-pirenolo e i campioni di sangue per la<br />

genotipizzazione e la rilevazione degli addotti<br />

al DNA anti-BPDE tramite l’analisi<br />

HPLC/fluorescenza dell’anti-BPDE tetrol I-1<br />

rilasciato dopo idrolisi acida dei campioni di<br />

DNA di linfomonociti (2). Dopo l’isolamento<br />

del DNA dalle cellule è stata valutata la presenza<br />

o assenza del gene GSTM1 tramite metodo<br />

PCR e sono stati determinati quattro polimorfismi<br />

NER con tecnica PCR-RFLP.<br />

L’analisi statistica tra i vari gruppi è stata<br />

eseguita usando il test non parametrico<br />

Mann-Whitney o il test Chi quadrato. L’analisi<br />

mediante regressione multipla è stata<br />

usata per stimare l’influenza dell’esposizione<br />

professionale a PAH, del GSTM1 e di<br />

quattro polimorfismi dei geni NER sui livelli<br />

di addotti al DNA anti-BPDE.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />

La Tabella I mostra le frequenze di<br />

GSTM1 attivo e nullo e i polimorfismi del<br />

gene NER con i relativi livelli di 1-pirenolo<br />

e di addotti al DNA anti-BPDE. Il genotipo<br />

GSTM1 nullo è strettamente associato alla<br />

formazione degli addotti. Inoltre, soggetti<br />

omozigoti per XPC-PAT +/+ e genotipo<br />

XPA-A23A mostravano un significativo incremento<br />

nei livelli di addotti rispetto a<br />

quelli con nessuna o solo 1 copia di questi<br />

polimorfismi. L’altro sottogruppo di lavoratori con la variante<br />

XPD-312Asn e XPD-751Gln presentava livelli di addotti al DNA<br />

più alti rispetto a quelli con alleli wild-type ma la differenza non<br />

era statisticamente significativa.<br />

La Tabella II mostra le frequenze di genotipi NER sfavorevoli,<br />

soli o in combinazione con GSTM1 nullo, secondo i tre livelli di addotti.<br />

Soggetti con genotipo XPC-PAT +/+ e XPA-A23A appartenevano<br />

al livello di addotti più alto. I pochi soggetti con genotipo sfavorevole<br />

XPC-PAT +/+ e XPA-A23A insieme con GSTM1 nullo<br />

appartenevano ai due livelli di addotti più elevati e il 75% al più elevato.<br />

Non è stata invece osservata una distribuzione anomala dei<br />

soggetti nei tre livelli di addotti nel caso di polimorfismi XPD.<br />

La Tabella III mostra i ri<strong>sul</strong>tati dell’analisi mediante la regressione<br />

lineare multipla dell’influenza dell’esposizione occupazionale<br />

a PAH, della dieta e della abitudine al fumo, dei genotipi<br />

NER e del GSTM1 sui livelli di addotti al DNA anti-BPDE.<br />

L’aumento dei livelli di addotti era significativamente correlato<br />

Tabella I. Livelli di addotti al DNA anti-BPDE in LMF di lavoratori della cokeria<br />

esposti ad alti livelli di PAH, rapportati a genotipi GSTM1 e NER<br />

a Un valore di 1 addotto/108 nucleotidi è stato assegnato all’unico soggetto con addotti non-rilevabili<br />

(≤1 addotto/108 nucleotidi).<br />

* Comparazione statistica: Mann-Whitney U-test tra sottogruppi GSTM1, p=0.0246, z= 2.247; XPC - PAT<br />

-/-versus +/+ z=2.24 p=0.02, XPA - A23G GG versus AA e AG versus AA z=2.65 p= 0.01 e z=2.15 p=0.03.<br />

Tabella II. Frequenza di genotipi non favorevoli NER (XPC- PAT +/+, XPA-<br />

A23A; XPD-Asn312Asn e XPD- Gln751Gln), soli o in combinazione con GSTM1<br />

nullo, rapportati ai livelli di addotti al DNA anti-BPDE<br />

a Terzili dei livelli di addotti: 1° terzile (≤2.27 addotti/ 10 8 nucleotidi), 2° terzile (>2.27 ≤4.11 addotti/<br />

10 8 nucleotidi) e 3° terzile(>4.11 addotti/ 10 8 nucleotidi).<br />

* Confronto Statistico: Chi 2 test tra le frequenze del 1° e 3° terzile XPC- PAT +/+ e XPA- A23A Chi 2<br />

=5.85, p= 0.0156 e Chi 2 =5.40, p= 0.01.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 73<br />

Tabella III. Influenza dell’esposizione occupazionale a PAH, fumo, dieta, GSTM1 e genotipi NER sui livelli di addotti<br />

al DNA anti-BPDE (in valore) in LMF di 67 lavoratori della cokeria: analisi della regressione lineare multipla<br />

a Esposizione a PAH valutata tramite l’escrezione urinaria di 1-pirenolo.<br />

b Genotipi GSTM1, abitudine al fumo, e dieta sono considerate variabili dicotomiche; è stato attribuito un valore 1 o 0, riferendoci a GSTM1 attivo o nullo in fumatori<br />

o non fumatori, consumo di carne cotta alla brace più o meno di 1 volta a settimana, rispettivamente.<br />

c Per ogni genotipo NER è stato attribuito un valore di 2, 1 o 0 in base alla presenza di 2, 1 o nessuna copia di alleli XPC- PAT +, XPA- 23A, XPD- 312 Asn e<br />

XPD- 751 Gln.<br />

F= 2.928, p=0.0081<br />

all’intensità dell’esposizione occupazionale a PAH di ogni soggetto,<br />

alla mancanza di attività di GSTM1 e alla bassa capacità di<br />

riparare il DNA del genotipo XPC-PAT +/+. Gli altri tre polimorfismi<br />

NER non sembrano modificare in maniera significativa i livelli<br />

di addotti in questa analisi statistica. Né una dieta ricca in<br />

PAH né il fumo influenzavano il marker.<br />

La modulazione degli addotti al DNA anti-BPDE nella frazione<br />

linfomonocitica da parte di GSTM1-nullo e di alcuni genotipi<br />

NER a bassa attività può essere considerata come potenziale<br />

fattore di suscettibilità genetica capace di modulare la risposta individuale<br />

all’esposizione genotossica a PAH e un conseguente rischio<br />

di cancro nei lavoratori di cokeria (3).<br />

Bibliografia<br />

F. Larese 1 , M. Sarnico 2 , P. Apostoli 2 , M. Venier 3 , E. Pontieri 1 , Adami 3 , G. Maina 4<br />

1) Pavanello S., Clonfero E. Biological indicators of genotoxic risk and<br />

metabolic polymorphisms. Mutat Res, 463: 285-308, 2000.<br />

2) Pavanello S., Favretto D., Brugnone F., Mastrangelo G., Dal Pra G.,<br />

Clonfero E. HPLC/fluorescence determination of anti-BPDE-DNA<br />

adducts in mononuclear white blood cells from PAH-exposed humans.<br />

Carcinogenesis 20: 431-435,1999.<br />

3) Pavanello S., Siwinska E., Mielzynska D., and Clonfero E. GSTM1<br />

null genotype as a risk factor for anti-BPDE-DNA adduct formation<br />

in mononuclear white blood cells of coke-oven workers, Mutat Res,<br />

558: 53-62, 2004.<br />

La cute come barriera bidirezionale: via di assorbimento ma anche di<br />

escrezione degli xenobiotici. Ri<strong>sul</strong>tati preliminari di uno studio in vitro<br />

1 Unità Clinico Operativa di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Scienze di Medicina Pubblica-Università degli Studi di Trieste<br />

2 Cattedra di Igiene Industriale, Università degli Studi di Brescia<br />

3 Dipartimento di Scienze Chimiche, Università di Trieste<br />

4 Servizio di Tossicologia ed Epidemiologia Industriale, Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia e Medicina del Lavoro, Università degli Studi di<br />

Torino<br />

RIASSUNTO. La valutazione delle sostanze tossiche presenti nel<br />

sudore o nello strato corneo potrebbe essere un’importante prospettiva<br />

per il monitoraggio <strong>biologico</strong> nei lavoratori esposti. Gli autori dimostrano<br />

in vitro l’escrezione di Co usando Franz cell rovesciate. L’applicazione<br />

di una soluzione di Co (150 ppb in soluzione fisiologica) <strong>sul</strong> lato dermico<br />

della cute determina un flusso di Co dall’interno all’esterno della<br />

cute di 0,0166 ± 0,02 µg/cm 2 /ora. Questo rilievo prova in vitro che la cute<br />

può essere considerata come una barriera bidirezionale con un ruolo sia<br />

nell’assorbimento ma anche nell’escrezione dei tossici.<br />

Parole chiave: cute, assorbimento, escrezione, sudore, cobalto, barriera<br />

bidirezionale.<br />

ABSTRACT. SKIN AS A BIDIRECTIONAL BARRIER FOR THE ABSORP-<br />

TION AND EXCRETION OF XENOBIOTICS. PRELIMINARY IN VITRO DATA. The<br />

evaluation of toxic substances in the sweat or in the stratum corneum<br />

could have interesting future implications for biological monitoring in exposed<br />

workers. The authors demonstrated in vitro skin secrection of cobalt<br />

using reversed Franz cells. The application of a Co solution to the dermal<br />

site of the skin caused a flux of Co toward the external site of the skin of<br />

0,0166 ± 0,02 µg/cm 2 /hour. The in-vitro model proved that in vivo the skin<br />

can have a role both in the absorption and in the secrection of toxicants.<br />

Key words: skin, absorption, excretion, sweat, cobalt, bidirectional<br />

barrier.<br />

Introduzione<br />

Le cute può essere considerata una barriera permeabile bidirezionale<br />

con un ruolo nell’assorbimento di tossici (1) ma anche nell’escrezione.<br />

Negli anni recenti è stata posta maggiore attenzione<br />

alla cute e al suo ruolo di interfaccia con l’esterno e numerosi studi<br />

hanno provato in vivo (2) e in vitro (3, 4) il suo ruolo nell’assorbimento<br />

dei tossici. La cute come via di escrezione è stata valutata<br />

ed utilizzata in passato per il trattamento degli intossicati da<br />

Pb: l’aumento di secrezione sudorale ottenuta con l’esposizione a<br />

caldo permetteva di eliminare per via cutanea una parte significativa<br />

del metallo (5). Oggi la valutazione della concentrazione di alcuni<br />

tossici nel sudore viene utilizzata per il monitoraggio degli alcoolisti<br />

in trattamento (6) al fine di controllare l’astensione dall’assunzione<br />

delle bevande alcoliche o in ambito professionale per<br />

accertare l’assenza di assunzione di alcol o di sostanze stupefacenti<br />

in piloti militari. L’uso di un patch con rivelatore permette quindi<br />

agilmente di avere informazioni <strong>sul</strong>l’assunzione di questo tipo di<br />

tossici. Per il monitoraggio <strong>biologico</strong> dei professionalmente esposti<br />

la cute e i suoi annessi non vengono utilizzati in modo routina-


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

74 www.gimle.fsm.it<br />

rio, ma vi sono evidenze sperimentali che il sudore o lo strato corneo<br />

possano essere utilizzati per monitorare l’esposizione professionale<br />

ad alcuni tossici, ed in particolare ai metalli: Omokhodion<br />

(7, 8) e Lilley (9) hanno riportato che le concentrazioni di Pb nel<br />

sudore sono proporzionali a quelle ematiche e Stauber nel 1988<br />

(10) ha studiato la presenza di rame, piombo, cadmio e zinco nel<br />

sudore e nel sangue. È noto inoltre che lo strato corneo ha una funzione<br />

di “riserva” sia per i metalli assorbiti (11) e per quelli escreti.<br />

Tale rilievo apre interessanti prospettive di ricerca e di applicazione<br />

pratica per la facilità con cui è possibile rimuovere parte dello<br />

strato corneo (stripping con cerotto) e raccogliere sudore per<br />

monitorare la concentrazione di un tossico.<br />

Scopo del nostro lavoro è stato quello di studiare con il metodo<br />

in vitro delle Franz cell (12) l’escrezione di un metallo (cobalto)<br />

attraverso la cute con l’obiettivo di dimostrare che la cute<br />

svolge un ruolo di barriera permeabile bidirezionale.<br />

Materiali e metodi<br />

Gli esperimenti sono stati condotti utilizzando celle di Franz in<br />

vetro e lembi di cute proveniente da scarti di chirurgia plastica (12).<br />

La cute è stata pretrattata con rimozione dello strato corneo con la<br />

metodica dello stripping (11) ed è stata montata rovesciata <strong>sul</strong>le celle<br />

di Franz (14 celle) in modo che il lato dermico sia esposto alla soluzione<br />

donatrice. Come soluzione ricevente è stato utilizzato sudore<br />

sintetico (13). Una soluzione di Co in soluzione fisiologica (150<br />

ppb) è stata applicata (2 mL) su ogni cella e 2mL di soluzione ricevente<br />

è stata rimossa a 2-4-8-6-8-20-22-24 ore. La concentrazione<br />

del Co nella soluzione ricevente è stata valutata con tecnica analitica<br />

total-quant in ICP-MS (inductively coupled plasma mass spectrometry),<br />

utilizzando il metodo di calibrazione esterna (14). Per la taratura<br />

dello strumento viene utilizzata una soluzione contenente Co<br />

(Perkin Elmer Calibration Standard 3 10 µg/ml) alla concentrazione<br />

di 10 µg/L. Accuratezza e precisione sono correlate a parametri strumentali<br />

quali bontà della calibrazione e calibrazione del rivelatore,<br />

nel caso di concentrazioni elevate. Èstato utilizzato per l’analisi dei<br />

campioni materiale certificato Nist 1640 (trace elements in water).<br />

La precisione espressa come coefficiente di variazione (CV) varia<br />

del 4-8% intra-serie e del 6-12% inter-serie. Il limite di rilevabilità è<br />

di 0,003 µg/L. I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti sono stati corretti in foglio elettronico<br />

Excell per compensare l’effetto della diluizione.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Il flusso di escrezione del Cobalto è riportato nella figura 1 ed è<br />

stato calcolato di 0,0166 ± 0,02 µg/cm 2 /ora. In particolare, è possibile<br />

notare un incremento progressivo del passaggio del metallo con<br />

una curva rettilinea che aumenta la sua pendenza dalle 16 ore in poi.<br />

Le curve ottenute dai 14 esperimenti ri<strong>sul</strong>tano riproducibili e le deviazioni<br />

standard (riportate nel grafico di Figura 1) sono contenute.<br />

Figura 1. Flusso di escrezione del Co (µg/cm 2 ) in funzione<br />

del tempo<br />

Discussione<br />

Gli esperimenti da noi condotti hanno dimostrato per la prima<br />

volta che in una condizione standard in vitro è possibile un passaggio<br />

percutaneo con diffusione passiva dall’interno della cute<br />

verso l’esterno. Ciò conferma la possibilità di utilizzare la via cutanea<br />

come matrice per il monitoraggio <strong>biologico</strong> e il ruolo della<br />

cute come barriera semipermeabile bidirezionale con flusso di assorbimento<br />

e di escrezione che può avvenire in modo passivo nelle<br />

condizioni in vitro e anche attivo nelle condizioni in vivo. Il sistema<br />

in vitro ha confermato quanto è stato osservato nei professionalmente<br />

esposti, nei quali la concentrazione di alcuni metalli<br />

nel sudore è proporzionale a quella presente nel siero: un esempio<br />

caratteristico è quello del Pb le cui concentrazioni sono simili nel<br />

siero e nel sudore (10) e nelle urine e nel sudore (15). Per il Ni e<br />

il Cd sono stati invece riscontrati livelli più elevati nel sudore rispetto<br />

alle urine (15), in questo caso si deve ipotizzare la presenza<br />

anche di un sistema attivo di escrezione attraverso questa via.<br />

Per il Cu invece la concentrazione rilevata nel sudore ri<strong>sul</strong>ta più<br />

bassa che nel siero, e questo può essere spiegato con il forte legame<br />

di questo metallo con le proteine plasmatiche (10).<br />

Il flusso di escrezione da noi rilevato per il Co ri<strong>sul</strong>ta pressoché<br />

sovrapponibile a quello ottenuto da studi di assorbimento in<br />

vitro: in particolare Larese (4) riporta un flusso di Co attraverso<br />

la cute intera di 0,0123 ± 0,0054 µg/cm 2 /ora, valori che ri<strong>sul</strong>tano<br />

sovrapponibili a quelli ottenuti per l’escrezione. Tale dato, insieme<br />

ai rilievi su lavori esposti, conferma ulteriormente il ruolo<br />

della cute come sistema di assorbimento/escrezione ed è una pietra<br />

miliare per l’approfondimento di questa matrice per il monitoraggio<br />

<strong>biologico</strong> nei professionalmente esposti.<br />

Bibliografia<br />

1) Poet TS. Toxicological highlight. Assessing dermal absorption. Toxicol<br />

Sciences 2000; 58: 1-2.<br />

2) Scansetti G, Botta GC, Spinelli P, Reviglione L, Ponzetti C. Absorption<br />

and excretion of cobalt in the hard metal industry. Sc Total Environ<br />

1994; 150: 141-144.<br />

3) Larese F, Fiorito A, Adami G, Barbieri P et al. Skin absorption in vitro<br />

of glicol ethers. Int Arch Occup Environ Health 1999; 72: 480-484.<br />

4) Larese F, Maina G, Adami G, Venier M et al. In vitro percutaneous absorption<br />

of cobalt. Int Arch Occup Environ Health 2004; 77: 85-89.<br />

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1954; 9: 225-229.<br />

6) Buono MJ Sweat ethanol concentrations are highly correlated with<br />

blood values in humans. Exp Physiol 1999; 84: 401-404.<br />

7) Omokhodion FO and Crockford GW Lead in sweat and its relationship<br />

to salivary and urinary level in normal healthy subjects. Sci Total<br />

Environ 1991; 103: 113-122.<br />

8) Omokhodion FO and Howard JM Sweat lead levels in persons with<br />

high blood lead levels: lead in sweat of lead workers in the tropics.<br />

Sci Total Environ 1991; 103; 123-128.<br />

9) Lilley SG, Florence TM, Sta’uber JL. The use of sweat to monitor<br />

lead absorption through the skin. Sci Total Environ 1988; 76: 267-78.<br />

10) Stauber JL and Florence TM A comparative study of copper, lead,<br />

cadmium and zinc in human sweat and blood. Sci Tot Environ 1988;<br />

74: 235-247.<br />

11) Tanojo H, Hostynek JJ, Mountford H and Maibach HI. In vitro permeation<br />

of nickel salts through human stratum corneum. Acta Derm<br />

Venereol suppl 2001; 212: 19-23.<br />

12) Franz TJ. On the relevance of in vitro data. J Invest Dermatol 1975;<br />

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13) Liden C, Carter S. Nickel release from coins. Contact dermatitis<br />

2001; 44: 160-165<br />

14) Monster A, Golightly DW. Inductively coupled plasma in analytical<br />

atomic spectrometry. VCH, New York. (1992).<br />

15) Cohn JR and Emmet EA (1978) The excrection of trace metals in human<br />

sweat. Ann Clin Lab Sci; 8: 270-275.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 75<br />

R Lucchini, E. Albini, L. Benedetti, L. Alessio<br />

La tossicologia neurocomportamentale nello studio dei meccanismi<br />

d’azione e nella definizione dei valori limite di sostanze neurotossiche:<br />

attuali problematiche<br />

Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Brescia<br />

RIASSUNTO. I metodi di valutazione della tossicologia neuro-comportamentale<br />

sono utilizzati in maniera crescente nella ricerca sugli effetti<br />

da esposizione ad agenti neurotossici, sia in campo occupazionale che<br />

più estesamente extra-professionale e, più recentemente, anche pediatrico.<br />

I ri<strong>sul</strong>tati di questi studi vengono sempre più impiegati nella individuazione<br />

dei valori limite di esposizione. Scopo di questa presentazione<br />

è quello di illustrare le tendenze attuali accanto alle problematiche emergenti,<br />

per le quali è necessario prospettare soluzioni finalizzate all’affinamento<br />

ed allo sviluppo di questa disciplina.<br />

Parole chiave: neurotossicologia, metodi neurocomportamentali,<br />

valutazione del rischio, limiti di esposizione.<br />

ABSTRACT. ROLE OF NEUROBEHAVIOURAL TOXICOLOGY IN THE<br />

STUDY OF MECHANISMS OF ACTION AND FOR SETTING THRESHOLD LIMITS<br />

FOR NEUROTOXIC AGENTS: THE STATE OF THE ART. Neurobehavioral<br />

methods are increasingly used in research to evaluate the effects derived<br />

from exposure to neurotoxic agents in occupational settings, in the<br />

community and in children. Re<strong>sul</strong>ts from these studies are being used<br />

for risk assessment procedures by regulatory agencies. The aim of this<br />

presentation is to illustrate the current trends and future challenges that<br />

have to be addressed in order to facilitate the future development of this<br />

discipline.<br />

Key words: neurotoxicology, neurobehavioral methods, occupational<br />

risk assessment.<br />

Introduzione<br />

Le prime valutazioni neurocomportamentali vennero utilizzate<br />

su lavoratori affetti da intossicazioni da solfuro di carbonio<br />

(1), applicando test che la neuropsicologia tradizionale<br />

aveva sviluppato per la diagnostica clinica dei danni cerebrali.<br />

Con la progressiva riduzione dei livelli di esposizione occupazionale<br />

a neurotossici, ed il graduale aumento dei livelli di<br />

esposizione negli ambienti di vita, divenne necessario affinare<br />

gli strumenti di valutazione, aumentando la loro sensibilità e<br />

diminuendo, parallelamente, il grado di specificità. L’evoluzione<br />

delle metodiche ebbe un notevole impulso grazie all’automazione,<br />

che offrì la possibilità di sviluppare nuove tecniche<br />

di misurazione e di applicarle in casistiche più estese. Un notevole<br />

contributo venne fornito dalla Clinica del Lavoro di Milano<br />

nell’allestimento di strumenti di valutazione che sono stati<br />

impiegati in questi anni a livello internazionale (2, 3). In<br />

questo studio viene presentata una analisi della letteratura e<br />

delle problematiche emergenti per lo sviluppo futuro di questa<br />

disciplina.<br />

Metodi<br />

È stata condotta una analisi della letteratura sia per mezzo<br />

delle citazioni bibliografiche recensite su MEDLINE con i sistemi<br />

OVID e PUBMED, che con<strong>sul</strong>tando gli atti di congressi<br />

specifici, fra cui i simposi internazionali organizzati triennalmente<br />

dal Comitato Scientifico dell’International Commission<br />

on Occupational Health (ICOH) su “Neurotoxicology and Psychophysiology”.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Il numero di pubblicazioni scientifiche riguardanti gli effetti<br />

neurocomportamentali dovuti alla esposizione occupazionale,<br />

ambientale ed a farmaci ha subito un notevole incremento (da 1<br />

articolo pubblicato nel 1975 a circa 180 articoli pubblicati annualmente<br />

negli ultimi 4 anni). Il numero totale di lavori identificati<br />

è 2371, di cui 56% in studi <strong>sul</strong>l’uomo e 44% in studi su animali<br />

da esperimento. Gli agenti neurotossici più frequentemente<br />

studiati sono stati, fino agli anni ’80, i solventi,, mentre i metalli<br />

ed i pesticidi ri<strong>sul</strong>tano più indagati negli anni successivi. Gli argomenti<br />

trattati possono essere raggruppati in due aspetti principali:<br />

l’identificazione di proprietà neurotossiche in precedenza<br />

non conosciute nell’ambito di agenti presenti negli ambienti di<br />

vita e di lavoro, e lo studio dei meccanismi d’azione di neurotossici<br />

noti. Nella maggior parte dei casi vengono impiegati studi<br />

trasversali, più raramente longitudinali.<br />

I ri<strong>sul</strong>tati di studi neurocomportamentali sono utilizzati da<br />

numerose istituzioni preposte alla identificazione dei valori limite.<br />

Su 588 sostanze chimiche contenute nella lista dei TLV dell’ACGIH<br />

nel 1984, 167 (pari al 28%) erano basati su effetti neurologici<br />

e neurocomportamentali (4). In un progetto di aggiornamento<br />

dei valori limite occupazionali condotto nel 1989 dall’O-<br />

SHA, 172 sostanze su 428 (pari a circa il 40%) sono state identificate<br />

<strong>sul</strong>la base di effetti neurologici e neurocomportamentali<br />

(5). L’analisi del Integrated Risk Information System (IRIS) dell’EPA<br />

condotta nel 1994, evidenziò che circa il 20% degli standard<br />

erano basati su effetti neurologici e neurocomportamentali.<br />

Le percentuali sopra riportate concordano con una stima fornita<br />

dall’Office of Technology Assessment (6) statunitense secondo la<br />

quale il 28% circa delle sostanze chimiche è dotato di proprietà<br />

neurotossiche. I dati neurocomportamentali sono stati utilizzati<br />

per l’identificazione dei valori limite delle più importanti e diffuse<br />

sostanze chimiche fra le quali piombo, mercurio, manganese e<br />

alluminio per i metalli, stirene, toluene, e xilene per i solventi, il<br />

protossido d’azoto per i gas anestetici. Due congressi internazionali<br />

sono stati organizzati nell’intento di promuovere una più<br />

stretta collaborazione fra ricercatori ed esperti di risk assessment.<br />

Il meeting “Risk Assessment for Neurobehavioral Toxicity” venne<br />

organizzato nel 1994 a Rochester, USA, dallo Scientific<br />

Group on the Methodologies for the Safety Evaluation of Chemicals<br />

(SGOMSEC) (7). Due anni dopo, la HSE sponsorizzò il<br />

workshop “The Role of Human Neurobehavioral Tests in Regulatory<br />

Activity on Chemicals” ad Egham, Surrey, GB. In entrambi<br />

i meeting venne espressa la necessità di stabilire criteri per il<br />

riconoscimento della validità degli studi neurocomportamentali.<br />

Venne inoltre accettato il concetto secondo il quale gli effetti neurocomportamentali<br />

per i quali si dimostra una relazione con la<br />

dose di esposizione possono essere considerati “avversi” e pertanto<br />

utilizzabili per la definizione degli standard (5).<br />

L’analisi della letteratura ha inoltre permesso di evidenziare<br />

le problematiche emergenti. Esse comprendono tre aree principali:<br />

a) aspetti tecnici relativi alla rapida evoluzione dei supporti<br />

informatici, che non consente un adeguamento efficace delle bat-


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

76 www.gimle.fsm.it<br />

terie di test; b) aspetti epidemiologici e statistici, che rendono necessari<br />

studi multicentrici e di meta-analisi, per i quali i modelli<br />

di elaborazione devono consentire il controllo di una sempre crescente<br />

variabilità; c) necessità di consenso <strong>sul</strong> significato degli<br />

effetti neurocomportamentali in termini di protezione della salute<br />

delle popolazioni esposte.<br />

Conclusioni<br />

Le metodiche di valutazione appartenenti alla tossicologia<br />

neurocomportamentale rappresentano utili strumenti per la ricerca<br />

degli effetti dovuti alla esposizione ad agenti dotati di proprietà<br />

neurotossiche. I ri<strong>sul</strong>tati della ricerca in questo campo, oltre<br />

che allo studio dei meccanismi d’azione, sono rivolti alla<br />

identificazione dei valori limite e rivestono pertanto un notevole<br />

valore preventivo. Ri<strong>sul</strong>ta pertanto necessario e auspicabile che<br />

vengano individuate le soluzioni più adeguate che consentano di<br />

affrontare le problematiche emergenti e di favorire l’ulteriore sviluppo<br />

della disciplina.<br />

G. Maina 1 , F. Larese Filon 2 , M. Manzari 1 , E. Pontieri 2<br />

Problemi interpretativi della cobalturia<br />

Bibliografia<br />

1) Hänninen H. Psycological tests in the diagnosis of carbon di<strong>sul</strong>fide<br />

poisoning. Work environ Health 1966; 2: 16-20.<br />

2) Gilioli R, Cassitto MG, Foà V. Neurobehavioral methods in occupational<br />

health. Oxford, Pergamon Press, 1983.<br />

3) Cassitto MG, Gilioli R, Camerino D. Experiences with the Milan Automated<br />

Neurobehavioral System (MANS) in Occupational Neurotoxic<br />

Exposure. Neurotoxicol and Teratol 1989; 11: 571-574.<br />

4) Anger WK. Neurobehavioral testing of chemicals: impact on recommended<br />

standards. Neurobehav Toxicol Teratol. 1984; 6(2): 147-53.<br />

5) Dick RB, Ahlers H. Chemicals in the workplace: incorporating human<br />

neurobehavioral testing into the regulatory process. Am J Ind<br />

Med 1998; 33(5): 439-53.<br />

6) OTA (Office of Technology Assessment). Neurotoxicity: Identifying<br />

and Controlling Poisons of the Nervous System. Rpt OTA-BA-436.<br />

Washington:U.S. Government Printing Office, 1990.<br />

7) Weiss B, Elsner J. Risk Assessment for Neurobehavioral Toxicity.<br />

Environ Health Perspect 1996; 104 (Suppl 2): 171.<br />

8) Tilson HA, MacPhail RC, Crofton KM. Setting exposure standards: a<br />

decision process. Environ Health Perspect. 1996; 104 Suppl 2: 401-5.<br />

1 UOADU Servizio di Tossicologia ed Epidemiologia Industriale, Dipartimento di Traumatologia, Ortopedia e Medicina del Lavoro, Università degli<br />

Studi di Torino<br />

2 UCO Medicina del Lavoro, Università di Trieste<br />

RIASSUNTO. Il dosaggio del cobalto nell’urina (cobalturia) è un<br />

buon indicatore di esposizione corrente a cobalto la cui interpretazione richiede<br />

tuttavia una precisa conoscenza delle condizioni di esposizione e<br />

delle propietà chimico-fisiche del composto di cobalto cui si riferisce l’esposizione.<br />

Per il suo impiego nel monitoraggio <strong>biologico</strong> è necessario<br />

definire con attenzione il tempo di campionamento e considerare il possibile<br />

contributo che l’assorbimento del metallo attraverso la cute può determinare<br />

in termini di valutazione integrata dell’esposizione.<br />

Parole chiave: cobalto urinario, assorbimento percutaneo, tempo di<br />

campionamento.<br />

ABSTRACT. CORRECT INTERPRETATION OF COBALT URINARY LE-<br />

VELS. To interpret the urinary cobalt values in the biological monitoring<br />

of exposed workers correctly, the exposure conditions and the chemicalphysical<br />

properties of the Co compounds have to be known precisely.<br />

Sampling time plays a critical role in understanding the relashionship<br />

between Co exposure levels and urinary Co values, but percutaneous absorption<br />

of Co must be also taken into consideration.<br />

Key words: urinary cobalt, percutaneous absorption, sampling time.<br />

Introduzione<br />

La relazione tra concentrazioni di cobalto ambientale (CoA)<br />

e valori di cobalto urinario (CoU) presenta aspetti interpretativi<br />

complessi ed ancora non completamente chiariti: una buona correlazione<br />

è stata osservata in esposti nell’industria di metalli duri<br />

(6, 7), mentre altri Autori (8) segnalano che il solo l’incremento<br />

del CoU tra fine ed inizio turno si correla all’esposizione giornaliera.<br />

Tale correlazione sembra presente solo ad inizio ed al termine<br />

della settimana lavorativa e non, invece, a metà della settimana<br />

(9). Tale fenomeno viene attribuito alla cinetica di escrezione<br />

bifasica del CoU (2, 4): il cobalto assorbito per via inalatoria<br />

viene eliminato a livello urinario mediante una prima fase di<br />

escrezione rapida (della durata di circa 48 ore) cui segue una fase<br />

di escrezione prolungata di bassi livelli. I ri<strong>sul</strong>tati di studi su<br />

volontari hanno evidenziato che la cute può essere una via di assorbimento<br />

del cobalto (6, 10) e recenti esperimenti in vitro (5)<br />

confermano tale osservazione.<br />

Il presente studio, condotto in condizioni di esposizione a solo<br />

polvere di Co, è stato realizzato per verificare le più recenti osservazioni<br />

sperimentali al riguardo.<br />

Materiali e metodi<br />

Lo studio, condotto in un’azienda di medie dimensioni che<br />

fabbrica mole diamantate, è stato realizzato dopo un periodo di<br />

15 giorni di non esposizione, in tre giorni (mercoledi’, venerdì e<br />

venerdì successivo) determinando l’esposizione a polveri di Co<br />

ed eseguendo il monitoraggio <strong>biologico</strong> mediante cobalturia<br />

(CoU). I campionamenti personali sono stati eseguiti impiegando<br />

campionatori Du-Pont Alpha-1 in esteri di cellulosa (diametro:<br />

37 mm; porosità: 0.45 um) operanti a flusso 3,5 L/min per 8 ore:<br />

i filtri sono stati trattati con HNO 3 . Le concentrazioni di Co sia<br />

sui filtri che sui campioni di urina sono stati analizzati mediante<br />

Perkin-Elmer 5100 AAS con HGA 600 in fornetto di grafite, AS-<br />

60 con correttore di fondo ad effetto Zeeman.<br />

Sono stati analizzati in microscopia elettronica a scansione<br />

(SEM) (Philips XL-30 ESEM) corredato di microanalisi a dispersione<br />

di energia (EDX Digital controller) campioni di polvere<br />

di diamante, campioni di polvere di cobalto e campioni di polvere<br />

dell’ambiente di lavoro. Il 95% del particolato dell’aria ambiente<br />

presenta un diametro < 5 µm, di cui l’85% con diametro<br />

compreso tra 2 e 2.7 µm: questo particolato è rappresentato pressoché<br />

esclusivamente da Co.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 77<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Ventitre campionamenti ambientali personali su 27 eccedono il<br />

TLV-TWA (1) e 11 su 27 il TRK (3): il maggior numero di tali superamenti<br />

si verifica il terzo giorno dell’indagine (venerdì). I valori<br />

più elevati si registrano nella zona di miscelazione dei prodotti,<br />

dove il valore limite viene superato di uno-due ordini di grandezza.<br />

I valori di CoU presentano un progressivo incremento da inizio<br />

turno del primo giorno a fine turno del decimo giorno, come chiaramento<br />

evidenziato dall’andamento dei valori della mediana. I valori<br />

di CoU presentano un incremento significativo tra inizio turno<br />

del primo giorno e fine turno del terzo giorno (t = 3,52; p > 0,01)<br />

e tra inizio turno del primo giorno e fine turno dell’ultimo giorno<br />

(t = 4,48, p < 0,01). Non si osservano differenze significative né tra<br />

fine turno del primo giorno e fine turno del terzo giorno, né tra fine<br />

turno del terzo giorno e fine turno dell’ultimo giorno.<br />

Complessivamente, 32 valori di CoU su 44 eccedono il BEI<br />

(15 µg/L), mentre l’EKA (60 µg/L) viene superato da 16 misure<br />

di CoU su 44. Ad inizio turno del primo giorno 2 campioni su 11<br />

di CoU eccedono il BEI (15 µg/L), mentre i rimanenti 9 ri<strong>sul</strong>tano<br />

più elevati dei valori di riferimento (1,5 µg/L). Nessuna correlazione<br />

è stata osservata tra valori di CoU ed i corrispondenti<br />

valori di esposizione personale a Co.<br />

Discussione e Conclusioni<br />

Le condizioni di esposizione della lavorazione oggetto dello<br />

studio ri<strong>sul</strong>tano di particolare interesse dal momento che l’esposizione<br />

è rappresentata eslcusivamente da polvere di cobalto respirabile<br />

le cui concentrazioni eccedono il TLV-TWA nell’80% dei campionamenti<br />

eseguiti. La fase dove si raggiungono i valori di esposizione<br />

più elevati è quella della miscelazione dei componenti dove il<br />

TLV-TWA viene superato di uno-due ordini di grandezza.<br />

I valori di cobalturia, che presentano un significativo incremento<br />

con il procedere della settimana lavorativa, ri<strong>sul</strong>tano an-<br />

cora superiori al BEI ad inizio turno della settimana di lavoro, a<br />

conferma del fatto che 15 giorni non sono suficienti per completare<br />

la fase di eliminazione lenta del cobalto assorbito.<br />

L’assenza di correlazione tra valori di Co ambientale e cobalturia<br />

osservata nello studio può trovare due ordini di spiegazione:<br />

la scelta del momento della raccolta del campione <strong>biologico</strong><br />

da un lato e il potenziale contributo che l’assorbimento percutaneo<br />

del metallo può offrire alla dose interna totale dall’altro.<br />

Bibliografia<br />

1) American Conference of Governmental Industrial Hygienists (AC-<br />

GIH).Threshold Limit Values for chemical substances and physical<br />

agents and Biological Exposure Indices. Cincinnati: ACGIH, 2004.<br />

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cobalt powder and salt - Biological monitoring and health effects. In:<br />

Lekkas T.D. Ed. Heavy metals in the environment. Athens, 1985, 11-13.<br />

3) Deutsche Forschungsgemeinschaft. List of MAK and BAT Values.<br />

39 th ed. Weinheim: Wiley-VCH, 2003;<br />

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Science Publisher, BV, 1986, 211-232.<br />

5) Larese Filon F., Maina G., Adami G., et al. In vitro percutaneous absorption<br />

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6) Linnainmaa M, Kiilunen M Urinary cobalt as a measure of exposure<br />

in the wet sharpening of hard metal and stellite blades. Int Arch Occup<br />

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7) Meyer-Bisch C, Phom QT, Mur JJ, Teculescu D, Carton B, Pierre F,<br />

Baruthio F Respiratory hazard in hard metal workers: a cross sectional<br />

study. Br J Ind Med 1989; 46: 302-309.<br />

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urinaire Arch Mal Prof 1984; 45: 82-85.<br />

9) Scansetti G, Lamon S, Talarico S, Botta GC, Spinelli P, Sulotto F,<br />

Fantoni F. Urinary cobalt as a measure of exposure in the hard metal<br />

industry. Int Arch Occup Environ 1985; 57: 19-26.<br />

10) Scansetti G, Botta GC, Spinelli P, Reviglione L, Ponzetti C. Absorption<br />

and excretion of cobalt in the hard metal industry. Sci Tot Environ<br />

1994; 150: 141-144.<br />

M. Maniscalco 3 , G. de Laurentiis 1 , M. Mormile 1 , M. Sofia 1 , M. Di Mare 2 , L. Padovano 2 , C. Sbordone 2 , C. Pentella 4 ,<br />

A. Sanduzzi 4 , S. Faraone 3 , A. Zedda 3 , M. Manno 2<br />

Condensato dell’aria espirata: nuova tecnica per il monitoraggio<br />

dell’esposizione a toluene in soggetti sani<br />

1 Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, A.O. Monaldi, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />

2 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />

3 Sezione di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Ospedale S. Maria della Pietà, Casoria, Napoli<br />

4 Cattedra d’Igiene, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />

RIASSUNTO. L’esposizione al toluene, un idrocarburo aromatico<br />

ampiamente utilizzato nell’industria chimica come solvente, rappresenta<br />

una situazione di rischio professionale di particolare rilevanza, dal momento<br />

che recenti evidenze scientifiche hanno indicato che può determinare<br />

tossicità cronica. La determinazione e il controllo dell’esposizione al<br />

toluene tra i lavoratori a rischio hanno pertanto grande importanza. Tra gli<br />

indicatori biologici di esposizione al toluene, la ricerca nell’aria espirata è<br />

una metodica particolarmente vantaggiosa, pur con le difficoltà connesse<br />

ai suoi costi elevati ed ad una sensibilità bassa. Recentemente il condensato<br />

di aria espirata (EBC, Exhaled Breath Condensate), che si ottiene raffreddando<br />

l’aria espirata durante respirazione spontanea, è stato introdotto<br />

come nuova metodica per quantificare la presenza di sostanze tossiche<br />

nei lavoratori esposti professionalmente. Scopo del nostro studio pilota è<br />

stato quello di osservare se l’EBC può essere utilizzato come metodo di<br />

analisi quantitativa dell’esposizione a toluene. Sei soggetti volontari sani<br />

sono stati esposti ad una concentrazione di toluene di 50-100 ppm, simulando<br />

una attività lavorativa. L’EBC è stato raccolto prima e dopo l’esposizione.<br />

In tutti i soggetti i livelli di toluene nell’EBC prima dell’esposizione<br />

sono ri<strong>sul</strong>tati più bassi del limite minimo di rilevabilità. Il toluene<br />

era invece dosabile in tutti i campioni di EBC dopo l’esposizione e il valore<br />

mediano era 35 µg/L (range 0.22-0.55 µg/L). I livelli di toluene ambientali<br />

e nell’EBC ri<strong>sul</strong>tavano infine significativamente correlati. In conclusione,<br />

il dosaggio di toluene su EBC ri<strong>sul</strong>ta una metodica utilizzabile<br />

per valutare l’esposizione lavorativa umana alla sostanza.<br />

Parole chiave: toluene, solventi, espirata, aria condensata, spazio di<br />

testa.


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

78 www.gimle.fsm.it<br />

ABSTRACT. EXHALED BREATH CONDENSATE: A NEW TECHNIQUE<br />

FOR MONITORING EXPOSURE TO TOLUENE AMONG HEALTHY INDIVIDUALS.<br />

Exposure to toluene, an aromatic hydrocarbon widely used as an industrial<br />

solvent, is of particular concern since recent research work indicated<br />

that this solvent can re<strong>sul</strong>t in chronic toxicity. Establishing and monitoring<br />

toluene exposure among workers who are at risk is therefore of the<br />

greatest importance. Of the various biological indicators of exposure, toluene<br />

breath sampling is one of the best as it provides an accurate estimate<br />

of its concentration in target tissues. However, the monitoring of<br />

exhaled toluene is not easy due to the expense and the low level of sensitivity.<br />

Exhaled breath condensate (EBC), which is obtained by freezing<br />

exhaled air under conditions of spontaneous breathing, has recently been<br />

used as a new matrix for quantifying the lung tissue dose of toxic metals<br />

in occupationally exposed workers. The aim of the present pilot study<br />

was to investigate whether EBC can also be used as a suitable matrix for<br />

toluene quantitative analyses. Six healthy non-smokers were exposed to<br />

a known concentration of toluene while simulating an occupational activity.<br />

EBC were collected before and after exposure (50-100 ppm). The<br />

environmental levels of toluene in the air were also measured. Toluene levels<br />

in EBC were lower than the detection limit before exposure in all the<br />

subjects. Detectable levels of toluene were found in all EBC samples collected<br />

after, but not before exposure with a median value was 0.35 µg/L<br />

(range 0.22 - 0.55 µg/L). A significant correlation was found between toluene<br />

levels in EBC and those in the air. In summary, the present pilot<br />

study shows that EBC analysis is a promising matrix for assessing occupational<br />

exposure to toluene.<br />

Key words: toluene, exhaled breath condensate, head-space.<br />

Introduzione<br />

Il toluene è uno dei solventi organici più utilizzati (1), costituendo<br />

più dell’80% dei solventi usati nelle vernici, il 62% negli<br />

inchiostri, il 56% nei diluenti, e il 51% negli adesivi (2, 3). L’esposizione<br />

cronica a toluene, una condizione che coinvolge milioni<br />

di lavoratori negli impianti industriali, si manifesta con irritazione<br />

delle mucose, riduzione della funzione del sistema nervoso<br />

centrale ed alterazioni endocrine (4). Per questo motivo il<br />

monitoraggio dei livelli di esposizione a toluene riveste un ruolo<br />

primario in medicina del lavoro. Sia il toluene che i suoi metaboliti<br />

sono usati come biomarkers di esposizione e la misurazione<br />

diretta dei livelli di toluene circolanti, urinari e nell’aria espirata<br />

sono tra gli indicatori di esposizione più usati (5). In particolare,<br />

la misurazione del toluene nell’aria espirata riflette accuratamente<br />

le concentrazioni tissutali e quindi la sua potenziale<br />

tossicità (6). Tuttavia, la raccolta diretta del toluene nell’aria<br />

espirata non è privo di difficoltà, dal momento che richiede ad<br />

esempio campionatori adeguati ed un’analisi immediata (6).<br />

Il condensato di aria espirata (EBC), ottenuto attraverso il<br />

raffreddamento dell’aria esalata durante una respirazione tidalica<br />

spontanea, è un nuovo metodo per raccogliere sostanze volatili e<br />

non-volatili dalle vie aeree inferiori (7). Non è tuttavia ancora noto<br />

se l’EBC possa essere effettivamente utilizzato anche per identificare<br />

e monitorare i livelli dei solventi organici. Lo scopo del<br />

nostro studio pilota è stato quello di osservare se il EBC può essere<br />

utilizzato come un facile metodo di analisi quantitativa del<br />

toluene in soggetti professionalmente esposti a tale solvente.<br />

Materiali e metodi<br />

Soggetti: Sei soggetti volontari sani con età media di 35 anni<br />

(27-50) e un peso corporeo medio di 80 kg (68-90) hanno partecipato<br />

allo studio. Tutti i soggetti erano non fumatori e non esposti<br />

lavorativamente o in altro modo a solventi organici. L’esperimento<br />

è stato condotto dopo aver ottenuto il consenso informato dei<br />

partecipanti e dopo l’approvazione del Comitato Etico.<br />

Disegno dello studio: Ai soggetti è stato chiesto di simulare le<br />

condizioni lavorative di pulitura di scarpe con il toluene per 20 minu-<br />

ti. Tutti i soggetti utilizzavano guanti protettivi in lattice. L’esposizione<br />

è stata condotta in una camera di 40 mq senza ricambio di aria. La<br />

temperatura e l’umidità relativa sono state continuamente misurate.<br />

La concentrazione del solvente nell’aria è stata continuamente monitorata<br />

da uno spettrofotometro ad infrarossi Sapphire CONTEC<br />

Enginering. Le misurazioni sono state compiute a 13.77 mcm (con<br />

una lunghezza d’onda di riferimento di 3.66 mcm) e le concentrazioni<br />

di toluene sono state registrate ogni 3 minuti. L’EBC è stato<br />

raccolto immediatamente prima e subito dopo l’esposizione.<br />

Raccolta di EBC: L’EBC è stato raccolto utilizzando un condensatore,<br />

che permette una raccolta non invasiva dei componenti<br />

non gassosi dell’aria espirata (EcoScreen, Jaeger, Wyrzburg,<br />

Germany). I soggetti in studio hanno respirato attraverso un<br />

boccaglio fornito di una valvola di non re-breathing a due vie e<br />

di una trappola salivare. È stato chiesto loro di respirare a frequenza<br />

e volume tidalico, indossando uno stringinaso, per un periodo<br />

di 15 minuti. Il condensato (2 ml in totale) è stato immediatamente<br />

trasferito in una provetta di vetro (volume 10 ml) per<br />

l’analisi. Appena dopo l’introduzione del campione, le provette<br />

sono state chiuse con setti di 20 mm di nastro butilico gommato<br />

con PTFE e sigillate con un tappo di alluminio.<br />

Analisi del toluene: Il toluene è stato analizzato mediante<br />

tecnica gas-cromatografica in spazio di testa statico con rivelatore<br />

di massa (Shimadzu GC-17° infrarossi con spettrometro di<br />

massa GCMS-QP 5000). Le condizioni del cromotografo erano:<br />

SP-B 20 di 60 m di lunghezza e di 0.25 mm di diametro con uno<br />

spessore del film di 0.25 µm. Come gas di trasporto è stato usato<br />

l’elio; il flusso di colonna è stato di 1.3 ml/min; la temperatura<br />

iniettore è stata di 280 °C mentre la temperatura dell’interfaccia<br />

di 250 °C; il rapporto di splintaggio 1/10; tensione al detector di<br />

1.5 kV; la temperatura del forno di 50 °C per 2 minuti poi a 10<br />

°C/min fino al raggiungimento di 100°C. Il modo di acquisizione<br />

è stato in SIM (91 e 92 m/z). Il campione di EBC è stato posto<br />

in bagnomaria a 50 °C. Dopo 3 minuti di condizionamento,<br />

con una siringa per gas sono stati prelevati 250 µl dallo spazio di<br />

testa ed iniettati nel gas-cromatografo. Il tempo di ritenzione del<br />

toluene è stato approssimativamente di 7.20 minuti.<br />

Calibrazione e valutazione di riproducibilità del test: Il toluene<br />

(purificato in laboratorio) è stato acquistato dalla Carlo Erba<br />

(Milano, Italia). Le curve standard sono state preparate giornalmente,<br />

aggiungendo quantità variabili di toluene (0.1 a 0.6<br />

µg/L) a 2 mL di acqua distillata. Inoltre, al fine di valutare la riproducibilità<br />

della metodica e di effettuare una corretta calibrazione,<br />

sono stati utilizzati quattro campioni di EBC di soggetti<br />

non esposti, corretti con 0.01, 0.15, 0.30, 0.60 µg/L di toluene.<br />

Statistica: È stata utilizzata l’analisi di regressione lineare al<br />

minimo-quadrato per valutare la pendenza e (b) l’intercetta della<br />

curva di calibrazione y = bx + a, dove per y si intende l’area cromatografia<br />

dell’analita e per x la concentrazione del campione<br />

dell’analita (µg/L). Il limite di rilevamento (LOD, limit of detection)<br />

del campione è stato calcolato secondo tale espressione<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Le curve ottenute dall’analisi del EBC erano simili a quelle<br />

delle calibrazioni standard e ri<strong>sul</strong>tavano lineari nel range di analisi<br />

del toluene (Figura 1). Le curve di calibrazione ottenute in altri<br />

giorni lavorativi in due differenti settimane si presentavano simili<br />

tra loro. L’errore di metodo, espresso dalla deviazione standard<br />

relativa, è stato calcolato da 6 identici campioni dal 1.9% ad<br />

alta concentrazione di toluene di 0.6 µg/ al 2.5% a basse concentrazioni<br />

di toluene 0.1 µg/L. Il LOD era 0.05 µg/L.<br />

Durante l’esposizione dei soggetti, le concentrazioni lavorative<br />

di toluene erano sempre più basse di 100 ppm (valore medio<br />

77 ppm). Nell’EBC di tutti i soggetti i livelli di toluene erano più<br />

alti del limite minimo rintracciabile prima dell’esposizione.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 79<br />

Figura 1. Curva di calibrazione per il toluene nel condensato<br />

dell’aria espirata (in ordinata unità arbitrarie)<br />

Figura 2. Correlazione tra toluene nell’aria e nel condensato<br />

dell’aria espirata in 6 soggetti sani non fumatori<br />

Il toluene era rintracciabile in tutti i campioni di EBC dei nostri<br />

soggetti dopo l’esposizione. Il valore mediano era 0,35 µg/L (range<br />

0,22 - 0,55 µg/L). La figura 2 mostra i cromatogrammi di massa a<br />

singolo ione corrispondenti al campione di EBC di un soggetto dopo<br />

l’esposizione e lo stesso campione corretto con 0,1 µg/L del campione<br />

standard. L’analita è univocamente interpretabile <strong>sul</strong>la base del<br />

tempo di ritenzione e del rapporto massa/peso. Una significativa correlazione<br />

è stata rilevata tra i livelli ambientali di toluene e quelli ritrovati<br />

nell’EBC alla fine dell’esposizione (r = 0,82, p = 0,04).<br />

Discussione<br />

Il toluene è un idrocarburo aromatico ampiamente utilizzato<br />

dall’industria chimica come solvente (1). Una esposizione prolungata<br />

può causare tossicità cronica, specialmente a carico del<br />

sistema nervoso centrale e dell’apparato endocrino (1). Esistono<br />

in Letteratura numerosi studi <strong>sul</strong>la tossicità della sostanza, di cui<br />

viene raccomandato il monitoraggio dell’esposizione nei gruppi<br />

a rischio. Per tale motivo, in molti Paesi viene attuata una stretta<br />

sorveglianza delle concentrazioni di toluene negli ambienti di lavoro.<br />

Comunque, nella valutazione dell’esposizione e del rischio,<br />

il monitoraggio <strong>biologico</strong> del toluene ha numerosi vantaggi rispetto<br />

alle tecniche di rilevazione ambientale. Sono stati utilizzati<br />

numerosi indicatori biologici di esposizione, quali i livelli circolanti<br />

ed urinari, i metaboliti urinari o gli effetti preclinici dell’esposizione<br />

alla sostanza.<br />

I tre principali obiettivi per un indicatore <strong>biologico</strong> di esposizione<br />

sono: a) un’accurata misurazione della dose assorbita; b)<br />

un metodo di raccolta di campioni rapido, non invasivo e tempoindipendente;<br />

c) una misurazione non influenzata dalle abitudini<br />

alimentari o da fonti di contaminazione endogena. Raccogliere<br />

campioni di toluene nell’aria espirata risponde a queste esigenze,<br />

dal momento che riflette accuratamente le reali concentrazioni<br />

tessutali del toluene.<br />

Il presente studio pilota dimostra la validità di un metodo alternativo<br />

di rilevazione del toluene, quale la sua misurazione nell’EBC<br />

di soggetti esposti, suggerendone l’impiego come nuovo<br />

metodo di rilevazione e monitoraggio dell’esposizione al solvente.<br />

Rispetto ad altri metodi (ad esempio la raccolta di campioni di<br />

sangue), l’EBC è una metodica non invasiva e non richiede particolare<br />

collaborazione o abilità del probando. Esso può essere raccolto<br />

in qualsiasi momento e praticamente in qualsiasi ambiente;<br />

infine, esso rappresenta una matrice biologica più semplice, rispetto<br />

al sangue o alle urine, in quanto costituita in larga parte da<br />

acqua. Rispetto ai campioni di aria espirata, infine, i livelli di toluene<br />

ritrovati nell’EBC dopo una esposizione al toluene breve ed<br />

acuta appaiono nel nostro studio più alti di quanto riferito da altri<br />

Autori, ri<strong>sul</strong>tando fino a cento volte più alti in confronto a soggetti<br />

non esposti professionalmente (8, 9, 10). Va peraltro sottolineato<br />

che i soggetti in studio ri<strong>sul</strong>tavano rappresentativi dei lavoratori<br />

esposti acutamente al toluene, dal momento che simulavano<br />

un’attività lavorativa a diretto e costante contatto con il solvente.<br />

I livelli di toluene nell’aria ambiente erano sempre più bassi dei<br />

limiti accettati. È interessante notare che è stata ritrovata una stretta<br />

correlazione tra i livelli ambientali di toluene e i livelli nell’EBC.<br />

In conclusione, i ri<strong>sul</strong>tati del presente studio sembrano indicare<br />

l’analisi dell’EBC come un metodo promettente per rintracciare<br />

solventi organici presenti a livello tissutale in soggetti esposti ad<br />

ambienti lavorativi inquinati o non sufficientemente controllati.<br />

Bibliografia<br />

1) Inoue O, Seiji K, Watanabe T, Chen Z, Huang M-Y, Xu X-P,Qiao X,<br />

Ikeda M Effects of smoking and drinking habits on urinary o-cresol<br />

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K, Sakurai H, Hara I, Matsushita T, Ikeda M A nationwide survey on<br />

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products such as thinners, degreasers, reagents and others. Ind<br />

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3) Kumai M, Loizumi A, Saito K, Sakura H, Inoue T, Takeuchi Y, Hara I,<br />

Ogata M, Matsushita T, Ikeda M (1983) A nationwide survey on organic<br />

solvent components in various solvent products. II. Heterogeneous<br />

products such as paints, inks, and adhesives. Ind Health 21: 185-197.<br />

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Am J Respir Crit Care Med 2001; 163: 1693-1722.<br />

10) Goldoni M, Catalani S De Palma G et al Exhaled breath condensate<br />

as a suitable matrix to assess lung dose and effect in workers exposed<br />

to cobalt and tungsten Environ Health Perspect 2004 112: 1293-98.


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

80 www.gimle.fsm.it<br />

M. Maniscalco 1 , M. Di Mare 2 , L. Padovano 2 , C. Sbordone 2 , S. Di Tonno 2 , M. Mormile 1 , P. Carratù 3 , L. Carratù 1 , M. Sofia 1 ,<br />

M. Manno 2<br />

Ossido nitrico nasale nel monitoraggio della rinite occupazionale<br />

1 Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, A.O. Monaldi, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />

2 Cattedra di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Napoli Federico II<br />

3 Cattedra di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università degli Studi di Bari<br />

RIASSUNTO. Il dosaggio di ossido nitrico (NO) su aria espirata è<br />

stato recentemente proposto quale strumento non invasivo di monitoraggio<br />

della flogosi delle vie aeree in corso di patologie delle alte e basse vie<br />

aeree come l’asma bronchiale e la rinite allergica. L’utilità di tale metodica<br />

per la valutazione dell’infiammazione in corso di patologie occupazionali<br />

non è ben conosciuta. Scopo del presente studio è stato quello di<br />

valutare i livelli di NO <strong>orali</strong> e nasali in pazienti affetti da rinite occupazionale<br />

rispetto a pazienti affetti da rinite allergica stagionale ed a controlli<br />

sani. Abbiamo misurato tramite chemiluminescenza i livelli di NO<br />

nasale in sei pazienti con diagnosi di rinite occupazionale (RO), in 15 pazienti<br />

con rinite allergica stagionale (RA) e in 18 controlli sani (CS). Nei<br />

pazienti con RO e RA i livelli nasali di NO sono stati inoltre correlati con<br />

lo score clinico. I livelli di NO nasale nei pazienti affetti da RO erano<br />

comparabili con i valori dei pazienti con RA: mediana (95% CI) rispettivamente<br />

di 60,5 ppb (47,8-69,8) e di 46,2 ppb (39,1 - 54,3). Entrambi i<br />

gruppi presentavano valori di NO nasale più alti rispetto ai controlli sani<br />

27,5 ppb (24,2-33,0) (p


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 81<br />

lizzatore è stato calibrato con una miscela di NO (200 parti per miliardo).<br />

I livelli di NO sono stati misurati durante respiro orale e nasale.<br />

Una maschera nasale è stata usata per la misurazione nasale<br />

ed un boccaglio per quella orale. I pazienti espiravano lentamente<br />

attraverso il naso o attraverso la bocca a flusso costante (50 ml/s)<br />

per 10 secondi. Le misurazioni sono state effettuate in duplicato.<br />

I dati sono espressi come mediana (95% dell’intervallo di<br />

confidenza). L’analisi statistica è stata effettuata tramite test non<br />

parametrici: U-Mann Whitney test e Spearman test. Una p inferiore<br />

a 0.05 è stata considerata statisticamente significativa.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

La visita ORL evidenziava in tutti pazienti, sia RO che RA, segni<br />

in atto o pregressi di rinite vasomotoria di vario grado e tutti<br />

erano sintomatici al momento del dosaggio di NO sebbene in misura<br />

diversa. I livelli <strong>orali</strong> di NO nei pazienti affetti da RO o RA<br />

erano rispettivamente di 12,6 ppb (7,9-16,7) e 10,4 ppb (8,5-15,5)<br />

ed erano significativamente maggiori rispetto ai CS, 6,6 ppb (5,2 -<br />

8.1) p


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

82 www.gimle.fsm.it<br />

Introduzione<br />

La sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti ad amianto<br />

rappresenta uno dei problemi più rilevanti di sanità pubblica<br />

(1). Molto si discute <strong>sul</strong>la efficacia delle attività di sorveglianza<br />

condotte in relazione ai possibili esiti neoplastici della esposizione<br />

al rischio, dal momento che gli attuali possibili indicatori<br />

precoci di effetto sono confinati alla diagnostica per immagini<br />

condotta attraverso la TC a spirale, metodica ancora in fase<br />

di validazione (2). Si tratta in Campania (3), ad oggi, di<br />

12.225 persone la cui sorveglianza è affidata alla gestione del<br />

Servizio Sanitario Regionale attraverso la costituzione di Unità<br />

Operative Amianto da insediare a livello di ogni singola ASL<br />

della Campania. Il coordinamento scientifico della attività di<br />

sorveglianza sanitaria è delegato, dal Piano Regionale Amianto,<br />

al Registro Regionale Mesoteliomi istituito presso la Sezione di<br />

Medicina del Lavoro del Dipartimento di Medicina Sperimentale<br />

della Seconda Università di Napoli, struttura promotrice di<br />

questa ricerca.<br />

Il Progetto di ricerca<br />

L’obiettivo della ricerca proposta è di identificare specifici<br />

biomarcatori precoci in grado di definire:<br />

1. la esistenza, all’interno del gruppo dei lavoratori ex esposti<br />

ad amianto, di biomarcatori precoci di predisposizione capaci<br />

di identificare, all’interno della coorte degli ex esposti, una<br />

specifica sotto-coorte di soggetti ad “alto rischio”, caratterizzata<br />

da uno specifico profilo di espressione genica per il mesotelioma<br />

pleurico (4, 5); in questo modo sarebbe ragionevole<br />

predisporre, per questa coorte ad alto rischio, una particolare<br />

forma di sorveglianza attiva, caratterizzata da un protocollo<br />

di monitoraggio <strong>biologico</strong> periodico;<br />

2. la esistenza di biomarcatori precoci, individuabili attraverso<br />

le attività di monitoraggio <strong>biologico</strong>, in grado di cogliere nelle<br />

primissime fasi la formazione di un mesotelioma pleurico.<br />

Tale diagnosi precoce è oggi fondamentale per la applicazione<br />

di protocolli terapeutici trimodali (chirurgia + chemioterapia<br />

+ radioterapia) che determinerebbero, per i casi precoci e<br />

per gli istotipi epiteliomorfi sopravvivenze di 5 anni per il<br />

50% della coorte, rispetto alla attuale sopravvivenza media di<br />

8-12 mesi (6).<br />

Il progetto di ricerca si basa <strong>sul</strong>lo studio di due tipologie di<br />

possibili biomarcatori precoci:<br />

a) Ricerca di uno specifico profilo di espressione genica:<br />

La tecnica utilizzata è quella della analisi di espressione genica<br />

mediante Genechip Expression Arrays (Affymetrix) che<br />

permette di analizzare su di un unico supporto, con una unica<br />

analisi l’intero genoma umano.<br />

Lo studio sarà condotto su queste tipologie di tessuto:<br />

tessuto pleurico normale;<br />

tessuto pleurico di soggetti esposti ad amianto senza patologia<br />

in atto;<br />

tessuto pleurico “normale” di pazienti ammalati di mesotelioma;<br />

tessuto di mesotelioma appartenente ai seguenti istotipi:<br />

• epitelioide;<br />

• sarcomatoide;<br />

• misto.<br />

b) Ricerca di biomarcatori precoci a livello serico:<br />

La identificazione di biomarcatori precoci a livello serico<br />

rappresenta un traguardo di rilevante interesse, dal momento<br />

che potrebbe rappresentare un biomarcatore di facile applicabilità,<br />

e di basso costo (umano e finanziario), rispetto agli attuali<br />

biomarkers in fase di incerta validazione quali la TC a<br />

spirale.<br />

Recenti studi hanno messo in evidenza il possibile utilizzo<br />

come biomarcatore precoce della SMRP (serum mesothelinrelated<br />

protein) per la identificazione di:<br />

sottogruppo di ex esposti con predisposizione a produrre<br />

mesotelioma;<br />

diagnosi precoce del mesotelioma precedente anche la fase<br />

clinica conclamata;<br />

evoluzione prognostica della malattia.<br />

Gli studi preliminari di Robinson e coll. (7) richiedono una<br />

validazione su larghi numeri, ma l’approccio preliminare appare<br />

di rilevante interesse.<br />

Operativamente il progetto di ricerca sarà condotto su una<br />

coorte di ex lavoratori esposti ad amianto selezionata con la collaborazione<br />

della Unità operativa Amianto costituita all’interno<br />

della ASL NA2.<br />

Saranno monitorati circa 500 lavoratori con significativa e rilevante<br />

pregressa esposizione ad amianto, arruolati dalla ASL<br />

NA2 per le operazioni di sorveglianza sanitaria già in atto. Verranno<br />

conservati i sieri a - 80°C per la successiva valutazione di<br />

biomarcatori serici per tumori amianto correlati (carcinoma polmonare,<br />

mesotelioma pleurico).<br />

I valori dei biomarcatori saranno confrontati con gli altri parametri<br />

analizzati (prove di funzionalità respiratoria, diagnostica<br />

per immagini, andamento clinico) al fine di determinarne il grado<br />

di affidabilità.<br />

Bibliografia<br />

1) Mastrantonio M, Belli S, Binazzi A, Carboni M, Comba P, Fusco P,<br />

Grignoli M, Iavarone I, Martuzzi M, Nesti M, Trinca S, Uccelli R. La<br />

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G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 83<br />

F. Mocci 1 , G. Sechi 1 , R. Bardino 2<br />

Alterazioni visive ed esposizione a solventi organici a basse concentrazioni:<br />

studio attraverso l’utilizzo del Functional acuity contrast test (FACT)<br />

1 Istituto di Medicina Legale e di Medicina del Lavoro, Università di Sassari<br />

2 Servizio Sanitario Syndial, Porto Torres<br />

RIASSUNTO. Abbiamo studiato le alterazioni della sensibilità al<br />

contrasto visivo con il FACT (Functional Acuity Contrast Test) in 110 soggetti<br />

esposti a una miscela di solventi organici con concentrazioni inferiori<br />

a TLV; il test è stato effettuato durante l’attività lavorativa ed al rientro<br />

da un periodo di ferie. Il test di Wilcoxon ha evidenziato una differenza significativa<br />

alle frequenze 6, 12 and 18 Hz (P 20 anni (F=12,04; d.f.=3,102; P


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

84 www.gimle.fsm.it<br />

zianità lavorativa è stata pertanto stratificata in quattro gruppi<br />

(Tabella II). L’analisi dei contrasti ha rivelato una differenza statisticamente<br />

significativa tra i due test (CS1 e CS2) del primo<br />

gruppo (aa. 1-9) con il terzo (aa. 20-25) ed il quarto (aa. >25), ma<br />

non col secondo (aa.10-19) (F=12 04; d.f.=3,102; P


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 85<br />

S. Morandi, A. Bassi, A. Nunziata C. Andreoli<br />

Ruolo del polimorfismo del gene CYP2A6 nell’instaurarsi della<br />

dipendenza da nicotina e nella valutazione del rischio del cancro<br />

al polmone: un’analisi degli studi<br />

Centro Ricerche British American Tabacco Italia SpA, Napoli<br />

RIASSUNTO. Il gene CYP2A6, la principale ossidasi della nicotina,<br />

nonché attivatore delle nitrosammine, altamente polimorfico (ad oggi<br />

sono stati descritti più di 11 alleli), sembrerebbe svolgere un ruolo importante<br />

nella variabilità interindividuale del comportamento del fumatore<br />

e nella suscettibilità al cancro al polmone. CYP2A6 è implicato nel<br />

metabolismo della nicotina a cotinina e nell’attivazione delle nitrosammine<br />

a prodotti cancerogeni. Lo scopo di questo lavoro è provare a chiarire,<br />

attraverso l’analisi degli studi presenti in letteratura, l’effettivo ruolo<br />

del polimorfismo del gene CYP2A6 su queste due caratteristiche.<br />

Parole chiave: polimorfismo del gene CYP2A6, dipendenza da nicotina,<br />

cancro al polmone.<br />

ABSTRACT. THE ROLE OF CYP2A6 POLYMORPHISM IN ESTABLI-<br />

SHING TOBACCO DEPENDENCE AND MODULATING LUNG CANCER RISK: AN<br />

ANALYSIS OF THE LITERATURE. CYP2A6 is a highly polymorphic gene<br />

(more than 11 alleles have been described so far) that seems to play an<br />

important role in modulating the interindividual variability of smoker<br />

behaviour and susceptibility to lung cancer. CYP2A6 is an enzyme involved<br />

in the nicotine-cotinine metabolism and in the activation of nitrosamines<br />

to ultimate carcinogens. In this study we analysed re<strong>sul</strong>ts from<br />

the literature in order to shed light on the role of CYP2A6 gene polymorphism<br />

in the two variables reported above.<br />

Key words: CYP2A6 polymorphisms, nicotine addiction, lung cancer.<br />

Introduzione<br />

I citocromi P450 (CYP) sono responsabili del metabolismo e<br />

delle reazioni di detossificazione sia di composti endogeni che<br />

esogeni. Tali reazioni possono talvolta condurre all’attivazione<br />

metabolica di precancerogeni a cancerogeni. Negli ultimi anni<br />

sono state descritte diverse forme polimorfiche dei geni che codificano<br />

per i citocromi P450 che possono portare a forme enzimatiche<br />

con attività soppressa, ridotta, alterata qualitativamente<br />

o rafforzata (1). In riferimento alle possibili forme polimorfiche<br />

del CYP e alle loro differenti capacità metaboliche, l’enzima<br />

CYP2A6, la principale ossidasi della nicotina nonché attivatore<br />

delle nitrosammine, rappresenta un esempio molto interessante.<br />

Recenti lavori di letteratura hanno studiato la relazione tra il<br />

metabolismo deficitario di nicotina e delle nitrosammine specifiche<br />

del tabacco (TSNA) da un lato ed il polimorfismo nel gene<br />

CYP2A6 umano dall’altro (2). Alcuni di questi studi riportano<br />

che i fumatori adattano il loro comportamento durante il fumo<br />

(numero di sigarette fumate, profondità di inalazione, volume di<br />

ciascun puff) per mantenere i livelli di nicotina nel circolo periferico<br />

e centrale. Soggetti portatori di alleli polimorfici del<br />

CYP2A6, ed in particolar modo della forma allelica CYP2A6*4<br />

(forma deleta che si traduce in una ridotta o assente attività catalitica),<br />

avrebbero una minore probabilità di diventare dipendenti<br />

da nicotina, perché nel loro organismo il metabolismo difettivo<br />

ne garantisce una permanenza nel sangue più lunga e a livelli più<br />

elevati rispetto ai soggetti portatori della forma selvatica. Un altro<br />

aspetto interessante è rappresentato dal fatto che generalmente<br />

le prime esperienze con il fumo sono molto spesso spiacevoli<br />

in quanto provocano, tra l’altro, nausea e giramenti di testa. Nei<br />

soggetti difettivi tali effetti spiacevoli potrebbero essere esaltati,<br />

funzionando così da deterrente nei confronti di ulteriori esperien-<br />

ze con il tabacco. Inoltre, dal momento che il fumo di tabacco<br />

contiene nitrosammine che possono essere attivate a cancerogeni<br />

dal CYP2A6, gli individui portatori dell’allele difettivo potrebbero<br />

avere un fattore di protezione dall’azione cancerogena del<br />

fumo di sigaretta.<br />

Analisi degli studi <strong>sul</strong> polimorfismo del gene CYP2A6<br />

Tra i primi lavori che hanno focalizzato la loro attenzione<br />

verso questo campo di applicazione vi sono i gruppi di M.L. Pianezza<br />

(Nicotine metabolism defect reduces smoking) (4) e di R.F.<br />

Tyndale e E.M. Sellers dell’Universirà di Toronto (Variable<br />

CYP2A6-mediated nicotine metabolism alters smoking behaviour<br />

and risk) (5) che, studiando in particolare i geni che esprimono<br />

i sistemi enzimatici deputati alla trasformazione metabolica<br />

della nicotina, al fine di verificare se esista o meno una relazione<br />

tra il fumo e la capacità geneticamente predeterminata di<br />

inattivare la nicotina, hanno riscontrato che in una popolazione di<br />

non fumatori la presenza di copie difettose del gene che sintetizza<br />

l’enzima CYP2A6, è significativamente inferiore rispetto a<br />

quella dei fumatori abituali. Molti lavori di letteratura successivi<br />

concordano con questa tesi, altri invece, come quelli di Stephanie<br />

J. London et al. (Genetic variation of CYP2A6, smoking and risk<br />

cancer) (6) e quello di Marie-Anne Loriot et al. (Genetic polymorphisms<br />

of cytochrome P4502A6 in a case-control study on<br />

lung cancer in a French population) (7), sono giunti a ri<strong>sul</strong>tati discordanti.<br />

Per quel che riguarda l’influenza del polimorfismo del gene<br />

CYP2A6 nel modulare il rischio di cancro al polmone, è stato osservato<br />

quanto segue:<br />

1) una ridotta o assente capacità di metabolizzare la nicotina e,<br />

quindi di fumare un numero minore di sigarette, che è di per<br />

sé un fattore protettivo;<br />

2) una frequenza maggiore di individui che hanno una duplicazione<br />

del gene CYP2A6 tra i pazienti affetti da cancro al<br />

polmone.<br />

Queste osservazioni suggeriscono che gli individui che hanno<br />

un’attività ridotta del CYP2A6 presentano una probabilità più<br />

bassa di attivare i precancerogeni presenti nel fumo di sigaretta a<br />

cancerogeni.<br />

Discussione<br />

Un importante aspetto da considerare quando si studia il polimorfismo<br />

dei CYP è che le tecniche di genotipizzazione impiegate<br />

per la determinazione delle mutazioni a livello genomico<br />

siano appropriate e corrette. A tal proposito le discrepanze tra lo<br />

studio di Pianezza e quello di M.A. Loriot potrebbero essere dovute<br />

proprio a differenti metodi di genotipizzazione. Infatti, il<br />

metodo adottato dalla Loriot è probabilmente più specifico portando<br />

ad una frequenza inferiore di alleli polimorfici rispetto a<br />

quelli individuati col metodo di Pianezza.<br />

Inoltre i due lavori ri<strong>sul</strong>tano difficilmente comparabili per i<br />

seguenti motivi:


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

86 www.gimle.fsm.it<br />

Nello studio di Pianezza soggetti dipendenti dall’alcool e soggetti<br />

con dipendenza dal tabacco sono stati studiati insieme. Il<br />

consumo di etanolo potrebbe essere un fattore di confondimento,<br />

influenzando la dipendenza da tabacco e/o il metabolismo.<br />

I due approcci non presentano la stessa finalità: infatti la dipendenza<br />

da tabacco rappresenta il principale interesse dello<br />

studio di Pianezza, mentre lo studio della Loriot è mirato a<br />

misurare più accuratamente il consumo di sigarette ed il periodo<br />

di fumo.<br />

Il consumo di sigarette è stato valutato da Pianezza solo nei<br />

soggetti tabacco-dipendenti, mentre nello studio della Loriot<br />

è stata considerata l’intera popolazione.<br />

Lo stesso Jeffrey R. Idle, autore del gruppo della Loriot, ha<br />

reso nota in una lettera <strong>sul</strong>la rivista “The Lancet” (1999) la sua<br />

discordanza di opinioni con i co-autori, riguardo l’approccio al<br />

lavoro svolto. Infatti, secondo l’autore:<br />

1) la classificazione in fumatori e non fumatori non permette di<br />

identificare i soggetti che potrebbero presentare un’intolleranza<br />

alle sigarette di natura genetica o metabolica;<br />

2) a fronte delle evidenze sperimentali che il fumo è la principale<br />

causa di cancro al polmone, non viene riconosciuto il<br />

R. Morreale 1 , M. Dall’Olio 2 , A. Gelormini 2 , D. Tolentino 2<br />

giusto peso delle prove epidemiologiche che attribuiscono un<br />

importante ruolo anche alla dieta (8).<br />

In conclusione, il ruolo del polimorfismo del CYP2A6 nella<br />

dipendenza da tabacco e nel rischio del cancro al polmone richiede<br />

ulteriori indagini. La standardizzazione dei metodi di genotipizzazione<br />

ed una classificazione inequivocabile dei soggetti<br />

nelle categorie “fumatori” e “non fumatori” sono necessari<br />

allo scopo di comparare correttamente studi differenti e comprendere<br />

l’effettiva relazione tra CYP2A6 e comportamento del<br />

fumatore.<br />

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Utilizzo degli indicatori biologici per esposizione a toluene:<br />

acido ippurico e orto-cresolo<br />

1 Servizio Sanitario IFM FERRARA S.c.ar.l. “Integrated Facility Management”, Ferrara<br />

2 Direzione Salute Sicurezza e Ambiente, MEDL, Polimeri Europa<br />

RIASSUNTO. Un gruppo di 66 lavoratori di un impianto di produzione<br />

di gomme elastomeriche EP(D)M è stato oggetto di una indagine<br />

biologica con l’obiettivo di verificare la potenziale esposizione a toluene,<br />

attraverso la contemporanea determinazione, nelle urine raccolte a fine<br />

turno di lavoro, dell’acido ippurico e dell’orto-cresolo (o-cresolo) urinari.<br />

I nostri ri<strong>sul</strong>tati, per la maggior parte dei casi inferiori ai limiti biologici<br />

di esposizione, confermano le basse concentrazioni ambientali di toluene.<br />

L’o-cresolo è ri<strong>sul</strong>tato l’indicatore <strong>biologico</strong> meno influenzabile<br />

dai fattori di confondimento, come ad esempio fumo, dieta, etc., e più attendibile<br />

in presenza di basse esposizioni a toluene.<br />

Parole chiave: rischio chimico, toluene, monitoraggio <strong>biologico</strong>,<br />

esposizione professionale.<br />

ABSTRACT. USE OF IPPURIC ACID AND O-CRESOL AS BIOLOGICAL<br />

MARKERS OF OCCUPATIONAL EXPOSURE TO TOLUENE. A group of 66<br />

workers of an industrial elastomeric rubber plant were subjected to biological<br />

monitoring. The aim of the research was to verify the potential exposure<br />

to toluene, through the analysis of ippuric acid and o-cresol present<br />

in urine, collected at the end of the work shift. The re<strong>sul</strong>ts, which for<br />

the most part were lower than allowed BEIs, confirm low environmental<br />

concentrations of toluene. It was demonstrated that o-cresol is the most<br />

precise biological index when there are low levels of environmental toluene.<br />

Key words: chemical risk, toluene, biological monitoring, occupational<br />

exposure.<br />

Introduzione<br />

L’evoluzione legislativa del concetto di sorveglianza sanitaria,<br />

dalle prime visite mediche (D.P.R. 303/56) agli attuali accertamenti<br />

sanitari preventivi e periodici (D.Lgs 626/94 e 25/02), ha<br />

contribuito sensibilmente alla necessità di un continuo sviluppo<br />

ed aggiornamento tecnico-scientifico <strong>sul</strong>l’utilizzo di nuovi indicatori<br />

biologici nel controllo dell’esposizione ad agenti chimici.<br />

Il monitoraggio <strong>biologico</strong> delle urine raccolte a fine turno di lavoro<br />

è una tecnica non invasiva, ormai largamente applicata proprio<br />

per evitare che si instaurino condizioni di rischio di esposizione<br />

e di eventuale assorbimento di tossici.<br />

Materiali e metodi<br />

L’indagine biologica, oggetto del nostro studio, è stata condotta<br />

sui lavoratori di un impianto di produzione di gomme elastomeriche<br />

EP(D)M, nelle regolari condizioni di assetto produttivo,<br />

con l’obiettivo di verificare la potenziale esposizione a<br />

toluene (1). La tradizionale determinazione dell’acido ippurico<br />

urinario, a fine turno di lavoro, è stata affiancata, per la prima<br />

volta, allo studio dell’escrezione urinaria di orto-cresolo (o-cresolo),<br />

metabolita più specifico e più sensibile per le basse esposizioni<br />

a toluene (2). Nel corso degli incontri informativi/formativi<br />

“on the job” i lavoratori hanno ricevuto istruzioni <strong>sul</strong>le<br />

caratteristiche degli indicatori biologici ricercati, <strong>sul</strong>le modalità<br />

e sui tempi di campionamento e <strong>sul</strong>la necessità di compilare un<br />

questionario personale in cui raccogliere i dati anagrafici e le<br />

abitudini voluttuarie. I campioni urinari sono stati raccolti a fine<br />

turno di lavoro, temporaneamente stoccati a 4°C e consegnati<br />

per le analisi al Centro Interdipartimentale di Tossicologia<br />

e Farmacologia Umana ed Ambientale dell’Università di Ferrara.<br />

La determinazione dell’acido ippurico urinario ha utilizzato<br />

la cromatografia liquida ad alta pressione (HPLC), con detector<br />

UV. Per l’o-cresolo è stata impiegata la tecnica strumentale<br />

HPLC con fluorimetro.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

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Figura 1. Ri<strong>sul</strong>tati del metabolita acido ippurico Figura 2. Ri<strong>sul</strong>tati del metabolita o-cresolo<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />

I nostri ri<strong>sul</strong>tati sono relativi a 66 campioni di urine, raccolti<br />

a fine turno di lavoro, nelle regolari condizioni di assetto impiantistico.<br />

Su ogni singolo campione sono state eseguite due<br />

determinazioni analitiche: una per l’acido ippurico, l’altra per<br />

l’o-cresolo. I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti indicano un’esposizione a toluene<br />

che possiamo definire assai modesta; su un campione di 66<br />

analisi, sia l’acido ippurico (Figura 1) che l’o-cresolo (Figura 2)<br />

ri<strong>sul</strong>tano, per la maggior parte dei casi, inferiori ai limiti biologici<br />

di esposizione. Per quanto riguarda l’acido ippurico, esistono<br />

5 situazioni in cui le concentrazioni analizzate ri<strong>sul</strong>tano<br />

superiori al valore limite <strong>biologico</strong> di 1.6 g/g di creatinina; pertanto<br />

sono state verificate le possibili cause tecnico/organizzative<br />

e comportamentali per adottare gli eventuali e opportuni<br />

provvedimenti di prevenzione. Il medico competente ha informato<br />

individualmente i lavoratori interessati e il datore di lavoro<br />

del superamento del valore <strong>biologico</strong> dell’acido ippurico, approfondendone<br />

la correlazione con le attività lavorative ed extralavorative<br />

(3). L’esame critico delle mansioni, l’analisi delle<br />

procedure operative e dei possibili interventi tecnici, la revisione<br />

dei dati voluttuari non hanno fatto emergere aspetti significativi<br />

da correlare al superamento del valore limite <strong>biologico</strong>. I<br />

cinque campioni analitici, il cui valore limite <strong>biologico</strong> è ri<strong>sul</strong>tato<br />

superiore alle indicazioni dell’ACGIH, appartengono a lavoratori<br />

che ricoprono mansioni di lavoro differenti tra loro: tre<br />

di essi non svolgono, di regola, funzioni operative nelle aree di<br />

rischio considerate. I rimanenti due, presenti statisticamente in<br />

giornate e circostanze diverse, svolgono attività lavorativa in<br />

due diverse zone esterne dell’impianto. Le contemporanee misure<br />

del campionamento ambientale, effettuato nei punti fissi di<br />

tali zone, sono ri<strong>sul</strong>tate negative. Gli indicatori biologici di<br />

esposizione per questi 5 lavoratori sono stati successivamente<br />

ripetuti e sono ri<strong>sul</strong>tati nei limiti consentiti. Tuttavia i valori<br />

elevati di acido ippurico potrebbero essere tali anche per motivi<br />

extraprofessionali, a causa della scarsa specificità di questo<br />

indicatore <strong>biologico</strong> ai bassi livelli di esposizione a toluene, in<br />

quanto la concentrazione urinaria di acido ippurico può essere<br />

grandemente influenzata dalla dieta. I valori dell’o-cresolo invece<br />

sono tutti ri<strong>sul</strong>tati entro il BEI. Le concentrazioni urinarie<br />

di o-cresolo sono in accordo con i dati ambientali, che avevano<br />

sempre evidenziato bassa esposizione.<br />

Conclusioni<br />

La nostra indagine ha, in realtà, confermato i bassi valori<br />

espositivi a toluene già conosciuti. Negli ultimi anni infatti, nella<br />

quasi totalità dei punti monitorati, le concentrazioni rilevate<br />

sono inferiori al 10% del corrispondente limite espositivo AC-<br />

GIH. L’escrezione urinaria di acido ippurico, come è già da tempo<br />

noto, ri<strong>sul</strong>ta spesso influenzata dalla dieta, dal ritmo circadiano,<br />

dal fumo di tabacco, dal sesso, etc. A causa della forte ingerenza<br />

di tali fattori di confondimento e in considerazione delle<br />

basse esposizioni a toluene, riteniamo l’o-cresolo l’indicatore<br />

<strong>biologico</strong> più significativo e attendibile, in alternativa alla tradizionale<br />

ippuricuria, per le prossime campagne biologiche (4).<br />

L’ACGIH, già a partire dal 1998, aveva indicato, tra le proposte<br />

di cambiamento, l’introduzione della misura dell’o-cresolo urinario<br />

a fine turno di lavoro nei lavoratori professionalmente<br />

esposti a toluene.<br />

Ringraziamenti<br />

Ringraziamo vivamente il Prof. Edoardo De Rosa, esperto e cultore<br />

degli argomenti trattati.<br />

Bibliografia<br />

1) Sigma, Aldrich e Fulka chimica, divisione della Sigma-Aldrich Srl:<br />

Scheda di Sicurezza del Toluene.<br />

2) Perbellini L, Berri A, Turci R, Gardinali F, Sciarra G, Bartolucci GB,<br />

Sala C, Bosio C, Carrer P, Maroni M, Minoia C. Solventi I. Minoia<br />

C, Perbellini L, Eds. <strong>Monitoraggio</strong> ambientale e <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />

professionale a xenobiotici, Volume 5. Morgan Edizioni Tecniche,<br />

Milano, 2001.<br />

3) Apostoli P, Bartolucci GB, Imbriani M. Sempre a proposito di D.Lgs<br />

25/02: la sorveglianza sanitaria prevista e quella necessaria per i rischi<br />

chimici. G ItalMedLavErg 2003; 25: 3-11.<br />

4) Apostoli P. I valori guida necessari all’interpretazione del monitoraggio<br />

<strong>biologico</strong>. G ItalMedLavErg 2003; 25: 22-27.


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

88 www.gimle.fsm.it<br />

B. Papaleo, L. Caporossi, M. De Rosa, A. Pera<br />

Il taxolo plasmatico quale indicatore <strong>biologico</strong> di esposizione a taxolo<br />

ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Roma<br />

RIASSUNTO. Per l’impostazione di un programma di monitoraggio<br />

<strong>biologico</strong> di infermieri professionalmente esposti a Taxolo (Paclitaxel) è<br />

stato messo a punto un metodo di analisi, semplice e veloce, per la determinazione<br />

del Taxolo nel plasma, attraverso l’utilizzo della cromatografia<br />

liquida ad alta prestazione equipaggiata con un rivelatore a serie di<br />

diodi. Il metodo è stato validato e ha permesso la quantificazione fino ai<br />

10 ng/ml di plasma.<br />

Parole chiave: taxolo, livelli plasmatici, monitoraggio <strong>biologico</strong>.<br />

ABSTRACT. TAXOL IN PLASMA AS A BIOLOGICAL MARKER OF EX-<br />

POSURE TO TAXOL. We present a fast and simple method for the analytical<br />

determination of Paclitaxel in human plasma. The analytical instrument<br />

is a high performance liquid chromatograph equipped with a diode<br />

array detector. The assay was validated and it was applied to plasma samples<br />

of nurses occupationally exposed to taxol and the re<strong>sul</strong>ts have been<br />

excellent, allowing evaluations of up to 10 ng/ml of plasma.<br />

Key words: taxol, plasma levels, biological monitoring.<br />

Introduzione<br />

L’importanza farmacologia del Taxolo (tax-11-en-9one,4β,20-epoxy-1,2α,4,7β,10β,13α-hexahydroxy-4,10-diacetate-2-benzoato-13-(α-phenylhippurate)<br />

iniziò ad evidenziarsi dopo<br />

l’imponente lavoro svolto nei primi anni ’60 dal Development<br />

Therapeutics Program (DTP), nella divisione del Cancer treatment,<br />

per l’individuazione di nuove molecole clinicamente utili.<br />

Il suo meccanismo d’azione a livello cellulare consente un legame<br />

con i microtubuli cellulari, promuovendone l’assemblamento<br />

e prevenendo la divisione cellulare senza interferire nella sintesi<br />

delle proteine (1). Studi clinici hanno mostrato come il Taxolo<br />

possa essere utilmente impiegato per contrastare una varietà di tumori:<br />

alle ovaie, ai polmoni, alla mammella, al cervello, melanoma<br />

e leucemia (2), classificandosi tra gli agenti antimitotici antitum<strong>orali</strong><br />

con una potente inibizione della replicazione cellulare.<br />

È un agente antiblastico con un’alta tossicità (3), ciò nonostante,<br />

una classificazione in base ai suoi eventuali effetti cancerogeni,<br />

mutageni e teratogenici ancora non è stata definita. La cinetica<br />

plasmatica del taxolo ha emivite di eliminazione molto variabili,<br />

comprese tra le 6h e le 20h, si lega saldamente alle proteine<br />

plasmatiche, in particolare a albumina, α-1-glicoproteina e<br />

lipoproteine, in una quota pari circa al 95% della dose assorbita.<br />

La principale via di eliminazione del farmaco è quella epatica,<br />

seguita dall’escrezione biliare e accumulo nei tessuti; la quota<br />

eliminata per via urinaria è ri<strong>sul</strong>tata appena del 10% rispetto<br />

alla dose assunta. Da studi condotti <strong>sul</strong> farmaco radiomercato si<br />

è osservato che il 75% della dose è rinvenuto nelle feci (4).<br />

Partendo da queste informazioni, in letteratura, l’indicatore<br />

<strong>biologico</strong> ri<strong>sul</strong>tato maggiormente sensibile per valutare la dose assorbita<br />

è stato il taxolo plasmatico. C’è da sottolineare come non<br />

siano ancora presenti studi su esposizioni professionali bensì<br />

esclusivamente studi di farmacocinetica e farmacodinamica (5, 6,<br />

7) o di valutazione delle condizioni di pazienti trattati terapeuticamente<br />

(8) per completare il quadro delle informazioni cliniche.<br />

Materiali e metodi<br />

Campionamento: sono stati raccolti campioni ematici di 8<br />

operatori addetti alla preparazione di chemioterapici antiblastici.<br />

Il prelievo è stato effettuato alla fine del turno lavorativo setti-<br />

manale. A ciascun operatore è stato somministrato un questionario<br />

per la raccolta delle informazioni <strong>sul</strong>le condizioni di lavoro<br />

con particolare attenzione alle procedure utilizzate nelle fasi di<br />

preparazione, somministrazione e smaltimento del taxolo, con riferimento<br />

alla frequenza ed ai DPI adottati; si sono raccolte informazioni<br />

<strong>sul</strong>le esatte quantità di farmaco manipolate e <strong>sul</strong>la eventuale<br />

necessità di operare preparazioni in casi di emergenza.<br />

Procedura di analisi: i campioni biologici, sia di controllo che<br />

di studio, sono stati raccolti in provette eparinizzate, il plasma è stato<br />

prontamente separato dal sangue per centrifugazione e conservato<br />

in provette di polipropilene a -20°C prima dell’analisi. Al momento<br />

dell’analisi, dopo aver portato i campioni a temperatura ambiente,<br />

ad una aliquota di plasma è stato aggiunto un eguale volume<br />

di tampone acetico (pH=5.5), dopo centrifugazione a il sovranatante<br />

è stato raccolto e analizzato. Si è eseguita una preventiva estrazione<br />

in fase solida dell’analita dal plasma con l’utilizzo di colonnine<br />

SPE Cyanopropyl silica. Le colonnine impaccate sono state condizionate<br />

con una sequenza di solventi (metanolo, acqua e tampone<br />

acetico 0.01M, pH=5.5), quindi è stato applicato il campione e si è<br />

fatta seguire una fase di pulizia sempre con tampone acetico 0.01M<br />

(pH=5.5) e una miscela acqua/metanolo 90:10 (v/v).l’eluizione del<br />

taxolo è stata eseguita con 2 ml di acetonitrile/trietilammina 1000:1<br />

(v/v) in provette di vetro, quindi evaporato sotto un leggere flusso di<br />

azoto a 50°C. Il residuo è stato ripreso con 200 µl CH 3 OH/tampone<br />

acetico 0.4M 3:5 v/v e iniettato in HPLC. La corsa cromatografica<br />

è stata eseguita con una colonna C8, in condizioni isocratiche, la fase<br />

mobile è consistita in una miscela CH 3 CN/CH 3 OH/tampone acetico<br />

0.05M 56:14:30, con un flusso 1.0 ml/min. La rivelazione è stata<br />

compiuta con un rivelatore a serie di diodi, monitorando l’assorbimento<br />

alla lunghezza d’onda di 227 nm. Il taxolo ha mostrato un<br />

tempo di ritenzione di 3.36 minuti.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />

Studio di validazione: il metodo è stato validato. La curva di<br />

calibrazione ha indicato un’ottima linearità di risposta nel range<br />

5-500 ng/ml (coefficiente di correlazione R=0.9998); i recuperi<br />

sono ri<strong>sul</strong>tati tutti superiori all’87%; il limite di rilevabilità è stato<br />

fissato a 10 ng/ml. Precisione e accuratezza sono stati calcolati<br />

intra-day e inter-day per quattro campioni di controllo in quadruplicato<br />

dando ottimi ri<strong>sul</strong>tati (maggiori del 94%).<br />

Esiti del monitoraggio: i campioni analizzati sono stati raccolti<br />

in tre ospedali diversi, per avere una eventuale indicazione<br />

sui potenziali effetti delle differenti condizioni di lavoro. In quelle<br />

strutture sanitarie di più recente costruzione, in cui le strategie<br />

di prevenzione, ed in particolare l’adozione delle misure di protezione<br />

collettiva ed individuale, sono più organizzate l’esito del dosaggio<br />

plasmatico di taxolo non ha evidenziato esposizioni particolari,<br />

come prevedibile. Solo in un caso si è ottenuto un dato superiore<br />

al nostro limite di rilevabilità; questo ri<strong>sul</strong>tato è stato interpretato<br />

come condizionato dalla storia lavorativa dell’infermiera<br />

in esame, caratterizzata da una elevata anzianità lavorativa.<br />

Conclusioni<br />

Il metodo presentato ri<strong>sul</strong>ta essere facilmente applicabile, veloce<br />

e realizzabile con costi notevolmente contenuti rispetto ad


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 89<br />

altre tecniche presentate in letteratura. Può essere agevolmente<br />

applicato per il monitoraggio <strong>biologico</strong> di operatori professionalmente<br />

esposti permettendo di valutare fino a 10 ng/ml di plasma,<br />

e seppur non sono ancora disponibili dei limiti di esposizione<br />

professionale, questa concentrazione può essere utilmente impiegata<br />

per evidenziare una avvenuta esposizione nonché un eventuale<br />

accumulo.<br />

Bibliografia<br />

1) Foa R, Norton L, Seidman A. Taxol (paclitaxel): a novel antimicrotubule<br />

agent with remarkable anti-neoplastic activit. Int J Clin Lab<br />

Res 1994; 24: 6-14.<br />

2) Arbuck SG, Christian MC, Fisherman JS. Clinical development of<br />

Taxol. Monogr Natl Cancer Inst 1993; 15: 11-24.<br />

L. Perbellini 1 , G. Maccacaro 2 , F. Marano 2<br />

3) Donehower RC. Clinical toxicities encountered with paclitaxel. Semin<br />

Oncol 1993; 20 (suppl.3): 1-15.<br />

4) Minoia C, Perbellini L. Il monitoraggio ambientale e <strong>biologico</strong> dell’esposizione<br />

professionale a xenobiotici- I chemioterapici antiblastici,<br />

vol.3, Morgan edizioni tecniche.<br />

5) Beijnen JH, Huizing MT, ten Bokkel Huinink WW, Veenhof CH,<br />

Vermorken JB, Giaccone G, Pinedo HM. Bioanalysis, pharmacokinetics,<br />

and pharmacodynamics of the novel anticancer drug paclitaxel<br />

(taxol). Semin Oncol 1994, 21 (5 suppl 8): 53-62.<br />

6) Martin N, Catalin J, Blachon MF, Durand A. Assay of paclitaxel<br />

(Taxol) in plasma and urine by high-performance liquid chromatography.<br />

J Chromatogr B 1998, 709(2): 281-8.<br />

7) Alexander MS, Kiser MM, Culley T, Kern JR, Dolan JW, McChesney<br />

JD, Zygmunt J, Bannister SJ. Measurament of paclitaxel in biological<br />

matrices: high-throughput liquid chromatographic-tandem<br />

mass spectrometric quantification of paclitaxel and metabolites in<br />

human and dog plasma. J Chromatogr B 2003, 785: 253-261.<br />

<strong>Monitoraggio</strong> <strong>biologico</strong> per l’esposizione a vapori di benzina<br />

nel personale addetto all’erogazione di carburanti<br />

1 Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Verona<br />

2 Servizio di Medicina del Lavoro, Bolzano<br />

RIASSUNTO. L’esposizione a vapori di benzina rappresenta un rischio<br />

di non facile valutazione per la presenza di alcuni cancerogeni (benzene)<br />

e di molteplici altri solventi. Tra questi il Metil-Ter-Butil-Etere<br />

(MtBE) viene aggiunto, in proporzione di circa il 15%, per migliorarne le<br />

caratteristiche. La misura contemporanea del MtBE e del benzene in<br />

campioni ambientali e biologici permette una valutazione piuttosto precisa<br />

del rischio di esposizione a vapori di benzina e a benzene. Il nostro studio<br />

evidenzia che il personale addetto all’erogazione di carburanti è modicamente<br />

esposto a vapori di benzina: i livelli di MtBE nelle urine sono<br />

comunque nettamente maggiori rispetto quelli della popolazione generale<br />

e aumentano considerevolmente durante l’esposizione; i livelli urinari<br />

di benzene, seppur più elevati di quelli della popolazione generale, non<br />

presentano differenze tra l’inizio del lavoro e fasi successive.<br />

Parole chiave: benzene, metil-ter-butil-etere, benzina, monitoraggio<br />

<strong>biologico</strong>.<br />

ABSTRACT. BIOLOGICAL MONITORING OF EXPOSURE TO PETROL<br />

FUMES IN PETROL STATION WORKERS. The exposure to petrol fumes representes<br />

a risk which is difficult to assess because of the presence of carcinogenic<br />

chemicals (i.e. benzene) and many other organic solvents.<br />

Among these, methyl-tert-butyl ether (MtBE) is added to petrol (it represents<br />

about 15% in volume) in order to improve its performance as a fuel.<br />

The measurement of MtBE and benzene in environmental and biological<br />

(urine) samples allows a good risk assessment for exposure to petrol fumes.<br />

Our research shows that workers in petrol stations are not highly exposed<br />

to petrol fumes: their urinary concentrations of MtBE, however,<br />

are higher than that found in the general population and increase during<br />

the working day. In the same way the urinary concentration of benzene in<br />

workers is higher than that found in the non-exposed subjects, but it does<br />

not increase during the work shift.<br />

Key words: benzene, methyl-tert-butyl ether, petrol, biological monitoring.<br />

Introduzione<br />

Le benzine sono miscele piuttosto complesse costituite da<br />

numerosi idrocarburi alifatici ed aromatici naturali a cui vengono<br />

aggiunti alcuni prodotti per modificarne le caratteristiche finali.<br />

Tra questi vi è il metil-ter-butil-etere (MtBE) che spesso rappresenta<br />

circa il 15% della benzina. Miscelato alla benzina l’MtBE<br />

ne aumenta il numero di ottani e migliora la combustione nel motore,<br />

riducendo le emissioni di sostanze inquinanti presenti nei<br />

gas di scarico dei motori. Quale inquinante il MtBE tende a non<br />

rimanere disperso nell’aria ma, essendo abbastanza solubile nell’acqua,<br />

viene trascinato nei terreni e nei corsi d’acqua dove vi<br />

resta per tempi indefiniti, in quanto scarsamente degradabile. Dal<br />

punto di vista cancerogeno il MtBE è inserito dall’Agenzia Internazionale<br />

per la Ricerca <strong>sul</strong> Cancro nella Categoria 3 (“non classificabile”).<br />

Tra i prodotti “naturali” presenti nelle benzine è da<br />

segnalare il benzene che attualmente è rilevabile in proporzioni<br />

inferiori all’1%, ma è un sicuro cancerogeno. L’esposizione a vapori<br />

di benzina è quindi considerata pericolosa perché rappresenta<br />

un rischio di inalazione di vapori di benzene.<br />

Lo studio che presentiamo ha come principale obiettivo quello<br />

di valutare l’esposizione a vapori di benzina di un gruppo di<br />

addetti all’erogazione di carburante. A questo fine abbiamo misurato<br />

le concentrazioni di benzene e di MtBE nell’aria ambiente<br />

e in campioni biologici raccolti prima dell’inizio del lavoro e<br />

al termine di un mezzo turno di lavoro. Per ridurre i fattori di<br />

confondimento abbiamo selezionato solo soggetti non fumatori.<br />

Materiali e metodi<br />

Un gruppo di soggetti addetti all’erogazione del carburante<br />

(44 soggetti) e un analogo gruppo di controllo (n. 45), tutti non<br />

fumatori, hanno partecipato allo studio. I lavoratori hanno fornito<br />

un campione di urine prima dell’inizio (ore 7.30) ed a metà del<br />

loro turno di lavoro (ore 12,30), mentre i soggetti di controllo<br />

hanno raccolto il campione <strong>biologico</strong> solo al mattino. Per gli addetti<br />

all’erogazione di carburante, l’esposizione individuale a vapori<br />

di benzina è stata valutata applicando un campionatore passivo<br />

a diffusione radiale (“Radiello”) <strong>sul</strong> colletto della loro tuta<br />

per 5 ore. L’analisi dei MtBE e del benzene nei campioni ambientali<br />

e biologici è stata effettuata con metodica gas cromato-


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

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grafica utilizzando un rivelatore a spettrometria di massa<br />

(CG/MS). I campioni biologici sono stati raccolti in provette di<br />

vetro con tappo a vite e setto in Teflon e analizzati con tecnica<br />

“head space”. Il carbone attivo dei “Radiello” è stato desorbito<br />

con percloroetilene prima dell’analisi in GC/MS.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />

L’esposizione ai prodotti in studio degli addetti alla distribuzione<br />

a carburanti è così sintetizzabile: il benzene era presente a concentrazioni<br />

comprese tra 0,004 mg/m 3 (4 µg/m 3 ) e 0,172 mg/m 3<br />

(172 µg/m 3 ) con una media geometrica (MG) di 60 µg/m 3 , mentre<br />

le concentrazioni di MtBE avevano un range di 0,006-1,399 mg/m 3<br />

ed una media geometrica di 0,437 mg/m 3 (437 µg/m 3 ). L’esposizione<br />

a benzene per la popolazione generale nella città in studio presenta<br />

un valore di fondo medio pari a 0,7 µg/m 3 che è particolarmente<br />

basso rispetto a quanto si rileva in molte altre città.<br />

La Figura 1 riporta i ri<strong>sul</strong>tati riguardanti il MtBE misurato<br />

nelle urine. Nei soggetti di controllo le concentrazioni medie del<br />

solvente (MG) erano di 40 ng/L. I soggetti addetti alla distribuzione<br />

di carburanti avevano concentrazioni urinarie medie pari a<br />

142 ng/L (media geometrica) che aumentavano considerevolmente<br />

(MG = 1012 ng/L) a metà-turno. Le differenze erano statisticamente<br />

significative nei tre gruppi di dati. Nei soggetti di<br />

controllo le concentrazioni urinarie di benzene (MG) erano di 42<br />

ng/L. I soggetti delle stazioni di servizio avevano concentrazioni<br />

significativamente maggiori sia all’inizio (MG = 142 ng/L) che a<br />

metà-turno (MG = 232 ng/L). Questi ultimi dati però non erano<br />

statisticamente differenti tra loro, a significare che la dose di benzene<br />

assorbita durante il lavoro era molto modesta. Le concentrazioni<br />

ambientali di MtBE sono ri<strong>sul</strong>tate correlate in modo lineare<br />

con le concentrazioni del MtBE nelle urine di metà-turno<br />

L. Perbellini, A. Princivalle, A. Caprini<br />

(p


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 91<br />

mercapturico (AMMA) che in precedenza non era mai stato<br />

identificato neppure nell’animale (1). Tale metabolita è presente<br />

nelle urine di soggetti esposti a DMA in quantità rilevanti<br />

(dell’ordine di varie decine di mg/l). Scopo del presente lavoro<br />

è quello di riportare i primi dati disponibili <strong>sul</strong>l’AMMA<br />

nel monitoraggio <strong>biologico</strong> delle esposizioni professionali a<br />

DMA e confrontarli con quelli della N-metilacetammide<br />

(NMA) per la quale è disponibile da anni un valore valore limite<br />

<strong>biologico</strong>. Le concentrazioni della DMA nell’ambiente di<br />

lavoro controllato erano così basse da essere difficilmente<br />

quantificabili; durante la fase preparatoria dello studio ci si era<br />

peraltro resi conto che una certa quota di DMA veniva assorbita<br />

dai lavoratori per via percutanea.<br />

Materiali e metodi<br />

Un gruppo di lavoratori di un’azienda che produce fibre<br />

sintetiche di tipo acrilico ha collaborato per valutare l’intensità<br />

dell‘esposizione personale a DMA attraverso il monitoraggio<br />

<strong>biologico</strong>. Con questa logica ciascuno di loro ha raccolto una<br />

serie di campioni di urina secondo il seguente schema: a) all’inizio<br />

e alla fine di un turno di lavoro dopo 2 giorni di riposo,<br />

b) all’inizio e alla fine del turno di lavoro del giorno seguente,<br />

e c) prima dell’inizio del terzo giorno di lavoro. Tenendo presente<br />

che la DMA aderita <strong>sul</strong>la cute poteva essere assorbita anche<br />

dopo il termine del turno di lavoro, i dipendenti che hanno<br />

partecipato allo studio si sono sottoposti a doccia e a cambio di<br />

tutti gli indumenti al termine di ogni turno di lavoro. I campioni<br />

di urina sono stati raccolti in flaconi di vetro e posti a -<br />

20° C fino all’analisi. La quantificazione della NMA è avvenuta<br />

con metodica gascromatografica con rivelatore di massa.<br />

Dopo purificazione dei singoli campioni di urina con colonnine<br />

SPE C18, l’AMMA è stato analizzato utilizzando un micro-<br />

HPLC con trappola ionica e spettrometria di massa. Le concentrazioni<br />

di AMMA e NMA sono state rapportate alle concentrazioni<br />

urinarie della creatinina.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />

Nella figura 1 sono riportati i valori medi (in mg/g creat)<br />

delle concentrazioni di NMA e di AMMA nei campioni di urina<br />

raccolti all’inizio e alla fine del turno di lavoro nei vari giorni<br />

considerati.<br />

Come si nota, all’inizio del turno di lavoro dopo 2 giorni di<br />

riposo, le concentrazioni di NMA e di AMMA presentavano valori<br />

più bassi di quanto rilevato in fasi successive. Le concentrazioni<br />

di NMA tendevano ad aumentare considerevolmente durante<br />

il lavoro, per tornare a livelli piuttosto modesti prima dell’inizio<br />

di un nuovo turno di lavoro. L’AMMA ha presentato un<br />

comportamento molto differente rispetto quello della NMA. All’inizio<br />

del turno di lavoro dopo 2 giorni di riposo era a livelli<br />

medi di 7,5 mg/g creat. che aumentavano a 9,3 mg/g creat. al termine<br />

del turno di lavoro. Tale incremento continuava anche nei<br />

Figura 1. Concentrazioni medie di NMA (colonne grigie) e di<br />

AMMA (colonne chiare) nelle urine raccolte all’inizio (I.T.) e<br />

alla fine di un turno di lavoro (F.T.) dopo 2 giorni di riposo,<br />

e nei due successivi giorni di lavoro<br />

giorni successivi con valori di 20,1, 14,9 e 19,3 mg/g/creat. rispettivamente<br />

all’inizio e alla fine del 2° giorno di lavoro e all’inizio<br />

del 3° giorno. È evidente che la cinetica biologica dei 2<br />

metaboliti è considerevolmente diversa. L’emivita urinaria della<br />

NMA calcolata con i valori medi delle concentrazioni di NMA<br />

nei campioni raccolti al termine del 2° giorno di lavoro rispetto<br />

a quelle rilevate all’inizio del 3° giorno di lavoro è ri<strong>sul</strong>tata pari<br />

a 8,6 ore. Lo stesso calcolo non è stato possibile per l’AMMA<br />

le cui concentrazioni urinarie hanno continuato ad aumentare<br />

durante i 3 giorni di raccolta dei campioni. In modo approssimativo,<br />

utilizzando i dati delle concentrazioni del 3° giorno di<br />

lavoro e quelli dell’inizio del turno di lavoro dopo 2 giorni di riposo<br />

si ottiene una emivita di circa 35 ore. L’emivita biologica<br />

della NMA, che come abbiamo segnalato è piuttosto rapida, trova<br />

conferme dai dati sperimentali di Nomiyama e coll. (2000).<br />

Tali autori hanno organizzato un’esposizione controllata a DMA<br />

di alcuni soggetti con la raccolta di campioni di urine ogni 3-6<br />

ore. Tale studio ha permesso di calcolare in modo accurato l’emivita<br />

urinaria della NMA che è ri<strong>sul</strong>tata pari a 5,6 ore.<br />

Per quanto riguarda l’AMMA non vi sono dati della letteratura<br />

che rappresentino un supporto ai nostri calcoli, ma non vi è<br />

dubbio che tale metabolita venga sintetizzato ed escreto in modo<br />

più lento della NMA come ri<strong>sul</strong>ta ben evidente dalla Figura 1. È<br />

possibile pertanto che questi mercapturati permettano di valutare<br />

esposizioni di più giorni consecutivi; ulteriori studi sono comunque<br />

necessari per confermare queste ipotesi.<br />

Bibliografia<br />

1) Perbellini L, Princivalle A, Caivano M, Montanari R. Biological monitoring<br />

of occupational exposure to N,N-dimethylacetamide with<br />

identification of a new metabolite. Occup Environ Med 2003; 60:<br />

746-751.<br />

2) Nomiyama T,Omae K, Ishizuka C, Yamauchi T, Kawasumi Y, Yamada<br />

K, Endoh H, Sakurai H. Dermal absorption of N,N-dimethylacetamide<br />

in human volunteers. Int Arch Occup Envir Health 2000; 73:<br />

121-126.


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

92 www.gimle.fsm.it<br />

P. Piccoli 1 , F. Foresto 2 , M. Carrieri 2 , L. Padovano 1 , M. Di Mare 1 , G.B. Bartolucci 2 , M. Manno 1<br />

Fenotipizzazione del CYP 2E1 in vivo come biomarker di esposizione,<br />

effetto e suscettibilità a xenobiotici: una nuova metodica<br />

1 Dipartimento di Scienze Mediche Preventive, Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli<br />

2 Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università degli Studi di Padova, Padova<br />

RIASSUNTO. Scopo del nostro lavoro è stato la modifica di un metodo<br />

per la quantificazione del clorzoxazone(CHZ) e del suo principale<br />

metabolita 6-idrossiclorzoxazone (6-OH-CHZ) nel siero come indicatore<br />

<strong>biologico</strong> di esposizione, effetti o suscettibilità a xenobiotici. I due analiti<br />

e la fenacetina, utilizzata come standard interno, sono stati estratti mediante<br />

il ter-butl metil etere. Il campione è stato quindi analizzato in<br />

HPLC/UV su una colonna C18 ODS 5 µm con una fase mobile costituita<br />

da acetonitrile e acido acetico 0.5% (30:70 v/v, rispettivamente) a lunghezza<br />

d’onda 287 nm. Le rette di calibrazione presentano un coefficiente<br />

di correlazione altamente significativo, pari a 0.9994 nell’intervallo di<br />

concentrazione 0.05-5 µg/mL per il 6-OH-CHZ e di 0.9996 nell’intervallo<br />

0.25-5 µg/mL per il CHZ. I coefficienti di variazione interday e intraday<br />

sono rispettivamente


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 93<br />

PREPARAZIONE DEI CAMPIONI<br />

Ad ogni aliquota di siero (0.3 ml) vengono aggiunti 0.3 ml di<br />

tampone acetato (2M, pH 5.2), 10 µl di fenacetina (1 mg/ml) quale<br />

standard interno (IS) (5) e 12 µl di β-glucuronidasi (110.2<br />

unità/ml), lasciando quindi idrolizzare il campione per una notte<br />

a 37° C (tale ultima procedura ri<strong>sul</strong>ta superflua nella messa a<br />

punto del metodo, per la quale viene utilizzato siero drug free al<br />

quale vengono aggiunte quantità note di CHZ e 6-OH-CHZ). Al<br />

siero così trattato si aggiungono 2 ml di acido perclorico 0.6 M<br />

allo scopo di far precipitare le proteine. Dopo aver centrifugato<br />

per 5 minuti a 10.000 RPM, i due analiti vengono estratti dal surnatante<br />

con 10 ml di ter-butil metil etere in due estrazioni successive<br />

per la durata di 10 minuti ciascuna. Il ter-butil metil etere<br />

viene quindi tirato a secco a 40°C in centrifuga UNIVAPO 100<br />

(durata circa 15 minuti), e il residuo ripreso con 200 µl di fase<br />

mobile (acido acetico 0.5%/acetonitrile, 70/30 vv) ed analizzato<br />

in HPLC con rivelatore UV.<br />

CONDIZIONI LC-UV<br />

Le condizioni analitiche per il metodo HPLC sono le seguenti:<br />

– pre colonna Beckman ODS 4.6 mm (diametro interno) x 4.5<br />

cm (lunghezza)<br />

– colonna C18 Beckman ODS 5 µm ∅, 4.6 mm, 25 cm<br />

– fase mobile: acido acetico 0.5%/acetonitrile (70/30 vv)<br />

– flusso: 1 ml/minuto<br />

Figura 1. Rese percentuali di estrazione di 6-OH-CHZ e CHZ con diversi solventi organici<br />

– λ detector: 287 nm<br />

– volume iniettato: 20 µl.<br />

I tempi di ritenzione di 6-OH-CHZ, IS, e CHZ sono rispettivamente<br />

di 5, 9 e 14 minuti.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />

La presente metodica è stata messa a punto partendo da quella,<br />

già validata, descritta da Lucas et al.(1993) (6). La fase di estrazione<br />

liquido-liquido è stata mantenuta immodificata, tuttavia si e`<br />

sostituito l’etilacetato con il ter-butil metil etere, solvente che, oltre<br />

a garantire un recupero paragonabile se non superiore a quello<br />

dell’etilacetato, è estremamente volatile e pertanto riduce notevolmente<br />

i tempi di estrazione. L’estratto così ottenuto ri<strong>sul</strong>ta poi molto<br />

pulito e non presenta emulsioni inquinanti che possono dare interferenze<br />

nella determinazione del 6-OH-CHZ o del CHZ che<br />

comprometterebbero l’efficienza della colonna e di tutto il sistema<br />

cromatografico. In figura 1 sono riportate le tipiche rese di estrazione<br />

ottenute utilizzando diversi solventi organici.<br />

Un’ulteriore modifica da noi apportata è stata l’introduzione di<br />

uno standard interno (5), la fenacetina, per ovviare agli inevitabili<br />

errori dovuti ad estrazione parziale, recupero incompleto del solvente<br />

di estrazione, agitazione disomogenea del campione, ecc.,<br />

tutti fattori che possono inficiare la determinazione quantitativa dei<br />

due analiti. A tale proposito possiamo vedere nella Figura 2 come<br />

l’introduzione dello standard interno migliori notevolmente la linearità<br />

della retta di calibrazione.<br />

A B<br />

Figura 2. Rette di calibrazione di 6-OH-CHZ e CHZ, con e senza standard interno. Le rette ottenute dal rapporto delle aree<br />

di ciascuno dei due analiti con quella dello standard interno ri<strong>sul</strong>tano maggiormente lineari (A, r 2 = 0.9994 per il 6-OH-CHZ<br />

e = 0.9996 per il CHZ) di quelle ottenute tabulando direttamente le aree di 6-OH-CHZ e CHZ (B, r 2 = 0.9951 per il 6-OH-CHZ<br />

e di 0.9949 per il CHZ)


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

94 www.gimle.fsm.it<br />

Ulteriore modifica apportata alla metodica di Lucas et al. è<br />

stata la sostituzione della colonna nuclosil ODS 5 µm Interchim<br />

con la colonna C 18 ODS 5 µm Beckman. Questo ci ha permesso<br />

di ottenere un cromatogramma più pulito e più veloce (circa 7<br />

minuti in meno per ogni campione) di quello ottenuto da Lucas<br />

et al. (Figura 3), peraltro da campioni incubati overnight e quindi<br />

qualitativamente diversi dai nostri.<br />

Infine, l’evaporazione sotto flusso di azoto è stata sostituita<br />

con quella a sistema chiuso sottovuoto: l’uso di tale apparato ha<br />

permesso di portare a secco un numero maggiore di campioni in<br />

minor tempo e, fattore non trascurabile, ha ridotto il possibile rischio<br />

di esposizione dell’analista. Inoltre, trattandosi di una centrifuga,<br />

il campione viene concentrato <strong>sul</strong> fondo della provetta<br />

evitandone la dispersione <strong>sul</strong>le pareti.<br />

Le prestazioni del metodo da noi messo a punto sono:<br />

– Separazione cromatografica: 6-OH-CHZ, CHZ e fenacetina<br />

(IS) sono state completamente separate e non sono state osservate<br />

interferenze con altri composti endogeni (Figura 4).<br />

– Precisione: è stata determinata sia in termini di ripetibilità<br />

che di riproducibilità ed espressa come coefficiente di varia-<br />

Figura 3. Cromatogramma in UV 287 di 6-OH-CHZ (t = 6’) e<br />

CHZ (t = 19’) ottenuto da siero dopo somministrazione orale<br />

di CHZ 500 mg con il metodo di Lucas et al. (1993)<br />

Figura 4. Cromatogramma in UV 287 di 6-OH-CHZ (t = 4’), fenacetina<br />

(IS) (t = 8.3’) e CHZ (t = 14’) ottenuto col nuovo metodo;<br />

le aree ottenute coi due metodi non sono quantitativamente<br />

confrontabili<br />

zione percentuale. La ripetibilità, determinata mediante misure<br />

ripetute nell’intervallo di concentrazione 0.5-5 µg/ml, ha<br />

dato un coefficiente di variazione compreso tra il 2 e il 6%<br />

per il 6-OH-CHZ e tra il 4 e il 9% per il CHZ. La riproducibilità,<br />

determinata ripetendo l’analisi dei campioni in giornate<br />

diverse, ha dato, nello stesso intervallo di concentrazione,<br />

un coefficiente di variazione compreso tra il 4 e il 12% per il<br />

6-OH-CHZ e tra il 7 e il 12% per il CHZ.<br />

– Accuratezza: è stata determinata nello stesso intervallo di<br />

concentrazione ed è ri<strong>sul</strong>tata variabile dal 96 al 107% per il<br />

6-OH-CHZ e dal 93% al 110% per il CHZ.<br />

– Sensibilità: il limite di sensibilità analitica è ri<strong>sul</strong>tato pari a<br />

0.05 µg/ml per il 6-OH-CHZ e a 0.25 µg/ml per il CHZ.<br />

– Linearità: la retta di calibrazione ottenuta mostra una buona linearità<br />

della risposta strumentale per entrambi gli analiti:<br />

r 2 =0.9994 per il 6-OH-CHZ e r 2 =0.9996 per il CHZ (Figura 2).<br />

Conclusioni<br />

Il nostro metodo per la determinazione analitica contemporanea<br />

di 6-OH-CHZ e CHZ, si è rivelato rapido, semplice e sensibile,<br />

e pertanto più adatto ad un uso in ambito occupazionale del<br />

metodo originario (6). L’introduzione di uno standard interno ha<br />

notevolmente migliorato la linearità della retta di taratura, compensando<br />

le piccole perdite di solvente durante la procedura di<br />

estrazione. L’utilizzo di un sistema di evaporazione sotto vuoto,<br />

nonché la sostituzione del solvente organico per l’estrazione liquido-liquido,<br />

ha permesso di velocizzare l’analisi aumentando il<br />

numero di campioni analizzabili in una giornata e la sicurezza<br />

dell’operatore.<br />

Ringraziamenti<br />

Gli Autori ringraziano il supporto finanziario del progetto MIUR-<br />

PRIN 2003 N.2003063319_003.<br />

Bibliografia<br />

1) Connely A.H. Pharmacological implications of microsomal enzime<br />

induction. Pharmacol Rev 1967; 19: 317-366.<br />

2) Dupont I, Berthou F, Bodenez P, Bardou L, Guirriec C, Stephan N,<br />

Dreano Y, Lucas D. Involvment of cytochrome P450 2E1 and 3A4 in<br />

the 5-Hydroxilation of salicylate in humans. Drug Metab Dispos<br />

1999; 27: 322-326.<br />

3) Raucy JL, Curley G, Carpenter SP. Use of lymphocytes for assessing<br />

ethanol-mediated alterations in the expression of hepatic cytochrome<br />

P4502E1. Alcohol. Clin Exp Res 1995; 19: 1369-1375.<br />

4) Peter R, Bocker R, Beaune PH, Iwasaki M, Guengerich FP, Yang CS.<br />

Hydroxylation of chlorzoxazone as a specific probe for human liver<br />

cytochrome P450 2E1. Chem Res Toxicol 1990; 3: 566-573.<br />

5) Chittur SV, Tracy TS. Rapid and sensitive hig-performance liquid<br />

cromatographic assay for 6-hydroxychlorzoxazone and chlorzoxazone<br />

in liver microsomes. J Chromat. B Biomed Sci Appl. B 1997; 693:<br />

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6) Lucas D, Berthou F, Girre C, Poitrenaud F, Menez JF. High-performance<br />

liquid chromatographic determination of chlorzoxazone and<br />

6-hydroxychychlorzoxazone in serum: a tool for indirect evaluation<br />

of cytochrome P 450 2E1 activity in humans. J Chromat 1993; 622:<br />

79-86.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 95<br />

M. Pieri 1 , L. Soleo 2 , N. Miraglia 2 , A.G. Perrotta 1 , P. Basilicata 3 , A. Acampora 3 , N. Sannolo 1<br />

Incremento dei livelli di sensibilità nell’analisi di addotti emoglobinici<br />

mediante digestione selettiva con calpaina<br />

1 Dipartimento di Medicina Sperimentale, Sezione di Medicina del Lavoro, Igiene e Tossicologia Industriale, Seconda Università di Napoli.<br />

2 Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica, Università di Bari<br />

3 Dipartimento di Medicina Pubblica e Sicurezza Sociale - Sezione di Medicina Legale, Università di Napoli “Federico II”<br />

RIASSUNTO. Nell’ambito del monitoraggio <strong>biologico</strong> di soggetti<br />

esposti ad agenti cancerogeni uno strumento di analisi molto efficace è<br />

rappresentato dalla quantificazione degli addotti emoglobinici, che richiede,<br />

al fine di ottenere ri<strong>sul</strong>tati accurati, lo sviluppo di metodiche di<br />

purificazione selettiva della frazione emoglobinica alchilata. A tal fine,<br />

nel presente lavoro è stata realizzata una digestione con calpaina, i cui ri<strong>sul</strong>tati<br />

preliminari hanno evidenziato una diversa reattività dell’enzima<br />

nei confronti di emoglobina nativa ed alchilata con epicloridrina in quanto<br />

viene digerita solo l’emoglobina normale, con un conseguente arricchimento<br />

della frazione alchilata.<br />

Parole chiave: addotti all’emoglobina, emoglobina alchilata, purificazione<br />

selettiva, cromatografia liquida/spettrometria di massa.<br />

ABSTRACT. HIGHER LEVELS OF SENSITIVITY FOR THE ANALYSIS OF<br />

HB ADDUCTS BY CALPAIN DIGESTION. Biological monitoring of subjects<br />

exposed to carcinogenic agents can be efficiently carried out through the<br />

quantitative measurement of hemoglobin adducts. This procedure requires<br />

the development of selective purification methods of the alkylated hemoglobin<br />

fraction in order to achieve high levels of accuracy. Digestion<br />

with calpain was conducted for the purposes of the present paper. The<br />

preliminary re<strong>sul</strong>ts showed different reactivity of the enzyme with respect<br />

to normal and alkylated hemoglobin: only a normal fraction was digested,<br />

with consequent concentration of the alkylated one.<br />

Key words: hemoglobin adducts, alkylated hemoglobin, selective<br />

purification, liquid chromatography/mass spectrometry.<br />

Introduzione<br />

L’interesse per i rischi connessi all’impiego di agenti alchilanti<br />

in diversi settori dell’attività umana è progressivamente aumentato<br />

negli ultimi anni. Particolarmente rilevante è il ruolo<br />

giocato dal monitoraggio <strong>biologico</strong> dei soggetti professionalmente<br />

esposti a tali agenti. Una procedura di monitoraggio <strong>biologico</strong><br />

ideale prevederebbe lo studio e la determinazione degli addotti<br />

tra agenti alchilanti e DNA del tessuto bersaglio, ma una valida<br />

alternativa è costituita dalla quantificazione di addotti emoglobinici<br />

(1, 2). Recentemente è stata proposta una nuova metodologia<br />

basata <strong>sul</strong>la determinazione e quantificazione di peptidi interni<br />

modificati, ottenuti in seguito ad idrolisi triptica delle catene<br />

emoglobiniche, analizzati mediante Cromatografia Liquida/Spettrometria<br />

di Massa (3). La possibilità di utilizzare peptidi modificati,<br />

anziché singoli amminoacidi alchilati, quali appropriati<br />

biomarcatori per il monitoraggio <strong>biologico</strong>, è stata ampiamente<br />

dimostrata (4, 5). Una limitazione della procedura proposta deriva<br />

dal fatto che ai livelli espositivi attuali corrisponde un ammontare<br />

estremamente basso di peptidi modificati rispetto a quelli<br />

nativi. Di qui nasce la necessità di sviluppare tecniche di purificazione<br />

per arricchire selettivamente i campioni e consentire la<br />

rivelazione quantitativa degli addotti emoglobinici anche in presenza<br />

di bassi livelli di alchilazione.<br />

Lo scopo del presente lavoro è volto alla messa a punto di<br />

una metodica di arricchimento selettivo degli addotti emoglobinici<br />

mediante idrolisi con calpaina I (una cisteina proteasi calcio<br />

dipendente) di campioni di emoglobina (Hb) alchilata con epicloridrina<br />

(ECH), un agente alchilante utilizzato nell’industria di<br />

sintesi.<br />

Metodi<br />

Campioni di Hb ed Hb-ECH sono stati ottenuti mediante procedura<br />

riportata in letteratura (6). L’idrolisi con calpaina (Calbiochem)<br />

è stata realizzata a 26° C, in tampone 100µM CaCl 2 e 100<br />

mM H 3 BO 4 (1:1, v:v), variando i rapporti di digestione ed i tempi<br />

di reazione. I campioni sono stati successivamente analizzati<br />

mediante LC/ESI-MS ed MS-MS secondo le procedure descritte<br />

in letteratura (6).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

L’idrolisi dei campioni di Hb è stata condotta con rapporti<br />

Hb:calpaina pari a 200:1 e 25:1. Mediante analisi LC/ESI-MS si<br />

è verificato che all’aumentare della quantità di enzima si ottengono<br />

peptidi dal peso molecolare decrescente, a testimonianza di<br />

un maggiore grado di digestione delle catene globiniche. Gli stessi<br />

rapporti di idrolisi sono stati usati su campioni di Hb-ECH contenenti<br />

anche globina non alchilata. L’analisi LC/ESI-MS ed MS-<br />

MS ha permesso di evidenziare la formazione degli stessi peptidi<br />

ottenuti digerendo Hb nativa (Figura 1), dimostrando che la<br />

calpaina agisce <strong>sul</strong>le sole catene globiniche non alchilate, con un<br />

complessivo arricchimento della frazione Hb-ECH. Ri<strong>sul</strong>tati analoghi<br />

sono stati ottenuti variando il tempo di reazione (1, 5, 16 e<br />

48 h): all’aumentare del tempo cresce il grado di idrolisi delle catene<br />

di Hb, mentre la frazione Hb-ECH non viene digerita. L’entità<br />

dell’arricchimento è stata valutata calcolando i rapporti αE- CH /α e βECH /β in un campione di Hb-ECH non digerito (A) e nei<br />

campioni di Hb-ECH:calpaina pari a 200:1 (B) ed a 25:1 (C). Il<br />

rapporto αECH /α è ri<strong>sul</strong>tato pari a 0,860 per il campione A, a<br />

0,759 per B ed a 1,056 per C, conducendo la reazione a 26° C per<br />

18 h. Nelle stesse condizioni il rapporto βECH /β era pari a 0,606<br />

per A, 0,496 per B e 0,446 per C.<br />

Discussione<br />

La ricerca dell’enzima più adatto all’idrolisi selettiva delle<br />

catene globiniche normali è scaturita dalla constatazione che la<br />

maggior parte degli agenti alchilanti reagisce con i residui istidinici<br />

e cisteinici interni, oltre che con i residui N-terminali, delle<br />

catene globiniche. È stata utilizzata calpaina, un enzima che<br />

presenta nel sito catalitico residui di cisteina ed istidina prossimali,<br />

il gruppo -SH della cisteina e quello imidazolico dell’istidina<br />

formano una diade tiolato-imidazolica, che interagisce con<br />

il substrato formando intermedi tetraedrici instabili prima della<br />

digestione. Se il substrato presenta i residui di cisteina e/o istidina<br />

alchilati, l’interazione con il sito catalitico dell’enzima dovrebbe<br />

in ipotesi essere più difficile rispetto a quanto accade per<br />

le globine non alchilate. Per valutare ciò le prime prove sono state<br />

condotte utilizzando campioni di Hb ed Hb-ECH a diversi<br />

rapporti e tempi di digestione. All’aumentare della quantità di<br />

enzima o del tempo di reazione si è registrato un aumento del<br />

grado di digestione dell’Hb, ottenendo peptidi via via più piccoli.<br />

Ripetendo gli esperimenti su campioni di Hb-ECH si è assi-


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

96 www.gimle.fsm.it<br />

Figura 1. Cromatogramma LC/ESI-MS di un campione di emoglobina normale (pannello a) e di emoglobina alchilata con<br />

epicloridrina (pannello b) digeriti con calpaina in rapporto 200:1 a 26° C per 18 h<br />

stito alla formazione degli stessi peptidi ottenuti con l’Hb, confermando<br />

l’esistenza di una diversa reattività della calpaina nei<br />

confronti dei due substrati. L’arricchimento è stato molto marcato<br />

soprattutto per la catena α, in linea con i dati di letteratura,<br />

che indicano una forte reattività dell’epicloridrina nei confronti<br />

delle istidine della catena α 5 .<br />

Conclusioni<br />

Alla luce dei ri<strong>sul</strong>tati preliminari, si ritiene che la digestione<br />

selettiva con calpaina consenta un netto arricchimento della frazione<br />

di emoglobina alchilata. L’utilizzazione dei dati finora ottenuti<br />

prevederà:<br />

a) la purificazione del digerito con filtri ad esclusione di massa<br />

con cut-off di 10000 Da, in modo da allontanare l’intera la<br />

frazione digerita;<br />

b) la verifica il comportamento della calpaina rispetto alla catena<br />

β, ripetendo gli esperimenti su campioni di emoglobina alchilati<br />

con un agente reattivo soprattutto verso la catena β, ad<br />

esempio bromuro di metile.<br />

Bibliografia<br />

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and arylating agent. Arch Toxicol 1984; 56: 1-6.<br />

2) Landin HH, Osterman-Golkar S, Zorcec V, Törnqvist M Biomonitoring<br />

of epichlorihydrin by hemoglobin adducts. Anal Biochem 1996;<br />

240: 1-6.<br />

3) Mamone G, Malorni A, Scaloni A, Sannolo N, Basile A, Pocsfalvi G,<br />

Ferranti P Structural analysis and quantitative evaluation of the modifications<br />

produced in human hemoglobin by methil bromide using<br />

mass spectrometry and Edman degradation. Rapid. Commun Mass<br />

Spectrom 1998; 12(22): 1783-1792.<br />

4) International Agency for Resear on Cancer IARC Monographs. Monogr<br />

Eval Carcinogen Risks Hum 1999; 71Pt.2: 603-628.<br />

5) Miraglia N, Pieri M, Basile A, Malorni L, Acampora A, Soleo L,<br />

Sannolo N Exposure to genotoxic agents: modified peptides as suitable<br />

biomarkers, in: Recent Res Develop Peptides. Research Signpost<br />

2002; 1: 49-63.<br />

6) Miraglia N, Basile A, Pieri M, Acampora A, Malorni L, De Giulio B,<br />

Sannolo N Ion trap mass spectrometry in the structural analysis of<br />

haemoglobin peptides modified by epichlorohydrin and diepoxybutane.<br />

Rapid Commun Mass Spectrom 2002; 16: 840-847.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 97<br />

L. Romeo 1 , L. Perbellini 1 , M.E. Fracasso 2 , M. Olivieri 1 , P. Franceschetti 2 , F. Pasini 1 , E. Quintarelli 1 , D. Doria 2 , P. Noris 1<br />

Valutazione dell’esposizione a fumo di tabacco in lavoratori<br />

d’ufficio mediante la determinazione di nicotina e cotinina urinarie<br />

e monossido di carbonio (CO) nell’aria espirata<br />

1 Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Verona<br />

2 Farmacologia Clinica, Università degli Studi di Verona<br />

RIASSUNTO. Il confronto tra soggetti fumatori, non fumatori e<br />

non fumatori esposti a fumo passivo in un gruppo di 101 impiegati d’ufficio<br />

ha messo in evidenza che la nicotina e la cotinina urinarie ed il CO<br />

nell’aria espirata consentono di distinguere i soggetti fumatori dai non<br />

fumatori. I soggetti non fumatori non esposti a fumo passivo ed i soggetti<br />

fumatori sono tra loro distinguibili come gruppi, mediante la determinazione<br />

della cotinina urinaria ed in minore misura della nicotina<br />

urinaria.<br />

Parole chiave: nicotina urinaria, cotinina urinaria, CO nell’aria espirata,<br />

fumo passivo.<br />

ABSTRACT. ASSESSMENT OF ETS EXPOSURE IN OFFICE WORKERS<br />

THROUGH LEVELS OF NICOTINE AND COTONINE IN URINE AND OF CO IN<br />

EXHALED AIR. A group of 101 clerk subjects (smokers, non-smokers and<br />

passive smokers) was evaluated for urinary nicotine, cotinine and CO in<br />

the breath air. All three exposure indicators clearly distinguish between<br />

smokers and non-smokers. Urinary cotinine and, to a lesser extent, urinary<br />

nicotine can identify, in the group of non-smokers, the subjects exposed<br />

to passive smoking, while CO fails to distinguish it.<br />

Key words: nicotine in urine, cotinine in urine, CO in exhaled air,<br />

environmental tobacco smoke.<br />

Introduzione<br />

È dimostrato che il fumo di tabacco può causare la comparsa,<br />

oltre che del tumore polmonare, anche di quello della laringe, e<br />

che è coinvolto nello sviluppo dei tumori della vescica, del rene,<br />

del pancreas, della cervice uterina, dello stomaco, dell’esofago e<br />

della leucemia mieloide cronica (1). Il fumo passivo, negli ultimi<br />

anni, ha assunto un interesse sempre più rilevante. Numerosi studi<br />

hanno dimostrato infatti la sua nocività in seguito all’esposizione<br />

in ambienti confinati. In generale, il rischio di malattie respiratorie<br />

di tipo allergico, infettivo, cronico-degenerativo è maggiore<br />

nei soggetti esposti a fumo passivo rispetto ai non esposti.<br />

Sembra inoltre avere un ruolo importante anche nello sviluppo di<br />

patologie cardiovascolari; infatti il rischio relativo di morte per<br />

malattia cardiovascolare è 1,4 volte più alto per i fumatori passivi<br />

rispetto ai soggetti non esposti al fumo di tabacco (2).<br />

Di recente la IARC (International Agency for Research on<br />

Cancer), a seguito di studi condotti in 12 nazioni, ha inserito il fumo<br />

passivo nel gruppo 1, tra i cancerogeni certi per l’uomo (3).<br />

L’esposizione a fumo passivo ed i rischi che ne derivano per la sa-<br />

lute dei lavoratori esposti costituiscono un<br />

problema sempre più rilevante che deve essere<br />

adeguatamente affrontato dal datore di<br />

lavoro conformemente alle norme di prevenzione.<br />

L’obiettivo del presente studio è quello<br />

di valutare il rischio espositivo di soggetti<br />

fumatori attivi e di soggetti esposti a fumo<br />

passivo (non fumatori ed ex fumatori), mediante<br />

l’utilizzo di un questionario, e la determinazione<br />

di nicotina e cotinina urinarie e<br />

di CO nell’aria espirata, al fine di mettere a<br />

confronto i differenti indicatori utilizzati rispetto<br />

all’abitudine al fumo di tabacco.<br />

Materiali e metodi<br />

Il gruppo di lavoratori esaminato era costituito da 101 soggetti<br />

impiegati d’ufficio. Ciascun soggetto, tra luglio 2002 e gennaio<br />

2003, ha compilato un questionario per valutare l’esposizione<br />

al fumo di tabacco (tipo di abitudine al fumo, marca e numero<br />

di sigarette fumate, durata di esposizione a fumo passivo a casa,<br />

<strong>sul</strong> lavoro o nei locali pubblici, etc). È stato considerato fumatore<br />

il soggetto che dichiarava di fumare nell’ultimo mese almeno<br />

una sigaretta il giorno o un sigaro o tabacco da pipa almeno<br />

una volta la settimana. In tutti i soggetti esaminati sono state<br />

determinate nelle urine la nicotina e la cotinina, prodotto di biotrasformazione<br />

della nicotina, mediante gascromatografo-spettrometro<br />

di massa (GC-MS) modello Hewelett Packard 5980-<br />

5970. Il limite di rilevabilità del metodo è di 2 µg/L sia per la nicotina<br />

sia per la cotinina urinarie.<br />

Le concentrazioni di nicotina e cotinina ottenute sono state<br />

espresse in µg per grammo di creatinina, in modo da correggere<br />

eventuali diluizioni o concentrazioni urinarie delle due sostanze.<br />

Nell’elaborazione statistica le concentrazioni inferiori ai limiti di<br />

rilevabilità del metodo sono state considerate come metà del limite<br />

stesso. Sono stati definiti fumatori i soggetti con valori di<br />

cotinina urinaria maggiori a 100 µg/gr creatinina e non fumatori<br />

i soggetti con valori inferiori a 50 µg/gr creatinina (4). Per la nicotina<br />

non sono disponibili in letteratura valori di riferimento.<br />

È stata inoltre determinata la concentrazione del monossido<br />

di carbonio nell’aria espirata (espressa in ppm) di 74 soggetti dei<br />

101 esaminati utilizzando Bedfont EC 50 Smokerlyzer.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Dei 101 soggetti esaminati 33 erano fumatori e 68 non fumatori;<br />

tra questi ultimi 47 dichiaravano di essere esposti a fumo<br />

passivo e 21 non esposti. I ri<strong>sul</strong>tati delle determinazioni urinarie<br />

e del CO sono sintetizzati in Tabella I. I fumatori presentavano livelli<br />

di nicotina urinaria compresi tra 7,5 e 5.206 µg/gr creatinina<br />

con una media di 982 µg/gr creatinina. La cotinina urinaria variava<br />

da livelli minimi di 148 a 4449 µg/gr creatinina, con una<br />

media di 1664,8 µg/gr creatinina. Le concentrazioni riscontrate<br />

Tabella I. Concentrazioni urinarie medie di nicotina e cotinina<br />

e concentrazione media del CO nell’aria espirata


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

98 www.gimle.fsm.it<br />

confermano l’effettiva abitudine tabagica dichiarata dai lavoratori<br />

essendo i valori di cotinina urinaria tutti superiori al valore di<br />

riferimento di 100 µg/gr creatinina (valore limite utilizzato per<br />

definire un soggetto sicuramente fumatore). Tra i soggetti non fumatori,<br />

che dichiaravano di non essere abitualmente esposti a fumo<br />

passivo, i ri<strong>sul</strong>tati ottenuti mostrano concentrazioni comprese<br />

rispettivamente tra 1 e 7 µg/gr creatinina con una media di 1,7<br />

µg/gr creatinina per la nicotina e tra 1 e 21,8 µg/gr creatinina, con<br />

una media di 4,3 µg/gr creatinina per la cotinina; le concentrazioni<br />

di cotinina ottenute sono inferiori al limite di 50 µg/gr creatinina,<br />

limite al di sotto del quale si collocano i soggetti non fumatori.<br />

In 6 soggetti i valori di nicotina e di cotinina non erano<br />

determinabili.<br />

I soggetti non fumatori che dichiaravano di essere quotidianamente<br />

esposti a fumo passivo presentavano livelli di nicotina<br />

tra 1,0 e 36,8 µg/gr creatinina, con una media di 5,0 µg/gr creatinina,<br />

mentre i livelli di cotinina variavano tra 1,0 e 64,5 µg/gr<br />

creatinina, con una media di 11,5 µg/gr creatinina.<br />

È stata determinata la concentrazione di CO in 74 soggetti<br />

dello stesso gruppo esaminato, suddivisi in 22 fumatori, 19 non<br />

fumatori non esposti, 33 non fumatori esposti.<br />

Conclusioni<br />

Grazie all’utilizzo combinato di tre indicatori di esposizione,<br />

la popolazione dei soggetti fumatori può essere identificata e ben<br />

distinguibile da quella dei non fumatori.<br />

Per quanto riguarda i due gruppi dei soggetti non fumatori<br />

(esposti e non esposti a fumo passivo) il monossido di carbonio<br />

non consente una chiara distinzione tra le due popolazioni. La nicotina<br />

e la cotinina urinarie sono invece significativamente differenti<br />

tra i due gruppi.<br />

Bibliografia<br />

F.M. Rubino 1 , C. Verduci 1 , M. Buratti 2 , S. Fustinoni 2 , L. Neri 1 , G. Brambilla 1 , A. Colombi 1<br />

1) Lopez A., Peto R., Wheatley K., Mortality from tobacco in developed<br />

contries. Lancet 1992; 339: 1268-78.<br />

2) Raily S. J., Steennland K., Tobacco exposure and cardiovascular risk.<br />

Am. J. Public Health 1995; 88: 213-221.<br />

3) IARC (International Agency for Research on Cancer). Monograph<br />

on tobacco smoking. Lyon 1986.<br />

4) Angerer J., Schaller K-H. Analytical Chemistry Working Group, Analyses<br />

of hazardous substances in biological materials 2001; 171-175.<br />

Indicatori di esposizione a idrocarburi aromatici policiclici:<br />

il paradosso pirene-idrossipirene<br />

1 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Clinica del Lavoro ‘L. Devoto’, Università degli Studi di Milano, Sezione Ospedale San Paolo, Milano<br />

2 Azienda Ospedaliera ‘Istituti Clinici di Perfezionamento’, Milano<br />

RIASSUNTO. Si dimostra la sussistenza di un’incongruenza quantitativa<br />

tra la dose di pirene inalata da parte di soggetti non fumatori esposti<br />

all’inquinamento aerodisperso urbano e la quantità, di 10-50 volte<br />

maggiore, del metabolita principale 1-idrossipirene escreto nelle urine. Si<br />

ipotizza che la quota di idrossipirene escreto eccedente la dose giornaliera<br />

di pirene inalato possa provenire dal lento rilascio di pirene fortemente<br />

adeso o strutturalmente legato al particolato carbonioso depositato nel<br />

corso della vita del soggetto negli alveoli polmonari.<br />

Parole chiave: pirene aerodisperso, 1-idrossipirene urinario, esposizione<br />

ambientale.<br />

ABSTRACT. Biomonitoring of exposure to pah: the pyrene vs. 1hydroxypyrene<br />

paradox. Comparison between the inhaled dose of pyrene<br />

by non-smoking subjects exposed to urban airborne contamination<br />

and the daily urinary excretion of the main metabolite 1-hydroxypyrene<br />

highlights a quantitative inconsistency, since the amount of the metabolite<br />

is 10-50 times higher than the inhaled dose of the parent compound. It<br />

is suggested that the excessive amount of hydroxypyrene may derive<br />

from the slow release of pyrene strongly absorbed or chemically embedded<br />

in the carbon soot deposited over a lifetime in the lung alveoli of the<br />

subject.<br />

Key words: airborne pyrene, 1-hydroxypyrene in urine, environmental<br />

exposure.<br />

Introduzione<br />

La misura dell’entità della contaminazione da idrocarburi<br />

aromatici policiclici (IPA) associati alla frazione respirabile del<br />

particolato carbonioso aerodisperso e dell’escrezione urinaria dei<br />

rispettivi metaboliti idrossilati rappresenta lo strumento sperimentale<br />

più frequentemente impiegato per effettuare le stime di<br />

esposizione ad IPA, sia in ambito professionale sia nei confronti<br />

della popolazione generale (emissioni da traffico veicolare e abitudine<br />

al fumo di tabacco). In particolare, le misure dell’idrocarburo<br />

non cancerogeno pirene (PIR) e di escrezione del corrispondente<br />

metabolita urinario 1-idrossipirene (1-OHP), quali indicatori<br />

rappresentativi rispettivamente di presenza della contaminazione<br />

ambientale e di entità dell’esposizione, sono largamente<br />

impiegate negli studi di tossicologia industriale (1, 2, 3, 4).<br />

L’escrezione di 1-OHP è un indicatore sensibile a variazioni recenti<br />

nell’introduzione nell’organismo di PIR: le maggiori quantità<br />

introdotte vengono infatti metabolizzate ed escrete come 1-<br />

OHP al più entro la giornata successiva, sommandosi, in un lento<br />

accumulo, all’escrezione basale giornaliera (1). L’entità dell’escrezione<br />

basale di 1-OHP ri<strong>sul</strong>ta correlata con la pregressa<br />

condizione di fumatore e con il consumo attuale di sigarette (2).<br />

Nell’esposizione ambientale a IPA da traffico veicolare, l’escrezione<br />

di 1-OHP correla con la concentrazione della frazione respirabile<br />

(PM 10 ) e con la quantità totale del materiale particolato<br />

aerodisperso (4). Scopo Del presente studio era quello di confrontare<br />

la concentrazione di IPA aerodispersi con quella urinaria<br />

di 1-OHP in un gruppo di soggetti non fumatori.<br />

Materiali e metodi<br />

Soggetti allo studio. Sono stati esaminati 20 vigili urbani<br />

non-fumatori (età 26-56 anni; media 37 anni; anzianità di servizio<br />

2-36 anni; media 12 anni). Per l’intera mattinata dello studio<br />

(ore 7:30-12:30), i soggetti hanno indossato un campionatore per<br />

la captazione del particolato aerodisperso e degli IPA in fase vapore.<br />

Prima del pranzo i soggetti hanno fornito un campione<br />

estemporaneo di urina per la misura dell’escrezione di 1-OHP.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 99<br />

Misura della concentrazioneaerodispersa<br />

di IPA. I campionatori<br />

ambientali individuali<br />

di IPA, indossati dai<br />

soggetti (filtro in fibra<br />

di vetro seguito da una<br />

fiala adsorbente XAD-<br />

2) sono stati eluiti con<br />

CH 2 Cl 2 e analizzati mediante<br />

HPLC con rivelazione fluorimetrica secondo il metodo ufficiale<br />

NIOSH.<br />

Misura della concentrazione urinaria di 1-OHP. L’1-OHP<br />

nelle urine è stato misurato mediante HPLC con rivelazione fluorimetrica,<br />

dopo idrolisi enzimatica dei coniugati glucuronide e<br />

solfato. Il limite di rivelazione del metodo è di 50 ng/L di 1-OHP<br />

urinario. Le concentrazioni urinarie di 1-OHP sono espresse senza<br />

correzione per l’escrezione urinaria di creatinina.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

I valori medi di contaminazione aerodispersa espressi come<br />

IPA totali e come PIR sono ri<strong>sul</strong>tati pari rispettivamente a 6<br />

ng/m 3 (valori compresi tra 3 e 16 ng/m 3 ) e a 1,3 ng/m 3 (valori<br />

compresi tra 0,4 e 3,5 ng/m 3 ), mentre i valori di escrezione di 1-<br />

OHP dei soggetti esaminati sono ri<strong>sul</strong>tati compresi tra 50 e 429<br />

ng/L, con un valore medio pari a 175 ng/L. Lo scatter-plot tra la<br />

concentrazione aerodispersa totale di IPA cui ciascun soggetto ri<strong>sul</strong>tava<br />

esposto e quella urinaria di 1-OHP, misurata al termine<br />

del turno di lavoro, ha mostrato l’assenza di una relazione statisticamente<br />

significativa (dati non riportati). L’evidente incongruenza<br />

quantitativa tra la quantità di 1-OHP escreto nelle urine<br />

dai soggetti e la dose di PIR da essi assunta nel periodo immediatamente<br />

precedente il campionamento delle urine emerge dal<br />

calcolo riportato nella Tabella I.<br />

Si nota, infatti, che a livelli di contaminazione aerodispersa di<br />

IPA dell’ordine di 0,4-3,5 ng/m 3 dovrebbero corrispondere valori<br />

di escrezione di OHP 10-100 volte inferiori a quelli misurati<br />

nella popolazione esaminata (50-429 ng/L), che è stata di proposito<br />

selezionata come priva di esposizione significativa a IPA oltre<br />

a quella ambientale (esclusione con questionario dei soggetti<br />

consumatori di alimenti affumicati o cotti in forno a legna).<br />

Discussione e Conclusioni<br />

L’incongruenza di carattere quantitativo tra la dose di PIR inalata<br />

e la quantità di 1-OHP escreta giornalmente nelle urine che<br />

emerge dai ri<strong>sul</strong>tati esposti e descritti anche da altri autori (1-4) viene<br />

generalmente attribuita alla contestuale presenza di altre sorgenti<br />

di esposizione a IPA, quali l’abitudine al fumo di tabacco o l’ingestione<br />

di cibi affumicati o cotti in forno a legna, contenenti IPA.<br />

Anche ammettendo la sussistenza di tali fattori e la loro influenza<br />

incontrollata sui ri<strong>sul</strong>tati degli studi, ri<strong>sul</strong>ta, tuttavia, irrealistico giustificare<br />

solo su tali basi le differenze osservate, perché essi non riescono<br />

a spiegare la differenza tra l’elevata dose escreta, dell’ordine<br />

di 50-500 ng/die, ‘eccedente’ quella attesa di vari ordini di grandezza.<br />

Il complesso delle evidenze disponibili suggerisce piuttosto,<br />

sebbene in via ancora in parte speculativa, che nel particolato aerodisperso<br />

originato dai combustibili fossili sussistano frazioni di IPA<br />

caratterizzate da differente biodisponibilità e velocità di biotrasformazione<br />

ed escrezione col seguente meccanismo:<br />

(a) la quota di IPA adsorbiti <strong>sul</strong>la superficie del particolato aerodisperso<br />

inalato ri<strong>sul</strong>ta di biodisponibilità rapida (escrezione<br />

nell’ordine delle ore e proporzionale alla dose recente di particolato<br />

inalato);<br />

(b) la frazione fine del particolato aerodisperso inalato, una volta<br />

depositatasi negli alveoli polmonari, rilascia gli IPA occlusi<br />

nel core dei granuli in un tempo dell’ordine di anni;<br />

(c) processi metabolici ossidativi sono potenzialmente in grado<br />

di degradare progressivamente la matrice grafenica del materiale<br />

particolato, rilasciando strutture di IPA che possono venire<br />

assorbite e successivamente metabolizzate (5).<br />

Bibliografia<br />

1) Buratti M, Pellegrino O, Brambilla G, Colombi A. Biomarkers 2000;<br />

5: 368-81.<br />

2) Göen Th, Gündel J, Schaller K-H, Angerer J. Sci Tot Environ 1995;<br />

163: 195-201.<br />

3) Goldman R, Enewold L, Pellizzari E, Beach JB, Bowman ED, Krishnan<br />

SS, Shields PG. Cancer Res 2001; 61: 6367-71.<br />

4) Gerde P, Muggenburg BA, Lundborg M, Dahl AR. Carcinogenesis<br />

2001; 22: 741-49.<br />

5) Kamm S, Mohler O, Naumann K-H, Saathoff H, Schurath U. Atmos<br />

Environ 1999; 33: 4651-61.<br />

M.L. Scapellato*, A. Trevisan, M. Carrieri, I. Maccà, E. Bonfiglio, G. Gori, S. Serraino, G.B. Bartolucci<br />

Indicatori di dose e di effetto nell’esposizione a sevoflurano<br />

Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Padova<br />

RIASSUNTO. Scopo del lavoro è stato quello di studiare, in un<br />

gruppo di soggetti professionalmente esposti a sevoflurano, il rapporto<br />

tra indicatori di esposizione e alcuni indicatori di effetto renale ed<br />

epatico. I livelli di esposizione sono ri<strong>sul</strong>tati contenuti prevalentemente<br />

al di sotto del limite di 2 ppm stabilito dal NIOSH per gli anestetici<br />

alogenati (media: 0,161 ppm; mediana: 0,027 ppm; range: 0.007-2,71<br />

ppm); l’escrezione urinaria a fine turno di sevoflurano appare partico-<br />

Tabella I. Escrezione di 1-OHP attesa <strong>sul</strong>la base della concentrazione di PIR aerodisperso<br />

misurata e del suo comportamento metabolico standard nell’uomo<br />

larmente influenzata dai picchi espositivi, e quindi per la valutazione<br />

dell’esposizione sembra più affidabile il ricorso al metabolita esafluoroisopropanolo<br />

(HFIP). Sono state trovate correlazioni statisticamente<br />

significative tra HFIP e N-acetil-β-D-glucosaminidasi e glutamina-sintetasi<br />

urinarie; è stato inoltre riscontrato un aumento statisticamente significativo<br />

della concentrazione di acido D-glucarico nelle urine dei<br />

soggetti con esposizioni combinate a N 2 O e sevoflurano rispetto ai


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

100 www.gimle.fsm.it<br />

controlli, mentre non vi è alcuna differenza tra controlli ed esposti al<br />

solo sevoflurano.<br />

Parole chiave: esposizione a sevoflurano, monitoraggio <strong>biologico</strong>,<br />

effetti renali, induzione enzimatica.<br />

ABSTRACT. DOSE AND EFFECT BIOMARKERS IN SEVOFLURANE EX-<br />

POSURE. The aim of this study was to determine the relationship between<br />

exposure biomarkers and renal and liver effect indicators in subjects exposed<br />

to sevoflurane. Many of the subjects show exposure to sevoflurane<br />

below the environmental threshold limit of 2 ppm established by NIO-<br />

SH for halogenate compounds (mean: 0.161 ppm; median: 0.027 ppm;<br />

range: 0.007-2.71 ppm); urinary excretion of sevoflurane appeared to be<br />

influenced by exposure peaks, so that the metabolite hexafluoroisopropanol<br />

(HFIP) seemed to be more reliable as an exposure indicator. Statistically<br />

significant correlations were found between HFIP and renal biomarkers<br />

(N-acetyl-β-D-glucosaminidase and glutamine-synthetase); no<br />

differences between controls and exposed subjects in D-glucaric acid excretion<br />

were found for sevoflurane alone, but there was a significant difference<br />

with respect to the control group in combined exposure to N 2 O<br />

and sevoflurane.<br />

Key words: sevoflurane exposure, biological monitoring, kidney<br />

impairment, enzymatic induction.<br />

Introduzione<br />

Già da alcuni anni il sevoflurano è l’anestetico alogenato di<br />

scelta per l’induzione e il mantenimento dell’anestesia inalatoria<br />

nelle sale operatorie. Il basso coefficiente di solubilità sangue/gas<br />

conferisce infatti una buona precisione nel controllo dell’anestesia,<br />

nonché rapidità di induzione e risveglio. Il suo metabolismo avviene<br />

nel fegato ad opera del citocromo P450 con formazione di ioni<br />

fluoruro ed esafluoroisopropanolo (HFIP). È noto che i fluoruri<br />

possano determinare effetti a carico della funzione renale, tuttavia<br />

a tutt’oggi non ci sono evidenze di nefrotossicità, forse in relazione<br />

all’emivita alquanto rapida di tali composti. Benché per altri<br />

alogenati usati nel passato (alotano) fossero stati dimostrati effetti<br />

<strong>sul</strong> fegato, per il sevoflurano non vi sono segnalazioni di alterazioni<br />

a carico della funzione epatica. Essendo tuttavia molto limitati<br />

gli studi <strong>sul</strong>l’uomo e soprattutto nei soggetti professionalmente<br />

esposti, abbiamo pianificato uno studio con lo scopo di valutare il<br />

rapporto tra indicatori di esposizione ed alcuni indicatori di effetto<br />

renali ed epatici in soggetti esposti a sevoflurano.<br />

Materiali e metodi<br />

Sono stati esaminati oltre 100 soggetti professionalmente<br />

esposti a sevoflurano nei quali è stata effettuata una valutazione<br />

dell’esposizione individuale utilizzando un campionatore diffusivo<br />

(“Radiello”) posizionato in prossimità delle vie respiratorie.<br />

L’analisi del Radiello è stata eseguita con il metodo dello spazio<br />

di testa in gascromatografia associata a spettrometria di massa.<br />

Al termine della seduta operatoria è stato raccolto per ciascun<br />

soggetto un campione di urina per la determinazione del sevoflurano<br />

e dei suoi metaboliti. L’analisi del sevoflurano urinario è<br />

stata condotta con il metodo dello spazio di testa in gascromatografia<br />

associata a spettrometria di massa, quella dei fluoruri<br />

inorganici con PhMetro B 2500 e sonda specifica e quella dell’HFIP<br />

con la tecnica dello spazio di testa in gascromatografia<br />

con rivelatore FID.<br />

In un gruppo più ristretto di 24 soggetti sono stati anche studiati<br />

i seguenti indicatori di effetto renale: le proteine totali urinarie<br />

(TUP), marcatore generico e aspecifico di coinvolgimento<br />

renale, l’N-acetil-β-D-glucosaminidasi (NAG) usato per rilevare<br />

effetti renali provocati da xenobiotici a livello della pars recta del<br />

tubulo prossimale e la glutamina sintetasi (GS), enzima mitocondriale<br />

utilizzato come indicatore specifico di danno del segmento<br />

S3 . Gli stessi indicatori sono stati determinati anche in un gruppo<br />

di 43 soggetti di controllo impiegati nell’area ospedaliera ma<br />

non esposti a gas anestetici, stratificati per sesso, età ed indice di<br />

massa corporea.<br />

In 66 operatori con esposizioni combinate a N 2 O e sevoflurano<br />

e in 42 operatori esposti esclusivamente a sevoflurano è stata<br />

inoltre valutata l’escrezione urinaria dell’acido D-glucarico<br />

(ADG), indicatore indiretto di induzione enzimatica, effettuando<br />

l’analisi con metodo enzimatico per via spettrofotometrica. È stato<br />

anche esaminato un gruppo di controllo di 33 soggetti, non<br />

esposti a gas anestetici o ad altre sostanze inducenti o epatotossiche.<br />

Tutti i soggetti, esposti e controlli, non presentavano all’anamnesi<br />

una storia di pregresse o attuali malattie epatiche o renali<br />

né un’assunzione regolare di farmaci.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />

I livelli di esposizione a sevoflurano sono ri<strong>sul</strong>tati nella maggior<br />

parte dei soggetti contenuti al di sotto del limite di 2 ppm stabilito<br />

dal NIOSH per gli anestetici alogenati (media: 0,161 ppm;<br />

mediana: 0,027 ppm; range: 0,007-2,710 ppm). La correlazione<br />

tra esposizione individuale a sevoflurano ed escrezione urinaria<br />

dell’anestetico è ri<strong>sul</strong>tata statisticamente significativa anche se<br />

con una notevole dispersione dei dati (n=103, y=3,491x + 1,111,<br />

r=0,44; p


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 101<br />

combinate a N 2 O e isofluorano (4) che suggeriva lo sviluppo di<br />

una induzione enzimatica negli esposti a gas anestetici in cui<br />

sembra determinante il ruolo giocato dal N 2 O. Benché non vi<br />

sia una differenza statisticamente significativa nell’escrezione<br />

di ADG tra controlli ed esposti al solo sevoflurano, si riscontra<br />

tuttavia per questi soggetti una correlazione statisticamente significativa<br />

tra concentrazione urinaria di sevoflurano ed escrezione<br />

di ADG (y=1,397 + 1,902, r=0,54, p


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

102 www.gimle.fsm.it<br />

Discussione<br />

Tabella I. Principali parametri statistici per MTBE urinario, benzene urinario ed esposizione personale<br />

a benzene aerodisperso nelle tre categorie di soggetti indagati<br />

Figura 1. Grafici a scatole per l’MTBE urinario nei soggetti<br />

indagati suddivisi in base all’occupazione lavorativa<br />

I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti per MTBE urinario avvalorano le evidenze<br />

sperimentali a favore dell’utilizzo di questo indicatore per definire<br />

l’esposizione a vapori di benzina (7-9). MTBE urinario non<br />

sembra invece adatto a valutare l’esposizione a traffico autoveicolare.<br />

Questo ri<strong>sul</strong>tato potrebbe essere attribuito ai bassi livelli<br />

di MTBE presenti nel gas di scarico degli autoveicoli, ma anche<br />

alla scarsa numerosità della casistica indagata. La presenza di<br />

MTBE urinario in tutti i soggetti indica un’esposizione generalizzata<br />

a questa sostanza. Questa esposizione può essere attribuibile,<br />

almeno in parte, all’inquinamento da traffico autoveicolare<br />

(3), ma non si esclude la possibilità che MTBE possa essere ingerito<br />

con la dieta (4).<br />

Ringraziamenti<br />

Lo studio è stato possibile anche grazie al contributo ISPESL<br />

per il progetto “Composti ossigenati di sintesi come nuovi additivi<br />

delle benzine: monitoraggio ambientale e <strong>biologico</strong> nella popolazione<br />

potenzialmente esposta” (Ricerca n° B65/DML/00).<br />

Bibliografia<br />

1) The European Fuel Oxygenates Association. MTBE Resource Guide.<br />

Brussels, EFOA 2002.<br />

2) European Centre for Ecotoxicology and Toxicology of Chemicals.<br />

Risk Assessment Report for Existing Substances Methyl Tertiary-<br />

Butyl ether Special report No 17. Brusselles, ECETOC 2003.<br />

3) Hellén H, Hakola H, Laurila T, Hiltunen V, Koskentalo T. Aromatic<br />

hydrocarbon and methyl tert-butyl ether measurements in ambient<br />

air of Helsinki (Finland) using diffusive samplers. The Sci Total Environ<br />

2002; 298: 55-64.<br />

4) United States Environmental Protection Agency. Achieving clean air<br />

and clean water: the report of the blue ribbon panel on oxygenates in<br />

gasoline. Washington DC, US government printing office 1999.<br />

5) International Agency for Research on Cancer. Methyl tert-Butyl<br />

Ether. In: IARC Monographs on the evaluation of carcinogenic risks<br />

to humans and their supplements: a complete list; Vol. 73. Lyon:<br />

World Organization, 1999, 339-341.<br />

6) American Conference of Governmental Industrial Hygienists. TLVs<br />

and BEIs based on the documentation of the threshold limit values<br />

for chemical substances and physical agents & biological indices.<br />

Cincinnati OH, ACGIH 2004.<br />

7) Saarinen L, Hakkola M, Pekari K, Lappalainen K, Aitio A. Exposure<br />

of gasoline road-tanker drivers to methyl tert-butyl ether and methyl<br />

tert-amyl ether. Int Arch Occup Environ Health 1998; 71: 143-147.<br />

8) Hakkola M, Saarinen L, Pekari K. Exposure to Gasoline Vapour during<br />

offloading of tankers and railway wagons and biological. J Occup<br />

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9) Perbellini L, Pasini F, Prigioni P, Rosina A. Esposizione professionale<br />

a metil ter-butil etere in una raffineria di petrolio. G Ital Med Lav<br />

Erg 2003; 25: 39-40.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 103<br />

E. Scotti 1 , G. De Palma 1,2 , P. Mozzoni 1,2 , S. Carnevali 3 , F. Luppi 3 , A. Caglieri 2 , M.V. Vettori 1,2 , M. Goldoni 1,2 , L. Fabbri 3 , A. Mutti 2<br />

Caratterizzazione in vitro dell’espressione dell’eme ossigenasi 1<br />

in cellule epiteliali polmonari umane esposte a fumo di sigaretta<br />

1 Centro Studi e Ricerche ISPESL, Università degli Studi di Parma<br />

2 Laboratorio di Tossicologia Industriale, Università degli Studi di Parma<br />

3 Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Università di Modena e Reggio Emilia<br />

RIASSUNTO. Viene presentato uno studio in vitro su linee epiteliali<br />

e fibroblastiche polmonari esposte a concentrazioni crescenti (5 e 10%)<br />

di estratto di fumo di sigaretta (EFS) e a N-acetilcisteina (NAC). L’espressione<br />

genica dell’eme ossigenasi 1 (HO-1) era stimolata dall’EFS in<br />

maniera dose-dipendente nelle cellule epiteliali bronchiali immortalizzate<br />

(linea BEAS 2B) e fibroblastiche polmonari fetali (linea HFL1), ma<br />

non nelle epiteliali da adenocarcinoma polmonare (linea A549). L’espressione<br />

di HO-1, regolata in maniera differente nelle tre linee cellulari,<br />

sembra stimolata dallo stress ossidativo indotto da EFS.<br />

Parole chiave: eme ossigenasi 1, espressione genica, estratto di fumo<br />

di sigaretta, modelli in vitro, cellule epiteliali e fibroblastiche polmonari.<br />

ABSTRACT. IN VITRO CHARACTERIZATION OF HEME OXYGENASE 1<br />

IN HUMAN EPITHELIAL LUNG CELLS EXPOSED TO CIGARETTE SMOKE. We<br />

present an in vitro study of lung epithelial and fibroblastic cell lines exposed<br />

to growing concentrations (5%, 10%) of cigarette smoke extract<br />

(CSE), and to N-acetylcysteine. The heme oxygenase 1 (HO-1) gene expression<br />

was stimulated by CSE in a dose-dependent manner in both immortalized<br />

bronchial epithelium (BEAS 2B) and foetal pulmonary fibroblasts<br />

(HFL1), whereas no effect was seen in lung adenocarcinoma cells<br />

(A549). HO-1 gene expression, differently regulated in the three cell lines,<br />

seems to be provoked by CSE induced oxidative stress.<br />

Key words: heme oxygenase 1, gene expression, cigarette smoke extract,<br />

in vitro model, lung epithelial and fibroblastic cells.<br />

Introduzione<br />

L’eme ossigenasi (HO), enzima ubiquitariamente espresso,<br />

catalizza l’ossidazione dell’eme a biliverdina, con rilascio di ferro<br />

(Fe 2+ ) e monossido di carbonio (CO). Sono note tre isoforme,<br />

codificate da geni specifici: HO-1 inducibile, HO-2 costitutiva ed<br />

HO-3 espressa costitutivamente ma a bassa attività metabolica.<br />

L’espressione di HO-1, oltre che dal substrato fisiologico, è indotta<br />

da una varietà di stimoli associati con stress ossidativo e infiammazione.<br />

I prodotti di reazione hanno funzioni antiossidanti<br />

e antinfiammatorie (1). La biliverdina è biotrasformata dalla biliverdina<br />

reduttasi a bilirubina, potente antiossidante endogeno. Il<br />

CO media un effetto miorilassante <strong>sul</strong>la muscolatura liscia ed effetti<br />

citoprotettivi ed anti-apoptotici. Il fumo di sigaretta è una<br />

miscela complessa in grado di determinare stress ossidativo ed<br />

infiammazione a livello dell’epitelio polmonare. Cellule in coltura<br />

esposte a fumo di sigaretta presentano effetti tipici dello stress<br />

ossidativo, come perossidazione lipidica, rotture a singolo filamento<br />

del DNA e decremento dei livelli intracellulari di glutatione<br />

(2-4).<br />

Materiali e metodi<br />

L’esperimento è stato condotto su linee cellulari umane, derivate<br />

rispettivamente da cellule epiteliali bronchiali immortalizzate<br />

(BEAS 2B), cellule epiteliali alveolari da adenocarcinoma polmonare<br />

(A549) e fibroblasti polmonari fetali (HFL1). Le cellule<br />

sono state esposte a concentrazioni crescenti (5 e 10%) di estratto<br />

di fumo di sigaretta (EFS), ottenuto facendo gorgogliare il fumo<br />

di sigaretta in una beuta contenente 25 ml di terreno di coltura.<br />

Dopo filtrazione e diluizione alla concentrazione desiderata, le<br />

cellule sono state trattate con EFS entro 30 minuti dalla sua preparazione.<br />

È stata prevista anche la co-somministrazione di Nacetilcisteina<br />

(NAC), in associazione ad EFS 10%. L’RNA totale<br />

è stato estratto da circa 5 x 10 6 cellule con metodica Trizol, digerito<br />

con Dnasi I, quantificato con sonda RiboGreen e valutato tramite<br />

elettroforesi su gel d’agarosio 1% in 1X TBE. L’RNA totale<br />

(1 µg) è stato retrotrascritto a cDNA utilizzando Random Decamers<br />

(2.5 µM) e SuperScript II (200 U) RT con protocollo standard,<br />

in 20 µl. Un’aliquota di cDNA è stata diluita 1:8 in H 2 O per<br />

la reazione di PCR quantitativa in tempo reale su iCycler (Bio-<br />

Rad) con chimica SYBR Green I. I primers per il gene HO-1 sono<br />

stati disegnati con software Primer3 su sequenza NM 002133<br />

(GenBank), mentre per l’amplificazione dei geni di controllo β2microglobulina,<br />

succinato de-idrogenasi subunità A ed ipoxantina<br />

fosforibosil-trasferasi 1 sono stati utilizzati primers pubblicati (5).<br />

Le reazioni di PCR (25 µl), contenenti 1 µl di cDNA, 12.5 µl di<br />

2X iQ SYBR Green Supermix (Bio-Rad) e 300 nM di ciascun primer,<br />

sono state eseguite in duplicato per ciascun campione secondo<br />

il protocollo: 3’ a 95 °C, seguiti da 40 cicli di 30s a 95 °C, 30s<br />

a 61 °C e 30s a 72 °C, quindi 1’ a 95 °C e denaturazione (melting)<br />

finale, con incremento graduale della temperatura da 50 °C a 94<br />

°C. Il livello di espressione dell’HO-1, mediato su 3 esperimenti<br />

separati, viene ottenuto dopo normalizzazione rispetto all’espressione<br />

dei 3 geni di controllo, tramite algoritmo geNorm (5). L’espressione<br />

genica è stata valutata dopo 24h dallo stimolo per i tre<br />

tipi cellulari e dopo 3h per le sole BEAS 2B.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Nelle BEAS 2B l’espressione di HO-1 è aumentata, rispetto al<br />

controllo non trattato, già 3h dopo l’esposizione, con un andamento<br />

dose-dipendente (mediamente di 110,61 vv. per EFS=5%, e<br />

di 277,59 vv. per EFS=10%). Nelle BEAS 2B e HFL1, a 24h dallo<br />

stimolo, i livelli di HO-1 sono aumentati per EFS= 5% (rispettivamente<br />

di 20,88 e 27,5 vv. in BEAS 2B ed HFL1). In entrambi<br />

i casi l’incremento è dose-dipendente e più evidente nelle HFL1<br />

(incremento vs. controllo di 35,9 e 270,65 vv. per EFS=10% in<br />

BEAS 2B e HFL1, rispettivamente). La co-somministrazione di<br />

NAC riduce l’espressione genica in entrambe le linee (riduzione,<br />

rispetto al trattamento con EFS 10%, del 91% e del 96% in BEAS<br />

2B ed HFL1, rispettivamente). Nelle A549 i livelli di espressione<br />

genica osservati a 24h dall’esposizione sono molto modesti (incremento<br />

medio di 1,86 volte rispetto al controllo per il campione<br />

trattato con EFS 10%), e la co-somministrazione di NAC ed EFS<br />

al 10% non modifica significativamente i livelli di espressione.<br />

Discussione<br />

I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti, da considerarsi come preliminari in quanto<br />

gli esperimenti sono in fase di completamento, sembrano promettenti.<br />

Le diverse risposte osservate nelle linee epiteliali<br />

(BEAS 2B ed A549) sembrano correlate al diverso fenotipo cel-


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

104 www.gimle.fsm.it<br />

lulare. La scarsa responsività delle A549 all’EFS, ma anche alla<br />

NAC, sembrerebbero indicare che in queste cellule, tum<strong>orali</strong>, la<br />

regolazione dell’espressione genica sia compromessa. Nelle<br />

BEAS 2B, che sono cellule immortalizzate, l’EFS stimola in maniera<br />

dose-dipendente l’espressione di HO-1, probabilmente in<br />

conseguenza di stress ossidativo cellulare, come dimostrato dalla<br />

reversione della risposta ad EFS 10% ad opera della NAC, che<br />

agisce aumentando la disponibilità di glutatione. L’espressione di<br />

HO-1 è un evento molto precoce, visibile già a 3h dallo stimolo<br />

(per ora solo in BEAS 2B). L’espressione di HO-1 nelle HFL1,<br />

cellule dal fenotipo normale, segue l’andamento osservato per le<br />

BEAS 2B ed è quantitativamente maggiore.<br />

In conclusione, l’esperimento dimostra che il fumo di sigaretta,<br />

probabilmente inducendo stress ossidativo, stimola l’espressione<br />

di HO-1 in linee cellulari rappresentative dell’organo<br />

bersaglio (polmone). Ciò, in accordo con l’aumentata espressione<br />

di HO-1 osservata nella broncopneumopatia cronica ostruttiva<br />

e nell’asma bronchiale (1, 6, 7), nelle quali il fumo di tabacco<br />

svolge un’importante ruolo eziopatogenetico. Il presente studio,<br />

completato da informazioni relative agli effetti a più basse concentrazioni<br />

di EFS, potrà fornire indicazioni utili per meglio valutare<br />

il rischio derivante dall’esposizione, anche in ambito lavorativo,<br />

a fumo passivo.<br />

G. Spatari 1 , C. Fenga 1 , D. Sapienza 1 , P. Gualniera 2 , A. Asmundo 2<br />

Bibliografia<br />

1) Carter EP, Garat C, Imamura M. Continual emerging roles of HO-1:<br />

protection against airway inflammation. Am J Physiol Lung Cell Mol<br />

Physiol. 2004; 287(1): L24-5.<br />

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3) Churg A, Cherukupalli K. Cigarette smoke causes rapid lipid peroxidation<br />

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4) Frei B, Forte TM, Ames BN, Cross CE. Gas phase oxidants of cigarette<br />

smoke induce lipid peroxidation and changes in lipoprotein properties<br />

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5) Vandesompele J, De Preter K, Pattyn F, Poppe B, Van Roy N, De<br />

Paepe A, Speleman F. Accurate normalization of real-time quantitative<br />

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7) Nakayama T, Kaneko M, Kodama M, Nagata C. Cigarette smoke induces<br />

DNA single-strand breaks in human cells. Nature. 1985;<br />

314(6010): 462-4.<br />

Analisi dei polimorfismi genetici GSTT1 e GSTM1 in lavoratori di<br />

un deposito costiero di carburante. Messa a punto della metodica<br />

1 Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Università degli Studi di Messina<br />

2 Sezione di Medicina Legale, Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Università degli Studi di Messina<br />

RIASSUNTO. Recentemente, <strong>sul</strong>la base di differenti tecniche di<br />

biologia molecolare, sono stati condotti studi su polimorfismi genetici<br />

quali “biomarcatori” atti a definire alterazioni o deficit metabolici determinanti<br />

di malattia. È del tutto evidente, quindi, l’esigenza di introdurre<br />

una nuova tecnica d’indagine in tale ambito fondata su criteri di robustezza<br />

(rapporto costo-beneficio), di riproducibilità, di ripetibilità e di<br />

semplicità di esecuzione [Saferstein, New Jersey 1987]. Su tali presupposti<br />

è stata messa a punto una metodica di analisi per i polimorfismi genetici<br />

ai loci GSTT1 e GSTM1 a partire da matrici biologiche (sangue e<br />

saliva) ottenuti da lavoratori di un deposito costiero di carburante del Sud<br />

Italia. I soggetti presi in esame, professionalmente esposti a miscele di<br />

carburanti, costituiscono un campione oggetto di studio del quale vengono<br />

presentati dati preliminari.<br />

Parole chiave: caratterizzazione genotipica, polimorfismi genetici,<br />

Glutatione-S-transferasi T1 (GSTT1) e M1 (GSTM1), biomarcatori, rischio<br />

professionale.<br />

ABSTRACT. ANALYSIS OF GENETIC POLYMORPHISM OF GSTT1 AND<br />

GSTM1 IN PETROL WORKERS: REFINING THE TECHNIQUE. On the basis of<br />

different methods in molecular biology, studies have been recently conducted<br />

on genetic polymorphisms as “biomarkers” of occupational, environmental<br />

or life style related diseases. It is therefore clear that the introduction<br />

of an alternative laboratory method needs to be introduced, based<br />

on classical standards: robustness and simplicity (cost-benefit ratio), reproducibility,<br />

and repeatability [Saferstein, New Jersey 1987]. Starting<br />

from biological samples (blood and saliva) obtained from workers in a<br />

Southern Italian petrochemical depot, the present study describes a simple<br />

method for the analysis of genetic polymorphisms on GSTT1 and<br />

GSTM1 loci. The preliminary data to emerge from this group of workers<br />

- who are occupationally exposed to petroleoum derivatives- are reported.<br />

Key words: DNA genotyping, genetic polymorphism, Glutathione-Stransferase<br />

T1 (GSTT1) and M1 (GSTM1), biomarkers, occupational risk.<br />

Introduzione<br />

Gli studi effettuati <strong>sul</strong>l’esposizione ad idrocarburi policiclici<br />

aromatici (IPA) ed effetti nell’uomo dimostrano una considerevole<br />

variabilità interindividuale a parità di esposizione ambientale<br />

e/o lavorativa. Le basi biologiche di tale variabilità sono, in<br />

parte, da ricercarsi nella differente attività degli enzimi implicati<br />

nella bio-attivazione e nella detossificazione degli IPA (citocromo<br />

P 450, epossido idrolasi, glutatione transferasi) (1). La glutatione<br />

S-transferasi (GST), ad esempio, è una super-famiglia di<br />

enzimi polimorfici che giocano un ruolo importante nella detossificazione<br />

dei tossici endogeni ed esogeni. I polimorfismi genetici<br />

GSTT1 e GSTM1 modulano l’attività di alcune catene enzimatiche<br />

coinvolte nella detossificazione di diversi composti potenzialmente<br />

cancerogeni per l’uomo. Il polimorfismo GSTM1 è<br />

localizzato <strong>sul</strong> locus cromosomico 1p13.3 ed è coinvolto nell’espressione<br />

fenotipica degli enzimi deputati alla detossificazione<br />

degli idrocarburi aromatici policiclici. Cellule di soggetti omozigoti<br />

per il genotipo null del GSTM1, privi della specifica attività<br />

enzimatica, sono più suscettibili di danno al DNA (Strange-Fryer,<br />

IARC Scientific publications 1999). Il polimorfismo GSTT1 è<br />

localizzato <strong>sul</strong> cromosoma 22q11.2 e codifica per enzimi anch’essi<br />

implicati nell’attività detossificante.<br />

Il presente lavoro illustra una semplice metodica di estrazione<br />

del DNA da sangue intero e da cellule dell’epitelio buccale<br />

prelevate mediante tampone (“buccal swab”) per la caratterizzazione<br />

dei polimorfismi genetici GSTT1 e GSTM1 in un campione<br />

di lavoratori addetti alle varie fasi del ciclo lavorativo di un<br />

deposito costiero di carburante. Ciò al fine di identificare even-


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 105<br />

tuali genotipi omozigoti defettivi (null), potenzialmente più suscettibili<br />

all’azione degli agenti chimici, attraverso una semplice<br />

metodica, di facile riproducibilità, ripetibilità e di costo assai<br />

contenuto. Il prelievo di cellule dell’epitelio buccale, effettuabile<br />

senza trauma alcuno, contribuisce a rendere ancor più semplice<br />

l’indagine, oltre che ben accetta da parte del lavoratore.<br />

Materiali e metodi<br />

L’estrazione del DNA è stata condotta secondo la metodica<br />

“Chelex®100” (2) a partire da 30 µl di sangue intero e singoli<br />

tamponi buccali appartenenti ad ogni soggetto del gruppo oggetto<br />

di studio; il Chelex è una resina chelante che possiede alta affinità<br />

per gli ioni metalli polivalenti, composta da stirene divinilbenzene<br />

copolimero e ioni aminodiacetati che agiscono come<br />

gruppi chelanti. La presenza di questi gruppi durante il processo<br />

di ebollizione dei campioni previene la degradazione del DNA<br />

dall’azione degli ioni metallici che possono favorire la rottura<br />

della molecola quando viene sottoposta ad alte temperature.<br />

L’amplificazione via polymerase chain reaction (PCR) è stata effettuata<br />

utilizzando quali “primers d’innesco” le sequenze oligonucleotidiche<br />

riportate in letteratura (Pavanello S., Padova 2002).<br />

La reazione di amplificazione, è avvenuta utilizzando un termociclatore<br />

o thermal-cycler (“PCR sprint”, Hybaid) ed allestendo<br />

una “multiplex” per la coamplificazione dei loci GSTT1,<br />

GSTM1 e β-globina (quest’ultimo quale “controllo positivo” della<br />

reazione medesima), in un volume finale di 25 µl: 2.5 µl di<br />

estratto (5-250 ng DNA), 0.5 µM di ciascun primer, 2.5 µl Taq<br />

tampone (10 x PCR Buffer II, Applied Byosystem), 2 µl MgCl 2<br />

25 mM (Applied Byosystem), 0.5 µl dNTPs mix (10 mM PCR<br />

Nucleotide Mix, Promega), 1 U Taq polimerasi polymerase (Dy-<br />

NAzyme II DNA Polymerase, Finnzymes). Sono stati effettuati<br />

un totale di 30 cicli di amplificazione: “denaturazione” a 95° C<br />

per 1 minuto, “annealing” a 60° C per 1 minuto ed “estensione”<br />

a 72° C, sempre per 1 minuto. L’analisi dei prodotti di amplificazione<br />

è stata condotta mediante elettroforesi verticale su gel denaturante<br />

di poliacrilamide al 6% in Urea 7 M ultrasottile (0.4<br />

mm) in TBE buffer 1X con le seguenti condizioni di corsa: 2000<br />

V, max mA, max W, per 150 minuti (3). Le bande di migrazione<br />

relative ai prodotti di amplificazione sono state visualizzate con<br />

la tecnica del “Silver staining”(4) ed identificate in base alla valutazione<br />

del peso molecolare di ciascuna, definito comparativamente<br />

rispetto ai pesi molecolari di specifico marcatore standard<br />

(DNA pGEM® marker, Promega).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

La tipizzazione elettroforetica dei 24 campioni analizzati (12<br />

tracce ematiche, 12 tamponi buccali) appartenenti a 12 lavoratori<br />

professionalmente esposti ad IPA (ogni soggetto è stato sottoposto<br />

a prelievo di sangue venoso e di cellule dell’epitelio buccale),<br />

ha evidenziato la frequenza del genotipo null per il GSTM1<br />

in cinque soggetti, mentre due soggetti presentavano il genotipo<br />

GSTT1 null (Figura 1). Inoltre dalla lettura dell’elettroferogramma<br />

si evince che la tipizzazione effettuata dai tamponi buccali<br />

(evidenziata con i numeri romani) ri<strong>sul</strong>ta essere ugualmente interpretabile<br />

e di ottima definizione allelica.<br />

Discussione<br />

La metodica esposta ri<strong>sul</strong>ta essere una tecnica di facile riproducibilità,<br />

ripetibile e di costo assai contenuto e rappresenta,<br />

quindi, una valida alternativa alle tecniche già in uso nella pratica<br />

dei laboratori di epidemiologia occupazionale. L’uso del<br />

“Chelex®100” per l’estrazione del DNA da cellule dell’epitelio<br />

Figura 1. Elettroferogramma dei genotipi GSTT1 (480 bp) e<br />

GSTM1 (215 bp)<br />

I numeri romani rappresentano la tipizzazione effettuata da<br />

cellule dell’epitelio buccale; i campioni 7 (VII) e 11 (XI) ri<strong>sul</strong>tano<br />

negativi per il genotipo GSTT1 (GSTT1 null); i campioni<br />

3 (III), 4 (IV), 5 (V) 6 (VI) e 10 (X) ri<strong>sul</strong>tano negativi per il genotipo<br />

GSTM1 (GSTM1 null)<br />

buccale e/o dai leucociti può essere utilizzato in alternativa ai diffusi<br />

kit commerciali; tale resina è già in uso nella pratica forense<br />

per l’identificazione individuale (ma anche nelle indagini di paternità)<br />

su tracce biologiche anche in presenza di DNA danneggiato<br />

e/o di esigue quantità. Inoltre, la tipizzazione elettroforetica<br />

su gel di poliacrilamide, consente una maggiore distanza allelica<br />

definendo, quindi, in base al peso molecolare del polimorfismo,<br />

una chiara lettura. Si ribadisce come il prelievo di cellule<br />

dell’epitelio buccale attraverso tamponamento sia una tecnica assolutamente<br />

non traumatica per il lavoratore e peraltro ben accettata.<br />

Relativamente al campione esaminato ed ai ri<strong>sul</strong>tati della<br />

genotipizzazione, l’espressione della frequenza dei genotipi null<br />

per i rispettivi polimorfismi (GSTT1 - GSTM1) non consente, attualmente,<br />

la valutazione dei ri<strong>sul</strong>tati in quanto sono in corso i<br />

dosaggi relativi agli indicatori di dose interna e di danno genotossico.<br />

Il presente studio prevede l’arruolamento di altri soggetti<br />

da tipizzare, allo scopo di valutare la frequenza dei genotipi<br />

null, per poter correlare una ridotta attività enzimatica GST<br />

(GSTM1 e GSTT1 null) ad una eventuale amplificazione della<br />

via metabolica dell’acido t-t-muconico.<br />

Bibliografia<br />

1) Clonfero E, Ferri GM, Pavanello S. Epidemiologia molecolare in<br />

medicina del lavoro: aspetti metodologici e influenza della suscettibilità<br />

genetica individuale G Ital Med Lav Erg 2003; 25: 3, 279-284.<br />

2) Walsh PS, Metzger DA, Higuchi R. Chelex 100 as a medium for simple<br />

extraction of DNA for PCR-based typing from forensic material.<br />

Biotechniques 1991;10(4): 506-13.<br />

3) Robertson JM Evaluation of native and denaturing polyacrylamide<br />

gel electrophoresis for short tandem repeat analysis Adv. Forensic<br />

Haemogenet 1994; 5: 320-322.<br />

4) Budowle B, Chakraborty R, Giusti AM, Eisenberg AJ, Allen RC.<br />

Analysis of the variable number of tandem repeat locus D1S80 by<br />

the polymerase chain reaction followed by high resolution polyacrylamide<br />

gel electrophoresis. Am J Hum Genet 1994; 48: 137-44.


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

106 www.gimle.fsm.it<br />

F. Toffoletto 1 , MR Aiani 2 , A. Baj 1 , P Mascagni 1 , L. Settimi 2<br />

La valutazione del rischio nelle attività non continuative di saldatura:<br />

dubbia utilità del dosaggio del manganese nelle urine<br />

1 Unità Operativa di Medicina del Lavoro, Ospedale di Desio<br />

2 Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro, Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Como<br />

RIASSUNTO. È stato dosato mediante spettrofotometria di assorbimento<br />

atomico con fornetto di grafite il manganese nelle urine (MnU)<br />

raccolte a fine turno di lavoro in 385 soggetti con attività non continuativa<br />

di saldatura. La popolazione esaminata ha presentato livelli di MnU<br />

molto bassi (valore medio = 0,65 µg/l; SD = 0,44; range = 0,50-4,90), vicini<br />

al limite di sensibilità del metodo (0,5 µg/l), e sostanzialmente simili<br />

a quelli riscontrati da altri autori nelle popolazioni non esposte al metallo.<br />

Non sono state evidenziate differenze significative dei livelli di<br />

MnU tra i sottogruppi a diversa esposizione corrente o tra sottogruppi a<br />

diversa anzianità di esposizione. I ri<strong>sul</strong>tati preliminari del nostro studio<br />

hanno suggerito che a basse esposizioni professionali (saldatura non continuativa<br />

di metalli ferrosi) il MnU non è un indicatore <strong>biologico</strong> idoneo<br />

per il monitoraggio di singoli soggetti e neppure di gruppi di lavoratori.<br />

Parole chiave: manganese urinario, saldatura, monitoraggio dell’esposizione<br />

professionale.<br />

ABSTRACT. RISK ASSESSMENT IN NON-CONTINUOUS WELDING ACTI-<br />

VITIES: DOUBTFUL UTILITY OF URINARY MANGANESE. End-shift urinary<br />

manganese (MnU) in 385 subjects involved in non-continuous welding activities<br />

was determined by graphite furnace atomic absorption spectrophotometry.<br />

The examined population showed extremely low manganese urinary<br />

levels (mean group urinary value = 0.65 µg/l; SD = 0.44; range =<br />

0.50-4.90), partly coinciding with the limits of sensitivity of the method<br />

(0.5 µg/l), and substantially similar to those found by other authors in nonexposed<br />

populations. Statistically significant differences in MnU levels<br />

were not detected between subgroups with different current exposure or<br />

between subgroups with different previous degrees of exposure. The preliminary<br />

findings of our study suggested that, for low occupational exposures<br />

(non-continuous welding of ferrous metals), MnU is not suitable not<br />

only for individual but also for group biological monitoring.<br />

Key words: urinary manganese, welding, biological monitoring of<br />

occupational exposure.<br />

Introduzione<br />

La gravità degli effetti neurotossici attribuiti al manganese<br />

(1) giustifica la necessità di monitorare attentamente l’esposizione<br />

professionale a tale metallo, anche nelle attività non considerate<br />

particolarmente esponenti, quale l’attività di saldatura di materiali<br />

ferrosi.<br />

È quindi utile verificare quali indicatori biologici siano sufficientemente<br />

sensibili e specifici per il monitoraggio.<br />

Il dosaggio urinario del manganese è stato più volte considerato<br />

un indicatore di applicazione relativamente agevole, ma inadeguato<br />

a valutare l’esposizione del singolo lavoratore, anche se<br />

alcuni autori ne documentano la capacità di valutare le differenze<br />

di esposizione fra gruppi (2, 3).<br />

Materiali e metodi<br />

Nell’ambito di un’indagine di comparto svolta da un Servizio di<br />

Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro della Lombardia<br />

sono state raccolte, tramite questionario, informazioni su 93 aziende<br />

di piccola carpenteria metallica, ove lavoravano 410 soggetti con attività<br />

di saldatura (prevalentemente TIG e MIG) non continuativa (di<br />

frequenza e durata molto variabile). In 385 di essi è stato possibile<br />

eseguire il dosaggio del manganese nelle urine raccolte a fine turno<br />

di lavoro. La ricerca del manganese è stata eseguita tramite spettrofotometria<br />

di assorbimento atomico con fornetto di grafite (AAS).<br />

Non disponendo di valutazioni ambientali, la capacità dell’indicatore<br />

di evidenziare eventuali differenze di esposizione recente<br />

è stata valutata suddividendo la popolazione in 3 gruppi, in<br />

base alla durata giornaliera dell’attività di saldatura (fino a 2 ore:<br />

94 sogg.; da 2 a 4 ore: 162 sogg.; oltre 4 ore al giorno: 129 sogg.).<br />

Le eventuali differenze basate <strong>sul</strong>la esposizione cumulativa sono<br />

state invece studiate suddividendo la popolazione in 3 gruppi in<br />

base all’anzianità complessiva di attività come saldatore (fino a 5<br />

anni: 121 sogg.; da 5 a 10 aa: 74 sogg.; oltre 10 anni: 188 sogg.).<br />

Due soggetti sono stati esclusi dal calcolo in quanto non si disponeva<br />

con precisione della loro anzianità di lavoro.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

I valori medi di MnU nell’intera popolazione e nei tre gruppi<br />

ad attività di saldatura giornaliera crescente sono riportati nella<br />

Tabella I. I valori medi di MnU riscontrati nei tre gruppi ad anzianità<br />

di saldatura crescente sono riportati nella Tabella II.<br />

Discussione<br />

Nei limiti consentiti da un’elaborazione ancora preliminare è<br />

possibile affermare che lo studio del MnU:<br />

– non evidenzia differenze significative (p = 0.12) fra lavoratori<br />

con attività di saldatura scarsa (meno di 2 ore al dì), rispetto a<br />

lavoratori con attività di saldatura frequente (più di 4 ore al dì);<br />

– non evidenzia differenze significative (p = 0.49) fra soggetti<br />

con modesta anzianità complessiva di saldatura (meno di 5<br />

anni), rispetto a soggetti con anzianità complessiva di saldatura<br />

elevata (oltre 10 anni);<br />

– dimostra che la popolazione esaminata presenta livelli di<br />

MnU molto bassi, prevalentemente (74.3%) coincidenti con<br />

il limite di sensibilità del metodo (0.5 µg/l), valori sostanzialmente<br />

simili a quelli riscontrati da altri autori nelle popolazioni<br />

non esposte al metallo (4, 5).<br />

Tabella I. Valori medi di manganese urinario<br />

nell’intera popolazione e nei tre gruppi ad attività<br />

di saldatura giornaliera crescente<br />

Tabella II. Valori medi di manganese urinario<br />

nei tre gruppi ad anzianità di saldatura crescente


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 107<br />

Conclusioni<br />

I ri<strong>sul</strong>tati preliminari di questo studio indicano che a basse<br />

esposizioni professionali (attività non continuative di saldatura<br />

di metalli ferrosi) il MnU non è un indicatore <strong>biologico</strong> idoneo<br />

per il monitoraggio di singoli soggetti e neppure di gruppi di lavoratori.<br />

Bibliografia<br />

1) Apostoli P, Lucchini R, Alessio L. Are current biomarkers suitable<br />

P. Tomao, M.C. D’Ovidio, S. Di Renzi, C. Grandi<br />

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2) Gobba FM, Galassi C, Minoia C et al. Biological monitoring of occupational<br />

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level” of manganese oxides and neurofunctional changes in ferroalloy<br />

workers. Neurotoxicology 1999; 20: 287-298.<br />

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exposure level to manganese in workers exposed to manganese<br />

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5) Minoia C, Apostoli P. 1 a lista SIVR dei valori di riferimento definizioni,<br />

criteri metodologici e strategie analitiche. G Ital Med Lav Erg<br />

2003; 25: 1.<br />

Valutazione del danno al DNA in cellule umane dell’epitelio nasale<br />

esposte ad ossido di etilene<br />

ISPESL, Dipartimento di Medicina del Lavoro, Monteporzio Catone (RM)<br />

RIASSUNTO. Nella medicina del lavoro il comet test (CT) ha ricevuto<br />

in questi ultimi anni un’elevata considerazione quale metodica rapida,<br />

semplice e poco costosa per lo studio dell’attività genotossica di sostanze.<br />

L’ossido di etilene, gas infiammabile ed incolore, classificato dalla IARC<br />

nel gruppo 1, può essere assorbito dall’uomo attraverso il tratto respiratorio<br />

e la cute. Scopo del lavoro è valutare la sensibilità del CT nel misurare<br />

il danno al DNA in cellule dell’epitelio nasale (RPMI 2650) esposte in vitro<br />

a diverse concentrazioni di ossido di etilene. Lo studio ha evidenziato<br />

l’appropriatezza della strategia sperimentale utilizzata, fornendo una valutazione<br />

degli effetti dell’ossido di etilene <strong>sul</strong> DNA del tutto paragonabili a<br />

quelli ottenuti con metodiche convenzionali quali le aberrazioni cromosomiche<br />

e il test del micronucleo. Inoltre le prove condotte hanno mostrato<br />

una maggiore sensibilità del CT, in quanto è stato evidenziato un danno al<br />

DNA anche a dosi di EtO più basse di quelle rilevabili con gli altri test.<br />

Parole chiave: comet test, ossido di etilene, esposizione in vitro.<br />

ABSTRACT. DNA DAMAGE IN HUMAN NOSE EPITHELIAL CELLS EX-<br />

POSED TO ETHYLENE OXIDE. In recent years the comet test has been highly<br />

regarded in occupational medicine as a rapid, simple and inexpensive technique<br />

for detecting substances with genotoxic activity. Ethylene oxide<br />

is a colourless flammable gas, classified in group 1 by IARC, which can<br />

be absorbed through the respiratory tract and the skin. The aim of this<br />

study is to evaluate the capcity of the comet test to measure DNA damage<br />

in epithelial nasal septum cells (RPMI 2650) exposed to ethylene oxide.<br />

The effect of ethylene oxide on DNA can be evaluated by the comet<br />

test, yielding comparable re<strong>sul</strong>ts to those obtained using well-established<br />

techniques such as chromosomal aberration and micronucleus formation<br />

analyses. Moreover, the comet test was more sensitive than the other tests,<br />

showing DNA damage at lower doses than those detectable by chromosomal<br />

aberration and micronucleus formation.<br />

Key words: comet test, ethylene oxide, in vitro exposure.<br />

Introduzione<br />

In medicina del lavoro è fondamentale il monitoraggio dell’esposizione<br />

a sostanze potenzialmente mutagene e/o cancerogene.<br />

Aspetti critici del monitoraggio sono i tempi, le procedure e la<br />

rappresentatività del campionamento, la sensibilità e la specificità<br />

dei metodi analitici, i tempi di esecuzione delle analisi e i costi.<br />

Fondamentale al riguardo è la disponibilità di test di genotossicità<br />

adeguati. Tra le metodiche utilizzate per studiare l’attività genotossica<br />

di sostanze, il Comet Test (CT) ha, in questi ultimi anni, riscontrato<br />

approvazione anche nel campo della medicina del lavoro.<br />

Tale test prevede l’inglobamento in agarosio delle cellule trattate<br />

con la sostanza, la loro lisi e la corsa elettroforetica del lisato<br />

cellulare durante la quale si ha la migrazione del DNA, visualizzata<br />

tramite un colorante fluorescente. Il grado di migrazione del<br />

DNA, in condizioni alcaline, viene ad essere considerato proporzionale<br />

alla frequenza degli eventi di rottura in singole cellule<br />

esposte alle sostanze genotossiche. Il parametro considerato maggiormente<br />

significativo per quanto riguarda la rilevazione delle<br />

rotture del filamento di DNA è il momento di coda (Tail Moment<br />

- TM), definito come il prodotto dell’intensità di fluorescenza relativa<br />

della coda della cometa per la sua lunghezza.<br />

L’ossido di etilene (EtO) è un gas infiammabile e incolore<br />

con un caratteristico odore simile all’etere. In condizioni di pressione<br />

elevata può presentarsi come un liquido volatile. È completamente<br />

miscibile con acqua e molti solventi organici. Si tratta<br />

di una sostanza mutagena e cancerogena (gruppo 1 della classificazione<br />

IARC), che viene assorbita attraverso il tratto respiratorio<br />

e la cute. Il meccanismo d’azione è noto nel dettaglio, con<br />

la formazione di addotti al DNA ben caratterizzati. Viene comunemente<br />

utilizzato come intermedio di sintesi nell’industria chimica<br />

e come agente sterilizzante in ambiente sanitario e nell’industria<br />

alimentare. L’esposizione dei lavoratori a EtO nei diversi<br />

settori di impiego della sostanza varia considerevolmente, fino a<br />

raggiungere in alcune condizioni valori elevati.<br />

Scopo del lavoro è valutare la sensibilità del CT nel misurare<br />

il danno al DNA in cellule dell’epitelio nasale esposte a diverse<br />

concentrazioni di ossido di etilene. I ri<strong>sul</strong>tati ottenuti con tale<br />

metodica, rapida e poco costosa, possono essere confrontati con<br />

quelli ottenuti da altri autori, con metodiche differenti, soprattutto<br />

in termini di riproducibilità del dato e possibilità di evidenziare<br />

un effetto anche a dosi basse.<br />

Materiali e metodi<br />

È stato analizzato, mediante il CT, l’effetto dell’EtO nella linea<br />

cellulare di epitelio nasale umano RPMI 2650. Le cellule della cavità<br />

nasale sono le prime cellule esposte agli inquinanti e costituiscono<br />

la prima linea di difesa dell’organismo nei confronti di xenobiotici<br />

introdotti per via inalatoria: rappresentano infatti un sito<br />

target ben conosciuto per un ampio range di mutageni e sono quindi<br />

adatte per lo sviluppo di biomarcatori di esposizione/effetto. Le<br />

cellule sono state fatte crescere in monostrato e mantenute in terreno<br />

Minimum Essential Medium (MEM) con sali di Eagle, addi-


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

108 www.gimle.fsm.it<br />

zionato con siero bovino fetale (FCS) al 10%, antibiotici, glutamina<br />

ed amminoacidi non essenziali all’1%. L’EtO disciolto in metanolo<br />

(MEOH 50.000 UG/ML, Supelco) è stato diluito alle concentrazioni<br />

d’uso (0,5-100 mM) in terreno per cellule senza FCS. Le<br />

diluizioni delle sostanze sono state preparate al momento degli<br />

esperimenti, alla temperatura di 0-5°C. Sono stati effettuati esperimenti<br />

preliminari di tossicità per valutare le concentrazioni di sostanza<br />

che non perturbano la sopravvivenza e la crescita cellulare.<br />

Dopo il trattamento con diverse concentrazioni di EtO le cellule<br />

sono state osservate al microscopio per evidenziare eventuali cambiamenti<br />

morfologici e successivamente è stata valutata la citotossicità<br />

mediante l’utilizzo di un colorante vitale (rosso neutro), la<br />

cui incorporazione è stata misurata spettrofotometricamente.<br />

Il CT è stato condotto subito dopo il trattamento delle cellule<br />

con la sostanza (tempo zero), dopo 3 ore e dopo 24 ore, sia per<br />

valutare l’effetto genotossico che per monitorare la cinetica del<br />

riparo. Tutti gli esperimenti sono stati condotti solo quando la vitalità<br />

delle cellule, valutata tramite il test di esclusione del colorante<br />

vitale trypan blu, era > 75%. I ri<strong>sul</strong>tati sono rappresentativi<br />

della media di tre esperimenti.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Il CT, effettuato subito dopo l’esposizione delle cellule RPMI<br />

2650 a EtO nel range di 5,0-50,0 mM e dopo 3 e 24 ore ha mostrato,<br />

in tutte le condizioni sperimentali, un aumento dose-dipendente<br />

nella migrazione del DNA (TM) e una cinetica di riparo che<br />

evidenzia come dopo 24 ore, solo circa il 15% delle rotture viene<br />

riparato. Per quanto riguarda invece il trattamento delle cellule a<br />

concentrazioni più basse (0,5-4,0 mM) sono stati ottenuti ri<strong>sul</strong>tati<br />

differenti. Il valore del TM varia in modo non significativo, dalle<br />

concentrazioni più basse a quelle più alte, nelle condizioni di esecuzione<br />

del test al tempo zero. Tuttavia, nei campioni sottoposti al<br />

CT dopo 3 ore e 24 ore dal trattamento, è stato riscontrato un aumento<br />

significativo del TM rispetto alle cellule di controllo.<br />

Discussione<br />

Gli effetti genotossici prodotti da sostanze alchilanti il<br />

DNA, come l’ossido di etilene, possono essere studiati attraverso<br />

l’impiego di diverse metodiche. Poiché il danno al DNA indotto<br />

da agenti tossici dipende in molti casi dal tipo di cellula o<br />

di tessuto, il CT, utilizzato nello studio, può rappresentare un<br />

eccellente metodo in grado di rilevare il danno in cellule singole<br />

in diverse condizioni sperimentali. Recentemente questa metodica<br />

è stata ampiamente utilizzata per studiare gli effetti dell’esposizione<br />

a sostanze genotossiche anche nei linfociti di lavoratori<br />

esposti. Lo studio ha evidenziato l’appropriatezza della<br />

strategia sperimentale utilizzata, fornendo una valutazione<br />

degli effetti dell’EtO <strong>sul</strong> DNA del tutto paragonabili a quelli ottenuti<br />

con metodiche convenzionali quali le aberrazioni cromosomiche<br />

e il test del micronucleo. Inoltre le prove condotte hanno<br />

mostrato una maggiore sensibilità del CT, in quanto è stato<br />

evidenziato un danno al DNA anche a dosi di EtO più basse di<br />

quelle rilevabili con gli altri test. Infine, considerando che nei<br />

campioni analizzati dopo 3 e 24 ore dal trattamento delle cellule<br />

con la sostanza alle concentrazioni più basse si rileva un aumento<br />

del danno e che anche alle concentrazioni più elevate<br />

quest’ultimo è scarsamente riparato, è ipotizzabile che, dopo un<br />

iniziale periodo di latenza, la lesione iniziale (formazione di addotti)<br />

si traduca nell’induzione di rotture a doppio filamento.<br />

Queste ultime, come è noto, presentano una bassa efficienza di<br />

riparo e costituiscono il tipo di lesione più critico ai fini di una<br />

potenziale evoluzione in senso neoplastico.<br />

Bibliografia<br />

1) Babich H, Borenfreund E. Cytotoxicity of T-2 toxin and its metabolites<br />

determined with the neutral red cell viability assay. Appl. Environ.<br />

Microbiol. 1991; 57: 2101-2103.<br />

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1990; 16: 85-103.<br />

3) Nygren J, Cedervall B, Eriksson S, Dusinska M, Kolman A. Induction<br />

of DNA strand breaks by ethylene oxide in human diploid fibroblasts.<br />

Environ. Mol. Mutagen. 1994; 24: 161-167.<br />

4) Salama SA, Serrana M, Au WW. Biomonitoring using accessibile<br />

human cells for exposure and health risk assessment. Mutat. Res.<br />

1999; 436: 99-112.<br />

P. Travaglini 1 , A. D’Intino 1 , L. Di Giampaolo 1 , I. Di Zio 1 , M. Di Gioacchino 1 , M. L. Castellani 2 , M. Reale 2 , J. Ponti 3 ,<br />

E. Sabbioni 3 , P. Boscolo 1<br />

Studio in vitro <strong>sul</strong>l’immunotossicità dei metaboliti dell’arsenico<br />

inorganico<br />

1 Sezione di Medicina del Lavoro, Allergologia ed Immunologia Clinica, Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università “G.<br />

D’Annunzio”, Chieti<br />

2 Dipartimento di Neuroscienze ed Oncologia, Università “G. D’Annunzio”, Chieti<br />

3 ECVAM, Joint Research Centre, Ispra<br />

RIASSUNTO. Oggetto di questa ricerca erano gli effetti di composti<br />

arsenicali <strong>sul</strong>la proliferazione di PBMC umane stimolata da PHA e <strong>sul</strong><br />

loro rilascio di IFN-γ e TNF-α in presenza di sali arsenicati. Gli effetti<br />

inibitori dei composti 10 -4 e 10 -5 M era nel seguente ordine: acido momometil-arsenioso<br />

(MMAs III ), As(III), As(V), acido dimetil-arsinico<br />

(DMAs V ), acido monometil-arsonico (MMAs V ). Inoltre basse dosi (da<br />

10 -7 a 10 -8 M) di As(III), MMAs III e DMAs V stimolavano la risposta immunitaria.<br />

Questo studio dimostra che l’immunotossicità dell’As inorganico<br />

in parte dipende dalla biosintesi di MMAs III , metabolita successivamente<br />

trasformato in DMAs V .<br />

Parole chiave: arsenico, composti metilati, immunotossicità.<br />

ABSTRACT. IN VITRO STUDY ON THE IMMUNOTOXICITY OF METABO-<br />

LITES OF INORGANIC ARSENIC. The aim of this in study was to evaluate the effects<br />

of As compounds on PHA stimulated PBMC proliferation and IFN-γ<br />

and TNF-α release. The inhibitory effect of 10 -4 and 10 -5 M As compounds<br />

was in the following order: momo-methyl-arsenous acid (MMAs III ) > As(III)<br />

> As(V) > dimethyl arsinic acid (DMAs V ) > monomethyl-arsonic acid<br />

(MMAs V ). Moreover, low doses (from 10 -7 to 10 -8 M) of As(III), MMAs III<br />

and DMAs V stimulated the immune response. This study shows that the immunotoxicity<br />

of inorganic arsenic in part depends on bio-synthesis of MMAs<br />

V into MMAs III , which is subsequently transformed in DMAs V .<br />

Key words: arsenic, methylated compounds, immunotoxicity.


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 109<br />

Introduzione<br />

È noto sia che l’esposizione occupazionale<br />

ed ambientale a composti<br />

arsenicali può arrecare danni<br />

alla salute, sia che gli organismi marini<br />

sono in grado di trasformare<br />

l’As inorganico in composti organici<br />

complessi (come l’arsenobetaina)<br />

privi di significativa tossicità (1).<br />

Da circa 3 decenni è anche noto che<br />

l’As inorganico è trasformato nei<br />

mammiferi in acido monometilarsonico<br />

(MMAs V ) e dimetil-arsinico<br />

(DMAs V ). Recenti studi in vitro<br />

hanno tuttavia dimostrato che durante<br />

la metilazione dell’As inorganico<br />

in epatociti, cheratinociti e cellule<br />

dell’epitelio bronchiale (ma<br />

non in cellule vescicali) umane, si<br />

forma acido monometil-arsenioso<br />

MMAs III , composto citotossico (1).<br />

Scopo di questa ricerca è quello<br />

di studiare in vitro, su sangue umano,<br />

la immunotossicità dei composti<br />

sintetizzati durante la biotrasformazione<br />

dell’As inorganico.<br />

Materiali e metodi<br />

Cellule mononucleate di sangue periferico (PBMC) di nove<br />

donatori sono state utilizzate per determinare la proliferazione<br />

cellulare ed il rilascio di interferone-γ (IFN-γ) e Tumor-Necrosis-<br />

Factor (TNF) α nelle seguenti condizioni:<br />

a) senza sali arsenicali con o senza stimolazione con PHA (10 o<br />

20 µg/ml) (campioni di controllo).<br />

b) in presenza di 10 -4 , 10 -5 , 5 x 10 -5 , 10 -6 , 5 x 10 -6 , 10 -7 , 5 x 10 -7 ,<br />

10 -8 , 5 x 10 -8 e 10 -9 M sodio arsenito(III), sodio arsenato(V),<br />

MMAs V , MMAs III e DMAs V con o senza 20 µg/ml (per determinare<br />

la proliferazione cellulare per 72 ore) o 10 µg/ml di<br />

PHA (per determinare il rilascio di citochine per 32 ore).<br />

I metodi dettagliati per l’incubazione delle PBMC e per determinare<br />

la proliferazione cellulare ed il rilascio di citochine sono<br />

riportate in un lavoro del nostro gruppo (3).<br />

Ri<strong>sul</strong>tati e Discussione<br />

Il MMAs III a concentrazione 10 -4 M alterava la vitalità delle<br />

PBMC mentre il sodio arsenito(III) ed il sodio arsenato a questa concentrazione<br />

inibivano la proliferazione (Tabella I). La proliferazione<br />

delle PBMC era inibita anche da As(III), As(V) e MMAs III a concentrazioni<br />

10 -5 M e 5 x 10 -5 M. Sia il sodio arsenito che il DMA 10 -<br />

7 e 5 x 10 -7 M avevano un significativo effetto stimolante, mentre il<br />

MMAs III aveva lo stesso effetto a concentrazioni più basse (10 -8 M).<br />

Il rilascio di IFN-γ dalle PBMC era più evidente di quello del<br />

TNF-α. A questo proposito è da segnalare che il DMAs V 10 -4 M<br />

inibiva il rilascio di IFN-γ. Pertanto, gli effetti dei composti arsenicali<br />

<strong>sul</strong>la inibizione della proliferazione cellulare ed rilascio di<br />

citochine erano nel seguente ordine: MMAs III > As(III )> As(V)<br />

> DMAs V ,> MMAs V .<br />

Tabella I. % di proliferazione delle PBMC stimolate da PHA<br />

in presenza di composti arsenicali<br />

I valori sono espressi come % medi in confronto a culture prive di composti arsenicali (controlli, 100%). Differenza<br />

statisticamente significativa in confronto ai controlli (Mann Whitney U test): * p


COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl<br />

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M. Valentino 1 , V. Rapisarda 2 , G. Solina 1 , C. Fenga 2 , D. Duscio 3<br />

Il benzene ematico quale biomarker di esposizione in lavoratori<br />

di una raffineria<br />

1 Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Clinica di Medicina del Lavoro, Università Politecnica delle Marche<br />

2 Dipartimento di Medicina Sociale del Territorio, Sezione di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Messina<br />

3 Clinica di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Catania<br />

RIASSUNTO. Il benzene è uno dei principali inquinanti degli ambienti<br />

di lavoro. Il D.Lgs. 66/00 ha ridotto il livello di esposizione professionale<br />

a 1 ppm. Si è pertanto aperta la problematica di individuare un<br />

indicatore <strong>biologico</strong> affidabile per un corretto monitoraggio dei lavoratori<br />

esposti alle attuali basse concentrazioni di benzene. Tra i diversi biomarkers<br />

proposti abbiamo analizzato le concentrazioni di benzene ematico<br />

ad inizio e fine turno di lavoro in un gruppo di 50 lavoratori di una raffineria<br />

di petrolio esposti a concentrazioni inferiori ad 1 ppm. I ri<strong>sul</strong>tati<br />

incoraggiano l’uso del benzene ematico anche se, per livelli di esposizione<br />

così bassi, il fumo di sigaretta determina l’apporto maggiore di benzene<br />

al sangue.<br />

Parole chiave: benzene ematico, raffineria di petrolio, esposizione<br />

professionale, monitoraggio <strong>biologico</strong>.<br />

ABSTRACT. Measurement of benzene blood levels as a biomarker<br />

of exposure in oil refinery workers. Benzene is one of the main<br />

polluting substances in the workplace. Following the reduction of occupational<br />

exposure levels to 1 ppm (Legislative Decree 66/00), the need<br />

has arisen to identify a reliable benzene exposure biomarker to monitor<br />

workers exposed to current low benzene concentrations. One option, i.e.<br />

the monitoring of blood levels at the beginning and the end of the work<br />

shift, was investigated in 50 workers of an oil refinery exposed to concentrations<br />

less than 1 ppm. The re<strong>sul</strong>ts show this to be a useful biomarker<br />

even though, at such low levels of exposure, smoking habits contribute<br />

significantly to benzene plasma levels.<br />

Key words: blood benzene, oil refinery, occupational exposure, biological<br />

monitoring.<br />

Introduzione<br />

Il benzene rappresenta uno dei principali inquinanti degli ambienti<br />

di vita e di lavoro (1). L’utilizzo professionale del benzene<br />

è stato regolamentato (D.Lgs. 66/00) in maniera da permettere il<br />

lavoro a livelli di esposizione inferiori a 1 ppm (3,2 mg/m 3 ). Conseguentemente<br />

si è aperta per il medico del lavoro la problematica<br />

di come effettuare un corretto monitoraggio <strong>biologico</strong> dei lavoratori<br />

esposti alle attuali concentrazioni di benzene. Il dosaggio<br />

dei fenoli nelle urine, parametro comunemente utilizzato negli<br />

ultimi decenni, non costituisce un indice affidabile per monitorare<br />

esposizioni a concentrazioni ambientali inferiori a 5 ppm<br />

(2). Sono perciò stati proposti nuovi biomarkers per valutare l’esposizione<br />

a basse concentrazioni ambientali di benzene (1-3).<br />

Nel presente studio riportiamo i dati preliminari <strong>sul</strong> monitoraggio<br />

<strong>biologico</strong>, fenoli urinari e benzene ematico, di 50 lavoratori di<br />

una raffineria di petrolio, considerati professionalmente esposti a<br />

benzene, e di 50 lavoratori impiegati amministrativi presi come<br />

gruppo di controllo.<br />

Materiali e metodi<br />

Cinquanta lavoratori maschi, caucasici, di età media di 45,1<br />

±16,0 anni ed anzianità lavorativa di 15,4 ±3,6 anni sono stati<br />

considerati professionalmente esposti al rischio di esposizione a<br />

benzene per via inalatoria in quanto addetti al laboratorio chimico<br />

(n=14) ed addetti alla movimentazione delle benzine (n=36)<br />

di una raffineria di petrolio. I dati espositivi degli ultimi 5 anni<br />

evidenziano valori inferiori a 1 ppm (valori medi di 0,06 ±0,02<br />

ppm). 50 impiegati amministrativi della stessa raffineria, di sesso<br />

maschile, caucasici, di 47,0 ±13,5 anni e anzianità lavorativa<br />

di 17,0 ±4,1 anni sono stati utilizzati come controlli non esposti.<br />

I prelievi ambientali evidenziavano, per questi lavoratori, valori<br />

medi di 0,02 ±0,01 ppm. Nessuno presentava alterazioni ematochimiche<br />

(emocromo, transaminasi, creatinina, es. delle urine) o<br />

spirometriche. A ciascun soggetto è stato somministrato un questionario<br />

ad inizio e a fine turno di lavoro volto ad indagare il<br />

luogo di residenza, campagna o città, il turno di lavoro svolto,<br />

l’abitudine tabagica, l’assunzione di farmaci, il tragitto percorso<br />

e il mezzo impiegato per recarsi al lavoro. A ciascun lavoratore<br />

è stato effettuato un prelievo ematico di 10 ml di sangue venoso<br />

all’inizio e alla fine di un turno di lavoro di 8 ore l’ultimo giorno<br />

di una settimana lavorativa. I campioni di urine sono stati<br />

raccolti al termine del turno lavorativo nella quantità di 20 ml ed<br />

il dosaggio dei fenoli è stato effettuato con metodo colorimetrico<br />

(4). La determinazione del benzene ematico è stata effettuata<br />

con metodica gas-cromatografica con un rilevatore di massa a<br />

spazio di testa dinamico secondo Brugnone et al. (5). Le concentrazioni<br />

più basse del limite di rilevamento sono state considerate<br />

la metà della soglia minima di rilevazione (6). L’analisi<br />

statistica è stata condotta con il programma SPSS-PC (SPSS,<br />

Italia). I dati sono stati analizzati con test t di Student e correlazione<br />

di Pearson. Il limite di significatività è stato fissato per valori<br />

di p ≤ 0,05.<br />

Ri<strong>sul</strong>tati<br />

Dai questionari, compilati in modo esaustivo, ri<strong>sul</strong>ta che<br />

tutti i lavoratori risiedevano in aree della città a non elevata<br />

densità di traffico veicolare, nessuno aveva consumato bevande<br />

alcoliche tali da presumere un’assunzione di alcool maggiore<br />

di 40 g, e tutti avevano svolto il turno di lavoro del mattino<br />

o quello giornaliero con una durata complessiva di almeno<br />

8 ore. Durante il lavoro nessuno aveva dovuto far uso di<br />

maschere con filtro o respiratori per esposizioni accidentali, e<br />

tutti avevano usato regolarmente gli abituali dispositivi di protezione.<br />

Non vi erano differenze per l’abitudine tabagica tra<br />

esposti (40%) e non esposti (42%). Il body mass index medio<br />

era di 25,67 ±3,02 nei soggetti esposti e di 25,91 ±3,60 nei<br />

non esposti.<br />

I ri<strong>sul</strong>tati dei valori dei fenoli urinari sono sempre stati al di<br />

sotto di 50 mg/g di creatinina, valore adottato dall’ACGIH fino<br />

al 1995 come indicatore <strong>biologico</strong>. Benché valori maggiori siano<br />

stati riscontrati nei soggetti esposti (32,28 ±14,90 mg/g cr.) rispetto<br />

ai non esposti (23,87 ±55,0 mg/g cr.), la differenza non è<br />

statisticamente significativa.<br />

In 10 esposti ed in 7 non esposti i livelli ematici di benzene<br />

erano inferiori al limite di rivelazione. Le concentrazioni medie<br />

di benzene ematico negli esposti erano significativamente più<br />

elevate a fine turno rispetto ad inizio turno; mentre non si osservano<br />

differenze nel gruppo di controllo (tabella I).


G Ital Med Lav Erg 2004; 26:4, Suppl COMUNICAZIONI ORALI E POSTER SUL MONITORAGGIO BIOLOGICO<br />

www.gimle.fsm.it 111<br />

Tabella I. Valori di benzene ematico (ng/L) riscontrati<br />

nei lavoratori esposti e nei non esposti<br />

Analizzando la benzenemia nei fumatori riscontriamo un aumento<br />

a fine turno rispetto ad inizio turno: significativo negli<br />

esposti (84,93 ±22,29 ng/L vs. 59,47 ±17,45 ng/L), non significativo<br />

nei non esposti (29,93 ±52,29 ng/L vs. 24,47 ±17,45 ng/L).<br />

Discussione<br />

Inizio turno Fine turno<br />

Esposti 57,42 ±15,68°* 69,08 ±24,74°^<br />

Non esposti 22,48 ±17,67* 23,02 ±13,36^<br />

°p≤0,05, t di Student per dati appaiati, inizio turno vs fine turno.<br />

* p≤0,05, t di Student per campioni indipendenti, inizio turno esposti vs<br />

inizio turno non esposti.<br />

^ p≤0,05, t di Student per campioni indipendenti, fine turno esposti vs fine<br />

turno non esposti.<br />

Il dosaggio del benzene ematico sembra in grado di distinguere<br />

i lavoratori esposti a basse concentrazioni di benzene dai<br />

non professionalmente esposti. Ri<strong>sul</strong>tati analoghi erano stati osservati<br />

da Ong et al (3), che hanno rilevato una buona correlazione<br />

(r=0,64) tra la concentrazione di benzene in ambiente e<br />

benzene ematico, e da Brugnone et al. (1, 7), anche se le benzenemie<br />

dei lavoratori delle raffinerie, rilevate da questi ultimi,<br />

sembrano essere più elevate rispetto alle nostre (inizio turno=174<br />

ng/L, fine turno=251 ng/L) (1). Le benzenemie del nostro studio<br />

sono simili a quelle di 75 ng/L rilevate da Brugnone et al. (7) nel-<br />

la popolazione di soggetti non esposti non fumatori. Il fumo determina<br />

un aumento del benzene ematico, anche se non abbiamo<br />

riscontrato una relazione tra benzenemia e numero di sigarette fumate<br />

nelle ultime 2 ore precedenti il prelievo, come invece è stato<br />

rilevato dagli studi di Brugnone et al (5).<br />

Riteniamo dunque che ulteriori studi debbano valutare il benzene<br />

ematico per poterlo considerare come indicatore di esposizione<br />

per le basse concentrazioni di benzene.<br />

Bibliografia<br />

1) Brugnone F, Perbellini L, Romeo L. Benzene in blood as a biomarker<br />

of low level occupational exposure. Sci Tot Environ 1999;<br />

235: 247-52.<br />

2) Ducos P, Gaudin R, Bel J. T,t-muconic acid, a reliable biological indicator<br />

for the detection of individual benzene exposure down to the<br />

ppm level. Int Arch Occup Environ Health 1992; 64: 309-3.<br />

3) Ong CN, Kok PW, Ong HY. Biomarkers of exposure to low concentrations<br />

of benzene: a field assessment. Occup Environ Med 1996;<br />

53: 328-3.<br />

4) Yamaguchi Y, Hayashi C. Determination of urinary total phenolic<br />

compounds with use of 4-aminoantipyrine: suggested screening test<br />

for hyperthyroidism and for catecholamine-producing tumor. Clin<br />

Chem 1977; 23: 2151-4.<br />

5) Brugnone F, Perbellini L, Maranelli G. Reference values for blood<br />

benzene in occupationally unexposed general population. Int Arch<br />

Occup Environ Health 1992; 64: 179-84.<br />

6) Hornung RW, Reed LD. Estimation of average concentration in the<br />

presence of non detectable values. Appl Occup Environ Hyg 1990;<br />

5: 46-51.<br />

7) Brugnone F, Perbellini L, Romeo L. Esposizione ambientale e livelli<br />

ematici di benzene negli addetti agli impianti di distribuzione carburanti.<br />

Med Lav 1996; 88: 131-47.

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