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IL LODO RITROVATO<br />
Una quaestio e un referendum<br />
sulla legge n. 124 del 2008<br />
Atti del Seminario<br />
Ferrara, 27 marzo 2009<br />
a cura di<br />
ROBERTO BIN, GIUDITTA BRUNELLI, ANDREA GUAZZAROTTI<br />
ANDREA PUGIOTTO, PAOLO VERONESI<br />
G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO
© Copyright 2009 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO<br />
VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100<br />
http://www.giappichelli.it<br />
ISBN/EAN 978-88-348-9675-4<br />
Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun<br />
<strong>volume</strong>/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68,<br />
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2000.<br />
Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine<br />
non superiore al 15% del presente <strong>volume</strong>, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata<br />
da AIDRO, via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02-80.95.06, e-mail: aidro@iol.it
INDICE<br />
Documentazione X<br />
Prefazione XII<br />
Traccia per la discussione XVI<br />
Relazione introduttiva<br />
LA SOSPENSIONE DEI PROCESSI PENALI<br />
RELATIVI ALLE ALTE CARICHE DELLO STATO<br />
DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE<br />
di GIULIO MARIA SALERNO 1<br />
Intervento programmato<br />
QUESTIONI PROCESSUALI<br />
NELL’APPLICAZIONE DELLA LEGGE 23 LUGLIO 2008, N. 124<br />
di RENZO ORLANDI 30<br />
Discussione<br />
VERITÀ PROCESSUALE E DIRITTO ALL’INFORMAZIONE<br />
di PIETRO ADAMI 38<br />
IL LODO ALFANO E LA “FORZA DEI SIMBOLI”<br />
di MATTEO BELLINA 41<br />
A PROPOSITO DELL’ITER PARLAMENTARE<br />
DELLA LEGGE. N. 124 DEL 2008<br />
di CHIARA BERGONZINI 47<br />
pag.
VI<br />
Indice<br />
LA (IM)PROCEDIBILITÀ DELL’AZIONE PENALE NEI CONFRONTI<br />
DEL CAPO DELLO STATO IN PENDENZA DI MANDATO<br />
(NOTA A MARGINE DELLA LEGGE N. 124 DEL 2008)<br />
di FRANCESCO BIAGI 51<br />
UN PRIVILEGIO ILLEGITTIMO (ANCHE PER VIZIO FORMALE)<br />
di GIUDITTA BRUNELLI 59<br />
LA TUTELA DEL SERENO SVOLGIMENTO<br />
DELL’ATTIVITÀ DELLE ALTE CARICHE NELLO STATO DI DIRITTO<br />
di LORENZA CARLASSARE 64<br />
«NON MI AVRETE MAI COME VOLETE VOI»:<br />
NUOVA LEGGE, VECCHI VIZI<br />
di CORRADO CARUSO 67<br />
PROBLEMI DI RAGIONEVOLEZZA<br />
A PROPOSITO DEL C.D. LODO ALFANO<br />
di STEFANO CATALANO 72<br />
APPUNTI SULLE QUESTIONI SOTTOPOSTE ALLA CORTE<br />
E SUI POSSIBILI ESITI DEI GIUDIZI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE<br />
DEL “LODO ALFANO”<br />
di MARCELLO CECCHETTI 77<br />
LEGGE ALFANO ED INDAGINI PRELIMINARI:<br />
LE RAGIONI DI UN’INAMMISSIBILITÀ<br />
di MARGHERITA CERIZZA e MARCO MAZZARELLA 87<br />
QUIRINALE E LEGGE ALFANO:<br />
RIFLESSIONI SULLE ESTERNAZIONI PRESIDENZIALI<br />
di DANIELE CHINNI 95<br />
SUI VIZI PROCEDIMENTALI DEL C.D. LODO ALFANO<br />
di SALVATORE CURRERI 101<br />
IL LODO ALFANO TRA FORMA DI STATO E FORMA DI GOVERNO<br />
(OVVERO: LA «PELLE DI ZIGRINO» DEL REGIME PARLAMENTARE)<br />
di SEBASTIANO DONDI 107<br />
SOTTO L'INTERESSE APPREZZABILE:<br />
IL PRINCIPIO DI SEPARAZIONE DEI POTERI O NIENTE?<br />
di PIETRO FARAGUNA 113<br />
pag.
Indice VII<br />
L’INSOSTENIBILE RAGIONEVOLEZZA DEL “LODO”<br />
di FEDERICO FURLAN 119<br />
QUADRARE IL CERCHIO<br />
(IL “LODO ALFANO” FRA L’ “OMBRA” DEL GIUDICATO<br />
E I POTERI IN EQUILIBRIO)<br />
di GUIDO GALIPÒ 124<br />
BREVE NOTA INTORNO ALLA LEGGE N. 124 DEL 2008<br />
di LORETTA GESLAO 130<br />
LA SOSPENSIONE DEI PROCESSI<br />
PER LE ALTE CARICHE NELLA LEGGE N. 124 DEL 2008:<br />
DI LODO IN LODO, L'INCOSTITUZIONALITÀ NON CAMBIA<br />
di TOMMASO FRANCESCO GIUPPONI 136<br />
LA LEGITTIMITÀ DEL “LODO ALFANO”<br />
TRA CONTROLLO DEL CAPO DELLO STATO<br />
E CONTROLLO DELLA CORTE COSTITUZIONALE<br />
di MARIA CRISTINA GRISOLIA 143<br />
CONSIDERAZIONI SPARSE IN TEMA DI LODI RITROVATI<br />
E QUESTIONI DI COSTITUZIONALITÀ MAI PERDUTE.<br />
A PROPOSITO DI ALCUNI DICTA, NON DICTA E OBITER DICTA<br />
CONTENUTI NELLA SENTENZA N. 24/2004<br />
di ENRICO GROSSO 148<br />
SULLA COSTITUZIONE DEL PUBBLICO MINISTERO<br />
NEL GIUDIZIO DINANZI ALLA CORTE<br />
di STEFANIA LEONE 158<br />
UNA LEGGE APPROVATA IN GRAN FRETTA,<br />
SULLA BASE DEI “PEGGIORI” PRECEDENTI<br />
di NICOLA LUPO 163<br />
VIOLAZIONE DELL’ART. 138 COST., “ASSORBIMENTO IMPROPRIO”<br />
DELLE CENSURE DI INCOSTITUZIONALITÀ<br />
E GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE<br />
di CESARE MAINARDIS 171<br />
“LODO” ALFANO: L’INADEGUATEZZA INTRINSECA<br />
DELLA LEGGE ORDINARIA E LA PRATICABILITÀ (IN ASTRATTO)<br />
DI UNA REVISIONE COSTITUZIONALE<br />
di CLAUDIO MARTINELLI 177<br />
pag.
VIII<br />
Indice<br />
EUROPA E GARANZIA DELL’IMMUNITÀ<br />
di VINCENZO MARZUILLO 183<br />
PRESUNZIONE DI LEGITTIMO IMPEDIMENTO<br />
E RAGIONEVOLE DURATA DEL PROCESSO<br />
di DANIELE NEGRI 189<br />
EGUAGLIANZA COME PARITÀ DI TRATTAMENTO<br />
E SOSPENSIONE DEI PROCESSI<br />
di ELISA OLIVITO 192<br />
L’INTERVENTO DEL PUBBLICO MINISTERO<br />
NEL PROCESSO COSTITUZIONALE<br />
di MARCO PIERANGELI 197<br />
LA LEGGE ALFANO E LA SENTENZA N. 24/2004<br />
(OVVERO: I «FANTASTICI QUATTRO» TRA LODO RITROVATO<br />
E COSTITUZIONE NUOVAMENTE VIOLATA)<br />
di ROBERTO PINARDI 203<br />
ALBUM E FIGURINE:<br />
L’INTRINSECA IRRAGIONEVOLEZZA DEL LODO<br />
EMPIRICAMENTE DIMOSTRATA<br />
di ANDREA PUGIOTTO 211<br />
CI VOLEVA UNA LEGGE COSTITUZIONALE!<br />
di GIUSEPPE UGO RESCIGNO 220<br />
IL “LODO” IRRAGIONEVOLE<br />
di ANTONIO RUGGERI 222<br />
SOSPENSIONE DEI PROCESSI PENALI<br />
NEI CONFRONTI DELLE ALTE CARICHE DELLO STATO,<br />
TUTELA DEL SERENO ESERCIZIO DELLE FUNZIONI,<br />
LEGITTIMO IMPEDIMENTO A COMPARIRE AL PROCESSO<br />
di STEFANO RUGGERI 234<br />
EGUAGLIANZA, BILANCIAMENTI E PRINCIPI FONDAMENTALI:<br />
OSSERVAZIONI A MARGINE DELLA SENTENZA N. 24/2004<br />
di VINCENZO SCIARABBA 244<br />
DUE RIFLESSIONI SULLA QUAESTIO DELLA LEGGE N. 124 DEL 2008:<br />
FORMA E MATERIA COSTITUZIONALE E TERTIUM COMPARATIONIS<br />
(COME “CONVITATO DI PIETRA”?) NEI GIUDIZI DI EGUAGLIANZA<br />
di GIUSI SORRENTI 249<br />
pag.
Indice IX<br />
SULL’ETEROGENEITÀ DELLE CARICHE BENEFICIARIE<br />
DEL «LODO ALFANO» E SULLA POSIZIONE DEL CAPO DELLO STATO<br />
di ANGIOLETTA SPERTI 263<br />
LE IMMUNITÀ: PROFILI DI DIRITTO PENALE SOSTANZIALE<br />
di EVA STANIG 269<br />
IL PUBBLICO MINISTERO NELLA DIALETTICA<br />
TRA POTERE ESECUTIVO E POTERE GIUDIZIARIO<br />
di FRANCESCO TRAPELLA 276<br />
IL LODO PERDE IL NOME MA NON I VIZI D’ILLEGITTIMITÀ<br />
di PAOLO VERONESI 279<br />
LA LEGGE ALFANO, TRA VECCHIE INCOSTITUZIONALITÀ<br />
E NUOVE TENDENZE DELLA DEMOCRAZIA<br />
di GIULIO ENEA VIGEVANI 289<br />
SOSPENSIONE PROCESSUALE E AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE<br />
di MICHELINO VILLANI 294<br />
IL LODO ALFANO: LE EREDITÀ DEL PASSATO E I DIFFICILI EQUILIBRI<br />
TRA POTERE POLITICO E POTERE GIUDIZIARIO<br />
di NICOLÒ ZANON 300<br />
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE<br />
di GIULIO MARIA SALERNO 304<br />
pag.
DOCUMENTAZIONE<br />
[Tutti i documenti sono consultabili nel sito<br />
<strong>dei</strong> Seminari “preventivi” ferraresi,<br />
all’indirizzo http://www.unife.it/amicuscuriae]<br />
ATTI DI PROMOVIMENTO E QUESITO REFERENDARIO<br />
Ordinanza n. 9 del 26 settembre 2008, G.i.p. del Tribunale penale di Roma.<br />
Ordinanza n. 397 del 26 ottobre 2008, Tribunale di Milano, sez. I Penale.<br />
Ordinanza n. 398 del 4 ottobre 2008, Tribunale di Milano, sez. X Penale.<br />
Quesito abrogativo referendario.<br />
DOCUMENTAZIONE PROCESSUALE<br />
Memoria di costituzione del Procuratore della Repubblica (dott. Manlio Minale) e del<br />
Sostituto Procuratore della Repubblica (dott. Fabio De Pasquale) presso il Tribunale di<br />
Milano [reg. ord. n. 397 del 2008].<br />
Memoria di costituzione del Procuratore della Repubblica (dott. Manlio Minale) e del<br />
Sostituto Procuratore della Repubblica (dott. Fabio De Pasquale) presso il Tribunale di<br />
Milano [reg. ord. n. 398 del 2008].<br />
Benché richiesti, non è stato possibile – alla data del Seminario – acquisire gli atti di<br />
intervento davanti alla Corte costituzionale dell’Avvocatura dello Stato e della difesa<br />
privata dell’imputato.<br />
NORMATIVA<br />
Legge 26 luglio 2008, n. 124 “Disposizioni in materia di sospensione del processo penale<br />
nei confronti delle alte cariche dello Stato”.<br />
Art. 1, Legge 20 giugno 2003, n. 140 “Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68<br />
della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche<br />
dello Stato”.
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE<br />
E DI RILIEVO COSTITUZIONALE<br />
Sentenza n. 24 del 2004.<br />
Sentenza n. 25 del 2004.<br />
Ufficio centrale per il Referendum, ordinanza 4 febbraio 2004.<br />
DOCUMENTAZIONE DI RILIEVO<br />
Lettera del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi al Presidente del Senato Renato Schifani,<br />
in data 16 giugno 2008.<br />
AC N. 1442-A, Disegno di legge presentato il 2 luglio 2008 dal Ministro della Giustizia (Alfano),<br />
“Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte<br />
cariche dello Stato”.<br />
Questione di pregiudizialità costituzionale n. 2, Soro e altri (<strong>Camera</strong>, seduta n. 31, 9 luglio<br />
2008).<br />
Comunicato del Quirinale in data 2 luglio 2008, “Il Presidente della Repubblica, Giorgio<br />
Napolitano, autorizza la presentazione alle Camere del DDL in materia di processi penali<br />
alle alte cariche dello Stato”.<br />
Comunicato del Quirinale in data 23 luglio 2008, “Il Presidente Napolitano ha promulgato la<br />
legge in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato”.<br />
Appello “In difesa della Costituzione”, 4 luglio 2008.<br />
“Appello alla ragione per un nuovo rapporto tra politica e giustizia”, 9 luglio 2008.<br />
XI
PREFAZIONE<br />
A volte ritornano. Non sono in grado di dire quante volte sia accaduto, ammesso che sia<br />
già accaduto. Dubito, tuttavia, che possa vantare qualche precedente la vicenda che abbiamo<br />
scelto come oggetto dell’annuale Seminario “preventivo” ferrarese. La si può raccontare<br />
così: un corpo normativo inedito (anche nel diritto comparato), subito impugnato incidentalmente,<br />
è annullato in toto; ciò nonostante, dopo qualche anno, viene legislativamente riproposto<br />
(in parte novato, in parte identico al precedente), di nuovo è subito impugnato incidentalmente,<br />
ed ora si trova in attesa del responso <strong>dei</strong> giudici costituzionali. Sullo sfondo –<br />
ora come allora – si registra un conflitto istituzionale tra potere politico e potere giudiziario,<br />
un confronto parlamentare sorprendentemente accelerato, una sovraesposizione del Presidente<br />
della Repubblica in sede di promulgazione (ma questa volta anche di autorizzazione al<br />
disegno di legge governativo), un immediato ricorso pure allo strumento dell’abrogazione<br />
popolare referendaria.<br />
È la complicata e controversa biografia del “lodo”, qualificazione certamente impropria<br />
sul piano tecnico giuridico ma ormai comunemente invalsa nella sfera del dibattito pubblico,<br />
tanto da non poterla dismettere neppure in ambito scientifico.<br />
Come noto, infatti, la stasi processuale per reati extrafunzionali di cui risultino imputati<br />
soggetti titolari pro tempore di una delle Alte cariche dello Stato era già stata introdotta<br />
dall’art. 1, legge 20 giugno 2003, n. 140. Allora chiamato lodo Maccanico (se guardato da<br />
destra) o lodo Schifani (se visto da sinistra) ebbe vita breve (ma turbolenta), interrotta dalla<br />
dichiarazione d’illegittimità della sentenza costituzionale n. 24/2004. La misura ora reintrodotta<br />
dal lodo Alfano (legge 26 luglio 2008, n. 124) ne è una versione riveduta e corretta,<br />
proprio alla luce di quel precedente accertamento d’incostituzionalità.<br />
Il problema è capire se il recente intervento di ortopedia legislativa abbia raddrizzato le<br />
storture costituzionali della sospensione del processo penale nei confronti delle Alte cariche<br />
dello Stato.<br />
***<br />
È ciò di cui dubitano le due ordinanze di rinvio del Tribunale di Milano, affiancate da<br />
una terza ordinanza, questa volta promossa dal G.i.p. del Tribunale penale di Roma. È da<br />
questi atti di promovimento che ha preso avvio l’appuntamento ferrarese.<br />
Gli interrogativi non mancano. Davvero la sospensione processuale, veicolata attraverso<br />
la legge n. 124 del 2008, è ora formulata in termini tali da soddisfare l’esigente<br />
parametro dell’art. 136, comma 1, Cost.? L’ordinanza milanese n. 397 lo nega, con<br />
specifico riferimento all’assimilazione di cariche eterogenee (i Presidenti della Repubblica,<br />
del Senato, della <strong>Camera</strong>, del Consiglio) e alla differenziazione irragionevole tra<br />
Presidenti e componenti degli organi da loro presieduti: in ciò, al netto dell’esclusione<br />
del Presidente della Corte costituzionale, la disciplina sarebbe identica a quella già<br />
precedentemente annullata. Analogamente, l’ordinanza milanese n. 398 denuncia che la<br />
nuova disciplina non sanerebbe quei connotati di generalità e di automatismo che il<br />
Giudice delle leggi già ritenne incostituzionali.
Prefazione<br />
Entrambi i giudici a quibus milanesi, inoltre, ripropongono alla Corte costituzionale una<br />
serie di censure rimaste “assorbite” nella sua pronuncia del 2004. La misura della sospensione<br />
del processo penale nei confronti di un’Alta carica dello Stato non incide su materia<br />
tipicamente costituzionale? E se così è, il ricorso alla legge ordinaria non si rivela vettore<br />
normativo inadeguato sotto il profilo della riserva costituzionale di competenza, con ciò violando<br />
l’art. 138 Cost.? Operando quale scudo processuale per reati privati ed extrafunzionali,<br />
non si cela dietro il lodo rinnovato un ingiustificato privilegio lesivo del principio di eguaglianza?<br />
Una esenzione così prolungata, per quanto non più sine die, non mette forse a repentaglio<br />
i principi della ragionevole durata e di efficienza del processo, anche in considerazione<br />
del silenzio normativo sull’utilizzabilità delle prove già assunte, a rischio di dispersione?<br />
Viene altresì introdotto, dall’ordinanza n. 398, un inedito profilo di incostituzionalità della<br />
disposizione impugnata. Il lodo mira ad assicurare il sereno svolgimento delle rilevanti<br />
funzioni che ineriscono alle Alte cariche dello Stato: anche ad ammettere la natura funzionale<br />
di tale interesse (certo non riconducibile alla mera serenità psicologica della persona fisica<br />
che assume la carica), non si rivela irragionevole una disciplina che, a parità di bene tutelato,<br />
introduce per reati extrafunzionali un regime difforme da quanto costituzionalmente<br />
previsto per reati funzionali?<br />
***<br />
Rispetto agli atti di promovimento milanesi, l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale penale di<br />
Roma ha una sua indubbia peculiarità. Essa propone – questa volta però attraverso vie ordinamentali<br />
ortodosse – un nodo interpretativo che, vigente il precedente lodo, fu addirittura<br />
tagliato gordianamente dall’allora Guardasigilli il quale, per quella sua iniziativa, venne fatto<br />
oggetto di una mozione di sfiducia individuale (poi negata dal Senato). Il problema è (ed<br />
era) quello dell’autentico ambito applicativo della sospensione processuale: circoscritto alla<br />
sola fase dibattimentale o, invece, capace da interrompere l’esercizio dell’azione penale fin<br />
dalla fase delle indagini preliminari?<br />
La formulazione del lodo, ambigua sul punto oggi non meno di ieri, viene risolta dal giudice<br />
a quo a favore della sua massima estensione possibile. In letargo, insomma, andrebbe<br />
non il processo ma l’intero procedimento penale nei confronti dell’Alta carica. Si tratta di un<br />
esito normativo che il G.i.p. romano valuta non conforme ad un ventaglio di parametri costituzionali:<br />
vengono chiamati in causa i principi di eguaglianza di fronte alla giurisdizione, di<br />
ragionevolezza, di ragionevole durata del processo e, ovviamente, di obbligatorietà<br />
dell’azione penale.<br />
Si può condividere o meno l’interpretazione della legge n. 124 del 2008 che l’atto di promovimento<br />
assume in premessa. Ma l’impressione è che essa venga sposata dal remittente al<br />
fine di ottenere dalla Corte costituzionale un pronunciamento interpretativo sulla disposizione<br />
impugnata (anche nella forma dell’inammissibilità per mancata interpretazione adeguatrice<br />
o per difetto di rilevanza), di cui verrebbe così certificata l’applicabilità esclusivamente<br />
alla sola fase dibattimentale. Con il che, verrebbe comunque fatta chiarezza su una grave e<br />
perniciosa incertezza ermeneutica.<br />
Peraltro, l’ordinanza romana ripropone, radicalizzandoli, i dubbi sull’inidoneità di un<br />
qualsiasi vettore normativo (sia esso una legge ordinaria o costituzionale) a sovvertire connotati<br />
fondamentali dell’ordinamento dello Stato ormai assurti al rango di veri e propri<br />
principi supremi.<br />
***<br />
XIII
XIV<br />
Prefazione<br />
A riprova delle potenzialità di un contraddittorio allargato davanti alla Corte costituzionale,<br />
nel giudizio incidentale che verrà i giudici di Palazzo della Consulta saranno chiamati<br />
a risolvere anche un problema squisitamente processuale: il pubblico ministero, parte del<br />
giudizio a quo, è legittimato ad intervenire nel giudizio ad quem?<br />
Fino ad oggi la risposta è stata negativa: ad avviso della Corte, non è prevista né disciplinata<br />
dalle norme generali e dalle norme integrative di procedura, nei giudizi incidentali<br />
di legittimità costituzionale, la possibilità di un intervento del pubblico ministero<br />
del giudizio principale. Né a tale omissione – che la Corte ha sempre letto come implicita<br />
esclusione – sarebbe possibile rimediare attraverso un’applicazione analogica<br />
della disciplina dettata per le parti in senso proprio.<br />
A rimettere in discussione questo consolidato orientamento giurisprudenziale ci prova,<br />
ora, l’Ufficio del pubblico ministero presso il Tribunale di Milano che – nelle persone del<br />
Procuratore Minale e del Sostituto Procuratore De Pasquale – ha presentato formali atti di<br />
costituzione davanti alla Corte costituzionale, eccependo preliminarmente la possibilità di un<br />
proprio intervento.<br />
È ipotizzabile, sul punto, un revirement processuale da parte della Corte?<br />
***<br />
Il ritorno sulla scena dell’istituto della sospensione processuale a favore delle Alte cariche<br />
dello Stato ha messo in moto non solo il controllo di costituzionalità delle leggi ma anche<br />
altri veto players ordinamentali, con i quali la Corte costituzionale sarà costretta (formalmente<br />
o informalmente) ad interloquire.<br />
Il lodo Alfano, infatti, ha già superato il vaglio di legittimità costituzionale del Presidente<br />
della Repubblica. Il quale, con scelta non rituale, ha motivato le proprie valutazioni sia in<br />
sede di autorizzazione del disegno di legge sia di promulgazione della legge, facendo espresso<br />
richiamo alla sentenza n. 24/2004 e alle condizioni da essa poste.<br />
Piaccia o non piaccia, il giudizio di costituzionalità cui ora è chiamata la Corte intreccerà<br />
anche l’operato del Capo dello Stato. La domanda non può essere taciuta: come ed in<br />
quale misura la delibazione presidenziale potrà entrare in gioco nel sindacato incidentale<br />
spettante ai giudici costituzionali, con specifico riferimento ai profili di illegittimità esclusi<br />
dal Quirinale eppure proposti dai giudici a quibus?<br />
Nei confronti del lodo Alfano è subito scattato anche il correttivo referendario alla novità<br />
legislativa votata dalla (sola) maggioranza parlamentare, nella forma di un quesito abrogativo<br />
integrale dell’articolo unico di cui si compone la legge n. 124 del 2008. Sull’ammissibilità<br />
di tale quesito (depositato il 30 luglio 2008 e le cui firme necessarie sono già state<br />
raccolte e consegnate in Cassazione il 7 gennaio scorso) la Corte dovrà pronunciarsi entro il<br />
febbraio 2010, una volta superato il vaglio di legittimità dell’Ufficio centrale per il referendum.<br />
Accadde già nei confronti del precedente lodo: allora la Corte costituzionale – con sentenza<br />
n. 25/2004 – dichiarò ammissibile il referendum abrogativo dell’art. 1, legge n. 140 del<br />
2003, le cui operazioni non ebbero poi corso per la contestuale declaratoria d’illegittimità<br />
costituzionale (cfr. Ufficio centrale per il referendum, ordinanza 4 febbraio 2004). Il quesito<br />
ora proposto presenta profili di inammissibilità, non adeguatamente vagliati nella precedente<br />
occasione? Lo schema operativo cui si attenne la Corte costituzionale nelle coeve sentenze<br />
nn. 24 e 25/2004 aveva e mantiene tuttora una sua coerenza? Quale rapporto intercorre tra<br />
giudizio incidentale e giudizio di ammissibilità in ipotesi come quella in esame?<br />
Laddove, invece, non hanno affatto funzionato i “pesi” e “contrappesi” ordinamentali è<br />
stato nel procedimento deliberativo poi approdato alla legge n. 124 del 2008. Davvero, per
Prefazione<br />
l’occasione, ridotto a simulacro: 23 giorni sono trascorsi tra il deposito dell’iniziativa legislativa<br />
governativa e l’entrata in vigore del lodo, corrispondenti a un totale di 34 ore effettive<br />
per il complessivo “esame” parlamentare.<br />
Ecco perché, per quanto non prospettato da alcun giudice a quo, è parso opportuno sollecitare<br />
una risposta anche al seguente interrogativo (dal quale è nato uno <strong>dei</strong> filoni più interessanti<br />
del dibattito svoltosi a Ferrara): un iter legislativo caratterizzato da ritmi così chapliniani,<br />
oltre ad eludere nella sostanza la procedura e le garanzie imposte dall’art. 72 Cost.,<br />
non trascina con sé veri e propri vizi formali di costituzionalità?<br />
***<br />
L’iter parlamentare del lodo. Il bene giuridico tutelato dal lodo. Il tasso di novità normativa<br />
del lodo. L’impatto del lodo nel processo penale. Il processo costituzionale al lodo.<br />
L’abrogazione referendaria del lodo. È con questi temi – declinati all’interno della traccia di<br />
discussione elaborata per l’occasione – che si è misurato il dodicesimo seminario della nostra<br />
artigianale filiera.<br />
Apprezzandone la serietà di studioso, abbiamo chiesto a Giulio Maria Salerno (Ordinario<br />
di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Macerata) di assumersi l’onere della<br />
relazione introduttiva. Dei due “appelli” sottoscritti nel luglio 2008 da costituzionalisti e fatti<br />
oggetto di dibattito pubblico, la firma del nostro Relatore compariva in calce al documento<br />
non critico nei confronti del lodo Alfano; così come suo è uno <strong>dei</strong> primi commenti dottrinali<br />
alla legge n. 124 del 2008, largamente assolutorio verso il prodotto normativo. Affidargli<br />
l’intervento di apertura del nostro appuntamento ci è sembrato il modo migliore per testimoniarne<br />
il carattere aperto e non precostruito a favore della tesi opposta (pubblicamente condivisa<br />
dai promotori del seminario ferrarese). Certi, comunque, che il successivo dibattito,<br />
ampio e altrettanto libero, avrebbe permesso di recuperare anche argomenti di segno contrario<br />
(come puntualmente è accaduto).<br />
In considerazione <strong>dei</strong> non semplici profili di rito penale coinvolti dalla normativa impugnata<br />
e da alcune delle censure <strong>dei</strong> giudici a quibus, abbiamo ritenuto (più che opportuno,<br />
addirittura) indispensabile avvalerci delle note e da tutti apprezzate competenze di un collega<br />
già ferrarese, Renzo Orlandi (Ordinario di Diritto processuale penale nell’Università di<br />
Bologna), attraverso un apposito intervento programmato. Con ciò ricalcando uno schema<br />
di lavoro interdisciplinare già felicemente collaudato in occasione del Seminario “preventivo”<br />
del 2005, in tema di favor rei e falso in bilancio.<br />
Ai nostri due principali ospiti, per il loro impegnativo lavoro, va il ringraziamento<br />
dell’intero gruppo costituzionalistico ferrarese.<br />
La discussione, come sempre franca ed informale nonché caratterizzata da numerosissimi<br />
contributi, rivive in replay grazie alla sua registrazione integrale audiovideo, fruibile – intervento<br />
per intervento – nell’oramai ricco sito http://www.unife.it/amicuscuriae. E trova ora la<br />
sua versione scritta, riveduta e ampliata (ed arricchita di ulteriori contributi) in questo ebook<br />
che – a noi pare – non sfigura affatto accanto agli altri volumi raccolti nella collana<br />
amicus curiae dell’editore Giappichelli.<br />
XV<br />
ANDREA PUGIOTTO
Sull’iter legislativo del lodo<br />
TRACCIA PER LA DISCUSSIONE<br />
[In neretto sono indicati i documenti scaricabili<br />
alla pagina web http://www.unife.it/amicuscuriae]<br />
1.1. Il lodo Alfano è diventato legge in soli ventitre giorni: tale è l’arco temporale<br />
che separa la presentazione del relativo disegno di legge AC n. 1442-A (2 luglio)<br />
dall’entrata in vigore della legge n. 124 del 2008 (26 luglio).<br />
Una deliberazione così accelerata – secondo l’opposizione parlamentare – ha comportato<br />
la forzatura di precedenti parlamentari e la violazione di norme regolamentari<br />
almeno alla <strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> deputati [cfr. la questione di pregiudizialità costituzionale n.<br />
2, Soro e altri, presentata – ma respinta – nella seduta n. 31, 9 luglio 2008] .<br />
Si possono davvero riscontrare, nel procedimento approvativo del lodo, veri e propri<br />
vizi formali di costituzionalità della legge?<br />
1.2. Il lodo Alfano ha già superato il vaglio di legittimità costituzionale del Presidente<br />
della Repubblica. Il quale, con scelta non rituale, ha motivato le proprie valutazioni<br />
sia in sede di autorizzazione del disegno di legge [cfr. comunicato del Quirinale in data<br />
2 luglio 2008] sia di promulgazione della legge [cfr. comunicato del Quirinale in<br />
data 23 luglio 2008], facendo espresso richiamo alla sentenza n. 24/2004 della Corte<br />
costituzionale ed alle condizioni da essa poste.<br />
Se ed in che misura tale delibazione presidenziale potrà entrare in gioco nel sindacato<br />
di costituzionalità cui è ora chiamata la Consulta, con specifico riferimento ai profili di<br />
illegittimità esclusi dal Quirinale eppure proposti dai giudici a quibus?<br />
Sul bene giuridico tutelato dal lodo<br />
2.1. Nella sentenza n. 24/2004 la Corte costituzionale affermò che «il sereno svolgimento<br />
delle rilevanti funzioni» attribuite alle alte cariche, costituisce «un interesse apprezzabile<br />
che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di<br />
diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale» (Considerato in diritto,<br />
punto 4). Poco più oltre, la stessa Corte precisa che «alle origini della formazione<br />
dello Stato di diritto sta il principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione,<br />
il cui esercizio, nel nostro ordinamento, sotto più profili è regolato da precetti costituzionali»<br />
(Considerato in diritto, punto 6).<br />
Si pone quindi il problema di interpretare nel modo più consono tali affermazioni.<br />
La Corte formula con ciò la tesi per cui non è escluso, in astratto, che una legge ordinaria<br />
possa – a talune condizioni – perseguire tale obiettivo (e produrre quindi una disciplina<br />
funzionale a tale scopo)? O, invece – ben più nello specifico – si sta pronun-
Traccia per la discussione<br />
XVII<br />
ciando sulla concreta ipotesi di tutelare le Alte cariche mediante una sospensione processuale<br />
del tipo di quella coniata dalla legge n. 124 del 2008?<br />
In altri termini, la specifica trama normativa del lodo Alfano – a prescindere dalla<br />
sua ricostruzione come immunità o come mero istituto processuale – potrebbe davvero<br />
essere veicolata da una legge ordinaria oppure, in considerazione <strong>dei</strong> suoi peculiari profili,<br />
necessiterebbe comunque di una legge costituzionale?<br />
2.2. Le ordinanze di remissione milanesi accolgono l’ultima delle tesi appena illustrate,<br />
sostenendo la necessità di seguire la procedura di cui all’art. 138 Cost.<br />
A sostegno della loro tesi avanzano una serie di argomenti. Tra essi, quello per cui –<br />
comunque si voglia ricostruire la natura giuridica della sospensione processuale – si tratterebbe<br />
di «materia riservata, ex art. 138 Cost., al legislatore costituente [rectius: costituzionale],<br />
così come dimostrato dalla circostanza che tutti i rapporti tra gli organi con<br />
rilevanza costituzionale ed il processo penale sono definiti con norma costituzionale»<br />
[ordinanza n. 397]. Gli artt. 90 e 96 Cost. per i Presidenti della Repubblica e del Consiglio,<br />
come l’art. 68 Cost. per i Presidenti di <strong>Camera</strong> e Senato (quali membri del Parlamento),<br />
proverebbero infatti che l’attuale sistema della guarentigie predisposto per le<br />
Alte cariche dello Stato «è disciplinato esclusivamente da norme di rango costituzionale;<br />
esso naturalmente non costituisce un sistema chiuso […]; è tuttavia di immediata evidenza<br />
che ogni eventuale modifica può essere introdotta soltanto con norme di pari<br />
forza adottate secondo la procedura prevista dall’art. 138 della Costituzione» [ordinanza<br />
n. 398].<br />
Si tratta di una strategia argomentativa davvero decisiva?<br />
2.3. L’ordinanza di rimessione romana, sul punto, sembra ancora più radicale nei<br />
suoi esiti: «nessuna legge, sia costituzionale e tanto meno ordinaria, può sovvertire uno<br />
<strong>dei</strong> principi fondamentali dello Stato di diritto, rappresentato dalla parità <strong>dei</strong> cittadini<br />
di fronte alla giurisdizione, manifestazione a sua volta del principio di eguaglianza<br />
formale dinanzi alla legge» [ordinanza n. 9].<br />
Si giustifica, nel caso in esame, la chiamata in causa della dottrina <strong>dei</strong> controlimiti<br />
quale argine a modifiche, comunque illegittime, a principi supremi dell’ordinamento?<br />
2.4. Accogliendo invece l’idea per cui la materia in oggetto possa davvero trovare<br />
disciplina in una legge ordinaria, si pone il problema di prendere posizione sulla ragionevolezza<br />
del bilanciamento adottato dal lodo (e, quindi, della sua conformità ex art. 3<br />
Cost.).<br />
Quali sono i beni costituzionali bilanciati nella legge? Il loro contemperamento può<br />
definirsi adeguato? La legge n. 124 del 2008 rispetta inoltre l’esigenza che vi sia un equilibrio<br />
nei rapporti tra i poteri dello Stato coinvolti nel caso o privilegia, senza sfumature,<br />
solo alcuni di essi?<br />
2.5. Precludendo l’accertamento di fatti impeditivi compiuti precedentemente all’elezione<br />
o alla nomina all’Alta carica, la sospensione processuale introdotta dalla legge n.<br />
124 del 2008 finisce per rendere inefficaci eventuali cause di ineleggibilità sopravvenuta.<br />
In simili ipotesi, sull’altare del bene giuridico protetto dal lodo, non viene totalmente<br />
sacrificata la tutela dell’interesse giuridico cui è finalizzata la legislazione in materia di<br />
ineleggibilità?
XVIII<br />
Traccia per la discussione<br />
2.6. Viene altresì introdotto, dall’ordinanza n. 398, un inedito profilo di incostituzionalità<br />
della disposizione impugnata. Mirando ad assicurare il sereno svolgimento delle<br />
rilevanti funzioni che ineriscono alle Alte cariche dello Stato (non certo la loro mera<br />
serenità psicologica) la misura appare diretta alla protezione della funzione. Ma se così<br />
è, dove sta la ragionevolezza di una disciplina che, a parità di bene tutelato, introduce<br />
per reati extrafunzionali un regime difforme da quanto costituzionalmente previsto per<br />
reati funzionali?<br />
2.7. Come segnalato in dottrina, il diritto costituzionale positivo non prescrive la sospensione<br />
<strong>dei</strong> processi al Presidente del Consiglio imputato di reati ministeriali (l. cost.<br />
n. 1 del 1989) o al Capo dello Stato messo in stato d’accusa per alto tradimento o attentato<br />
alla Costituzione (l’art. 3, l. cost. n. 1 del 1989, prevedendo la possibilità – e non<br />
l’obbligo – della sospensione dalla carica, non ritiene incompatibile con l’esercizio<br />
dell’ufficio la sottoposizione ad un giudizio penale costituzionale). Analogamente, l’art.<br />
68 Cost. (in entrambe le sue formulazioni ante e post l. cost. n. 3 del 1993) non rileva<br />
incompatibilità di sorta tra esercizio della funzione (parlamentare) di Presidente<br />
d’Assemblea e impegni processuali.<br />
Alla luce di ciò, il bene giuridico tutelato dal lodo non risulta sproporzionatamente<br />
sopravvalutato?<br />
2.8. Sempre in dottrina, del resto, si è anche rammentato che la soluzione della temporanea<br />
sospensione del processo penale non è avallata costituzionalmente né dalla sent.<br />
n. 154/2004 (in riferimento a reati extrafunzionali del Capo dello Stato) né dal filone<br />
giurisprudenziale inaugurato con sent. n. 225/2001 (in riferimento al legittimo impedimento<br />
del parlamentare imputato di reati extrafunzionali).<br />
Alla luce di ciò, la tutela del bene giuridico che il lodo intende garantire richiede veramente<br />
un regime derogatorio del diritto comune?<br />
Sul tasso di novità normativa del lodo<br />
3.1. Rispetto al precedente dell’art. 1, legge n. 140 del 2003, il lodo Alfano si connota<br />
per alcune novità normative: la rinunciabilità della sospensione; la non reiterabilità<br />
della sospensione (salvo il caso di nuova nomina alla carica di Primo ministro nel corso<br />
della medesima legislatura); l’assunzione delle prove non rinviabili; la possibilità per la<br />
parte civile di trasferire l’azione in sede civile avvalendosi di termini abbreviati; l’esclusione<br />
del Presidente della Corte costituzionale dall’ambito soggettivo di applicazione.<br />
Si tratta di novità normative sufficienti a superare le censure di costituzionalità a suo<br />
tempo rilevate dalla sentenza n. 24/2004 della Corte costituzionale?<br />
3.2. Il lodo Alfano si caratterizza anche per la riproposizione di disposizioni ricalcate<br />
dal precedente dell’art. 1, legge n. 140 del 2003: l’automatismo della sospensione (salva<br />
rinuncia da parte dell’Alta carica dello Stato); il suo generalizzato ambito di applicazione<br />
per qualunque fattispecie di reato extrafunzionale indipendentemente dal tempus<br />
commissi delicti; la differenza di regime tra Presidente (del Senato, della <strong>Camera</strong>, del<br />
Consiglio) e membri del relativo organo collegiale (senatori, deputati, ministri);<br />
l’eterogeneità delle cariche apicali sottoposte al comune regime della sospensione processuale.
Traccia per la discussione<br />
XIX<br />
Tale identità normativa è sufficiente – come denunciano i giudici a quibus milanesi –<br />
per configurare la violazione (anche) dell’art. 136, comma 1, Cost.? Oppure è ravvisabile<br />
un mutamento di quadro normativo, rispetto a quello in cui intervenne la sentenza n.<br />
24/2004, tale da giustificare la (apparente) riproduzione di previsioni legislative già accertate<br />
come illegittime? O, addirittura, il parametro di cui all’art. 136, comma 1, Cost. è<br />
erroneamente invocato, vietando esso solo ed esclusivamente la mera conferma (mediante<br />
rinvio materiale) della vigenza della disposizione a suo tempo dichiarata incostituzionale?<br />
3.3. Tra le previsioni normative confermate c’è pure l’estensione della sospensione<br />
processuale (non solo per reati compiuti dopo l’assunzione della carica, ma anche) per<br />
reati commessi precedentemente all’assunzione della carica, allorché l’interessato era<br />
dunque, a tutti gli effetti, un privato cittadino.<br />
Ciò non produce una violazione del nucleo duro del diritto all’eguaglianza, che esclude<br />
qualunque distinzione in base alle «condizioni personali e sociali» (art. 3, comma<br />
1, Cost.)?<br />
3.4. A tenore del comma 5 del’articolo unico di cui si compone la legge n. 124 del<br />
2008, l’assunzione della carica di Presidente (della Repubblica, del Senato, della <strong>Camera</strong>,<br />
del Consiglio) è fatto costitutivo perché operi la sospensione processuale mentre il<br />
rinnovo nella medesima carica ovvero l’assunzione di una delle altre cariche sono fatti<br />
estintivi di tale sospensione processuale.<br />
Eppure – si è segnalato criticamente in dottrina – ciò non impedirebbe, al medesimo<br />
soggetto che ricopra in successione più Alte cariche, di avvalersi del lodo nei mandati<br />
successivi, purché imputato di un nuovo reato, trattandosi dunque della interruzione<br />
dell’esercizio di una nuova azione penale.<br />
Davvero, allora, quella introdotta dal lodo è una sospensione processuale non reiterabile?<br />
Se invece si respinge come infondata la prospettata interpretazione, la non reiterabilità<br />
della sospensione processuale non contraddice irrazionalmente la ratio cui si ispira<br />
la legge n. 124 del 2008?<br />
Sull’impatto del lodo nel processo penale<br />
4.1. Assumendo che il meccanismo introdotto da lodo costituisca non già<br />
un’immunità bensì un mero istituto processuale, si pone il problema di collocare<br />
quest’ultimo entro il sistema delle sospensioni già previste per il rito penale. A tal proposito<br />
nella sentenza n. 24/2004, pur riconoscendo la possibilità per il legislatore di introdurre<br />
«sospensioni finalizzate alla soddisfazione di esigenze extraprocessuali», la<br />
Corte precisò che quelle già previste dall’ordinamento «sono finalizzate a realizzare le<br />
condizioni» affinché il processo «abbia svolgimento ed esito regolari» (Considerato in<br />
diritto, punto 3)<br />
Può dirsi lo stesso per il meccanismo predisposto dalla legge n. 124 del 2008? In caso<br />
di risposta negativa, ciò comporta l’irragionevolezza della scelta compiuta dal lodo o<br />
la sua ratio peculiare giustifica l’allontanamento dai modelli di sospensione processuale<br />
sin qui disponibili?
XX<br />
Traccia per la discussione<br />
4.2. Sia che l’istituto predisposto dal lodo venga assunto come un’immunità accanto<br />
alle altre, sia che esso venga catalogato nell’ambito delle sospensioni processuali tout<br />
court, rimane che la nuova disciplina rimette al diretto interessato l’insindacabile scelta<br />
di rinunciare alla prerogativa ovvero di farsene concretamente scudo. Non esiste altro<br />
«filtro» circa l’applicabilità del beneficio della sospensione: «quale che sia<br />
l’imputazione ed in qualsiasi momento dell’iter processuale, senza possibilità di valutazione<br />
delle peculiarità <strong>dei</strong> casi concreti», è l’organo apicale direttamente interessato a<br />
doversi esprimere sul punto (sentenza n. 24 del 2004, Considerato in diritto, punto 5).<br />
Tale facoltà «meramente potestativa» [ordinanza n. 398] è sufficiente ad affermare<br />
che il meccanismo introdotto dalla legge n. 124 del 2008 – a differenza di quello predisposto<br />
dall’art. 1 della legge n. 140 del 2003 – non è più «automatico»? Se davvero la<br />
stasi processuale introdotta da lodo ha natura funzionale (e non di privilegio personale),<br />
«la sospensione <strong>dei</strong> procedimenti dovrebbe essere del tutto indisponibile da parte <strong>dei</strong><br />
soggetti considerati, al fine di assicurarne appieno l’efficacia» [ordinanza n. 9]. Siamo<br />
dunque in presenza di una contraddizione normativa che ne testimonia l’irrazionalità?<br />
Oppure la scelta del legislatore si giustifica come composizione ragionevole di un inevitabile<br />
bilanciamento?<br />
4.3. La scelta discrezionale del titolare dell’organo finisce per incidere sui diritti del<br />
soggetto leso dall’imputato eccellente. In tal senso depone, ad esempio, l’eventualità che<br />
alla scadenza della sospensione (cui l’imputato, in ipotesi, non ha rinunciato) l’attività<br />
processuale debba ricominciare dall’inizio, essendo necessario ricomporre il collegio<br />
giudicante. Ciò non comporta una violazione dell’art. 3 Cost. e il venir meno – di fatto –<br />
del principio della “parità delle armi” nel processo?<br />
4.4. La scelta discrezionale rimessa al titolare dell’organo rende disponibile i limiti<br />
temporali previsti dal lodo per il differimento processuale, facendo «scadere a questione<br />
privata […] degli interessati quello che costituisce un connotato intrinseco alla natura<br />
stessa della giurisdizione»: il principio di ragionevole durata del processo [ordinanza n.<br />
9]. Con ciò non è violato l’art. 111 Cost.?<br />
L’introduzione di una generalizzata sospensione <strong>dei</strong> procedimenti penali nei confronti<br />
delle Alte cariche, comporta anche il venir meno della «concentrazione delle fasi processuali»<br />
che devono succedersi entro tempi ragionevoli «ai fini della emissione di una<br />
giusta sentenza da parte del giudice» [ordinanza n. 9]. Con ciò non è violato un corollario<br />
«immanente» dell’art. 111 Cost.?<br />
4.5. Entrambe le ordinanze di rimessione milanesi denunciano la violazione del principio<br />
di obbligatorietà dell’azione penale, benché il profilo non venga pianamente argomentato.<br />
La lesione dell’art. 112 Cost. è prospettata anche dal giudice a quo romano, sul presupposto<br />
che la sospensione processuale introdotta dal lodo interrompa l’esercizio<br />
dell’azione penale fin dalle indagini preliminari. Si ripropone così, un nodo interpretativo<br />
già emerso in riferimento al precedente art. 1, legge n. 140 del 2003: la sospensione<br />
«in ogni fase, stato o grado» <strong>dei</strong> «processi» penali, opera per l’intero procedimento<br />
(dunque anche per la fase delle indagini preliminari) o solo per la fase dibattimentale?<br />
L’interpretazione “estensiva” sposata nell’ordinanza n. 9 si fonda su argomenti persuasivi?<br />
Oppure l’obbligo di privilegiare tra le possibili interpretazioni quella più conforme<br />
a Costituzione non avrebbe dovuto orientare il remittente verso una lettura “restrittiva”<br />
della legge n. 124 del 2008?
Sul processo costituzionale al lodo<br />
Traccia per la discussione<br />
XXI<br />
5.1. L’Ufficio del pubblico ministero, parte processuale in entrambi i giudizi a quibus<br />
milanesi, ha presentato atti di costituzione nei relativi giudizi davanti alla Corte costituzionale<br />
[cfr. Memoria di costituzione del Procuratore della Repubblica (dott.<br />
Manlio Minale) e del Sostituto Procuratore della Repubblica (dott. Fabio De Pasquale)<br />
presso il Tribunale di Milano (reg. ord. n. 397 e n. 398 del 2008)].<br />
Ad un simile allargamento del contraddittorio, fino ad oggi, l’orientamento della giurisprudenza<br />
costituzionale è contrario (cfr, soprattutto, le decisioni nn. 327/1995 e<br />
361/1998), sulla base di tre argomentazioni che le memorie depositate mirano a superare:<br />
la legge n. 87 del 1953 (agli artt. 20, 23 e 25) menziona in modo distinto il pubblico<br />
ministero dalle parti; le sole menzionate (agli artt. 3 e 17 [ora 16]) nella disciplina dettata<br />
dalle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale sono le parti<br />
(non anche il p.m.); la posizione ordinamentale e processuale del p.m. è peculiare, benché<br />
parte tra le parti nel processo a quo.<br />
È ipotizzabile, sul punto, un revirement della Corte costituzionale?<br />
5.2. Come sì è segnalato in dottrina, la sequenza che ha caratterizzato l’art. 1, legge<br />
n. 140 del 2003 (disposizione applicata, poi impugnata, infine annullata) ha comunque<br />
garantito al suo principale beneficiario il decorso <strong>dei</strong> termini di prescrizione per tutto il<br />
periodo compreso tra l’entrata in vigore del lodo e la successiva declaratoria<br />
d’incostituzionalità che, annullandolo integralmente, ha rimosso retroattivamente anche<br />
la previsione della loro interruzione.<br />
Identica sequenza potrebbe prefigurarsi, ora, per la legge n. 124 del 2008 se giudicata<br />
incostituzionale. Per evitare che in tal modo il Presidente imputato finisca per beneficiare<br />
comunque di un’ingiustificata contrazione <strong>dei</strong> termini di prescrizione, si può ipotizzare<br />
una declaratoria d’incostituzionalità “selettiva” (che rimuova, cioè, il meccanismo<br />
della sospensione processuale ma non anche il differimento della prescrizione)?<br />
Sull’abrogazione referendaria del lodo<br />
6.1. Nei confronti del lodo Alfano è subito scattato anche il correttivo referendario<br />
alla deliberazione legislativa della maggioranza parlamentare, nella forma di un quesito<br />
abrogativo integrale dell’articolo unico di cui si compone la legge n. 124 del 2008.<br />
Sull’ammissibilità di tale quesito (depositato il 30 luglio 2008 e le cui firme necessarie<br />
sono già state raccolte e consegnate in Cassazione il 7 gennaio 2009) la Corte dovrà<br />
pronunciarsi entro il febbraio 2010, una volta superato il vaglio di legittimità<br />
dell’Ufficio centrale per il referendum.<br />
6.2. Accadde già nei confronti del precedente lodo Maccanico: in quell’occasione la<br />
Corte costituzionale – con sentenza n. 25/2004 – dichiarò ammissibile il referendum<br />
abrogativo dell’art. 1, legge n. 140 del 2003.<br />
Il quesito ora proposto presenta profili di inammissibilità, non adeguatamente vagliati<br />
nella precedente occasione?
XXII<br />
Traccia per la discussione<br />
6.3. Le operazioni referendarie relative al lodo Maccanico non ebbero poi corso per<br />
la contestuale declaratoria d’illegittimità costituzionale che avrebbe così privato di oggetto<br />
il referendum popolare [cfr. Ufficio centrale per il referendum, ordinanza 4<br />
febbraio 2004]. Tale orientamento dell’Ufficio centrale ha una sua razionalità, mirando<br />
fondamentalmente ad evitare che il referendum sia richiesto (o svolto) inutilmente.<br />
Tuttavia – come è stato notato in dottrina – assimilando abrogazione legislativa e annullamento<br />
per incostituzionalità della legge, sia pure ai limitati fini dell’interruzione<br />
delle operazioni referendarie (ex art. 39, legge n. 352 del 1970), non si rischia di svilire<br />
la differenza profonda che intercorre tra un evento fisiologico dell’ordinamento (la successione<br />
di leggi nel tempo) ed una sua patologia (la violazione della Costituzione da<br />
parte di una legge, per questo rimossa dall’ordinamento)?<br />
6.4. Anche se improbabile, è comunque possibile che il giudizio di legittimità del<br />
quesito referendario (ex art. 32, legge n. 352 del 1970) possa intervenire prima che la<br />
Corte costituzionale si sia pronunciata in sede incidentale sulla legittimità costituzionale<br />
del lodo Alfano.<br />
In tale ipotesi, l’Ufficio centrale per il referendum potrebbe attivarsi quale giudice a<br />
quo nei confronti della legge n. 124 del 2008, sospendendo così il procedimento referendario<br />
fino al pronunciamento della Corte costituzionale?<br />
6.5. Motivando l’ammissibilità del referendum abrogativo sull’art. 1 della legge n.<br />
140 del 2003, la Corte costituzionale riconobbe espressamente che il quesito non aveva<br />
ad oggetto «leggi a contenuto costituzionalmente vincolato o costituzionalmente necessarie»<br />
[sentenza n. 25/2004, Considerato in diritto, punto 2.2.].<br />
È corretto evincere da tale valutazione che il lodo (vecchio e nuovo) tutela un bene<br />
giuridico non imposto né richiesto dalla Costituzione? Con quali conseguenze, sul piano<br />
del ragionevole bilanciamento tra un siffatto generico interesse e altri beni di sicuro rilievo<br />
costituzionale (come l’eguale trattamento davanti alla giurisdizione, l’obbligatorietà<br />
dell’azione penale, la ragionevole durata del processo)?<br />
Oppure è un’operazione indebita quella di trasferire tale valutazione dal piano del<br />
sindacato di ammissibilità di un quesito referendario al diverso piano del sindacato di<br />
costituzionalità incidentale di una legge? Quale rapporto intercorre tra i due giudizi,<br />
quando quesito e quaestio investono il medesimo testo legislativo?
LA SOSPENSIONE DEI PROCESSI PENALI<br />
RELATIVI ALLE ALTE CARICHE DELLO STATO<br />
DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE<br />
RELAZIONE INTRODUTTIVA<br />
di GIULIO MARIA SALERNO ∗<br />
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive sulla l. n. 124 del 2008. – 2. Sul conflitto tra politica e<br />
giustizia. – 3. Sull’impatto politico-istituzionale ed in specie sugli interventi del Quirinale. – 4. Sul<br />
rapporto con la Costituzione ed in specie sul “precedente” costituito dalla sent. n. 24/2004. – 5. I<br />
presunti vizi di costituzionalità della legge. – 6. I vizi “puntuali” e “collaterali”: a) la ragionevole<br />
durata del processo. – 7. Segue: b) l’obbligatorietà dell’azione penale. – 8. I vizi “generali” e “capitali”:<br />
a) il giudicato costituzionale. – 9. Segue: b) il principio di eguaglianza, l’art. 138 Cost. e, congiuntamente,<br />
gli artt. 68 e 96 Cost.<br />
1. La l. 23 luglio 2008, n. 124 – la cosiddetta “legge (o lodo) Alfano” – che è attualmente<br />
sottoposta al sindacato della Corte cost., implica un intricato complesso di problematiche<br />
sia di ordine politico-istituzionale che di rilievo costituzionale.<br />
Come noto, la legge in questione, dopo la l. n. 140 del 2003 dichiarata sul punto costituzionalmente<br />
illegittima con la sent. n. 24/2004 della Corte cost. 1 , predispone un<br />
meccanismo di protezione nei riguardi <strong>dei</strong> titolari di alcune delle più alte cariche dello<br />
Stato – il Presidente della Repubblica, i Presidenti delle Assemblee parlamentari ed il<br />
Presidente del Consiglio <strong>dei</strong> ministri – allorché essi siano oggetto di processi penali attinenti<br />
a fattispecie verificatesi prima o dopo l’assunzione della carica 2 , e tuttavia diverse<br />
da quelle connesse ai “casi previsti dagli artt. 90 e 96 della Costituzione” 3 , cioè ai reati<br />
∗ Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, Università di Macerata.<br />
1 Sui vizi di costituzionalità della l. n. 140 del 2003 (comunemente definita anche “lodo Schifani”),<br />
considerati anche prima della sent. n. 24/2004, si vedano, ad esempio, le riflessioni di A. PACE,<br />
La legge n. 140/2003 e i principi costituzionali violati, in Studi in onore di Gianni Ferrara, vol. III.<br />
Giappichelli, Torino, 2005, 15 ss. ed in specie 32 ss. con la “Prima postilla” alla sent. n. 24/2004; L.<br />
CARLASSARE, Responsabilità giuridica e funzioni politico-costituzionali: considerazioni introduttive,<br />
in ID. (a cura di), Diritti e responsabilità <strong>dei</strong> soggetti investiti di poteri, Atti del Convegno di Padova<br />
del 4 aprile 2004, Cedam, Padova, 2004, in specie 39 ss.; G. AZZARITI-R. ROMBOLI, Sospensione <strong>dei</strong><br />
processi per le alte cariche dello Stato e immunità per i parlamentari. Profili di costituzionalità, in<br />
Riv. dir. cost., 2003, 247 ss.; e S. STAMMATI, Le immunità costituzionali: problemi attuali e tendenze<br />
di riforma, in S.P. PANUNZIO (a cura di), I costituzionalisti e la tutela <strong>dei</strong> diritti nelle Corti europee,<br />
Cedam, Padova, 2007, in specie 111 ss.<br />
2 Vedi sempre l’art. 1, comma 1, l. n. 124 del 2008 che estende la sospensione “anche ai processi<br />
penali per fatti antecedenti l’assunzione della carica o della funzione”; il medesimo inciso era presente<br />
nell’art. 1, comma 1, della l. n. 140 del 2003.<br />
3 Così nell’art. 1, comma 1, l. n. 124 del 2008; una formulazione parzialmente diversa era presente
2<br />
Giulio Maria Salerno<br />
– rispettivamente presidenziali e ministeriali – commessi nell’esercizio delle funzioni, e<br />
per i quali trova sempre applicazione la corrispondente e specifica disciplina costituzionale<br />
e legislativa.<br />
Pertanto, la normativa in questione non interferisce sull’esecuzione del giudicato penale<br />
determinatosi in via definitiva prima dell’assunzione delle predette cariche, ma determina,<br />
a partire da questo stesso momento, la sospensione <strong>dei</strong> processi penali anche<br />
eventualmente già iniziati prima di entrare nell’esercizio delle funzioni. Tale sospensione,<br />
secondo la disciplina legislativa, è temporaneamente collegata all’intera durata della<br />
carica o della funzione 4 , e dunque viene meno soltanto al definitivo cessare di queste<br />
ultime 5 . La sospensione, poi, per un verso non è reiterabile in caso di nuova nomina alla<br />
medesima carica, salvo che ciò avvenga nel corso della stessa legislatura, e per altro<br />
verso non continua ad applicarsi in caso di successiva nomina in un’altra delle altre cariche<br />
o funzioni sopra specificate 6 . Per di più, la protezione in questione è rinunciabile<br />
“in ogni momento” su richiesta dello stesso titolare della carica 7 . Inoltre, la legge consente<br />
che, in regime di sospensione, si possa procedere all’assunzione delle prove non<br />
rinviabili 8 , non decorrano i termini processuali ai fini della prescrizione del reato 9 , non<br />
si produca l’ordinario effetto sospensivo nei confronti del corrispondente procedimento<br />
civile, così come si prevede che nell’azione intentata dalla parte civile i termini di comparizione<br />
siano ridotti alla metà e che tale azione abbia la precedenza nella fissazione<br />
dell’ordine di trattazione delle cause 10 . Infine la sospensione si applica espressamente<br />
anche ai “processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado alla data di entrata in vigore”<br />
della legge 11 , così chiarendosi che il meccanismo riguarda anche i processi per i<br />
quali l’azione penale sia stata già avviata al momento dell’entrata in vigore della legge.<br />
Il predetto riferimento ad “ogni stato, fase o grado” del processo, tra l’altro, sembra estendere<br />
l’effetto sospensivo anche alla “fase” che precede il processo in senso stretto,<br />
ossia alla fase dell’attività giudiziaria che è successiva all’esercizio dell’azione penale,<br />
nella l. n. 140 del 2003, che distingueva il richiamo alle due disposizioni costituzionali a seconda che<br />
si trattasse del Presidente della Repubblica o del Presidente del Consiglio.<br />
4 Cfr. art. 1, comma 5, l. n. 124 del 2008 che fa riferimento alla “intera durata della carica e della<br />
funzione”, e dunque ad un parametro cronologicamente collegato all’intero arco temporale della carica<br />
o della funzione.<br />
5 Pertanto, ad esempio, l’eventuale supplenza da parte del Presidente del Senato in caso di impedimento<br />
temporaneo del Presidente della Repubblica non determina il venir meno dell’effetto sospensivo;<br />
parimenti, nel caso del Presidente del Consiglio dimissionario, la sospensione cessa soltanto allorché<br />
siano contemporaneamente sottoscritti i decreti di nomina del nuovo Presidente del Consiglio<br />
e di accettazione delle dimissioni rassegnate dal precedente Presidente del Consiglio.<br />
6 Così è disposto sempre nel comma 5, art. 1, l. n. 124 del 2008, derivandone, ad esempio, che se<br />
il Presidente del Consiglio, dopo essersi dimesso, fosse rinominato alla stessa carica nel corso della<br />
medesima legislatura, la sospensione opera sino alle dimissioni rassegnate definitivamente dallo stesso<br />
titolare dell’organo nella successiva legislatura; e nel caso in cui sia nuovamente rinominato, la<br />
sospensione non può continuare ad operare.<br />
7 Cfr. il comma 2, art. 1, l. n. 124 del 2008 che attribuisce l’esercizio della rinuncia allo stesso<br />
“imputato” o al “suo difensore munito di procura speciale”.<br />
8 Così nel comma 3, art. 1, l. n. 124 del 2008, ove si dispone che “il giudice, ove ricorrano i presupposti”,<br />
provvede all’assunzione delle prove non rinviabili ai sensi degli artt. 392 e 467 de codice<br />
di procedura penale.<br />
9 Cfr. comma 4, art. 1, l. n. 124 del 2008.<br />
10 Cfr. comma 6, art. 1, l. n. 124 del 2008.<br />
11 Così nel comma 7, art. 7, l. n. 124 del 2008.
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 3<br />
sicché se ne dovrebbe dedurre che la sospensione riguarda anche l’indagine preliminare.<br />
Dunque, riassumendo, per quanto concerne il Presidente della Repubblica, la sospensione<br />
concerne i processi ove egli sia imputato per reati commessi prima di aver prestato<br />
giuramento (fatta salva, ai sensi dell’art. 96 Cost., l’ipotesi della responsabilità per i reati<br />
ministeriali precedentemente commessi in qualità di Presidente del Consiglio o di ministro,<br />
ovvero in concorso con questi) o per reati extrafunzionali commessi dopo l’assunzione<br />
della carica e dunque diversi da quelli di alto tradimento e attentato alla Costituzione<br />
per i quali soltanto vale la peculiare ed eccezionale responsabilità di carattere<br />
funzionale prevista dall’art. 90, comma 1, Cost. Ancora, nel caso <strong>dei</strong> Presidenti delle<br />
due Assemblee, la sospensione, riguarda i processi ove siano imputati per reati commessi<br />
prima dell’elezione alla carica (ma non comprende quelli ricadenti nella pregressa responsabilità<br />
ministeriale che permane “anche se cessati dalla carica” ai sensi dell’art. 96<br />
Cost.) oppure successivamente all’assunzione della carica stessa, ovviamente sempre<br />
tenuto conto per un verso dell’effetto preclusivo – e dunque giuridicamente prevalente –<br />
determinato dall’insindacabilità per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle<br />
loro funzioni di cui essi, in quanto parlamentari, godono ai sensi dell’art. 68, comma 1,<br />
Cost., e per altro verso del permanere delle garanzie previste dalla Costituzione in ordine<br />
all’eventuale sottoposizione ad atti che, nell’ambito delle attività di indagine che precedono<br />
l’avvio del relativo processo penale, siano limitativi delle libertà personale, domiciliare<br />
o di corrispondenza ai sensi dell’art. 68, comma 2, Cost. Ed infine, nel caso del<br />
Presidente del Consiglio, la sospensione opera qualora questi sia imputato per reati<br />
commessi prima o dopo la nomina e comunque sempre diversi da quelli ministeriali –<br />
quelli cioè “commessi nell’esercizio” di tali funzioni e per i quali si risponde “anche se<br />
cessati dalla carica” sulla base dell’apposita disciplina posta dall’art. 96 Cost. (come sostituito<br />
con l’art. 1, l. cost. 16 gennaio 1989, n. 1) – e dalle ipotesi di concorso con il<br />
Presidente della Repubblica nei reati previsti dall’art. 90 Cost. ai sensi dell’art. 12,<br />
comma 3, l. cost. n. 1 del 1953 come sostituito dalla l. cost. n. 1 del 1989 12 .<br />
Si tratta certo di un’articolata disciplina che merita riflessione attenta in quanto la<br />
legge predispone un apposito meccanismo sospensivo dell’esercizio della giurisdizione<br />
allorché si vengono a determinare vicende giudiziarie di carattere penale che, coinvolgendo<br />
le predette alte cariche dello Stato, possono condizionare in concreto l’adempimento<br />
<strong>dei</strong> compiti propri di tali istituzioni e dunque, in ultima analisi, incidere o comunque<br />
interferire sui processi di acquisizione e di mantenimento del consenso popolare<br />
che è alla base della titolarità degli organi selezionati in via rappresentativa. In particolare,<br />
prima di affrontare i singoli profili attinenti alle questioni di legittimità costituzionale<br />
sollevate da talune autorità giurisdizionali in ordine alla legge in oggetto 13 , ap-<br />
12 Potrebbe poi verificarsi l’ipotesi – in vero piuttosto improbabile, soprattutto considerata la rilevanza<br />
politica delle fattispecie – che, nel corso del procedimento collegato alla messa in stato<br />
d’accusa promossa dal Parlamento in seduta comune nei confronti del Presidente della Repubblica in<br />
relazione alle sue proprie e specifiche responsabilità presidenziali, il Capo dello Stato si sia dimesso<br />
dalla carica e nel frattempo, in qualità di parlamentare, sia stato eletto Presidente dell’Assemblea parlamentare<br />
ovvero, caso ancora più improbabile, sia stato nominato Presidente del Consiglio oppure<br />
ministro. Anche in queste ipotesi del tutto liminari, la sospensione del processo penale innanzi alla<br />
Corte costituzionale non può operare, sia perché trattasi sempre di “casi previsti dagli artt. 90 e 96<br />
della Costituzione” – prevalendo dunque sempre la speciale disciplina prevista dalla Costituzione al<br />
fine di giudicare in ordine a tali reati –, sia perché, come sopra ricordato, la l. n. 124 del 2008 proibisce<br />
l’applicazione della sospensione in caso di nomina ad altra delle cariche o funzioni da essa stessa<br />
specificate.<br />
13 Per i quali si rinvia ai paragrafi nn. 5 ss. del presente scritto.
4<br />
Giulio Maria Salerno<br />
pare necessaria una preliminare disamina che consenta di tratteggiare quegli elementi<br />
che, per così dire, rappresentano l’antefatto o, meglio, hanno in vario modo determinato<br />
o comunque influito sull’adozione della presente legge. Perciò, appare opportuno spendere<br />
qualche parola sugli aspri conflitti che hanno sempre più frequentemente caratterizzato<br />
i rapporti tra la sfera della politica e quella della giurisdizione e rispetto ai quali è<br />
intervenuta la normativa posta dalla legge; sugli eventi determinatisi nel corso del procedimento<br />
di adozione della legge stessa, con particolare riferimento agli interventi posti<br />
in essere dal Capo dello Stato e le cui motivazioni sono state rese pubbliche mediante<br />
apposite esternazioni; ed infine sul “precedente” rappresentato dalla già richiamata sent.<br />
n. 24/2004 della Corte cost. ove, proprio dichiarandosi la parziale illegittimità costituzionale<br />
della citata l. n. 140 del 2003, si sono nel contempo delineate le condizioni cui<br />
deve essere subordinato l’intervento legislativo nella materia in questione. Così descritto,<br />
almeno negli aspetti essenziali, il quadro complessivo di contesto, si potranno esaminare<br />
con maggiore cognizione di causa le specifiche argomentazioni che sorreggono le<br />
questioni di costituzionalità sollevate in ordine alla legge stessa.<br />
Infine, si segnala che i predetti piani di analisi saranno qui sviluppati senza procedere<br />
a valutazioni di ordine strettamente politico in ordine alla “bontà” o alla mera opportunità<br />
di tale scelta legislativa, ovvero concernenti, ad esempio, i vantaggi o gli svantaggi<br />
che ne conseguono per le parti in competizione nella contesa per il conseguimento e la<br />
conservazione del potere di governo della collettività. Se così non fosse, non si discuterebbe<br />
di diritto, ma di politica tout court.<br />
2. Come appena ricordato, in estrema sintesi la l. n. 124 del 2008 interviene nella definizione<br />
<strong>dei</strong> rapporti tra la magistratura e gli organi politico-rappresentativi dello Stato<br />
più elevati in grado, allorquando i titolari di questi ultimi siano accusati per reati extrafunzionali<br />
che siano stati commessi anche prima di assumere la carica o la funzione. A<br />
tal proposito, nessuno può nascondersi la gravità del confronto che negli ordinamenti<br />
democratici contemporanei si sviluppa con sempre maggior frequenza e talora con particolare<br />
asprezza tra i soggetti selezionati mediante le forme della rappresentanza politica<br />
e coloro che agiscono in via di giurisdizione. Negli ordinamenti stranieri sono diverse<br />
le soluzioni approntate a seconda che si tratti di titolari di organi aventi poteri di direzione<br />
politica dello Stato, di organi posti al vertice dello Stato o di componenti delle Assemblee<br />
parlamentari, mentre non sembrano sussistere particolari prerogative per i Presidenti<br />
di queste ultime. Sul punto, per quanto sia complessa l’analisi comparata a causa<br />
della diversità delle forme di governo, si è correttamente rilevato che “le problematicità<br />
della via italiana alle immunità della politica (…) vanno a dare maggiore consistenza agli<br />
interrogativi posti nel quadro interno circa la razionalità delle relative scelte” 14 . Insomma,<br />
è stata individuata “una via italiana” che appare al commentatore “eccentrica<br />
rispetto al panorama internazionale” e della cui razionalità si può certo discutere; ed infatti,<br />
come vedremo, proprio la razionalità e la ragionevolezza della scelta del legislatore<br />
italiano costituiscono temi centrali della presente vicenda. Può solo aggiungersi che,<br />
come noto, la singolarità e l’eccentricità di una specifica scelta compiuta dal legislatore<br />
non ne implicano di per sé l’irrazionalità o tanto meno l’illegittimità; e parimenti va segnalato<br />
che non mancano esempi stranieri ove, proprio con specifico riferimento ai reati<br />
extrafunzionali, il rapporto tra gli organi giurisdizionali e le autorità poste ai più elevati<br />
14 Così P. COSTANZO, Circuito della politica e circuito del diritto: quale equilibrio nel moderno<br />
Stato costituzionale? (Uno sguardo comparatistico), in Giur. it., marzo 2009, 789 ss., e in specie 793.
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 5<br />
livelli istituzionali dello Stato è appositamente disciplinato mediante la previsione di vere<br />
e proprie forme di temporanea immunità processuale ovvero con la predisposizione di<br />
appositi meccanismi di filtro o di garanzia apprestate in sede politica o, talora, di giurisdizione<br />
costituzionale 15 . Sicché, se si volesse rilevare l’eventuale sussistenza di una<br />
tradizione costituzionale sul punto, non si potrebbe certo sostenere la presenza di un<br />
omogeneo orientamento nel senso della mancanza di normative volte a differenziare il<br />
trattamento <strong>dei</strong> titolari di alcune cariche poste al vertice o alla direzione politico-amministrativa<br />
dello Stato. Anzi, proprio con riferimento al Presidente della Repubblica in<br />
quanto capo dell’esecutivo e quindi organo direttamente coinvolto nella determinazione<br />
dell’indirizzo politico, è noto che in Francia è stata recentemente accolta la tesi sostenuta<br />
nel Rapporto 16 elaborato nel 2002 dalla Commissione presieduta da Pierre Avril, secondo<br />
cui, sulla base <strong>dei</strong> principi della rappresentanza politica, è necessario separare<br />
“sempre più e per quanto possibile” 17 la sfera politica da quella giurisdizionale, sottraendo<br />
quindi l’operato del Presidente dal sindacato <strong>dei</strong> giudici e prevedendo per i reati<br />
extrafunzionali commessi da quest’ultimo la sospensione <strong>dei</strong> relativi procedimenti ed il<br />
conseguente rinvio a dopo la cessazione dell’incarico. Circa la posizione <strong>dei</strong> parlamentari,<br />
poi, nelle Costituzioni straniere è assai diffusa la presenza del meccanismo<br />
dell’autorizzazione a procedere da parte della rispettiva Assemblea, istituto che, come<br />
noto, è stato invece soppresso nel nostro ordinamento con la legge di revisione costituzionale<br />
n. 3 del 1993, facendo così venir meno l’unica disposizione che il costituente<br />
aveva appositamente apprestato in tema di limitazione dell’esercizio della giurisdizione<br />
(e della stessa esecuzione del giudicato definitivo) in ordine a reati extrafunzionali<br />
commessi da appartenenti ad organi politico-rappresentativi.<br />
15 Ad esempio, in Francia, anche sulla base della recente legge di revisione della Costituzione della<br />
V Repubblica (n. 2007-238 del 23 febbraio 2007), si prevede una totale immunità processuale del<br />
Capo dello Stato, che non può essere “fatto oggetto di un’azione” o di altro tipo di atto di indagine (v.<br />
art. 67, comma 2, Cost. francese), e si dispone per i reati extrafunzionali una forma di inviolabilità<br />
temporanea che cessa il mese successivo allo conclusione del mandato presidenziale; parimenti in<br />
Grecia, nei confronti del Presidente della Repubblica “per gli atti che non hanno alcun rapporto con<br />
l’esercizio delle funzioni presidenziali, l’incriminazione è sospesa fino alla scadenza del mandato<br />
presidenziale” (art. 49, comma 1, Cost. greca); oppure, in Spagna, le azioni di carattere penale avverso<br />
i ministri per qualsiasi tipologia di reato possono essere promosse soltanto davanti al Tribunale<br />
supremo (art. 102, comma 1, Cost. spagnola); ancora, in Germania il Capo dello Stato risponde <strong>dei</strong><br />
reati extrafunzionali soltanto previa la necessaria autorizzazione a procedere approvata dal Bundestag<br />
(art. 60, comma 4, della Legge fondamentale); in Belgio vi è un’apposita riserva di legge “per quanto<br />
riguarda l’esercizio dell’azione civile della parte lesa ed i crimini e delitti che i ministri abbiano<br />
commesso fuori dall’esercizio delle loro funzioni” (art. 90, Cost. belga); in Portogallo, il Presidente<br />
della Repubblica risponde per i reati commessi al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni solo dopo<br />
la scadenza del mandato, mentre per i reati extrafunzionali <strong>dei</strong> componenti del Governo si prevede<br />
che, salvo che si tratti di reati extrafunzionali punibili con pena superiore ai tre anni di detenzione,<br />
l’Assemblea della Repubblica abbia la facoltà di sospenderli dalle loro funzioni per consentire lo<br />
svolgimento del processo (rispettivamente, art. 133, comma 4, e art. 199 Cost. portoghese); ed in Austria<br />
qualunque procedimento avverso il Presidente federale è ammesso soltanto previa autorizzazione<br />
a procedere dell’Assemblea federale (art. 63, comma 1, Cost. austriaca). Se si allarga lo sguardo<br />
fuori d’Europa, si può citare il caso del Giappone ove si prevede che “i ministri di Stato, durante il<br />
periodo in cui sono in carica, non sono soggetti ad azione giudiziaria senza il consenso del Primo ministro,<br />
ma con ciò non si menoma il diritto di avviare tale azione” (art. 75, Cost. giapponese).<br />
16 Si tratta del Rapport de la Commission de réflexion sur le statut pénal du Président de la République,<br />
presentato al Capo dello Stato francese il 12 dicembre 2002.<br />
17 Così, sul punto, S. MELIS, L’irresponsabilità e l’inviolabilità del Presidente della Repubblica<br />
francese, in Rass. parl., 2009, n. 1, 121 ss. ed in specie 143.
6<br />
Giulio Maria Salerno<br />
Insomma, i momenti in cui vengono a contatto la giustizia e le istituzioni rappresentative<br />
sono cruciali punti di snodo del costituzionalismo contemporaneo. Ci ricordano infatti<br />
che legittimazione e legittimità sono in giuoco proprio quando si confrontano da un lato i<br />
soggetti che si fanno forti della legittimazione democratica, e dall’altro lato i soggetti che<br />
si ergono a tutori della legittimità, anche costituzionale, dell’intero assetto ordinamentale.<br />
Soprattutto, le criticità che si determinano allorché gli appartenenti al ceto politico sono<br />
sottoposti alla giurisdizione appaiono ancor più spiccate nel nostro ordinamento in ragione<br />
di un complesso di condizioni, anche di ordine sociale, di non immediata ricostruzione.<br />
Certo è che in Italia i conflitti tra la magistratura ed i poteri rappresentativi – o almeno tra<br />
alcuni esponenti dell’una e degli altri – sono divenuti assai frequenti e così accesi da non<br />
stemperarsi facilmente giacché gli accertamenti delle responsabilità penali di specifici titolari<br />
delle pubbliche istituzionali per ragioni extrafunzionali si sono sommati – e continuano<br />
a sommarsi – a rapporti assai lacerati tra le forze politiche tutte 18 . E, come in un<br />
circolo vizioso senza soluzione, quanto più i procedimenti penali si sono tinti più o meno<br />
consapevolmente di coloritura politica, tanto più i soggetti posti sotto accusa – proprio e<br />
soprattutto per reati extrafunzionali – hanno contestato modi, forme e tempi dell’azione<br />
della magistratura. Tanto più, lo stesso svolgimento <strong>dei</strong> procedimenti penali nei confronti<br />
di eminenti personalità politiche talora si è trasformato in una sorta di “condanna anticipata”<br />
innanzi all’opinione pubblica, derivandone sia un’oggettiva interferenza nei processi di<br />
determinazione delle cariche e delle decisioni pubbliche – sino al punto di incidere sulla<br />
stessa composizione degli organi di vertice dello Stato ovvero sul concreto svilupparsi<br />
della forma di governo –, sia una lesione per così dire effettuale del principio di presunzione<br />
di non colpevolezza che è viceversa garantito dall’art. 27, comma 2, Cost. A questo<br />
si è accompagnato il fatto che i processi di selezione della classe politica si sono sviluppati<br />
secondo modalità non particolarmente trasparenti ovvero non agevolmente controllabili<br />
dall’opinione pubblica; e per di più ormai da qualche tempo continua a mancare un quadro<br />
partitico non solo sufficientemente stabilizzato, ma anche capace di garantire serietà e<br />
moralità nella formazione del ceto politico. Inoltre, piuttosto che seguire un qualsivoglia<br />
cursus honorum in cui si appalesino e si approfondiscano le qualità degli individui preposti<br />
alle cariche pubbliche, si è ricorso al più semplice “travaso” dalla cosiddetta società civile<br />
all’assunzione di posizioni istituzionali anche di particolare pregio, con tutto ciò che<br />
ne può discendere sia in termini di inesperienza del personale politico, che di eredità di<br />
precedenti ed irrisolti carichi pendenti. Parimenti, non può nascondersi che la stessa magistratura<br />
abbia manifestato non pochi problemi: essa, fatte salve alcune lodevoli eccezioni,<br />
non è sembrata brillare per senso di disciplina e di responsabilità, dando anzi prova di<br />
concorrere alla scarsa efficienza complessiva del sistema della giustizia. Si è incrementata<br />
così la sfiducia <strong>dei</strong> cittadini nei confronti non solo della legis latio – pure in ragione<br />
dell’inarrestabile affastellarsi di leggi talora oscure – ma anche della legis executio, a causa<br />
delle evidenti lentezze, contraddittorietà e lacune della giurisdizione. Non è un caso, allora,<br />
se negli ultimi anni le relazioni annuali sullo stato della giustizia abbiano presentato<br />
molteplici spunti e richiami allo stesso tempo critici ed autocritici.<br />
A questo proposito, anche tenendo conto di quanto è stato rilevato in un non lontano<br />
convegno dell’Associazione <strong>dei</strong> Costituzionalisti sul tema 19 , a nostro avviso vanno rifiuta-<br />
18 Di “clima di scontro fra maggioranza e opposizione”, di “stillicidio delle numerose iniziative<br />
giudiziarie intraprese” nei confronti, come noto, del Presidente del Consiglio pro tempore, e “del<br />
(pressoché) identico contesto di lacerante conflittualità che caratterizza il rapporto tra politica e magistratura<br />
da circa un quindicennio nel nostro istituzionale”, parla P. CARNEVALE, La legge n. 124/2008<br />
e le sue vicende. Appunti per un’analisi, in Giur. it., marzo 2009, 773.<br />
19 Si fa riferimento al XIX Convegno annuale tenutosi a Padova il 22 e 23 ottobre 2004 in tema di
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 7<br />
te sia la tesi dell’assoluta separatezza <strong>dei</strong> poteri pubblici tutti e della magistratura al loro<br />
interno – dato che la reciproca interferenza tra le istituzioni autoritative è, in ultima analisi,<br />
essenziale garanzia <strong>dei</strong> diritti e delle libertà 20 –, sia le opposte logiche che vorrebbero<br />
la giurisdizione o come una sorta di “anti-sovrano” rispetto agli organi selezionati in via<br />
rappresentativa, oppure come autorità organicamente compenetrata con il potere politico e<br />
da questi dipendente e legittimata 21 . Occorre, viceversa, assicurare e garantire che l’ordine<br />
giudiziario si presenti come una necessaria, ma allo stesso tempo giuridicamente delimitata,<br />
esplicazione di quei checks and balances che devono caratterizzare la nostra democrazia<br />
in nome della corretta distinzione <strong>dei</strong> poteri ed in conformità all’ordinamento costituzionale<br />
vigente. Se spetta in primo luogo alla Costituzione fondare e delimitare tutti i poteri<br />
che esercitano la sovranità statuale, compete alla legge dare corretta esplicazione ai<br />
principi posti a tal fine dalla Costituzione individuando e concretizzando le specifiche<br />
forme e le modalità di interrelazione tra le istituzioni pubbliche tutte. E spetta infine alla<br />
Corte cost. valutare le scelte compiute in sede politica avendo come punto di riferimento<br />
la Costituzione, in quanto, come è stato detto, “la Corte non sta al di sopra della politica:<br />
ma le sta accanto; come non sta al di sopra del potere giudiziario (…); ma sta accanto ad<br />
esso, ed insieme con essi sta al di sotto della Costituzione” 22 .<br />
Il problema presenta poi risvolti ancor più delicati allorché, come nel caso di specie,<br />
manchi una specifica disposizione costituzionale che definisca – secondo la modalità<br />
della sospensione prevista dalla legge in esame – i rapporti tra i titolari di talune cariche<br />
poste al vertice dello Stato e l’esercizio della giurisdizione quando si tratti di reati extrafunzionali<br />
anche antecedenti all’assunzione della carica. Lacuna che, va ricordato, la<br />
dottrina ha più volte segnalato, sottolineando la “situazione paradossale” che si determinerebbe,<br />
ad esempio, nel caso del Presidente della Repubblica per il quale, proprio per<br />
la responsabilità penale, non varrebbe “alcuna forma di protezione, viceversa prevista in<br />
altri casi dalla costituzione, contro iniziative arbitrarie dell’autorità giudiziaria” 23 . In<br />
particolare, quando si è commentata la decisione della Procura di Roma che nel 1993 ha<br />
concluso nel senso che, proprio rispetto all’eventualità di procedere ad indagini penali<br />
nei confronti del Capo dello Stato pro tempore, “nei suoi confronti non esiste la possibilità,<br />
per disposizioni costituzionali, di avviare qualsiasi indagine” 24 , si è rilevato che in<br />
“Separazione <strong>dei</strong> poteri e funzione giurisdizionale”, i cui atti sono stati pubblicati in ASSOCIAZIONE<br />
ITALIANA DEI COSTITUZIONALISTI, Annuario 2004, Cedam, Padova, 2008.<br />
20<br />
Si ricordino, sul punto, le riflessioni di M. MAZZIOTTI DI CELSO, I conflitti di attribuzione fra i<br />
poteri dello Stato, Giuffrè, Milano, 1972, I, 142, il quale ricorda che anche la magistratura sia un “potere<br />
politico”, in quanto “l’interpretazione delle leggi è una funzione suprema, quindi politica, in senso<br />
proprio, dello Stato, e l’organizzazione che esercita questa funzione, in condizione di autonomia<br />
costituzionalmente garantita attua un fine politico ed è centro di forza politica, indipendente, omogeneo,<br />
sotto questo profilo, con gli altri poteri dello Stato, che, insieme con questi, contribuisce a costituire<br />
e ad equilibrare”.<br />
21<br />
Sulla “difficile alternativa” tra queste logiche, sulle quali “da almeno tre secoli politici e legislatori<br />
si confrontano”, si vedano le riflessioni di G. SILVESTRI, Organizzazione giudiziaria e indipendenza<br />
della magistratura, in AIC, Annuario 2004, cit., in specie 72 ss.<br />
22<br />
Così S. NICCOLAI, Il conflitto di attribuzione e la politica, in Giur. cost., 1996, 80 (il corsivo è<br />
nel testo).<br />
23<br />
G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, Il Mulino, Bologna, 1988, 402.<br />
24<br />
Così è riportato nel dispaccio ANSA del 12 novembre 1993 in cui si è data comunicazione delle<br />
dichiarazioni rese dal Procuratore della Repubblica di Roma in ordine alle ragioni che inducevano ad<br />
escludere il Presidente della Repubblica dalle indagini.
8<br />
Giulio Maria Salerno<br />
questa decisione una “qualche ragione deve pur esserci” 25 . Più esattamente, si è riscontrato<br />
“un seme di verità” nella sottrazione del Presidente della Repubblica alla giurisdizione<br />
comune per il periodo in cui è in carica, ovvero “la verità del soggetto-stato, della<br />
sua esigenza di disporre <strong>dei</strong> suoi organi indefettibili e di poter contare sulla piena autonomia<br />
e sulla serena libertà <strong>dei</strong> titolari di questi organi di esercitare le funzioni di cui<br />
sono attributari” 26 . E proprio tale serenità, deve rilevarsi, è stata richiamata nella sent.<br />
della Corte cost. del 2004 in relazione ad un “interesse apprezzabile al sereno svolgimento<br />
delle rilevanti funzioni” in questione là dove il legislatore ordinario introduca la<br />
sospensione <strong>dei</strong> processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato, mentre non<br />
può non segnalarsi che, da opposto punto di vista, una parte della dottrina contesti che si<br />
tratta di “obiettivo, non solo costituzionalmente degno di tutela, ma neppure praticamente<br />
conseguibile” 27 .<br />
Pur tuttavia, dall’assenza di espresse disposizioni costituzionali che orientino prescrittivamente<br />
la tematica in questione e dalla contestuale presenza di un interesse considerato<br />
“apprezzabile” dalla Corte costituzionale, nascono allora le tre principali domande<br />
che sono oggetto del presente dibattito: basta una legge ordinaria a disciplinare<br />
secondo la predetta modalità i rapporti tra l’esercizio della giurisdizione penale e le alte<br />
cariche dello Stato in nome del predetto interesse costituzionalmente apprezzabile al<br />
“sereno svolgimento delle rilevanti funzioni” proprie di tali organi, oppure, al contrario,<br />
per disporre in tal senso non è sufficiente una legge ordinaria, ma occorre una disposizione<br />
di rango costituzionale? Ed ancora, tale legge ordinaria detta una disciplina compatibile<br />
con il fondamentale principio di eguaglianza e dunque di pari trattamento di tutti<br />
i cittadini? Infine, la sospensione dalla giurisdizione penale è delineata dalla legge secondo<br />
modalità ragionevolmente ponderate con gli altri interessi e principi di rilievo costituzionale<br />
che presiedono all’esercizio della giurisdizione ed alla tutela <strong>dei</strong> diritti in<br />
sede giudiziaria?<br />
In via generale, il tema sullo sfondo è certo quello dell’ammissibilità delle norme che<br />
limitano l’accertamento giurisdizionale delle responsabilità individuali sulla base di esigenze<br />
di natura politica, in quanto se pure si considerano come “prioritari” quei principi<br />
secondo i quali la democrazia “non consente l’esistenza di soggetti immuni” 28 , in nome<br />
della “tutela di esigenze politiche ritenute (…) inderogabili” si pongono “altrettante deroghe<br />
ai principi del diritto comune” 29 . Più in concreto, la disciplina legislativa deve assicurare<br />
un bilanciamento costituzionalmente corretto nel rapporto tra i titolari di poteri<br />
dello Stato che entrano in contatto, e non può certo consistere nell’apprestare un trattamento<br />
di favore per talune persone soltanto in ragione del fatto oggettivo – meramente<br />
casuale, potremmo dire – che ricoprano una certa carica o una determinata funzione.<br />
Così infatti è e deve essere in un sistema come il nostro che, quale assioma di base, nega<br />
alla legge la possibilità di attribuire privilegi ovvero di distinguere tra gli individui soltanto<br />
sulla base della considerazione delle rispettive “condizioni personali” (così ai sensi<br />
25 Così G. FERRARA, Sulla responsabilità penale del Presidente della Repubblica, in Studi in onore<br />
di Manlio Mazziotti di Celso, Cedam, Padova, 1995, vol. I, 595.<br />
26 Sempre G. FERRARA, Sulla responsabilità penale del Presidente della Repubblica, cit., 596.<br />
27 Così G. GIOSTRA, Titolarità di funzioni pubbliche: tutela dal processo, tutela del processo, in<br />
Cass. pen., 2004, 1380.<br />
28 Così L. CARLASSARE, Art. 90, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Za-<br />
nichelli, Bologna-Roma, 1984, 150.<br />
29 In tal senso, V. CRISAFULLI, Aspetti problematici del sistema parlamentare vigente in Italia, in<br />
Studi Crosa, Milano, 1960, I, 617.
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 9<br />
dell’art. 3 Cost.), e dunque consente di differenziare il trattamento normativo soltanto in<br />
presenza di una o più ragioni costituzionalmente fondate e soprattutto adeguate o congrue,<br />
cioè atte a consentire un equo bilanciamento rispetto ai compresenti principi o interessi<br />
di rilievo costituzionale. Dunque, la discussione circa i modi e le forme per realizzare<br />
il corretto equilibrio tra i poteri tutti dello Stato, non deve condurre né ad assumere<br />
atteggiamenti aprioristicamente volti a consentire in ogni caso e senza alcun filtro<br />
o limite l’azione della magistratura nei confronti <strong>dei</strong> titolari degli organi rappresentativi<br />
democraticamente selezionati; né, al contrario, a voler proteggere a tutti i costi e senza<br />
alcuna condizione questi ultimi rispetto all’esercizio della giurisdizione. In vero, nessuna<br />
delle due opzioni è di per sé degna di pregio costituzionale. A tal proposito, basta poco<br />
per verificare che la Costituzione, nel mentre garantisce il libero ed autonomo svolgimento<br />
delle funzioni e degli organi rappresentativi e dell’ordine giudiziario (ed al suo<br />
interno del pubblico ministero ai sensi dell’art. 107, ultimo comma, Cost.), prevede<br />
forme di reciproco collegamento e condizionamento. Si pensi al ruolo del Presidente<br />
della Repubblica nel Consiglio superiore della magistratura, oppure alla provenienza<br />
parlamentare di una parte <strong>dei</strong> componenti di quest’ultimo, o all’autorizzazione a procedere<br />
per i reati ministeriali o ancora alla sottrazione <strong>dei</strong> reati presidenziali dalla competenza<br />
della giurisdizione ordinaria. Conseguentemente, se la stessa Costituzione predispone<br />
tra il sistema formato dagli organi politico-rappresentativi e l’ordine giudiziario<br />
una molteplicità di rapporti, interrelazioni e collegamenti variamente configurati, appare<br />
opportuno rifiutare la netta contrapposizione che sussisterebbe tra una visione radicalmente<br />
“giustificazionista” ed una visione altrettanto radicalmente “antagonista” nei confronti<br />
di una legge che intenda disciplinare – mediante un apposito meccanismo di sospensione<br />
temporalmente circoscritta – le vicende giurisdizionali collegate ai processi<br />
penali ove sono coinvolte le più alte cariche dello Stato per reati extrafunzionali. Tale<br />
contrapposizione, certo, è stata utilizzata dalla dottrina con una certa efficacia allorché si<br />
sono ricostruite le diverse opinioni a confronto. Inoltre, non può negarsi che gli stessi<br />
giuristi hanno applicato una modalità di lettura davvero “divaricante” delle due leggi<br />
che si sono succedute, la legge del 2003 prima e la legge del 2008 poi. Ad esempio, per<br />
la prima legge si è parlato di uno <strong>dei</strong> “casi preoccupanti di leggi (…) che si configurerebbero<br />
come «modifica tacita»” della Costituzione “stante la incompatibilità del loro<br />
contenuto con i precetti costituzionali” 30 . Altri ha sostenuto che la seconda legge, la n.<br />
124 del 2008, implica “certamente innovazioni costituzionalmente provvide e decisamente<br />
in linea con le indicazioni a suo tempo dettate dalla Corte” 31 . Ancora, si è rilevato<br />
che l’ultima legge “ci pone nell’universo democratico in un misero isolamento, degno,<br />
si sarebbe detto una volta, di un paese in via di sviluppo” 32 . E va ricordato che i<br />
costituzionalisti italiani, di fronte all’iniziativa legislativa in questione, si sono apertamente<br />
divisi nella sottoscrizione di due manifesti dal contenuto assai discorde rispetto<br />
all’iniziativa legislativa che ha condotto alla legge da ultimo approvata 33 , così dimo-<br />
30 Così P. CARETTI, L’attuazione legislativa della Costituzione, in F. MODUGNO (a cura di), Attuazione<br />
e integrazione della Costituzione, Jovene, Napoli, 2008, 55.<br />
31 In tal senso I. NICOTRA, I poteri in equilibrio. Libertà d’esercizio delle funzioni tra inviolabilità<br />
e giurisdizione, in Federalismi.it, n. 16/2008, 2.<br />
32 Così L. ELIA, Sul cd. Lodo Alfano, in http://www.associazione<strong>dei</strong>costituzionalisti.it, 1° agosto<br />
2008, esprimendo un’opinione condivisa sul punto da F. MODUGNO, Introduzione a Legge Alfano:<br />
approfondimenti, in Giur. it., marzo 2009, 772.<br />
33 Il primo manifesto o appello, che porta la data del 4 luglio 2008 ed è intitolato “In difesa della<br />
Costituzione”, è stato sottoscritto da centodue “ordinari di diritto costituzionale e discipline equiva-
10<br />
Giulio Maria Salerno<br />
strandosi, soprattutto innanzi all’opinione pubblica, che sul punto nella dottrina sussistano<br />
valutazioni differenziate e che non sia quindi riscontrabile una communis opinio.<br />
Ma tutto ciò non deve spingere a ricorrere alla predetta distinzione tra una lettura<br />
“antagonista” ed una “giustificazionista” della legge in questione; in questa sede, infatti,<br />
non si tratta di intervenire durante il procedimento di approvazione della legge oppure di<br />
assumere la difesa delle distinte posizioni che si affrontano all’interno del giudizio di<br />
costituzionalità, momenti nei quali è indispensabile assumere una posizione conclusiva<br />
e dunque definitivamente contrapposta all’altra. Per di più, se tale impostazione fosse<br />
applicata proprio in sede di analisi delle questioni di legittimità costituzionale in via<br />
preventiva rispetto al giudizio della Corte costituzionale che si concretizzerà nei mesi a<br />
venire, risulterebbe inidonea sotto molteplici punti di vista. Innanzitutto si negherebbe a<br />
priori la presenza di opinioni né del tutto favorevoli, né del tutto contrarie rispetto al testo<br />
di legge in esame, e che viceversa, su alcuni singoli aspetti o profili, si collocano –<br />
come nei fatti è riscontrabile – su una posizione più sfumata o soltanto parzialmente coerente<br />
con uno <strong>dei</strong> due campi contrapposti 34 . Inoltre, come vedremo in seguito, non si<br />
riuscirebbe a dare conto del fatto che sussistono argomentazioni distinte, se non addirittura<br />
contrastanti, all’interno di ciascuno <strong>dei</strong> due presunti “campi” del contendere 35 . E<br />
soprattutto si renderebbe un cattivo servizio – proprio dal punto di vista dommatico –<br />
alle opinioni che sono motivate sulla base di considerazioni giuridico-costituzionali,<br />
perché assegnandole automaticamente all’uno o all’altro campo della contesa, si finirebbe<br />
per etichettarle in modo del tutto generico e semplicistico. Insomma, se ne negherebbe<br />
l’autonoma valenza concettuale, in quanto le si assumerebbe soltanto in funzione<br />
meramente strumentale o forse addirittura asservita a finalità ed interessi di ben altra<br />
consistenza.<br />
3. Come detto all’inizio, la legge in oggetto esprime una scelta considerata così dirimente<br />
ed essenziale da una parte del presente schieramento politico – quella parte che è<br />
attualmente maggioritaria in Parlamento e dunque al governo del Paese – da essere<br />
giunta in Gazzetta ufficiale soltanto un mese dopo l’approvazione del disegno di legge<br />
da parte del Governo 36 . L’immediata rilevanza politica della legge è poi testimoniata<br />
dalla sua stessa denominazione che è entrata nell’uso corrente. Questa, come noto, deriva<br />
dal nome dello stesso Ministro della Giustizia che l’ha proposta, e dalla parziale attinenza<br />
del contenuto precettivo della legge stessa con quanto aveva già disposto la pre-<br />
lenti” i quali hanno sostenuto, tra l’altro, la presenza di “insuperabili perplessità di legittimità costituzionale”<br />
rispetto al testo proposto dal Ministro Alfano e che di lì a poco sarebbe divenuto legge; il<br />
secondo, del 9 luglio ed intitolato “Appello alla ragione per un nuovo rapporto tra politica e giustizia”,<br />
è stato sottoscritto da trentasei docenti di diritto costituzionale, diritto pubblico e di altre materie<br />
pubblicistiche, i quali invece hanno ritenuto che “le misure come il “lodo Alfano” si sforzano di bilanciare<br />
ragionevolmente i diversi interessi in giuoco”.<br />
34 Ad esempio, G. FERRI, La sospensione <strong>dei</strong> processi riguardanti le alte cariche dello Stato, in<br />
Giur. mer., 2009, n. 1, 43 ss., pur ritenendo che le soluzioni approntate con la l. n. 124 del 2008 siano<br />
complessivamente “migliorative” rispetto alla legge del 2003 ed anzi le considera in più punti conformi<br />
a ragionevolezza, critica l’uso della legge ordinaria ritenendo che il “modo corretto” sarebbe<br />
stato quello di approvare una legge di rango costituzionale.<br />
35 Si fa riferimento, in particolare, alle molteplici e non concordi motivazioni che sorreggono in<br />
particolare le tesi relative alla sussistenza <strong>dei</strong> vizi di costituzionalità collegati al mancato rispetto degli<br />
artt. 3 e 138 Cost.; su questi aspetti, si rinvia al par. 9 del presente scritto.<br />
36 Il Consiglio <strong>dei</strong> Ministri ha infatti approvato il relativo disegno di legge il 23 giugno 2008.
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 11<br />
cedente l. 20 giugno 2003, n. 140. Quest’ultima a sua volta era stata qualificata “lodo”<br />
in riferimento all’ancor precedente ipotesi di improcedibilità per le alte cariche dello<br />
Stato che era stata prospettata dall’on. Maccanico nel corso del procedimento di approvazione<br />
di un’altra legge, cioè la l. n. 248 del 2002. E siffatta denominazione derivava<br />
proprio della complessiva finalità di raggiungere un accordo – per l’appunto considerato<br />
politicamente equo – tra i contrapposti schieramenti di maggioranza e di opposizione<br />
allorché e nella misura in cui si fossero affrontate contestualmente la questione della<br />
protezione delle altre cariche pubbliche e la materia della legittima suspicione come<br />
causa di remissione del processo ad altro giudice. Dunque, è una legge ab origine ad alta<br />
sensibilità politica.<br />
La legge, poi, tocca tematiche di particolare rilievo istituzionale per il fatto stesso che<br />
essa interviene in tema di disciplina dello status giuridico di alcune tra le più alte delle<br />
nostre cariche pubbliche. Si tratta non soltanto <strong>dei</strong> titolari degli organi che, seguendo<br />
l’ordine utilizzato nel cerimoniale, vi si trovano ai primi posti 37 , ma soprattutto di coloro<br />
che sono titolari ovvero che presiedono gli organi costituzionali dello Stato, così come<br />
questi risultano anche per espressa definizione del legislatore 38 , fatta eccezione, come<br />
noto, per il Presidente della Corte costituzionale, che viceversa era ricompreso nella<br />
legge per così dire capostipite in materia di sospensione del processo penale, ossia la l.<br />
n. 140 del 2003. In breve, è una legge a rilevante impatto istituzionale.<br />
Anzi tale impatto è stato già ampiamente dimostrato dagli eventi che si sono verificati<br />
nel corso del procedimento di formazione e di promulgazione della legge. Innanzitutto,<br />
dal punto di vista degli stessi lavori parlamentari e <strong>dei</strong> rapporti tra le fonti normative<br />
primarie, può ricordarsi lo stretto collegamento cronologico e contenutistico tra questa<br />
legge e un emendamento che si stava apportando – ed anzi approvato in un’Assemblea –<br />
in sede di conversione al decreto-legge n. 92 del 2008 recante “Misure urgenti in materia<br />
di sicurezza pubblica”, ove si prevedeva la sospensione per la durata di un anno di<br />
tutti i processi penali relativi a taluni reati (con pena inferiore a dieci anni di reclusione e<br />
commessi fino al giugno 2002), e che si trovavano in uno stato compreso tra la fissazione<br />
dell’udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado. E si è fatto<br />
notare che tale norma, avente portata sospensiva piuttosto ampia, è stata poi sostanzialmente<br />
ridotta proprio in seguito all’approvazione della legge in questione 39 .<br />
In secondo luogo, stavolta con riferimento all’organo posto a suprema garanzia di regolarità<br />
costituzionale nel funzionamento delle istituzioni tutte, va ricordato che il procedimento<br />
legislativo della legge – molto veloce dal punto di vista temporale, ma contestato<br />
con pari vivacità dalle forze di opposizione – ha determinato due peculiari interventi<br />
pubblici provenienti proprio dal Presidente della Repubblica. Questi, ricorrendo ad<br />
una prassi inusuale, ma talora utilizzata in specie là dove l’asprezza del conflitto politico<br />
tende a ripercuotersi negativamente sul ruolo svolto del Capo dello Stato, si è infatti<br />
sentito in dovere di far pubblicare due comunicati, ciascuno posto a corredo degli atti<br />
compiuti dallo stesso Presidente nell’ambito del procedimento relativo alla legge. Quin-<br />
37<br />
Circa l’ordine delle precedenze, ricordando una circolare del Presidente del Consiglio del 1950,<br />
poi variamente integrata e modificata, si vedano M. COSENTINO-S. FILIPPONE THAULERO, Il buon cerimoniere,<br />
Gangemi, Roma, 1999, 22.<br />
38<br />
Si veda, a tal proposito, l’art. 289 del codice penale che, in relazione al reato di attentato contro<br />
gli “organi costituzionali” dello Stato, individua proprio il Presidente della Repubblica, il Governo, le<br />
Assemblee legislative e la Corte cost.<br />
39<br />
Su tale aspetto si vedano le considerazioni di P. CARNEVALE, La legge n. 124/2008 e le sue vicende,<br />
cit., 774.
12<br />
Giulio Maria Salerno<br />
di, un primo comunicato ha accompagnato l’autorizzazione presidenziale alla presentazione<br />
alle Camere della proposta di legge governativa, ed un altro comunicato ha affiancato<br />
la promulgazione della legge infine approvata dalle Camere. Nella prima “Nota”<br />
del 2 luglio 2008, si è, per l’appunto, reso noto che “a quanto si apprende punto di riferimento<br />
per la decisione del Capo dello Stato è stata la sent. n. 24/2004 con cui la Corte<br />
costituzionale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della l. n. 140 del 20 giugno<br />
2003 che prevedeva la sospensione <strong>dei</strong> processi che investissero le alte cariche dello<br />
Stato”. Sicché, continua la nota, “a un primo esame – quale compete al Capo dello Stato<br />
in questa fase – il disegno di legge approvato il 27 giugno dal Consiglio <strong>dei</strong> ministri è<br />
risultato corrispondere ai rilievi formulati in quella sentenza”. E si aggiunge, per maggior<br />
chiarezza, che “la Corte, infatti, non sancì che la norma di sospensione di quei processi<br />
dovesse essere adottata con legge costituzionale. Giudicò inoltre «un interesse apprezzabile»<br />
la tutela del bene costituito dalla «assicurazione del sereno svolgimento delle<br />
rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche», rilevando che tale interesse «può<br />
essere tutelato in armonia con i princìpi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al<br />
cui migliore assetto la protezione è strumentale», e stabilendo a tal fine alcune essenziali<br />
condizioni” (corsivi nostri).<br />
A nostro avviso, non si può certo parlare di una sorta di giustificazione pubblica<br />
dell’atto compiuto dal Capo dello Stato, anche perché, come noto, di nulla egli deve<br />
giustificarsi né di alcunché egli è responsabile nell’esercizio delle sue funzioni, al di là<br />
delle eccezionali ipotesi rappresentate dai reati presidenziali. Ben diversamente, tale<br />
comunicato è volto ad esplicitare, e dunque a rendere pubbliche – soprattutto al fine di<br />
proteggere il Capo dello Stato dall’incontrollata diffusione di altre interpretazioni più o<br />
meno maliziose – le motivazioni giuridico-costituzionali che hanno sorretto l’atto presidenziale<br />
di autorizzazione.<br />
Parimenti, la medesima finalità di esplicitazione delle motivazioni poste a fondamento<br />
giuridico – ed in specie costituzionale – dell’atto presidenziale, può riscontrarsi nella<br />
successiva “Nota” del 23 luglio 2008 ove, annunciandosi la promulgazione della legge<br />
appena approvata dalle Camere e dopo aver riprodotto pressoché integralmente la precedente<br />
“Nota”, si conclude che “non essendo intervenute, in sede parlamentare, modifiche<br />
all’impianto del provvedimento, salvo una integrazione al comma 5 dell’articolo<br />
unico diretta a meglio delimitarne l’ambito di applicazione, il Presidente della Repubblica<br />
ha ritenuto, sulla base del medesimo riferimento alla sentenza della Corte costituzionale,<br />
di procedere alla promulgazione della legge” (corsivo nostro). In altri termini, si<br />
è voluto confermare che la complessiva attività del Capo dello Stato si è svolta sempre e<br />
soltanto sulla base del raffronto tra il testo normativo e quanto statuito nella sentenza<br />
della Corte cost. del 2004. A tal proposito, va aggiunto che tali comunicati sono intervenuti<br />
nel corso del procedimento di formazione della legge e, sebbene non siano qualificabili<br />
come atti formali e dunque presidenziali in senso stretto (in quanto essi non sono<br />
diretta esplicazione del relativo potere presidenziale, non provengono direttamente dal<br />
titolare dell’ufficio, e non sono sottoscritti né dallo stesso, né tanto meno dall’autorità<br />
governativa), sono senz’altro espressioni di quell’attività di “esternazione” attraverso la<br />
quale si manifesta in forma pubblica la volontà riconducibile allo stesso Capo dello Stato.<br />
Si tratta infatti di “Note” inserite nel sito della Presidenza della Repubblica – e rispetto<br />
al cui contenuto, secondo le norme vigenti per tutti i siti delle pubbliche amministrazioni,<br />
vale il principio di affidamento 40 – e dunque ivi poste dagli uffici diretti dal<br />
40 Si ricordi che, in base all’art. 54 del Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. n. 82 del 2005),<br />
“le pubbliche amministrazioni garantiscono che le informazioni contenute sui siti siano conformi e
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 13<br />
Segretario generale che risponde allo stesso Capo dello Stato.<br />
Due aspetti delle “Note” in oggetto vanno affrontati: la loro eventuale rilevanza ai fini<br />
dell’interpretazione della legge in sede di sindacato di costituzionalità, e la loro presuntiva<br />
efficacia vincolante rispetto all’esito del giudizio di costituzionalità. Dal primo<br />
punto di vista, non può escludersi che la Corte costituzionale possa trarre dalle predette<br />
Note utili elementi di riscontro al fine della ricerca delle effettive motivazioni della legge,<br />
e dunque delle finalità che la guidano. È noto, infatti, che allorché si ricerca la motivazione<br />
“sostanziale” e “non contestuale” dell’atto legislativo il giudice costituzionale<br />
ricorre anche a tutti quegli elementi esterni al testo normativo – si pensi, ad esempio, alla<br />
relazione illustrativa o ai dibattiti parlamentari – che possono in qualche modo concorrere<br />
a definire il senso e la portata della legge anche in ordine al rispetto o meno del<br />
dettato costituzionale 41 . Nel caso di specie, anzi, è presumibile che le precisazioni provenienti<br />
dalle Note del Quirinale proprio perché ufficialmente e pubblicamente esposte<br />
ed anzi doppiamente ribadite, non potranno essere trascurate o addirittura neglette dal<br />
giudice costituzionale allorquando si intenderà individuare il cosiddetto “spirito della<br />
legge” 42 , ovvero come è stato detto, “l’intendimento di fondo” o “la finalità concretamente<br />
perseguita” dalla l. n. 124 del 2008.<br />
Dal secondo punto di vista, una parte della dottrina, dopo aver giudicato negativamente<br />
sia le forme seguite dal Quirinale nella presente vicenda, sia il contenuto delle<br />
Note qui riassunte – considerandole irrituali, frettolose, approssimative e bisognose di<br />
opportune integrazioni –, ha concluso che “l’autonomia del controllo di costituzionalità<br />
potrebbe uscirne condizionata, se non addirittura inibita” 43 rispetto ai profili di illegittimità<br />
della legge che, prospettati nelle ordinanze di rimessione, sono stati invece espressamente<br />
“negati dal Capo dello Stato”. A nostro avviso, se è vero che nelle Note in questione<br />
si sia chiaramente espressa la valutazione del Presidente della Repubblica sul<br />
rapporto di conformità tra la nuova legge e le condizioni di costituzionalità indicate dalla<br />
Corte nella sent. n. 24/2004, tale attività valutativa – a prescindere dal giudizio circa il<br />
modo in cui è stata concretamente “esternata” 44 – non poteva non rientrare nelle competenze<br />
che sono proprie del Capo dello Stato. Dunque, questi non ha certo leso l’autonomia<br />
della Corte costituzionale, che rimane esclusiva titolare della funzione di giudicare<br />
della legittimità costituzionale delle leggi. Parimenti, è evidente che in questo giudi-<br />
corrispondenti alle informazioni contenute nei provvedimenti amministrativi originali <strong>dei</strong> quali si<br />
fornisce comunicazione tramite il sito”.<br />
41 Si vedano sul punto le riflessioni di S. BOCCALATTE, La motivazione della legge. Profili teorici<br />
e giurisprudenziali, Cedam, Padova, 2008, 356 ss.<br />
42 Circa la ricerca della “interpretazione dello spirito, dell’intendimento di fondo, della finalità<br />
concretamente perseguita” dalla legge Alfano, si vedano le riflessioni di F. MODUGNO, Introduzione,<br />
cit., 7 delle bozze di stampa, secondo cui tale interpretazione “è – è difficile dubitarne – quella di costituire<br />
un privilegio per talune persone che ricoprono e svolgono bensì i più alti e delicati ruoli istituzionali,<br />
ma che non di meno vengono discriminati dagli altri cittadini non solo per ciò che concerne i<br />
fatti compiuti nell’esercizio delle loro alte funzioni, ma anche per i fatti da essi compiuti nelle vesti di<br />
comuni cittadini, prima e indipendentemente dalla carica”.<br />
43 Così, per tutti, A. PUGIOTTO, Letture e riletture della sentenza costituzionale n. 24/2004, in<br />
Giur. it., marzo 2009, 15-16 ed in specie 16.<br />
44 Del resto, nel caso di specie non si tratta delle cd. esternazioni “informali” della volontà presidenziale<br />
che sono talora trapelate – e in vario modo ricostruite e diffuse come mere “congetture” o<br />
“informazioni provenienti da fonti privilegiate” – mediante i mezzi di comunicazione, e sulle quali si<br />
appuntano le corrette osservazioni critiche di C. FUSARO, Il presidente della Repubblica, Il Mulino,<br />
Bologna, in specie 106 ss.
14<br />
Giulio Maria Salerno<br />
zio la Corte ben difficilmente potrà sottrarsi non soltanto dal considerare o quanto meno<br />
dal prendere atto delle valutazioni pubblicamente rappresentate dal Capo dello Stato –<br />
anche perché di queste “Note” si parla nelle stesse motivazioni di una delle ordinanze di<br />
rimessione, che, in particolare, pretende di circoscrivere l’efficacia interpretativa della<br />
valutazione presidenziale ritenendola espressiva soltanto di un esame effettuato “a prima<br />
lettura” 45 –, ma anche dal dover motivare in forma altrettanto esplicita le ragioni di un<br />
suo eventuale diverso opinare.<br />
Infine, sempre con riferimento all’impatto politico-istituzionale della legge, va ricordato<br />
che nei riguardi di quest’ultima è stata depositata la richiesta di referendum abrogativo<br />
popolare e che, a quanto è dato sapere, è stato raccolto il necessario numero di sottoscrizioni.<br />
Si tratta di un referendum totale, volto cioè ad abrogare l’intera legge che è<br />
costituita, come noto, da un solo articolo suddiviso in otto commi. A tal proposito, così<br />
come per il quesito referendario sulla legge del 2003, già presentato e dichiarato ammissibile<br />
con la sent. n. 25/2004, anche per il presente quesito – e sempre che il testo della<br />
legge rimanga inalterato a seguito alla pronuncia della Corte costituzionale sulle relative<br />
questioni di legittimità costituzionale – sembra potersi escludere l’applicazione di quello<br />
specifico, ma nello stesso tempo assai flessibile e per questo motivo “pericoloso” limite<br />
che è rappresentato dall’omogeneità del quesito. L’unitarietà e la chiarezza dell’intento<br />
abrogativo appaiono evidenti, così come è univoco il principio ispiratore che lega le<br />
molteplici disposizioni investite dalla richiesta. Sicché non si vede come la presenza di<br />
una pluralità di disposizioni all’interno della domanda referendaria – pluralità dovuta da<br />
un lato all’intento di abrogare integralmente l’innovativo meccanismo predisposto dal<br />
legislatore in tema di sospensione della giurisdizione penale per le più alte cariche dello<br />
Stato, e dall’altro alla necessità di far corrispondere al complessivo intento abrogativo la<br />
completezza del quesito stesso – possa influire negativamente sulla libera, consapevole<br />
e precisa scelta <strong>dei</strong> cittadini votanti. Tuttavia, non si può escludere che anche su questo<br />
fronte, qualora il procedimento referendario effettivamente prosegua, la polemica potrà<br />
accendersi egualmente e dividere ulteriormente l’opinione <strong>dei</strong> giuristi.<br />
4. Prima di passare ad esaminare le argomentazioni poste alla base delle ordinanze di<br />
rimessione, è necessario dire qualcosa sulla sent. n. 24/2004 che ha rappresentato, come<br />
si è visto, un importante punto di riferimento nella stessa stesura della legge in questione.<br />
Anzi, per il tramite di questa sentenza e pur in assenza di un espresso riferimento costituzionale,<br />
può dirsi che la legge si intende collegare “in positivo” con la Costituzione.<br />
E questo perché proprio nella sent. n. 24/2004 – ed in specie nella parte in cui la Corte<br />
ha proceduto alla ricerca della motivazione sostanziale della precedente l. n. 140 del<br />
2003 – si è detto che il legislatore ha inteso tutelare un bene, quello del “sereno svolgimento<br />
delle rilevanti funzioni che ineriscono a tali cariche”, che è, sempre a parere della<br />
Corte, “apprezzabile” seppure debba essere tutelato “in armonia con i principi fondamentali<br />
dello Stato di diritto”, giacché proprio rispetto “al miglior assetto” di quest’ultimo<br />
tale protezione è “strumentale”. Insomma, la Corte costituzionale ha individuato<br />
nell’assicurare la protezione delle alte cariche dello Stato rispetto al sereno svolgimento<br />
delle rispettive funzioni un interesse senz’altro costituzionalmente rilevante, dato che se<br />
un interesse è “apprezzabile” secondo il giudizio della Corte costituzionale ed all’interno<br />
delle motivazioni addotte per valutare la legittimità costituzionale o meno di una<br />
45 Così si afferma espressamente nell’ambito delle motivazioni che, circa la non manifesta infondatezza,<br />
sono formulate nell’ordinanza n. 397/2008 della I Sezione penale del Tribunale di Milano.
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 15<br />
legge, ciò significa che si tratta di un’apprezzabilità che acquista rilievo proprio dal punto<br />
di vista giuridico e, in specie, costituzionale. Inoltre, continua la Corte, trattasi di un<br />
interesse pubblico che è perseguibile dalla legge proprio mediante l’introduzione dello<br />
strumento della sospensione del processo penale, a condizione che la disciplina legislativa<br />
sia conforme ai principi fondamentali dello Stato di diritto.<br />
Dunque, se non può certo dirsi che da questo punto di vista la legge in questione sia in<br />
senso stretto una legge di attuazione della Costituzione, non può parimenti affermarsi che la<br />
finalità complessiva che la muove, si collochi fuori o contro la Costituzione. Anzi, al contrario,<br />
è evidente che, riproducendosi il predetto meccanismo della sospensione <strong>dei</strong> processi<br />
penali relativi alle alte cariche dello Stato ed anzi ridefinendolo mediante la predisposizione<br />
di un complesso di limitazioni e di condizioni che sono rivolte a soddisfare – in tutto o in<br />
parte, a seconda <strong>dei</strong> punti di vista – quanto rilevato dalla Corte cost. nella sent. n. 24/2004<br />
circa la precedente legge, la legge in esame si orienta al perseguimento del medesimo interesse,<br />
la tutela del sereno svolgimento delle funzioni, che è stato già ritenuto apprezzabile<br />
dalla stessa Corte costituzionale. E tutto ciò non appare contraddetto, ma semmai confermato<br />
anche dalla sent. n. 25/2004, quella ove si è ammesso il referendum abrogativo sulla precedente<br />
l. n. 140 del 2003, in quanto, tra l’altro, si è escluso che si trattasse di una legge a<br />
contenuto costituzionalmente vincolato o costituzionalmente necessaria. È evidente, infatti,<br />
che la presenza di una finalità apprezzabile dal punto di vista del sindacato di legittimità costituzionale,<br />
quale quella per l’appunto di assicurare il sereno svolgimento di rilevanti funzioni<br />
pubbliche, di per sé non costituisca un elemento sufficiente a determinare l’applicazione<br />
della predetta ragione di inammissibilità, tanto meno alla luce dell’evoluzione della<br />
recente giurisprudenza in tema di quesiti volti ad abrogare leggi che rappresentano il punto<br />
di equilibrio costituzionalmente necessario – e dunque insopprimibile in via referendaria –<br />
tra molteplici e divergenti interessi costituzionali contemporaneamente in giuoco.<br />
Tuttavia, circa il rapporto di collegamento tra la Costituzione e la normativa che dispone<br />
la sospensione dalla giurisdizione penale, si è diversamente opinato prendendo in<br />
considerazione la giurisprudenza costituzionale relativa alla responsabilità extrafunzionale<br />
del Capo dello Stato ed alla tematica del legittimo impedimento <strong>dei</strong> parlamentari<br />
imputati o indagati 46 . Su entrambi i versanti, si sostiene, mancherebbe un esplicito riferimento<br />
della Corte costituzionale alla sospensione procedimentale come strumento costituzionalmente<br />
utilizzabile per garantire la “serenità” dello svolgimento di tali funzioni<br />
pubbliche. Invero, nella sent. n. 154/2004 relativa al Capo dello Stato si fa espresso cenno<br />
all’improcedibilità, e la Corte non soltanto non si pronuncia conclusivamente sul<br />
punto, lasciando così alla giurisdizione ordinaria la facoltà di scelta se proseguire o meno<br />
sulla strada dell’improcedibilità, ma afferma anche che “non viene qui in considerazione<br />
il diverso e discusso problema degli eventuali limiti alla procedibilità di giudizi<br />
(in particolare penale) nei confronti della persona fisica del Capo dello Stato durante il<br />
mandato, limiti che, se anche sussistessero, non varrebbero, appunto, se non fino alla<br />
cessazione della carica. Qui si discute invece <strong>dei</strong> limiti della responsabilità, che come<br />
tali valgono allo stesso modo sia durante il mandato presidenziale, sia, per gli atti compiuti<br />
durante il mandato, dopo la sua scadenza” 47 . Dunque, secondo la Corte, i limiti alla<br />
procedibilità <strong>dei</strong> giudizi per i reati extrafunzionali, anche qualora siano disposti dal<br />
legislatore – come poi è effettivamente avvenuto con la sospensione prevista dalla legge<br />
in esame – costituiscono una strumentazione ben diversa dall’apposizione di limiti alla<br />
46 Così, in particolare, si vedano le argomentazioni di F. MODUGNO, Introduzione, cit., 769.<br />
47 Così nel punto 6 del Considerato in diritto; si noti che soltanto il primo corsivo è nostro; il secondo,<br />
relativo alla parola “responsabilità” è presente nella stessa sentenza.
16<br />
Giulio Maria Salerno<br />
responsabilità del Presidente. Circa poi la questione del legittimo impedimento <strong>dei</strong> parlamentari<br />
rispetto allo svolgimento delle attività processuali che li concernono – problematica<br />
risolta, come noto, mediante il ricorso al principio della leale collaborazione –,<br />
va rilevato che essa si inserisce all’interno di una specifica e ben diversa situazione ove<br />
deve trovarsi il necessario bilanciamento tra le guarentigie poste dalla Costituzione a<br />
protezione dell’espletamento delle funzioni parlamentari e l’interesse costituzionale alla<br />
ragionevole durata del processo. Insomma, il fatto che nei predetti casi la Corte si sia direttamente<br />
occupata di altre strumentazioni e modalità di garanzia <strong>dei</strong> predetti organi,<br />
non consente né di considerare costituzionalmente insussistente il bene tutelato dalla<br />
legge relativa alle più alte cariche dello Stato, né di considerare costituzionalmente precluso<br />
lo strumento della sospensione del processo penale.<br />
Anzi, a tal proposito potrebbero anche richiamarsi altri principi di rilievo costituzionale,<br />
quali quelli di continuità funzionale, di buon funzionamento delle istituzioni pubbliche<br />
e più in generale di efficienza pubblica, che la Corte costituzionale ha richiamato<br />
in relazione alle discipline legislative volte a garantire le necessarie ed idonee condizioni<br />
di svolgimento delle attività autoritative di cui si deve assicurare permanenza e indefettibilità<br />
48 . E tra l’altro, si è anche rilevato che il principio della continuità funzionale<br />
sia un vero e proprio “principio generale della Costituzione” 49 . Se così è, e dunque se<br />
anche questi principi da ultimo ricordati possono essere letti in opportuna coordinazione<br />
con il predetto interesse al sereno svolgimento delle funzioni delle alte cariche statuali,<br />
occorre allora domandarsi se ne risulti complessivamente pregiudicata anche una questione<br />
che è prospettata tra i vizi di costituzionalità della legge, cioè quella che si collega<br />
alla mancanza di un’apposita disciplina costituzionale che consenta ovvero autorizzi esplicitamente<br />
l’intervento del legislatore ordinario proprio nel senso della sospensione<br />
dell’esercizio della funzione giurisdizionale in materia penale nei confronti delle alte cariche<br />
dello Stato nel caso <strong>dei</strong> reati extrafunzionali. Ma di ciò si parlerà più approfonditamente<br />
in seguito.<br />
In ogni caso, nella vicenda in esame il giudice costituzionale sarà tenuto a svolgere<br />
un’attività interpretativa e dunque valutativa non particolarmente agevole, dovendo tener<br />
conto di una pluralità di variabili di cui non è data per certa la consistenza. In particolare,<br />
il parametro del giudizio è qui per lo più costituito da elementi che si individuano e si confrontano<br />
operando non solo sul piano <strong>dei</strong> principi costituzionali 50 – e dunque senza poter<br />
disporre dell’ancoraggio a regole espressamente precisate dalla Costituzione e dunque intrinsecamente<br />
soggette ad una minore flessibilità nella determinazione contenutistica da<br />
parte dello stesso interprete –, ma per di più sul piano della ricostruzione dell’interpretazione<br />
fornitane dalla Corte costituzionale in un precedente giurisprudenziale che in dottrina<br />
è stato criticato sia per aver detto qualcosa in più del necessario, sia per aver sottaciuto<br />
su aspetti considerati dirimenti 51 . Così, se non può certo dirsi che la stessa sent. n.<br />
48 Sul principio di continuità funzionale degli organi rappresentativi, si veda, ad esempio, Corte<br />
cost. n. 515 del 1955; per ulteriori riferimenti alla giurisprudenza costituzionale sul punto dell’efficienza<br />
pubblica intesa come ragionevole garanzia apprestata dalla legge al fine di assicurare la necessaria<br />
e permanente funzionalità degli apparati pubblici, si rinvia a G.M. SALERNO, L’efficienza <strong>dei</strong> poteri<br />
pubblici nei principi dell’ordinamento costituzionale, Giappichelli, Torino, 1999, in specie 219 ss.<br />
49 In tal senso si veda A. MANZELLA, Il parlamento, nuova ed., Il Mulino, Bologna, 1991, 129-130.<br />
50 Su ciò si rinvia alle riflessioni di B. CARAVITA DI TORITTO, Il difficile equilibrio tra politica e<br />
magistratura: per un dibattito all’interno <strong>dei</strong> principi costituzionali, in http://www.federalismi.it.<br />
51 Per queste osservazioni si veda A. PUGIOTTO, Sull’immunità delle “alte cariche dello Stato”<br />
una sentenza di “mezzi silenzi”. Dichiarate assorbite proprie le questioni più rilevanti, in D&G, n.<br />
5/2004, in specie 11 ss.
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 17<br />
24/2004 rappresenti una sorta di “norma interposta” rispetto al successivo giudizio di costituzionalità<br />
sulla l. n. 124 del 2008, è comunque vero che, proprio nel momento stesso in<br />
cui è stata annullata sul punto la prima legge, la Corte ha finito per dettare anche una sorta<br />
di promemoria per il futuro legislatore. In questo senso, i rilievi di incostituzionalità sulla<br />
l. n. 140 del 2003 si traducono in condizioni di costituzionalità 52 che non possono non acquistare<br />
indubbio rilievo anche rispetto al giudizio concernente la disciplina successivamente<br />
predisposta dal legislatore proprio per adeguarsi – in tutto o in parte, a seconda <strong>dei</strong><br />
punti di vista – alle indicazioni risultanti dalla pronuncia del supremo organo di garanzia<br />
della Carta costituzionale. Un condizionamento interpretativo sarà dunque pressoché inevitabile<br />
rispetto alla valutazione di costituzionalità della nuova legge, proprio in ragione<br />
del valore di precedente da riconoscersi alla sent. del 2004 di cui la Corte non potrà non<br />
tenere conto. E ciò sia a causa della relativa vicinanza temporale tra i giudizi di costituzionalità,<br />
sia considerata la comune scaturigine – ma non, si badi bene, la totale sovrapposizione<br />
– <strong>dei</strong> contenuti normativi che connotano le due discipline del 2003 e del 2008.<br />
Certo, è noto che il precedente non produca un vincolo giuridicamente rilevante<br />
per la Corte costituzionale, giacché la continuità della giurisprudenza assume essenzialmente<br />
un effetto confermativo e persuasivo delle rationes decidendi al fine del<br />
perseguimento di una pluralità di obiettivi – quali, tra gli altri, l’affidamento, il pari<br />
trattamento di casi simili e l’uniformità giurisprudenziale – che sono volti soprattutto<br />
al consolidamento dell’autorità della stessa Corte costituzionale 53 nell’intero sistema<br />
ordinamentale. Nel contempo, il perseguimento di tali obiettivi non impedisce<br />
talora alla Corte di mutare orientamento, seppure – e cioè conferma la forza implicita<br />
<strong>dei</strong> precedenti, soprattutto se immediatamente e direttamente collegati alle questioni<br />
successivamente prese in considerazione – tentando di giustificare veri e propri<br />
revirements giurisprudenziali sulla base degli stessi precedenti che dovrebbero<br />
escluderli. E ciò avviene, potremmo aggiungere, proprio in ragione dell’“altissimo<br />
valore attribuito al precedente” 54 , così come è stato riconosciuto in uno scritto di un<br />
ex-Presidente della Corte costituzionale. Parimenti, un altro ex-Presidente della<br />
Consulta ha significativamente segnalato come “la continuità della giurisprudenza<br />
costituzionale sia sostanzialmente una forma di garanzia da preservare con la massima<br />
attenzione” 55 . Insomma, apparirebbe davvero stravagante che quanto sostenuto<br />
in una pronuncia di non molti anni fa ed avente ad oggetto una legge che interviene<br />
sullo stesso argomento, venisse smentito o contraddetto radicalmente.<br />
52<br />
Sul punto A. PACE, La legge n. 140/2003 e i principi costituzionali violati, cit., si domanda “se<br />
la Corte, elencando (in negativo) tutti quei ‘paletti’, avesse in mente (in positivo) una certa soluzione<br />
tecnica che possa venire incontro ai problemi pratici sottesi al cd. lodo Schifani”.<br />
53<br />
Si vedano le considerazioni di E. CRIVELLI, Il richiamo alla ratio decidendi nei precedenti della<br />
giurisprudenza costituzionale, in M. PEDRAZZA GORLERO (a cura di), Il precedente nella giurisprudenza<br />
della Corte costituzionale, Cedam, Padova, 2008, 281 ss.<br />
54<br />
Così G. ZAGREBELSKY, Principi e voti. La Corte costituzionale e la politica, Einaudi, Torino,<br />
2005, 83.<br />
55<br />
Così si esprime P.A. CAPOTOSTI nel suo intervento, proprio in qualità di ex-Presidente della<br />
Corte costituzionale, al Convegno svoltosi presso l’Università di Roma Tre il 14 e 15 giugno ed i cui<br />
atti sono pubblicati in P. CARNEVALE-C. COLAPIETRO, La giustizia costituzionale fra memoria e prospettive.<br />
A cinquant’anni dalla pubblicazione della prima sentenza della Corte costituzionale, Giappichelli,<br />
Torino, 2008, 238.
18<br />
Giulio Maria Salerno<br />
5. La l. n. 124 del 2008 pone dubbi di rilievo costituzionale perché così è stato rilevato<br />
da una parte della dottrina 56 , dalle forze di opposizione nel corso del procedimento parlamentare<br />
di approvazione 57 , e da tre ordinanze di rimessione che hanno sollevato alcune<br />
eccezioni di costituzionalità che sono adesso sottoposte al giudizio della Corte costituzionale.<br />
In particolare, le ordinanze di rimessione rilevano la presenza di vizi di costituzionalità<br />
sia dal punto di vista formale che da quello materiale. In via generale, si ritengono presuntivamente<br />
lesi i seguenti disposti costituzionali: l’art. 138 Cost., giacché in breve si ritiene<br />
che, per l’approvazione di siffatta disciplina derogatoria delle disposizioni e <strong>dei</strong><br />
principi costituzionali vigenti in tema di rapporti tra la giurisdizione ed i titolari delle cariche<br />
pubbliche coinvolte, sarebbe stato necessario utilizzare la procedura prevista per le<br />
leggi di rango costituzionale; l’art. 136 Cost., in quanto, essendosi in gran parte riprodotto<br />
il contenuto della l. n. 140 del 2003 già dichiarata incostituzionale, si sarebbe inciso sul<br />
giudicato costituzionale; l’art. 3 Cost., in quanto mediante la sospensione temporanea dalla<br />
giurisdizione penale si sarebbe violato il principio di eguaglianza inteso sia come eguaglianza<br />
in senso formale, ossia come “parità <strong>dei</strong> cittadini di fronte alla legge ed alla giurisdizione”,<br />
sia come “eguaglianza sostanziale sotto il profilo della irragionevolezza del suo<br />
contenuto derogatorio rispetto al diritto comune” 58 ; gli artt. 68 e 96 Cost., in connessione<br />
rispettivamente con gli artt. 138 e 3 Cost., perché da un lato “si mina di per sé la scala gerarchica<br />
delle fonti del diritto e quel primato della Costituzione che costituisce il nucleo<br />
fondamentale dello Stato democratico”, e, dall’altro lato, le legge detta per i reati extrafunzionali<br />
una disciplina che è irragionevolmente diversa da quella diversa da quella voluta<br />
dalla Costituzione per i reati funzionali 59 ; l’art. 111 Cost., in quanto la sospensione<br />
pressoché automatica <strong>dei</strong> processi contrasterebbe col rispetto del principio di ragionevole<br />
durata del processo; e l’art. 112 Cost. in quanto la stessa sospensione si contrapporrebbe al<br />
principio di obbligatorietà dell’azione penale.<br />
Va notato che le ordinanze procedono, per così dire, in ordine sparso: mentre il primo<br />
vizio, quello relativo all’art. 138 Cost., è stato indicato espressamente nei dispositivi<br />
di tutte e tre le ordinanze, peraltro con motivazioni alquanto diverse, il secondo vizio,<br />
quello cioè concernente la violazione del giudicato costituzionale, è presente soltanto<br />
nel dispositivo di una delle due ordinanze del Tribunale di Milano (la n. 397/2008), ma<br />
non nelle altre due, ovvero nell’immediatamente successiva ordinanza proveniente da<br />
altra Sezione penale dello stesso Tribunale di Milano (la n. 398/2008), e nell’ultima presentata<br />
dal G.i.p. presso il Tribunale di Roma (la n. 9/2009). Viceversa, gli ulteriori tre<br />
profili – cioè quelli attinenti all’eguaglianza, alla ragionevole durata del processo ed<br />
56<br />
Si vedano, in particolare, il testo della audizione informale resa da L. ELIA il mercoledì 16 luglio<br />
2008, quale ex presidente della Corte costituzionale, alle Commissioni riunite (Affari costituzionali e Giustizia)<br />
del Senato della Repubblica; e A. PACE, “Cinque pezzi facili”: l’incostituzionalità della Legge Alfano,<br />
in http://www.associazione<strong>dei</strong>costituzionalisti, 16 agosto 2008, e poi in ID., I limiti del potere, Napoli,<br />
2008, 175 ss.<br />
57<br />
Si fa qui riferimento alla pregiudiziale di costituzionalità presentata alla <strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> deputati il 9 luglio<br />
2009 (A.C. n. 1142), ove si fa riferimento non solo alla violazione degli artt. 3, 136 e 138, sulla base di<br />
considerazioni in gran parte non dissimili da quelle che saranno poi indicate nelle ordinanze di rimessione,<br />
ma anche all’art. 72, comma 1, Cost., in quanto “i ristrettissimi tempi di esame da parte della <strong>Camera</strong> non<br />
hanno permesso l’esercizio della funzione istruttoria, propria della Commissione in sede referente”, rilievo<br />
di ordine procedurale che non sarà poi ripreso nelle ordinanze di rimessione.<br />
58<br />
Così nel punto 2.d dell’ordinanza di rimessione n. 9 del 26 settembre 2008 adottata dal G.i.p.<br />
presso il Tribunale di Roma.<br />
59<br />
Così nelle motivazioni presenti nell’ordinanza n. 398/2008 del X Sezione penale del Tribunale<br />
di Milano.
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 19<br />
all’obbligatorietà dell’azione penale – sono stati ricordati nelle motivazioni di tutte le tre<br />
ordinanze, ma sono esplicitamente riportati nel dispositivo dell’ordinanza del G.i.p.<br />
presso il Tribunale di Roma ed in una del Tribunale di Milano (la n. 398/2008), nella<br />
quale soltanto, infine, si richiamano espressamente i vizi connessi alle violazioni degli<br />
art. 96 e 68 Cost. seppure, come già accennato, nella parte motiva li si collega sostanzialmente<br />
alla lesione degli artt. 3 e 138 Cost. Infine va ricordato che gran parte di tutte<br />
queste motivazioni sono state poi ampiamente esposte ed in qualche misura riordinate<br />
nella memoria di costituzione presentata congiuntamente dal Procuratore della Repubblica<br />
e dal Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, magistrati<br />
inquirenti che dunque hanno chiesto alla Corte costituzionale di modificare<br />
l’indirizzo giurisprudenziale sinora contrario ad estendere ai pubblici ministeri la facoltà<br />
di costituirsi nel giudizio di costituzionalità. Per quanto ampiamente motivata, non sembra<br />
che tale richiesta possa trovare positivo accoglimento, giacché la tesi innovativa si<br />
fonda nella sua essenza su un’argomentazione decisiva – la condizione di parità tra le<br />
parti che è richiamata nell’art. 111, comma 2, Cost. – che, tuttavia, deve essere confrontata<br />
con l’intrinseca diversità della “natura delle funzioni”, e della “peculiare posizione<br />
istituzionale” che, secondo ormai costante giurisprudenza costituzionale, sono proprie<br />
del pubblico ministero in virtù della Costituzione e delle leggi attuative sull’ordinamento<br />
giudiziario, non consentendo perciò l’assoluta parificazione delle posizioni processuali<br />
che devono essere invece adattate alle specifiche caratteristiche di ogni tipo di<br />
processo 60 . Inoltre, va considerato che la parità dell’art. 111 Cost. è garantita quale parità<br />
“nel contraddittorio tra le parti” che si svolge all’interno del processo e che dunque<br />
deve trovare senz’altro applicazione, pur con le distinzioni sopra ricordate, nella disciplina<br />
legislativa in ordine alla posizione delle parti rispetto all’esercizio delle funzioni<br />
che il giudice deve esercitare in condizioni di terzietà ed imparzialità. In altri termini,<br />
dall’art. 111 Cost. non scaturisce la conseguenza diretta e necessaria di assicurare alle<br />
diverse e costituzionalmente distinte parti del processo – pubblica e private – né l’eguale<br />
disponibilità delle stesse strumentazioni all’interno del processo, né l’identica posizione<br />
ai fini e per gli effetti del peculiare procedimento che nasce in via incidentale per consentire<br />
l’accertamento della sussistenza <strong>dei</strong> vizi di costituzionalità delle leggi.<br />
Riassumendo, dal punto di vista delle ordinanze di rimessione, trattasi di legge sottoposta<br />
ad un ampio ventaglio di dubbi di costituzionalità che attengono sia ad elementi di<br />
carattere sostanziale, sia alla veste formale dell’atto, sia infine al rapporto con uno specifico<br />
precedente della Corte costituzionale. Per affrontare sistematicamente le argomentazioni<br />
poste a fondamento delle questioni di costituzionalità in esame, appare opportuno<br />
distinguere i vizi prospettati, in quanto alcuni di questi ultimi si presentano, per<br />
così dire, come “generali” e “capitali”, mentre altri sono invece, per così dire, “puntuali”<br />
e “collaterali”. Con i primi si contesta la legge in quanto si assume che essa violi principi<br />
generali dell’intero ordinamento costituzionale, quali sono quelli espressi dall’art. 3,<br />
dall’art. 136 e dall’art. 138 Cost., vizi insomma così intrinsecamente collegati alle fondamenta<br />
di tutta la Costituzione da determinare l’incostituzionalità in radice non solo<br />
della disciplina in oggetto, ma di qualunque legge che tentasse di realizzare il medesimo<br />
obiettivo con uno strumentario più o meno assimilabile. Con i secondi, si contesta la l.<br />
n. 124 del 2008 per quegli aspetti che inciderebbero su principi costituzionali più delimitati<br />
ovvero di settore, quali sono, per la precisione, la ragionevole durata del processo<br />
e l’obbligatorietà dell’azione penale (artt. 111 e 112 Cost.); insomma, vizi che concernono<br />
la specifica disciplina dettata da questa legge, ma che presumibilmente sarebbero<br />
60 Ad esempio, si vedano, sul punto, le sentenze della Corte cost. nn. 75 e 421/2001 e n. 286/2003.
20<br />
Giulio Maria Salerno<br />
superabili mediante una normativa più acconcia ed accorta. Da quanto detto discende<br />
che dall’eventuale accoglimento <strong>dei</strong> primi vizi potrebbe più verosimilmente conseguire<br />
l’annullamento in toto della legge, fatta sempre salva l’eventualità che soltanto specifiche<br />
disposizioni possano essere colpite dall’applicazione del canone della ragionevolezza;<br />
mentre dall’accoglimento <strong>dei</strong> secondi vizi potrebbe derivare più agevolmente<br />
l’applicazione di tipologie diverse di decisione, come, ad esempio, di accoglimento parziale,<br />
oppure sentenze interpretative, additive, e così via. Per quanto concerne gli ulteriori<br />
vizi denunciati, quelli cioè attinenti agli artt. 68 e 96 Cost., si tratta di vizi prospettati<br />
come non del tutto autonomi, in quanto intrinsecamente collegati ad alcuni di quelli<br />
qui definiti generali, ovvero più esattamente a quelli relativi al principio di eguaglianza<br />
e al principio di rigidità costituzionale e di supremazia delle fonti di rango costituzionale,<br />
che trovano rispettivamente espressione negli artt. 3 e 138 Cost.<br />
6. Iniziando dai vizi che abbiamo appena definito “puntuali” e “collaterali”, può rilevarsi<br />
che in entrambi i casi la prospettazione dell’illegittimità costituzionale si fonda non tanto e<br />
non soltanto su una valutazione – ovviamente negativa – in ordine agli effetti che la disciplina<br />
legislativa produrrebbe nei confronti dell’effettiva tutela <strong>dei</strong> principi costituzionalmente<br />
garantiti, quanto sulla presunta insussistenza o comunque sull’insufficienza dell’interesse<br />
o degli interessi che sarebbero a fondamento e giustificazione della scelta operata con la<br />
legge medesima. Circa la ragionevole durata del processo, ciò del resto è immediata conseguenza<br />
della giurisprudenza costituzionale formatasi sul punto. Come noto, si tratta di un<br />
principio introdotto con la legge di revisione costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 e che, a<br />
differenza da quanto da taluno auspicato, si è tradotto in un parametro costituzionale dotato<br />
di un esito applicativo piuttosto limitato, per non dire assai blando. Anzi, si è sostenuto che<br />
proprio ciò lo avrebbe fatto divenire un principio quasi meramente programmatico. In via<br />
generale, certo, una tale prospettiva andrebbe respinta, anche e soprattutto alla luce del fatto<br />
che sarebbe davvero auspicabile un più rigoroso intervento della Corte costituzionale avverso<br />
le disposizioni che favoriscono oggettivamente immotivate lungaggini processuali. In<br />
ogni caso, va ricordato che, secondo la giurisprudenza ormai consolidata, la ragionevole durata<br />
del processo – in quanto espressione dell’esigenza costituzionale di assicurare<br />
l’efficienza processuale – deve essere contemperata e dunque bilanciata con “le esigenze di<br />
tutela di altri diritti e interessi costituzionalmente garantiti rilevanti nel processo” 61 . Dunque,<br />
dato che, come detto dalla Corte cost. nella sent. n. 24/2004, assicurare “il sereno svolgimento<br />
delle rilevanti funzioni” delle alte cariche dello Stato rappresenta “un interesse apprezzabile<br />
che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto,<br />
rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale” 62 , il problema non può allora<br />
concernere l’insussistenza dell’interesse apprezzabile dal legislatore, quanto la ragionevolezza<br />
della ponderazione posta in essere dal legislatore tra gli interessi in giuoco mediante la<br />
specifica disciplina normativa e dunque, più esattamente, per il tramite delle molteplici limitazioni<br />
e condizioni apposte al meccanismo della sospensione. E rispetto a tale ponderazione<br />
non può restare senza significato il mutato quadro normativo adesso vigente rispetto alla<br />
precedente legge del 2003, soprattutto a seguito dell’inserimento delle clausole limitative<br />
della sospensione, esito che, come detto all’inizio, ormai non è più né del tutto automatico,<br />
né reiterabile in caso di successiva investitura in altra delle cariche o funzioni (v. l’art. 1,<br />
comma 1, della l. n. 124 del 2008).<br />
61 Così in Corte cost. n. 399/2001.<br />
62 Cfr. punto 4 del Considerato in diritto.
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 21<br />
7. Nel medesimo senso, seppure con qualche ulteriore precisazione, può essere affrontata<br />
la questione relativa alla violazione del principio dell’obbligatorietà dell’azione<br />
penale. Anche per questo aspetto, infatti, la prospettazione della sussistenza del vizio di<br />
costituzionalità attiene alla valutazione della correttezza o meno della ponderazione effettuata<br />
dal legislatore tra l’esigenza di garantire effettività alla funzione di iniziativa<br />
penale che deve essere esercitata “obbligatoriamente” dal pubblico ministero, e l’esigenza<br />
di tutelare il predetto interesse al “sereno svolgimento delle funzioni”. A ciò si<br />
aggiunga che il principio risultante dall’art. 112 Cost. non significa imporre l’obbligatoria<br />
sottoposizione <strong>dei</strong> cittadini a qualsivoglia pretesa punitiva dello Stato, ma implica<br />
l’obbligatorietà, in conformità alle previsioni di legge, della richiesta che il pubblico<br />
ministero rivolge al giudice di decidere sulla fondatezza o meno di una notizia di reato e<br />
sulla conseguente applicazione del precetto penale. In particolare, nel caso di specie,<br />
proprio in ragione del fatto che il meccanismo della sospensione è stabilito dalla legge<br />
senza riferimento alcuno a criteri di carattere discrezionale, non sembrano compromesse<br />
le istanze primariamente tutelate dall’art. 112 Cost., quali, in particolare, per un verso<br />
l’indipendenza funzionale del pubblico ministero da ogni altro potere ed in specie dal<br />
potere esecutivo, e per altro verso l’esclusione di quella discrezionalità del pubblico ministero<br />
nell’esercizio della funzione di iniziativa penale che, questa sì, potrebbe incidere<br />
sull’effettiva parità di trattamento <strong>dei</strong> cittadini rispetto all’avviarsi del magistero punitivo.<br />
Inoltre, in varie pronunce la Corte costituzionale ha rilevato che l’obbligatorietà<br />
dell’azione penale non impedisce che l’ordinamento possa stabilire, per l’appunto in via<br />
generale, che, indipendentemente dall’obbligo imposto al pubblico ministero, “determinate<br />
condizioni concorrano perché l’azione penale possa essere promossa o perseguita”<br />
63 . Tanto più che la Corte cost., proprio nella sent. n. 24/2004, ha ricordato che il sistema<br />
delle sospensioni nel processo penale non “sia un sistema chiuso” e che il legislatore<br />
“possa stabilire altre sospensioni finalizzate alla soddisfazione di esigenze extraprocessuali”<br />
(cfr. punto 3 del Considerato in diritto). E tra queste esigenze extraprocessuali<br />
la Corte ha considerato legittimo proprio il fatto che il legislatore prenda in considerazione<br />
l’esigenza al sereno svolgimento delle funzioni delle alte cariche dello Stato. Infine,<br />
anche per questo profilo non possono non valere le riflessioni attinenti alle novità<br />
che sono state introdotte con la legge del 2008 rispetto alla legge del 2003, in particolare,<br />
come detto all’inizio, circa la salvaguardia delle funzioni giurisdizionali in ordine<br />
all’assunzione delle prove non rinviabili (v. l’art. 1, comma 3, l. n. 124/2008).<br />
8. Il primo vizio “capitale” e “generale” che qui si intende affrontare, è quello connesso<br />
alla violazione del giudicato costituzionale, ovviamente in quanto si aderisca alla tesi dottrinale<br />
ormai prevalente, ed accolta dalla stessa Corte costituzionale, secondo cui l’art. 136<br />
Cost. impedisce al legislatore di imporre che atti, fatti o situazioni siano valutati come se<br />
una precedente dichiarazione di illegittimità costituzionale non fosse intervenuta 64 . A tal<br />
proposito, tuttavia, in primo luogo è evidente che la seconda legge non prescriva la mera<br />
conferma della vigenza della prima legge e non abbia disposto un qualsivoglia rinvio fisso<br />
o ricettizio alla prima legge. Infatti, né si è confermata o prorogata l’efficacia delle relative<br />
63 Cfr. sentt. nn. 22/1959 e 114/1982.<br />
64 Così, ad esempio, Corte cost. n. 88/1966. La tesi dell’efficacia vincolante dell’art. 136 Cost. limitata<br />
soltanto al versante applicativo – e non coinvolgente il momento produttivo delle norme legislative<br />
– è stata sostenuta invece, ad esempio, da A. BARBERA, Giudicato costituzionale e poteri <strong>dei</strong><br />
giudici, in Giur. cost., 1963, 612.
22<br />
Giulio Maria Salerno<br />
disposizioni dichiarate incostituzionali, né se ne è consentita in qualche modo la prosecuzione<br />
della vigenza. Infine, non può essere negato che la seconda legge presenti novità<br />
normative di un qualche peso rispetto alla prima legge, e che dunque non ne rappresenti,<br />
per così dire, la “fotocopia”. Anzi, sul punto in dottrina si sostiene che, quand’anche fosse<br />
accertata la presenza di un contenuto normativo meramente riproduttivo di quello della<br />
prima legge già dichiarato costituzionalmente illegittima, occorrerebbe sempre verificare<br />
la permanenza del vizio stesso nelle nuove disposizioni, “potendo esse esprimere significati<br />
(e quindi norme) diverse, potenzialmente conformi a Costituzione” 65 . In ogni caso,<br />
l’evidente presenza di una non ristretta serie di elementi innovativi tra la prima e la seconda<br />
legge, così come è stato segnalato sia dal Presidente della Repubblica nel corso del<br />
procedimento legislativo sia nelle stesse ordinanze di rimessione, non può che incidere,<br />
modificandola in parte, sulla complessiva motivazione della legge, che infatti non può più<br />
essere considerata come rivolta a produrre un meccanismo di sospensione del tutto rigido,<br />
automatico e temporalmente indefinito come quello già dichiarato, proprio per queste ragioni,<br />
costituzionalmente illegittimo. Ciò rende in concreto piuttosto difficile – e si potrebbe<br />
dire anche improbabile – che sia riscontrata la sussistenza della lesione del giudicato<br />
costituzionale, così come siffatto vizio è stato rappresentato nelle ordinanze di rimessione,<br />
vale a dire come esito determinato dalla sostanziale riproduzione del precedente<br />
impianto legislativo mediante un corpus normativo sostanzialmente sovrapponibile – nel<br />
contenuto, nelle finalità e dunque nella motivazione sostanziale che lo sorregge – a quello<br />
già dichiarato costituzionalmente illegittimo.<br />
9. Venendo adesso agli altri due vizi che abbiamo qui definito “generali” e “capitali”,<br />
e che presumibilmente si presentano come il punto di attacco più consistente di tutte le<br />
ordinanze di rimessione nei riguardi della legge in questione, essi sono rappresentati<br />
dalle violazioni degli artt. 3 e 138 Cost., seppure vada sottolineato che nel dispositivo di<br />
una delle due ordinanze provenienti da Milano (la n. 397/2008) non si richiami espressamente<br />
il principio di eguaglianza tra i vizi di costituzionalità conclusivamente – e<br />
dunque “formalmente” – prospettati. In ogni caso, nell’ambito delle parti motive di tutte<br />
le ordinanze tale vizio è abbondantemente sviluppato, seppure con argomentazioni formulate<br />
con modalità piuttosto diverse, talvolta molto stringate e talora, invece, alquanto<br />
articolate e sovrapposte, e dunque rendendo non facile il compito di chi dovrà dedicarsi<br />
alla precisa ricostruzione del thema decidendum sottoposto al giudice costituzionale. Ad<br />
esempio, nell’appena ricordata ordinanza n. 397/2008 della I Sezione penale del Tribunale<br />
di Milano si rileva che la nuova legge modifichi parzialmente la disciplina della<br />
legge del 2003 già dichiarata incostituzionale dalla Corte, anzi così riconoscendo espressamente<br />
che la legge abbia “eliminato alcuni punti già censurati dalla Corte” ed in<br />
specie circa l’indeterminatezza del periodo di sospensione e la garanzia del diritto al<br />
processo sia a favore dell’imputato che della parte civile. Dall’altro lato, nella stessa ordinanza,<br />
si afferma apoditticamente che anche con le ricordate modifiche la legge “incorre<br />
nuovamente nell’illegittimità costituzionale, già ritenuta dalla Corte sotto il profilo<br />
della violazione dell’art. 3”, facendone così derivare la violazione del giudicato costituzionale<br />
di cui si è fatto cenno sopra. A ben vedere, circa la permanenza del contrasto<br />
con il principio di eguaglianza – qualora la Corte lo ritenesse comunque sollevato “sostanzialmente”,<br />
giacché, come detto, manca un espresso riferimento nel dispositivo fina-<br />
65<br />
Così M. RUOTOLO, Legge Alfano e vizio da riproduzione di norme dichiarate incostituzionali,<br />
cit., 787.
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 23<br />
le – questa ordinanza di Milano appare sin troppo essenziale, per non dire lacunosa e<br />
perciò priva di una qualche indispensabile motivazione in ordine alla sussistenza del requisito<br />
della non manifesta infondatezza, aspetto che perciò appare critico anche alla luce<br />
dell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale assai stringente in tema di controllo<br />
su questo necessario connotato dell’atto introduttivo del giudizio.<br />
Diversamente, nell’ordinanza proveniente dal G.i.p. del Tribunale di Roma (la n. 9<br />
del 2008), il vizio attinente all’art. 3 Cost. è ricostruito sotto una triplice veste: come vizio<br />
autonomo, ossia come violazione del “principio di parità <strong>dei</strong> cittadini di fronte alla<br />
giurisdizione, manifestazione a sua volta del principio di eguaglianza formale dinanzi<br />
alla legge”; come vizio collegato alla violazione dell’art. 138 Cost., in quanto la “deroga<br />
al principio di eguaglianza davanti alla giurisdizione e alla legge” non è stata disposta<br />
con una legge di rango costituzionale; ed infine come violazione del principio di “eguaglianza<br />
sostanziale (art. 3, comma 2, Cost.), sotto il profilo della irragionevolezza del<br />
suo connotato derogatorio rispetto al diritto comune”. In ordine a quest’ultimo versante,<br />
tuttavia, non si comprende appieno il riferimento al secondo comma dell’art. 3, in quanto<br />
potrebbe rilevarsi che la ragionevolezza è un canone inerente al principio di eguaglianza<br />
in senso lato, e non soltanto a quelle estrinsecazioni dell’istanza egualitaria che<br />
trovano esplicitazione nel secondo comma dell’art. 3 Cost., salvo che si ritenga – ma<br />
con esiti del tutto contrapposti a quelli che vorrebbero far valere – che il meccanismo<br />
della sospensione processuale per i reati extrafunzionali costituisca una forma di rimozione<br />
di “ostacoli” concretamente posti all’esercizio di una libertà politica.<br />
Poi, circa il primo profilo della violazione del principio di eguaglianza, può sottolinearsi<br />
che nella stessa ordinanza n. 9/2008 si specifica che è uno <strong>dei</strong> “principi fondamentali<br />
del moderno Stato di diritto” che “nessuna legge, sia costituzionale e tanto meno<br />
ordinaria”, può sovvertire. Così ragionando, tuttavia, il primo ed il secondo profilo prospettati<br />
in ordine alla presunta violazione del principio di eguaglianza non solo vengono<br />
a sovrapporsi, ma addirittura a porsi in diretta ed immediata contraddizione. Infatti, se si<br />
ritiene, sulla base della prima argomentazione indicata nell’ordinanza, che una certa disciplina<br />
normativa non possa essere dettata neppure con legge costituzionale, come si<br />
può nello stesso tempo contestare la legge che pone tale disciplina, proprio per il mancato<br />
uso della legge costituzionale stessa? L’ordinanza dunque sembra mostrare una qualche<br />
incertezza nell’interpretare in modo univoco i parametri costituzionali da essa stessa<br />
richiamati, in specie nel rapporto che collegherebbe gli artt. 3 e 138 Cost. Sul punto, una<br />
dottrina particolarmente avvertita circa le tematiche <strong>dei</strong> principi costituzionali “inviolabili”<br />
66 , suggerisce che, se la Corte cost. nella sent. n. 24/2004 ha riconosciuto l’esistenza<br />
del principio di eguaglianza come principio fondamentale e dunque inviolabile<br />
dello Stato di diritto, il problema allora non consiste tanto nel rivendicarne l’intangibilità<br />
da parte di qualsivoglia legislatore (anche in sede costituzionale), quanto nel verificare<br />
se proprio il “contenuto essenziale” di tale principio sia stato eventualmente leso<br />
dalla disciplina posta dalla legge. Qualora si accetti tale lettura, il sindacato della Corte<br />
connesso al rispetto o meno del principio di eguaglianza deve allora concentrarsi nel valutare<br />
se la disciplina introdotta con la legge abbia o meno leso quella regola – per<br />
l’appunto minima ed assolutamente inderogabile del nostro ordinamento costituzionale<br />
– che pone un confine invalicabile alle leggi che intendano differenziare soltanto il trattamento<br />
di alcuno rispetto al pari assoggettamento di tutti i cittadini alla giurisdizione<br />
penale. Tuttavia, l’applicazione di un tale approccio valutativo implica la soluzione di<br />
un problema davvero arduo: dove e come collocare il confine invalicabile di tale regola?<br />
66 Si vedano le riflessioni di F. MODUGNO, Introduzione, cit., 769.
24<br />
Giulio Maria Salerno<br />
In quale modo, insomma, si può definire, con un sufficiente grado di sicurezza interpretativa<br />
costituzionalmente fondata, il principio ultimo di giustizia delle leggi in ordine al<br />
pari trattamento <strong>dei</strong> cittadini rispetto alla sottoposizione ai procedimenti giurisdizionali<br />
in materia penale? Insomma, a quali condizioni minime ed inderogabili il principio di<br />
eguaglianza si considera violato per il solo fatto di “creare su questo punto situazioni diverse<br />
da cittadino a cittadino” 67 ? Del resto, se si intendesse utilizzare il suggerimento di<br />
chi correttamente rileva che “quanto più basso risulta il grado di generalità-astrattezza<br />
della previsione legislativa, tanto più alto è il sospetto di una sua irragionevolezza” 68 , si<br />
sposterebbe l’indagine sul piano della ragionevolezza della disciplina, e dunque si rinuncerebbe<br />
ad affrontare la ricerca del limite assoluto della “personalità” delle condizioni<br />
al di sotto del quale la legge non può riferire la sua applicazione. E tale ricerca appare<br />
vieppiù problematica se si ricorda quella pronuncia della Corte costituzionale 69 ove,<br />
con riferimento ad un tema accostabile a quello in questione, quello cioè della “riserva<br />
della giurisdizione”, si è negato che trattasi di un “principio supremo” che nemmeno<br />
una legge “avente copertura costituzionale potrebbe superare”. A tal proposito si è<br />
sì specificato che “la giurisdizione sia principio caratteristico della sovranità e di questa<br />
rappresenti un elemento costitutivo”, ma nel contempo si è significativamente aggiunto<br />
che “un’inderogabilità assoluta della giurisdizione statale non risulta da espresse norme<br />
della Costituzione, né è deducibile, con particolare riguardo alla materia civile, dai principi<br />
generali del nostro ordinamento, nel quale ipotesi di deroga sono stabilite da leggi<br />
ordinarie (art. 2 c.p.p.)”. Insomma si è “riconosciuta la compatibilità con il nuovo ordinamento<br />
costituzionale di una deroga alla giurisdizione che sia razionalmente e politicamente<br />
giustificabile” (corsivi nostri), e dunque si è ammessa tale deroga in quanto essa<br />
trovi appunto una “giustificazione” costituzionalmente apprezzabile. Siffatta giustificazione<br />
nel caso delle vicende sottoposte al nostro esame non può del tutto negarsi, in<br />
quanto, come detto sopra, l’innescarsi di un procedimento penale per reati extrafunzionali<br />
nei confronti delle alte cariche dello Stato potrebbe incidere in modo pericoloso o<br />
addirittura irreparabile sul funzionamento o sulla stabilità delle istituzioni da esse presiedute<br />
ovvero, in particolare, sulla stessa forma di governo costituzionalmente delineata.<br />
A tacer d’altro, la presenza di un’apposita disciplina in materia appare giustificata, ad<br />
esempio, nel caso del Presidente della Repubblica, là dove per far cessare una crisi istituzionale<br />
che potrebbe avere effetti dirompenti per l’intero ordinamento l’alternativa<br />
consisterebbe o nella successiva remissione dell’accusa formulata in sede giudiziaria o<br />
nelle dimissioni più o meno spontaneamente rassegnate dallo stesso Capo dello Stato.<br />
Ancora, nel caso del Presidente del Consiglio, si potrebbe innescare un conflitto non facilmente<br />
risolvibile tra la permanenza dell’esecutivo tutto – qualora il Parlamento,<br />
nell’esercizio delle sue competenze, intendesse confermare la fiducia nei confronti del<br />
Governo e dunque dello stesso Presidente del Consiglio-, e l’esercizio della giurisdizione<br />
penale concretizzatasi, ad esempio, nell’apprestamento di misure cautelari di carattere<br />
personale. E conseguenze parimenti dannose per la stabilità ed il funzionamento costituzionalmente<br />
corretto delle istituzioni, potrebbero verificarsi qualora l’accertamento<br />
della responsabilità penale coinvolgesse il Presidente del Senato proprio nell’adempimento<br />
della sua funzione di supplente del Capo dello Stato oppure il Presidente della<br />
67 Ricordando l’espressione impiegata da C. ESPOSITO, Eguaglianza e giustizia nell’art. 3 della<br />
Costituzione, in ID., La Costituzione italiana. Saggi, Cedam, Padova, 1954, 31,<br />
68 Considerazione formulata da A. PUGIOTTO, Lodo Maccanico, non una (semplice) sospensione,<br />
ma una vera immunità, in D&G, n. 29/2003, 31.<br />
69 Cfr. Corte cost. n. 175 del 1973, ed in specie il punto 2 del Considerato in diritto.
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 25<br />
<strong>Camera</strong> nelle molteplici occasioni in cui questi presiede il Parlamento in seduta comune,<br />
ovvero allorché entrambi svolgono ulteriori compiti costituzionalmente garantiti, cioè<br />
quando, ad esempio, sono tenuti a fornire al Capo dello Stato il loro parere sullo scioglimento<br />
delle Camere. Siffatte evenienze non sono state espressamente considerate dal<br />
costituente che, talora consapevolmente 70 , ha preferito non disciplinare la presenza di<br />
vicende processuali per reati extrafunzionali <strong>dei</strong> titolari delle più alte cariche dello Stato,<br />
ma la loro concreta verificabilità pone seri problemi di carattere istituzionale e dunque<br />
di rilievo costituzionale, in ordine ai quali, in assenza di una qualsivoglia disciplina legislativa<br />
sul punto, sarebbe non facile porre rimedio. Certo, gli organi rappresentativi e le<br />
forze politiche ivi presenti potrebbero cedere alla pressione delle accuse formulate in<br />
sede giudiziaria e sostenute da una parte dell’opinione pubblica, indurre alle dimissioni i<br />
titolari delle alte cariche dello Stato e sostituirli con altre persone. Così come, al contrario,<br />
lo scontro potrebbe giungere all’adozione di atti d’urgenza volti a negare efficacia ai<br />
provvedimenti adottati dagli organi giurisdizionali, innescandosi altri conflitti in ordine<br />
alla legittimità di tali atti. Del resto, l’acutezza delle controversie che si sono verificate<br />
nel recente passato tra la sfera della politica e quella della giurisdizione, così come la<br />
delicatezza e la gravità delle vicende processuali che potrebbero coinvolgere le istituzioni<br />
pubbliche di più alto rango, impongono di non potersi più affidarsi alla sola prassi.<br />
Ad esempio, nulla può escludere che l’impostazione seguita dagli organi giudiziari che<br />
si sono mostrati favorevoli alla tesi dell’improcedibilità temporanea per quanto concerne<br />
i reati extrafunzionali del Capo dello Stato, possa repentinamente mutare di segno. E del<br />
resto, davvero non si comprende perché la sospensione dell’esercizio della giurisdizione<br />
penale sia da considerarsi legittima ovvero fondata su “ragione” e “verità” qualora sia<br />
decisa ed attuata autonomamente dall’ordine giudiziario, e dunque in via di prassi ed in<br />
assenza di una qualsivoglia norma di legge, e viceversa costituisca una lesione <strong>dei</strong> principi<br />
fondamentali dello Stato di diritto quando è prevista e circoscritta – e, certo, deve<br />
sempre esserlo in conformità ai canoni posti dalla Costituzione – dalla legge stessa.<br />
In definitiva, questa appare la prospettiva argomentativa utilizzata dalla Corte allorché<br />
essa ha giudicato la l. n. 140 del 2003, concentrandosi sulla ragionevolezza di<br />
quest’ultima e dunque non escludendo la giustificazione che ne era alla base, ma prendendo<br />
dettagliatamente in considerazione le peculiari caratteristiche del meccanismo sospensivo<br />
predisposto nella legge stessa. Siffatto meccanismo, per l’appunto, è stato dichiarato<br />
incostituzionale perché prevedeva un “automatismo generalizzato della sospensione<br />
(che) incide, menomandolo sul diritto di difesa dell’imputato”, perché era “sacrificato<br />
il diritto della parte civile”, perché non teneva conto del fatto che “all’effettività<br />
dell’esercizio della giurisdizione non sono indifferenti i tempi del processo”, e perché si<br />
accomunava “in unica disciplina cariche diverse non soltanto per le fonti di investitura,<br />
ma anche per la natura della funzioni e distingue (…) i Presidenti” degli organi “rispetto<br />
agli altri componenti degli organi da loro presieduti”, richiamandosi in particolare che<br />
l’applicazione della disciplina della sospensione anche al Presidente della Corte costituzionale<br />
risultava irragionevole tenuto conto dell’immunità accordata a tutti i giudici costituzionali<br />
ai sensi della l. cost. n. 1 del 1948.<br />
Ed allora, anche nei confronti della legge del 2008 appare probabile che la verifica di<br />
costituzionalità si possa muovere ancora e soprattutto sul piano della razionalità e della<br />
70 Come noto, una tale eventualità è stata senz’altro affrontata dai costituenti in ordine alla figura<br />
del Capo dello Stato, ma si preferì evitare la predisposizione di un’apposita disciplina costituzionale<br />
“in considerazione dell’alta posizione del presidente che avrebbe reso irriguardosa l’ipotesi”; così si<br />
esprime C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Cedam, Padova, 1975, 545.
26<br />
Giulio Maria Salerno<br />
ragionevolezza. Più esattamente, dovrebbe dirsi che la violazione del principio di eguaglianza<br />
sussisterebbe qualora la nuova disciplina apprestata dal legislatore ed articolata<br />
in una pluralità di condizioni e limiti prima non previsti dal legislatore del 2003, non risultasse<br />
– ad esempio, in qualche sua specifica porzione – congrua e dunque giustificata,<br />
e pertanto ragionevole, in connessione alle molteplici istanze che qui assumono rilievo<br />
costituzionale. Circa l’automatismo generalizzato che incide sul diritto di difesa, può ricordarsi<br />
che nella legge del 2008 è stata prevista la rinuncia da parte dell’imputato,<br />
strumento peraltro ragionevolmente applicabile proprio là dove si tratta di tutelare un<br />
“diritto”, come ha ricordato la Corte nel 2004, e dunque una situazione giuridica di vantaggio<br />
al cui esercizio soltanto lo stesso titolare appare legittimato a rinunciare. Circa “il<br />
diritto della parte civile”, la legge del 2008 ha posto un’apposita disciplina che garantisce<br />
egualmente la soddisfazione degli interessi in sede civile pur mantenendosi fermo il<br />
regime di sospensione del procedimento penale. Circa l’effettività della giurisdizione,<br />
nella legge del 2008 sono state introdotte apposite regole che circoscrivono temporalmente<br />
la durata della sospensione e, salvo una sola eccezione – peraltro anch’essa dai<br />
confini predeterminati – ne impediscono la reiterazione, così come, a tutela dell’efficienza<br />
del processo, si è consentita l’assunzione delle prove non rinviabili. Circa la disciplina<br />
<strong>dei</strong> giudici costituzionali, infine, si è esclusa la carica del Presidente della Corte<br />
costituzionale dal meccanismo sospensivo, così facendo venir meno la predetta irragionevolezza.<br />
Invero, su questi specifici versanti, le motivazioni presenti nelle ordinanze di<br />
rimessione non sembrano svolgere consistenti considerazioni in ordine alla irrazionalità<br />
o alla irragionevolezza delle specifiche scelte operate dal legislatore, ma si limitano<br />
piuttosto a contestarle facendo generico appello al principio di eguaglianza.<br />
Va segnalato che un’ulteriore e diversa lettura della violazione del principio di eguaglianza<br />
è presente nell’altra ordinanza proveniente da Milano, la n. 398/2008, ove l’art.<br />
3 Cost. ed in specie il canone della ragionevolezza sono richiamati, come sopra accennato,<br />
in connessione alla violazione degli artt. 68 e 96 Cost., in quanto, dal primo punto<br />
di vista, si ritiene irragionevole la mancata menzione dell’art. 68 Cost. tra i casi fatti salvi<br />
dalla l. n. 124 del 2008, e dal secondo punto di vista si afferma “l’assoluta irragionevolezza”<br />
della legge in quanto per un verso con una fonte di legge ordinaria si stabilisce<br />
per i reati extrafunzionali una disciplina diversa da quella voluta dalla Costituzione per i<br />
reati ministeriali – sicché ne discenderebbe che lo stesso bene giuridico sarebbe tutelato<br />
con normative differenziate –, e per altro verso si assoggetta, sempre per i reati extrafunzionali,<br />
il Presidente del Consiglio ad uno jus singolare e soprattutto distinto da quello<br />
<strong>dei</strong> ministri, e quindi dettando una disciplina contrastante con il principio risultante<br />
dall’art. 96 Cost. che invece regola in modo uniforme la responsabilità ministeriale di<br />
tutti i componenti del Governo. Iniziando dalla censura circa la presunta “assoluta irragionevolezza”,<br />
nell’ordinanza non risultano tuttavia specificate quelle argomentazioni<br />
che dovrebbero consentire di dimostrare l’irragionevolezza della scelta differenziata<br />
compiuta dal legislatore. A ben vedere, poiché i reati extrafunzionali costituiscono fattispecie<br />
evidentemente diverse – ed accomunate soltanto dal profilo soggettivo – rispetto<br />
ai reati funzionali, proprio la previsione di un trattamento conseguentemente differenziato<br />
(ossia la sospensione del processo al posto della subordinazione dell’esercizio della<br />
giurisdizione ordinaria all’autorizzazione a procedere disposta da un organo politico,<br />
ovvero al posto dell’accusa formulata in sede politica e poi giudicata dalla Corte costituzionale)<br />
appare più giustificato – e dunque coerente con il principio di eguaglianza –<br />
di quanto sarebbe stata l’assimilazione delle diverse fattispecie alla stessa disciplina. In<br />
ordine all’art. 68 Cost., poi, può rilevarsi, come detto sopra, che l’istituto della sospensione<br />
predisposto dalla legge si aggiunge, ma non si contrappone, alle guarentigie già
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 27<br />
disposte dalla Costituzione e di cui quindi non è preclusa la permanente efficacia.<br />
Resta da affrontare il dubbio attinente al necessario ricorso allo strumento della legge<br />
costituzionale, sulla base dell’assunto che si tratterebbe di una materia riservata alla Costituzione<br />
in quanto quest’ultima già determina – in alcune sue specifiche disposizioni<br />
(in specie gli artt. 90 e 96) e secondo meccanismi certamente diversi dalla sospensione<br />
dalla giurisdizione – alcuni tratti della disciplina <strong>dei</strong> rapporti tra i titolari <strong>dei</strong> più rilevanti<br />
organi rappresentativi dello Stato e l’esercizio della giurisdizione. In altri termini, si è<br />
sintetizzato che “l’equilibrio tra sfera istituzionale e sfera giurisdizionale è scritto nella<br />
Costituzione e solo con legge costituzionale può essere mutato” 71 . Ma, a tal proposito,<br />
può rilevarsi che soltanto un “certo” equilibrio è definito dalla Costituzione, nel senso<br />
che essa, nelle sue distinte disposizioni, non si occupa del profilo relativo alla responsabilità<br />
extrafunzionale <strong>dei</strong> titolari delle cariche politiche. Insomma, i costituenti (e coloro<br />
che vi sono succeduti), salvo quanto inizialmente disposto con l’autorizzazione a procedere<br />
per i parlamentari nell’art. 68 Cost., non hanno preso in considerazione – talora<br />
consapevolmente, talora meno consapevolmente – l’incidenza dell’accertamento delle<br />
responsabilità penali in ordine a fatti estranei all’esercizio delle funzioni pubbliche né<br />
nell’art. 90 Cost., né nell’art. 96 Cost., né tanto meno nella disposizione che esprime la<br />
regola generale sulla possibilità di differenziare con legge il trattamento normativo delle<br />
responsabilità <strong>dei</strong> pubblici funzionari, ossia nell’art. 28 Cost. Anzi, a tal proposito si è<br />
rilevato che l’applicazione dell’argumentum a contrario, quello cioè che impedirebbe al<br />
legislatore di intervenire introducendo un istituto di protezione ulteriore rispetto a quelli<br />
costituzionalmente previsti per le responsabilità funzionali, significherebbe equiparare<br />
erroneamente ciò che è “qualificato” costituzionalmente a ciò che non lo è, cioè all’“inqualificato”<br />
72 . Come detto, la legge in questione non estende ai reati extrafunzionali<br />
gli istituti già previsti dalla Costituzione per i reati funzionali, ma ne predispone uno –<br />
la sospensione temporanea dalla giurisdizione – che non è né riconducibile in senso estensivo<br />
o analogico ai meccanismi previsti da quest’ultima, né derogatorio rispetto alle<br />
disposizioni costituzionali che li regolano, in quanto la legge in esame non sottrae talune<br />
fattispecie dalla disciplina posta dalla Costituzione, assoggettandole nel contempo ad<br />
un’altra e differenziata regolamentazione. Dunque, non può dirsi che con la legge in<br />
questione si siano “estesi, oltre i casi previsti dalla Costituzione, le ipotesi di improcedibilità<br />
soggettiva o delle condizioni soggettive di improcedibilità” 73 . In ogni caso, al di là<br />
della problematica applicazione <strong>dei</strong> canoni che devono guidare l’interprete allorché si<br />
debbano colmare le lacune dell’ordinamento, la prospettazione del vizio qui in considerazione<br />
presenta altre debolezze. Innanzitutto, ricordando la giurisprudenza costituzionale<br />
relativa all’ultimo comma dell’art. 72 Cost. – là dove si riserva all’Assemblea<br />
l’approvazione delle leggi “in materia costituzionale” – la definizione della materia costituzionale<br />
è stata interpretata, come noto, in senso formale e non sostanziale 74 , sicché<br />
71<br />
Così A. PUGIOTTO, Letture e riletture, cit., 781.<br />
72<br />
Così F. MODUGNO, Introduzione, cit., 771.<br />
73<br />
Ipotesi che determinano la violazione del principio di eguaglianza secondo C. ESPOSITO, Eguaglianza<br />
e giustizia nell’art. 3 della Costituzione, cit., 32 in quanto “tali improcedibilità (…) in definitiva,<br />
privano di concreta efficacia la legge rispetto a determinati cittadini e creano diseguaglianze<br />
formali tra di essi”.<br />
74<br />
Cfr. sent. n. 168/1963 della Corte costituzionale, ove si è negato che le “leggi in materia costituzionale”<br />
siano “per la sostanza” – cioè proprio in quanto oggettualmente riferite ad una data materia<br />
– leggi “differenziate dalle leggi di revisione costituzionale e dalle altre leggi costituzionali menzionate<br />
nell’art. 138 Cost.” (v. punto 2 del Considerato in diritto).
28<br />
Giulio Maria Salerno<br />
risulta confermato che soltanto quanto è già espressamente coperto da una regola di rango<br />
costituzionale costituisce un ambito precettivo esclusivamente riservato al successivo<br />
intervento del legislatore costituzionale. In breve, soltanto allorché si intenda introdurre<br />
una vera e propria deroga ad un determinato disposto costituzionale – sottraendo quindi<br />
talune fattispecie dalla soggezione alla vigente disciplina costituzionale al fine di regolarle<br />
in modo diverso e dunque singolare rispetto alla regola generale posta dalla Costituzione<br />
stessa –, è necessario ricorrere alla forma della legge costituzionale. Del resto,<br />
non sussistono in Costituzione riserve di legge costituzionale né in ordine alla complessiva<br />
disciplina dello status, né, più specificamente, in relazione alla determinazione delle<br />
condizioni volte a fornire “garanzie di indipendenza” 75 ai titolari degli organi di vertice<br />
dello Stato che sono interessati dalla legge in oggetto. Anzi, come noto, sussistono<br />
disposizioni poste con sola legge ordinaria che assicurano l’insindacabilità in sede giudiziaria<br />
delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni da parte degli appartenenti<br />
ad un organo di rilievo costituzionale, il Consiglio superiore della magistratura 76 ,<br />
e rispetto ai quali la Costituzione non pone un’espressa riserva di legge costituzionale in<br />
ordine allo specifico status. E, può aggiungersi, la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi<br />
sul punto, non ha censurato il fatto che siffatta non punibilità sia stata disposta<br />
con semplice legge ordinaria, ma ha ritenuto che la legittimità di tale scriminante sia<br />
“nella logica della Costituzione”, considerate sia la posizione del Consiglio superiore<br />
della magistratura quale organo di rilievo costituzionale, sia la specificità delle funzioni<br />
costituzionalmente spettategli, sia, infine, le garanzie che esso è chiamato ad offrire in<br />
tali campi 77 . Insomma, è stata la complessiva “logica della Costituzione” a consentire e<br />
giustificare l’intervento del legislatore ordinario, pur in assenza di apposita disposizione<br />
costituzionale che autorizzi espressamente l’introduzione di un trattamento differenziato<br />
rispetto all’esercizio della giurisdizione.<br />
Neppure, tornando alla seconda delle predette obiezioni, può sostenersi che il ricorso<br />
alla legge di rango costituzionale sarebbe imposto dal fatto stesso che la legge ponga<br />
una disciplina differenziata rispetto al “diritto comune”, ovvero alla regola generale<br />
risultante dalla disciplina dettata dalle leggi vigenti in tema di soggezione alla giurisdizione<br />
penale, perché ciò implicherebbe la paradossale conseguenza che ogni legge<br />
che disciplinasse talune situazioni o fattispecie in modo singolare o comunque diverso<br />
dalla regola generalmente applicabile, avrebbe bisogno di essere approvata con la<br />
forma delle legge costituzionale. In altri termini, la violazione del principio di rigidità<br />
costituzionale posto dall’art. 138 Cost. non può essere considerata come automatica e<br />
diretta conseguenza della presunta violazione del principio di eguaglianza.<br />
Infine, si è correttamente rilevato che la disciplina della sospensione <strong>dei</strong> processi penali<br />
concerne un ambito che non è né costituzionalmente escluso, né costituzionalmente<br />
incluso 78 . Da ciò si è fatto tuttavia discendere che dovrebbe valere una sorta di brocardo<br />
aggiornato – ed anzi forgiato secondo un’interpretazione originalista che da noi non ha<br />
mai avuto particolare fortuna – secondo cui “chi tace non dice niente e tanto meno ac-<br />
75 Tali garanzie, viceversa, sono espressamente riservate alla disciplina della “legge costituzionale”<br />
soltanto per quanto concerne la posizione <strong>dei</strong> componenti della Corte costituzionale ai sensi<br />
dell’art. 137, comma 1, Cost.<br />
76 Così è stato disposto con l’art. 5 della l. 3 gennaio 1981, n. 1, che ha inserito l’art. 32-bis nella l.<br />
24 marzo 1958, n. 195 che reca “Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore<br />
della magistratura”.<br />
77 Cfr. Corte cost. n. 148/1983.<br />
78 Così F. MODUGNO, Introduzione, cit., 771.
La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato 29<br />
consente a una scelta così rilevante soltanto per implicito” 79 . A questo proposito, come<br />
prima accennato, non sembra che qui ci si trovi nel campo del costituzionalmente “inqualificato”<br />
ossia in una sorta di vuoto costituzionale, giacché almeno un interesse, seppure<br />
dedotto in via giurisprudenziale, concorre a definire il quadro delle istanze di rilievo<br />
costituzionale di cui legislatore può farsi garante. E, come si ben detto, la Costituzione<br />
vivente “non è altro che la Carta costituzionale in quanto ricostruita e applicata” 80 ;<br />
essa è, in definitiva, un sistema normativo in continua evoluzione ed alla cui specificazione,<br />
concretizzazione e stabilizzazione 81 contribuisce con un ruolo di primo piano<br />
proprio la giurisprudenza elaborata dalla Corte costituzionale.<br />
79 Così L. ELIA, Sul cd. lodo Alfano, cit.<br />
80 In tal senso si esprime L. PALADIN, Le fonti del diritto italiano, Il Mulino, Bologna, 1996, 145.<br />
81 Sulla “stabilizzazione della vita costituzionale” dell’ordinamento, si veda C. ESPOSITO, voce<br />
Consuetudine (dir. cost.), in Enc. dir., IX, Giuffrè, Milano, 1961, in specie 469 ss.
QUESTIONI PROCESSUALI<br />
NELL’APPLICAZIONE DELLA LEGGE 23 LUGLIO 2008, N. 124<br />
di RENZO ORLANDI *<br />
SOMMARIO: 1 Preambolo. – 2. L’obbligo di sospendere i processi (commi 1 e 7). – 3. Rinuncia della<br />
sospensione da parte dell’imputato (comma 2). – 4. La sospensione non reiterabile (5). – 5. La parte<br />
civile (comma 6). – 6. La sospensione della prescrizione (comma 4).<br />
1. Il cosiddetto lodo Alfano ribadisce con qualche variazione, l’antecedente rappresentato<br />
dal cosiddetto lodo Schifani del 2003, dichiarato illegittimo dalla Corte cost. con<br />
la sent. n. 24/2004. Entrambi questi provvedimenti legislativi invertono la netta tendenza<br />
degli anni precedenti caratterizzata da una progressiva soppressione o limitazione di<br />
privilegi e immunità assicurate a uomini politici e pubblici ufficiali. Penso all’autorizzazione<br />
a procedere in favore della polizia per reati commessi con l’uso delle armi, cancellata<br />
nel 1963 (sent. n. 94) dalla Corte costituzionale e, ancora, alle garanzie amministrative<br />
in favore di sindaci e prefetti, abolite sempre dalla Corte cost. nel 1965 (sent. n.<br />
4). Analoghe prerogative immunitarie previste a vantaggio di funzionari addetti alla<br />
Commissione Inquirente del Parlamento e alla Corte cost. (l. n. 20 del 1962) sono state<br />
abolite dalla l. n. 170 del 1978. La specialissima Commissione parlamentare istituita per<br />
perseguire i reati ministeriali, è stata cancellata dalla consultazione referendaria del<br />
1987. L’autorizzazione a procedere necessaria per perseguire i parlamentari è stata abolita<br />
con legge costituzionale nel 1993, per ragioni di “opportunità” politica. E la già citata<br />
sent. 24/2004 conclude la nutrita serie <strong>dei</strong> provvedimenti improntati all’eliminazione<br />
di immunità considerate incompatibili con il principio di eguaglianza.<br />
Di fronte a una simile evoluzione normativa, che rispecchia il generale sfavore politico<br />
per le garanzie immunitarie, viene da chiedersi quale ragione abbia indotto il legislatore<br />
a ripristinare, con pervicacia, dopo il tentativo andato male nel 2003, il privilegio<br />
processuale per i quattro presidenti.<br />
Cominciamo con l’esaminare le rivelazioni fornite al riguardo dai protagonisti della<br />
riforma culminata nella fulminea approvazione della l. n. 124 del 2008. Fra i motivi che<br />
il ministro della giustizia ha ritenuto di addurre sta un rilievo tratto proprio dalla sent.<br />
24/2004 della Corte cost. L’iniziativa sarebbe giustificata dall’esigenza di tutelare il “sereno<br />
svolgimento delle funzioni che fanno capo alle più alte cariche dello Stato”: in<br />
quell’esigenza la Corte ravvisò un “interesse apprezzabile dell’ordinamento”. Espressione<br />
sibillina e allusiva (soprattutto per l’aggettivo “apprezzabile”), non necessariamente<br />
riferibile a un interesse capace di giustificare una deroga al principio di eguaglianza.<br />
Ma ammettiamo pure che sia così, vale a dire che l’interesse al sereno svolgimento<br />
delle funzioni <strong>dei</strong> quattro presidenti sia di vitale importanza per il corretto fun-<br />
* Ordinario di Diritto processuale penale, Università di Bologna.
Questioni processuali nell’applicazione della legge 23 luglio 2008, n. 124 31<br />
zionamento delle nostre istituzioni. Se così fosse, lo si sarebbe potuto (e, direi, dovuto)<br />
tutelare ben prima del luglio 2008, già all’indomani della sent. 24/2004 che dichiarava<br />
illegittimo l’art. 1 della citata l. 140 del 2003. La maggioranza della XIV legislatura<br />
(pressoché identica all’attuale) ha avuto più di due anni a disposizione (dal febbraio<br />
2004 al marzo 2006) e numeri sufficienti in Parlamento per varare un provvedimento<br />
capace di tutelare quell’“apprezzabile interesse”. Perché non lo si è fatto? Perché non si<br />
è tratto spunto dalla declaratoria di illegittimità per approvare una legge che, tenendo<br />
conto <strong>dei</strong> paletti posti dalla Corte, tutelasse le alte cariche in maniera da non ledere principi<br />
costituzionali? Evidentemente, la cosa non è parsa così importante, né così urgente.<br />
Lo è diventata, importante e urgente, solo più tardi, nel corso della presente legislatura,<br />
alla vigilia di un dibattimento che si stava per chiudere nei confronti di una delle alte cariche.<br />
Si rafforza quindi il sospetto che la sospensione processuale imposta dalla l. n.<br />
124 del 2008 abbia la sua ragion d’essere in motivi contingenti, precisamente nell’opportunità<br />
di evitare una pronosticabile condanna a carico di questo alto dignitario; non<br />
in lacune del nostro ordinamento politico-costituzionale tali da giustificare un’organica<br />
revisione delle norme che regolano il rapporto fra giustizia e politica. Il motivo addotto<br />
dal ministro appare perciò pretestuoso e tale da dissimulare (più che spiegare) la vera<br />
ragione dell’intervento legislativo.<br />
La vera ratio ispiratrice della l. n. 124 del 2008 emerge chiara e netta, senza infingimenti<br />
né giri di parole, dalla lettera inviata il 26 giugno 2008 dal Presidente del Consiglio<br />
al Presidente del Senato. Vi si lamenta la pervicace inclinazione <strong>dei</strong> magistrati milanesi<br />
a perseguire penalmente il premier in carica. In un passaggio cruciale di quella<br />
missiva si parla di “…ennesimo stupefacente tentativo di un sostituto procuratore milanese<br />
di utilizzare la giustizia a fini mediatici e politici, in ciò supportato da un Tribunale<br />
anch’esso politicizzato e supinamente adagiato sulla tesi accusatoria”. Anche supponendo<br />
che la critica abbia un qualche fondamento, l’assunto non può essere posto a sostegno<br />
di una norma sul tipo di quella varata con la l. n. 124 del 2008. Non è ammissibile<br />
paralizzare l’attività di accertamento penale, sul presupposto di un uso distorto della<br />
funzione giudiziaria. Dev’essere il processo la sede per discutere e semmai rimediare<br />
eventuali storture o errori nell’applicazione di norme sia sostanziali sia processuali. Del<br />
resto è lo stesso Presidente del consiglio, nella lettera citata, qualche riga sotto, a preannunciare<br />
una dichiarazione di ricusazione, indicando così il rimedio adeguato alla patologia<br />
denunciata. Fin qui, il discorso corre sul filo di una critica politica che qualifica<br />
come inopportuna una scelta legislativa, motivata da una sorta di risentimento contingente<br />
rispetto all’asserita scorrettezza di taluni magistrati (non più di due o tre) operanti<br />
presso l’ufficio giudiziario milanese.<br />
Ma la valutazione (tutta politica) di inopportunità diventa giuridicamente pregnante<br />
quando si fa critica della discrezionalità legislativa e <strong>dei</strong> limiti costituzionali entro i quali<br />
essa è costretta. Sospendere il processo nei confronti di alcuni soggetti, sul presupposto<br />
che l’autorità giudiziaria abusi <strong>dei</strong> propri poteri è scelta che porta in sé i germi della<br />
sproporzione. In altre parole, legiferare supponendo la sistematica malafede del magistrato<br />
penale porta inevitabilmente a soluzioni squilibrate. Sono in gioco interessi in<br />
contrasto, sicché si impone un bilanciamento ragionevole. E l’interesse al perseguimento<br />
<strong>dei</strong> reati non potrà esser assicurato in maniera ragionevole, se l’idealtipo del magistrato<br />
è quello del farabutto che abusa sistematicamente del potere confidatogli.<br />
La sent. n. 24/2004 aveva censurato la non sottoponibilità a processo <strong>dei</strong> cinque presidenti<br />
ritenendola irragionevole perché “generale, automatica e di durata indeterminata”.<br />
Un modo per dire che la tutela apprestata alla carica pubblica era sproporzionata al<br />
fine perseguito. Eccessivo il costo imposto all’interesse pubblico di perseguire i reati,
32<br />
Renzo Orlandi<br />
oltre che al diritto di difesa dello stesso imputato e delle eventuali parti civili.<br />
Il testo odierno è diverso, redatto tenendo conto <strong>dei</strong> rilievi svolti dalla Corte cost.<br />
nella citata sent. n. 24/2004. Ma è sufficiente a salvarlo da censure di illegittimità?<br />
È quel che si cercherà di stabilire, analizzando le nuove regole processuali previste<br />
dall’art. 1, l. n. 124 del 2008.<br />
Prescindo qui dall’esaminare i profili di stretta pertinenza del diritto costituzionale,<br />
come il problema (già esaurientemente svolto dal prof. Salerno), se sia legittimo intervenire<br />
con legge ordinaria sul delicato terreno delle immunità politiche. Una sola notazione,<br />
a questo riguardo mi sembra opportuna. Penso che argomenti in favore della<br />
tesi negativa si possano trarre da Corte cost. n. 300/1984 (sentenza stranamente poco o<br />
nulla considerata nelle discussioni sul c.d. lodo Alfano). In quel caso era in discussione<br />
l’estensione di una garanzia immunitaria (l’autorizzazione a procedere) effettuata<br />
con legge ordinaria (l. n. 437 del 1966 e l. n. 150 del 1977) in favore <strong>dei</strong> parlamentari<br />
europei. La Corte considerò legittima quell’estensione, ma lo fece sulla base del rilievo<br />
che le leggi impugnate, essendo attuative di un trattato internazionale (Trattato che<br />
istituisce un Consiglio unico ed una Commissione unica delle Comunità europee e<br />
Protocollo sui privilegi e le immunità firmati a Bruxelles l’8 aprile 1965), trovavano la<br />
propria ratio giustificatrice nell’art. 11 Cost. La limitazione di sovranità che ne scaturiva<br />
aveva, pertanto, un preciso ancoraggio costituzionale. Non poteva essere censurata<br />
né sotto il profilo del principio di eguaglianza, né per un asserito contrasto con il<br />
principio di obbligatorietà dell’azione penale. In quella sentenza la Corte poteva affermare<br />
che “non esistono più nell’Ordinamento prerogative, dipendenti da leggi ordinarie,<br />
che subordinino a condizioni di procedibilità l’azione penale nei confronti di<br />
persone diverse da quelle contemplate dalla Costituzione o da leggi costituzionali”. Si<br />
dirà che l’autorizzazione a procedere è cosa diversa dalla sospensione del processo,<br />
sicché quel che disse la Corte cost. nel 1984 non può valere per la legge del 2008. In<br />
realtà, i due istituti hanno un tratto comune che risulta decisivo per la soluzione del<br />
nostro problema: ad entrambi la legge collega una situazione di improcedibilità a protezione<br />
di una funzione politica. Non voglio però indugiare oltre su un punto che fuoriesce<br />
dall’ambito del tema assegnatomi.<br />
Passo dunque, senza esitare, all’esame delle regole processuali espresse nell’art. 1, l.<br />
n. 124 del 2008, per valutarne la ragionevolezza e compatibilità con i parametri della<br />
nostra Costituzione.<br />
2. I processi riguardanti i quattro presidenti “sono sospesi dalla data di assunzione e<br />
fino alla cessazione della carica o della funzione”.<br />
Come si può notare, il punto di vista è quello del presidente che ha già un processo in<br />
corso, altrimenti non si sarebbe detto che i processi “sono sospesi”. Si sospende solo ciò<br />
che ha già avuto inizio. La situazione immaginata è, dunque, quella, affatto particolare,<br />
di un presidente già sotto processo, che ne deve essere esentato. Un’ulteriore avvisaglia<br />
(se ce ne fosse bisogno) del carattere personalistico della regola. Concepita su un piano<br />
di maggior astrattezza, la disposizione avrebbe dovuto esser formulata come segue:<br />
“Non possono essere sottoposti a processo …”. Così si esprimeva, come si ricorderà,<br />
l’art. 1, l. n. 140 del 2003, che, sotto questo profilo, risultava formulato più correttamente.<br />
Un evidente lapsus calami del legislatore frettoloso. E non c’è bisogno di scomodare<br />
Sigmund Freud e la sua psicopatologia della vita quotidiana per capire cosa si celi dietro<br />
quel lapsus.<br />
Resta da stabilire (giacché la norma non lo prevede espressamente) come debba
Questioni processuali nell’applicazione della legge 23 luglio 2008, n. 124 33<br />
comportarsi il magistrato, quando il processo penale per reato extrafunzionale inizia dopo<br />
l’assunzione della carica. La soluzione dipende dal senso che si sceglie di attribuire<br />
al termine “processo”.<br />
Se lo si intende nel significato abitualmente assegnatogli dal codice di rito, come corrispondente<br />
alla porzione di attività giudiziaria successiva all’esercizio dell’azione penale,<br />
se ne trae la conclusione che non è vietata l’indagine preliminare nei confronti del<br />
presidente. L’indagine potrebbe dunque essere portata avanti sino alla sua conclusione,<br />
pur con i limiti imposti dalle norme costituzionali che proteggono i presidenti che siano<br />
al contempo membri del parlamento (art. 68 commi 2 e 3 cost.).<br />
Se, invece, il termine “processo” è inteso in senso più ampio, come sostenuto, ad esempio,<br />
dal giudice romano con l’ord. 26 settembre 2008, nemmeno l’indagine preliminare<br />
potrebbe essere avviata. Si potrebbe al più procedere all’iscrizione della notizia di<br />
reato (art. 335 c.p.p.) e nulla più. Resterebbe poi salva l’eccezionale e per ciò stesso occasionale<br />
assicurazione di mezzi di prova, da assumere con le modalità dell’incidente<br />
probatorio (art. 1 comma 3 l. n. 124 del 2008).<br />
La tesi che include nel divieto di procedere anche l’indagine preliminare poggia su<br />
un duplice rilievo:<br />
a) sul riferimento testuale (nel comma 7) a “ogni fase” del processo in corso: posto<br />
che fra le partizioni del giudizio di primo grado va annoverata anche la “fase” delle indagini<br />
preliminari, la legge – si sostiene – non può che riferirsi anche ad essa, quando<br />
parla di “ogni fase”.<br />
b) sulla possibilità di assumere l’incidente probatorio, fatta salva dal citato comma 3:<br />
posto che l’incidente probatorio è un’eccezionale modalità di formazione della prova da<br />
assumere durante l’indagine preliminare, perché non rinviabile al dibattimento, la disposizione<br />
del comma 3 varrebbe come una sorta di interpretazione autentica del significato<br />
da attribuire al termine “processo”.<br />
Ritengo francamente poco convincenti entrambi gli argomenti. Con riguardo al primo,<br />
va detto che un legislatore considerato inaffidabile quando usa il termine “processo”<br />
lo è altrettanto quando usa una formula di stile quale “ogni fase, stato e grado”.<br />
Quanto poi al richiamo che il citato comma 3 fa all’incidente probatorio, esso non<br />
prova alcunché. Lo stesso giudice romano ricorda che – dopo Corte cost., sent. n.<br />
77/1994 – gli artt. 392 ss. sono applicabili pure all’udienza preliminare, vale a dire a una<br />
fase certamente appartenente al “processo” in senso stretto. E, se vogliamo mantenerci<br />
sul piano delle incongruenze testuali, dobbiamo osservare che, qualora si fosse inteso<br />
bloccare anche l’attività di indagine, si sarebbe dovuta prevedere una sospensione del<br />
termine imposto all’indagine stessa (come accade ad esempio nell’art. 70 comma 3 seconda<br />
parte c.p.p., quando il procedimento va sospeso per l’incapacità dell’imputato a<br />
parteciparvi coscientemente). Ma, ripeto, la soluzione non va ricercata sul piano testuale,<br />
proprio perché il legislatore si è dimostrato superficiale e poco consapevole nella<br />
scelta delle parole.<br />
Altro è l’argomento a mio avviso risolutivo e si tratta di argomento favorevole alla<br />
tesi che vuole affrancata l’indagine preliminare dall’obbligo di sospensione del comma<br />
1. Una paralisi completa del procedimento penale – con la sola eccezione delle prove<br />
non rinviabili da assumere ex artt. 392 ss. – farebbe apparire il “costo” del privilegio assegnato<br />
ai quattro presidenti più sproporzionato di quel che in realtà già non sia. Per<br />
quale ragione, infatti, impedire alla polizia e al pubblico ministero di effettuare indagini<br />
che non comportano la partecipazione dell’indagato e che, pertanto, non sono tali da interferire<br />
con il sereno svolgimento della funzione pubblica? A meno che non si intenda<br />
preservare i quattro presidenti anche dai contraccolpi psicologici che un’indagine a loro
34<br />
Renzo Orlandi<br />
carico comporterebbe. Ma se la tutela dell’interesse in questione dovesse spingersi davvero<br />
così in là, resterebbe ben poco per salvare il contrapposto interesse al perseguimento<br />
penale. Ogni indagine impedita sul nascere dopo anni di tregua forzata – interrotta solo<br />
da eventuali e improbabili incidenti probatori – sarebbe destinata pressoché certamente<br />
all’archiviazione. Soluzione sbilanciatissima, com’è facile intuire, tutta a svantaggio<br />
dell’interesse al perseguimento penale.<br />
C’è anzi da chiedersi se la stessa sospensione del processo (stricto sensu) non sia un<br />
mezzo sproporzionato al fine di garantire il privilegio <strong>dei</strong> quattro presidenti.<br />
Il “sereno svolgimento delle funzioni” loro assegnate non può comportare una “presunzione<br />
assoluta di legittimo impedimento” a comparire davanti al giudice. È proprio<br />
la sent. n. 24/2004 a metterci su questa strada. Quando in essa si afferma che lo svolgimento<br />
(sereno) delle funzioni presidenziali è “interesse apprezzabile” si vuol intendere<br />
che, a salvaguardarne l’esercizio, è sufficiente considerarle come motivi di legittimo<br />
impedimento a comparire. Un legittimo impedimento temporaneo, non permanente. Per<br />
questo è lecito dubitare che la sospensione del processo sia mezzo congruo e adeguato al<br />
fine enunciato. Ad assicurare il sereno svolgimento della funzione dovrebbe essere sufficiente<br />
l’accortezza del magistrato nel valutare i numerosi legittimi impedimenti di uomini<br />
politici, certamente impegnati in molte attività istituzionali.<br />
Le linee tracciate, a questo riguardo, da Corte cost., sent. n. 225/2001 possono fornire<br />
un’utile guida. Si ricorderà quel passaggio in cui la Corte afferma che “vi sono giorni<br />
della settimana (di massima, almeno il lunedì e il sabato, oltre naturalmente la domenica)<br />
e periodi dell’anno in cui non vengono programmate riunioni degli organi parlamentari”.<br />
Sarebbe sufficiente programmare l’attività processuale tenendo conto del calendario<br />
di impegni governativi. Con un po’ di buona volontà ci si riesce. Del resto, molti capi<br />
politici stranieri, con agende non meno ricche di quelle <strong>dei</strong> nostri quattro presidenti,<br />
hanno affrontato processi penali, trovando il tempo per difendersi davanti al giudice. Intendo<br />
dire, insomma, che un accettabile equilibrio fra interesse al perseguimento penale<br />
e interesse a salvaguardare il sereno esercizio delle funzioni presidenziali può essere<br />
trovato in una trasparente e leale applicazione delle norme sul legittimo impedimento,<br />
secondo le indicazioni fornite dalla citata sent. n. 225/2001.<br />
Nella scia di questo ragionamento è ravvisabile un contrasto anche con il principio di<br />
ragionevole durata del processo. Impedire la chiusura del giudizio per un periodo così<br />
prolungato non ha apprezzabili contropartite in termini di tutela dell’interesse al sereno<br />
svolgimento della funzione presidenziale. Se il problema è quello di assicurare, qualche<br />
volta, la partecipazione dell’imputato al processo lo si può risolvere con costi temporali<br />
assai più ridotti. Come detto, agenda alla mano e un po’ di buona volontà, da parte di<br />
tutti. Si consideri, inoltre, che vi sono fasi del processo, come ad esempio il ricorso in<br />
cassazione, che non ammettono la partecipazione dell’imputato. Eppure questa legge<br />
imporrebbe irragionevolmente la sospensione di un processo persino se pendente in cassazione.<br />
3. Solitamente si rinuncia a un diritto disponibile. La garanzia politica (anche quando,<br />
come in questo caso, assurge a privilegio) tutela un interesse pubblico e non dovrebbe,<br />
pertanto, essere rinunciabile dal diretto interessato. Ma c’è di più. Se c’è un soggetto<br />
che va tenuto al di fuori di una simile decisione, questo è proprio l’imputato. Non c’è<br />
nulla di equilibrato nel far dipendere dalla volontà di quest’ultimo la scelta dell’interesse<br />
da far prevalere. Il presidente-imputato è parte in causa. Come si può farne l’arbitro di
Questioni processuali nell’applicazione della legge 23 luglio 2008, n. 124 35<br />
questo delicato bilanciamento fra i due interessi in gioco? Solo un soggetto formalmente<br />
esterno alla contesa (<strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> deputati, Senato) potrebbe aver qualche titolo ad intervenire,<br />
per stabilire quale <strong>dei</strong> due interessi vada pur momentaneamente tacitato. Ma, allora,<br />
dal modello della sospensione si passerebbe a quello dell’autorizzazione a procedere,<br />
con la quale questa particolare ipotesi di sospensione processuale, bisogna ammetterlo,<br />
ha innegabili analogie. Analoga, è, in particolare, la situazione di improcedibilità<br />
provocata dall’art. 1, comma 1, l. n. 124 del 2008 a quella che si produce quando la richiesta<br />
autorizzazione a procedere rimane senza risposta per l’intero corso della legislatura.<br />
Più coerente con i postulati della divisione <strong>dei</strong> poteri sarebbe stato abbandonare<br />
l’automatismo della sospensione processuale e assoggettare al filtro di un’autorizzazione<br />
politica l’instaurazione del processo o la sua prosecuzione nei confronti delle<br />
quattro alte cariche. Detto altrimenti, la rinuncia alla sospensione non è il modo più opportuno<br />
per rompere quell’automatismo che Corte cost. n. 24/2004 aveva censurato come<br />
irragionevole.<br />
Né – a ben vedere – sarebbe stata sufficiente una soluzione sul tipo di quella adottata<br />
in caso di sospensione del procedimento per essere l’imputato incapace di partecipare<br />
coscientemente al processo. In siffatta situazione, l’art. 71 c.p.p. ammette che possano<br />
essere assunte prove anche nell’interesse e su richiesta della difesa (comma 4) e che il<br />
caso possa essere chiuso con una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere<br />
(comma 1). L’imputato incapace è in una situazione di legittimo impedimento permanente,<br />
finché la patologia perdura. L’automatismo della sospensione processuale può quindi<br />
esser ragionevolmente derogato solo per compiere gli atti ammessi dal citato art. 71.<br />
Non così per i nostri quattro presidenti: come già detto, per essi non sussiste un assoluto<br />
e permanente legittimo impedimento a comparire. E l’eventuale rinuncia alla sospensione<br />
non significherebbe certo la rinuncia a far valere le numerose, legittime cause<br />
di impedimento, motivate dai molteplici compiti istituzionali cui ciascuno <strong>dei</strong> quattro<br />
deve attendere.<br />
4. Che l’impedimento a comparire non sia assolutamente abbinato all’alta carica esce<br />
confermato dalla singolare disposizione del comma 5. La sospensione non è reiterabile<br />
in caso di successiva investitura in altra delle cariche o delle funzioni presidenziali.<br />
Si è inteso con ciò corrispondere alla censura che Corte cost. n. 24/2004 aveva fatto<br />
con riguardo alla durata indeterminata della sospensione. Così facendo si è però caduti<br />
in una grave incongruenza. I primi commentatori della l. n. 124 del 2008 hanno già rilevato<br />
che, in questa maniera, la garanzia politica scatta in modo causale, secondo che si<br />
tratti di prima o seconda nomina o elezione a una delle cariche presidenziali. Da questo<br />
corretto rilievo si può trarre un’ulteriore considerazione. Se per la nuova elezione o nomina<br />
la sospensione non opera dobbiamo dedurne che non c’è alcuna incompatibilità<br />
assoluta fra l’esercitare una delle quattro funzioni presidenziali e il partecipare a un processo<br />
penale. Nessun assoluto né permanente legittimo impedimento. Ma, se per l’eventuale<br />
carica successiva il processo può essere fatto, lo stesso deve valere anche per la carica<br />
precedente. L’interesse al sereno svolgimento della funzione è una grandezza constante,<br />
da soddisfare alla stessa maniera, in ogni fase della vita politica. Questa è un’ovvietà<br />
per chi guarda al singolare privilegio qui in discussione dal punto di vista delle<br />
funzioni connesse con la carica.<br />
Non è un’ovvietà solo per chi guarda allo stesso privilegio dal punto di vista del soggetto<br />
(persona fisica) che ne usufruisce. Evidentemente non lo si vuol avvantaggiare
36<br />
Renzo Orlandi<br />
troppo. Si ritiene sufficiente la sospensione del processo per la durata di una sola carica.<br />
Le funzioni connesse con la nuova investitura dovranno e potranno essere svolte anche<br />
partecipando al processo penale.<br />
In questa centratura sul privato interessato sta il lato debole e, a mio avviso, l’indice<br />
di irragionevolezza della regola espressa nel comma 5.<br />
5. Il danneggiato ha facoltà di uscire dal processo penale per coltivare separatamente<br />
la pretesa risarcitoria, senza subire rallentamenti (anzi, potendosi giovare di un accorciamento<br />
<strong>dei</strong> termini) nel processo civile. Norma sacrosanta, con la quale si evita che la<br />
sospensione del processo penale abbia ripercussioni negative sui diritti del danneggiato<br />
da reato. È tuttavia singolare che la pretesa privata abbia miglior sorte di quella pubblica.<br />
L’interesse risarcitorio ha la meglio sull’interesse al perseguimento <strong>dei</strong> reati.<br />
Si obietterà che, nel giudizio civile, si discute di debiti e crediti, non di pene, di avere<br />
e non di essere. È vero, ma, nelle situazioni ipotizzate, gli eventuali debiti possono essere<br />
e spesso sono la conseguenza di un reato accertabile dal giudice civile. Si accetta,<br />
dunque, che l’alta carica sia giudicata responsabile di un reato solo per soddisfare<br />
l’interesse del danneggiato. Non per soddisfare l’interesse della collettività a veder sanzionato<br />
chi trasgredisce la norma penale. L’interesse pubblico può attendere.<br />
Ammettiamo pure che per il presidente-convenuto, partecipare al processo civile sia<br />
assai meno impegnativo di quanto non sia per il presidente-imputato partecipare a un<br />
processo penale, specialmente se questo fosse già approdato alla fase dibattimentale.<br />
Non credo però che la scelta di sospendere il processo penale (e non quello civile) dipenda<br />
dal maggior impegno in quella partecipazione. Mi sembra più probabile che la<br />
scelta si giustifichi altrimenti.<br />
Forse si è voluto evitare il maggior effetto stigmatizzante del processo penale rispetto<br />
a quello civile. Se così è, si tratta di calcolo miope, perché i fatti da accertare sarebbero<br />
gli stessi. Solo le conseguenze sarebbero diverse. Nella memoria depositata in vista della<br />
sent. n. 24/2004 il Presidente del Consiglio parlava di “inevitabili turbamenti conseguenti<br />
all’esercizio di ogni azione penale” (punto 2 del Ritenuto in fatto). Ma analoghi<br />
turbamenti dovrebbero accompagnare l’azione civile risarcitoria che punta all’accertamento<br />
di un reato.<br />
È verosimile che la sospensione del processo penale abbia la sua vera ragion d’essere<br />
nella volontà di evitare l’onta di una condanna all’alta carica dello Stato, pur con una<br />
sentenza non definitiva e, pertanto, ancora insuscettibile di applicazione. Senza dubbio,<br />
la condanna penale colpisce il presidente nel suo prestigio ben più di una condanna civile<br />
per un fatto di reato. Anche se, bisogna ammettere, l’onta non sarebbe la stessa per<br />
qualsivoglia illecito: ad esempio, una condanna (pur emessa da un giudice civile) per<br />
corruzione in atti giudiziari sarebbe percepita dall’opinione pubblica più gravemente di<br />
una condanna per ingiuria o diffamazione o per lesioni personali colpose.<br />
Di per sé, la scelta di ammettere l’accertamento del reato a fini risarcitori e non a fini<br />
penali risulta forse incensurabile sul piano costituzionale. Essa appare tuttavia poco<br />
convincente e inopportuna sul piano politico.<br />
6. La sospensione del processo penale provoca l’automatica sospensione della prescrizione.<br />
Lo stabilisce il comma 4 dell’art. 1 l. n. 124 del 2008, con una disposizione<br />
puramente ripetitiva della generale previsione contenuta nell’art. 159, comma 1, c.p. In<br />
altre parole, anche se il citato comma 4 non fosse stato scritto, la prescrizione del reato
Questioni processuali nell’applicazione della legge 23 luglio 2008, n. 124 37<br />
sarebbe destinata a restar sospesa. Nessuno dubita, infatti, che siamo in presenza di una<br />
sospensione del processo penale “imposta da una particolare disposizione di legge”.<br />
Analogamente, l’art. 1, comma 3, l. n. 140 del 2003 stabiliva che “Nelle ipotesi di cui<br />
ai commi precedenti si applicano le disposizioni dell’articolo 159 del codice penale”.<br />
Come si ricorderà, a questo comma fu estesa la declaratoria di illegittimità che colpì<br />
l’art. 1, l. n. 140 del 2003 (sent. n. 24/2004), col possibile risultato, davvero paradossale,<br />
di far valere come periodo di prescrizione il tempo perso a causa della doverosa sospensione.<br />
Così facendo, a mio avviso, la Corte è incorsa in un errore. A sostegno della segnalata<br />
estensione della declaratoria di illegittimità essa adduceva il rilievo che la norma relativa<br />
alla sospensione della prescrizione sarebbe priva di “autonomia applicativa”. Indubbiamente<br />
è così. La norma (erroneamente) dichiarata illegittima è a tal punto priva di<br />
autonomia applicativa, che la si sarebbe dovuta applicare anche se non fosse stata scritta<br />
nella l. n. 140 del 2003. In realtà e come già detto, l’obbligo di sospendere la prescrizione<br />
non discendeva dall’art. 1, comma 3, l. n. 140 del 2003, bensì dalla generale disposizione<br />
dell’art. 159, comma 1, c.p. in forza della quale “il corso della prescrizione rimane<br />
sospeso ... in ogni caso in cui la sospensione del procedimento penale ... è imposta da<br />
una particolare disposizione di legge”.Il citato art. 1 comma 3 funge solo da richiamo di<br />
una norma collocata altrove (nell’art. 159, comma 1) e che – in quel contesto – la Corte<br />
cost. non poteva certo dichiarare illegittima. Qui non c’entrano per nulla gli effetti ex<br />
tunc della declaratoria di illegittimità.<br />
Va da sé che, se cade la disposizione riguardante la sospensione del processo, pure la<br />
norma relativa alla sospensione della prescrizione non avrà in futuro occasione di essere<br />
applicata. Simul stabunt, simul cadent. Ma, per il passato, gli effetti sospensivi sulla prescrizione<br />
restano. Il processo penale ha subìto una battuta d’arresto in forza di una norma<br />
che – mesi dopo – viene dichiarata illegittima. Siccome però quella norma – pur illegittima<br />
– ha provocato, di fatto, un’inevitabile stasi processuale, anche il tempo della<br />
prescrizione deve subire una sospensione.<br />
Per questo è auspicabile che la Corte cost., qualora dovesse bocciare anche il c.d. lodo<br />
Alfano, non segua in questo l’esempio della sent. n. 24/2004 e si astenga dall’estendere<br />
la declaratoria di illegittimità al comma 4 dell’art. 1, l. n. 124 del 2008.
VERITÀ PROCESSUALE E DIRITTO ALL’INFORMAZIONE<br />
di PIETRO ADAMI *<br />
Vorrei partire da un concetto che credo essere centrale nel dibattito sul ’Lodo’: il<br />
concetto di ’serenità’. Serenità dell’alta carica, che può essere turbata nell’esercizio delle<br />
sue funzioni dallo svolgersi di un’azione penale nei suoi confronti.<br />
Se tale interesse può sussistere, va però verificato e bilanciato con gli altri interessi,<br />
costituzionalmente tutelati. Tra questi vi è il ’canonico’ interesse pubblico che fonda<br />
l’azione penale. Ad esempio la funzione di prevenzione generale e speciale svolta dalla<br />
irrogazione di una sanzione penale 1 .<br />
Al fianco della serenità del governante vi deve essere, però, la serenità del governato,<br />
nel senso che, a mio avviso, sussiste anche un diritto – fondamentale, politico del cittadino<br />
– a sapere se chi lo governa ha commesso un reato. Il processo è il luogo dell’accertamento<br />
della verità; è una verità processuale, con tutti i suoi limiti, ma è la verità.<br />
Inoltre, rispetto ai fatti interessati, la ricostruzione processuale, sorretta da una rigorosa<br />
selezione e valutazione delle prove e da tutte le altre garanzie offerte dal “giusto<br />
processo” è senz’altro la più attendibile tra le tante ricostruzioni possibili (giornalistica,<br />
d’inchiesta ecc). Esiste dunque un diritto del cittadino, nella specifica veste di elettore,<br />
alla conoscenza di questi fatti. Noi stiamo ragionando di una norma che consentirebbe,<br />
ad un soggetto, di compiere tutto il percorso della sua carica politica nonostante abbia<br />
commesso un reato e di – presumibilmente, visto che il procedimento è sospeso – concorrere<br />
alle elezioni successive senza che si sia accertato se ha commesso o meno un reato,<br />
anche grave.<br />
Vorrei dunque sottolineare l’interazione di una simile norma con il diritto, costituzionalmente<br />
garantito al cittadino, di formare liberamente il proprio pensiero, ricevendo<br />
un’informazione, per quanto possibile, piena e corretta.<br />
La Corte cost. ha più volte chiarito che l’art. 21 Cost., non tutela solo il soggetto attivo<br />
dell’informazione (l’informante), ma anche il soggetto passivo, colui che riceve<br />
l’informazione (l’informato). Ha perciò costruito il diritto di essere informati come diritto<br />
soggettivo dell’individuo di carattere assoluto. Questo diritto assume particolare rilievo in<br />
relazione alle informazioni che sono in diretto nesso con la formazione della volontà politica<br />
del cittadino 2 . Il principio costituzionale non tutela pertanto la sola libertà di manife-<br />
* Avvocato. Membro dell’Associazione Giuristi Democratici.<br />
1 G. FIANDACA-E. MUSCO, Diritto penale, Zanichelli, Bologna, 2006, 518, per cui “l’idea della<br />
‘prevenzione generale’ si fonda sull’assunto che la minaccia della pena serva a distogliere la generalità<br />
<strong>dei</strong> consociati dal compiere fatti socialmente dannosi… la ‘prevenzione speciale’ fa leva sull’idea<br />
che l’inflizione della pena ad un determinato soggetto, serva ad evitare che il medesimo compia in<br />
futuro altri reati.”.<br />
2 Corte cost., sent. n. 112/1993: “Questa Corte ha costantemente affermato che la Costituzione,<br />
all’art. 21, riconosce e garantisce a tutti la libertà di manifestare il proprio pensiero con qualsiasi
Verità processuale e diritto all’informazione 39<br />
stazione del pensiero, ma costituisce la base giuridica nel nostro ordinamento. L’informazione,<br />
la glasnost, intesa come trasparenza del potere, è funzionale, e strettamente correlata,<br />
alla partecipazione del cittadino alla determinazione delle decisioni collettive.<br />
L’assenza di un’informazione di grande rilievo per la formazione dell’opinione politica<br />
<strong>dei</strong> cittadini, quale quella su una verità processuale relativa alla commissione di un<br />
reato da parte di chi è chiamato a gestire, ai massimi livelli, la “cosa pubblica”, incide<br />
dunque su un diritto costituzionalmente garantito e funzionale al corretto dispiegarsi<br />
della nostra democrazia.<br />
La rilevanza dell’informazione penale, in relazione soggetti che ricoprono alte cariche<br />
e funzioni pubbliche, è palese. Lo conferma, inoltre, l’art. 54, comma 2, Cost. 3 , laddove<br />
rispetto al generico dovere del cittadino di rispettare le leggi, a coloro che esercitano<br />
funzioni pubbliche è imposto un più ampio dovere di probità in quanto ’strumenti’ di<br />
cui la collettività si serve per l’esercizio delle proprie funzioni.<br />
Lo dimostra poi la giurisprudenza costituzionale relativa alle clausole di ineleggibilità<br />
per i consiglieri regionali, legata alla commissione di specifici reati.<br />
In merito la Corte cost. “ha ripetutamente affermato che le norme dell’art. 15, l. n. 55<br />
del 1990 perseguono finalità di salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica, di<br />
tutela della libera determinazione degli organi elettivi, di buon andamento e trasparenza<br />
mezzo di diffusione e che tale libertà ricomprende tanto il diritto di informare, quanto il diritto di essere<br />
informati (v., ad esempio, sentt. nn. 202/1976, 148/1981, 826/1988). L’art. 21, come la Corte ha<br />
avuto modo di precisare, colloca la predetta libertà tra i valori primari, assistiti dalla clausola<br />
dell’inviolabilità (art. 2 della Costituzione), i quali, in ragione del loro contenuto, in linea generale si<br />
traducono direttamente e immediatamente in diritti soggettivi dell’individuo, di carattere assoluto”.<br />
Tuttavia, l’attuazione di tali valori fondamentali nei rapporti della vita comporta una serie di relativizzazioni,<br />
alcune delle quali derivano da precisi vincoli di ordine costituzionale, altre da particolari<br />
fisionomie della realtà nella quale quei valori sono chiamati ad attuarsi.<br />
Sotto il primo profilo, questa Corte ha da tempo affermato che il “diritto all’informazione” va determinato<br />
e qualificato in riferimento ai principi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione,<br />
i quali esigono che la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in<br />
grado di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volontà generale.<br />
Di qui deriva l’imperativo costituzionale che il “diritto all’informazione” garantito dall’art. 21 sia<br />
qualificato e caratterizzato: a) dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie – che<br />
comporta, fra l’altro, il vincolo al legislatore di impedire la formazione di posizioni dominanti e di<br />
favorire l’accesso nel sistema radiotelevisivo del massimo numero possibile di voci diverse – in modo<br />
tale che il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni avendo presenti<br />
punti di vista differenti e orientamenti culturali contrastanti; b) dall’obiettività e<br />
dall’imparzialità <strong>dei</strong> dati forniti; c) dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell’attività<br />
di informazione erogata; d) dal rispetto della dignità umana, dell’ordine pubblico, del buon costume<br />
e del libero sviluppo psichico e morale <strong>dei</strong> minori”.<br />
3<br />
Art. 54 Cost: “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la<br />
Costituzione e le leggi.<br />
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed<br />
onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”.<br />
Si noti che già in sede di assemblea Costituente si era affermato che “Come nel primo vi è un dovere<br />
di carattere generico per il cittadino, così nell’articolo 51 vi è l’obbligo più grave di un giuramento,<br />
per chi non è un cittadino qualsiasi. Perché altre sono le funzioni che hanno il Capo dello Stato,<br />
i membri del Governo, i Presidenti delle Deputazioni regionali, la Magistratura, le Forze armate<br />
nello Stato italiano, altro è il dovere del cittadino. Il cittadino ha un solo dovere, quello di difendere la<br />
Repubblica ed obbedirle in quanto cittadino. Il Capo dello Stato, i membri del Governo hanno un<br />
doppio dovere, non solo come cittadini, ma anche come strumenti di cui la collettività si serve per<br />
l’esercizio delle proprie funzioni.” Intervento dell’onorevole Fiorentino Sullo del 20 maggio 1947<br />
all’Assemblea Costituente.
40<br />
Pietro Adami<br />
delle amministrazioni pubbliche (sentt. nn. 407/1992, 197, 218 e 288/1993, 118 e 295/1994,<br />
141/1996), finalità, queste, “di indubbio rilievo costituzionale” (sent. n. 197/1993), connesse<br />
"a valori costituzionali di rilevanza primaria" (sent. n. 218/1993)” e ciò “in una logica<br />
che non è più quella del trattamento penale dell’illecito commesso, ma piuttosto quella<br />
della determinazione di condizioni – nella specie, l’avvenuto accertamento definitivo<br />
della commissione di un delitto – che non consentono, a giudizio del legislatore, e in vista<br />
di esigenze attinenti alle cariche elettive e all’esercizio delle relative funzioni, l’accesso<br />
alle medesime cariche.” 4<br />
Ciò per comprendere che in relazione alle alte cariche politiche, così come crescono<br />
le esigenze di serenità dovute alla delicatezza dell’esercizio della carica, così si sviluppano<br />
esigenze diverse, rispetto a quelle che sorreggono l’esercizio dell’azione penale<br />
verso quisque de populo.<br />
Il mancato accertamento delle responsabilità quindi, oltre agli effetti concreti che<br />
provoca, incide quindi sulla sfera <strong>dei</strong> diritti politici <strong>dei</strong> cittadini, ed in definitiva sul corretto<br />
funzionamento del sistema democratico.<br />
4 Corte cost., sent. n. 132/2001.
IL LODO ALFANO E LA “FORZA DEI SIMBOLI”<br />
di MATTEO BELLINA *<br />
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il ‘ruolo guida’ del bene tutelato. – 3. Principio di eguaglianza e leggi<br />
‘ad personam’. – 4. Efficienza e ragionevolezza. – 5. Verso una legislazione ’simbolicoespressiva’.<br />
– 6. Conclusioni.<br />
1. Lo Stato di diritto si caratterizza per la sottoposizione alla legge <strong>dei</strong> detentori del<br />
potere: in ciò risiede la principale differenza tra questo e lo Stato assoluto, nel quale il<br />
sovrano è legibus solutus, (‘assolutamente’) libero da vincoli legali.<br />
Contrariamente ad una tendenza propria alle democrazie mature 1 , nel nostro paese è in<br />
corso da qualche tempo un processo finalizzato a sottrarre i detentori del potere ai predetti<br />
vincoli; tra i diversi strumenti utilizzati per raggiungere tale scopo spicca l’utilizzo sfacciato<br />
di leggi – soprattutto penali – ‘ad personam’, modellate cioè sulla figure di personaggi politici<br />
eccellenti, le quali garantiscono agli stessi l’impunità per condotte pregresse e future 2 .<br />
Provvedimenti, questi, che solo formalmente hanno i caratteri della generalità e dell’astrattezza,<br />
essendo nella sostanza ponderati ad hoc su specifici casi giudiziari 3 .<br />
Ultima in ordine di tempo viene la l. 23 luglio 2008, n. 124 (c.d. Lodo Alfano)<br />
che introduce una causa di sospensione <strong>dei</strong> processi penali nei confronti delle alte<br />
cariche dello Stato. Un istituto processuale, che comporta una parziale e temporanea<br />
sospensione delle attività proprie del corso ordinario del processo penale e un<br />
differimento del suo momento conclusivo 4 ; in realtà non è difficile intravedervi<br />
l’introduzione surrettizia di un’eccentrica causa di immunità 5 , finalizzata a risolvere<br />
* Dottore di ricerca in Scienze penalistiche, Università di Trieste.<br />
1<br />
Suonano ottimistiche le parole di G. BETTIOL, Diritto penale (1946), ed. 11ª, Cedam, Padova,<br />
1982, 176 s.: «un tempo la situazione era diversa perché la qualità personale […], lo status<br />
dell’individuo entravano in considerazione ai fini di escludere l’efficacia del praeceptum juris o della<br />
sanzione. Sussistevano molti privilegi. Anzi i privilegi erano la regola per gli appartenenti a certe<br />
classi sociali. Di tutto questo non vi è ora traccia».<br />
2<br />
E. DOLCINI, Leggi penali ‘ad personam’, riserva di legge e principio costituzionale di eguaglianza,<br />
in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 56 s.<br />
3<br />
A. PUGIOTTO, La parabola della legge sulle rogatorie internazionali (e la sua morale), in St. iuris,<br />
2003, 708.<br />
4<br />
G. FRIGO, La sospensione <strong>dei</strong> processi nel quadro costituzionale delle immunità politiche. I profili<br />
procedurali, in Dir. pen. proc., 2008, 1227.<br />
5<br />
Non possono escludersi effetti sostanziali della sospensione, in tutti i caso in cui l’accertamento giurisdizionale<br />
risulti frustrato dalla soluzione di continuità imposta al processo penale. Cfr. E. MARZADURI,<br />
Dubbi sullo “stop” nella fase delle indagini, in Guida al dir., 2003, f. 26, 23; F. RESTA, Munus e immunitas.<br />
Il “Lodo Alfano” e i persistenti dubbi di costituzionalità, in S. LORUSSO (a cura di), Le nuove norme<br />
sulla sicurezza pubblica, Cedam, Padova, 2008, 458.
42<br />
Matteo Bellina<br />
le urgenze processuali di un imputato eccellente (il più eccellente).<br />
Già in precedenza parte della dottrina aveva ravvisato nell’istituto omologo introdotto<br />
dalla l. n. 140 del 2003 (c.d. Lodo Maccanico) la «sostanza normativa di un privilegio<br />
personale» denunciandone il contrasto con il principio di eguaglianza; la stessa estensione<br />
dell’ambito applicativo dalla legge ai Presidenti della Repubblica, delle Camere e<br />
della Consulta, sarebbe servita, come una «cortina fumogena», a coprire la natura, altrimenti<br />
smaccatamente ad personam, di una sospensione pensata «per far fronte a problemi<br />
giudiziari – pendenti e futuri – del solo presidente del Consiglio» 6 .<br />
Muovendo dai plurimi profili di illegittimità costituzionale che la legge in esame presenta<br />
(in particolare modo con riferimento al principio di eguaglianza) è possibile far<br />
emergere ulteriori piani di lettura della normativa stessa in una prospettiva politicocriminale.<br />
Il piano normativo ‘cede’ al piano comunicativo; il legislatore (la c.d. ‘agenzia<br />
penale’) smette di ‘regolare’, ed inizia a ‘dialogare’, rectius a comunicare unilateralemente<br />
con gli altri ’attori’ del sistema penale 7 , recapitando un messaggio di onnipotenza,<br />
destinato ai giudici in particolare, ma anche ai cittadini e all’opinione pubblica;<br />
l’ennesima manifestazione di ’insofferenza’ per la giurisdizione, nel quadro di una ‘visione’<br />
tutta personale della giustizia e della legalità in generale.<br />
2. Che la normativa in esame presenti innumerevoli profili di attrito con la Costituzione<br />
è il primo elemento da ‘mettere sulla bilancia’ 8 : artt. 3, 111, 112, 136, 138, limitandosi<br />
ai soli profili valorizzati dalle ordinanze <strong>dei</strong> remittenti. Persino il suo iter di approvazione<br />
non è andato esente da critiche: l’«anomala sollecitudine» 9 con la quale il<br />
testo è stato licenziato ha fatto sorgere in molti il sospetto di una sostanziale elusione<br />
delle procedura e delle garanzie previste dall’art. 72 Cost.<br />
La bocciatura della primogenita l. n. 140 del 2003 da parte dalla Corte Costituzionale<br />
sembrava non ammettere ‘esami di riparazione’ finalizzati al restyling della materia o<br />
quantomeno sollecitava un ripensamento dell’intero impianto della normativa 10 : viceversa<br />
il legislatore in sole tre settimane (un vero primato!) è riuscito a provvedere.<br />
L’invito alla prudenza 11 , anche in questa occasione, non è stato colto; che il legislatore<br />
negli ultimi tempi soffra di una sindrome ‘compulsiva’ rappresenta, d’altro canto, un<br />
fatto notorio.<br />
La disciplina che ne è emersa presenta alcuni profili di criticità, riconducibili al principio<br />
di eguaglianza, che in questa sede meritano approfondimento particolare. Ci si riferisce<br />
alla scelta di modellare l’istituto come un’immunità ‘extrafunzionale’, ed altresì<br />
6 A. PUGIOTTO, Apparenza e sostanza normativa: i nodi costituzionali del “lodo Maccanico”, in<br />
Scritti in memoria di Livio Paladin, vol. IV, Jovene, Napoli, 2004, 1846.<br />
7 Su tale modello cfr. C.E. PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.,<br />
1992, 849 ss.<br />
8 F. CORDERO, Aspettando la cometa, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, 368, parla di «mostro in<br />
termini costituzionali».<br />
9 F. BELLAGAMBA, La sospensione <strong>dei</strong> processi nel quadro costituzionale delle immunità politiche. I<br />
profili penalistici, in Dir. pen. proc., 2008, 1212 s.<br />
10 C. MARTINELLI, Le immunità costituzionali nell’ordinamento italiano e nel diritto comparato,<br />
Giuffrè, Milano, 2008, 195.<br />
11 A. PUGIOTTO, Sull’immunità delle “alte cariche” una sentenza di “mezzi silenzi”, in Dir. e<br />
giust., 2004, f. 5, 14; contra S. CURRERI, Prime riflessioni sulla sentenza 20 gennaio 2004, n. 24 della<br />
Corte Costituzionale, in Forum Quad. cost.
Il lodo Alfano e la “forza <strong>dei</strong> simboli” 43<br />
alla limitazione dell’effetto sospensivo al solo processo e non all’intero procedimento<br />
penale.<br />
Si tratta di profili di irragionevolezza, in qualche modo, ’intrinesci’ all’istituto, apprezzabili<br />
quindi sia a livello della ‘tipologia’ dell’interesse che si intende proteggere,<br />
sia a livello delle ‘modalità’ attraverso le quali a questo è apprestata tutela.<br />
Va premesso che l’interesse in gioco, come si legge nella sent. n. 24/2004, è rappresentato<br />
dal «sereno svolgimento delle rilevanti funzioni» che ineriscono alle alte cariche<br />
dello Stato, «interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi<br />
fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale».<br />
La ratio della sospensione pertanto dovrebbe essere quella di preservare i titolari<br />
della funzione dall’interferenza di quei «fattori di inquietudine» 12 capaci di compromettere<br />
l’adempimento <strong>dei</strong> loro doveri. Lecito nutrire dubbi sulla rilevanza costituzionale<br />
dello stesso bene, alimentati, peraltro, dalla lettera della motivazione della pronuncia<br />
citata che parla solo di «interesse apprezzabile», omettendo di specificare se tale<br />
sia alla luce delle Costituzione e, soprattutto, senza indicare quale disposizione della<br />
Carta ne garantisca la copertura 13 . La dottrina più critica sulla normativa muove appunto<br />
dalla negazione dell’equivalenza degli interessi in gioco: la stessa Corte, nella sent. n.<br />
25/004, nel dichiarare ammissibile il referendum sul lodo, ha infatti osservato come il<br />
quesito non riguardi «leggi a contenuto costituzionalmente vincolato o costituzionalmente<br />
necessarie», implicitamente negando il rango costituzionale del bene coinvolto 14 .<br />
3. Il bene giuridico tutelato ’illumina’ sulla ragionevolezza della scelta di applicare<br />
l’istituto ai soli reati extrafunzionali. Non si vede infatti in base a quale parametro il legislatore<br />
(ordinario) possa affermare che i processi per i reati extrafunzionali siano suscettibili<br />
di turbare l’esercizio delle funzioni, mentre i processi per i fatti di reato commessi<br />
nell’esercizio delle stesse, per espressa previsione costituzionale, non lo sono. La<br />
scelta di differenziare tra situazioni tra loro eguali appare discriminatoria, appunto perché<br />
irragionevole, e conduce all’inaccettabile «trasformazione di una prerogativa, quale<br />
necessario baluardo per la protezione di “valori del sistema” ed, in ultima analisi, della<br />
funzione, in un privilegio, traducendosi in una mera favorabilitas nei confronti di individui<br />
o classi di individui, in vista del ruolo in sé da questi coperto» 15 .<br />
A ciò si aggiunga che l’evidente impalpabilità del bene tutelato, improntato ad uno<br />
spiccato ‘soggettivismo’, attrae l’istituto in esame nell’orbita <strong>dei</strong> c.d. privilegi, cioè di<br />
quelle situazioni giuridiche di esenzione dalla pena aventi carattere individuale ed eccezionale.<br />
Come la dottrina penalistica ha sottolineato, il principio di eguaglianza «è in grado di<br />
opporre un ostacolo di portata generale alle leggi ‘ad personam’: a tutte le leggi ‘ad personam’,<br />
se con questa formula designamo leggi che non solo sono condizionate all’origine<br />
dalla considerazione di situazioni individuali e concrete, ma altresì risultano a posteriori<br />
inconciliabili con il sistema normativo e dunque con una visione generale degli<br />
12<br />
Cfr. G. GIOSTRA, Sospensione del processo a tutela della carica istituzionale? Strumento costituzionalmente<br />
e tecnicamente improponibile, in Dir. giust., 2004, f. 5, 27.<br />
13<br />
F. BELLAGAMBA, La sospensione, cit., 1216; contra A. ABUKAR HAYO, L’immunità penale come<br />
species dell’inesigibilità, Giappichelli, Torino, 2006, 105 s.<br />
14<br />
A. PUGIOTTO, Sull’immunità, cit., 14.<br />
15<br />
F. BELLAGAMBA, La sospensione, cit., 1218; in riferimento alla l. n. 140 del 2003 cfr. A. PU-<br />
GIOTTO, Lodo Maccanico, una legge a rischio di incostituzionalità, in Dir. e giust., 2003, f. 26, 9.
44<br />
Matteo Bellina<br />
interessi della società» 16 . Se il legislatore legifera in spregio ai canoni di generalità e astrattezza<br />
17 , modellando la disciplina sull’interesse personale di un cittadino, e la deroga<br />
non trova fondamento di legittimità all’interno del sistema, quella differenziazione dà<br />
vita ad un privilegio personale in violazione del principio di eguaglianza: «non sono eguali<br />
davanti alla legge cittadini nel cui personale ed esclusivo interesse vengono create<br />
discipline che della legge hanno la forma, ma non la sostanza 18 .<br />
4. L’applicazione della sospensione al solo processo, e non anche all’intero procedimento,<br />
confligge con la sua ratio apparendo evidente come anche lo svolgimento delle<br />
indagini possa turbare quella «serenità nello svolgimento delle funzioni» che l’istituto si<br />
prefigge di tutelare 19 . Anzi, non si può ignorare come proprio tale fase sia quella potenzialmente<br />
più offensiva, vuoi per l’applicabilità delle misure cautelari (che sono stigmatizzanti<br />
al pari delle pene in senso stretto), vuoi per la patologica (ma, a quanto pare,<br />
ormai strutturale) ’sovraesposizione mediatica’ alla quale le indagini preliminari sono<br />
soggette 20 . Da questo punto di vista la sospensione de qua si presenta come del tutto inefficacie<br />
rispetto alla finalità (palese) che essa si propone, poiché non assicura protezione<br />
al soggetto dal momento dell’iscrizione della notizia di reato all’esercizio<br />
dell’azione panale 21 .<br />
Analoghe considerazioni suscita la disciplina relativa alla parte civile contenuta al<br />
comma 6, in forza della quale la pretesa privata può essere comunque coltivata in separata<br />
sede in caso di sospensione del processo penale. Curiosa la circostanza che la legge<br />
garantisca all’azione civile una sorte migliore di quella penale, facendo sì che l’interesse<br />
risarcitorio abbia la meglio sull’interesse pubblico al perseguimento <strong>dei</strong> reati 22 .<br />
L’irragionevolezza deriva poi dal fatto che anche l’esercizio dell’azione civile nei confronti<br />
dell’alta carica può essere in grado di turbare il «sereno svolgimento delle funzioni».<br />
Vero che l’accertamento del fatto penalmente rilevante e la conseguente attribuzione<br />
di responsabilità generalmente porta con sé un effetto stigmatizzante più profondo<br />
rispetto all’accertamento dell’illecito civile. Ciò però non vale nel caso de quo, dove a<br />
seguito dell’uscita dal processo penale della parte civile, i fatti da accertare sono in entrambi<br />
i processi i medesimi, mutando solo le conseguenze sanzionatorie. La legge pare<br />
destinata non tanto a consentire all’alta carica una ‘fuga dal processo’, e dagli impedimenti<br />
e turbamenti che questo reca, quanto piuttosto a permettere una ‘fuga dalla sanzione<br />
penale’ e dallo stigma che essa reca con sé.<br />
16<br />
E. DOLCINI, Leggi penali, cit., 66.<br />
17<br />
Sulle quali si veda G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., 32 s.<br />
18<br />
E. DOLCINI, Leggi penali, cit., 66. Come nota F. CORDERO, Aspettando la cometa, cit., 371,<br />
«l’enorme privilegio stride con l’idea che siamo tutti eguali davanti alla legge […]. L’immunità nascerebbe<br />
invalida anche fosse deliberata secondo l’art. 138 Cost., perché nella scala degli interessi<br />
tutelati dalla Carta niente giustifica tale sopruso».<br />
19<br />
F. BELLAGAMBA, La sospensione, cit., 1218.<br />
20<br />
Cfr. T. PADOVANI, Informazione e giustizia penale: dolenti note, in Dir. pen. proc., 2008, 680 ss.<br />
21<br />
F. BELLAGAMBA, La sospensione, cit., 1218.<br />
22<br />
R. ORLANDI, Questioni processuali nell’applicazione della l. 23 luglio 2008, n. 124, in questo<br />
stesso <strong>volume</strong>.
Il lodo Alfano e la “forza <strong>dei</strong> simboli” 45<br />
5. L’istituto solo apparentemente intende garantire il sereno assolvimento delle funzioni,<br />
perseguendo in realtà il più concreto obiettivo di allontanare nel tempo un imminente,<br />
e presumibilmente poco gradito, epilogo processuale nei confronti di una delle<br />
più alte cariche dello Stato 23 . Qui si annida il vizio di fondo della normativa, nel suo<br />
momento ’genetico’, nelle motivazioni politiche ed egoistiche che la innescarono e che<br />
riguardano esclusivamente il Presidente del Consiglio e le sue note vicissitudini giudiziarie<br />
24 .<br />
Vi è però un piano di lettura ulteriore: il clamore istituzionale e mediatico generato<br />
dall’intera vicenda è indice della volontà del legislatore di ‘portare in piazza’ la questione,<br />
lasciando che sia l’opinione pubblica l’unico vero arbitro di una ‘partita’ che vede<br />
un segmento della classe politica opporsi alla magistratura e, più in generale, ad una<br />
concezione formale della legalità.<br />
La l. n. 124 del 2008, in questo senso si caratterizza per la sua portata eminentemente<br />
simbolica; esse non sembra tenuta a conseguire il risultato in essa manifesto, caratterizzandosi<br />
per avere uno scopo diverso da quello dichiarato: in tal senso essa è altresì ‘espressiva’,<br />
rappresenta cioè «un ‘gesto’ fatto per esaltare i valori di un gruppo sociale e<br />
screditare i ‘valori’ di un altro gruppo» 25 .<br />
La l. n. 124 del 2004 contiene un ‘messaggio’ a duplice destinatario: in primo luogo<br />
un invito rivolto alla magistratura (in particolar modo a quella requirente) a desistere da<br />
qualsivoglia iniziativa processuale che abbia come destinatario, in primo luogo, il Presidente<br />
del Consiglio; ma anche un messaggio di ‘onnipotenza’ della classe politica, un<br />
messaggio di totale deresponsabilizzazione penale della stessa, un ‘gesto’, appunto, per<br />
esaltare l’agire politico fondato sulla legittimazione elettorale e sul potere della maggioranza<br />
e screditare il circuito della ragione tecnico-giuridica della magistratura.<br />
Il significato ‘moderno’ delle immunità viene così anamorficamente distorto e rimodellato<br />
attorno al ’pensiero unico’ del quale la maggioranza si fa portatrice. In particolare<br />
spaventa lo spostamento di attenzione dalla ragioni dell’efficienza (che tradizionalmente<br />
gli istituti riconducibili all’immunità tendono ad assicurare) 26 ad una logica incentrata alla<br />
comunicazione della stessa. Si evidenzia l’esistenza di una sovrapposizione alle strategie<br />
‘adattive’, finalizzate all’efficienza (intesa come razionalità di scopo) verso risposte meno<br />
razionali e, per ciò solo, non adattive. Le ‘agenzie penali’, in particolare il ‘legislatore politico’,<br />
indirizzano le loro scelte d’orientamento in base alla loro ‘presa sul pubblico’ (preferibilmente<br />
nell’arco di tempo dettato dalla competizione elettorale) sotto lo sguardo <strong>dei</strong><br />
media, affidandosi, nella loro attività, agli umori dell’opinione pubblica, così che la loro<br />
risposta, deliberatamente di parte, assume sempre più i connotati di una risposta innescata<br />
da eventi specifici. Trionfa così la giustizia penale simbolica o, meglio, simbolicoespressiva,<br />
orientata in chiave non-strumentale e dunque secondo un paradigma di tipo assiologico.<br />
Il passaggio, per dirla con Alessandro Baratta, da un «efficienza simbolica» della<br />
giustizia penale (e dunque di un diritto penale dal ‘messaggio forte’, stabile, chiaro e,<br />
soprattutto, coerente con i valori imperanti nella società), ad un «simbolismo efficientista<br />
23<br />
F. BELLAGAMBA, La sospensione, cit., 1218. Cfr. anche E. GROSSO, La dilatazione delle immunità<br />
politiche e la fuga dalla responsabilità: una tendenza non solo italiana, in<br />
http://www.costituzionalismo.it/articolo.asp?id=123.<br />
24<br />
C. MARTINELLI, Le immunità, cit., 196.<br />
25<br />
C.E. PALIERO, Il principio di effettività nel diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 537.<br />
26<br />
Come nota F. CORDERO, Aspettando la cometa, cit., 366 s., «risaliva ai tempi in cui oppositori<br />
scomodi rischiassero pressioni da una magistratura lunga mano del potere esecutivo; nell’Italia attuale<br />
il fine sarebbe inverso, lasciare impuniti gli uomini del re-pardone».
46<br />
Matteo Bellina<br />
proprio della politica spettacolare»: invece di essere il consenso (sui valori costituzionali)<br />
la base di legittimità delle decisioni legislative, il sostegno elettorale è il prodotto cui esse<br />
vengono finalizzate, in un processo artificiale di legittimazione, in cui viene realizzato lo<br />
scambio tra illusioni e sicurezza <strong>dei</strong> voti 27 .<br />
Questo il contesto che spinge il legislatore a sostituire l’azione al pensiero, ricorrendo<br />
a provvedimenti legislativi o a politiche che danno alla gente l’illusione che si sta facendo<br />
una cosa mentre, in realtà, se ne fa un’altra.<br />
6. Mi chiedo quanto queste considerazioni possano valere all’interno del giudizio di<br />
costituzionalità, ed in particolare all’interno di questo giudizio.<br />
La patologica inefficienza-ineffettività della legge rispetto allo scopo dichiarato può<br />
essere oggetto di censura da parte della Corte perché configgente con il principio di ragionevolezza?<br />
E alla luce del medesimo parametro è possibile stigmatizzare una disciplina<br />
dal contenuto eminentemente simbolico-espressivo? Il principio di eguaglianza<br />
può arginare la deriva di una legislazione ‘ad personam’?<br />
Se è vero che «la Corte Costituzionale è dentro la politica, anzi ne è uno <strong>dei</strong> fattori<br />
decisivi, se per politica si intende l’attività finalizzata alla convivenza» 28 , vale la pena di<br />
chiedersi se innanzi ad una legge siffatta non vi sia spazio per una risposta ’politica’ della<br />
Corte, nel senso dell’affermazione, altrettanto ‘simbolica’, del canone della ragionevolezza,<br />
quale ‘cardine’ del valore eguaglianza.<br />
Spazio dunque, per una sentenza ‘storica’, cha affronti alla radice quelle questioni<br />
che la pronuncia precedente aveva eluso, attraverso il meccanismo dell’assorbimento.<br />
Una sentenza dunque che non «riparta da zero» 29 , ma che segua lo sviluppo logico del<br />
precedente del 2004 portando alla estreme conseguenze il sindacato sull’an dell’istituto.<br />
Ad una quaestio costituzionale e ad un quesito referendario, si risponde qui con un<br />
ulteriori domande, aggiungendo dubbi ai dubbi. Il dubbio che la Corte possa, almeno per<br />
una volta, ‘sfondare la barricata’ (si intende quella che vorrebbe il suo magistero relegato<br />
su un piano eminentemente tecnico-giuridico) per dar una risposta ‘forte’ alle questioni<br />
sollevate dai giudici remittenti (in nome di chi non si rassegna all’ineluttabilità di<br />
un ‘pensiero debole’).<br />
27 A. BARATTA, Prefazione a S. MOCCIA, La perenne emergenza, Esi, Napoli, 1997, XV s. Cfr. anche A.<br />
BARATTA, Criminologia critica e critica del diritto penale, Il Mulino, Bologna, 1978.<br />
28 G. ZAGREBELSKY, Principì e voti, Einaudi, Torino, 2005, 39, mentre «è non-politica, se per politica<br />
si intende competizione tra parti per l’assunzione e la gestione del potere». Cfr. anche ID., La<br />
Corte in-politica, in Quad. cost., 2005, 2, 273 ss. nonché, da ultimo, ID., La legge e la sua giustizia, Il<br />
Mulino, Bologna, 2008, 295 ss.<br />
29 G. ZAGREBELSKY, Principì e voti, cit., 83.
A PROPOSITO DELL’ITER PARLAMENTARE<br />
DELLA LEGGE N. 124 DEL 2008<br />
di CHIARA BERGONZINI *<br />
SOMMARIO: 1. I tempi di approvazione della l. n. 124 del 2008. – 2. Tre osservazioni generali.<br />
1. Vorrei ricollegarmi al primo punto della traccia 1 e, in parte, alle considerazioni “di<br />
contesto” già formulate dai relatori 2 , aprendo una parentesi sull’iter parlamentare della<br />
l. n. 124 del 2008. Mi rendo conto che, nell’economia complessiva <strong>dei</strong> lavori di questa<br />
giornata, si tratta di un profilo marginale, perché nessuna delle questioni sollevate dalle<br />
ordinanze di rimessione assume come parametro l’art. 72 della Costituzione; a mio parere,<br />
tuttavia, il tema merita almeno un minimo di approfondimento, se non altro per chiarire<br />
la genesi del lodo.<br />
La traccia della discussione rileva, correttamente, che tra la presentazione del disegno<br />
di legge (2 luglio 2008) e la sua entrata in vigore (26 luglio 2008) sono intercorsi<br />
«soli ventitré giorni»; dopo aver approfondito l’iter, verrebbe da dire magari fossero<br />
stati ventitré giorni: in realtà, l’intero passaggio parlamentare, comprensivo di fase referente<br />
ed assembleare in entrambe le Camere, è durato poco più di 34 ore 3 .<br />
Alla <strong>Camera</strong>, l’esame dell’A.C. 1442 presso le Commissioni I e II riunite è iniziato<br />
l’8 luglio e si è concluso – con l’approvazione del testo presentato dal Governo – la mattina<br />
successiva, dopo circa 8 ore di discussione (comprese le relazioni introduttive) 4 . Il<br />
Comitato per la legislazione ha concluso il proprio esame in 45 minuti. La fase assembleare<br />
si è suddivisa in due giorni (9 e 10 luglio), per un totale di poco più di 15 ore di<br />
esame; il 10 luglio 2008 la <strong>Camera</strong> ha licenziato e trasmesso al Senato il testo originario,<br />
con un’unica modifica – consistente nell’inserimento dell’ultimo periodo del com-<br />
* Assegnista di ricerca in Diritto costituzionale, Università di Ferrara.<br />
1 La traccia della discussione è reperibile nel sito http://www.unife.it/amicuscuriae.<br />
2 Il riferimento è, in particolare, a R. ORLANDI, Questioni processuali nell’applicazione della l. 23<br />
luglio 2008, n. 124, par. 1 della versione pubblicata in http://www.unife.it/amicuscuriae (sezione Documenti<br />
scaricabili).<br />
3 Il calcolo delle ore dedicate all’esame della l. n. 124 del 2008 è stato svolto sulla base <strong>dei</strong> resoconti<br />
delle sedute, all’interno <strong>dei</strong> quali vengono riportati l’orario di inizio e di chiusura delle discussioni<br />
su ciascun punto dell’ordine del giorno. I resoconti e le schede riassuntive degli itinera legis<br />
(queste ultime a partire dalla XIII legislatura) sono reperibili all’interno <strong>dei</strong> siti istituzionali delle<br />
Camere: http://www.camera.it (sezioni Organi parlamentari e Leggi) e http://www.senato.it (sezioni<br />
Lavori del Senato e Leggi e documenti).<br />
4 Cfr. <strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> <strong>Deputati</strong>, Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari, Commissioni<br />
I e II, resoconti delle sedute di martedì 8 luglio e mercoledì 9 luglio 2008.
48<br />
Chiara Berginzini<br />
ma 5 5 – dovuta all’approvazione di un emendamento accettato dalla Commissione e dal<br />
Governo 6 .<br />
Al Senato (A.S. 903), il procedimento è stato apparentemente più lungo perché articolato<br />
in più sedute, ma in realtà il tempo effettivo dedicato all’esame risulta, in totale,<br />
ancora meno che alla <strong>Camera</strong>: la sede referente è durata poco più di 5 ore 7 , la fase assembleare<br />
poco più di 6 8 , per un totale di circa 12 ore, al termine delle quali l’Assemblea<br />
ha approvato integralmente il testo trasmesso dalla <strong>Camera</strong>.<br />
In definitiva, 34 ore sono state considerate sufficienti per approvare una legge che disciplina<br />
una materia già colpita da sentenza di accoglimento della Corte cost. (sent. n.<br />
24/2004) e tocca direttamente diversi principi costituzionali fondamentali 9 .<br />
Come è stato possibile ottenere una simile tempistica?<br />
Almeno con riferimento alla <strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> <strong>Deputati</strong>, la risposta emerge molto chiaramente<br />
dagli atti parlamentari ed in particolare da un discorso pronunciato – e più volte<br />
richiamato – dal Presidente di Assemblea 10 , a seguito di numerose sollecitazioni da parte<br />
<strong>dei</strong> gruppi di opposizione.<br />
In primo luogo, tutte le decisioni sull’organizzazione <strong>dei</strong> lavori – in ogni sede: Capigruppo,<br />
Commissione ed Aula – sono state prese esclusivamente dalla maggioranza 11 ,<br />
sin dalle prime battute: quattro giorni dopo la presentazione del disegno di legge, alla<br />
<strong>Camera</strong>, si è riunita la Conferenza <strong>dei</strong> Capigruppo, che ha deciso di modificare il calendario<br />
<strong>dei</strong> lavori già approvato 12 e, di conseguenza, anche l’ordine del giorno della sedu-<br />
5 Si tratta della precisazione: «né si applica in caso di successiva investitura in altra delle cariche o<br />
delle funzioni».<br />
6 Emendamento Mantini 1.400: v. <strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> <strong>Deputati</strong>, Assemblea, res. sten. sed. n. 32 del 10 lu-<br />
glio 2008, 99.<br />
7 Cfr. Senato, XVI legislatura, Commissioni I e II riunite, resoconti sommari: n. 13 del 14 luglio<br />
2008; nn. 14 e 15 del 15 luglio 2008; n. 16 del 16 luglio 2008; n. 17 del 17 luglio 2008.<br />
8 Cfr. Senato, XVI legislatura, Assemblea, res. sten. sedute n. 43 del 21 luglio 2008 e nn. 44 e 45<br />
del 22/07/2008.<br />
9 Da sottolineare il fatto che l’intera compagine parlamentare, maggioranza compresa, appariva perfettamente<br />
consapevole della delicatezza <strong>dei</strong> temi portati al proprio esame; paradigmatica, in tal senso,<br />
la relazione introduttiva svolta, in apertura <strong>dei</strong> lavori in sede referente al Senato, dal senatore Vizzini<br />
(Relatore per la I Commissione), secondo il quale: «La sfera di immunità a garanzie <strong>dei</strong> titolari di cariche<br />
pubbliche rappresenta uno degli aspetti più significativi e al contempo più problematici del costituzionalismo<br />
liberaldemocratico. Essa, da una parte, concorre al mantenimento di quel complesso sistema<br />
di equilibri tra diversi poteri che caratterizza lo Stato costituzionale di democrazia pluralista […].<br />
Dall’altra parte, essa costituisce anche una limitazione del principio di legalità e del correlato principio<br />
di eguaglianza – con il postulato dell’eguale sottoposizione di tutti i cittadini alla legge – che pure rappresenta<br />
un altro <strong>dei</strong> fondamenti costitutivi dello Stato costituzionale di democrazia pluralista»: V. Senato,<br />
XVI legislatura, Commissioni I e II riunite, res. somm. n. 14 del 15 luglio 2008.<br />
10 Cfr. <strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> <strong>Deputati</strong>, Assemblea, res. sten. sed. n. 30 dell’8 luglio 2008, 6 ss. In quella sede,<br />
il Presidente ha riportato all’Assemblea quanto già chiarito, poche ore prima, durante una riunione<br />
della Giunta per il Regolamento, appositamente convocata (Cfr. <strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> <strong>Deputati</strong>, Giunta per il<br />
Regolamento, riunione dell’8 luglio 2008).<br />
11 Com’è noto, delle riunioni della Conferenza <strong>dei</strong> Capigruppo non viene stilato alcun verbale: le<br />
conclusioni riportate nel testo su quanto avvenuto nel collegio ristretto derivano pertanto da quanto<br />
emerge, in proposito, dai resoconti delle sedute di Assemblea.<br />
12 Nell’ambito del quale l’inizio della discussione sulle linee generali dell’A.C. 1442 era prevista<br />
per il 28 luglio: cfr. <strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> <strong>Deputati</strong>, Assemblea, Calendario <strong>dei</strong> lavori n. 2 (luglio 2008), in<br />
http://www.camera.it.
A proposito dell’iter parlamentare della legge n. 124 del 2008 49<br />
ta successiva, inserendo il lodo al posto della prosecuzione della discussione sulla conversione<br />
del cd. “decreto sicurezza” 13 . In secondo luogo, il Presidente della <strong>Camera</strong>,<br />
nonostante le specifiche richieste <strong>dei</strong> Gruppi di minoranza, ha ritenuto che la materia in<br />
discussione non rientrasse tra quelle per cui è possibile derogare alla regola del contingentamento<br />
<strong>dei</strong> tempi. Vale la pena sottolineare che tali materie sono o “quelle che incidono<br />
sui principi e sui diritti di libertà di cui agli articoli 6, da 13 a 22 e da 24 a 27 della<br />
Costituzione, sui diritti della famiglia di cui agli articoli 29, 30 e 31, comma secondo, e<br />
sui diritti della persona umana di cui all’articolo 32, comma secondo, della Costituzione”<br />
14 ; oppure le “questioni di eccezionale rilevanza politica, sociale o economica riferite<br />
ai diritti previsti dalla prima parte della Costituzione” 15 .<br />
2. Per tornare alla traccia: «Si possono davvero riscontrare, nel procedimento approvativo<br />
del lodo, veri e propri vizi formali di costituzionalità della legge?».<br />
La questione è, evidentemente, piuttosto complessa – per una serie di motivi, tra cui<br />
spicca la giurisprudenza costituzionale in materia di sindacabilità del procedimento legislativo<br />
16 e di vizio formale 17 – perciò mi limito solo a tre osservazioni.<br />
In generale, guardando anche al tenore degli interventi, credo si possa affermare senza<br />
incorrere in esagerazioni che quella da cui è scaturita la l. n. 124 del 2008 è stata esclusivamente<br />
la rappresentazione formale di un procedimento legislativo, nel senso<br />
che, se formalmente tutte le fasi sono state svolte, in realtà si è trattato di contenitori<br />
vuoti, all’interno <strong>dei</strong> quali non si sono verificati alcun approfondimento, alcun confronto<br />
ed alcuna analisi, ma solo l’ormai consueto “muro contro muro” tra maggioranza e opposizione<br />
18 , per di più con i tempi contingentati.<br />
13 La comunicazione presidenziale sulle modifiche al calendario si è svolta il 7 luglio: v. <strong>Camera</strong><br />
<strong>dei</strong> <strong>Deputati</strong>, Assemblea, res. sten. sed. n. 29 del 7/07/2008, 52 ss. In riferimento alle tecniche con cui<br />
è possibile forzare i tempi di esame da parte delle Commissioni, ottenendo un’abbreviazione (quando<br />
non addirittura la “scomparsa”) della fase istruttoria, sia consentito rinviare a C. BERGONZINI, I lavori<br />
in commissione referente tra regolamenti e prassi parlamentari, in Quad. cost., 2005, 787 ss., 792.<br />
14 Regolamento della <strong>Camera</strong>, art. 49, comma 1, relativo ai casi in cui è possibile richiedere il voto<br />
segreto. In tali ipotesi, il contingentamento <strong>dei</strong> tempi per le fasi successive alla discussione sulle<br />
linee generali si dovrebbe applicare «soltanto su deliberazione unanime della Conferenza <strong>dei</strong> Presidenti<br />
di Gruppo, ovvero nel caso in cui la discussione non riesca concludersi e il progetto di legge sia<br />
iscritto in un successivo calendario» (art. 24, comma 12, r.C.).<br />
15 Ivi, art. 24, comma 12. A proposito dell’attinenza del lodo con i principi costituzionali richiamati<br />
dall’art. 24, comma 12, r.C., non si può fare a meno di notare la contraddizione tra le motivazioni<br />
addotte dal Presidente per negare l’applicabilità della disposizione regolamentare appena citata e<br />
quanto sostenuto da diversi esponenti della maggioranza: v. supra, nota 9.<br />
16 Cfr. il recente contributo di M. MANETTI, La lunga marcia verso la sindacabilità del procedimento<br />
legislativo, in Quad. cost., 2008, 835 ss.<br />
17 Sul punto, cfr. G. BRUNELLI, Un privilegio illegittimo (anche per vizio formale), in questo <strong>volume</strong>,<br />
par. 3 e, in generale, F. MODUGNO, Legge (vizi della), in Enc. dir., XXIII, Giuffrè, Milano,<br />
1973, 1000 ss.<br />
18 A mero titolo di esempio, cfr. i resoconti stenografici della seduta dell’8 luglio 2008 delle Commissioni<br />
I e II, alla <strong>Camera</strong>, e della seduta di Assemblea n. 43 del 21 luglio 2008, al Senato. Per verificare<br />
quanto sostenuto nel testo è peraltro sufficiente scorrere la rassegna stampa relativa al periodo in cui la l. n.<br />
124 del 2008 era all’esame del Parlamento, reperibile in http://www.camera.it, Sezione Attualità e comunicazione<br />
(Rassegna stampa – Archivio). In prospettiva più ampia, v. anche le efficaci riflessioni di L. CAR-<br />
LASSARE, Maggioritario, in http://www.costituzionalismo.it, fascicolo 1/2008, par. 4.
50<br />
Chiara Berginzini<br />
Inoltre – e di conseguenza – è da sottolineare che una simile gestione <strong>dei</strong> lavori non<br />
ha richiesto, da parte della maggioranza, nuovi “strappi” regolamentari. Al contrario,<br />
ogni passaggio è stato giustificato da numerosi precedenti, espressamente richiamati dal<br />
Presidente della <strong>Camera</strong> a supporto delle proprie decisioni 19 . Il che significa, in un’ottica<br />
ancora più ampia, che il procedimento di approvazione del lodo, pur raggiungendo<br />
un risultato anomalo 20 , rientra nella prassi e non costituisce, quindi, un unicum. E se<br />
questa è la tendenza, viene da chiedersi: a quale punto bisogna arrivare prima di raggiungere<br />
il limite oltre il quale sarà considerato necessario un intervento della Corte costituzionale?<br />
Da ultimo, pare non irragionevole ipotizzare una violazione dell’art. 72 Cost., nella<br />
parte in cui prevede che «ogni disegno di legge, presentato ad una <strong>Camera</strong>, è, secondo le<br />
norme del suo regolamento, esaminato da una Commissione»: in particolare (ma non solo)<br />
su una materia delicata come quella disciplinata dalla l. n. 124 del 2008, sembra difficile<br />
sostenere che un passaggio di 8 ore alla <strong>Camera</strong> e di 5 ore al Senato possa essere<br />
definito “esame” 21 , a meno di non ritenere che tale adempimento – costituzionalmente<br />
imposto – possa essere soddisfatto da qualche ora di sosta in una Commissione, il cui<br />
ruolo si riduce, sostanzialmente, a quello di passacarte.<br />
19 V. <strong>Camera</strong>, Giunta per il Regolamento, resoconto della seduta dell’8 luglio 2008, spec. 4 e 6; <strong>Camera</strong>,<br />
Assemblea, res. sten. sed. n. 30 dell’8 luglio 2008, 38-41. Nell’impossibilità di procedere ad<br />
un’analisi dettagliata <strong>dei</strong> precedenti richiamati ci si limita, in questa sede, a sottolineare che: a) in riferimento<br />
alla segretabilità del voto (che avrebbe a sua volta consentito la deroga al contingentamento: v.<br />
supra, nota 14), l’unico precedente specifico risale all’approvazione della l. n. 140 del 2003 (cd. “Lodo<br />
Schifani”); b) in riferimento alla possibilità di inserire il lodo tra le questioni di eccezionale rilevanza<br />
politica, economica e sociale ex art. 24, comma 12, r.C., il Presidente della <strong>Camera</strong> ha richiamato la cd.<br />
“giurisprudenza Violante”, ovvero un’interpretazione tanto restrittiva da rendere finora inapplicata la<br />
disposizione. Sul punto v. anche N. LUPO, Una legge approvata in gran fretta, sulla base <strong>dei</strong> “peggiori”<br />
precedenti, in questo <strong>volume</strong>.<br />
20 Cfr. S. CURRERI, Sui vizi procedimentali del c.d. lodo Alfano, in questo <strong>volume</strong>.<br />
21 Cfr., per tutti, F. MODUGNO, Legge (vizi della), cit., 1016; A.A. CERVATI, Art. 72, in G. BRANCA<br />
(a cura di), Commentario alla Costituzione, La formazione delle leggi, Zanichelli-Foro it., Bologna-<br />
Roma, 1985, tomo I, 1, 120; A. MANZELLA, Il Parlamento, III ed., Il Mulino, Bologna, 2003, 328.
LA (IM)PROCEDIBILITÀ DELL’AZIONE PENALE NEI CONFRONTI<br />
DEL CAPO DELLO STATO IN PENDENZA DI MANDATO<br />
(NOTA A MARGINE DELLA LEGGE N. 124 DEL 2008)<br />
di FRANCESCO BIAGI *<br />
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Il dibattito in Assemblea Costituente. – 3. Le diverse posizioni della<br />
dottrina. – 4. Il caso Scalfaro in re SISDE e la sent. n. 154/2004 della Corte cost. – 5. I disegni di legge<br />
costituzionali. – 6. Una panoramica su alcuni ordinamenti stranieri. – 7. Conclusioni.<br />
1. Nonostante le critiche che possono essere mosse nei confronti della l. n. 124 del<br />
2008, pare opportuno riconoscere a tale provvedimento un merito, ovvero quello di avere<br />
nuovamente sollevato la questione, a lungo dibattuta, relativa alla responsabilità penale<br />
del Capo dello Stato per gli atti estranei alle sue funzioni. Va detto, tuttavia, che<br />
l’attenzione, soprattutto <strong>dei</strong> media, ma anche <strong>dei</strong> costituzionalisti, si è rivolta principalmente,<br />
a causa delle note vicende giudiziarie, alla posizione del Presidente del Consiglio,<br />
mettendo in secondo piano, invece, il fatto che il c.d. “lodo Alfano” prevede la sospensione<br />
<strong>dei</strong> processi (in pendenza di mandato) anche nei confronti del Presidente della<br />
Repubblica.<br />
2. Va precisato sin da subito che tale questione venne sollevata già durante i lavori<br />
dell’Assemblea Costituente, ma fu deliberatamente lasciata priva di una disciplina specifica.<br />
Le ragioni, infatti, «di opportunità e di convenienza» addotte da Egidio Tosato<br />
per motivare la mancanza di una disciplina relativa alla responsabilità penale prevalsero.<br />
È altresì vero che venne respinto un emendamento proposto da Reginaldo Monticelli in<br />
cui si affermava che «il Presidente della Repubblica non [poteva], mentre [era] in carica,<br />
essere sottoposto a procedimento penale per fatti estranei all’esercizio delle sue funzioni»:<br />
da ciò sembrerebbe, dunque, che la volontà del Costituente non fosse certo quella di<br />
escludere la responsabilità penale del Capo dello Stato per i reati comuni, né di escludere<br />
la sua sottoposizione alla giurisdizione penale nel corso del mandato. Meuccio Ruini,<br />
Presidente della Commissione <strong>dei</strong> 75, sostenne, tuttavia, che «l’argomento [era] così delicato<br />
che la Commissione ritenne a suo tempo che fosse meglio lasciarne la risoluzione<br />
alla prassi».<br />
3. In linea generale, si riscontra in dottrina una sostanziale unanimità nel ritenere che<br />
il Capo dello Stato sia penalmente responsabile per gli atti extrafunzionali: per quanto<br />
* Dottorando di ricerca in Diritto costituzionale, Università di Ferrara.
52<br />
Francesco Biagi<br />
concerne i reati compiuti al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni, infatti, il Presidente<br />
della Repubblica è tenuto a rispondere (ed è perciò imputabile) al pari di qualsiasi cittadino.<br />
Le posizioni, al contrario, si dividono quando si tratta di stabilire il momento in cui si<br />
può effettivamente procedere nei confronti del Capo dello Stato. Una parte della dottrina<br />
sostiene che quest’ultimo sia perseguibile sin da subito, e dunque anche in pendenza<br />
della carica. È stato messo in luce, infatti, che «il prestigio delle istituzioni sarebbe assai<br />
più gravemente compromesso nel caso in cui un Capo dello Stato colpevole, o anche<br />
semplicemente sospetto, di un reato comune rimanesse in carica esente da processo» 1 .<br />
Si è osservato, inoltre, che una conferma a tale tesi, secondo cui il Presidente può essere<br />
sottoposto ad un giudizio penale anche durante munere, sia da rinvenirsi nella l. 5 giugno<br />
1989, n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall’articolo<br />
90 della Costituzione), attuativa della modifica costituzionale introdotta dalla l.<br />
cost. n. 1 del 1989: tale legge, infatti, conterrebbe cinque disposizioni 2 «che inequivocabilmente<br />
affermano e la responsabilità e la perseguibilità del titolare dell’ufficio di<br />
Presidente della Repubblica da parte dell’autorità giudiziaria ordinaria» 3 .<br />
Un’altra parte della dottrina, invece, risulta essere di parere opposto, e sostiene, cioè,<br />
l’improcedibilità dell’azione penale per tutta la durata del settennato presidenziale: ciò<br />
significa che il Capo dello Stato non è irresponsabile per i reati compiuti al di fuori<br />
dell’esercizio delle sue funzioni, ma che gode di un privilegio meramente processuale,<br />
1 L. CARLASSARE, Art. 90, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Zanichelli-Foro<br />
it., Bologna-Roma, 1983, 151; De Siervo, al contrario, sostiene che «il problema fondamentale in discussione<br />
non riguarda il prestigio di un uomo, o delle stesse istituzioni, ma la garanzia delle funzionalità di<br />
queste ultime» (U. DE SIERVO, La responsabilità penale del Capo dello Stato, in M. LUCIANI-M. VOLPI (a<br />
cura di), Il Presidente della Repubblica, Il Mulino, Bologna, 1997, 365).<br />
2 Le cinque disposizioni sono le seguenti: art. 8 comma 3: “Qualora il comitato abbia dichiarato la<br />
propria incompetenza a norma del comma 2 [qualora il reato sia diverso da quelli previsti dall’art. 90<br />
Cost.], gli atti del procedimento sono trasmessi all’autorità giudiziaria…”; art. 9, comma 2: “Se il<br />
comitato ritiene che i fatti per i quali procede l’autorità giudiziaria ordinaria o militare integrano taluno<br />
<strong>dei</strong> reati previsti dall’art. 90 Cost., afferma la propria competenza indicando le persone nei cui<br />
confronti intende procedere e richiede la trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria, che provvede<br />
senza ritardo dopo aver dichiarato con sentenza la propria incompetenza”; art. 9, comma 3: “Tuttavia<br />
l’autorità giudiziaria, se ritiene che i fatti siano diversi da quelli previsti nell’art. 90 Cost., pronuncia<br />
ordinanza con la quale ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione del<br />
conflitto. Nello stesso modo provvede quando ritiene che i fatti per i quali procedono il comitato o il<br />
Parlamento in seduta comune rientrino nella sua competenza”; art. 10, comma 1: “Qualora ritenga<br />
che il reato sia diverso da quelli previsti dall’art. 90 della Costituzione il Parlamento in seduta comune<br />
dichiara la propria incompetenza e trasmette gli atti all’autorità giudiziaria”; art. 10 comma 2: “Se<br />
l’autorità giudiziaria dissente dalla pronuncia di incompetenza del Parlamento o del comitato, provvede<br />
a norma del comma 3, dell’articolo 9” [l’autorità giudiziaria ordina la trasmissione degli atti alla<br />
Corte costituzionale per la risoluzione del conflitto].<br />
3 G. FERRARA, Sulla responsabilità penale del Presidente della Repubblica, in Studi in onore di Manlio<br />
Mazziotti di Celso, Vol. I, Cedam, Padova, 1995, 594; De Siervo ritiene, al contrario, che «queste disposizioni<br />
della l. 219 del 1989 … non sono affatto decisive, poiché disciplinano semplicemente la soluzione<br />
<strong>dei</strong> diversi possibili casi di conflitto negativo o positivo che possano sorgere fra gli organi parlamentari e<br />
gli organi della ordinaria giurisdizione penale, ma – a ben vedere – contengono solo una disciplina generica,<br />
poiché riferita ad ogni periodo temporale in cui possano sorgere conflitti del genere (anche quando, ad<br />
esempio, il Presidente abbia terminato il suo mandato e quindi sia pacificamente sottoponibile a procedimento<br />
penale per reati estranei all’alto tradimento o all’attentato alla Costituzione) e mai una puntuale previsione<br />
dello svolgimento di un procedimento in sede penale ordinaria in cui sia imputato il Presidente della<br />
Repubblica ancora in carica» (U. DE SIERVO, La responsabilità penale del Capo dello Stato, cit., 361).
La improcedibilità dell’azione penale nei confronti del Capo dello Stato 53<br />
tale per cui sino a quando resta in carica nessun processo penale può essere intentato<br />
contro di lui 4 . Una volta scaduto l’ufficio, invece, egli potrà essere processato come un<br />
cittadino qualsiasi. In tal modo verrebbero contemperate «due esigenze contrastanti: una<br />
di eguaglianza e di giustizia, che tende ad assoggettare tutti, e quindi anche il Presidente<br />
della Repubblica, al diritto comune; l’altra di politica delle istituzioni, che, in nome della<br />
stabilità e della pace sociale, tende a sottrarre alcuni soggetti alla giustizia comune» 5 .<br />
Viene, dunque, messo in rilievo il fatto che una indagine nei confronti della prima carica<br />
dello Stato comprometterebbe la «credibilità complessiva delle istituzioni e <strong>dei</strong> soggetti<br />
politici» e produrrebbe un «enorme turbamento nella società civile e politica» 6 . Inoltre,<br />
sempre attraverso l’improcedibilità, si riuscirebbe ad evitare che il Capo dello Stato si<br />
venga a trovare «in balia di qualsiasi giudice cui passi per la testa di incriminarlo» 7 , e lo<br />
si porrebbe al riparo da «iniziative giudiziarie che potrebbero rivelarsi avventate e controproducenti»<br />
8 . È stato osservato, poi, come sembrerebbe «davvero singolare che si<br />
possa anche semplicemente ipotizzare che le libertà personali dell’organo monocratico<br />
che rappresenta l’unità nazionale e la garanzia ultima della funzionalità del nostro sistema<br />
istituzionale possano, invece, essere anche radicalmente compresse, che la stessa<br />
sua libertà personale possa essere limitata in via cautelativa o definitiva, o che addirittura<br />
il Presidente della Repubblica possa essere posto in una situazione di impedimento<br />
temporaneo o addirittura decadere per effetto di una ipotetica condanna accessoria<br />
all’interdizione dai pubblici uffici pronunziata nel corso di un ordinario processo penale»<br />
9 . A tale riguardo va ricordato che già Vittorio Emanuele Orlando, pur riferendosi<br />
evidentemente ad un Capo di Stato monarchico, definiva «aberrazioni contro cui resiste<br />
la forza delle cose» il ritenere che «un ordinamento democratico dovrebbe ammettere<br />
in un qualche giudice istruttore la facoltà di far arrestare ed imprigionare il Capo<br />
dello Stato» 10 .<br />
La dottrina 11 sottolinea, poi, come stia alla sensibilità del Presidente dimettersi nel<br />
caso in cui l’accusa risulti essere di particolare gravità, dal momento che, in presenza di<br />
una siffatta evenienza, si verrebbe a creare una «diffusa “sfiducia” dell’opinione pubblica<br />
verso la sua persona» 12 .<br />
In dottrina, inoltre, non è pacifica la tesi secondo cui i termini di prescrizione sarebbero<br />
sospesi durante la pendenza del mandato. È stato osservato, infatti, che il Presidente<br />
della Repubblica è penalmente responsabile solo alla scadenza dell’ufficio, ma «sempre<br />
che non siano decorsi i termini di prescrizione» 13 .<br />
4 de Vergottini ricorda, inoltre, che il Presidente della Repubblica gode del privilegio, secondo quanto<br />
stabilito dall’art. 205 c.p.p., per cui la sua testimonianza «è assunta nella sede in cui egli esercita la funzione<br />
di Capo dello Stato» (G. DE VERGOTTINI, Diritto costituzionale, Cedam, Padova, 2006, 500).<br />
5 G.U. RESCIGNO, Corso di diritto pubblico, Zanichelli, Bologna, 2005, 456.<br />
6 G. FERRARA, Sulla responsabilità penale del Presidente della Repubblica, cit., 597.<br />
7 A. BALDASSARRE, Il Capo dello Stato, in G. AMATO, A. BARBERA, Manuale di diritto pubblico, Il Mu-<br />
lino, Bologna, 1997, 249.<br />
8 G.U. RESCIGNO, Corso di diritto pubblico, cit., 456.<br />
9 U. DE SIERVO, La responsabilità penale del Capo dello Stato, cit., 364.<br />
10 V.E. ORLANDO, Immunità parlamentari ed organi sovrani, in Diritto pubblico generale-Scritti vari<br />
(1881-1940), Giuffrè, Milano, 1940, 492.<br />
11 V. A. BALDASSARRE, Il Capo dello Stato, cit., 249; G.U. RESCIGNO, Corso di diritto pubblico, cit.,<br />
456; T. MARTINES, Diritto costituzionale, Giuffrè, Milano, 1994, 532.<br />
12 A. BALDASSARRE, Il Capo dello Stato, cit., 249.<br />
13 T. MARTINES, Diritto costituzionale, cit., 532.
54<br />
Francesco Biagi<br />
Per quanto concerne, invece, le altre forme di responsabilità giuridica extrafunzionale<br />
(come, ad esempio, quella civile 14 ), si ritiene sia in dottrina sia in giurisprudenza (basti<br />
pensare al c.d. caso Cossiga 15 ) che il Presidente della Repubblica sia pienamente responsabile<br />
anche in pendenza del mandato, probabilmente in ragione della «minore “invasività”<br />
<strong>dei</strong> procedimenti in questione» 16 .<br />
4. Non può essere, poi, dimenticato il noto caso Scalfaro in re SISDE. Si trattava di<br />
una inchiesta relativa all’utilizzo irregolare di somme di denaro riservate del SISDE da<br />
parte di agenti, funzionari e capi del servizio stesso. Fra le diverse personalità politiche<br />
coinvolte spiccava il nome del Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro il quale,<br />
all’epoca <strong>dei</strong> fatti, ricopriva la carica di Ministro dell’Interno. Ciò che rileva è che il<br />
nome del Presidente Scalfaro non compare nella documentazione trasmessa al c.d. Tribunale<br />
<strong>dei</strong> Ministri poiché, come è stato affermato il 12 novembre 1993 dal Procuratore<br />
della Repubblica di Roma Vittorio Mele, «nei suoi confronti non esiste la possibilità,<br />
per disposizioni costituzionali, di avviare qualsiasi indagine». Tale affermazione, tuttavia,<br />
risulta suscettibile di diverse interpretazioni: come è stato giustamente osservato 17 ,<br />
infatti, da tali parole non si è nemmeno in grado comprendere se alla scadenza<br />
dell’ufficio il Capo dello Stato sia tenuto a rispondere penalmente o se addirittura sussista<br />
una preclusione ad indagare anche al termine del settennato.<br />
Deve essere ricordata, inoltre, la sent. della Corte cost. 154/2004. In tale pronuncia i<br />
giudici della Consulta affrontavano un ricorso presentato dall’ex Presidente della Repubblica<br />
Francesco Cossiga, il quale sosteneva che all’autorità giudiziaria non spettasse<br />
il potere di individuare il contenuto delle immunità presidenziali di cui all’art. 90 della<br />
Costituzione; Cossiga, inoltre, riteneva che le sue affermazioni fossero riconducibili<br />
all’immunità ex art. 90 Cost., in ragione del fatto che era impossibile stabilire una chiara<br />
distinzione tra atti funzionali ed extrafunzionali, a causa della sostanziale sovrapposizione<br />
tra persona fisica e incarico ricoperto, particolarmente evidente nel caso di cariche<br />
monocratiche. La Corte sostenne, al contrario, che la giurisidizione ordinaria era pienamente<br />
legittimata ad individuare i limiti dell’immunità presidenziale, e che era necessario<br />
“tenere ferma la distinzione tra atti e dichiarazioni inerenti all’esercizio delle funzioni,<br />
e atti e dichiarazioni che, per non essere esplicazione di tali funzioni, restano addebitabili,<br />
ove forieri di responsabilità, alla persona fisica del titolare della carica, che conserva<br />
la sua soggettività e la sua sfera di rapporti giuridici, senza confondersi con<br />
l’organo che pro tempore impersona”. I giudici costituzionali aggiunsero, poi, in relazione<br />
a quest’ultimo aspetto, che “l’eventuale maggiore difficoltà della distinzione non<br />
[toglieva] che essa [fosse] necessaria”. Una questione che, invece, la Corte si limitò ad<br />
accennare, senza tuttavia risolverla, riguardava proprio la discussa garanzia<br />
dell’improcedibilità dell’azione penale in pendenza di mandato: “É appena il caso di<br />
precisare che non viene qui in considerazione il diverso e discusso problema degli eventuali<br />
limiti alla procedibilità di giudizi (in particolare penali) nei confronti della persona<br />
14 V. A. PACE, Le forme extrapenali di responsabilità del Capo dello Stato, in M. LUCIANI-M.<br />
VOLPI (a cura di), Il Presidente della Repubblica, Il Mulino, Bologna, 1997, 371 ss.<br />
15 Cfr., in particolare, le sentenze del Tribunale di Roma 22 giugno 1993 (Onorato c. Cossiga) e<br />
14 maggio 1994 (Flamigni c. Cossiga), le sentenze della Corte di Appello del 21 aprile 1997 e del 16<br />
marzo 1998, nonché le sentenze della Corte di cassazione nn. 8733 e 8734 del 6-15 giugno 2000.<br />
16 T.F. GIUPPONI, Le immunità della politica, Giappichelli, Torino, 2005, 368.<br />
17 G. FERRARA, Sulla responsabilità penale del Presidente della Repubblica, cit., 590.
La improcedibilità dell’azione penale nei confronti del Capo dello Stato 55<br />
fisica del Capo dello Stato durante il mandato, limiti che, se anche sussistessero, non<br />
varrebbero, appunto, se non fino alla cessazione della carica. Qui si discute invece <strong>dei</strong><br />
limiti della responsabilità, che come tali valgono allo stesso modo sia durante il mandato<br />
presidenziale, sia, per gli atti compiuti durante il mandato, dopo la sua scadenza”.<br />
5. Vale la pena, inoltre, richiamare due disegni di legge costituzionali relativi alla responsabilità<br />
penale del Capo dello Stato per atti extrafunzionali. Il primo, presentato il<br />
19 novembre 2002 dal deputato Nitto Francesco Palma (AC n. 3393), recante “Disposizioni<br />
in materia di procedimenti penali nei confronti del Presidente della Repubblica,<br />
<strong>dei</strong> membri del Parlamento e <strong>dei</strong> giudici costituzionali”, prevedeva l’aggiunta di un<br />
comma all’art. 90 della Costituzione, in base al quale “fino al termine del mandato il<br />
Presidente della Repubblica non può essere sottoposto a procedimento penale per reati<br />
diversi da quelli previsti al primo comma”; inoltre veniva sancito che “nei procedimenti<br />
penali sospesi ai sensi dell’art. 90, terzo comma, della Costituzione, è sospeso il corso<br />
della prescrizione secondo la disciplina vigente”.<br />
Il secondo disegno di legge costituzionale è quello presentato dal Presidente emerito<br />
Francesco Cossiga il 29 aprile 2008 recante “Norme sulla inviolabilità del Presidente<br />
della Repubblica” (AS n. 192). Tale disegno prevede l’aggiunta <strong>dei</strong> seguenti commi<br />
all’art. 90 Cost.: “Durante la sua permanenza nella carica, il Presidente della Repubblica<br />
non può essere assoggettato a indagini o inchieste, anche parlamentari, né può promuoversi<br />
o esercitarsi nei suoi confronti azione penale, civile, amministrativa o disciplinare,<br />
né egli può essere sottoposto a procedimenti giudiziari di qualunque natura o a procedimenti<br />
disciplinari per gli atti compiuti al di fuori delle proprie funzioni, anche prima<br />
dell’assunzione dell’ufficio. Se le indagini, le inchieste o i procedimenti abbiano avuto<br />
inizio prima della assunzione dell’ufficio, essi sono sospesi di pieno diritto, a pena di<br />
nullità assoluta. Per gli atti compiuti fuori dell’esercizio delle sue funzioni, anche prima<br />
dell’assunzione dell’ufficio, egli non può essere assoggettato, durante la sua permanenza<br />
nella carica, a nessuna misura restrittiva della libertà personale né a perquisizioni o sequestri.<br />
I luoghi di residenza, anche non permanente, del Presidente della Repubblica<br />
sono inviolabili”. Come è stato giustamente osservato 18 , quest’ultimo disegno di legge<br />
risulta in contrasto, in maniera piuttosto evidente, con il principio di uguaglianza, il quale<br />
ammette senz’altro trattamenti differenziati, ma solo in presenza di ragionevoli giustificazioni<br />
e in seguito all’eventuale bilanciamento con altri valori di rango costituzionale.<br />
Al contrario, la proposta presentata dal Presidente Cossiga non si limita a prevede il divieto<br />
di procedere durante munere, ma «sembra delineare una vera e propria sorta di<br />
“inviolabilità” presidenziale assoluta, anche per quanto attiene agli atti estranei<br />
all’esercizio delle funzioni, addirittura estesa ai luoghi della sua residenza» 19 . Non viene<br />
nemmeno prevista esplicitamente la sospensione <strong>dei</strong> termini di prescrizione. Il contenuto<br />
di tale disegno di legge ricorda molto, dunque, quanto previsto dall’art. 4 dello Statuto<br />
Albertino, in cui si affermava che “la persona del Re è sacra e inviolabile”, con la evidente<br />
differenza, tuttavia, che in un caso viene disciplinata la responsabilità di un Capo<br />
di Stato repubblicano, mentre nell’altro si faceva riferimento ad un Monarca.<br />
Come noto, la questione relativa alla improcedibilità dell’azione penale nei confronti<br />
18 T.F. GIUPPONI, Le immunità della politica, cit., 380 (in riferimento a precedente disegno di l.<br />
cost., AS n. 2232, dal medesimo contenuto, presentato dal Presidente Cossiga il 7 maggio 2003).<br />
19 T.F. GIUPPONI, Le immunità della politica, cit., 380 (in riferimento a precedente disegno di l.<br />
cost., AS n. 2232, dal medesimo contenuto, presentato dal Presidente Cossiga il 7 maggio 2003).
56<br />
Francesco Biagi<br />
del Capo dello Stato durante munere era stata disciplinata dalla l. n. 140 del 2003, la<br />
quale prevedeva la garanzia di improcedibilità in pendenza di mandato (in materia penale)<br />
nei confronti delle cinque più alte cariche dello Stato. Tale norma è stata poi dichiarata<br />
costituzionalmente illegittima dalla Corte cost. con la sent. n. 24/2004.<br />
6. Da ultimo, pare opportuno rivolgere uno sguardo anche all’estero, al fine di verificare<br />
come viene risolta la spinosa questione della responsabilità penale del Capo dello<br />
Stato per gli atti extrafunzionali 20 . Premesso che negli ordinamenti monarchici vige un<br />
regime di irresponsabilità giuridica totale, possono essere ricordate due Costituzioni che<br />
disciplinano espressamente tale problematica. La Carta costituzionale greca e quella<br />
portoghese, infatti, stabiliscono che il Presidente della Repubblica dovrà rispondere solamente<br />
al termine del mandato, trovando in tal modo un compromesso tra l’immunità<br />
totale del Presidente e una sua responsabilità immediata. In maniera analoga, l’art. 14<br />
della Legge fondamentale: il Presidente della Repubblica stabilisce che il Presidente di<br />
Israele non può essere perseguito penalmente fintantoché è in carica, e che di tale periodo<br />
non si deve tenere conto ai fini della prescrizione del reato 21 . Le ragioni che stanno<br />
alla base di una simile scelta possono rinvenirsi nella necessità di trovare una via di<br />
mezzo tra il bisogno di garantire l’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge e la<br />
considerazione del ruolo del Capo dello Stato, ruolo che richiede forme di tutela particolari.<br />
La disciplina prevista in Francia sino a poco tempo fa ricordava da vicino quella italiana.<br />
L’art. 68 della Costituzione del 1958, infatti, si limitava a regolare espressamente<br />
la responsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell’esercizio delle<br />
sue funzioni, lasciando all’interpretazione (dottrinale e giurisprudenziale) la disciplina<br />
relativa alla responsabilità per gli atti extrafunzionali. Dell’immunità prevista dall’art.<br />
68, tuttavia, sono state date letture diverse da parte <strong>dei</strong> giudici francesi (si pensi, in particolare,<br />
alle pronunce del Conseil Constitutionnel 22 e della Cour de Cassation 23 ): probabilmente<br />
proprio l’eterogeneità delle interpretazioni ha determinato la necessità di<br />
provvedere ad una modifica della Costituzione, modifica che è avvenuta con la l. costituzionale<br />
n. 238 del 23 febbraio 2007. Attraverso la revisione del titolo IX della Carta<br />
20 Nella consapevolezza, ovviamente, che a seconda dell’ordinamento muta la forma di governo e,<br />
di conseguenza, anche il ruolo esercitato dal Capo dello Stato.<br />
21 Vale la pena ricordare il recente caso dell’ex Presidente israeliano Moshe Katsav: quest’ultimo,<br />
infatti, nel periodo conclusivo del suo mandato (fine 2006-inizio 2007), è stato accusato di gravi reati<br />
(tra cui stupro, violenza sessuale e truffa) che avrebbe commesso non solo nel periodo in cui ricopriva<br />
la carica di Ministro del Turismo (1996–1999), ma anche durante gli anni in cui svolgeva<br />
l’incarico presidenziale. L’art. 14 della Legge fondamentale: il Presidente della Repubblica (16 giugno<br />
1964) garantisce l’immunità del Presidente in pendenza del mandato, tuttavia Katsav, a causa<br />
della gravità delle accuse mosse nei suoi confronti e travolto dal peso dello scandalo, ha deciso prima<br />
di autosospendersi, e poi di rassegnare le dimissioni poco prima del termine del mandato. È interessante<br />
notare il fatto che nemmeno il suo predecessore, Ezer Weizman (nipote del primo Presidente<br />
dello Stato di Israele, Chaim Weizmann), era riuscito a portare a termine l’incarico presidenziale: accusato<br />
di corruzione e frode, infatti, il 13 luglio 2000 Weizman decise di rassegnare le dimissioni,<br />
principalmente a causa di forti pressioni politiche e in seguito al venir meno della fiducia<br />
dell’opinione pubblica verso la sua persona. Per una ricostruzione della vicenda v. A. MORDECHAI<br />
RABELLO, Il Presidente costretto a dimettersi, in Dir. pubbl. comp. eur., 2000, 1040 e ss.<br />
22 V. decisione del 22 gennaio 1999 (n. 408 DC 98).<br />
23 V. sent. del 10 ottobre 2001 n. 481.
La improcedibilità dell’azione penale nei confronti del Capo dello Stato 57<br />
del 1958, infatti, il reato di “alto tradimento” è stato sostituito con l’ipotesi della destituzione<br />
in caso di “mancanza ai suoi [del Presidente] doveri manifestamente incompatibile<br />
con l’esercizio del suo mandato”, ed inoltre è stata prevista l’improcedibilità nel corso<br />
del mandato anche per gli atti estranei alle sue funzioni. La Costituzione stabilisce, infatti,<br />
che “non può essergli richiesto, durante il suo mandato e di fronte a nessuna giurisdizione<br />
o autorità amministrativa francese, di testimoniare. Egli non può essere oggetto<br />
di un’azione giudiziaria, di un’indagine, di un atto di istruzione o di citazione. Sono sospesi<br />
nei suoi riguardi tutti i termini di prescrizione o di decadenza”. Il Presidente è perseguibile<br />
solamente “al termine del mese che segue la cessazione del suo incarico”.<br />
In Germania e in Austria, invece, per perseguire gli atti compiuti dal Presidente al di<br />
fuori dell’esercizio delle funzioni è necessaria l’autorizzazione parlamentare. Il fine, anche<br />
in questi casi, sarebbe quello di porre la suprema carica dello Stato al riparo da iniziative<br />
persecutorie o avventate da parte della magistratura ordinaria. Va considerato,<br />
tuttavia, il pericolo insito nell’attribuire al Parlamento una decisione così delicata: il rischio,<br />
infatti, sarebbe quello di «un ricatto politico-parlamentare nei confronti del Capo<br />
dello Stato, attraverso l’utilizzo delle sue vicende giudiziarie» 24 .<br />
7. Alla luce delle considerazioni sopra riportate, non può sfuggire come sussistano<br />
diversi elementi in comune tra il c.d. “lodo Alfano” e le posizioni sostenute da parte della<br />
dottrina (e come previsto altresì in diversi Stati, segnatamente in Francia) per quel che<br />
riguarda la responsabilità penale del Presidente della Repubblica per gli atti estranei alle<br />
sue funzioni. Come noto, la l. n. 124 del 2008 stabilisce che i processi penali nei confronti<br />
delle quattro più alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidente<br />
del Consiglio e Presidenti <strong>dei</strong> due rami del Parlamento) “sono sospesi dalla data di assunzione<br />
e fino alla cessazione della carica o della funzione” 25 . Il giudizio sulla legittimità<br />
costituzionale di tale legge è ora pendente dinanzi alla Corte costituzionale. Se i<br />
giudici della Consulta ne dichiareranno l’incostituzionalità, al c.d. “lodo Alfano”, come<br />
si è detto all’inizio di questa breve nota, dovrà essere quantomeno attribuito il merito di<br />
avere nuovamente aperto il dibattito relativo alla (im)procedibilità dell’azione penale nei<br />
confronti del Capo dello Stato in pendenza di mandato. In tale caso, tuttavia, un inter-<br />
24 T.F. GIUPPONI, Le immunità della politica, cit., 369.<br />
25 Una questione importante che deve essere chiarita riguarda il significato da attribuire al termine<br />
“processo”. Se si fa riferimento alla porzione del procedimento penale successiva all’esercizio<br />
dell’azione penale (così come previsto dal codice di rito), la conclusione è che non è vietata<br />
l’indagine preliminare nei confronti <strong>dei</strong> quattro Presidenti; al contrario, se il termine “processo” viene<br />
inteso in una accezione più ampia, non potrebbe essere avviata nemmeno l’indagine preliminare. Frigo<br />
accoglie la prima interpretazione e rileva che «accettando la presenza nell’ordinamento di questa<br />
prassi [la sospensione non solo <strong>dei</strong> processi, ma anche <strong>dei</strong> procedimenti per reati extrafunzionali del<br />
Presidente della Repubblica], si pone ora il problema delle sue sorti a seguito della l. n. 124, che…<br />
introduce una sospensione vera e propria del solo processo, operante, cioè, in ambito più ristretto, e<br />
che, dunque, se fosse totalmente sostitutiva rispetto alla prassi medesima, farebbe venire meno quanto<br />
essa propone in più, vale a dire l’impedimento anche all’esercizio dell’azione penale, quando non<br />
addirittura allo stesso svolgimento delle indagini. Ma resterebbe sempre da chiedersi come potrebbe<br />
una legge ordinaria sostituirsi ad una prassi che si assuma, per così dire, ricognitiva ed espressiva di<br />
una implicazione “necessaria” della Costituzione». Frigo sottolinea il fatto, poi, che la l. n. 124 del<br />
2008 non ha «più replicato ... l’incipit del comma 1 dell’art. 1, l. n. 140 del 2003, recante il “divieto”<br />
di sottoposizione a processo accanto alla sospensione del processo» (G. FRIGO, I profili procedurali,<br />
in Diritto pen. e proc., n. 10, 2008, 1228 e 1233).
58<br />
Francesco Biagi<br />
vento del legislatore (possibilmente mediante legge costituzionale) risulterà essere alquanto<br />
opportuno, dal momento che una questione così delicata non dovrebbe essere lasciata<br />
all’interpretazione giurisprudenziale e dottrinale, dove peraltro si registrano orientamenti<br />
contrastanti. Una soluzione ragionevole (che tenga conto della natura monocratica<br />
della carica e della posizione costituzionale del Presidente della Repubblica) potrebbe<br />
essere proprio quella di prevedere l’improcedibilità dell’azione penale per tutta la<br />
durata del settennato presidenziale, stabilendo altresì la sospensione <strong>dei</strong> termini di prescrizione<br />
in pendenza della carica. È evidente, poi, che, nel caso in cui l’accusa risulti<br />
essere di particolare gravità, starà alla sensibilità del Capo dello Stato rassegnare le dimissioni.
UN PRIVILEGIO ILLEGITTIMO (ANCHE PER VIZIO FORMALE)<br />
di GIUDITTA BRUNELLI*<br />
SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive. – 2. La contrarietà del Lodo a uno <strong>dei</strong> fondamenti dello<br />
Stato di diritto: la parità <strong>dei</strong> cittadini davanti alla giurisdizione. – 3. Il vizio formale costituzionale<br />
del Lodo: l’assenza dell’istruttoria in commissione.<br />
1. Prima di proporre alcune brevi osservazioni, vorrei esternare il disagio che provo –<br />
sempre più di frequente negli ultimi anni, e spesso proprio in occasione <strong>dei</strong> Seminari<br />
preventivi – nel dover applicare l’argomentazione giuridica alla dimostrazione di ciò<br />
che dovrebbe essere, per un giurista, autoevidente, comunemente accettato come una<br />
koiné condivisa su cui non è più necessario discutere, ma che può tuttalpiù costituire una<br />
base di partenza per nuove ipotesi e acquisizioni. Da un po’ di tempo sembra quasi che<br />
non si condivida più lo stesso “alfabeto”: possiamo certamente immaginare parole diverse,<br />
anche frutto di ardite combinazioni “sperimentali”, tuttavia, almeno sulle lettere<br />
che le compongono dovremmo concordare tutti. Ma tant’è. Anche oggi mi appresto a<br />
dimostrare l’ovvio (almeno dal mio punto di vista): la contrarietà del Lodo ad uno <strong>dei</strong><br />
fondamenti dello Stato di diritto (la parità <strong>dei</strong> cittadini davanti alla giurisdizione). Vorrei<br />
poi dedicare la seconda parte del mio intervento a sottolineare la presenza, nell’iter parlamentare<br />
della l. n. 124 del 2008, di un vizio formale di costituzionalità, consistente<br />
nell’eliminazione della fase istruttoria in commissione referente.<br />
2. L’ ordinanza di rimessione del G.i.p. del Tribunale di Roma 26 settembre 2008 e<br />
la memoria di costituzione davanti alla Corte del Procuratore della Repubblica presso il<br />
Tribunale di Milano 1 ravvisano nel Lodo la violazione del principio fondamentale dello<br />
Stato di diritto costituito dall’eguaglianza <strong>dei</strong> cittadini davanti alla legge e alla giurisdizione<br />
(con la conseguenza che nemmeno una fonte di rango costituzionale potrebbe legittimamente<br />
prevedere norme come quelle oggi impugnate). La tesi trova una conferma<br />
significativa in un passaggio della sent. n. 24/2004, secondo cui “[a]lle origini della<br />
formazione dello Stato di diritto sta il principio della parità di trattamento rispetto alla<br />
giurisdizione, il cui esercizio, nel nostro ordinamento, sotto più profili è regolato da precetti<br />
costituzionali” 2 . Ritengo si tratti di un argomento convincente, che si radica anche<br />
in altre importanti (e precedenti) decisioni della Corte costituzionale.<br />
Mi riferisco, in primo luogo, alla sent. n. 379/1996, sui c.d. deputati “pianisti”. Pro-<br />
* Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, Università di Ferrara.<br />
1 I documenti citati nel testo sono reperibili nel sito http://www.unife.it/amicuscuriae.<br />
2 Sent. n. 24/2004, n. 6 del Considerato in diritto.
60<br />
Giuditta Brunelli<br />
nuncia talora oggetto di forti critiche per la soluzione concreta cui perviene 3 , ma costruita<br />
su una motivazione esemplare quanto all’individuazione <strong>dei</strong> principi costituzionali<br />
da bilanciare. Da un lato vi sono le istanze dello Stato di diritto, che “tendono ad<br />
esaltare i valori connessi all’esercizio della giurisdizione (universalità della legge, legalità,<br />
rimozione di ogni privilegio, obbligatorietà dell’azione penale, diritto di difesa in<br />
giudizio, ecc.), dall’altro la salvaguardia di ambiti di autonomia parlamentare sottratti<br />
al diritto comune, che valgono a garantire alla rappresentanza politica un suo indefettibile<br />
spazio di libertà. Da ciò deriva che l’immunità riguarda soltanto i comportamenti<br />
<strong>dei</strong> membri delle Camere “strettamente funzionali all’esercizio indipendente delle attribuzioni<br />
proprie del potere legislativo” 4 . Se anche soltanto “qualche aspetto” di tali<br />
comportamenti “esuli dalla capacità classificatoria del regolamento parlamentare e non<br />
sia interamente sussumibile sotto la disciplina di questo” (perché, ad esempio, coinvolge<br />
beni che comunque appartengono a terzi), deve prevalere “la ‘grande regola’ dello Stato<br />
di diritto ed il conseguente regime giurisdizionale al quale sono normalmente sottoposti,<br />
nel nostro sistema costituzionale, tutti i beni giuridici e tutti i diritti (artt. 24, 112 e<br />
113 Cost.)” 5 . La Corte precisa infatti, a titolo esemplificativo, che in presenza di “episodi<br />
di lesioni, di minacce, furti ai danni di parlamentari, corruzione, ecc:”, cioè di reati<br />
comuni, privi di qualsiasi legame con la funzione parlamentare, non vi sarebbe alcun<br />
dubbio sul legittimo esercizio dell’attività inquisitiva del pubblico ministero e su quella<br />
di accertamento da parte del giudice 6 .<br />
Dunque: la “grande regola”, il principio fondamentale dello Stato di diritto consiste<br />
nell’eguale sottoposizione di tutti i cittadini alla giurisdizione, anche in funzione di tutela<br />
<strong>dei</strong> diritti e degli interessi <strong>dei</strong> terzi. Eventuali deroghe al principio – da collocarsi, in<br />
ogni caso, in fonti di rango costituzionale – possono giustificarsi esclusivamente sulla<br />
base di altri principì costituzionalmente fondati, nel caso di specie quell’area di libertà<br />
della rappresentanza politica che discende pacificamente dalla collocazione stessa del<br />
Parlamento “al centro del sistema”, come “istituto caratterizzante dell’ordinamento”, “espressione<br />
immediata della sovranità popolare” e “diretto partecipe di tale sovranità” 7 .<br />
3<br />
Si vedano, al riguardo, le recentissime osservazioni di F. MODUGNO, In margine al “Corso di<br />
diritto parlamentare” di Luigi Gianniti e Nicola Lupo, in http://amministrazioneincammino.it (19<br />
marzo 2009), 31, secondo il quale “il culmine forse dell’ordinamento parlamentare come ‘ordinamento<br />
separato’ è rappresentanto dalla sent. n. 379/1996”, in base alla quale la protezione della sfera<br />
dell’autonomia comporta che “i diritti <strong>dei</strong> singoli debbono cedere: ciò che è illegittimo o illecito diventa<br />
legittimo (anche se persino non legittimato) e lecito!”.<br />
4<br />
Sent. n. 379/1996, n. 4 del Considerato in diritto (corsivo non testuale).<br />
5<br />
Sent. n. 379/1996, n. 7 del Considerato in diritto (corsivo non testuale).<br />
6<br />
Sent. n. 379/1996, n. 8 del Considerato in diritto. Per A. MANZELLA, Il Parlamento, Bologna, Il<br />
Mulino, 2003, 62, la “filosofia” espressa dalla Corte ha la sua chiave di lettura nel significativo ammonimento<br />
finale della sent. n. 379, secondo cui “nello Stato costituzionale nel quale viviamo, la<br />
congruità delle procedure di controllo, l’adeguatezza delle sanzioni regolamentari, e la loro pronta<br />
applicazione nei casi più gravi di violazione del diritto parlamentare si impongono al parlamento come<br />
problema, se non di legalità, certamente di legittimazione degli istituti di autonomia che presidiano<br />
le sue libertà”.<br />
7<br />
Sent. n. 154/1985, n. 5.1 del Considerato in diritto. Vedi anche la sent. n. 106/2002, nella quale<br />
si legge che “solo il Parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale (art. 67 Cost.), la quale<br />
imprime alle sue funzioni una caratterizzazione tipica ed infungibile. In tale senso il nomen Parlamento<br />
non ha un valore puramente lessicale, ma possiede anche una valenza qualificativa, connotando,<br />
con l’organo, la posizione esclusiva che esso occupa nell’organizzazione costituzionale” (n. 4 del<br />
Considerato in diritto; corsivi non testuali). Nello stesso senso, vedi la sent. n. 306/2002.
Un privilegio illegittimo (anche per vizio formale) 61<br />
Di fronte a questo tipo di argomentazioni e di lettura rigorosa del sistema e delle sue<br />
regole costitutive, appare davvero incomprensibile la circostanza che la Corte, nella<br />
pronuncia del 2004, abbia potuto anche soltanto accennare ad un improprio bilanciamento<br />
tra l’esercizio della giurisdizione e “il sereno svolgimento delle rilevanti funzioni<br />
che ineriscono alle cariche” protette dalla sospensione processuale, un interesse del quale,<br />
a mio avviso, è molto difficile individuare un fondamento costituzionale. Potrà trattarsi<br />
di un’esigenza politica, certamente comprensibile, ma non imposta né tutelata dalla<br />
Costituzione (come dimostra, d’altra parte, la sent. n. 25/2004 di ammissibilità del referendum<br />
abrogativo sull’art. 1 della l. n. 140 del 2003, nella quale si riconosce espressamente<br />
che il quesito non ha ad oggetto “leggi a contenuto costituzionalmente vincolato<br />
o costituzionalmente necessarie”). Oltretutto, mi chiedo per quale ragione l’esercizio del<br />
potere debba essere “sereno”. Da sempre, esso è – e non può non esserlo – drammatico,<br />
talora tragico. Shakespeare insegna.<br />
Lo strumento per garantire il sereno svolgimento di quelle funzioni, peraltro, già esiste,<br />
e va ravvisato, come suggerisce ora anche Renzo Orlandi nel suo intervento 8 , nel<br />
regime del legittimo impedimento, sul quale pure la Corte costituzionale si è soffermata<br />
in modo approfondito con la sent. n. 225/2001, tutta incentrata – è importante ricordarlo<br />
in questa occasione – sull’applicazione del diritto processuale comune. In questo genere<br />
di controversie, secondo la Corte, tutto deve essere ricondotto alle “regole generali del<br />
processo” ed è demandato all’autorità giudiziaria il compito di individuare “i corretti<br />
criteri interpretativi delle regole processuali”, anche stabilendo “se e in che limiti gli<br />
impedimenti legittimi derivanti (…) dalla sussistenza di doveri funzionali relativi ad attività<br />
di cui sia titolare l’imputato, rivestano tale carattere di assolutezza da dover essere<br />
equiparati, secondo il dettato dall’art. 486 c.p.p., a cause di forza maggiore”. E questo,<br />
precisa la sentenza, in applicazione del principio di leale collaborazione tra gli organi<br />
costituzionali, che impone al giudice di contemperare ragionevolmente, caso per caso, le<br />
esigenze dell’attività parlamentare e di quella giurisdizionale. Mentre, dice la Corte,<br />
“non v’è luogo ad individuare regole speciali, derogatorie del diritto comune” 9 , che si<br />
tradurrebbero – aggiungo io – in un inammissibile, e costituzionalmente infondato, privilegio<br />
politico.<br />
3. Secondo la questione pregiudiziale n. 2 presentata alla <strong>Camera</strong> il 9 luglio 2008 (e<br />
respinta dalla <strong>Camera</strong> stessa) 10 , «sotto il profilo procedurale, i ristrettissimi tempi di esame<br />
da parte della <strong>Camera</strong> non hanno permesso l’esercizio della funzione istruttoria,<br />
propria della Commissione in sede referente, che l’articolo 72, primo comma, della Costituzione<br />
prescrive quando stabilisce che “ogni disegno di legge, presentato ad una<br />
<strong>Camera</strong>, è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi<br />
dalla <strong>Camera</strong> stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale”».<br />
Come hanno messo bene in luce in questo Seminario gli interventi di Chiara Bergonzini<br />
e Salvatore Curreri, vi è ormai la pressante necessità di sanzionare, attraverso opportuni<br />
interventi della Corte costituzionale, i vizi formali delle leggi. L’assenza (sem-<br />
8 La soluzione era stata già prospettata in dottrina da A. PUGIOTTO, Sull’immunità delle “alte cariche”<br />
una sentenza di “mezzi silenzi”, in Dir. giust., 2004, n. 5, 12.<br />
9 Sent. n. 225/2002, nn. 3, 4 e 5 del Considerato in diritto. Sulla decisione della Corte sia consentito<br />
rinviare a G. BRUNELLI, “Caso Previti”: ultimo atto (del conflitto), in Giur. cost., 2001, 2012 ss.<br />
10 Questione pregiudiziale di costituzionalità n. 2, Soro e altri, seduta della <strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> <strong>Deputati</strong> n.<br />
31 di mercoledì 9 luglio 2008, in http://www.unife.it/amicuscuriae.
62<br />
Giuditta Brunelli<br />
pre più frequente) dell’istruttoria legislativa, e quindi della funzione stessa della commissione<br />
referente, si pone in diretta violazione del primo comma dell’art. 72 Cost. Basta<br />
ricordare ciò che affermava Costantino Mortati circa l’autonomia, nell’ambito del<br />
procedimento di formazione della legge, della fase preparatoria, che comprende “quelle<br />
attività istruttorie destinate a consentire all’organo deliberante di prendere le sue decisioni<br />
ex informata conscientia”. Essa è considerata dalla Costituzione “quale condizione<br />
di validità della successiva fase deliberante” 11 . In realtà, da tempo ormai numerosi<br />
provvedimenti arrivano in assemblea nel testo del proponente, che è quasi sempre il governo,<br />
determinando l’esistenza di una “corsia preferenziale di fatto” per i progetti governativi<br />
12 .<br />
Si consideri, inoltre, che assai di frequente la vanificazione dell’istruttoria in commissione<br />
deriva dal ricorso combinato a maxiemendamenti presentati direttamente in<br />
Assemblea e alla posizione della questione di fiducia 13 . Una serie di distorsioni gravi,<br />
legate in larga misura all’evoluzione maggioritaria avutasi a partire dal 1993, e che do-<br />
11 C. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, II, Padova, Cedam, 1976, 735 (corsivo non testuale).<br />
Anche per A.A. CERVATI, Art. 72, in A.A. CERVATI-G. GROTTANELLI DE’ SANTI, La formazione<br />
delle leggi, I, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro italiano, 1985, 119-120, il primo comma dell’art. 72<br />
Cost. “contiene una serie di enunciazioni precettive e di orientamenti normativi che presuppongono<br />
un parlamento che sia la sede effettiva delle decisioni in ordine al contenuto delle leggi. Si tratta di<br />
una disciplina del procedimento imposta da norme costituzionali rigide (…)”. La Costituzione vieta<br />
“che una camera esamini immediatamente il merito del disegno di legge ed impone che l’esame e<br />
l’approvazione diretta da parte dell’assemblea plenaria di una delle due camere sia preceduta in ogni<br />
caso da un esame da parte di una commissione referente” (corsivi non testuali). A. MANZELLA, Il parlamento,<br />
cit., 309, individua a sua volta la fase istruttoria come una delle quattro fasi essenziali indicate<br />
dall’art. 72 Cost., rispondente “sia alla preoccupazione, di ordine conoscitivo, di una ponderata valutazione<br />
in un collegio ristretto, prima della deliberazione (…); sia all’opportunità di prevenire ‘colpi di mano’ nei<br />
confronti di un’assemblea plenaria che fosse costretta a deliberare senza un filtro politico preliminare”.<br />
12 C. BERGONZINI, I lavori in commissione referente tra regolamenti e prassi parlamentare, in<br />
Quad.cost., 2005, 789. Questa prassi rende fra l’altro inutilizzabili, alla <strong>Camera</strong>, gli strumenti previsti<br />
dal regolamento, proprio nell’ambito della fase istruttoria, a favore delle minoranze. Quattro componenti<br />
della commissione, ad esempio, possono richiedere di controllare la correttezza <strong>dei</strong> dati forniti<br />
dal governo circa la fattibilità dell’intervento legislativo, anche ponendoli a confronto con le valutazioni<br />
provenienti da altri soggetti, a meno che l’oggetto di tale richiesta non sia giudicato superfluo<br />
(ossia “non essenziale per il compimento dell’istruttoria legislativa”) dall’ufficio di presidenza della<br />
commissione, integrato dai rappresentanti <strong>dei</strong> gruppi, con una maggioranza pari a tre quarti <strong>dei</strong> componenti,<br />
oppure, in alternativa, dal Presidente di commissione (art. 79, comma 6, r. C.). Ancora, per<br />
sostenere il dibattito in aula, la commissione, oltre al relatore di maggioranza e agli eventuali relatori<br />
di minoranza, procede alla nomina (sempre alla <strong>Camera</strong>, facoltativamente e di fatto mai al Senato) di<br />
un comitato rappresentativo delle minoranze, chiamato “comitato <strong>dei</strong> nove”, il quale “rappresenta la<br />
commissione nel corso dell’esame del progetto di legge in Assemblea, esercitando quelle funzioni di<br />
guida e di sostegno alla discussione in aula, oltre che esprimendosi preventivamente su tutti gli emendamenti<br />
ivi presentati” (L. GIANNITI-N. LUPO, Corso di diritto parlamentare, Bologna, Il Mulino,<br />
2008, 193-194). È evidente che la cancellazione dell’istruttoria porta (anche) ad un annullamento del<br />
ruolo così assegnato alle minoranze, benché si tratti per questo specifico aspetto di violazione del regolamento<br />
parlamentare, non sindacabile dalla Corte costituzionale, che – a partire dalla notissima<br />
sent. n. 9/1959 – si ritiene competente a controllare soltanto se il procedimento formativo della legge<br />
si sia compiuto in conformità alle norme con le quali la Costituzione direttamente lo regola.<br />
13 G. PICCIRILLI, I maxi-emendamenti alla prova della giustizia costituzionale in Italia e in Francia:<br />
tendenze opposte nel sindacato <strong>dei</strong> vizi del procedimento legislativo, in E. GIANFRANCESCO e N.<br />
LUPO (a cura di), Le regole del diritto parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione,<br />
Roma, Luiss University Press, 2007, 380.
Un privilegio illegittimo (anche per vizio formale) 63<br />
vrebbero senz’altro suggerire al giudice costituzionale un maggior interventismo in materia<br />
di vizi formali della legge, superando le timidezze fin qui mostrate 14 . Del resto,<br />
forse qualche indizio di un futuro sindacato più penetrante potrebbe rinvenirsi in quelle<br />
decisioni che, a partire dalla n. 29/1995, hanno tradotto in termini di vizio in procedendo<br />
della legge di conversione il difetto <strong>dei</strong> requisiti di straordinaria necessità ed urgenza<br />
del decreto, fino a precisare, nella pronuncia n. 171/2007, che la disciplina costituzionale<br />
sull’emanazione delle fonti primarie “è anche funzionale alla tutela <strong>dei</strong> diritti e caratterizza<br />
la configurazione del sistema costituzionale nel suo complesso” e rende impossibile<br />
“alterare il riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e del Governo<br />
quanto alla produzione delle fonti primarie” 15 . In questo rapporto costituzionale di<br />
competenze non può non rientrare, a mio avviso, anche la fase procedimentale delineata<br />
dagli artt. 70 e 72 Cost., in base alla quale sono le Camere, e non il Governo, ad essere<br />
depositarie della funzione legislativa 16 . Sotto questo profilo, la vicenda dell’approvazione<br />
del Lodo rappresenta un esempio emblematico, che può suscitare una più compiuta<br />
riflessione su questa delicata materia e che mi auguro possa indurre in futuro i giudici<br />
a quibus a proporre alla Corte questioni relative al vizio formale della legge, senza farsi<br />
troppo intimidire dai precedenti.<br />
14 G. PICCIRILLI, I maxiemendamenti, cit., 365 e 375 ss.; C. BERGONZINI, I lavori in commissione,<br />
cit., 799. Osserva N. LUPO, Qualche indicazione per una riforma <strong>dei</strong> regolamenti parlamentari, in<br />
http://www.astrid-online.it (2008), 1, che rispetto “ad un sistema istituzionale ad impianto proporzionale,<br />
in cui la politica tende a trovare al proprio interno limiti e contropoteri efficaci, è noto (…) che<br />
in un sistema ispirato ad una logica maggioritaria e bipolare lo spazio rimsso alla politica dovrebbe<br />
essere più ristretto”.<br />
15 Sent. n. 171/2007, n. 5 del Considerato in diritto. Vedi anche la successiva sent. n. 128/2008.<br />
16 G. PICCIRILLI, I maxiemendamenti, cit., 381. Per M. MANETTI, La lunga marcia verso la sindacabilità<br />
del procedimento legislativo, in Quad. cost., 2008, 843, un possibile revirement giurisprudenziale<br />
sembra ora intravedersi a partire dal caso delle leggi di conversione <strong>dei</strong> decreti-legge. Con la<br />
sent. n. 171/2007, “[n]el colpire le prerogative delle Camere in ordine alla valutazione <strong>dei</strong> presupposti<br />
del decreto-legge, la Corte sindaca quello che essa stessa definisce come ‘vizio in procedendo’ della<br />
legge di conversione, sancendo in termini irrefutabili il principio di indisponibilità della disciplina<br />
costituzionale del procedimento legislativo da parte delle Camere”. Secondo l’A., l’art. 72 Cost. vede<br />
nelle Camere il luogo effettivo delle decisioni in ordine al contenuto delle leggi e fissa come “momenti<br />
ineliminabili” del procedimento legislativo l’esame in Commissione, la discussione degli emendamenti<br />
e l’approvazione articolo per articolo. La loro “evidente mancanza” dovrebbe essere<br />
sanzionata dal giudice costituzionale. Osserva al riguardo A.A. CERVATI, Art. 72, cit., 120-121, che la<br />
Costituzione “non precisa nei dettagli in che modo deve avvenire l’esame da parte della commissione<br />
referente, ma poiché indica tuttavia che il disegno di legge deve essere stato, prima dell’esame ed approvazione<br />
da parte della <strong>Camera</strong>, ‘esaminato’ da una commissione, si può ritenere che il giudice della<br />
costituzionalità delle leggi abbia tutti gli elementi per valutare se il precetto costituzionale è stato<br />
adempiuto, senza che sia necessario far ricorso alla disciplina regolamentare, che non dovrebbe in nessun<br />
caso essere assunta direttamente quale parametro per il controllo di costituzionalità delle leggi”.
LA TUTELA DEL SERENO SVOLGIMENTO DELL’ATTIVITÀ<br />
DELLE ALTE CARICHE NELLO STATO DI DIRITTO<br />
di LORENZA CARLASSARE ∗<br />
SOMMARIO: 1. La sent. n. 24/2004. – 2. Segue: una risposta chiara. – 3. Le ragioni dell’incostituzionalità.<br />
1. All’indomani della sent. n. 24/2004 non sfuggiva a nessuno che il tentativo di ’liberare’<br />
le alte cariche dal peso della giurisdizione sarebbe stato ripetuto, perciò la domanda,<br />
già allora, era “se e quali prospettive d’intervento legislativo restano aperte dopo<br />
la sentenza” 1 .<br />
Il rilievo di aver dichiarato assorbite rilevantissime questioni e di non aver fatto chiarezza<br />
piena è mosso anche da chi esprime grande adesione alla decisione della Corte.<br />
L’architettura dello Stato di diritto si è dimostrata efficace, il sistema <strong>dei</strong> correttivi alla<br />
forma di governo ha tenuto: “Dunque c’è ancora un giudice a Berlino. Lavora a Roma, a<br />
Palazzo della Consulta”, è il commento di Andrea Pugiotto 2 che tuttavia esprime riserve<br />
sulla motivazione di una sentenza “di mezzi silenzi” che “illude i fautori di un rinnovato<br />
intervento ope legis” sui reati extrafunzionali. La Corte, infatti, non avrebbe chiarito in<br />
modo netto “il divieto di regimi speciali ulteriori a quelli dettati dagli artt. 68, 90, 96<br />
Costituzione e 3 comma 2 l. costituzionale n. 1 del 1948”. Alla soddisfazione per l’esito,<br />
si accompagna, insomma, qualche timore per il futuro.<br />
Il timore mi sembra ingiustificato; pur utilizzando un percorso argomentativo ispirato a<br />
“una sorta di principio di ‘minima offensività istituzionale’, comprensibile nella difficile<br />
situazione <strong>dei</strong> rapporti istituzionali e politici 3 , la sentenza risponde in modo chiaro a quella<br />
domanda consentendo di prevedere con certezza il contenuto della decisione che la Corte<br />
è chiamata ora ad assumere. Basta ricostruirne il filo, al di là delle frasi ‘cortesi’.<br />
2. Ravvisato (al punto 4) nel “sereno svolgimento delle rilevanti funzioni” delle alte<br />
cariche dello Stato il bene che la norma censurata vuole tutelare, dopo aver valutato<br />
come essa incida sui principi del processo (punto 5), la Corte conclude che “la misura<br />
predisposta dalla normativa censurata “crea un regime differenziato rispetto all’eser-<br />
*<br />
Emerito di Diritto costituzionale, Università di Padova.<br />
1<br />
G. GIOSTRA, Sospensione del processo a tutela della carica istituzionale?, in Dir. e giust., 2004,<br />
n. 5, 26 ss.<br />
2<br />
A. PUGIOTTO, Sull’immunità delle “alte cariche” una sentenza di “mezzi silenzi”, Diritto e Giu-<br />
stizia, in Dir. e giust., 2005, n. 5, 10 ss.<br />
3 G. GIOSTRA, op. cit.
La tutela del sereno svolgimento dell’attività delle alte cariche nello Stato di diritto 65<br />
cizio della giurisdizione” (punto 6). Ammettendo che ciò non conduce necessariamente<br />
a un contrasto con l’art. 3 Cost. 4 , la sentenza precisa che, “tuttavia, ha decisivo rilievo<br />
il livello che l’ordinamento attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione<br />
di diversità può venire in considerazione”. La conclusione è che “nel caso in esame<br />
sono fondamentali i valori rispetto ai quali il legislatore ha ritenuto prevalente l’esigenza<br />
di protezione della serenità di svolgimento delle attività connesse alle alte cariche”.<br />
Cosa significa questo?<br />
La risposta non sembra dubbia: di fronte a quei valori ‘fondamentali’ la serenità delle alte<br />
cariche recede. Infatti – e qui dobbiamo tornare al punto 4, alla frase che, letta da sola,<br />
può generare equivoci – si tratta di “un interesse apprezzabile che può essere tutelato [se] in<br />
armonia con i principi dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è<br />
strumentale”. Dunque, può essere in armonia, e dunque, può essere tutelato: ma può anche<br />
non esserlo quando si scontri con qualcosa di incommensurabilmente più forte, che non sta<br />
sul medesimo piano. In tal caso la legittimità della tutela viene meno: infatti la protezione<br />
della ‘serenità’ è “strumentale” – dice la Corte – “al migliore assetto” <strong>dei</strong> principi dello Stato<br />
di diritto. E all’origine stessa dello Stato di diritto (torniamo al punto 6) “sta il principio della<br />
parità di trattamento rispetto alla giurisdizione, il cui esercizio, nel nostro ordinamento,<br />
sotto più profili, è regolato da precetti costituzionali”. Precisazione, quest’ultima, tutt’altro<br />
che ininfluente.<br />
3. Una soluzione diversa dall’annullamento totale della l. n. 124 del 2008 non sembra<br />
prevedibile. La sfera del “costituzionalmente inqualificato”, cui accennava la relazione<br />
introduttiva di Giulio Salerno, non esiste: “il divieto di regimi speciali ulteriori a quelli<br />
dettati dagli artt. 68, 90, 96 Costituzione e 3 comma 2 l. costituzionale n. 1/1948” è sicuro,<br />
“per ragioni sistematiche e per il loro carattere derogatorio del principio di eguaglianza<br />
davanti alla giurisdizione” 5 . Che le norme costituzionali sui reati funzionali implichino<br />
eguale, analogo o addirittura ‘migliore’ trattamento per i reati extrafunzionali è<br />
insostenibile e smentito dal diritto positivo. Sui reati extrafunzionali del Presidente della<br />
Repubblica non vi è alcuna lacuna da colmare: le stesse norme sui procedimenti<br />
d’accusa, a partire dalla legge del 1962 6 , prevedono procedimenti ordinari nei suoi confronti.<br />
La democrazia è un sistema di eguali.<br />
Su altre questioni del lodo Alfano non mi soffermo: una misura che “ appare diretta alla<br />
protezione della funzione” (sent. n. 24/2004, punto 4) non può essere rinuciabile 7 ; ingiustificata<br />
inoltre è la parificazione nel trattamento di ‘alte cariche’ dello Stato tanto differenti fra<br />
loro, tanto più considerando la diversità di ‘ratio’ che sta all’origine <strong>dei</strong> trattamenti diseguali<br />
previsti per i reati legati alle rispettive funzioni 8 . Molte sono le ragioni d’incostituzionalità.<br />
4<br />
Per le note e ripetute ragioni che “se situazioni eguali esigono eguale disciplina, situazioni diverse<br />
possono implicare normative differenti”.<br />
5<br />
A. PUGIOTTO, op. cit., 10 ss. Si veda anche infra. nota 8.<br />
6<br />
Dalla l. n. 20 del 1962 (“Norme sui procedimenti e giudizi d’accusa”), artt. 12, 13 e 14, sostituita dalla<br />
l. n. 219 del 1989 (“Nuove norme in tema di reati ministeriali e di reati previsti dall’art. 90 Cost.”),<br />
artt.8, commi 2 e 3; 9, commi 2 e 3; 10, alla l. n. 140 del 2003, art. 1 (cd. lodo Maccanico) e, poi, alla legge<br />
di cui ora si discute, l. n. 124 del 2008 (cd. lodo Alfano). In proposito si veda anche la nota 8.<br />
7<br />
Come rileva R. ORLANDI nel suo Intervento programmato in questo Seminario.<br />
8<br />
Rinvio a quanto detto in diversi luoghi, in particolare Art. 90, in BRANCA e PIZZORUSSO (a cura di),<br />
Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1983, 149 ss.; Art. 96, in Commentario, cit., Bologna-
66<br />
Lorenza Carlassare<br />
Fondamentale resta comunque il richiamo allo Stato di diritto, rispetto alla cui esigenza<br />
di fondo, sottoporre il potere a limiti e regole, nonostante l’insofferenza crescente<br />
di chi governa, nessun interesse per quanto ‘apprezzabile’ 9 può risultare prevalente.<br />
Roma, 1994, 423 ss.; Genesi, evoluzione,involuzione delle immunità politiche in Italia, in R. ORLANDI-A.<br />
PUGIOTTO (a cura di), Immunità politiche e giustizia penale, Torino, 2005, 33 ss. e a L. CARLASSARE (a<br />
cura di), Poteri e responsabilità <strong>dei</strong> soggetti investiti di potere, Padova, 2003.<br />
9 Interesse apprezzabile, ma non certo di rilevanza costituzionale, come da qualcuno è stato detto.<br />
Niente più che un’espressione cortese, che mi sembra equivalente a quella usata da un illustre costituzionalista<br />
nei confronti di studiosi non del tutto disprezzabili: un valoroso giurista. O a quella usata<br />
da un illustre pittore a proposito di colleghi mediocri: un onesto pittore.
«NON MI AVRETE MAI COME VOLETE VOI»:<br />
NUOVA LEGGE, VECCHI VIZI<br />
di CORRADO CARUSO *<br />
SOMMARIO: 1. Sulla necessità di una legge di rango costituzionale. – 2. I precedenti giurisprudenziali<br />
sulla riserva di legge costituzionale in materia di immunità. – 3. Sospensione processuale o sospensione<br />
procedimentale? – 4. Dall’irragionevolezza al paradosso.<br />
1. I titolari delle alte cariche previsti dalla l. n. 124 del 2008 ricoprono ruoli assai diversi<br />
tra loro: il solo aspetto che li accumuna è il “tono” costituzionale delle loro funzioni.<br />
Così è per il Presidente del Consiglio (art. 95 Cost.) e per il Presidente della Repubblica<br />
(artt. 87-89 Cost.); mentre le funzioni <strong>dei</strong> Presidenti di <strong>Camera</strong> e Senato, pur non menzionate<br />
espressamente dalla Carta costituzionale, rilevano perché esercitate da presidenti di<br />
organi collegiali custodi della sovranità popolare. Coerentemente con tali premesse, la<br />
Costituzione, direttamente o tramite rinvio a leggi costituzionali, prevede una serie di prerogative<br />
volte a tutelare l’esercizio delle funzioni rispetto a interferenze del potere giudiziario.<br />
L’oggetto della tutela costituzionale non può essere la condizione psicologica del<br />
titolare della carica: espressioni quali “la serenità dell’esercizio delle funzioni” rimandano<br />
ad imponderabili stati d’animo soggettivi che, nella impossibilità di una loro ricognizione<br />
oggettiva, rischiano di trasformare la prerogativa in privilegio. Più in particolare, gli artt.<br />
68, 90, comma 1, 96 e 122, comma 3, Cost. e la l. cost. n. 1 del 1989 costituiscono specifiche<br />
e legittime deroghe all’interesse costituzionale del perseguimento <strong>dei</strong> reati, ai principi<br />
di uguaglianza (art. 3 Cost.), di difesa e di agire in giudizio (art. 24, commi 1 e 2) di<br />
obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.) e di ragionevole durata del processo (111<br />
Cost.). Emerge così come le immunità, (siano esse sostanziali –art. 68, comma 1, art. 90,<br />
comma 1 – processuali – art. 68, commi 2 e 3 – o di natura ibrida – art. 96 e conseguente l.<br />
cost. n. 1 del 1989 1 –), siano un numero chiuso previsto esclusivamente da norme di rango<br />
costituzionale 2 . In effetti, “se (…) compito delle moderne Costituzioni è, in uno, quello di<br />
istituire e regolare l’azione <strong>dei</strong> pubblici poteri e di garantire la tutela <strong>dei</strong> diritti fondamen-<br />
* Dottorando di ricerca in Diritto costituzionale, Università di Bologna.<br />
1 L’autorizzazione parlamentare di cui al III c. dell’art. 9 della l. cost. n. 1 del 1989 può infatti essere<br />
negata laddove l’Assemblea ritenga che l’inquisito abbia agito per “la tutela di interesse dello<br />
Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico<br />
nell’esercizio della funzione di governo”: le ragioni del dinego, così come descritte dal legislatore<br />
costituzionale, sembrano avere un carattere sostanziale capace di elidere l’anitiguridicità del fatto<br />
commesso.<br />
2 Così T.F. GIUPPONI, Le immunità della politica. Contributo allo studio delle prerogative costituzionali,<br />
Giappichelli, Torino, 2005, 135; ID., Il “lodo Alfano” e la riserva costituzionale in materia di<br />
immunità, in http://www.forumcostituzionale.it
68<br />
Corrado Caruso<br />
tali della persona e, quindi, rappresentare il fondamento ultimo della complessiva legittimità<br />
dell’ordinamento giuridico, esse sembrano essere la naturale sedes materiae della disciplina<br />
delle sfere di immunità <strong>dei</strong> titolari di cariche politiche.” Vi è poi un ulteriore argomento<br />
che rafforza l’idea di una riserva costituzionale in materia di prerogative degli<br />
organi costituzionali: se le immunità sono deroghe al diritto comune che si giustificano<br />
per la tutela del’esercizio di funzioni costituzionali, ne discende che tanto più gli atti compiuti<br />
sono lontani dalla funzione per natura (si pensi alla classica ipotesi di scuola del titolare<br />
dell’Alta carica dello Stato che uccide il coniuge per futili motivi) o momento di<br />
commissione (ad es. il reato commesso da privato cittadino anteriormente all’assunzione<br />
della carica), tanto più la deroga ai principi (e alle disposizioni) costituzionali deve essere<br />
prevista da fonti giuridiche del massimo grado gerarchico, per riacquistare così i crismi<br />
della legalità costituzionale 3 .<br />
2. Tale constatazione sembra confortata dal diritto costituzionale vivente 4 , nonostante<br />
l’obiezione del Presidente della Repubblica in sede di autorizzazione del d.d.l e di<br />
promulgazione della legge: secondo il Capo dello Stato infatti la Corte Costituzionale<br />
“non ha mai sancito che la norma di sospensione <strong>dei</strong> (…) processi dovesse essere adottata<br />
con legge costituzionale” 5 .<br />
Non è proprio così: fin dal 1965 il Giudice delle leggi lascia dietro di sé argomentazioni<br />
(spesso decisive ai fini del dispositivo) che le consentirebbero ora di dichiarare<br />
l’incostituzionalità della l. n. 124 del 2008 per violazione dell’art. 138 Cost. A partire<br />
dalla sent. n. 4/1965, nel dichiarare incostituzionale la c.d. garanzia amministrativa (cioè<br />
l’autorizzazione a procedere nei confronti di prefetti e sindaci concessa dal Capo dello<br />
Stato), la Corte sottolinea la necessità di un esplicito fondamento costituzionale alle ipotesi<br />
che individuano deroghe all’obbligatorietà dell’azione penale 6 . L’argomentazione<br />
3 Anche G. SALERNO, nella relazione introduttiva del seminario preventivo (La sospensione <strong>dei</strong><br />
processi penali relativi alle alte carche dello Stato davanti alla Corte costituzionale,in questo <strong>volume</strong>),<br />
nonostante neghi la necessità di una legge costituzionale in materia di immunità costituzionale,<br />
sembra argomentare a suo favore quando sostiene che “(…) soltanto allorquando si intenda introdurre<br />
una vera e propria deroga ad un disposto costituzionale – sottraendo quindi talune fattispecie dalla<br />
soggezione alla vigente disciplina costituzionale al fine di regolarle in modo diverso e dunque singolare<br />
rispetto alla regola generale posta dalla Costituzione stessa –, è necessario ricorrere alla forma<br />
della legge costituzionale”.<br />
4 Si è consapevoli della difficoltà di ricostruire un diritto vivente di “matrice” costituzionale e una<br />
“dottrina del precedente” nella giurisprudenza costituzionale (su cui v. A. PUGIOTTO, Sindacato di<br />
costituzionalità e diritto vivente: genesi, usi e implicazioni, Milano, 1994, 328 ss.): ciò nonostante,<br />
non può non rilevarsi l’efficacia normativa che in taluni casi assume l’argomentazione della decisione<br />
costituzionale (sul punto v. R. BIN, L’ultima fortezza. Teoria della Costituzione e conflitti di attribuzione,<br />
Giuffrè, Milano, 1996, 73 ss.).<br />
5 V. le note del Presidente della Repubblica del 2 luglio 2008 del 23 luglio 2008 reperibili sul sito<br />
http://web.unife.it/convegni/amicuscuriae. L’affermazione del Capo dello Stato potrebbe ritenersi<br />
parzialmente corretta se riferita alla sent. n. 24/2004: in tale pronuncia la Corte non si è pronunciata<br />
sulla violazione dell’art. 138 da parte dell’art. 1, l. n. 140 del 2004, anche perché indotta dall’ordinanza<br />
di rimessione del Tribunale di Milano a concentrare l’attenzione sulla natura meramente processuale<br />
della sospensione. Sul tale aspetto si rinvia alle considerazioni di T.F. GIUPPONI, “Questo o<br />
quello per me pari (non) sono”. Il lodo Maccanico-Schifani di fronte alla Corte Costituzionale e A.<br />
PUGIOTTO, Sulle immunità delle “alte cariche” una sentenza di “mezzi silenzi”, entrambi reperibili<br />
sul Forum di Quaderni Costituzionali (http://www.forumcostituzionale.it).<br />
6 V. Corte cost., sent. n. 4/1965: “(…) il subordinare ad una autorizzazione amministrativa l’attua-
«Non mi avrete mai come volete voi»: nuova legge, vecchi vizi<br />
viene ripetuta nella successiva pronuncia n. 148/1983, relativa all’art. 5 l. n. 1 del 1981<br />
che prevede la non punibilità del componente del CSM per le dichiarazioni compiute<br />
nell’esercizio delle funzioni. La Corte, pur guidata da una dubbia lettura dell’insindacabilità<br />
parlamentare quale immunità di carattere sia processuale che sostanziale, distingue<br />
le cause di non punibilità connesse all’esercizio di funzioni costituzionalmente rilevanti<br />
dalle deroghe all’automatismo procedimentale previsto dall’art. 112 Cost.: la compressione<br />
dell’azione penale deve sempre trovare un esplicito riferimento di rango costituzionale<br />
7 . In senso analogo, nella sent. n. 300/1984 avente ad oggetto la legge di esecuzione<br />
del Protocollo sull’inviolabilità <strong>dei</strong> parlamentari europei, la Corte fa salva la disciplina<br />
solo perche il protocollo, addizionale al Trattato di Bruxelles del 1965 con cui<br />
si procedeva all’unificazione della Cee, della Ceca e dell’Euraotm, è parte di quelle “limitazioni<br />
necessarie al mantenimento della pace e delle giustizia delle nazioni” ex art.<br />
11 Cost.: la legge di esecuzione non è dunque incostituzionale semplicemente perché a<br />
contenuto comunitariamente vincolato 8 . Secondo la Corte, il principio è oramai fatto<br />
notorio: vi sarebbe infatti “(…) concordia della giurisprudenza, della dottrina e dello<br />
stesso legislatore, nell’escludere che, attraverso legge ordinaria, sia ammissibile<br />
un’integrazione dell’art. 68, secondo comma, Cost., e comunque la posizione di una<br />
norma che attribuisca analoghe prerogative” idonee a derogare l’art. 112 Cost. Basterebbe<br />
un richiamo a queste pronunce per rafforzare l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità<br />
della l. n. 124 del 2008: tuttavia, se la memoria della Corte non dovesse essere<br />
così a lungo termine, da ultimo potrebbe richiamarsi la sent. n. 120/2004, ove il giudice<br />
delle leggi, nel respingere la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della<br />
l. n. 140 del 2004 di attuazione del primo comma dell’art. 68, ha affermato che la disposizione<br />
non costituisce “un indebito allargamento della garanzia dell’insindacabilità apprestata<br />
dalla norma costituzionale 9 ”, confermando indirettamente che le immunità costituzionali<br />
costituiscono un numero chiuso non modificabile dalla legge ordinaria.<br />
zione di quella responsabilità è renderne possibile l’esonero discrezionale, perché discrezionalmente<br />
deve in tal caso esserne consentito l’esperimento; il che segnatamente non è permesso prescrivere in<br />
materia penale, essendo eccezionalmente dettati, e da norme costituzionali, i casi di deroga al principio<br />
dell’obbligatorietà dell’azione del P. M.”.<br />
7 Sicuramente influenzata dal dato testuale del previgente art. 68 che al comma 2 prevedeva<br />
l’autorizzazione procedere, la Corte non ritiene di dover mutare il suo precedente orientamento in riferimento<br />
“ (…) ai casi di deroga al principio dell’obbligatorietà dell’azione del pubblico ministero,<br />
con particolare riguardo all’autorizzazione a procedere nei confronti di determinati soggetti. Ben altro<br />
è invece il caso delle cause di non punibilità, stabilite in vista dell’esercizio di determinate funzioni.<br />
Norme siffatte abbisognano di un puntuale fondamento, concretato dalla Costituzione o da altre leggi<br />
costituzionali; ma non è indispensabile (…) che il fondamento consista in una previsione esplicita”.<br />
8 Utilizza questa espressione D. TEGA, Leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, in Giur. it,<br />
2000, 1562 e ss, per commentare la sent. n. 31/2000 con cui la Corte ha ritenuto inammissibile la richiesta<br />
di referendum abrogativo nei confronti del d.lgs. n. 286/1999 (Testo unico delle disposizioni<br />
concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) perché indirettamente<br />
attuativo della Convenzione di applicazione degli Accordi di Shengen.<br />
9 “Le attività di ‘ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica’ che il censurato art.<br />
3, comma 1, riferisce all’ambito di applicazione dell’art. 68, primo comma, non rappresentano, di per<br />
sé, un’ipotesi di indebito allargamento della garanzia dell’insindacabilità apprestata dalla norma costituzionale,<br />
proprio perché esse, anche se non manifestate in atti “tipizzati, debbono comunque, secondo<br />
la previsione legislativa e in conformità con il dettato costituzionale, risultare in connessione<br />
con l’esercizio di funzioni parlamentari”. Tale argomentazione è stata ripresa e confermata, da ultimo,<br />
nella sent. n. 1149/2007.<br />
69
70<br />
Corrado Caruso<br />
3. A tali argomentazioni potrebbe replicarsi che la temporaneità della sospensione<br />
non produce una deroga all’obbligatorietà dell’azione penale, e che la l. n. 124 del 2004<br />
non aggiunge una nuova ipotesi al numero chiuso delle immunità ma solo un’ulteriore<br />
causa di sospensione processuale rispetto a quelle già previste dal codice di procedura<br />
penale. Quanto alla prima obiezione, essa sembra metodologicamente non conferente,<br />
perché giustifica quantitativamente una lesione qualitativa, quasi che una deroga temporanea<br />
sia capace di elidere l’anticostituzionalità della norma. La seconda ricostruzione<br />
non regge di fronte all’interpretazione esegetica e teleologica del testo, secondo i canoni<br />
imposti dall’art. 12 prel. c.c. È vero che nel testo ricorre il termine processo: ma l’uso è<br />
forse un abuso, stante il richiamo a “ogni fase, stato, grado” dello stesso. La l. 124 del<br />
2008 sembra quindi accogliere una nozione a-tecnica di processo, capace di ricomprendere<br />
l’intero procedimento. Vi è poi l’esplicito riferimento agli art. 392 e 467 del c.p.p.:<br />
se è vero che l’incidente probatorio può svolgersi anche in una fase propriamente processuale<br />
quale sicuramente è l’udienza preliminare, sembra comunque inequivocabile il<br />
riferimento che l’art. 392 fa alle indagini preliminari 10 . Anzi, l’incidente probatorio nasce<br />
proprio come “finestra sul dibattimento” nella fase delle indagini: solo in un momento<br />
successivo la Corte Costituzionale ha ammesso che potesse aver luogo anche in<br />
udienza preliminare (v. Corte cost. sent. n. 77/1994). La lettera della legge sembra così<br />
introdurre una sospensione dell’intero procedimento, e non una semplice ipotesi di sospensione<br />
processuale, e precisamente un’interruzione del procedimento costruita come<br />
inviolabilità. Anche a voler integrare il criterio semantico con il canone storico<br />
dell’intentio legislatoris, il primo inciso del I comma non sembra lasciare dubbi: attraverso<br />
il richiamo agli artt. 90 e 96, il legislatore colloca l’ipotesi della sospensione procedimentale<br />
tra le immunità, creando una nuova forma di inviolabilità per reati extrafunzionali.<br />
4. Tuttavia l’interprete, per superare i dubbi di costituzionalità che pone un’immunità<br />
introdotta con legge ordinaria, può insistere nel considerare l’art. 1 come una nuova ipotesi<br />
di sospensione processuale. Si pone allora il problema di individuare il bene giuridico<br />
che giustifichi la limitazione di interessi costituzionalmente rilevanti quali, tra tutti,<br />
l’obbligatorietà dell’azione penale, la ragionevole durata del processo ex art. 111, comma<br />
2, Cost. e l’interesse al perseguimento <strong>dei</strong> reati, sicuramente ostacolato dalla dilatazione<br />
<strong>dei</strong> tempi processuali. Dell’ultima tra le categorie sospensive individuate dalla<br />
sent. n. 24/2004 (art. 70 c.p.p. o art. 243 c.p. militare) 11 , la sospensione prevista dall’art.<br />
10 In senso contrario v. R. ORLANDI Il lodo ritrovato: questioni processuali nell’applicazione della<br />
l. 23 luglio 2008, n. 128, in questo <strong>volume</strong>. Secondo l’Autore, “(…) un legislatore considerato inaffidabile<br />
quando usa il temine “processo” lo è altrettanto quando una sua formula di stile quale ‘ogni<br />
fase, stato e grado’. Quanto poi al richiamo che il citato comma 3 fa all’incidente probatorio, esso<br />
non prova alcunché. Lo stesso giudice romano ricorda che, dopo Corte cost. n. 77/1994, gli artt. 392 e<br />
ss sono applicabili anche all’udienza preliminare, vale a dire a una fase certamente appartenente al<br />
‘processo stesso’ in senso stretto”.<br />
11 Secondo il Giudice delle leggi, le sospensioni processuali possono essere catalogate in: “a) sospensioni<br />
per l’esistenza di una pregiudiziale (costituzionale, comunitaria, civile, amministrativa, tributaria,<br />
etc); b) sospensioni dovute all’instaurazione di procedimenti finalizzati ad assicurare la terzietà<br />
del giudice o la serenità dello svolgimento del processo (ricusazione, rimessione); c) sospensione<br />
per il compimento di atti e comportamenti che possono influire sull’esito del processo in modo tale<br />
da rendere tale esito nella valutazione del legislatore, preferibile rispetto a quelli prevedibili sulla<br />
base del normale svolgimento del processo stesso (…); d) sospensione per ragioni soggettive, quali
«Non mi avrete mai come volete voi»: nuova legge, vecchi vizi<br />
1, l. n. 124 del 2004 ne condivide il carattere soggettivo, non la ratio. Mentre però in<br />
quei casi la sospensione è disposta per garantire un pieno esercizio del diritto di difesa,<br />
la rinunciabilità prevista dal comma 2 della l. n. 124 esclude che si sia voluto garantire<br />
un diritto indisponibile quale è il diritto di difesa 12 .<br />
Permane il dubbio circa l’interesse costituzionale che l’ipotesi sospensiva mira a tutelare.<br />
Di certo, non l’esercizio di funzioni costituzionali: una sospensione generale per<br />
tutti gli atti del processo a tutela della funzione costituirebbe una forma di immunità<br />
che, per le ragioni appena esposte, non sembra possa essere introdotta con legge ordinaria.<br />
Si potrebbe allora effettivamente ritenere che l’istituto processuale voglia tutelare la<br />
serenità del titolare di funzioni pubbliche lesa dagli “inevitabili turbamenti” (punto 2 del<br />
Ritenuto in fatto sent. n. 24/2004) conseguenti allo svolgimento dibattimentale. Se questo<br />
è il bene tutelato, la legge sembra essere irragionevole per illogicità intra legem e per<br />
contraddittorietà tra ratio e sue disposizioni 13 . Se il fine legislativo è la tutela della serenità,<br />
non si comprende perché il titolare delle funzioni possa rimanere imperturbabile di<br />
fronte alle ipotesi previste dall’art. 392 c.p.p. o alla prosecuzione dell’azione in sede civile<br />
14 . Non è tutto: vi sono atti, che possono trovare origine durante le indagini preliminari,<br />
di per sé inconciliabili con un tranquillo atteggiamento psicologico. Si pensi<br />
all’ordine, da parte del g.i.p., di disporre misure cautelari: la sospensione processuale<br />
non impedirebbe l’utilizzo di misure strutturalmente incompatibili non solo con imperscrutabili<br />
stati soggettivi, ma anche con l’esercizio di funzioni attribuite dalla Costituzione.<br />
In tali casi, inoltre, la legge produrrebbe effetti, se non irragionevoli, almeno paradossali:<br />
mentre il Presidente del consiglio che fosse anche parlamentare vedrebbe tutelate<br />
le sue funzioni e la sua “serenità” dall’art. 68 II comma Cost., il Presidente del consiglio<br />
non appartenente alle Assemblee elettive, invece, non potrebbe sottrarsi<br />
all’applicazione delle misure cautelari 15 .<br />
quella dipendente dalla condizione dell’imputato che per infermità di mente non è in grado di partecipare<br />
coscientemente al processo (…)”.<br />
12 Da tale punto di vista non è del tutto condivisibile l’affermazione contenuta nella sent. n.<br />
24/2004 (n. 6 del Considerato in diritto) secondo cui il diritto di difesa verrebbe menomato dalla<br />
mancata previsione legislativa della rinunciabilità. Anzi, la ratio della sospensione processuale disposta<br />
in ragione di particolare stati soggettivi dell’imputato sembra assimilabile alle immunità costituzionali,<br />
almeno quanto all’impossibilità di rinuncia da parte del beneficiario.<br />
13 Si pone dunque un problema di coerenza della legge nel rapporto tra prescrizione e fine legislativo.<br />
Per la categoria concettuale dell’incostituzionalità per deviazione della norma dal fine legale<br />
(c.d. aberratio legis), v. A. MORRONE, Il custode della ragionevolezza, Giuffrè, Milano, 207 ss.<br />
14 Diversamente da quanto previsto dall’art. 1, l. n.140 del 2003, la l. n. 124 del 2008 deroga espressamente<br />
al disposto dell’art. 75, comma 3, c.p.p., seguendo in tal senso le indicazioni fornite<br />
dalla sent. n. 24/2004.<br />
15 L’ipotesi è scolastica: eppure, se la reductio ad absurdum costituisce un buon campo di prova<br />
per controllare la validità di una determinata teoria interpretativa (su cui v. R. BIN, L’ultima fortezza,<br />
cit., 77), a maggior ragione il caso di scuola può risultare utile per saggiare la tenuta e la complessiva<br />
coerenza dell’atto legislativo.<br />
71
PROBLEMI DI RAGIONEVOLEZZA<br />
A PROPOSITO DEL C.D. LODO ALFANO<br />
di STEFANO CATALANO *<br />
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il ‘lodo’ come causa di sospensione. – 3. Problemi derivanti dalla natura<br />
non ‘endoprocessuale’ del ‘lodo’. – 4. Problemi derivanti dalla differenziazione fra reati comuni<br />
e funzionali eventualmente commessi dal Presidente del Consiglio <strong>dei</strong> Ministri.<br />
1. Numerosi sono i profili di legittimità costituzionale posti dal c.d. lodo Alfano. Ne<br />
sono una dimostrazione, da un lato, le argomentazioni contenute nelle tre ordinanze di<br />
remissione con cui sono state sollevate le questioni pendenti davanti alla Corte e oggetto<br />
di questo seminario, dall’altro, la relazione introduttiva e i numerosi interventi della<br />
giornata.<br />
Nell’impossibilità di esaminare analiticamente tutte le problematiche processuali e<br />
sostanziali in discussione, mi limiterò a svolgere qualche breve riflessione su due problemi<br />
di ragionevolezza che mi paiono particolarmente interessanti 1 .<br />
Mi riferisco, in particolare, alle difficoltà nascenti: a) dalla natura extra processuale<br />
della causa di sospensione introdotta dalla l. n. 124 del 23 luglio 2008; b) dalla differenziazione<br />
che la disciplina introduce fra i reati comuni e quelli funzionali eventualmente<br />
commessi (soprattutto) dal Presidente del Consiglio <strong>dei</strong> Ministri.<br />
2. Prima di ogni altra considerazione, anche se in questa sede non ci si potrà intrattenere<br />
specificamente sul punto, occorre chiarire subito quale sia la natura del ‘lodo Alfano’.<br />
Esso sembra introduce una causa di sospensione del processo che, di conseguenza,<br />
non può essere considerata un’immunità o, ad esempio, una condizione di non punibilità<br />
o altro ancora.<br />
Tuttavia, non può nascondersi come in dottrina sia diffuso l’orientamento opposto. Si<br />
sostiene, in sintesi, che la disciplina, stabilendo un ulteriore strumento di garanzia per le<br />
attribuzioni costituzionali svolte dalle quattro alte cariche, rappresenti nella sostanza<br />
proprio un’immunità 2 . Le due ipotesi, insomma, sarebbero assimilabili in quanto costituenti<br />
trattamenti differenziati finalizzati alla tutela delle funzioni 3 .<br />
* Ricercatore di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano.<br />
1<br />
In generale sui problemi di ragionevolezza del ‘lodo’ si veda A. PUGIOTTO, in questo <strong>volume</strong>.<br />
2<br />
T.F. GIUPPONI, Il “lodo Alfano” e la riserva costituzionale in materia di immunità, in<br />
http://www.forumcostituzionale.it.<br />
3<br />
A. ANZON, Il “lodo Alfano” verso l’approvazione finale: restano forti i dubbi sulla sua legittimità<br />
costituzionale, in http://www.forumcostituzionale.it.
Problemi di ragionevolezza a proposito del c.d. lodo Alfano<br />
In senso contrario, anche a prescindere dal dato letterale dello stesso art. 1, comma<br />
primo, della l. n. 124 del 2008 secondo cui i processi “sono sospesi” dalla data dell’assunzione<br />
a quella della cessazione dalla carica e che la “sospensione” si applica anche ai<br />
processi in corso, militano, almeno a mio avviso, alcuni significativi argomenti.<br />
In primo luogo, sembra esistere un’importante differenza sostanziale fra le ‘immunità’<br />
– il termine è usato qui in maniera ampia – attualmente vigenti previste sia da disposizioni<br />
di rango costituzionale, sia dalla l. n. 195 del 24 marzo 1958 (legge istitutiva del<br />
Consiglio Superiore della Magistratura) e l’istituto processuale introdotto dal ‘lodo Alfano’.<br />
In effetti, le prime stabiliscono, sia pur con formulazioni non identiche ma contenutisticamente<br />
analoghe, che chi ricopre determinate cariche non può essere chiamato a rispondere<br />
per gli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni 4 . Rientra in questo schema<br />
anche la disciplina prevista per i membri del Consiglio <strong>dei</strong> Ministri. I reati da essi commessi<br />
nell’esercizio delle funzioni non sono sottratti, ex art. 96 Cost., alla giurisdizione<br />
ordinaria, tuttavia l’autorizzazione a procedere può essere negata dalle Camere “ove reputi[no],<br />
con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse<br />
dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente<br />
interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo” (art. 9, comma terzo,<br />
l. cost. n. 1 del 16 gennaio 1989).<br />
In tali ipotesi, il fatto viene commesso nell’esercizio delle funzioni che ne rappresentano,<br />
per così dire, ‘l’occasione’. Inoltre, con le disposizioni in esame quello che si vuole<br />
assicurare è che non possano essere mai chiamati a rispondere quanti, esercitando<br />
‘correttamente’ le proprie funzioni, abbiano commesso un fatto astrattamente configurabile<br />
come reato.<br />
Il caso della l. n. 124 del 2008, invece, risulta indubbiamente diverso: non vi è, infatti,<br />
quello stretto collegamento fra condotta tipica e funzione. Di più, qui non si vuole garantire<br />
che quanti ricoprano cariche istituzionali non debbano temere conseguenze per<br />
l’assolvimento <strong>dei</strong> propri alti compiti, ma che solo quanti ricoprano determinate cariche,<br />
per il periodo in cui la svolgono, non siano ‘distolte’ dalla propria funzione per la necessità<br />
di difendersi davanti al giudice penale.<br />
Per questo, allora, non mi pare si possano assimilare del tutto le situazioni e sostenere,<br />
quindi, che il ‘lodo Alfano’ introduca un’immunità.<br />
In secondo luogo, sembra andare nella stessa direzione il fatto che la sospensione sia<br />
rinunciabile. Se davvero ci si trovasse di fronte a un’immunità ciò non sarebbe ammissibile<br />
perché questa dovrebbe protegge la funzione e non anche la persona 5 . Non è un<br />
caso, allora, che quanti ragionano diversamente critichino proprio la possibilità per l’alta<br />
carica di non usufruire della sospensione 6 .<br />
In terzo e probabilmente decisivo luogo, a favore della tesi qui sostenuta, va ricordato<br />
come la stessa Corte costituzionale, decidendo per l’incostituzionalità dell’art. 1 della<br />
l. n. 140 del 20 giugno 2003, ha espressamente annoverato, con la sent. n. 24/2004, la<br />
disciplina introdotta da tale legge – che sul punto specifico è analoga a quella del ‘lodo<br />
4 Si vedano, con particolare riguardo alle cariche cui si riferisce anche il ‘lodo Alfano’, gli artt. 68<br />
e 90 Cost. Da segnalare è anche l’art. 32-bis della l. n. 195 del 1958 che collega la non punibilità delle<br />
opinioni all’esercizio delle funzioni (nonché all’oggetto della discussione).<br />
5 N. ZANON, “Lodo Alfano”, ecco perché sbaglia chi lo ritiene incostituzionale, in<br />
http://www.sussidiario.net del 9 agosto 2008.<br />
6 L. ELIA, Sul c.d. lodo Alfano, in http://www.associazione<strong>dei</strong>costituzionalisti.it; A. PACE, “Cinque<br />
pezzi facili”: l’incostituzionalità della legge Alfano, in Questione giustizia, 2008, 12.<br />
73
74<br />
Stefano Catalano<br />
Alfano’ – fra quelle che prevedono cause di sospensione. Nel punto n. 3 del Considerato<br />
in diritto, quanto alla natura della normativa allora impugnata, si afferma infatti che “essa<br />
riguarda una sospensione del processo penale, istituto che si sostanzia nel temporaneo<br />
arresto del normale svolgimento del medesimo”.<br />
Così ragionando la Corte, come è stato efficacemente notato, ha condiviso la tesi<br />
“che scorpora il lodo dal regime delle immunità” 7 e, quindi, la questione si pone su un<br />
piano diverso rispetto a quello in cui si trovano gli artt. 68, 90 e 96 Cost. 8 .<br />
Per queste ragioni credo, allora, si possa considerare il ‘lodo Alfano’ alla stregua di<br />
una causa di sospensione e, ciò che più conta, ritengo che assai difficilmente la Corte<br />
costituzionale darà una risposta diversa rispetto a quella fornita in precedenza.<br />
3. Ciò premesso, per occuparci <strong>dei</strong> problemi di ragionevolezza va chiarita la ratio<br />
della norma. Come è stato già ricordato più volte essa è quella di consentire alle persone<br />
che sono state chiamate a esercitare una importantissima funzione (Presidente della Repubblica,<br />
Presidente del Consiglio, Presidenti di <strong>Camera</strong> e Senato) la serenità<br />
nell’esercizio della funzione stessa che, si ritiene, il processo possa turbarne. Altra ratio,<br />
talvolta proposta, è quella secondo cui il ‘lodo’ introdurrebbe una sorta di presunzione<br />
assoluta di impedimento a partecipare alle attività processuali.<br />
In questo senso si è espressa, è risaputo, la Corte costituzionale nella sent. n. 24/2004.<br />
Nella decisione le due ipotesi ricostruttive vengono ritenute non incompatibili. Prima, infatti,<br />
si afferma che il bene tutelato, da considerarsi peraltro “interesse apprezzabile”, va<br />
“ravvisato nell’assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono<br />
a quelle cariche”. Subito dopo si aggiunge che lo stesso obiettivo finale, ossia quello<br />
della “protezione della funzione”, è perseguito ove si consideri il ricoprire la carica come<br />
motivo di legittimo impedimento 9 .<br />
Se così stanno le cose, pare evidente che ci si trova di fronte a una causa di sospensione<br />
avente ‘natura’ non endoprocessuale ma extraprocessuale 10 : essa non ha un collegamento<br />
diretto con il processo che va a sospendere, ossia non è finalizzata al più corretto<br />
svolgimento del medesimo, ma trova fondamento in una situazione ad esso estranea<br />
e che non risulta strumentale all’esercizio della funzione giurisdizionale.<br />
Questo è un aspetto importante perché tutte le altre cause di sospensione del processo<br />
penale hanno proprio una natura endoprocessuale. Si pensi, a titolo esemplificativo, al caso<br />
dell’incapace, oppure alla sospensione in attesa dello svolgimento di un altro giudizio (c.d<br />
pregiudiziali). Il fatto che, in tali ipotesi, si voglia garantire, da un lato, l’esercizio del diritto<br />
di difesa dell’imputato, dall’altro, la definizione di una questione da cui dipende la soluzione<br />
del caso concreto, dimostra lo stretto collegamento fra causa di sospensione e processo.<br />
7<br />
A. PUGIOTTO, Sull’immunità delle “alte cariche” una sentenza di “mezzi silenzi”, in Dir. e<br />
giust., n. 5 del 2004, 13, che si mostra critico rispetto alla scelta della Corte.<br />
8<br />
E. MARZADURI, Il futuro della norma è già segnato dalla giurisprudenza costituzionale, in Guida<br />
al Diritto, n. 32 del 2008, 8.<br />
9<br />
Si veda il punto 4 del Considerato in diritto della sentenza. In dottrina: S. STAMMATI, Una decisione<br />
condivisibile messa in forse da un impianto argomentativi perplesso e non persuasivo, in Giur.<br />
cost., 2004, 404 s.; R. ORLANDINI, Questioni processuali nell’applicazione della l. 23 luglio 2008, n.<br />
124, in questo <strong>volume</strong>.<br />
10<br />
L. ELIA, La Corte ha fatto vincere la Costituzione, in Giur. cost., 2004, 396 che sottolinea come<br />
il tipo di sospensione prevista dalla l. n. 140 del 2003 sia diverso rispetto a quelli “conosciuti nei codici”.
Problemi di ragionevolezza a proposito del c.d. lodo Alfano<br />
Parrebbe porsi, allora, un problema. Infatti, se si dovesse arrivare a dire che esiste<br />
nell’ordinamento un principio generale per cui le sospensioni possono solo avere natura<br />
endoprocessuale, si potrebbe dubitare della ragionevolezza delle disposizioni che perseguano<br />
un fine come quello del ‘lodo Alfano’ che non è direttamente orientato ad un più<br />
corretto esercizio della funzione giurisdizionale.<br />
La questione è stata presa in considerazione dalla Corte costituzionale che, sempre<br />
nella sent. 24/2004, dopo aver ricordato le cause di sospensione del processo penale, pur<br />
riconoscendo come esse siano solitamente previste “per situazioni oggettive del processo”<br />
e funzionali “al suo regolare proseguimento”, precisa che questo non impedisce al<br />
legislatore di “stabilire altre sospensioni finalizzate alla soddisfazione di esigenze extraprocessuali”.<br />
Esso, però, ne dovrà “indicare i presupposti di tali sospensioni e le finalità<br />
perseguite”.<br />
Cosa implicano queste affermazioni di principio? Sembrano indicare la necessità di<br />
un controllo particolarmente accurato sulla ragionevolezza della scelta del Parlamento<br />
ove la causa abbia natura extraprocessuale 11 .<br />
Bisogna capire, allora, se dalla disciplina si ricavano in maniera chiara i presupposti<br />
e le finalità della sospensione. Se così fosse, allora, non si porrebbero i problemi di legittimità<br />
sopra indicati.<br />
Nel caso in esame, a mio avviso, il vincolo ulteriore posto dalla Corte sembra essere<br />
stato rispettato. Condivisibile o meno, la l. n. 124 del 2008, perseguendo i fini di sui si è<br />
detto sopra, rende manifesta la ratio della sospensione processuale che disciplina.<br />
4. Sgombrato il campo da questo specifico problema di ragionevolezza, bisogna affrontarne<br />
un altro che a mio avviso è quello più serio e da cui deriva la illegittimità costituzionale<br />
della disciplina del lodo Alfano. Mi riferisco a quello relativo alla differenziazione<br />
effettuata tra reati funzionali ed extrafunzionali commessi, in particolare, dal<br />
Presidente del Consiglio <strong>dei</strong> Ministri.<br />
La ratio dell’articolo 96 Cost., la cui disciplina originaria è stata modificata e integrata<br />
dalle norme dettate dalla l. costituzionale n. 1 del 1989, è a tutti nota. Tuttavia, dato<br />
che i giudici della X sezione del Tribunale di Milano reputano illegittimo il ‘lodo’ sostenendo<br />
che le due discipline abbiano il medesimo fondamento, credo sia necessario<br />
ricordarla brevemente.<br />
Con la norma costituzionale si vuole impedire che il Presidente del Consiglio e i Ministri<br />
possano essere processati se hanno agito nel superiore interesse pubblico. Quindi<br />
se commettono un reato nell’esercizio delle loro funzioni e l’unico fine è quello di perseguire<br />
l’interesse generale questi non devono essere chiamati a rispondere.<br />
Nel lodo Alfano la ratio, come noto, è un’altra: garantire il sereno esercizio delle<br />
funzioni. Per questo motivo non può essere condivisa l’argomentazione svolta nell’ordinanza<br />
di remissione della X sezione penale del Tribunale di Milano ove afferma che la<br />
l. n. 124 del 2008 “a parità di bene tutelato” prevede per i reati non funzionali “una disciplina<br />
ordinaria diversa da quella voluta dalla Costituzione”. Infatti, non riscontrandosi<br />
una medesima ratio potrebbe, astrattamente, esservi una diversa disciplina.<br />
Tuttavia, l’irragionevolezza dipende da un altro motivo. Essa discende dal fatto che<br />
reati funzionali e reati non funzionali andrebbero trattati nello stesso modo. In particolare,<br />
se con il lodo Alfano si vuole prevedere la sospensione del processo per garantire il<br />
11<br />
In questo senso mi pare si esprima anche P. VERONESI, Il lodo perde il nome ma non i vizi<br />
d’illegittimità, in questo <strong>volume</strong>.<br />
75
76<br />
Stefano Catalano<br />
sereno esercizio della funzione del Presidente del Consiglio, egli deve esserlo sempre.<br />
Se egli deve essere protetto quando è chiamato a difendersi in un processo per un reato<br />
non funzionale deve esserlo anche quando è giudicato per un reato funzionale.<br />
L’interesse apprezzabile in discorso è, per la sua stessa natura, insuscettibile di essere<br />
riferito solo a una specifica categoria di procedimenti. Non si comprende come esso<br />
possa risultare degno o meno di tutela in situazioni assimilabili in relazione al fine perseguito<br />
dalla norma, ancorché differenziabili per altri versi.<br />
Di conseguenza non risulta condivisibile l’affermazione di chi ha ritenuto ‘più giustificato’<br />
il trattamento differenziato, quanto alla sospensione, fra reati funzionali e non 12 .<br />
Neppure risulta convincente l’altro argomento portato a giustificazione della diversità<br />
di disciplina fra reati commessi nell’esercizio delle funzioni e reati comuni. Ci si riferisce<br />
a quello in base al quale si ritengono più gravi, quindi non ‘degne’ di far scattare la<br />
sospensione, le fattispecie criminali prese in considerazione dall’art. 96 della Costituzione<br />
13 .<br />
In senso contrario valgono le osservazioni di Leopoldo Elia secondo cui il problema<br />
non si risolve in base a “valutazioni opinabili di maggiore o minore peso, ma solo con<br />
un giudizio di intrinseca irragionevolezza della sospensione (…) in relazione a reati insuscettibili<br />
(…) di qualsiasi coloritura politica o di possibile strumentalità ad un interesse<br />
extraprivato” 14 .<br />
In conclusione, ci si trova di fronte ad una sorte di paradosso 15 e il ‘lodo’ sembra<br />
muoversi fra due fuochi. Per rispettare il precetto costituzionale stabilito dall’art. 96, che<br />
viene infatti espressamente fatto salvo, si limita l’applicazione della norma ai reati comuni,<br />
ma così facendo si viola un altro principio costituzionale, ossia quello della ragionevolezza.<br />
12<br />
G.M. SALERNO, La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato davanti<br />
alla Corte costituzionale, in questo <strong>volume</strong>.<br />
13<br />
Tale argomento era stato sostenuto, davanti alla Corte, dall’Avvocatura generale dello Stato nel<br />
giudizio di legittimità dell’art. 1 della l. n. 140 del 2003. La memoria è pubblicata in Rassegna avvocatura<br />
dello Stato, 2004, 302 e ss. (sul punto specifico si veda 304).<br />
14<br />
L. ELIA, La Corte ha fatto vincere la Costituzione, cit., 396 e s. Considerano non convincente<br />
l’argomento fondato sull’asserita diversa gravità <strong>dei</strong> reati anche A. PUGIOTTO, Sull’immunità delle<br />
“alte cariche” una sentenza di “mezzi silenzi”, cit., 12; G. GIOSTRA, Sospensione del processo a tutela<br />
della carica istituzionale?, in Diritto e giust., n. 5 del 2004, 28.<br />
15<br />
Di “paradosso” parla, a proposito della distinzione fra reati funzionali ed extra funzionali, L.<br />
ELIA, Sul c.d. lodo Alfano, cit.
APPUNTI SULLE QUESTIONI SOTTOPOSTE ALLA CORTE<br />
E SUI POSSIBILI ESITI DEI GIUDIZI DI LEGITTIMITÀ<br />
COSTITUZIONALE DEL “LODO ALFANO”<br />
di MARCELLO CECCHETTI *<br />
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Le questioni sollevate dal GIP del Tribunale di Roma. – 3. Le questioni<br />
sollevate dalle due Sezioni del Tribunale di Milano. – 4. La possibile inammissibilità, per difetto<br />
assoluto di rilevanza, di tutte le questioni sollevate dal GIP di Roma. – 5. La possibile inammissibilità<br />
delle questioni costruite sull’asserita violazione dell’art. 138 Cost. – 6. La questione costruita<br />
sull’asserita violazione del “giudicato costituzionale” di cui alla sent. n. 24/2004. – 7. I giudizi<br />
sulle questioni residue.<br />
1. L’obiettivo che intendo perseguire con questo breve contributo muove da<br />
un’interpretazione rigorosa dello spirito e della funzione concreta <strong>dei</strong> seminari ferraresi<br />
“Amicus curiae”: quello di discutere preventivamente di “casi” che saranno oggetto di<br />
un giudizio della Corte costituzionale, fornendo una riflessione che possa risultare di un<br />
qualche ausilio per la decisione che dovrà assumere il giudice delle leggi.<br />
Nel caso di specie, il tema è individuato – ma anche inesorabilmente circoscritto –<br />
dalle tre ordinanze di rimessione con le quali, rispettivamente, il GIP presso il Tribunale<br />
di Roma e le due Sezioni (I e X) del Tribunale di Milano hanno sollevato davanti alla<br />
Corte una pluralità di questioni di legittimità costituzionale in relazione alla disciplina<br />
contenuta nell’art. 1 della l. n. 124 del 2008.<br />
Pertanto, nelle pagine che seguono, non entrerò nel dibattito generale sulla costituzionalità<br />
o meno di questa legge in astratto 1 , né prenderò in considerazione i giudizi, da<br />
più parti formulati, circa l’opportunità o meno di una disciplina siffatta o la sua idoneitàadeguatezza<br />
a fornire soluzioni convincenti a quelle problematiche di ordine politicoistituzionale<br />
che caratterizzano l’assetto e gli equilibri attuali del sistema <strong>dei</strong> poteri pubblici<br />
in Italia e che vengono richiamate nella relazione di Giulio Salerno.<br />
Vorrei, invece, concentrarmi sul compito che il Giudice delle leggi avrà di fronte, nei<br />
termini in cui esso è stato individuato dai giudici rimettenti, al fine di provare a pronosticare<br />
i possibili esiti <strong>dei</strong> giudizi di cui la Corte è stata concretamente investita. Da questo<br />
punto di vista, senza dubbio preliminare e indispensabile si rivela la ricostruzione e<br />
la corretta definizione delle questioni di legittimità costituzionale che costituiscono<br />
l’oggetto <strong>dei</strong> suddetti giudizi.<br />
Tale operazione, va osservato, si presenta assai più complessa e faticosa di quanto sa-<br />
* Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico, Università di Sassari.<br />
1 Alcune considerazioni sono contenute in M. CECCHETTI, La sospensione <strong>dei</strong> processi nel quadro<br />
costituzionale delle immunità politiche. Profili costituzionalistici, in Dir. pen. e proc., 2008, n. 10,<br />
1219 ss.
78<br />
Marcello Cecchetti<br />
rebbe dovuta risultare se i giudici rimettenti avessero svolto diligentemente e con la dovuta<br />
accuratezza i loro compiti istituzionali, con tutte le inevitabili implicazioni che da<br />
ciò derivano in termini di ampliamento <strong>dei</strong> margini di discrezionalità che la Corte potrà<br />
esercitare nella stessa definizione <strong>dei</strong> themata decidenda. L’osservazione vale non tanto,<br />
forse, per l’ordinanza del GIP del Tribunale di Roma, quanto soprattutto per le due ordinanze<br />
del Tribunale di Milano, che si presentano formulate in modo assai confuso e poco<br />
lineare, con frequenti sovrapposizioni degli argomenti utilizzati per lo scrutinio di<br />
non manifesta infondatezza e con un ampio uso di considerazioni “politiche” che affiancano<br />
le considerazioni strettamente “giuridiche”, con il risultato di non riuscire ad individuare<br />
con precisione le questioni di costituzionalità da sottoporre alla Corte (nei termini<br />
corretti di “norma-parametro-motivazione”) e in ciò tradendo, in buona misura, la<br />
funzione che la l. cost. n. 1 del 1948 attribuisce peculiarmente al giudice rimettente.<br />
Solo dopo aver risolto il problema dell’individuazione delle questioni, sarà possibile<br />
interrogarsi sui profili di ammissibilità/inammissibilità delle censure e sugli argomenti<br />
che possano sostenerne, nel merito, l’eventuale accoglimento o il rigetto.<br />
2. Con espressione invero quanto meno “atecnica”, il GIP presso il Tribunale di Roma<br />
ha sollevato «questione di non manifesta infondatezza della legittimità costituzionale<br />
dell’art. 1, comma 1, l. n. 124 del 2008 in relazione agli artt. 3, primo comma e secondo<br />
comma, 111, secondo comma, 112, 138, primo comma della Costituzione».<br />
Il rimettente prospetta quattro profili di illegittimità costituzionale ricavabili con sicurezza<br />
dal testo dell’ordinanza.<br />
Con la prima censura viene contestata la violazione dell’art. 3, comma 1, Cost., dal<br />
momento che la norma in questione, creando «“un regime differenziato riguardo alla<br />
giurisdizione ... penale” (sent. cost. n. 24/2004)», si porrebbe in contrasto con «uno <strong>dei</strong><br />
principi fondamentali del moderno Stato di diritto, rappresentato dalla parità <strong>dei</strong> cittadini<br />
di fronte alla giurisdizione, manifestazione a sua volta del principio di eguaglianza<br />
formale dinanzi alla legge».<br />
Con la seconda censura viene contestata la violazione dell’art. 138 Cost., in quanto<br />
«la deroga al principio di uguaglianza dinanzi alla giurisdizione ed alla legge è stata (…)<br />
introdotta con lo strumento della legge ordinaria, che nella gerarchia delle fonti si colloca<br />
evidentemente ad un livello inferiore rispetto alla legge costituzionale, la quale (…) è<br />
stata di per sé già ritenuta insuscettibile di alterare uno <strong>dei</strong> connotati fondamentali<br />
dell’ordinamento dello Stato espresso dal suddetto principio».<br />
Con il terzo profilo di censura il giudice a quo contesta la violazione del principio di<br />
ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Cost.), in quanto, con la previsione<br />
della sospensione generalizzata <strong>dei</strong> procedimenti e con la connessa irrilevanza – ai fini<br />
della durata del processo – <strong>dei</strong> termini di cinque anni (per il Presidente del Consiglio <strong>dei</strong><br />
ministri e per i Presidenti delle Camere) e di sette anni (per il Presidente della Repubblica)<br />
in cui consiste il differimento, risulterebbe violato «un corollario immanente al principio<br />
di ragionevole durata del processo, consistente nella concentrazione delle fasi processuali,<br />
nel senso che nell’ambito del procedimento penale, alla fase di acquisizione<br />
delle prove deve seguire entro tempi ragionevoli quella della loro verifica in pubblico<br />
dibattimento, ai fini della emissione di una giusta sentenza da parte del giudice».<br />
Con la quarta censura, viene contestata la violazione <strong>dei</strong> principi di obbligatorietà<br />
dell’azione penale (art. 112 Cost.) e di uguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2, Cost.),<br />
sotto il profilo dell’irragionevolezza del contenuto derogatorio della disciplina censurata<br />
rispetto al diritto comune. Tale irragionevolezza, infatti, sarebbe determinata dalla cir-
Appunti sulle questioni sottoposte alla Corte<br />
costanza che la disciplina in questione non sarebbe rivolta ai reati commessi nell’esercizio<br />
delle funzioni istituzionali, applicandosi invece a «tutti i reati [extrafunzionali] indistintamente<br />
commessi dai soggetti ivi indicati, di qualsivoglia natura e gravità, finanche<br />
prima dell’assunzione della funzione pubblica».<br />
Dalla lettera dell’ordinanza, per la verità, sembrerebbe potersi ricavare un ulteriore<br />
autonomo profilo di censura, in relazione alla facoltà di rinuncia alla sospensione processuale<br />
riconosciuta all’interessato, anche se il rimettente lo inserisce nel contesto argomentativo<br />
della terza questione e non invoca, in proposito, parametri costituzionali<br />
espliciti. A sgombrare il campo da qualunque dubbio sulla stessa configurabilità di tale<br />
questione, è però determinante il fatto che il GIP di Roma abbia censurato il solo comma<br />
1 dell’art. 1 della l. n. 124 e non anche il comma 2 che contiene la previsione della<br />
rinunciabilità.<br />
3. La I Sezione del Tribunale di Milano ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale<br />
dell’art. 1, commi 1 e 7, della l. n. 124 del 2008.<br />
Con la prima questione il giudice a quo contesta la violazione dell’art. 138 Cost., dal<br />
momento che la previsione di un’ipotesi di sospensione del processo penale a favore<br />
delle quattro alte cariche contemplate dalle norme censurate non riguarda il regolare<br />
funzionamento del processo, «bensì le prerogative di organi costituzionali e comunque<br />
materie già riservate dal legislatore costituente alla Costituzione» (sic!), «così come dimostrato<br />
dalla circostanza che tutti i rapporti tra gli organi con rilevanza costituzionale<br />
ed il processo penale sono definiti con norma costituzionale»; «l’intervento legislativo<br />
incide, infatti, su plurimi ulteriori interessi di rango costituzionale quali la ragionevole<br />
durata del processo (art. 111 Cost.) e l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.),<br />
comunque vulnerata seppur non integralmente compromessa, per cui il loro bilanciamento<br />
deve necessariamente avvenire con norma costituzionale».<br />
Con la seconda questione, il giudice rimettente contesta la violazione dell’art. 136<br />
Cost., dal momento che le norme in esame – pur avendo eliminato alcuni punti già censurati<br />
dalla Corte ed in particolare l’indeterminatezza del periodo di sospensione con<br />
l’esclusione della reiterabilità della stessa in caso di nuovo incarico istituzionale (comma<br />
5), e pur garantendo il diritto al processo sia all’imputato che alla parte civile (commi<br />
2 e 6) – avrebbero «riproposto la medesima disciplina» già dichiarata costituzionalmente<br />
illegittima, nella sent. n. 24 del 2004, sotto il profilo della violazione dell’art. 3<br />
Cost., «per aver accomunato “in una unica disciplina cariche diverse non soltanto per le<br />
fonti di investitura, ma anche per la natura delle funzioni”, ed inoltre per aver distinto<br />
irragionevolmente e “per la prima volta sotto il profilo della parità riguardo ai principi<br />
fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio <strong>dei</strong> ministri ...<br />
rispetto agli altri componenti degli organi da loro presieduti”».<br />
Ben più complicata si presenta l’opera di ricostruzione delle molteplici questioni sollevate<br />
nell’ordinanza della X Sezione del Tribunale di Milano nei confronti dell’intero<br />
art. 1 della l. n. 124 del 2008.<br />
Anche in questo caso, la prima questione è senza dubbio quella individuata nell’asserito<br />
contrasto con l’art. 138 Cost. Sul punto, l’argomentazione utilizzata dal giudice<br />
rimettente può essere identificata nei termini seguenti: tale contrasto con l’art. 138 Cost.<br />
sussisterebbe in ragione del fatto che «la normativa sullo status <strong>dei</strong> titolari delle più alte<br />
istituzioni della Repubblica è in sé materia tipicamente costituzionale», dal momento<br />
che «tutte le disposizioni che limitano o differiscono nel tempo la loro responsabilità si<br />
pongono quali eccezioni rispetto al principio generale di eguaglianza di tutti i cittadini<br />
79
80<br />
Marcello Cecchetti<br />
davanti alla legge previsto dall’articolo 3 della Costituzione» e che «il vigente sistema<br />
delle guarentigie è disciplinato esclusivamente da norme di rango costituzionale», con la<br />
conseguenza che «ogni eventuale modifica può essere introdotta soltanto con norme di<br />
pari forza adottate secondo la procedura prevista dall’art. 138 della Costituzione».<br />
Vi è poi una seconda “macro-questione”, espressamente riferita dal rimettente «agli<br />
artt. 3, 68, 96, 111 e 112 della Costituzione», ma – nelle trame di un’argomentazione in<br />
verità molto articolata e confusa – è francamente assai difficile provare ad isolare i singoli<br />
e specifici profili di censura. Con tutta l’opinabilità che può caratterizzare una simile<br />
operazione, sembrerebbero identificabili quattro distinte censure.<br />
In primo luogo, si può ritenere affermata la violazione dell’art. 3 Cost., in ragione del<br />
fatto che «il contenuto di tutte le disposizioni in argomento incide su un valore centrale<br />
per il nostro ordinamento democratico, quale è l’eguaglianza di tutti i cittadini davanti<br />
all’esercizio della giurisdizione penale».<br />
In secondo luogo, si può ritenere che il giudice a quo contesti la violazione dell’art.<br />
3, in combinato disposto con gli artt. 68, 90 e 96 Cost., in ragione della disparità di trattamento<br />
cui darebbe luogo la disciplina introdotta con la legge censurata per i reati extrafunzionali<br />
rispetto a quella – di rango costituzionale – prevista per i reati funzionali<br />
ascritti alle quattro alte cariche in questione; tale disparità di trattamento risulterebbe assolutamente<br />
irragionevole, sia per la mancata menzione dell’art. 68 Cost. fra le norme<br />
costituzionali espressamente fatte salve dalla l. n. 124 del 2008, sia per il fatto che «il<br />
bene giuridico considerato dalla legge ordinaria, e cioè il regolare svolgimento delle<br />
funzioni apicali dello Stato, è lo stesso che la Costituzione tutela per il Presidente della<br />
Repubblica con l’art. 90, per il Presidente del Consiglio e per i ministri con l’art. 96»,<br />
con l’ulteriore aggravante, in quest’ultimo caso, dell’irragionevole ius singulare previsto<br />
per i reati extrafunzionali a favore del Presidente del Consiglio, che, invece, la Costituzione<br />
accomuna ai ministri per i reati funzionali in virtù della sua posizione di primus<br />
inter pares rispetto ai titolari <strong>dei</strong> diversi dicasteri.<br />
In terzo luogo, si può ritenere contestata la violazione del principio di ragionevolezza<br />
– e, dunque, dell’art. 3 Cost. – anche sotto l’ulteriore profilo della facoltà di rinunciare<br />
alla sospensione processuale riconosciuta allo stesso titolare dell’alta carica, dal momento<br />
che tale previsione si porrebbe in contrasto con la tutela del munus publicum, attribuendo<br />
una discrezionalità «meramente potestativa» al soggetto beneficiario, anziché<br />
prevedere quei filtri aventi caratteri di terzietà e quelle valutazioni della peculiarità <strong>dei</strong><br />
casi concreti che soli, secondo la sent. n. 24/2004, potrebbero costituire adeguato rimedio<br />
rispetto tanto all’automatismo generalizzato già stigmatizzato dalla Corte quanto «al<br />
vulnus al diritto di azione».<br />
Infine, si può ritenere affermata la violazione dell’art. 111 Cost., sotto il profilo della<br />
ragionevole durata del processo, dal momento che una sospensione formulata nei termini<br />
di cui alle disposizioni censurate, «bloccando il processo in ogni stato e grado per un<br />
periodo potenzialmente molto lungo, provoca un evidente spreco di attività processuale»,<br />
oltretutto non stabilendo alcunché «sull’utilizzabilità delle prove già assunte» né<br />
all’interno dello stesso processo penale al termine del periodo di sospensione né<br />
all’interno della diversa sede in cui la parte civile abbia scelto di trasferire la propria azione,<br />
con conseguente necessità per la stessa parte «di sostenere ex novo l’onere probatorio<br />
in tutta la sua ampiezza».<br />
4. Le questioni sollevate dal GIP del Tribunale di Roma, verosimilmente, dovrebbero<br />
risultare tutte inammissibili per difetto assoluto di rilevanza. Il giudice rimettente, infat-
Appunti sulle questioni sottoposte alla Corte<br />
ti, muove dal presupposto che la disciplina censurata debba ritenersi applicabile anche<br />
alla fase delle indagini preliminari, in forza <strong>dei</strong> due argomenti testuali rinvenibili nel<br />
comma 7 e nel comma 3 dell’art. 1 della legge in questione, laddove si fa riferimento,<br />
rispettivamente, ai «processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado» e alla possibilità<br />
per il giudice di assumere le prove non rinviabili «ai sensi degli articoli 392 e 467 del<br />
codice di procedura penale».<br />
Tale presupposto interpretativo è, in realtà, del tutto erroneo, dal momento che la disciplina<br />
oggetto di censura è agevolmente interpretabile come riferita ai soli “processi” e<br />
non anche ai “procedimenti” penali. Convincono in pieno, a questo proposito, le considerazioni<br />
di Renzo Orlandi nel presente <strong>volume</strong>, ma anche quelle di chi, già<br />
all’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 124, aveva osservato che il riferimento ad<br />
«ogni fase» applicato ai “processi in corso” vale a comprendere tanto la fase dell’udienza<br />
preliminare, quanto quella del dibattimento, senza dunque implicare necessariamente<br />
anche l’estensione alla fase delle indagini preliminari; quanto al richiamo alle norme<br />
sull’incidente probatorio, esso varrebbe semplicemente ad indicare i presupposti di assunzione<br />
delle prove non rinviabili e, comunque, non risulterebbe decisivo, dal momento<br />
che l’istituto è pacificamente ritenuto utilizzabile anche nel corso dell’udienza preliminare<br />
2 .<br />
La Corte, pertanto, potrà facilmente evitare di affrontare le questioni sollevate dal<br />
GIP di Roma adottando un’ordinanza interpretativa di inammissibilità per difetto assoluto<br />
di rilevanza, con ciò, peraltro, dando piena soddisfazione alle concrete esigenze processuali<br />
del giudice rimettente.<br />
5. Il difetto di rilevanza è invece senz’altro da escludere per le questioni sollevate<br />
con le due ordinanze del Tribunale di Milano, posto che entrambe sono state adottate<br />
nella fase del dibattimento. La Corte dovrà dunque procedere all’analisi di ciascuna delle<br />
suddette questioni.<br />
Debbono essere analizzate, anzitutto, le due questioni costruite direttamente sull’asserita<br />
violazione dell’art. 138 Cost. Elemento comune ad ambedue le ordinanze è<br />
l’argomentazione fondata sulla configurabilità di una sorta di “riserva” di legislazione<br />
costituzionale per la disciplina posta dalle disposizioni censurate, in ragione del fatto<br />
che lo status e le prerogative degli organi costituzionali sarebbero “materia tipicamente<br />
costituzionale” in quanto regolata solo da norme costituzionali e, comunque, incidente<br />
“su plurimi ulteriori interessi di rango costituzionale”. Ciò che colpisce e che merita attenta<br />
valutazione è il fatto che, in entrambi i casi, le questioni sono espressamente formulate<br />
con il parametro del solo art. 138 Cost. Non vengono in alcun modo assunte a<br />
parametro della presunta illegittimità disposizioni costituzionali diverse e, in particolare,<br />
quelle disposizioni costituzionali di natura sostanziale la cui eventuale modifica o deroga<br />
avrebbe imposto l’adozione della disciplina in questione con le forme e il procedimento<br />
delle leggi costituzionali.<br />
La formulazione in questi termini delle censure pone, a mio parere, più di una perplessità<br />
in ordine alla loro ammissibilità. Da un punto di vista strettamente tecnico, ai<br />
2 Cfr. G. FRIGO, La sospensione <strong>dei</strong> processi nel quadro costituzionale delle immunità politiche.<br />
Profili procedurali, in Dir. pen. e proc., 2008, n. 10, 1232, nonché S. COPPARI, La sospensione del<br />
processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato introdotta dall’art. 1 della legge 23 luglio<br />
2008, n. 124 (c.d. “Lodo Alfano”), in G. AMATO-C. SANTORIELLO (a cura di), Misure urgenti in materia<br />
di sicurezza pubblica, Utet, Torino, 2009, 231 ss.<br />
81
82<br />
Marcello Cecchetti<br />
fini della corretta instaurazione del processo costituzionale sulla validità degli atti legislativi,<br />
nei casi in cui venga invocata la violazione dell’art. 138 Cost. dovrebbe ritenersi<br />
necessario l’esplicito riferimento alla violazione di parametri di natura sostanziale, risultando,<br />
al contrario, insufficiente il mero richiamo – nel corpo motivazionale dell’ordinanza<br />
– di norme costituzionali asseritamente derogate o incise dalla disciplina censurata.<br />
La violazione del solo art. 138 Cost. può essere correttamente invocata soltanto nell’ipotesi<br />
di leggi formalmente costituzionali delle quali si lamenti il mancato rispetto di<br />
una o più delle norme procedimentali appositamente previste. Si consideri, oltretutto,<br />
che qualunque violazione di una norma costituzionale potrebbe essere – al più – implicitamente<br />
intesa anche come violazione dell’art. 138 Cost.; d’altronde, se pure ci si ponesse<br />
in una logica squisitamente kelseniana, secondo la quale tutte le ipotesi di invalidità<br />
degli atti legislativi sono riducibili ad un mero vizio procedimentale, ciò non farebbe<br />
affatto venir meno l’esigenza di una indicazione esplicita del parametro sostanziale<br />
violato.<br />
Anche a prescindere dal dato formale concernente l’indicazione del parametro su cui<br />
sono costruite, le due questioni in esame potrebbero risultare inammissibili in ragione<br />
della genericità con cui entrambi i giudici a quibus ne argomentano la non manifesta infondatezza.<br />
Nonostante l’apparente abbondanza delle considerazioni svolte dai due rimettenti,<br />
a ben vedere, si tratta di affermazioni del tutto assertive volte a sostenere la<br />
necessità della fonte costituzionale senza individuarne un vero e proprio fondamento<br />
giustificativo. Non basta affermare che la normativa in questione risulterebbe riservata<br />
al legislatore costituzionale solo in quanto essa si pone quale “eccezione al principio di<br />
eguaglianza” o perché è rinvenibile in Costituzione una disciplina <strong>dei</strong> reati funzionali (o<br />
anche extra-funzionali, nel caso <strong>dei</strong> membri delle Camere) delle quattro alte cariche,<br />
oppure, ancora, perché risulterebbe “inciso” il principio di ragionevole durata del processo<br />
o “vulnerata” − «seppur non integralmente compromessa» − l’obbligatorietà<br />
dell’azione penale. Simili considerazioni, in realtà, costituiscono una motivazione puramente<br />
apparente, che potrebbe portare la Corte a non ritenere compiutamente assolto<br />
l’onere del giudice rimettente di effettuare il giudizio di non manifesta infondatezza.<br />
Nella logica argomentativa seguita dalle due ordinanze, sarebbe stata necessaria, infatti,<br />
quanto meno la puntuale indicazione delle ragioni per le quali alla legge ordinaria sarebbe<br />
impedita, in simili casi, l’introduzione di un trattamento differenziato sia rispetto<br />
ai comuni cittadini sia rispetto a quanto già previsto dalla disciplina costituzionale contenuta<br />
negli artt. 68, 90 e 96; ciò, però, avrebbe richiesto una argomentazione rigorosa<br />
circa la asserita necessità di adottare una concezione “assoluta” del principio di eguaglianza,<br />
tale da vietare alla legge qualunque differenziazione anche nel caso di situazioni<br />
diverse, nonché circa la altrettanto asserita necessità di interpretare la disciplina costituzionale<br />
delle prerogative delle alte cariche come “divieto” imposto al legislatore ordinario<br />
di integrare il catalogo di quelle garanzie, anziché come semplice “mancata previsione”<br />
tale da consentire l’intervento del diritto legislativo, speciale o comune che sia 3 .<br />
6. Anche la sorte della seconda questione sollevata con la prima ordinanza del Tribunale<br />
di Milano potrebbe risultare segnata in limine nel senso della inammissibilità o, al<br />
più, della manifesta infondatezza.<br />
Il giudice rimettente, come si è visto, censura la irragionevole assimilazione delle<br />
3 Al riguardo, si consenta il rinvio a M. CECCHETTI, La sospensione <strong>dei</strong> processi nel quadro costituzionale<br />
delle immunità politiche, cit., 1220-1224.
Appunti sulle questioni sottoposte alla Corte<br />
quattro alte cariche contemplate dalla disciplina in esame e, al contempo, la irragionevole<br />
differenziazione delle stesse rispetto agli altri componenti degli organi collegiali di<br />
cui fanno parte il Presidente del Consiglio <strong>dei</strong> ministri e i Presidenti delle Camere. Tale<br />
censura, tuttavia, non è costruita direttamente e/o esclusivamente sul parametro dell’art.<br />
3 Cost. (ciò che avrebbe imposto alla Corte di tornare a pronunciarsi su un profilo già<br />
espressamente affrontato in relazione alla precedente l. n. 140 del 2003), bensì sulla violazione<br />
dell’art. 136 Cost. e, dunque, sul contrasto con il giudicato costituzionale di accoglimento<br />
di cui alla sent. n. 24/2004.<br />
Se pure si volesse condividere l’idea di fondo secondo la quale anche la nuova disciplina<br />
incorre nel medesimo vizio di irragionevole assimilazione/differenziazione già riscontrato<br />
dalla Corte a proposito della legge precedente, la scelta di una simile impostazione<br />
della questione rende assai difficile l’ipotesi di una pronuncia di accoglimento.<br />
Da un primo punto di vista, infatti, va osservato che la dottrina prevalente ritiene invocabile<br />
la violazione del giudicato costituzionale ad opera del legislatore successivo<br />
unicamente nell’ipotesi in cui venga reintrodotta nell’ordinamento una disciplina già dichiarata<br />
incostituzionale «con riferimento alla fattispecie del giudizio a quo […], o comunque<br />
con riferimento al periodo anteriore alla pubblicazione della sentenza»; tale<br />
ipotesi, sarebbe pertanto da escludere in radice in tutte le ipotesi in cui l’efficacia della<br />
nuova disciplina fosse − come nel caso qui in discussione − destinata a dispiegarsi solo<br />
per il futuro 4 .<br />
In ogni caso, da un secondo punto di vista, risulta del tutto incontroverso che il legislatore<br />
può incorrere in una violazione del giudicato costituzionale soltanto «quando<br />
ricrea, tramite un nuovo esercizio della funzione legislativa, un assetto identico a quello<br />
già accertato come incostituzionale dalla Corte, ovvero, in altre parole, qualora riproduca<br />
il medesimo oggetto del precedente giudizio di costituzionalità»; tale situazione,<br />
evidentemente, può ricorrere solo nell’ipotesi in cui dalla nuova disciplina legislativa<br />
«possa essere ricavata una norma identica a quella precedentemente annullata»<br />
e qualora «quest’ultima si trovi, al momento del secondo giudizio di costituzionalità,<br />
nello stesso preciso rapporto con la norma costituzionale con la quale precedentemente<br />
contrastava» 5 . Nel caso di specie, il rimettente si limita a rilevare la riproposizione<br />
di una «medesima disciplina», senza affatto specificare per quali ragioni essa debba<br />
essere considerata “identica” alla precedente e, soprattutto, contraddicendo la sua stessa<br />
esplicita ammissione secondo la quale la l. n. 124 del 2008 avrebbe eliminato sia<br />
l’indeterminatezza del periodo di sospensione processuale sia il contrasto con il diritto<br />
di difesa dell’imputato e delle parti civili. Sembra dunque assai improbabile che la<br />
questione, così come prospettata, possa sfuggire ad una dichiarazione di manifesta infondatezza<br />
o, addirittura, di inammissibilità per contraddittorietà della motivazione.<br />
4 La citazione è tratta da A. PIZZORUSSO, Art. 136, in G. BRANCA (a cura di) Commentario della<br />
Costituzione, Bologna-Roma, 1981, 192-193. In senso analogo, cfr., almeno, V. CRISAFULLI, Giustizia<br />
costituzionale e potere legislativo, in Dir. soc., 1978, 67, nonché A. ANZON, Autorità di precedente<br />
ed efficacia di giudicato delle sentenze di accoglimento nei giudizi sulle leggi, in Strumenti e tecniche<br />
di giudizio della Corte costituzionale, Giuffrè, Milano, 1988, 285. In termini più problematici, si<br />
veda F. DAL CANTO, Giudicato costituzionale, in Enc. dir., Agg. V, Giuffrè, Milano, 2001, 448 ss., nonchè,<br />
da ultimo, M. RUOTOLO, Legge Alfano e vizio da riproduzione di norme dichiarate incostituzionali,<br />
in Giur. it., 2009, 784 ss.<br />
5 Così F. DAL CANTO, Giudicato costituzionale, cit., 451-452. Cfr., nello stesso senso, A. RUGGE-<br />
RI, Le attività “consequenziali” nei rapporti fra la Corte costituzionale e il legislatore, Giuffrè, Milano,<br />
1988, 55 ss., nonchè, M. RUOTOLO, Legge Alfano e vizio da riproduzione, cit., 785.<br />
83
84<br />
Marcello Cecchetti<br />
7. Tra le altre quattro questioni sollevate nella seconda ordinanza del Tribunale di<br />
Milano e che si sono provate ad individuare nelle pagine che precedono, la prima e<br />
l’ultima presentano evidenti profili di intrinseca debolezza.<br />
La invocata violazione dell’art. 3 Cost. in sé e per sé considerato, per la lamentata<br />
“incidenza” della disciplina in esame sull’«eguaglianza di tutti i cittadini davanti all’esercizio<br />
della giurisdizione penale», sembrerebbe destinata ad una pronuncia di inammissibilità<br />
per carenza di motivazione, dal momento che il rimettente avrebbe dovuto<br />
evidenziare quanto meno le ragioni che imporrebbero di assumere − in questo caso −<br />
il principio di eguaglianza nei termini “assoluti” di un divieto di qualunque trattamento<br />
differenziato oppure nei consueti termini “relativi”, che impongono il trattamento eguale<br />
di situazioni eguali e il trattamento ragionevolmente differenziato di situazioni diverse;<br />
è del tutto evidente che, in questa seconda ipotesi, sarebbe stato necessario motivare<br />
puntualmente circa le possibili differenze astrattamente rilevanti in relazione alle modalità<br />
di sottoposizione <strong>dei</strong> cittadini alla giurisdizione penale, circa la rilevanza o meno<br />
della situazione differenziata costituita dalla titolarità di una della quattro alte cariche,<br />
nonché circa l’eventuale irragionevolezza in concreto (secondo i canoni della necessità,<br />
idoneità-adeguatezza e proporzionalità) della disciplina censurata. L’assoluto silenzio<br />
del giudice a quo in relazione a tali oneri argomentativi parrebbe proprio insuperabile.<br />
Quanto alla asserita violazione dell’art. 111 Cost., sotto il profilo della ragionevole<br />
durata del processo, il cuore della censura sembrerebbe incentrato non tanto sul prolungamento<br />
<strong>dei</strong> tempi del processo in sé considerato 6 , quanto sul lamentato «spreco di attività<br />
processuale» in considerazione della assenza di previsioni circa l’utilizzabilità, al<br />
momento della cessazione della sospensione, delle prove già assunte in precedenza. Da<br />
questo punto di vista, una dichiarazione di infondatezza sembrerebbe supportabile con<br />
un’interpretazione adeguatrice che − anche tenendo conto dell’esplicita ammissibilità<br />
dell’assunzione delle prove non rinviabili contemplata nel comma 3 − chiarisse la sicura<br />
utilizzabilità, anche a beneficio della parte civile, delle prove già assunte prima della sospensione.<br />
Il destino della “legge Alfano” dipenderà verosimilmente dalle due restanti questioni<br />
sollevate dalla X Sezione del Tribunale di Milano, le quali sottopongono alla Corte i<br />
profili di censura senza dubbio più consistenti.<br />
La forza della questione concernente la lamentata violazione dell’art. 3 Cost. in combinato<br />
disposto con gli artt. 68, 90 e 96 Cost., non risiede, a mio parere, nella asserita<br />
disparità di trattamento tra reati funzionali e reati extrafunzionali <strong>dei</strong> titolari delle quattro<br />
alte cariche dello Stato. Infatti, quanto all’art. 68, nonostante la sua mancata menzione<br />
tra le disposizioni espressamente fatte salve dal legislatore, il rimettente ne ritiene<br />
correttamente la perdurante integrale applicabilità ma non indica in alcun modo quale<br />
vizio di legittimità costituzionale affliggerebbe le norme censurate sotto tale profilo, limitandosi<br />
a rilevare che dalle due discipline discenderebbe «in astratto, nel caso in cui il<br />
soggetto che riveste la “alta carica” sia membro del Parlamento, l’obbligatorietà dell’arresto<br />
in flagranza nelle ipotesi di cui all’art. 380 c.p.p. e l’immediata successiva sospensione<br />
del procedimento». La censura, sul punto, oltre che ipotetica, giacché priva di qualunque<br />
rilevanza nel giudizio a quo, è sicuramente apodittica, dunque inammissibile in<br />
parte qua. Quanto, invece, agli artt. 90 e 96, il rimettente muove da un presupposto in-<br />
6 Ciò del tutto correttamente, se solo si considera che il principio in questione non impone una determinata<br />
durata del processo ma solo una durata che non sia, per l’appunto, irragionevole, in relazione<br />
ad un adeguato bilanciamento di tutti gli interessi in gioco; al riguardo, cfr. M. CECCHETTI, Giusto<br />
processo (diritto costituzionale), in Enc. dir., Agg. V, Giuffrè, Milano, 2001, 610-611.
Appunti sulle questioni sottoposte alla Corte<br />
terpretativo probabilmente erroneo, consistente nell’affermazione secondo la quale «il<br />
bene giuridico considerato dalla legge ordinaria, e cioè il regolare svolgimento delle<br />
funzioni apicali dello Stato, è lo stesso che la Costituzione tutela per il Presidente della<br />
Repubblica con l’art. 90, per il Presidente del Consiglio e per i ministri con l’art. 96».<br />
Un simile assunto, nella generica formulazione che ci consegna l’ordinanza di rimessione,<br />
non solo resta tutto da dimostrare, ma presenta forti margini di opinabilità, quanto<br />
meno se si considera che la tutela assicurata dalla speciale disciplina <strong>dei</strong> reati funzionali<br />
del Capo dello Stato e del Presidente del Consiglio <strong>dei</strong> ministri, lungi dal potersi considerare<br />
riferita alla semplice finalità di garantire il «sereno svolgimento delle rilevanti<br />
funzioni che ineriscono a quelle cariche» 7 , rinviene la sua ratio proprio nella inscindibile<br />
connessione tra il comportamento astrattamente qualificabile come reato e l’esercizio<br />
delle funzioni pubbliche, di talché si rende necessario tutelare il titolare della carica che<br />
abbia agito nell’interesse superiore della funzione rispetto all’eventuale fumus persecutionis<br />
che potrebbe caratterizzare l’azione penale rivolta nei suoi confronti e che potrebbe,<br />
per ciò stesso, porsi in contrasto con la tutela della funzione medesima. L’identità<br />
del bene tutelato nei due casi <strong>dei</strong> reati funzionali e <strong>dei</strong> reati extrafunzionali sembra francamente<br />
un presupposto interpretativo assai debole per costruirvi l’illegittimità costituzionale<br />
della disciplina censurata.<br />
Il vero profilo di forza della questione in esame è costituito dall’invocata disparità di<br />
trattamento tra il Presidente del Consiglio <strong>dei</strong> ministri − cui sarebbe riconosciuto un irragionevole<br />
ius singulare − ed i singoli ministri quali componenti dell’organo collegiale<br />
del Governo. Sul punto, come è noto, la Corte costituzionale si è già esplicitamente pronunciata<br />
con la sent. n. 24/2004, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della<br />
l. n. 140 del 2003, per violazione dell’art. 3 Cost., proprio in ragione del fatto che<br />
quella disciplina “distingueva”, «per la prima volta sotto il profilo della parità riguardo<br />
ai principi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio <strong>dei</strong><br />
ministri e della Corte costituzionale rispetto agli altri componenti degli organi da loro<br />
presieduti».<br />
Con questo “pesantissimo” precedente, i soli argomenti che forse potrebbero essere<br />
spesi a sostegno di un esito del giudizio diverso dall’accoglimento sembrano riconducibili,<br />
non tanto al dato che il Presidente della Corte costituzionale non è più contemplato<br />
tra i beneficiari della prerogativa, quanto alla valorizzazione dell’autonomo rilievo e<br />
delle specifiche funzioni istituzionali che la Costituzione riconosce e affida ai due Presidenti<br />
delle Camere rispetto agli altri membri del Parlamento (artt. 62, comma 2, 86,<br />
commi 1 e 2, 88, comma 1) e al Presidente del Consiglio <strong>dei</strong> ministri rispetto agli altri<br />
membri del Governo (art. 95, comma 1, Cost.). Ciò, tuttavia, non sarebbe di per sé sufficiente<br />
a costituire la premessa di un diverso orientamento della Corte; occorrerebbe, infatti,<br />
aggiungere la valorizzazione delle evidenti differenze della legge Alfano rispetto al<br />
suo precedente, soprattutto in relazione al tentativo che in essa si rinviene di salvaguardare<br />
i diritti dell’art. 24 Cost. e il principio della ragionevole durata <strong>dei</strong> processi,<br />
nell’ottica di scongiurare quella “disparità” «riguardo ai princìpi fondamentali della giurisdizione»<br />
che la Corte – evitando, nel passo sopra citato, di richiamare la più rigorosa<br />
«parità di trattamento rispetto alla giurisdizione» – sembrerebbe aver considerato come<br />
il “cuore” della censura di allora.<br />
Deve, infine, essere considerata l’ultima questione tra quelle prospettate nella seconda<br />
ordinanza del Tribunale di Milano, che si presenta, senza dubbio, come la più delica-<br />
7 Tale è la finalità che espressamente la Corte, nella sent. n. 24/2004, ha ritenuto di poter riconoscere<br />
alla disciplina legislativa che era contenuta nell’art. 1 della l. n. 140 del 2003.<br />
85
86<br />
Marcello Cecchetti<br />
ta, in quanto concernente uno <strong>dei</strong> profili qualificanti e “sistemici” dell’intera normativa<br />
in esame. Il rimettente lamenta l’irragionevolezza intrinseca di una disciplina posta a tutela<br />
di cariche pubbliche, la quale viene, però, assoggettata ad una facoltà, meramente<br />
potestativa, di rinuncia da parte dello stesso titolare della carica, anziché essere subordinata<br />
a meccanismi di filtro e di valutazione <strong>dei</strong> casi concreti in grado di escludere la generale<br />
applicazione a qualunque ipotesi di reato extrafunzionale e, al contempo, il<br />
«vulnus al diritto di azione».<br />
La questione è molto seria e coglie senz’altro uno <strong>dei</strong> punti di maggiore frizione tra i<br />
diversi valori costituzionali coinvolti.<br />
Al riguardo, però, leggendo la sent. n. 24/2004, si ha la sensazione che la Corte, per<br />
risolvere le precedenti questioni sul c.d. “lodo Schifani”, sia entrata in una sorta di vicolo<br />
cieco, fornendo una ricostruzione interpretativa che non sembra offrire margini per<br />
soluzioni diverse da quella fatta propria dalla “legge Alfano”. In quella sentenza, per la<br />
verità, il giudice delle leggi non fa esplicito riferimento alla necessaria rinunciabilità<br />
della garanzia da parte dell’interessato, ma i termini con cui interpreta il diritto di difesa<br />
dell’imputato e l’espressa affermazione della illegittimità costituzionale della rigida alternativa<br />
imposta al titolare dell’alta carica fra “subire” la sospensione processuale o rinunciare<br />
alla carica stessa (ossia «al godimento di un diritto costituzionalmente garantito»<br />
dall’art. 51 Cost.) 8 sembrano militare univocamente nella direzione dell’indispensabile<br />
riconoscimento di un “diritto al processo” in senso pieno, al quale risulterebbe inscindibilmente<br />
connessa la facoltà per l’imputato di rinunciare alla sospensione.<br />
L’alternativa che oggi si pone sul tavolo della Corte è dunque evidente: confermare<br />
la precedente ricostruzione, facendo salva una disciplina che rimette la tutela di un munus<br />
publicum alle scelte personali, contingenti e sempre ritrattabili della persona fisica<br />
che si trovi ad essere titolare della carica; oppure reinterpretare (o, addirittura, correggere!)<br />
se stessa, configurando in termini diversi la portata del diritto di difesa<br />
dell’imputato in relazione alla titolarità delle alte cariche dello Stato e accogliendo la<br />
prospettazione del giudice rimettente che, non a caso, non fa alcun riferimento al “diritto<br />
al processo” dell’imputato ma solo al “diritto di azione” del Pubblico Ministero o della<br />
parte civile.<br />
8 Con evidente fraintendimento del significato di tale disposizione, la quale, come è noto, non riconosce<br />
affatto un “diritto al godimento della carica” − francamente inconfigurabile − quanto, più<br />
limitatamente, il “diritto di accesso alle cariche pubbliche” in condizioni di parità ed eguaglianza.
LEGGE ALFANO ED INDAGINI PRELIMINARI:<br />
LE RAGIONI DI UN’INAMMISSIBILITÀ.<br />
di MARGHERITA CERIZZA * e MARCO MAZZARELLA **<br />
SOMMARIO. 1. Il problema dell’applicabilità della legge Alfano alle indagini preliminari. – 2.<br />
L’esame testuale e sistematico esclude l’interpretazione estensiva della norma. – 3. Gli esiti paradossali<br />
della mancata interpretazione costituzionalmente conforme. – 4. L’inammissibilità della<br />
questione romana per difetto di rilevanza.<br />
1. La trattazione che segue prescinde da considerazioni circa la fondatezza delle questioni<br />
di legittimità costituzionale sollevate in riferimento alla c.d. legge Alfano, per soffermarsi<br />
invece sul tema della rilevanza della questione romana. Occupandosi di tale<br />
tema, la Corte Costituzionale dovrà risolvere l’attuale contrasto interpretativo e prendere<br />
una posizione definitiva sull’effettiva estensione applicativa della legge.<br />
L’ordinanza 26 settembre 2008, n. 8 del G.i.p. di Roma, con cui si solleva questione<br />
di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 1, comma 1 della l. 23 luglio 2008, n.<br />
124 motiva in punto di rilevanza circa l’applicabilità di tale legge anche alla fase delle<br />
indagini preliminari.<br />
Tale interpretazione estensiva, su cui si fonda l’asserita rilevanza della questione, appare<br />
tuttavia ingiustificata 1 rispetto non solo al significato letterale della disposizione,<br />
ma anche alla sua collocazione all’interno del procedimento penale, al bene tutelato dalla<br />
norma ed al suo inquadramento all’interno <strong>dei</strong> principi costituzionali e degli oneri<br />
imposti ad ogni giudice a quo.<br />
2. Anzitutto nel testo della l. n. 124 del 2008 si parla di sospensione <strong>dei</strong> “processi penali”<br />
(art. 1, comma 1) rinunciabile da parte dell’“imputato” (art. 1, comma 2), espressioni<br />
che, come riconosce apertamente lo stesso G.i.p., fanno normalmente riferimento a<br />
quella parte del procedimento penale che decorre a partire dall’esercizio dell’azione penale<br />
(art. 405 c.p.p.) e dalla contemporanea assunzione della qualifica di imputato (art.<br />
60 c.p.p.): dal processo sono escluse pertanto le indagini preliminari, che costituiscono<br />
invece la fase pre-processuale del procedimento, in cui ancora non è stata formulata<br />
un’imputazione 2 .<br />
Nonostante l’evidenza letterale della disposizione, il G.i.p. sostiene un’interpreta-<br />
* Allieva ordinaria di Giurisprudenza, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (parr. 1 e 2).<br />
** Allievo perfezionando in Diritto Costituzionale, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (parr. 3 e 4)<br />
1 D. NEGRI, voce Immunità parlamentare (dir. proc. pen.), Enc. dir., Annali, II, Milano, 2007, 683.<br />
2 Inter alios, P. TONINI, Manuale di procedura penale, VII ed., Giuffrè, Milano, 2006, 55, G.<br />
CONSO-V. GREVI, Compendio di procedura penale, IV ed., Cedam, Padova, 2006, 484.
88<br />
Margherita Cerizza - Marco Mazzarella<br />
zione ampia della nozione di processo, volta sostanzialmente a confondersi con la nozione<br />
di procedimento, e ritiene la sospensione applicabile alla totalità di esso, residuando<br />
la mera facoltà di iscrizione della notizia di reato (art. 335 c.p.p.). Tale interpretazione<br />
estensiva sarebbe richiesta dal tenore di due previsioni della stessa l. n. 124 del 2008.<br />
In primo luogo la legge prevede che la sospensione si applica “anche ai processi penali<br />
in corso, in ogni fase, stato o grado” (art. 1, comma 7). Il G.i.p. sostiene che, mentre<br />
è possibile articolare un processo in gradi (es. primo grado, appello …) o, nell’ambito di<br />
ciascun grado, in stati (es. nel primo grado, atti preliminari al dibattimento, istruzione<br />
dibattimentale …), non è invece possibile articolare un processo in fasi, costituendo esso<br />
una fase unitaria all’interno del procedimento: il riferimento ad “ogni fase” presupporrebbe<br />
invece la presenza di almeno due fasi, non ravvisabili nel processo, ma solo nel<br />
procedimento, che comprende infatti anche la fase delle indagini preliminari. Tale lettura<br />
trova seguito in parte della dottrina, che parla di una “estensione implicita” della sospensione<br />
alle indagini preliminari 3 ; ed emerge dagli stessi lavori parlamentari, quando,<br />
nel rispondere all’obiezione dell’on. Di Pietro, secondo cui l’esclusione delle indagini<br />
preliminari dalla sospensione rivela che il bene tutelato dalla norma non possa essere la<br />
serenità nell’esercizio delle funzioni, molto compromessa anche da quei provvedimenti<br />
restrittivi della libertà personale suscettibili di essere emessi durante le indagini, l’on.<br />
Pecorella afferma che occorre sciogliere l’ambiguità testuale della legge, che da un lato<br />
parla di “processo”, e dall’altro di “fase”, e sottintende dunque che la nozione di fase<br />
vada necessariamente ricondotta al procedimento 4 .<br />
In realtà il termine “fase” non riceve nel codice di procedura penale una precisa connotazione,<br />
cosa che diversamente avviene per i termini “stato” e “grado” (es. artt. 17,<br />
20, 21 c.p.p.). “Fase” è piuttosto un termine atecnico usato per indicare un punto o uno<br />
stadio della procedura, e il suo impiego viene spesso a confondersi con quello del termine<br />
“stato” (es. fase dibattimentale o stato dibattimentale). Inoltre si parla correntemente<br />
tanto di “fasi del procedimento” (indagini preliminari, processo), quanto di “fasi del<br />
processo” (di cui le principali sono udienza preliminare e giudizio, a loro volta ripartite<br />
in stati, talora chiamati fasi). La l. n. 124 del 2008 fa riferimento alle fasi del processo e<br />
non alle fasi del procedimento, e dal momento che, secondo il valore da attribuire al<br />
termine “fase”, un processo – prescindendo peraltro dal rito in cui esso venga celebrato<br />
– può effettivamente articolarsi in più fasi, l’estensione dell’ambito di operatività della<br />
sospensione non deve spingersi necessariamente fino a ricomprendere anche le indagini<br />
preliminari 5 . Del resto lo stesso Ministro della Giustizia in Assemblea afferma che “la<br />
sospensione riguarda esclusivamente i processi e non anche le indagini” 6 . L’invito del<br />
G.i.p. ad utilizzare una nozione estensiva dell’espressione “processo”, in quanto l’unica<br />
capace di dare un significato al termine “fase”, diventa così inconsistente.<br />
In secondo luogo la legge prevede che “la sospensione non impedisce al giudice, ove<br />
ne ricorrano i presupposti, di provvedere, ai sensi degli articoli 392 e 467 del codice di<br />
procedura penale, per l’assunzione delle prove non rinviabili” (art. 1, comma 3). Si ope-<br />
3<br />
G.M. SALERNO, Salvo il diritto alla formazione delle prove, in G. dir., 9 agosto 2008, n. 32, 15. G.<br />
M. SALERNO, La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato davanti alla Corte<br />
costituzionale, Relazione introduttiva, http://www.dsg.unife.it/attach/docs/salerno.pdf, 2.<br />
4<br />
<strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> <strong>Deputati</strong>, Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia), Verbale della<br />
seduta dell’8 luglio 2008, 26 e 29.<br />
5<br />
G. FRIGO, La sospensione <strong>dei</strong> processi nel quadro costituzionale delle immunità politiche. I profili<br />
procedurali, in Dir. pen. e proc., 2008, n. 10, 1232.<br />
6<br />
Senato della Repubblica, Assemblea, verbale della seduta del 22 luglio 2008, 11.
Legge Alfano ed indagini preliminari: le ragioni di un’inammissibilità<br />
ra un rinvio alla disciplina dell’incidente probatorio (art. 392 c.p.p.), l’istituto che consente<br />
la formazione della prova in contraddittorio durante la fase delle indagini preliminari<br />
nei casi in cui la prova è esposta a inquinamento o deterioramento o in cui le modalità<br />
della sua acquisizione sono incompatibili con i tempi del dibattimento. Si opera inoltre<br />
un rinvio alla disciplina degli atti urgenti (art. 467 c.p.p.), che, negli stessi casi previsti<br />
per l’incidente probatorio, consente la formazione della prova in contraddittorio durante<br />
gli atti preliminari del giudizio, quando cioè non si è ancora aperto il dibattimento.<br />
Durante la sospensione è dunque possibile esperire l’incidente probatorio o compiere<br />
atti urgenti; tuttavia, mentre l’espressione “ove ne ricorrano i presupposti” è un mero richiamo<br />
dell’art. 392 c.p.p., la formula “per l’assunzione delle prove non rinviabili” restringe<br />
l’ambito applicativo dell’incidente probatorio, dato che non tutti i casi di cui<br />
all’art. 392 c.p.p. sono riconducibili a ipotesi di non rinviabilità, come ad esempio la perizia<br />
di particolare complessità di cui al comma 2, o la testimonianza dell’infrasedicenne<br />
per i reati sessuali di cui al comma 1bis 7 . Tale soluzione è poco congrua perché ad esempio<br />
differisce una perizia complessa al dibattimento, incidendo sulla ragionevole durata<br />
del processo, o perché prolunga indefinitamente il patimento della vittima minore. Il<br />
G.i.p. sostiene che il richiamo all’art. 392 c.p.p. evochi necessariamente una fase anteriore<br />
a quella del processo “inteso come giudizio dibattimentale pubblico” e si riferisca<br />
alle indagini preliminari e all’udienza preliminare (cui la Corte cost. con sent. 10 marzo<br />
1994, n. 77 ha esteso l’operatività dell’incidente probatorio), momenti in cui opererebbe<br />
una generalizzata sospensione, con l’unica eccezione rappresentata appunto dal caso di<br />
esperimento dell’incidente probatorio. Se il legislatore non avesse voluto includere nella<br />
sospensione anche le indagini preliminari, non avrebbe avuto bisogno di fare salva<br />
l’eccezione dell’incidente probatorio 8 . Tale interpretazione è stata fornita anche nel corso<br />
<strong>dei</strong> lavori preparatori della l. n. 124 del 2008: l’on. Lo Moro evidenzia la contraddizione<br />
tra l’uso del termine “processo” e l’implicito riferimento alle indagini preliminari,<br />
che pertengono invece alla sola fase pre-processuale 9 ; inoltre l’on. Casson chiede rassicurazioni<br />
sul fatto che la sospensione non riguardi anche le indagini preliminari, come il<br />
riferimento all’incidente probatorio lascerebbe invece pensare 10 , e propone di emendare<br />
7<br />
Questa è infatti la lettura prevalente che viene data all’identica formula di cui all’art. 467 c.p.p.<br />
(“assunzione delle prove non rinviabili”), che introduce una restrizione del 392 c.p.p., inter alios, A.<br />
PELLEGRINO, Commento all’art. 467 c.p.p., in P. CORSO (a cura di), Commento al codice di procedura<br />
penale, II, La Tribuna, Piacenza, 2008.<br />
8<br />
Per completare l’analisi dell’ordinanza si aggiunge che il G.i.p. utilizza una formulazione equivoca<br />
quando afferma che “ove […(il legislatore avesse voluto consentire tout court la raccolta delle<br />
prove anche nella fase delle indagini preliminari, nulla avrebbe detto al riguardo, laddove si è invece<br />
sentito in dovere di indicare espressamente le eccezioni ora indicate al principio, implicitamente<br />
quanto inequivocabilmente stabilito, di vietare ogni acquisizione probatoria nei procedimenti a carico<br />
<strong>dei</strong> soggetti che ricoprono le cariche pubbliche considerate.” In realtà nelle indagini preliminari non<br />
sussiste affatto un permesso generalizzato di raccogliere prove, che la l. n. 124 del 2008 sospenderebbe<br />
facendo salva l’eccezione dell’incidente probatorio, dal momento che durante questa fase possono<br />
compiersi solo attività di assicurazione delle fonti di prova e più in generale di indagine, a carattere<br />
non giurisdizionale, per cui è previsto un regime di utilizzo e perfino una nomenclatura differente rispetto<br />
alle prove dibattimentali. Del resto se nel corso delle indagini preliminari si potessero raccogliere<br />
prove l’istituto dell’incidente probatorio non avrebbe senso.<br />
9<br />
<strong>Camera</strong> <strong>dei</strong> <strong>Deputati</strong>, Comitato per la legislazione, Verbale della seduta dell’8 luglio 2008,<br />
14-15.<br />
10<br />
Senato della Repubblica, Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia), Verbale<br />
della seduta del 15 luglio 2008, 13.<br />
89
90<br />
Margherita Cerizza - Marco Mazzarella<br />
il comma 3 eliminando l’ambiguo riferimento all’art. 392 c.p.p. 11 emendamento poi respinto.<br />
In realtà questa argomentazione si basa sull’erronea presunzione della biunivocità fra<br />
fase delle indagini preliminari e istituto dell’incidente probatorio, presunzione scalfita<br />
dalla sent. della Corte cost. 10 marzo 1994, n. 77, peraltro citata dal G.i.p., che estende<br />
l’esperibilità dell’incidente probatorio anche alla fase dell’udienza preliminare. E<br />
l’udienza preliminare appartiene inequivocabilmente al processo, dal momento che essa<br />
si svolge dopo l’esercizio dell’azione penale. La nozione di processo non si appiattisce<br />
infatti su quella di giudizio, o di dibattimento, ricomprendendo invece anche l’udienza<br />
preliminare, in cui si è già in presenza di un’imputazione, di un imputato, di un intervento<br />
giurisdizionale necessario, insomma di un processo. L’incidente probatorio non costituisce<br />
dunque una prerogativa assoluta della fase pre-processuale, quindi il riferimento<br />
compiuto dal comma 3 non richiede che al termine “processo” si conferisca<br />
un’interpretazione estensiva 12 . La l. n. 124 del 2008 non estende la sospensione alle indagini<br />
preliminari, che possono regolarmente svolgersi; viceversa, se si fosse omesso il<br />
riferimento all’art. 392 c.p.p., l’incidente probatorio si sarebbe potuto applicare durante<br />
la fase delle indagini preliminari, escluse dall’ambito di operatività della legge, ma non<br />
durante la fase dell’udienza preliminare, per le quali invece vale una generalizzata sospensione<br />
delle attività; nulla sarebbe cambiato insomma per le indagini preliminari,<br />
comunque escluse dalla disciplina, mentre si sarebbe creato un danno per l’udienza preliminare.<br />
A contrario, l’inclusione delle indagini preliminari nella sospensione processuale<br />
determinerebbe un’incongruità proprio in riferimento all’incidente probatorio: la<br />
necessità di esperire una prova non sorge nel vuoto, ma scaturisce spesso da un’attività<br />
di indagine, in cui viene ad evidenziarsi l’urgenza di raccogliere una prova prima che<br />
questa sia compromessa; la sospensione delle indagini preliminari creerebbe terra bruciata<br />
intorno a questo strumento, rendendo in particolar modo difficile per il p.m. motivare<br />
la richiesta in merito ai fatti che costituiscono oggetto dell’incidente e alle ragioni<br />
per la sua rilevanza; la portata della “valvola di sicurezza” – come è stata definita dallo<br />
stesso Ministro Alfano – rappresentata dall’incidente probatorio, verrebbe in tal modo<br />
fortemente svilita, per lo meno per quanto concerne l’incidente richiesto dal p.m. E questo<br />
svilimento davvero eccessivo non troverebbe nemmeno giustificazione alla luce del<br />
bene tutelato dalla l. n. 124 del 2008, ovvero il sereno svolgimento delle funzioni; gli<br />
atti di indagine sono, di norma, coperti da segreto (art. 329 c.p.p.), pertanto lo svolgimento<br />
delle indagini, perlomeno finché permane il regime di segretezza, non compromette<br />
la serenità della funzione: una sospensione generalizzata degli atti di indagine risulterebbe<br />
quindi eccedente lo scopo della legge 13 . In questo modo il buon esito<br />
dell’indagine, garantito dalla vicinanza temporale rispetto alla commissione del reato, e<br />
11 Emendamento 1.17: Al comma 3, sostituire le parole: «ai sensi degli articoli 392 e 467» con le seguenti:<br />
«ai sensi dell’articolo 467». Si veda anche Senato della Repubblica, Assemblea, verbale del 22 luglio<br />
2008, 26-27, in cui si deplora una formulazione che consentirebbe un’interpretazione volta ad allargare gli<br />
spazi di un beneficio che deve restare eccezionale.<br />
12 R. ORLANDI, Questioni processuali nell’applicazione della l. 23 luglio 2008, n. 124, in<br />
http://web.unife.it/convegni/amicuscuriae, 5.<br />
13 Anche l’incidente probatorio o la possibilità di compiere atti di indagine (per lo meno quelli di<br />
cui l’indagato deve essere informato, e per cui non opera il regime di segretezza) possono compromettere<br />
la serenità della funzione, eppure non sono coperti dalla sospensione del processo. Tale considerazione<br />
ha indotto ad affermare che la serenità della funzione non può essere il vero bene tutelato<br />
dalla norma, E. MARZADURI, Il futuro della norma è già segnato dalla giurisprudenza costituzionale,<br />
in Guida dir., 9 agosto 2008, n. 32, 9.
Legge Alfano ed indagini preliminari: le ragioni di un’inammissibilità<br />
la ragionevole durata della procedura, che imporrebbe di anticipare ogni atto che non ha<br />
effetti sulla serenità della funzione, risulterebbero senza una valida ragione irrimediabilmente<br />
compromessi.<br />
3. L’incongruità dell’interpretazione fornita dal G.i.p., tuttavia, ha l’effetto, che pure<br />
non parrebbe agevole da ottenere, di rendere ancor più marcata la già forte eterodossia<br />
costituzionale della legge, e si tratta di profilo reso ancor più interessante dal fatto di<br />
possedere un forte (e negli anni crescente) rilievo processuale.<br />
Non compare, infatti, in seno alla parte della motivazione dedicata alla rilevanza, alcun<br />
tentativo di interpretazione costituzionalmente conforme, che peraltro non sembra<br />
incongruo collocare, nell’iter operativo del giudice a quo, in un momento precedente il<br />
controllo sulla rilevanza. Con le considerazioni che seguono si intende dimostrare che lo<br />
svolgimento di siffatto fondamentale adempimento avrebbe indotto il giudice a quo ad<br />
un’interpretazione <strong>dei</strong> rilevanti nomina juris tanto netta da suggerirgli, unitamente alle<br />
viste ragioni di stampo testuale e sistematico, di rinunciare a proporsi come tale.<br />
In prima approssimazione, è possibile osservare che l’inclusione della fase delle indagini<br />
preliminari sotto il cono di luce della l. n. 124 del 2008 si riflette sulla ragionevolezza<br />
complessiva della differenziazione operata, rendendola quantomeno più ardua da ammettere.<br />
L’impatto sui concorrenti, più volte ricordati principi costituzionali sarebbe infatti<br />
chiaramente più deciso non soltanto sul piano puramente “quantitativo” (giacché la loro<br />
compressione, ragionevole o meno, non sarebbe confinata alla fase del processo stricto<br />
sensu, ma deborderebbe nell’ulteriore fase delle indagini), ma anche ad un livello “qualitativo”.<br />
La relazione intercorrente tra il procedimento penale complessivamente inteso ed<br />
il supposto bene giuridico specificamente tutelato dall’innovazione legislativa (la serenità<br />
di svolgimento delle funzioni) 14 non è affatto costante lungo il dipanarsi della sequenza<br />
delle fasi: questo merita infatti, nel bilanciamento da effettuare sullo sfondo della fase delle<br />
indagini preliminari, l’attribuzione di un “peso” certamente non elevato, destinato ad<br />
aumentare nel passaggio al contesto delle fasi processuali, per raggiungere, peraltro,<br />
l’apice nel giudizio 15 , in ragione della cangiante specifica disciplina codicistica.<br />
Ad un esame più accurato, tuttavia, si osserva che la carenza di un tentativo di interpretazione<br />
costituzionalmente conforme ha rilievo anche sotto un profilo meno lampante,<br />
che ben si apprezza nel confronto tra la situazione giuridica <strong>dei</strong> Presidenti di Assemblea<br />
che scaturirebbe nell’ipotesi che la legge n. 124 del 2008 operasse anche in fase di<br />
indagini preliminari e quella <strong>dei</strong> membri comuni delle Camere che beneficino della<br />
mancata (o non ancora concessa, come confermato dall’art. 4, c. 2 della l. n. 140 del<br />
2003) autorizzazione “al compimento di determinati atti” (così l’art. 2 della stessa legge,<br />
intervenuto sull’art. 343 c.p.p. in attuazione della riforma costituzionale del 1993): le<br />
differenze sono considerevoli, e meritavano considerazione del tutto a prescindere dal<br />
fatto che nel caso di specie la figura coinvolta fosse il Presidente del Consiglio.<br />
14 In senso leggermente diverso si esprime la Relazione al Disegno di legge, che allude a “principi<br />
di continuità e di regolarità nell’esercizio delle più alte funzioni pubbliche”: che invero parrebbe rimandare<br />
ad istituti come l’assunzione della testimonianza del Presidente della Repubblica e di grandi<br />
ufficiali dello Stato di cui all’art. 205 c.p.p., che peraltro rappresenta senz’altro un’immunità (G.F.<br />
CIAURRO, voce Prerogative costituzionali, Enc. dir., vol. XXXV, 1986, 5) la cui previsione con legge<br />
non desta alcun tipo di perplessità, proprio in ragione di quell’armonia rispetto ai principi fondamentali<br />
dello Stato di diritto cui fece riferimento nella sent. n. 24/2004 la Corte cost.<br />
15 Cfr. ORLANDI, Questioni processuali, cit., par. 2.<br />
91
92<br />
Margherita Cerizza - Marco Mazzarella<br />
Su un versante avremo, per i soli Presidenti, l’ipotizzata sospensione ipso iure di tutte<br />
le attività di indagine: accanto all’incidente probatorio (rectius, quanto ne resta: cfr.<br />
poco infra), “dal funere nefando” paiono salvarsi soltanto le misure cautelari e le c.d.<br />
misure precautelari, che sottraendosi ad una piena ed esclusiva riconduzione ad esigenze<br />
istruttorie, paiono infatti almeno in parte refrattarie all’inibizione delle attività di indagine<br />
e processuali.<br />
Sull’altro versante, invece, la mancata “autorizzazione a procedere” (rectius, “ad acta”)<br />
preserva oggi i parlamentari soltanto da quattro istituti (o famiglie di istituti) ex art.<br />
68, commi 2 e 3 Cost., come interpretati dall’art. 2, comma 1 della l. n. 140 del 2003<br />
(non illegittimamente, secondo Corte cost., sent. n. 120/2004): perquisizioni ed ispezioni;<br />
provvedimenti privativi della libertà personale (misure cautelari, cd. misure precautelari,<br />
di sicurezza o prevenzione; accompagnamento coattivo); sequestro di corrispondenza<br />
ed acquisizione di tabulati telefonici; intercettazioni di ogni tipo.<br />
L’esperibilità di ogni altro atto di indagine è confermata poi dall’art. 346 c.p.p. (che<br />
pure tiene ferma la disciplina dell’art. 343 c.p.p., che la novella del 2003 ha provvisto di<br />
una limitazione dell’applicabilità dell’art. 346 stesso astretta ora agli effetti di una clausola<br />
di compatibilità rispetto all’art. 343): a carico del parlamentare coperto da negata<br />
autorizzazione (che è “condizione di procedibilità che può ancora sopravvenire” ai sensi<br />
dell’art. 345, comma 1) deve egualmente praticarsi da una parte l’“assicurazione delle<br />
fonti di prova” e, “quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove previste<br />
dall’articolo 392”: la disposizione necessita di qualche annotazione.<br />
Il primo cluster di istituti è connotato dall’art. 348 c.p.p. quale raccolta di “ogni elemento<br />
utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole”, locuzione<br />
poi esplicitata da un elenco non tassativo che comprende la “ricerca delle cose e delle<br />
tracce pertinenti al reato”, “la conservazione di esse e dello stato <strong>dei</strong> luoghi”, la ricerca<br />
delle persone informate e comunque il compimento degli atti indicati dagli artt. 350-<br />
354, i quali aggiungono al quadro l’assunzione di sommarie informazioni dalle persone<br />
informate e dall’indagato (queste ultime praticabili dal 2003 solo con il consenso dello<br />
stesso, ex art. 343, comma 3), le perquisizioni, l’acquisizione di plichi e di corrispondenza,<br />
i c.d. sopralluoghi. Apparentemente tratte in salvo, non sono tuttavia praticabili,<br />
naturalmente, le quattro famiglie di istituti menzionate dall’art. 68 Cost. (e poi dagli artt.<br />
343 c.p.p. e 4 della l. n. 140), in quanto la disposizione del codice è unica per tutte le ipotesi<br />
di condizioni di procedibilità che possono ancora sopravvenire, e va adattata ai<br />
diversi casi.<br />
Conclusivamente, tutte le attività che residuano al termine di questa sorta di “ritaglio”<br />
sono tranquillamente praticabili anche nei confronti <strong>dei</strong> parlamentari (indagati ma)<br />
coperti da mancata autorizzazione camerale.<br />
Dal canto suo, l’incidente probatorio, a ben vedere, in nessuna delle due circostanze<br />
appare richiamato sic et simpliciter: come già visto, da una parte, l’istituto sembra filtrato<br />
nella l. n. 124 del 2008 dall’onere che la prova sia effettivamente non rinviabile, e<br />
dunque ristretto nell’ambito di applicazione; dall’altra, l’art. 346 c.p.p. asserisce che<br />
“quando vi è pericolo nel ritardo, possono essere assunte le prove previste dall’articolo<br />
392”: detto richiamo sembra limitato alle prove in esso menzionate ed alle modalità di<br />
assunzione (il contraddittorio), mentre i presupposti sostanziali sembrano sostituiti in<br />
toto dal più generico ed ampio riferimento al periculum in mora, che allarga la fattispecie<br />
rispetto a quella dell’art. 392, quale ragionevole compensazione della quantomeno<br />
procrastinata prosecuzione delle indagini indotta dalla mancanza temporanea delle condizioni<br />
di procedibilità.<br />
Venendo finalmente a confrontare le due situazioni, risulterebbero egualmente pre-
Legge Alfano ed indagini preliminari: le ragioni di un’inammissibilità<br />
clusi solo i tre istituti puramente istruttori di cui all’art. 68 Cost. (perquisizioni ed ispezioni,<br />
sequestro di corrispondenza, intercettazioni), per i quali la garanzia della sospensione<br />
rende superflue per i Presidenti quelle di cui all’art. 68 Cost., mentre sull’ampio<br />
novero degli altri atti la l. n. 124 del 2008 interverrebbe specializzando l’immunità. In<br />
ogni caso, una forte forma di specializzazione è pur sempre contemplata nella diversa<br />
disciplina procedimentale, che vede contrapposta un’autorizzazione camerale all’operatività<br />
ipso iure, salva una rinuncia che comunque non può essere selettiva. Ma anche<br />
ammettendo un’identica configurazione dell’incidente probatorio nelle due situazioni,<br />
esso, unico strumento di indagine applicabile ai Presidenti, essendo comunque riservato<br />
al G.i.p. e richiedendo requisiti sostanziali consistenti, risulterebbero nettamente meno<br />
efficace, dal punto di vista dell’accusa, rispetto alla comune attività di indagine che, salvi<br />
atti specifici e limitati è praticabile nei confronti del parlamentari comuni, che non<br />
prevede presupposto alcuno (se non l’iscrizione ex art. 335 c.p.p.) e demanda ogni decisione<br />
al pubblico ministero, quando non direttamente alla Polizia giudiziaria, prima che<br />
questi intervenga.<br />
Ebbene, una così forte differenza di regime non sembra affatto giustificabile allegando<br />
la peculiarità del ruolo assunto dai Presidenti nel contesto delle rispettive Assemblee.<br />
Un’ultima riflessione. Sempre immaginando che la sospensione operi anche in fase<br />
di indagini, si osserva che le misure cautelari, in sé non coinvolte nelle preclusioni, e<br />
quindi assoggettate solo all’autorizzazione ex art. 68, comma 2 Cost., sarebbero al centro<br />
di un’ulteriore assurdità giuridica: nell’ipotesi, remota ma sempre possibile, che i<br />
Presidenti non ottengano il diniego di autorizzazione alla misura, si perverrebbe ad una<br />
situazione paradossale che li vedrebbe magari costretti in carcere (si direbbe per il termine<br />
massimo possibile, parendo applicabile al caso immaginato l’art. 304, comma 1, a)<br />
c.p.p.) ma in costanza di una sospensione integrale dell’attività procedimentale (scongiurabile<br />
solo con la rinuncia alla sospensione), e dunque senza alcun senso pur in presenza<br />
di tutti i presupposti indicati agli artt. 273-274 c.p.p. Se tutto questo è assurdo in<br />
fase di processo, ancor maggiore incongruità dovrà ravvisarsi per la fase delle indagini,<br />
laddove l’esigenza istruttoria, utile anche e magari soprattutto a discarico dell’indagato,<br />
è ben più forte che in una fase quale il giudizio, o addirittura tra il primo grado e quello<br />
di appello, ipotesi in cui, già intervenuta una condanna, la possibilità di una nuova istruzione<br />
sarebbe limitata ed eventuale, ai sensi del 603 c.p.p.<br />
Quanto detto vale ancor più per la corrispondente differenza tra il Presidente del<br />
Consiglio e i ministri per reati ministeriali: è certamente vero che l’art. 95 Cost. sembra<br />
capace di differenziare il primo dai secondi ben più di quanto i Presidenti delle Camere<br />
siano differenziabili dai parlamentari comuni, ma non può sfuggire che una sospensione<br />
totale e una mera autorizzazione a procedere sono assolutamente incommensurabili. Peraltro,<br />
è questione non qui direttamente rilevante ma significativa quella legata al confronto<br />
instaurabile tra i diversi reati attribuibili al Presidente del Consiglio, per cui, ribaltando<br />
l’intera logica generale dell’immunità di cui all’art. 96 Cost., sarebbe in astratto<br />
più forte la tutela da questi goduta per i reati comuni piuttosto che per quelli ministeriali.<br />
4. Alla luce di tutte le considerazioni svolte, emerge la quasi assenza di ragioni che<br />
possano fornire un fondamento giuridico della scelta del G.i.p. romano, che peraltro ha<br />
sollevato la questione senza con questo assecondare alcuna istanza di parte. A ben vedere,<br />
infatti, parrebbe difficile individuare un interesse in capo alla pubblica accusa, che in<br />
caso di accoglimento della questione otterrebbe comunque un’utilità inferiore a quella<br />
93
94<br />
Margherita Cerizza - Marco Mazzarella<br />
cui avrebbe avuto accesso se il G.i.p. avesse ritenuto l’inapplicabilità della sospensione<br />
alla fase delle indagini preliminari, atteso che,con il sollevamento della questione<br />
l’attività di indagine rimane comunque sospesa (salvi solo gli “atti urgenti” ex art. 3,<br />
comma 3, c.p.p.), a tutto detrimento dell’efficacia del procedimento ed in particolare<br />
dell’esercizio dell’azione penale, con potenziali pregiudizi, peraltro, anche a danno<br />
dell’imputato, che non potrebbe comunque beneficiare della raccolta di prove a discarico<br />
da parte dell’accusa. Senza considerare, poi, che la sospensione per questione di legittimità<br />
costituzionale determina una situazione quasi identica, sul piano degli atti di<br />
indagine espletabili, a quella che si crea applicando il Lodo, appunto quella che si vorrebbe<br />
evitare instaurando il giudizio incidentale.<br />
Prediligendo dunque un sommesso non liquet circa le ragioni che possano aver indotto<br />
il G.i.p. a farsi giudice a quo, peraltro per primo (giacché le due ordinanze milanesi<br />
sono una successiva e l’altra coeva), sia qui consentito formulare l’auspicio che la Corte<br />
scelga una risoluta pronuncia di manifesta inammissibilità.
QUIRINALE E LEGGE ALFANO:<br />
RIFLESSIONI SULLE ESTERNAZIONI PRESIDENZIALI<br />
di DANIELE CHINNI *<br />
SOMMARIO: 1. I comunicati del Presidente della Repubblica sulla Legge Alfano. – 2. Il Capo dello<br />
Stato tra funzione di garanzia e funzione arbitrale. – 3. Il Presidente non è la Corte, la Corte non è il<br />
Presidente<br />
1. Il rapidissimo iter legislativo della c.d. Legge Alfano è stato, come è noto, aperto e<br />
chiuso da due comunicati 1 del Presidente della Repubblica, con i quali questi ha inteso<br />
motivare la propria scelta di autorizzare la presentazione del disegno di legge, prima, e<br />
di promulgare la legge, poi.<br />
In sede di autorizzazione il Capo dello Stato ha avuto come punto di riferimento la<br />
sent. n. 24/2004 della Corte cost., dichiarativa dell’illegittimità dell’art. 1 della l. n. 140<br />
del 2003. Si sottolineava, allora, che «a un primo esame – quale compete al Capo dello<br />
Stato in questa fase – il disegno di legge approvato il 27 giugno dal Consiglio <strong>dei</strong> ministri<br />
è risultato corrispondere ai rilievi formulati in quella sentenza» 2 .<br />
Successivamente il Presidente della Repubblica, evidenziando che, fatta eccezione per una<br />
«integrazione al comma 5 dell’articolo unico diretta a meglio delimitarne l’ambito di applicazione»,<br />
l’impianto del provvedimento era rimasto lo stesso, si è determinato a promulgare la<br />
legge «sulla base del medesimo riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale» 3 .<br />
In dottrina si è sempre posto in evidenza che la ratio del potere di autorizzazione<br />
«consiste nel verificare se i disegni in esame siano immuni da vizi così gravi che il Parlamento<br />
non dovrebbe nemmeno prenderne visione» 4 , sottolineandosi allo stesso tempo<br />
come «autorizzazione e promulgazione costituisc[ano] due momenti del tutto diversi entro<br />
il procedimento legislativo, per oggetto e per ambito della funzione di tutela cui si<br />
riferiscono: solo nel secondo caso sarà possibile operare un sindacato più analitico alla<br />
luce delle risultanze del dibattito parlamentare, cosicché le due circostanze, pur collegate,<br />
non si sovrappongono o condizionano l’un l’altra» 5 .<br />
*<br />
Dottorando di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali, Università di Pisa.<br />
1<br />
A. PUGIOTTO, Letture e riletture della sentenza costituzionale n. 24 del 2004, in Giur. it., 2009,<br />
782, li definisce «irrituali» perché «ex art. 74, 1° comma si motivano i rinvii non le autorizzazioni,<br />
non le promulgazioni».<br />
2<br />
il comunicato, del 2 luglio 2008, può esser letto in http://www.quirinale.it<br />
3<br />
il comunicato, del 23 luglio 2008, è anch’esso disponibile in http://www.quirinale.it<br />
4<br />
L. PALADIN, Presidente della Repubblica, in Enc. Dir., Giuffrè, Milano, 1986, 215.<br />
5<br />
G.M. SALERNO-B. MALAISI, Art. 87, in BIFULCO-CELOTTO-OLIVETTI (a cura di), Comm. Cost.,<br />
Utet, Torino, 2006, 1696.
96<br />
Daniele Chinni<br />
Il comunicato del 23 luglio, invece, «testimonia che il vero controllo esercitato dal<br />
Capo dello Stato [è] stato quello effettuato in sede di autorizzazione alla presentazione<br />
del D.D.L., di contro alla qualificazione di riscontro liminare, “a prima vista”, contenuta<br />
nel primo comunicato e che, per converso, quello compiuto in sede di promulgazione<br />
non [ha] attinto ad un livello di maggiore approfondimento, che pure quella qualificazione<br />
avrebbe fatto immaginare» 6 . Una osservazione, questa, confortata dalla tempistica<br />
di autorizzazione e promulgazione: se la prima segue di quasi una settimana la delibera<br />
del Consiglio <strong>dei</strong> Ministri, avvenuta il 27 giugno, la seconda avviene il giorno successivo<br />
l’approvazione definitiva da parte del Senato della Repubblica. Ebbene, è questo un<br />
fatto su cui credo sia utile riflettere.<br />
Guardando poi al contenuto <strong>dei</strong> comunicati, qui interessa mettere in luce ciò che<br />
manca piuttosto che ciò che c’è. Il Presidente della Repubblica, come si è detto, tanto<br />
nei due comunicati quanto qualche giorno dopo in occasione della cerimonia del Ventaglio<br />
7 , ha tenuto a sottolineare che punto di riferimento, nell’esercizio <strong>dei</strong> suoi poteri, è<br />
stata in ogni momento la sent. n. 24/2004 della Corte costituzionale, che ha giudicato<br />
«“un interesse apprezzabile” la tutela del bene costituito dalla “assicurazione del sereno<br />
svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono [le alte cariche dello Stato]”, rilevando<br />
che tale interesse “può essere tutelato in armonia con i princìpi fondamentali dello<br />
Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale”, e stabilendo<br />
a tal fine alcune essenziali condizioni”». È tenendo presenti queste affermazioni<br />
del giudice delle leggi, evidentemente, che il Capo dello Stato ha ritenuto che la Legge<br />
Alfano potesse essere considerata conforme ai rilievi dallo stesso giudice delle leggi<br />
formulati 8 .<br />
Eppure, v’è un passo della sentenza, che pure sorregge il dispositivo, al quale la<br />
Legge Alfano ha inteso dare risposta soltanto in minima parte. Intendo riferirmi al<br />
punto 8 del Considerato in diritto, laddove la Corte evidenzia che il c.d. Lodo Maccanico-Schifani<br />
«accomuna in unica disciplina cariche diverse non soltanto per le fonti<br />
di investitura, ma anche per la natura delle funzioni e distingue, per la prima volta sotto<br />
il profilo della parità riguardo ai principi fondamentali della giurisdizione, i Presidenti<br />
delle Camere, del Consiglio <strong>dei</strong> ministri e della Corte costituzionale rispetto agli<br />
altri componenti degli organi da loro presieduti», finendo per presentare «gravi elementi<br />
di intrinseca irragionevolezza». É, questo, un punto sul quale la l. n. 24 del 2008<br />
tace quasi del tutto, limitandosi ad espungere dal novero delle alte cariche beneficiarie<br />
della sospensione processuale il Presidente della Corte costituzionale, andando dunque<br />
incontro alle stesse censure di costituzionalità mosse all’art. 1 della l. n. 140 del<br />
2003 9 . Neppure un cenno, invece, nei due comunicati presidenziali, che pure sembrerebbero<br />
voler riscontrare la conformità della legge de qua a tutti i rilievi, nessuno escluso,<br />
della sentenza costituzionale.<br />
6<br />
P. CARNEVALE, La legge n. 124/2008 e le sue vicende. Appunti per un’analisi, Giur. it., 2009, 777.<br />
Analogamente in questo <strong>volume</strong>, R. PINARDI.<br />
7<br />
Come ha osservato M. RUOTOLO, Legge Alfano e vizio da riproduzione di norme dichiarate incostituzionali,<br />
in Giur. it., 2009, 785, nt. 20.<br />
8<br />
Per un attento e accurato parallelo tra la l. n. 24 del 2008 e l’art. 1 della l. n. 140 del 2003, v. P.<br />
CARNEVALE, La legge, cit.<br />
9<br />
Lo hanno notato, tra gli altri, A. PACE, “Cinque pezzi facili”: l’incostituzionalità della legge Alfano,<br />
in http://www.associazione<strong>dei</strong>costituzionalisti.it; A. PUGIOTTO, Letture, cit., 782; F. MODUGNO,<br />
Introduzione, in Giur. it., 2009, 770. In questo <strong>volume</strong>, v. i contributi di F. FURLAN, G. GALIPÒ, R.<br />
PINARDI, A. RUGGERI, A. SPERTI, G. VIGEVANI e N. ZANON.
Quirinale e legge Alfano: riflessioni sulle esternazioni presidenziali<br />
2. Stando così le cose, v’è da chiedersi quali siano state le motivazioni che hanno indotto<br />
il Capo dello Stato a rilasciare i due comunicati e, soprattutto, come mai si sia insistito<br />
sulla conformità ai rilievi della sentenza del 2004 di una legge che «comunque la<br />
si pensi sul punto, si presenta ad alto grado di problematicità sul fronte della compatibilità<br />
a Costituzione» 10 .<br />
Orbene, chi scrive ritiene che le esternazioni presidenziali possano trovare radice in<br />
più d’una ragione. Innanzitutto, è probabile che un certo peso lo abbia avuto il precedente<br />
di ormai sei anni fa. Allora, il Presidente Ciampi non ritenne di motivare pubblicamente<br />
la promulgazione del Lodo Maccanico-Schifani. Si trovò “costretto” a farlo qualche<br />
giorno dopo a Berlino, preso in contropiede 11 da una «imprevista e non protocollare<br />
domanda di una studentessa italiana in trasferta» 12 , quando sostenne che le leggi possono<br />
essere rinviate alle Camere solo in caso di «manifesta non costituzionalità». Oggi, il<br />
Presidente Napolitano, conscio della rilevanza del disegno di legge e dell’attenzione di<br />
larga parte dell’opinione pubblica, ha ritenuto di rendere pubbliche le proprie ragioni sin<br />
da subito, secondo una linea di condotta che sembra aver caratterizzato i suoi primi tre<br />
anni di mandato, ogni qualvolta l’esercizio <strong>dei</strong> poteri presidenziali sia risultato suscettibile<br />
di divenire oggetto di dibattito pubblico.<br />
In secondo luogo, non può non tenersi nella dovuta considerazione il momento storico-istituzionale<br />
in cui si muoveva il Capo dello Stato nel luglio 2008. È sin troppo semplice<br />
ricordare come all’indomani delle elezioni dell’aprile 2008 il quadro politico del<br />
nostro paese sia radicalmente mutato, con la presenza in Parlamento di assai meno<br />
gruppi politici di quanto non fosse nella legislatura precedente, ed in particolare con la<br />
novità di due partiti che, presentatisi in quanto tali per la prima volta alle elezioni, hanno<br />
ottenuto insieme 493 seggi alla <strong>Camera</strong> e 264 seggi al Senato. Dalla straordinaria frammentazione<br />
politico-partitica della XV legislatura – che ha comportato per il Presidente<br />
Napolitano «un inaspettato “accumulo di prestazioni”, che [hanno visto] giustapporsi<br />
alla funzione di garanzia e di rappresentanza dell’unità nazionale anche quella di garante<br />
della stabilità istituzionale» 13 – si è passati ad una situazione in cui, se non di bipartitismo<br />
vero e proprio, quanto meno di una accentuata tendenza al bipartitismo è inevitabile<br />
parlare. In una tale situazione politico-partitica, in cui, proprio perché all’indomani del<br />
momento elettorale, la contrapposizione tra i partiti di maggioranza e quelli di opposizione<br />
non poteva che essere più netta, qualsivoglia intervento del Capo dello Stato per<br />
costituzionalmente corretto (o doveroso) che potesse essere, rischiava di essere preso<br />
come l’atto di una parte, più che come quello di un super partes, con l’inevitabile e conseguente<br />
delegittimazione del ruolo presidenziale: «come un arbitro che deve far rispettare<br />
certe regole del gioco e come un pouvoir modérateur et intermédiaire, il presidente<br />
deve essere accettato come tale dalle parti che giocano la partita politica» 14 . Un even-<br />
10<br />
P. CARNEVALE, La legge, cit., 777.<br />
11<br />
Tanto che A. PUGIOTTO, «Veto players» e dinamiche istituzionali nella vicenda del «lodo Maccanico»,<br />
in Quad. cost., 2004, 270, legge questa esternazione «in chiave di autodifesa, di giustificazione<br />
contingente».<br />
12<br />
C. CHIMENTI, Quirinale e rinvio delle leggi alle Camere, in http://www.forumcostituzionale.it<br />
13<br />
M.C. GRISOLIA, Il Presidente Napolitano e il potere di esternazione, in<br />
http://www.forumcostituzionale.it<br />
14<br />
A. BALDASSARRE-C. MEZZANOTTE, Gli uomini del Quirinale. Da De Nicola a Pertini, Laterza,<br />
Bari, 1985, 308. Più di recente, compiutasi l’evoluzione in senso maggioritario del sistema politico,<br />
E. CACACE, La Presidenza della Repubblica nella democrazia bipolare e maggioritaria, in Quad.<br />
cost., 2008, 315, ha efficacemente messo in luce come «la capacità del Presidente non solo di essere,<br />
97
98<br />
Daniele Chinni<br />
tuale rinvio della Legge Alfano avrebbe potuto comportare uno scontro tra il Quirinale e<br />
i partiti di maggioranza, appena usciti vittoriosi dalla competizione elettorale, che, credo<br />
saggiamente, il Presidente Napolitano ha voluto evitare, ben sapendo che «la pubblica<br />
opinione e i media che valgono a formarla non valutano l’attività presidenziale alla stregua<br />
di regole giuridiche o di correttezza costituzionale, per verificare fino a quale punto<br />
il Presidente abbia adempiuto alle proprie funzioni, ma prendono immediatamente in<br />
considerazione il merito degli orientamenti e delle scelte imputabili al Capo dello Stato;<br />
ed anche le forze politiche organizzate tendono a giudicare di tale attività con un metro<br />
politicizzato, apprezzandola in vista <strong>dei</strong> loro contingenti obiettivi ed interessi» 15 .<br />
La delicatezza del momento politico-istituzionale è segnalata anche dalla circostanza<br />
per cui l’iter della Legge Alfano è corso su un binario parallelo a quello della legge di<br />
conversione del d.l. n. 92 del 2008, il c.d. decreto-sicurezza. Anzi, è stato giustamente<br />
affermato che la l. n. 24 del 2008 «è figlia immediata e diretta della presentazione<br />
dell’emendamento – c.d. blocca-processi – introdotto in sede di conversione in legge al<br />
testo» 16 del decreto di cui andiamo discorrendo, tanto che le vicende dell’emendamento<br />
de quo sono state poste «in immediata relazione con la legge in questione, a stare quantomeno<br />
ad esplicite dichiarazioni di autorevoli membri della maggioranza, secondo cui<br />
l’eventuale approvazione della norma che sospende i processi per le alte cariche dello<br />
Stato avrebbe reso “molto meno rigida la norma sulla sospensione <strong>dei</strong> processi contenuta<br />
nel decreto sicurezza”» 17 . A togliere ogni dubbio, caso mai ce ne fossero, ha pensato<br />
una missiva del Presidente del Consiglio Berlusconi al Presidente del Senato Schifani in<br />
cui si annunciava la volontà di proporre al «Consiglio <strong>dei</strong> Ministri di esprimere parere<br />
favorevole sull’emendamento in oggetto e di presentare un disegno di legge per evitare<br />
che si possa continuare ad utilizzare la giustizia contro chi è impegnato ai più alti livelli<br />
istituzionali nel servizio dello Stato» 18 . I fatti hanno finito per confermare questa chiave<br />
di lettura, tanto che si è autorevolmente affermato che «il legislatore italiano ha dunque<br />
scelto la strada peggiore, accettandola come un minor male rispetto alla minaccia della<br />
clausola blocca-processi per una moltitudine di procedimenti» 19 . Dinanzi ad un dilemma<br />
molto simile si trovava il Presidente della Repubblica: fermare la Legge Alfano, con<br />
la certezza che sarebbe stata approvata la legge di conversione con il testo originario<br />
dell’emendamento blocca-processi; oppure optare per il “male minore”, autorizzando e<br />
promulgando la legge sulla sospensione <strong>dei</strong> processi per le alte cariche, ben sapendo che<br />
ne sarebbe conseguita una profonda modifica del temuto emendamento al decretosicurezza.<br />
Certo, potrebbe dirsi che c’era un’altra strada ancora: rinviare entrambe le<br />
leggi alle Camere ex art. 74 Cost. Far ciò, tuttavia, non solo avrebbe con molta probabilità<br />
comportato la decadenza del c.d. decreto-sicurezza, con tutti i problemi a ciò connessi,<br />
in particolare perché si verteva in materia penale, ma avrebbe soprattutto determi-<br />
ma anche di apparire imparziale e anche il suo sapersi fare rispettare e apprezzare dal più ampio numero<br />
di cittadini risultano infatti assai utili al fine di esercitare poteri concepiti in termini di garanzia<br />
del sistema, ma che inevitabilmente vanno ad incidere sulle decisioni politiche prese dagli organi<br />
d’indirizzo».<br />
15 L. PALADIN, Presidente, cit., 242.<br />
16 P. CARNEVALE, La legge, cit., 774. nello stesso senso, in questo <strong>volume</strong>, G.M. SALERNO, M.C.<br />
GRISOLIA, N. LUPO.<br />
17<br />
Ancora P. CARNEVALE, La legge, cit., 774. Le parole tra virgolette sono dell’on. Pecorella, Adnkronos,<br />
26 giugno 2008.<br />
18<br />
La lettera, del 16 giugno 2008, può essere letta in http://www.governo.it.<br />
19<br />
L. ELIA, Sul c.d. Lodo Alfano, in http://www.associazione<strong>dei</strong>costituzionalisti.it.
Quirinale e legge Alfano: riflessioni sulle esternazioni presidenziali<br />
nato uno scontro istituzionale di non poco conto: e perché nel d.l. n. 92 del 2008 erano<br />
contenute una serie di norme che intendevano dare immediata attuazione a parte del<br />
programma politico della coalizione uscita vincente dalle elezioni dell’aprile 2008, e<br />
perché la legge Alfano, come lo stesso Presidente del Consiglio aveva messo per iscritto<br />
nella lettera al Presidente del Senato, intendeva «introdurre anche nel nostro Paese quella<br />
norma di civiltà giuridica e di equilibrato assetto <strong>dei</strong> poteri che tutela le alte cariche<br />
dello Stato e degli organi costituzionali, sospendendo i processi e la relativa prescrizione,<br />
per la loro durata in carica» con il dichiarato fine di porre un freno ad un supposto<br />
uso della «giustizia a fini mediatici e politici». Il Presidente della Repubblica ha, insomma,<br />
scelto «d’interpretare un ruolo arbitrale tra gli schieramenti parlamentari più<br />
che di garanzia della legalità costituzionale» 20 , cercando, per quanto possibile, di attenuare<br />
lo scontro tra le opposte forze politiche. Una scelta che non può destare meraviglia,<br />
sol che si pensi che «le richieste presidenziali dipend[ono] – nell’an, nel quomodo<br />
e nel quando – da libere valutazioni del Capo dello Stato, tenendosi conto non solo<br />
dell’esigenza di far osservare la Costituzione, ma anche e soprattutto <strong>dei</strong> riflessi che il<br />
fatto di esercitare il potere in questione potrebbe produrre sul complessivo funzionamento<br />
delle istituzioni, cioè sul vero oggetto della garanzia che al Presidente è affidata»<br />
21 .<br />
3. Se è corretto quanto siamo andati sinora dicendo, si riesce a dare risposta a quanto<br />
ci siamo chiesti. La decisione di svolgere un ruolo arbitrale piuttosto che di garanzia, infatti,<br />
non poteva significare rinunciare del tutto al secondo, in specie allorché determinandosi<br />
a motivare il proprio agire il Presidente della Repubblica ben sapeva di esporsi<br />
più di quanto non sarebbe potuto accadere senza esternare, non essendo «ammissibile<br />
che il capo dello Stato prenda posizione pubblica e pretenda di rimanere al di sopra della<br />
polemica politica» 22 . Fare riferimento alla sentenza della Corte, ed anzi su di essa fondare<br />
il proprio operato, sembra essere stato, allora, il modo in cui il Presidente è riuscito<br />
a trovare un bilanciamento tra i due ruoli che doveva svolgere, quello arbitrale tra le parti<br />
politiche e quello di garante della Costituzione.<br />
Si è messo in luce da più parti come un simile atteggiamento possa finire per esercitare<br />
un non irrilevante condizionamento nei confronti della Corte costituzionale che,<br />
chiamata a decidere sulla costituzionalità della l. n. 24 del 2008, dovrà «argomentare in<br />
modo da evitare di «dar torto al Presidente», senza tuttavia dover necessariamente «dar<br />
torto a se stessa», nel senso di dar luogo ad una pronunzia in discontinuità rispetto al<br />
precedente della sentenza n. 24» 23 .<br />
Chi scrive ritiene che un tale rischio vada ridimensionato. Innanzitutto, può osservarsi<br />
che un certo grado di condizionamento potrebbe essere stato svolto dalla Corte nei<br />
confronti del Quirinale: era stata infatti la sent. n. 24 a ritenere, come già si è indicato,<br />
un «interesse apprezzabile» la tutela del sereno svolgimento delle funzioni inerenti le<br />
alte cariche dello Stato. Questo passaggio della decisione non è passato affatto inosser-<br />
20<br />
A. PUGIOTTO, Letture, cit., 778.<br />
21<br />
L. PALADIN, Presidente, cit., 213.<br />
22<br />
G.U. RESCIGNO, Art. 87, in G. BRANCA (a cura di), Comm. Cost., Zanichelli, Roma-Bologna,<br />
1983, 195.<br />
23<br />
P. CARNEVALE, La legge, cit., 777-778. Di possibile condizionamento nei confronti della Corte<br />
parlano anche F. MODUGNO, Introduzione, cit., 771 e A. PUGIOTTO, Letture, cit., 782, nonchè, in questo<br />
<strong>volume</strong>, G.M. SALERNO, M.C. GRISOLIA, R. PINARDI.<br />
99
100<br />
Daniele Chinni<br />
vato ai promotori della Legge Alfano 24 che, nella stesura del testo, hanno tentato di rispettare<br />
i «paletti» 25 posti dalla Corte: non sarebbe allora stato semplice, per il Presidente,<br />
disconoscere lo sforzo da quelli compiuto al fine di venire incontro ai rilievi formulati<br />
dalla sentenza costituzionale.<br />
In secondo luogo, già da tempo è stato evidenziato che le funzioni di garanzia di Presidente<br />
della Repubblica e Corte costituzionale sono esercitate con modalità, termini e<br />
strumenti profondamente diversi 26 . È, questa, una circostanza che va tenuta altamente in<br />
considerazione, in specie allorché appaia evidente, come a chi scrive, la scelta del Capo<br />
dello Stato di svolgere una funzione arbitrale e di intermediazione. Una circostanza che,<br />
allo stesso tempo, dovrebbe indurre la Corte a svolgere pienamente la propria funzione<br />
di garanzia costituzionale, affatto «inibita» 27 dalle esternazioni presidenziali. In altri<br />
termini, il Presidente non è la Corte, la Corte non è il Presidente: non dovrà suscitare né<br />
meraviglia né scandalo se le conclusioni cui giungesse il giudice delle leggi dovessero<br />
divergere da quelle cui è giunto il Capo dello Stato.<br />
24<br />
Lo ricorda lo stesso Presidente del Consiglio nella già citata lettera al Presidente del Senato.<br />
25<br />
L. ELIA, La Corte ha fatto vincere la Costituzione, in Giur. cost., 2004, 397.<br />
26<br />
Per tutti, R. ROMBOLI, Presidente della Repubblica e Corte costituzionale, in LUCIANI-VOLPI (a<br />
cura di), Il Presidente della Repubblica, Il Mulino, Bologna 1997, 333 ss. Tali e tante le diversità di<br />
strumentario che M. LUCIANI, Introduzione, ivi, 17 ss., ritiene che unico organo di garanzia costituzionale<br />
propriamente intesa è la Corte costituzionale, la quale interviene con «atti giuridici definitivi<br />
e vincolanti». V. anche, in questo <strong>volume</strong>, le osservazioni di M.C. GRISOLIA.<br />
27<br />
Come dubitativamente paventa A. PUGIOTTO, Letture, cit., 782.
SUI VIZI PROCEDIMENTALI DEL C.D. LODO ALFANO<br />
di SALVATORE CURRERI *<br />
SOMMARIO: 1. La procedura d’esame del lodo Alfano alla <strong>Camera</strong>: un mix unico. – 2. L’esame in<br />
Commissione: profili formali e sostanziali. – 3. L’esame in Aula: il contingentamento <strong>dei</strong> tempi. –<br />
4. La Corte costituzionale sindacherà mai la mancata istruttoria legislativa?<br />
1. Vorrei riprendere l’intervento svolto in apertura da Chiara Bergonzini per richiamare<br />
la vostra attenzione sulla violazione dell’art. 72 Cost. prodottasi in occasione della<br />
approvazione del c.d. lodo Alfano. A mio parere, infatti, la procedura seguita costituisce<br />
un unicum perché frutto per la prima volta della contemporanea applicazione di precedenti,<br />
già singolarmente abbastanza discutibili. Da questo mix (Manzella parlerebbe di<br />
“spiedino” di precedenti) è scaturito un iter legis assolutamente anomalo, caratterizzato<br />
da una così sensibile compressione <strong>dei</strong> tempi di esame in commissione ed in aula, da indurmi<br />
a ritenere che sia stata violata la lettera e, ancor prima, la ratio del citato art. 72<br />
Cost. Vorrei quindi che tutti riflettessimo sull’importanza delle procedure parlamentari,<br />
che non sono un dato formale, come tale superfluo, ma sono la sostanza dell’esame di<br />
un provvedimento legislativo, perché dal loro rispetto dipende la correttezza e la chiarezza<br />
del confronto parlamentare.<br />
Il problema della riduzione <strong>dei</strong> tempi di esame <strong>dei</strong> disegni di legge in commissione<br />
non è certamente nuovo. Esso, infatti, è stato già posto in occasione dell’approvazione<br />
di leggi particolarmente importanti (penso alla c.d. Cirami, approvata in appena 15 giorni),<br />
financo costituzionali (v. l’iter di approvazione <strong>dei</strong> disegni di legge di riforma sia<br />
del Titolo V che della Parte II della Costituzione). Fu proprio in occasione della discussione<br />
della proposta di legge Cirami che la Giunta per il regolamento, nella seduta del<br />
26 settembre 2002, si occupò del problema, convenendo sull’esigenza di fissare parametri<br />
atti a garantire tempi adeguati di discussione. Ma, nonostante l’impegno preso, nessuna<br />
circolare presidenziale è stata da allora emanata in tal senso.<br />
Ciò nonostante (o forse per questo motivo), le due Commissioni della <strong>Camera</strong> – la I<br />
(affari costituzionali) e la II (giustizia) – alle quali il disegno di legge A.C. n. 1442 è stato<br />
congiuntamente assegnato, hanno complessivamente dedicato al suo esame appena 8<br />
ore e 5 minuti (5 ore e 5 minuti l’8 luglio e 3 ore il 9 luglio). Ciò a seguito della richiesta<br />
del Governo (art. 24.6 R.C.) di inserire subito in calendario il provvedimento presentato<br />
dal ministro Alfano appena 6 giorni prima (2 luglio 2008) al posto del disegno di legge<br />
di conversione del decreto l. n. 92/2008 sulla sicurezza, allora in discussione, che prevedeva<br />
tra l’altro la famigerata norma “blocca – processi”.<br />
Tale accelerazione non ha consentito un esame approfondito del disegno di legge e,<br />
soprattutto, ha impedito alle opposizioni di poter evidenziare nel merito, anche dinanzi<br />
* Associato di Istituzioni di diritto pubblico, Università Kore di Enna.
102<br />
Salvatore Curreri<br />
all’opinione pubblica, quei profili di incostituzionalità che stanno copiosamente emergendo<br />
in questo convegno. Come denunciato nella questione pregiudiziale presentata<br />
dal gruppo parlamentare del Partito democratico (n. 2 Soro ed altri) – molto opportunamente<br />
inserita dagli amici ferraresi tra i documenti scaricabili dal sito – “sotto il profilo<br />
procedurale, i ristrettissimi tempi di esame da parte della <strong>Camera</strong> non hanno permesso<br />
l’esercizio della funzione istruttoria, propria della Commissione in sede referente, che<br />
l’art. 72, comma 1, Costituzione prescrive quando stabilisce che «ogni disegno di legge,<br />
presentato ad una <strong>Camera</strong> è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una<br />
commissione e poi dalla <strong>Camera</strong> stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione<br />
finale»”.<br />
Non è un caso che la questione sia stata sollevata con maggiore puntualità alla <strong>Camera</strong><br />
anziché al Senato, nonostante anche in questo ramo del Parlamento le Commissioni<br />
riunite affari costituzionali e giustizia abbiano ugualmente dedicato all’esame del provvedimento<br />
un tempo estremamente ridotto (appena 5 ore e 5 minuti, cui però va aggiunto<br />
il tempo dedicato alle audizioni informali svolte presso gli Uffici di Presidenza delle<br />
suddette Commissioni dai presidenti emeriti della Corte Costituzionale Marini ed Elia, il<br />
quale ha avuto così modo di esprimere in uno <strong>dei</strong> suoi ultimi interventi pubblici la propria<br />
contrarietà al disegno di legge in discussione). L’art. 44.2 R.S., infatti, prevede che<br />
il Presidente del Senato possa stabilire un termine inferiore a quello originariamente<br />
previsto per la presentazione da parte delle Commissioni della relazione sui disegni di<br />
legge assegnati in sede referente e redigente “in relazione alle esigenze del programma<br />
<strong>dei</strong> lavori o quando le circostanze lo rendano opportuno”, dandone semplicemente comunicazione<br />
all’Assemblea. Tant’è che le questioni pregiudiziali presentate in quel ramo<br />
del Parlamento o contengono un riferimento generico e giuridicamente poco circostanziato<br />
alla violazione dell’art. 72 Cost. (questione pregiudiziale n. 1 presentata dagli<br />
on. Bellisario (Italia <strong>dei</strong> valori) ed altri), oppure addirittura non fanno alcun cenno a tale<br />
profilo d’incostituzionalità (così la questione pregiudiziale n. 2 presentata, a nome del<br />
PD, dai sen. Finocchiaro ed altri).<br />
2. Ritornando alla <strong>Camera</strong>, si pone il problema di cosa debba intendersi per “esame<br />
in commissione”; problema per certi aspetti analogo a quello riguardante la nozione di<br />
“articolo” sollevato dalla prassi <strong>dei</strong> maxi-emendamenti. In entrambi i casi, infatti, occorre<br />
chiedersi se ci si possa accontentare di una definizione meramente formale e vuota di<br />
significato, per cui l’esame di un progetto di legge in commissione equivale semplicemente<br />
alla sua assegnazione in sede referente, qualunque sia il tempo ad esso dedicato e<br />
senza che sia nemmeno necessario pervenire alla delibera di un testo finale da sottoporre<br />
al vaglio dell’Aula; oppure se i passaggi procedurali previsti dall’art. 72 Cost. debbano<br />
acquistare un significato sostanziale ed univoco tramite l’attuazione che di essi danno i<br />
regolamenti parlamentari.<br />
Quali sono state le ragioni giuridiche invocate dalla maggioranza per giustificare<br />
(nessuno ama apertamente ammettere che si stanno violando o, quantomeno, forzando le<br />
regole!) questa improvvisa accelerazione? Primariamente la possibilità per la Commissione<br />
di concludere l’esame di un disegno di legge e di presentare all’Assemblea la relazione<br />
finale prima del termine inizialmente previsto, anche quando inferiore ai due mesi<br />
dall’inizio dell’esame in sede referente (dovendosi tale termine previsto dall’art. 81.1<br />
R.C. intendersi come massimo e non minimo: v. ancora la citata seduta del 26 settembre<br />
2002 della Giunta per il regolamento) così da consentire all’Assemblea di iniziare<br />
l’esame del provvedimento il giorno previsto dal calendario. È la prassi della c.d. doppia
Sui vizi procedimentali del c.d. lodo Alfano<br />
calendarizzazione attraverso cui si prevede nel calendario una doppia data per l’inizio<br />
della discussione in Aula di un disegno di legge: la prima qualora la Commissione riesca<br />
a concludere in anticipo l’esame, la seconda di riserva allo scadere del termine inizialmente<br />
previsto.<br />
Ciò è esattamente quanto accaduto nel caso in esame. Il disegno di legge sul c.d lodo<br />
Alfano, annunziato nella seduta della <strong>Camera</strong> del 3 luglio 2008, era stato inizialmente<br />
inserito nel calendario dell’Assemblea a partire dal 28 luglio. Solo in un secondo momento<br />
il Presidente della <strong>Camera</strong>, in mancanza della prescritta maggioranza ponderata<br />
<strong>dei</strong> tre quarti in seno alla Conferenza <strong>dei</strong> capigruppo (art. 24.2 R.C.), decideva di inserire<br />
una seconda data per l’inizio dell’esame in Assemblea del disegno di legge (il 9 luglio),<br />
a condizione però che la Commissione ne avesse già concluso l’esame, così come<br />
prescritto dall’art. 23.5 R.C. Il significato della disposizione mi pare abbastanza chiaro:<br />
è possibile anticipare la discussione in Assemblea di un provvedimento solo se la Commissione<br />
ne abbia già concluso l’esame, senza dover attendere oltre. Non è, quindi, la<br />
Commissione a doversi adeguare ai tempi dell’Assemblea ma, viceversa, l’Assemblea<br />
che si deve adeguare ai tempi della Commissione, così da non pregiudicarne comunque<br />
l’essenziale funzione istruttoria. La calendarizzazione in Aula di un disegno di legge<br />
non comporta, pertanto, alcun obbligo per la Commissione di concluderne l’esame in<br />
tempi con essa compatibili.<br />
Ciò, invece, è esattamente quanto accaduto nel nostro caso. Per consentire all’Assemblea<br />
di iniziare l’esame del disegno di legge il 9 luglio, i Presidenti della commissioni<br />
affari costituzionali e giustizia, non essendosi raggiunta nell’Ufficio di presidenza<br />
unificato, integrato dai rappresentanti <strong>dei</strong> gruppi, la prescritta maggioranza ponderata<br />
<strong>dei</strong> tre quarti <strong>dei</strong> componenti della <strong>Camera</strong>, hanno deciso di modificare l’originario calendario<br />
<strong>dei</strong> lavori, avvalendosi <strong>dei</strong> poteri loro conferiti in tal caso dall’art. 25.1 R.C., al<br />
fine di dare priorità all’esame del disegno di legge Alfano già calendarizzato in Aula<br />
(art. 25.2 R.C.).<br />
Mi pare evidente l’inversione logico-temporale prodotta dall’interpretazione sostenuta<br />
dai Presidenti delle due Commissioni: non è stata, infatti, l’Assemblea ad anticipare la<br />
discussione del disegno di legge in questione perché la Commissione ne aveva già concluso<br />
l’esame ma, al contrario, è stata la Commissione a concluderne anticipatamente<br />
l’esame per permettere l’inizio della discussione in Assemblea.<br />
È evidente che in tal modo, per semplice decisione <strong>dei</strong> Presidenti di commissione, è<br />
possibile accelerare l’esame di qualunque disegno legislativo. Poiché si discute da tempo<br />
della necessità di introdurre una corsia preferenziale per i disegni di legge del governo,<br />
mi verrebbe da osservare che forse la corsia preferenziale c’è già, se come visto è<br />
possibile che, nonostante la contrarietà dell’opposizione, un disegno di legge sia esaminato<br />
ed approvato da un ramo del Parlamento in appena 3 giorni (precisamente 28 ore e<br />
5 minuti)!<br />
In tale contesto merita di essere evidenziato il ruolo svolto dai presidenti delle due<br />
commissioni che, rivendicando la natura politica della loro scelta (v. in tal senso l’eloquente<br />
intervento della Presidente della Commissione giustizia nella seduta d’Assemblea<br />
del 9 luglio 2009 1 , hanno preso una decisione a cui lo stesso Presidente della<br />
1 “È vero che le Commissioni non hanno alcun obbligo di concludere l’esame del provvedimento in<br />
ragione della calendarizzazione del medesimo; ma è ancor più vero che, alla base della modifica del calendario<br />
dell’Assemblea, sta una scelta politica – del tutto legittima – del Governo e <strong>dei</strong> gruppi di maggioranza<br />
che, assumendosene la responsabilità dinanzi al Paese, ritengono che il provvedimento in esame<br />
costituisca una priorità politica” (dall’intervento dell’on. Bongiorno, seduta del 9 luglio 2009, 15).<br />
103
104<br />
Salvatore Curreri<br />
<strong>Camera</strong> si è dovuto, non credo obtorto collo, uniformare in forza dell’autonomia che il<br />
regolamento riconosce alle Commissioni nell’organizzazione del dibattito e nella determinazione<br />
<strong>dei</strong> tempi entro cui concludere l’esame in sede referente (v. intervento del<br />
Presidente Fini nella seduta del 9 luglio). Da qui – incidentalmente – la questione se i<br />
presidenti delle commissione debbano avere come tali un ruolo super partes analogo a<br />
quello cui è chiamato il Presidente d’Assemblea oppure se, in forza del loro particolare<br />
compito politico, devono nella conduzione <strong>dei</strong> lavori privilegiare l’interesse della maggioranza.<br />
Ad una simile violazione della lettera e della ratio dell’art. 23.5 R.C. se ne possono<br />
aggiungere altre, in relazione a quelle norme regolamentari che, come detto, danno<br />
spessore e sostanza all’esame istruttorio svolto dalla commissione in sede referente e<br />
che dell’art. 72 Cost. costituiscono diretta e specifica attuazione.<br />
In primo luogo, viene in evidenza la violazione dell’art. 69 R.C. perché il disegno di<br />
legge in questione ha ottenuto una procedura ancor più breve di quella prevista qualora<br />
ne fosse stata contestualmente dichiarata l’urgenza (obbligo delle Commissioni di riferire<br />
nel termine dimezzato di un mese, ridotto a 15 giorni in caso di leggi di conversione<br />
<strong>dei</strong> decreti-legge: art. 81.2). Paradossalmente, se l’opposizione avesse chiesto la dichiarazione<br />
d’urgenza – e non mi spiego perché non l’abbia fatto – avrebbe ottenuto, in caso<br />
di approvazione, più tempo per l’esame del provvedimento di quello che effettivamente<br />
ha avuto; oppure, in caso di (prevedibile) bocciatura, avrebbe inequivocabilmente dimostrato<br />
l’irregolarità di una procedura ancora più celere della stessa procedura d’urgenza.<br />
In secondo luogo è stato violato l’art. 79.4 lett. b), R.C. in base a cui nel corso<br />
dell’esame in sede referente la commissione provvede ad acquisire gli elementi di conoscenza<br />
necessari per verificare la qualità e l’efficacia delle disposizioni contenute nel testo,<br />
in particolare prendendo in considerazione “la conformità della disciplina proposta<br />
alla Costituzione”. Tale profilo istruttorio, espressamente indicato in regolamento, è stato<br />
completamente ignorato su un provvedimento che, come dimostra questa giornata,<br />
presenta numerosi e profondi dubbi di costituzionalità.<br />
In terzo luogo l’art. 79.1 R.C. sancisce che il procedimento in sede referente deve organizzarsi<br />
in modo tale da assicurarne la conclusione almeno 48 ore prima della data<br />
stabilita nel calendario <strong>dei</strong> lavori per l’iscrizione del progetto di legge all’ordine del<br />
giorno dell’Assemblea. Nel caso in specie tra la fine dell’esame in commissione (ore 13<br />
del 9 luglio) e l’inizio dell’esame dell’Assemblea (ore 16 dello stesso giorno) sono trascorse<br />
non 48 ma appena tre ore, pranzo compreso! È evidente che tale termine, ha assunto<br />
natura meramente ordinatoria, come tale inutile (v. i costanti precedenti citati dal<br />
Presidente della <strong>Camera</strong> nella seduta dell’8 luglio 2008 in sede di richiamo al regolamento).<br />
3. Anche l’organizzazione della discussione del provvedimento in Assemblea alla<br />
<strong>Camera</strong> non è immune da rilievi critici. Non essendosi raggiunta nella Conferenza <strong>dei</strong><br />
capigruppo la prescritta maggioranza ponderata <strong>dei</strong> tre quarti, è stato il Presidente (art.<br />
24.9 R.C.) a decidere autonomamente l’applicazione del contingentamento <strong>dei</strong> tempi. (8<br />
ore per la discussione generale ed appena 12 per il seguito dell’esame). Per poter far ciò,<br />
però, il Presidente ha dovuto preliminarmente escludere che il disegno in questione ricadesse<br />
in una delle ipotesi per le quali l’art. 24.12 R.C. prevede che il contingentamento<br />
debba essere deciso dalla Conferenza <strong>dei</strong> capigruppo all’unanimità, senza alcuna possibilità<br />
d’intervento in difetto da parte dello stesso Presidente.<br />
Nel suo speech dell’8 luglio 2008, il Presidente ha escluso che il c.d. lodo Alfano
Sui vizi procedimentali del c.d. lodo Alfano<br />
vertesse prevalentemente su una delle materie su cui, in base all’art. 49.1 R.C., è possibile<br />
chiedere il voto segreto. Decisione questa opinabile, poiché il provvedimento in<br />
questione, oltreché incidere sul diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.), per quanto in<br />
misura diversa rispetto al precedente c.d. lodo Schifani, poteva a pieno titolo qualificarsi<br />
come “legge ordinaria relativa agli organi costituzionali dello Stato”, per la stretta correlazione<br />
esistente in tal caso tra le vicende del titolare della carica e la posizione dell’organo<br />
costituzionale nell’ordinamento. Analogamente il Presidente ha escluso che il<br />
lodo Alfano riguardasse “questioni di eccezionale rilevanza politica, sociale o economica<br />
riferite ai diritti previsti dalla prima parte della Costituzione” – caso questo che consente<br />
a ciascun gruppo di opporsi al contingentamento immediato <strong>dei</strong> tempi (art. 24.12,<br />
ultimo alinea) – ponendosi sulla scia di una giurisprudenza consolidata che, avendo finora<br />
sempre negato l’applicazione di tale disposizione per i gravi effetti procedurali che<br />
ne discenderebbero, l’ha di fatto insterilita. In forza di tali argomentazioni, quindi, il<br />
Presidente ha potuto applicare il contingentamento <strong>dei</strong> tempi sin dal primo calendario,<br />
nonostante, com’è noto, lo stesso art. 24.12 contenga una clausola di garanzia per la<br />
maggioranza quando prevede, nelle ipotesi suddette, l’applicazione comunque del contingentamento<br />
in un calendario successivo qualora la discussione non si concluda nei<br />
tempi inizialmente previsti.<br />
4. Da quanto sopra emerge secondo me abbastanza chiaramente come, attraverso la<br />
sommatoria di precedenti parlamentari molto opinabili, si è seguita per l’approvazione<br />
del c.d. lodo Alfano una procedura inusitata, che costituisce un pericoloso precedente.<br />
Eppure non possiamo non chiederci se tutto quanto detto abbia un senso, se cioè è<br />
possibile prefigurare un intervento della Corte costituzionale diretto a sanzionare la violazione<br />
dell’art. 72 Cost. per evidente mancanza dell’istruttoria legislativa in Commissione.<br />
Sappiamo che simili questioni difficilmente possono arrivare al vaglio della Corte attraverso<br />
il conflitto di attribuzione, avendo essa escluso il ricorso del singolo parlamentare<br />
(sent. n. 225/2001); ciò nonostante, in mancanza di uno statuto costituzionale<br />
dell’opposizione, il lodo Alfano sarebbe stata una buona occasione per saggiare piuttosto<br />
la possibilità per un gruppo o una minoranza parlamentare di presentare ricorso per<br />
lesione delle loro prerogative costituzionali ex art. 72 Cost. Inoltre, va rilevato che tale<br />
violazione non costituisce oggetto di nessuna delle questioni di legittimità costituzionale<br />
sollevate. Si dovrebbe pertanto ipotizzare che la Corte costituzionale sollevi la questione<br />
dinanzi a sé, il che mi pare molto difficile.<br />
In ogni caso, ancorché la questione arrivi alla Corte, occorre pur sempre ricordare<br />
l’atteggiamento assolutamente timido che essa ha avuto sul tema della sindacabilità degli<br />
interna corporis, fin dalla mitica ma insoddisfacente sent. n. 9/1959. Ciò tanto più da<br />
quando la Corte ha giustificato tale posizione facendo ricorso ad argomenti tali – l’indipendenza<br />
guarentigiata delle Camere (sent. n. 84/1985) – da lasciar ritenere ormai impossibile<br />
un suo intervento sulla violazione delle norme regolamentari parametro di<br />
norme costituzionali.<br />
È una giurisprudenza criticabile e criticata, che risale tra l’altro ad un periodo storico<br />
in cui le forze politiche di minoranza avevano spazi più ampi e strumenti più efficaci di<br />
compensazione politica, così da impedire alla maggioranza simili forzature procedurali.<br />
Oggi, in una democrazia maggioritaria dove la maggioranza ha, di diritto e di fatto,<br />
maggiori e più efficaci strumenti decisionali e le garanzie politiche reciproche sono saltate,<br />
la Corte si pone inevitabilmente come ultimo baluardo a protezione delle garanzie<br />
105
106<br />
Salvatore Curreri<br />
dell’opposizione. Certamente ciò dipenderà in larga misura dal varo, come detto, di un<br />
vero e proprio statuto dell’opposizione, ma a nulla questo potrà valere se la Corte non<br />
dimostrerà di avere su simili questioni procedurali il medesimo coraggio (fors’anche eccessivo)<br />
dimostrato riguardo a questioni non meno delicate per l’indipendenza del Parlamento,<br />
quali la sindacabilità delle opinioni <strong>dei</strong> parlamentari o la sussistenza <strong>dei</strong> presupposti<br />
costituzionali <strong>dei</strong> decreti legge. Tra l’altro, proprio perché si tratta di una procedura<br />
del tutto anomala – un vero e proprio unicum – la Corte non avrebbe da temere<br />
un eventuale “effetto domino” su altre leggi approvate invero con minore celerità.<br />
Non oso, quindi, arrivare ad ipotizzare un intervento censorio della Corte, ma posso<br />
almeno sperare nel monito di un obiter dictum?
IL LODO ALFANO TRA FORMA DI STATO E FORMA DI GOVERNO<br />
(OVVERO: LA «PELLE DI ZIGRINO» DEL REGIME PARLAMENTARE)<br />
di SEBASTIANO DONDI *<br />
SOMMARIO: 1. L’indissolubile legame di coerenza fra forma di Stato e forma di Governo. – 2. Antologia<br />
<strong>dei</strong> regimi parlamentari: Primo Ministro e sua responsabilità penale. – 3. Conclusioni.<br />
1. Difficile stabilire quali rapporti esistano fra i due concetti forse più pregnanti del<br />
diritto costituzionale, tanto importanti da costituirne i pilastri: la forma di Stato e la forma<br />
di Governo. Può certo parlarsi di dipendenza logica della seconda nozione rispetto<br />
alla prima, osservando che mentre la forma di Governo si sostanzia di regole a cui le<br />
quotidiane performances degli attori istituzionali danno evidenza empirica, la nozione di<br />
forma di Stato “soffre” di un maggior grado di indeterminatezza, in quanto fissata prevalentemente<br />
in principi costituzionali la cui attuazione nella realtà sconta un maggior<br />
grado di approssimazione perché costruiti su nozioni difficilmente falsificabili. Perciò<br />
dire che un atto (legge, regolamento o provvedimento amministrativo) viola i principi<br />
fondamentali del diritto costituzionale spesso può essere un’affermazione contestabile,<br />
proprio perché in tale campo d’indagine i fatti sono difficilmente rapportabili a principi<br />
che hanno un valore assiologico tanto vasto.<br />
Questa premessa può essere utile a spiegare un approccio al problema delle immunità<br />
politiche che si concentri sulle caratteristiche della forma di Governo, andando alla ricerca<br />
di qualcosa che, nella struttura del nostro regime costituzionale, possa eventualmente<br />
giustificare un trattamento differenziato della figura del Presidente del Consiglio<br />
in materia di responsabilità per reati comuni e determinare, ratione regiminis, un’attenuazione<br />
di un principio fondamentale come quello di uguaglianza. Detto altrimenti:<br />
per quanto ottime ragioni ci siano per criticare il lodo Alfano sotto il profilo della forma<br />
di Stato, forse è possibile indagare il suo riflesso sul sistema costituzionale prendendo in<br />
considerazione i principi fondamentali in via indiretta, attraverso la loro messa in opera<br />
nella forma di Governo e, segnatamente, quella parlamentare. Si cercherà di condurre<br />
quest’analisi, valendosi anche del supporto fornito dal diritto comparato, dal quale non<br />
si pretende una piena prova di ciò che si sostiene quanto, piuttosto, una conferma<br />
dell’insidiosa eccentricità della disciplina italiana del regime di responsabilità primoministeriale<br />
introdotto con la l. n. 124 del 2008 rispetto a quella indicata dalla comunità <strong>dei</strong><br />
regimi parlamentari più risalenti e meglio conosciuti 1 . Ciò in quanto nei lavori prepara-<br />
* Dottorando di ricerca in Diritto costituzionale, Università di Ferrara e di Paris X-Nanterre-La<br />
Défense.<br />
1 Questo approccio vuole essere un’applicazione del cosmopolitan method di Cass Sunstein usato<br />
non nell’interpretazione della Costituzione ma nella politica legislativa come coerente attuazione <strong>dei</strong><br />
principi costituzionali. Il riferimento è a C. SUNSTEIN, A Constitution of many minds, Princeton<br />
University Press, 2009, passim. Le successive considerazioni prenderanno a riferimento i sistemi co-
108<br />
Sebastiano Dondi<br />
tori della l. n. 124 del 2008, pure da parte <strong>dei</strong> sostenitori del provvedimento, i riferimenti<br />
alle esperienze straniere rapportabili al provvedimento in questione, come attestano i<br />
resoconti parlamentari, sono stati ricchissimi, anche per cercare paradossalmente di dimostrarne<br />
la non estraneità rispetto ad alcuni modelli stranieri. Sebbene tali profili esulino<br />
in realtà dalle impugnative di costituzionalità pendenti davanti alla Corte Costituzionale,<br />
l’approccio che si propone può comunque offrire un ulteriore argomento per<br />
confortare “dall’esterno” la fondatezza <strong>dei</strong> sospetti d’incostituzionalità della legge con<br />
riferimento all’art. 3 della Carta.<br />
La struttura dell’ordinamento costituzionale italiano si basa, è noto, su un sistema<br />
parlamentare (più o meno) razionalizzato, fondato quindi sulla centralità delle assemblee<br />
rappresentative. Concetto fondamentale all’interno di una forma di Governo costituzionale<br />
è certo la responsabilità (non solo politica), che accoglie classicamente nel regime<br />
parlamentare due sole eccezioni: quelle delle immunità presidenziale e parlamentare.<br />
Possono accompagnarsi ad esse, non necessariamente, casi in cui a tali particolari<br />
regimi si è affiancata anche una lex specialis per i ministri. In questi ultimi esempi il<br />
Costituente, e il nostro non fa eccezione, non ha mai previsto un’esenzione della responsabilità<br />
se non per reati funzionali. La pratica centenaria del regime parlamentare offre<br />
fin troppi esempi di quanto detto e dalle opere classiche che ne descrivono il funzionamento<br />
si evince precisamente come l’assenza di un regime speciale extrafunzionale sia<br />
legato alla necessità di non fare entrare in contraddizione forma di Stato e forma di Governo<br />
2 .<br />
Per avere un riscontro della necessità teorica e logica che lega il regime ad una stretta<br />
disciplina delle responsabilità <strong>dei</strong> centri di potere, basti considerare lo stato attuale <strong>dei</strong><br />
parlamentarismi conosciuti nel mondo. A tutto concedere, nei Paesi considerati l’esenzione<br />
temporanea della perseguibilità per reati extra-funzionali deriva ai Ministri dalla<br />
loro eventuale posizione di parlamentari e non da quella di membri del Governo. La differenza<br />
con il caso italiano è notevole in quanto in tal modo è data sempre al Parlamento<br />
la possibilità di autorizzare la prosecuzione del procedimento penale con proprio voto.<br />
Quella prevista dal lodo Alfano è invece un’immunità a sua volta…auto-immune, in<br />
quanto incondizionata. Non vale a scalfire questa assolutezza la considerazione che,<br />
come extrema ratio, le Camere potrebbero ridurre il Presidente del Consiglio allo status<br />
di privato cittadino approvando una mozione di sfiducia: si giungerebbe così a confondere<br />
responsabilità politica e responsabilità penale, giustificando il disordine di questi<br />
due piani che vorrebbe tutto sottomettere, potere giurisdizionale compreso, alla prevalenza<br />
del Politische schmittiano. Non solo: stabilire che il Presidente del Consiglio goda<br />
di un’immunità esclusivamente in tanto in quanto parlamentare, proteggendolo solo in<br />
via indiretta, è cosa ben diversa dall’attribuirgli tale immunità in quanto vertice<br />
dell’Esecutivo. Tutto cambia in questa diversa prospettiva: la ratio del regime speciale è<br />
rovesciata nel secondo caso e pone il Primo Ministro in una posizione superiore rispetto<br />
a quella di cui le Camere indirettamente godono ex art. 68. Ecco che, nuovamente, la logica<br />
intrinseca del regime parlamentare viene capovolta.<br />
Sotto il profilo della fonte che pone in essere il regime speciale si noti, inoltre, che<br />
stituzionali di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Israele, Olanda,<br />
Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia.<br />
2 Si veda A.V. DICEY, Introduction to the study of the Law of the Constitution, London, 1902, 319<br />
ss. Benjamin Constant esplicitamente rigettava l’idea secondo la quale la responsabilità <strong>dei</strong> Ministri<br />
per reati comuni debba essere sottratta alla giurisdizione <strong>dei</strong> giudici comuni: B. CONSTANT, Principes<br />
de politiques applicables à tous les gouvernements, Paris, 1861, 70.
Sotto l’interesse apprezzabile: il principio di separazione <strong>dei</strong> poteri o niente?<br />
tutti i parlamentarismi considerati esauriscono nella Costituzione ogni immunità politica:<br />
solo il caso olandese e quello greco potrebbero essere considerati spurî. Ciò tuttavia<br />
solo in apparenza, in quanto la legge ordinaria prevede in realtà che, in entrambi i paesi, i<br />
ministri siano perseguibili come ogni altro privato cittadino per i reati extra funzionali 3 .<br />
È infine interessante notare come nessun Paese tra quelli considerati, nemmeno se<br />
caratterizzati da una forte preminenza del Capo dell’Esecutivo, preveda un trattamento<br />
differenziato della situazione processuale del Primo Ministro e <strong>dei</strong> membri del suo Governo.<br />
Differenziare il regime giuridico <strong>dei</strong> membri del Governo sotto il profilo processuale<br />
determina una diversificazione sostanziale delle loro figure istituzionali non tollerabile<br />
nemmeno in quei sistemi parlamentari che accettano una gerarchizzazione interna<br />
al Ministero, come ad esempio la Francia 4 .<br />
2. Vediamo, per confermare quanto fin qui detto, quale sia sommariamente la disciplina<br />
delle immunità per reati non funzionali commessi da membri del Governo, nei Paesi<br />
che hanno previsto regimi speciali, per confrontarli con quello italiano. L’ordinamento<br />
che contempla la disciplina processuale più favorevole (si sottolinea, nei confronti<br />
del Governo nella sua collegialità) è quello portoghese (art. 196 Cost.). Si tratta comunque<br />
di un regime che si radica in Costituzione e che sottopone ad un controllo<br />
dell’Assemblea della Repubblica la prosecuzione delle azioni penali a carico <strong>dei</strong> ministri.<br />
Non solo: considerando la natura semi-presidenziale di quella forma di governo si<br />
ricordi che, a mente degli artt. 191 e 195 della Costituzione, il Capo dello Stato portoghese,<br />
godendo di una legittimazione popolare superiore a quella del Primo Ministro in<br />
quanto eletto a suffragio universale, come extrema ratio ha il potere di indurre il Governo<br />
alle dimissioni.<br />
Gli esempi di Israele e Belgio, che spesso vengono presi in considerazione non possono<br />
tuttavia essere paragonati, nella loro complessità, al caso italiano. Per quanto riguarda<br />
Israele il Primo Ministro può essere messo in stato d’accusa solo col consenso<br />
del Procuratore Generale (istanza quindi pur sempre giurisdizionale) 5 . Anche l’eccezione<br />
belga è preziosa per sottolineare l’anomalia italiana: innanzitutto perché introdotta<br />
con legge costituzionale (l. cost. 12 giugno 1998), in secondo luogo in quanto ha espressamente<br />
escluso la sua applicabilità a casi giudiziari sorti precedentemente alla sua approvazione,<br />
ed infine perché l’immunità in questione non riguarda i reati commessi prima<br />
dell’esercizio delle funzioni. Ad abundantiam anche in Belgio il regime è tuttavia<br />
l’autorizzazione della <strong>Camera</strong> e non certo il blocco generalizzato <strong>dei</strong> procedimenti. Il<br />
bilanciamento è decisamente più convincente di quello operato dalla l. n. 124 6 .<br />
3<br />
Si fa riferimento qui alla legge olandese del 22 aprile 1855 e alla legge greca n. 2509 del 19 giugno<br />
1997. Prova ulteriore ne sia la rituale inclusione della classica immunità parlamentare nella Costituzione<br />
di ogni Paese che la contempli. La classificazione dell’immunità introdotta dal lodo Alfano<br />
non può essere confusa con un mero istituto processuale codicistico: si ricorda che l’Assemblea Costituente<br />
riprodusse, votando l’art. 68, una disciplina che pur già esisteva, prevista all’art. 5 del codice<br />
di procedura penale.<br />
4<br />
Unica eccezione è Israele che, come noto, è un regime primoministeriale. Non a caso la Basic<br />
Law (art. 25) parla di impeachment, evocando un termine tipicamente presidenzialistico.<br />
5<br />
Si ricordi in proposito la recente vicenda che ha interessato Ehud Ohlmert in occasione<br />
dell’affaire Talansky.<br />
6<br />
Utile è sottolineare come tale riforma non abbia comunque impedito il verificarsi di avvenimenti<br />
normali in un sistema costituzionale retto da regolarità virtuose: basti ricordare il recentissimo caso<br />
109
110<br />
Sebastiano Dondi<br />
In sede parlamentare chi ha tentato di mostrare la non originalità del lodo Alfano ha<br />
preso come costante riferimento, et pour cause, il caso francese 7 . Questo richiamo può<br />
essere considerato privo di pregio ed è stato anzi spesso evocato a sproposito 8 . Non è un<br />
mistero che il Presidente del Consiglio italiano sia figura politicamente più simile al Capo<br />
dello Stato che al Primo Ministro francese (almeno quando il Presidente è Nicolas<br />
Sarkozy), ma l’esigenza che porta in Francia a proteggere così ampiamente il Capo dello<br />
Stato deriva dalla posizione apicale che esso riveste in quell’ordinamento, non solo dal<br />
punto di vista sostanziale ma anche formale: egli è, innanzitutto, il rappresentante<br />
dell’unità e continuità dello Stato (art. 5 Const.) 9 . Si potrebbe dire, usando categorie<br />
classiche del parlamentarismo, che esso gode di tale estesa immunità in quanto Capo<br />
dello Stato e non nella veste informale di Capo del potere esecutivo. Il tentativo di confortare<br />
la scelta italiana con quella francese è quindi fuorviante. Sarebbe stato decisamente<br />
più congruo evocare il titolo X della Costituzione del 1958, che riguarda proprio<br />
la responsabilità penale <strong>dei</strong> membri del Governo, ma la correttezza del riferimento non<br />
avrebbe certo giovato a confortare gli esiti della riforma italiana 10 .<br />
Quindi, anche se si volesse tentare di assimilare le figure del Capo dello Stato francese<br />
e quella del Presidente del Consiglio italiano, sarebbe necessario postulare un larvato<br />
passaggio del nostro Paese ad una forma di Governo semipresidenziale o presidenziale<br />
tout court o, più genericamente, ammettere con disincanto l’annessione del regime italiano<br />
all’insieme <strong>dei</strong> regimi politici ibridi che non possono più riconoscersi nelle classificazioni<br />
minute delle forme di governo del diritto costituzionale – perché di esse mantengono<br />
solo poco connotanti caratteristiche formali – e che sono piuttosto contraddistinti<br />
dalla sempre più accentuata eliminazione dal circuito politico delle forze interposte<br />
fra la base elettorale e il vertice del potere politico 11 . Ciò può avvenire in due modi:<br />
o in piena luce e secondo Costituzione, come in Francia, o sotterraneamente e più pericolosamente,<br />
come avviene nel nostro Paese. In altre parole sembra davvero che la sempre<br />
più pronunciata erosione delle fondamenta del parlamentarismo italiano passi anche<br />
dalla collocazione del Primo Ministro al centro del sistema. Lontana è la centralità par-<br />
del Primo Ministro belga Yves Leterme che ha rassegnato le dimissioni il 12 dicembre 2008 a seguito<br />
delle accuse mossegli in via ancora non formale dal Presidente della Corte di Cassazione in relazione<br />
a presunte malversazioni legate al salvataggio della Banca Fortis.<br />
7<br />
L’inconferenza del paragone tra disciplina italiana e francese è stata individuata anche dalla dottrina.<br />
Si veda P. COSTANZO, Circuito della politica e circuito del diritto: quale equilibrio nel moderno<br />
Stato costituzionale? (Uno sguardo comparatistico), in Giur. it., 2009, in corso di pubblicazione.<br />
8<br />
Per una ricostruzione della riforma costituzionale francese del 2007 sull’immunità del Capo dello<br />
Stato francese si veda soprattutto E. GROSSO, La riforma dell’immunità presidenziale<br />
nell’ordinamento costituzionale francese: verso la dissoluzione del principio di responsabilità?, in L.<br />
CARLASSARE, Diritti e responsabilità <strong>dei</strong> soggetti investiti di potere, Cedam, Padova, 2003.<br />
9<br />
La tradizione francese in tal senso è antica e si radica, in età repubblicana, nella loi const. del 25<br />
febbraio 1875.<br />
10<br />
Gli artt. 68-1 e 68-2 introdotti dalla loi const. del 27 luglio 1993 stabiliscono la giurisdizione<br />
della Haute Cour de Justice (ex art. 68 Cost) per i reati funzionali e quella del giudice comune per i<br />
reati commessi all’infuori dell’esercizio delle funzioni.<br />
11<br />
Sul fenomeno della “presidenzializzazione” <strong>dei</strong> regimi parlamentari contemporanei esiste già<br />
una folta letteratura. Si veda, esemplarmente, T. POGUNTKE, The Presidentialization of Parliamentary<br />
Democracies: a contradiction in Terms?, paper presentato alla 28ª Joint Sessions of Workshops<br />
of the European Consortium of Political Research, University of Copenaghen, 14-19 aprile<br />
2000, citato in O. MASSARI, I poteri del Primo Ministro inglese: verso la presidenzializzazione?, in<br />
http://www.astrid-online.it.
Sotto l’interesse apprezzabile: il principio di separazione <strong>dei</strong> poteri o niente?<br />
lamentare, garantita da quell’art. 68 che può essere ricordato per ciò che era: nient’altro<br />
che il tributo che il governo della legge ha dovuto pagare al Parlamento perché il regime<br />
potesse meritare il nome di “parlamentare”.<br />
Se il regime italiano, anche per effetto del lodo, si è distanziato dai modelli più o<br />
meno classici del parlamentarismo, si può forse dire che abbia cambiato natura. Questa<br />
riforma ne sarebbe un ulteriore tassello che si aggiunge ad altre insidiose modificazioni<br />
tacite della Costituzione (o in frode ad essa, come le definiva Liet-Veaux 12 ) che, stratificandosi,<br />
hanno inciso non solo sul principio di uguaglianza ma anche sulla forma di<br />
Governo. Ciò ad ulteriore riprova del principio di vasi comunicanti che lega la prima alla<br />
seconda parte della Carta. Il parlamentarismo è dunque solo in apparenza muto sui reati<br />
comuni: proprio perché la forma di Governo è necessariamente servente alla forma di<br />
Stato, non è possibile apportare a quest’ultima correttivi e temperamenti che non siano<br />
necessari al funzionamento della prima. Come si sa nel “figurino parlamentare classico”<br />
l’unica inviolabilità è quella riconosciuta al monarca 13 ed è altrettanto noto come in Europa,<br />
con il passaggio dalle monarchie costituzionali alle repubbliche parlamentari democratiche,<br />
tale favor abbia conosciuto un notevole ridimensionamento. Ciò perché<br />
l’inviolabilità si lega allo status di organo sovrano. Ricreare una inviolabilità di questo<br />
tipo a favore non solo del Capo dello Stato ma anche del vertice dell’Esecutivo, giunge<br />
ad attribuire prerogative sostanzialmente sovrane al capo del Governo, il che ci riporta<br />
ad una dimensione pre-costituzionale del diritto pubblico. Ragionando per assurdo si<br />
giungerebbe quindi a porre in radicale contrasto forma di Stato e forma di Governo: la<br />
seconda arriverebbe a fagocitare la prima invertendo il classico rapporto di strumentalità<br />
che le lega. Per questo i regimi parlamentari necessariamente rigettano l’inviolabilità del<br />
vertice Esecutivo e per tale ragione il regime delle immunità ha naturalmente rango costituzionale,<br />
in quanto costituisce un elemento essenziale per verificare se esiste una<br />
corrispondenza tra regime e forma di Stato. Non è concepibile spezzare tale legame, affievolendo<br />
così la base costituzionale della sovranità nello Stato democratico, l’uguaglianza,<br />
attraverso la legge ordinaria 14 .<br />
3. Si potrebbe dire, a guisa di conclusione, che l’errore genetico del lodo Alfano stia<br />
nell’identificare funzione e persona, quando invece bisognerebbe considerare la necessità<br />
vitale di distinguerle (a pena di scadere in una concezione d’ancien regime della Costituzione),<br />
per proteggere invece la funzione stessa dalla persona e separare così i due<br />
corpi del Re. Difendere le Istituzioni dal titolare pro tempore che potrebbe insidiarne il<br />
prestigio è un’esigenza irrinunciabile alla quale è deputato il potere giudiziario, tanto<br />
più se si considera lo status di cui esso gode, voluto in Costituzione come vero e proprio<br />
12 G. LIET-VEAUX, La “fraude à la Constitution”, in Rev. du droit. public, 1943, 116 ss.<br />
13 Appositamente si usa il termine inviolabilità, per distinguere tale posizione da quella <strong>dei</strong> parlamentari,<br />
solitamente regolata da un regime di irresponsabilità non assoluto. Sul punto si veda T.E.<br />
GIUPPONI, Le immunità della politica. Contributo allo studio delle prerogative costituzionali, Giappichelli,<br />
Torino, 2005, 139 e ss e C. MARTINELLI, Le immunità costituzionali nell’ordinamento italiano<br />
e nel diritto comparato, Giuffrè, Milano, 2005.<br />
14 Mai come oggi appare forse evidente il problema della “natura” costituzionale di una norma<br />
non contenuta in Costituzione ed evocative ritornano le teorie dell’Esposito sull’art. 138, la distinzione<br />
fra leggi di revisione e altre leggi costituzionali: C. ESPOSITO, Costituzione, leggi di revisione costituzionale<br />
e altre leggi costituzionali, in Raccolta di scritti in onore di A.C. Jemolo, Giuffrè, Milano,<br />
1963.<br />
111
112<br />
Sebastiano Dondi<br />
potere al pari dell’Esecutivo. Non dimentichiamo che, se affermiamo la necessità di<br />
mantenere separati (rectius: distinti) i poteri, bisogna contemplare anche la necessità di<br />
preservarne l’equiordinazione. Il risultato cui perviene questo ragionamento è evidente:<br />
in caso di contrasto fra i due poteri in materia di responsabilità la Costituzione preferisce<br />
non escludere la giurisdizione della magistratura relativamente al Presidente del Consiglio.<br />
La rassegna comparatistica che si è fatta va inoltre a confermare che a nulla vale<br />
mascherare il regime del lodo dietro un istituto processuale: anche la sospensione di un<br />
processo ratione officii individua, in ogni regime parlamentare, un’immunità (per quanto<br />
temporanea) contemplata in Costituzione.<br />
Tutto ciò detto, si vede come nulla giustifichi il temperamento del principio d’uguaglianza<br />
in nome della forma di Governo. Al contrario, il parlamentarismo, concetto<br />
strumentalmente legato all’affermazione dello Stato costituzionale democratico nella<br />
sfera del frame of government, proprio per la sanzione di tale irresponsabilità primoministeriale<br />
non funzionale, arretra sempre di più nella realtà, riducendosi ad una balzachiana<br />
pelle di zigrino. Come quella il regime finisce per divenire irriconoscibile e ridursi<br />
a nulla, per effetto del desiderio sempre inappagato di coloro che lo deformano per<br />
aumentare la propria sfera di potere senza doverne più rispondere finché ne hanno la disponibilità.
SOTTO L’INTERESSE APPREZZABILE:<br />
IL PRINCIPIO DI SEPARAZIONE DEI POTERI O NIENTE?<br />
di PIETRO FARAGUNA *<br />
SOMMARIO: 1. Il parametro del 138 Cost.: “a volte ritornano”. – 2. La necessità di una saggia misurazione<br />
della motivazione. – 3. Il lodo, l’eguaglianza davanti alla legge e il principio di divisione<br />
<strong>dei</strong> poteri. – 4. Perché questo lodo non divide i poteri. – 5. Prevaricazione del potere, più che divisione<br />
<strong>dei</strong> poteri.<br />
1. La vicenda costituzionale concernente la sospensione <strong>dei</strong> processi per le alte cariche<br />
dello Stato, che con la l. n. 124 del 2008 ha conosciuto un nuovo episodio significativo, è<br />
inevitabilmente caratterizzata da un costante riferimento al suo precedente, il c.d. lodo Schifani,<br />
dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sent. n. 24/2004. Tra le questioni che,<br />
nel passaggio dal lodo al lodo bis, si sono riproposte approssimativamente inalterate, vi è<br />
quella della violazione dell’art. 138 Cost. Ancora una volta ci si chiede se sia necessario<br />
l’intervento di una legge costituzionale. Questa volta però pare che l’attenzione <strong>dei</strong> commentatori<br />
si sia anche spinta oltre, elaborando con più convinzione un altro quesito, circa<br />
l’idoneità della forma di legge costituzionale ad introdurre questo stesso provvedimento. Si<br />
ipotizza quindi che nemmeno una legge costituzionale potrebbe introdurre questa forma di<br />
sospensione <strong>dei</strong> processi per le alte cariche, nella parte in cui introduce un’intollerabile violazione<br />
del supremo principio d’eguaglianza. Se ciò fosse, quanto al parametro ricavabile<br />
dall’art. 138 Cost., si avrebbero due alternative: o escluderne la violazione, proprio perché<br />
nemmeno una legge costituzionale sarebbe sufficiente a sanarne i vizi sostanziali, oppure<br />
sostenere una violazione di una norma implicitamente derivabile dal medesimo parametro,<br />
la quale sottrarrebbe a revisione il nucleo inderogabile della Costituzione.<br />
2. Ed è proprio sulla possibilità di ipotizzare una lesione <strong>dei</strong> principi supremi della<br />
Costituzione da parte della l. n. 124 del 2008 e di ogni altra legge (anche costituzionale)<br />
che si proponesse di disporre le medesime norme che vogliamo focalizzare l’attenzione.<br />
Considerata infatti l’esperienza seguita alla declaratoria di incostituzionalità del c.d.<br />
lodo Schifani, non è affatto escluso che un legislatore un po’ sordo (o molto astuto) voglia<br />
ancora una volta 1 leggere a tutti i costi una nuova eventuale pronuncia di accoglimento<br />
come un invito a riproporre – per la terza volta – il medesimo provvedimento,<br />
stavolta con la forma della legge costituzionale; non diversamente, l’accoglimento secco<br />
* Dottorando di ricerca in Diritto costituzionale, Università di Ferrara.<br />
1 In riferimento alla sent. n. 24/2004 gli eventi hanno dato ragione a chi l’aveva definita “sentenza-pilota”,<br />
o almeno vi avevo visto una lettura capace di individuare al suo interno le coordinate per<br />
una lodo bis (così A. PUGIOTTO, Sull’immunità delle “alte cariche” una sentenza di “mezzi silenzi”,<br />
in D&G, 7 febbraio 2004, n. 5).
114<br />
Pietro Faraguna<br />
operato dalla sent. n. 24/2004, anche per la generosità degli assist che ha offerto alla<br />
perseveranza della carica anti-costituzionale del nostro legislatore, è stato copiosamente<br />
attinto a fondamento della legittimità della legge oggetto di questa riflessione.<br />
Per queste ragioni, ed in base a queste esperienze, la motivazione di un’eventuale<br />
nuova pronuncia di accoglimento dovrebbe farsi carico degli effetti collaterali generati<br />
dalla sent. n. 24/2004; anche perché vi è motivo di ritenere che, tra il lodo prima edizione<br />
e il lodo bis, vi sia stato un generale indebolimento dell’“architettura costituzionale” 2<br />
dello Stato di diritto, la cui capacità di rigetto di oggetti costituzionalmente indigeribili è<br />
messa sempre più a dura prova. Questa fase di alta tensione istituzionale 3 sembra in<br />
gran parte riconducibile alla rinnovata e rinforzata legittimazione popolare che ha investito<br />
la persona del leader della coalizione uscita vincente dalla consultazione elettorale<br />
del 2008 4 .<br />
Ma quali che siano le motivazioni alla base di questo apparente indebolimento delle<br />
strutture di garanzia democratiche, vogliamo ora concentrarci sulle ragioni per cui questo<br />
provvedimento normativo potrebbe essere “costituzionalmente assolutamente illegittimo”<br />
a prescindere dalla forma che esso vada ad assumere.<br />
3. A tal fine è necessario innanzitutto definire con precisione l’oggetto di una tale analisi:<br />
non il c.d. lodo nella sua integrità, ma la parte in cui ammette la sospensione <strong>dei</strong><br />
processi per reati extra-funzionali collegati a fatti commessi anche prima dell’assunzione<br />
della carica. Essendo questo il ritaglio normativo del provvedimento su cui pendono<br />
i più gravi sospetti di incostituzionalità, va detto che sul punto non si possono os-<br />
2 In particolare lo proverebbe il differente atteggiamento del Capo dello Stato, nonché le dinamiche<br />
politiche che hanno generato la l. n. 124 del 2008, oggetto di uno “scambio” politico, per evitare<br />
che al suo posto venisse adottato un provvedimento ancor più esplosivo. Diversamente, in merito alla<br />
vicenda del lodo Schifani, si era fondatamente avuta occasione di definire l’architettura costituzionale<br />
dello Stato di diritto “più complessa di quanto i populisti desiderino e – alla fine – più efficace di<br />
quanto i girotondi paventino”. Così A. PUGIOTTO, «Veto players» e dinamiche istituzionali nella vicenda<br />
del «Lodo Maccanico», in Quad. cost., 2/2004, 255-280.<br />
3 Di cui un esempio che si commenta da sé è rappresentato dalla la lettera inviata dal<br />
Presidente del Consiglio al Presidente del Senato (16 giugno 2008, in<br />
http://www.governo.it/Presidente/Comunicati/dettaglio.asp?d=39350), riferita in realtà all’emendamento<br />
al decreto sicurezza poi abbandonato, ma comunque significativa nei toni, in cui si parla di<br />
uno “stupefacente tentativo di un sostituto procuratore milanese di utilizzare la giustizia a fini mediatici<br />
e politici, in ciò supportato da un Tribunale anch’esso politicizzato e supinamente adagiato<br />
sulla tesi accusatoria”, e dell’introduzione di un “norma di civiltà giuridica e di equilibrato assetto<br />
<strong>dei</strong> poteri”.<br />
4 Il tema era già stato percepito in riferimento al c.d. lodo Schifani, in particolare da G.E. VIGE-<br />
VANI, La sospensione <strong>dei</strong> processi per le alte cariche tra personalizzazione delle istituzioni e mito del<br />
capo, in http://.forumcostituzionale.it/site/index3.php?option=content&task=view&id=614; il fenomeno<br />
è del tutto simile a quanto avvenuto in Francia, dove l’allora Presidente Chirac, parimenti coinvolto<br />
in turbolente vicende giudiziarie, intervenne con un provvedimento simile nei contenuti (ma<br />
molto diverso nei modi) per sospendere i processi a suo carico, soltanto dopo la sua (quasi) plebiscitaria<br />
rielezione. Su questo caso, T.F. GIUPPONI, L’immunità presidenziale e gli atti “extrafunzionali,<br />
in Quad. cost., 2002, n. 2, 269-289, C. MARTINELLI, Le immunità costituzionali nell’ordinamento italiano<br />
e nel diritto comparato, Milano, Giuffrè, 2008 (in particolare 198-206), E. GROSSO, La riforma<br />
dell’immunità presidenziale nell’ordinamento costituzionale francese: verso la dissoluzione del principio<br />
di responsabilità, in L. CARLASSARE (a cura di), Diritti e responsabilità <strong>dei</strong> soggetti investiti di<br />
potere, Cedam, Padova, 2003.
Sotto l’interesse apprezzabile: il principio di separazione <strong>dei</strong> poteri o niente?<br />
servare decisivi cambi di rotta nel passaggio dalla l. n. 140 del 2003 alla l. n. 124 del<br />
2008. Alcune modifiche sono intervenute, per certi versi, a rimediare degli aspetti di<br />
grave incompatibilità con l’art. 24 Cost. 5 , ma per quanto concerne i profili di illegittimità<br />
costituzionale per contrasto con l’art. 3 Cost., la l. n. 140 del 2003, nella parte dichiarata<br />
costituzionalmente illegittima, e la l. n. 124 del 2008 sono perfettamente sovrapponibili.<br />
La sospensione <strong>dei</strong> processi per le alte cariche dello Stato e il diritto all’eguaglianza<br />
– nella misura in cui non ammette disparità di trattamento di fronte alla giurisdizione per<br />
ragioni di ordine sociale e personale – difficile nasconderlo, si pongono in un rapporto<br />
di tensione. Per tollerare che la tensione si risolva in un bilanciamento, nell’altro piatto<br />
della bilancia deve trovare posto un interesse che sia “costituzionalmente pesante”, almeno<br />
quanto il supremo principio di eguaglianza.<br />
Soltanto se concepito in questi termini l’“interesse apprezzabile” a cui la Corte ha<br />
fatto cenno nella sent. n. 24/2004 può entrare in gioco: ove infatti ritenessimo che<br />
quell’interesse non ha pregio costituzionale, non ci sarebbe più nulla da aggiungere.<br />
Ogni legge che si ponesse nel senso di dare tutela all’interesse apprezzabile, violando i<br />
principi supremi dell’ordinamento sarebbe incostituzionale, sia che vestisse la forma<br />
della legge ordinaria sia di quella costituzionale.<br />
Crediamo però che, in realtà, dietro all’intentio legislatoris della l. n. 124 del 2008 –<br />
collocato non molto lontano – vi sia un principio anch’esso annoverabile tra i principi<br />
supremi dell’ordinamento, ricostruibile muovendo dalla giurisprudenza della Corte, del<br />
quale è necessario tener conto per valutare gli ipotetici punti di equilibrio di un processo<br />
di bilanciamento. Si tratta del principio della separazione <strong>dei</strong> poteri, che sarebbe difficile<br />
escludere da quelli posti “alle origini dello Stato di diritto” 6 . Per quanto il testo della<br />
Costituzione non si faccia carico di esprimere perentoriamente il principio in questione,<br />
la giurisprudenza della Corte non ha esitato a ricostruirlo attraverso una lettura d’insieme<br />
delle disposizioni costituzionali, attribuendogli un’altissima dignità all’interno dell’ordinamento<br />
7 .<br />
La collocazione del principio di separazione <strong>dei</strong> poteri su un piedistallo così alto rischia<br />
però di renderne indefinibili i contorni, finché sempre in nome dello stesso principio<br />
possono essere fondati argomenti eguali e contrari, volti a provare l’opportunità di<br />
un provvedimento o la sua illegittimità costituzionale 8 . Il concetto di separazione <strong>dei</strong><br />
poteri (o più prudentemente della divisione <strong>dei</strong> poteri) viene inteso infatti secondo concezioni<br />
anche profondamente diverse tra loro, i cui corollari sono spesso contrapposti:<br />
grava su di esso una sorta di dogma di eternità 9 , in virtù del quale ogni ipotesi di una<br />
5<br />
Seppure non si possa ritenere che il meccanismo, nella versione attuale, sia del tutto esente da<br />
critiche, soprattutto se ci si ponga nella prospettiva del principio del diritto alla tutela giurisdizionale<br />
anche <strong>dei</strong> “diritti dello Stato”, né la rinunciabilità da parte dell’imputato, né la possibilità di trasferire<br />
l’azione in sede civile sarebbero sufficienti a rimuovere i profili di contrasto con l’art. 24 Cost.<br />
6<br />
Mutuando l’espressione usata dalla Corte nella sent. n. 24/2004. Il pensiero corre alla Dichiarazione<br />
<strong>dei</strong> diritti dell’Uomo e del cittadino del 1789, in cui all’art. 16 si afferma che “Toute Société<br />
dans laquelle la garantie des Droits n’est pas assurée, ni la séparation des Pouvoirs déterminée, n’a<br />
point de Constitution”.<br />
7<br />
Sentt. nn. 150/1981, 70/1985, 462/1993.<br />
8<br />
Su questo rischio cfr. G. SILVESTRI, voce Poteri dello Stato (divisione <strong>dei</strong>), in Enc. dir., Giuffrè,<br />
Milano, 1985, 670-720.<br />
9<br />
Dogma fondato per di più su un un equivoco storiografico che attribuisce la dottrina al libro XI<br />
dello Spirito delle Leggi di Montesquieu. Su questo “mito” e la sua smitizzazione, vedi L. ALTHUS-<br />
115
116<br />
Pietro Faraguna<br />
sua rinuncia viene mascherata con l’insorgere di una nuova concezione del vecchio concetto<br />
10 . La giurisprudenza costituzionale in tema di principio di separazione poteri 11 è<br />
invero tutt’altro che perentoria. Sulla base dell’uso che ne è stato fatto nell’esperienza di<br />
giustizia costituzionale italiana non sarebbe nemmeno azzardato chiedersi se un principio<br />
di divisione <strong>dei</strong> poteri abbia avuto ricadute applicative, prima ancora di interrogarsi<br />
se esso non vanti addirittura suprema dignità nell’ordinamento costituzionale 12 .<br />
Del principio di “separazione <strong>dei</strong> poteri”, l’unica cosa certa sembra essere la preposizione<br />
’<strong>dei</strong>’. Cosa poi debba intendersi per ’separazione’ e ’poteri’ è tutt’altro che univoco<br />
13 . In riferimento alla l. n. 124 del 2008 c’è da chiedersi: la sottrazione delle alte cariche<br />
dello Stato dall’esercizio della funzione giurisdizionale, opera una separazione? Con<br />
buona approssimazione si può azzardare una risposta affermativa, trattandosi di una<br />
temporanea impenetrabilità del potere giudiziario nelle questioni – anche private – <strong>dei</strong><br />
titolari delle cariche.<br />
Ammesso, però, che i suddetti titolari siano espressione di un potere dello Stato.<br />
4. Ecco, quindi, che giungiamo al punto cruciale: un privato cittadino, oggi, è un potere<br />
dello Stato? Certamente no. Un comune cittadino che oggi è tale, e domani sarà titolare<br />
di una delle alte cariche che beneficiano della sospensione <strong>dei</strong> processi, è un potere<br />
dello Stato? Ancora no. Una norma che preveda la sospensione di un processo già avviato<br />
nei confronti di un comune cittadino, che sia poi divenuto titolare dell’alta carica,<br />
serve il fine di sgombrare il campo da un’indebita interferenza che il potere giudiziario<br />
sta esercitando, nei confronti di un privato cittadino che diventerà titolare di un potere<br />
dello Stato? Ancora una volta, certamente no.<br />
Tali considerazioni dovrebbero quindi indurre a distinguere il caso in cui la sospensione<br />
<strong>dei</strong> processi investa solamente l’esercizio dell’azione penale nei confronti di chi è<br />
già detentore dell’alta carica, dal diverso caso della continuazione di un processo che è<br />
stato avviato nei confronti di un imputato – privato cittadino, divenuto poi imputato –<br />
alta carica dello Stato. Siamo però consapevoli che questa distinzione rischia di sollevare<br />
più problemi di quanti non ne risolva: si potrebbe infatti dubitare della possibilità di<br />
prevedere una disparità di trattamento di fronte alla giurisdizione in base al diverso<br />
momento di compimento <strong>dei</strong> fatti contestati, siano essi relativi ad un periodo precedente<br />
o successivo l’assunzione della carica. Inoltre, in termini processuali, non è facile immaginare<br />
una forma di immunità (più o meno mascherata), che funga da scudo nei con-<br />
SER, Montesquieu, la politica e la storia, Roma, Savelli, 1974, in particolare 91-100.<br />
10 Come insegna il Conseil Constitutionel, secondo il quale il dualismo di giurisdizioni in Francia<br />
si giustifica sulla base di una “concezione francese della separazione <strong>dei</strong> poteri”, cfr. M. TROPER, Le<br />
nuove separazioni <strong>dei</strong> poteri, cit., 23.<br />
11 Ad avviso della Corte (sent. n. 462/1993) “nell’ordinamento democratico stabilito dalla Costituzione<br />
i poteri dello Stato sono organizzati secondo un modello di pluralismo istituzionale, nel quali<br />
il principio della reciproca separazione è corretto con quello del reciproco “controllo e bilanciamento”.<br />
Di modo che [...] l’esercizio di un potere basato sulla Costituzione deve avvenire in conformità<br />
con la ratio inerente al relativo istituto ed entro i limiti derivanti dalla convivenza con gli altri poteri<br />
dello Stato”.<br />
12 Tenuto anche conto delle rilevanti deroghe che la Corte ha tollerato, anche nei rapporti tra i diversi<br />
livelli di governo, cfr. sentt. nn. 81/1979, 204,399/1987, 224/1994, 126/1996 e 93/1997.<br />
13 Sulle nuove divisioni <strong>dei</strong> Poteri, M. TROPER, Le nuove separazioni <strong>dei</strong> poteri, ed. scientifica,<br />
2007; G. BOGNETTI, La divisione <strong>dei</strong> poteri, Milano, Giuffrè, 2001; G. SILVESTRI, La separazione <strong>dei</strong><br />
poteri, Milano, Giuffrè, 1984.
Sotto l’interesse apprezzabile: il principio di separazione <strong>dei</strong> poteri o niente?<br />
fronti dell’esercizio di una nuova azione penale, ma che non precluda la continuazione<br />
<strong>dei</strong> processi già in corso. Ed ancora, in termini pratici, in un’ottica (che pur non si condivida,<br />
ma che va riconosciuta esistente) che vede il rischio di un abuso politicizzato<br />
della giustizia, una tale differenziazione potrebbe essere facilmente scavalcata, gestendo<br />
sapientemente l’azione penale, per attivarla a cascata nei confronti di quel soggetto che<br />
ancora non ha assunto la carica, ma che le condizioni politiche lasciano intravedere come<br />
un candidato con ottime possibilità di essere eletto.<br />
5. Il gran numero di problematiche che insorgono non devono però indurre a pensare<br />
che la riflessione conduca ad un vicolo a fondo cieco: si tratta di una questione<br />
complessa, che necessita di soluzioni complesse, meditate, ragionate. Soluzioni<br />
normative complesse, a cui si può giungere soltanto con un iter procedurale complesso.<br />
Spesso a conforto della tesi pro lodo si cita l’esempio francese, nel cui ordinamento,<br />
che non rappresenta certo un regime autoritario 14 , è stata da poco introdotta<br />
una forma di immunità per il Presidente, estesa agli atti extra-funzionali. La citazione<br />
è però inconferente, per quanto concerne i i soggetti verso i quali la misura è<br />
rivolta (la posizione del Presidente della Repubblica in Francia è ben diversa da<br />
quella <strong>dei</strong> Presidenti delle Camere e del Consiglio in Italia); ma il termine di paragone<br />
è utile per quel che concerne la complessità della soluzione: in Francia la riforma<br />
dello statuto penale del Presidente venne proposta agli elettori nella campagna<br />
elettorale del Presidente Chirac del 2002, il cui esito fu una rielezione trionfale del<br />
Presidente; venne quindi investita la “Commissione Avril”, per studiare la soluzione<br />
normativa adeguata, che fu alla base 15 del progetto di revisione costituzionale, approvato<br />
nel 2003 dal Consiglio <strong>dei</strong> Ministri 16 e divenuto legge costituzionale – con<br />
molti voti delle opposizioni – nel 2007 17 . Molto diversa la situazione italiana: nella<br />
notissima situazione di emergenza giudiziaria che coinvolgeva una delle alte cariche,<br />
il c.d. lodo Alfano è precipitato dal Presidente del Consiglio alla G.U. in pochissimi<br />
giorni, scavalcando qualunque “intralcio” temporale o procedurale 18 , giungendo<br />
all’approvazione a tempo di record di una legge ordinaria, senza alcun coinvolgimento<br />
dell’opposizione parlamentare.<br />
Se quindi, astrattamente, soltanto nel principio di separazione <strong>dei</strong> poteri potrebbe<br />
scorgersi un termine di riferimento che abbia sufficiente pregio costituzionale da riempire<br />
di contenuto quell’“interesse apprezzabile” citato dalla Corte nella sent. n. 24/2004,<br />
14<br />
Per quanto si possa ritenere che la storia abbia consegnato all’ordinamento italiano e francese<br />
una concezione dello Stato di diritto pressoché identica, va osservato come l’ordinamento francese si<br />
sia dimostrato in grado di sopportare una soglia di elasticità altissima, così come fu in occasione del<br />
referendum incostituzionale voluto (o meglio imposto) da De Gaulle nel 1962. Sull’evoluzione del<br />
principio in Francia, M. TROPER, La separazione <strong>dei</strong> poteri e la storia costituzionale francese, Napoli,<br />
Edizioni scientifiche italiane, 2005, per il referendum incostituzionale CHEVALLIER-CARCAS-<br />
SONNE-DUHAMEL, La Vème République 1958-2002, Paris, Colin, 2002.<br />
15<br />
Il testo del rapporto della Commissione http://ladocumentationfrancaise.fr/brp/notices/024000635.shtml<br />
16<br />
http://www.assemblee-nationale.fr/12/projets/pl1005.asp<br />
17<br />
http://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000000245803&dateTexte<br />
18<br />
Così come hanno chiaramente mostrato gli interventi della dott.ssa Bergonzini, del prof. Lupo e<br />
del Prof. Zanon, e la cui vicenda, ancora una volta, ricorda la l. n. 140/2003, i vizi del cui iter di approvazione<br />
sono stati dettagliatamente sviscerati da A. PUGIOTTO, «Veto players» e dinamiche istituzionali<br />
nella vicenda del «Lodo Maccanico», cit.<br />
117
118<br />
Pietro Faraguna<br />
né la sostanza della soluzione adottata dal legislatore con la l. n. 124 del 2008, né tanto<br />
meno questo modus agendi si pongono a servizio di tale principio, comunque lo si voglia<br />
concepire, ma all’opposto sono espressione di una prevaricazione di un Potere dello<br />
Stato su ogni altro potere, un inquietante rifiuto dell’essenza stessa del costituzionalismo,<br />
intesa con limitazione giuridica del potere 19 .<br />
19 Cfr. A. PACE, Le sfide del costituzionalismo del XXI secolo, in I limiti al potere, Napoli, Jovene,<br />
2009, con un’attenzione particolare alla problematica delle immunità. Sull’essenza del costituzionalismo,<br />
come lo si vuole intendere in questa sede, C.H. MCILLWAIN, Costituzionalismo antico e moderno,<br />
Neri Pozza, Venezia, 1956; M. DOGLANI, Introduzione al diritto costituzionale, il Mulino, Bologna,<br />
1994. Sulla separazione <strong>dei</strong> poteri intesa come sinonimo di costituzionalismo, M. BARBERIS, Etica<br />
per giuristi, Laterza, Roma, 2006, 136-140.
L’INSOSTENIBILE RAGIONEVOLEZZA DEL “LODO”<br />
di FEDERICO FURLAN *<br />
SOMMARIO: 1. Le condivisibili osservazioni del relatore su alcuni <strong>dei</strong> vizi denunziati. – 2. Perché si<br />
ritiene non sussistere la violazione dell’art. 138, comma 1, Cost. – 3. La fondatezza della questione<br />
di legittimità costituzionale in relazione alla violazione degli artt. 3 e 90 Cost.<br />
1. Questo mio intervento è diviso idealmente in due segmenti: la prima parte reca argomentazioni<br />
ad adiuvandum rispetto alla relazione introduttiva (dunque pro lodo),<br />
mentre la seconda è del tutto ad opponendum da essa (nel senso della incostituzionalità<br />
del lodo).<br />
Ritengo, in primo luogo, condivisibili le osservazioni di Giulio Salerno sulla “debolezza”<br />
<strong>dei</strong> vizi denunciati dai giudici remittenti con riferimento ai parametri rappresentati<br />
dagli artt. 111 (ragionevole durata <strong>dei</strong> processi e giusto processo) e 112 (obbligatorietà<br />
dell’esercizio dell’azione penale) Cost.:<br />
a) quanto al primo, perché soccombente nel bilanciamento con il bene giuridico protetto<br />
dalla l. n. 124 del 2008 (il sereno svolgimento di alte funzioni pubbliche), già riconosciuto<br />
meritevole di tutela dalla Corte cost. nella sent. n. 24/2004;<br />
b) quanto al secondo, sia perché, con la riscrittura delle norme, l’azione penale resta<br />
sospesa ma per un tempo determinato (ed a prescrizione bloccata) ed il suo esercizio solo<br />
rinviato al termine della legislatura in corso, sia perché non viene irreparabilmente<br />
pregiudicata (ad opera di altri organi) l’autonomia costituzionale del Pubblico Ministero<br />
nell’esercizio dell’azione medesima.<br />
In ordine, poi, ad una possibile violazione dell’art. 136 Cost., sollevata nell’ordinanza<br />
n. 397 del Tribunale di Milano – per avere la l. n. 124 riproposto senza sostanziali<br />
differenze una disciplina normativa già dichiarata illegittima dalla Corte cost. nel 2004<br />
e, quindi, per violazione del giudicato costituzionale –, ritengo che gli elementi di novità<br />
introdotti dal lodo Alfano (non reiterabilità e rinunciabilità della sospensione; regime<br />
delle prove non rinviabili; possibile trasferimento dell’azione in sede civile su richiesta<br />
della parte civile) siano tali da superare i vincoli posti in materia dalla giurisprudenza<br />
costituzionale, la quale ha ammonito in più occasioni il legislatore rammentando che è<br />
“precluso perseguire e raggiungere, direttamente o indirettamente, esiti corrispondenti<br />
a quelli già ritenuti lesivi della Costituzione” (sentenze nn. 223/1983 e 922/1988).<br />
Invero, a seguito delle modifiche, diversi sono gli “esiti” ovvero gli effetti diretti ed<br />
indiretti della sospensione prevista dalla l. n. 124 sui principi del processo, sulle posizioni<br />
e sui diritti <strong>dei</strong> singoli in esso coinvolti.<br />
2. Qualche parola in più merita di essere spesa in relazione alla ritenuta violazione<br />
* Ricercatore di Diritto costituzionale, Università degli Studi di Milano “Bicocca”.
120<br />
Federico Furlan<br />
dell’art. 138 Cost., che, a detta <strong>dei</strong> giudici remittenti, consisterebbe nell’avere introdotto,<br />
attraverso una legge ordinaria, una forma di sospensione processuale che deroga ad<br />
un quadro delle immunità degli organi costituzionali che è definito dalla Costituzione ed<br />
è intangibile da parte del legislatore ordinario.<br />
Il vizio d’origine (eccepito in tutte e tre le ordinanze di rinvio sia pure con diverse<br />
motivazioni) sarebbe, quindi, legato alla necessità di procedere solo attraverso fonti di<br />
livello costituzionale alle modificazioni del complessivo sistema delle immunità da cui<br />
sono protetti e garantiti gli organi costituzionali.<br />
Debbo dire subito che se, dal punto di vista della teoria costituzionale, ritengo sarebbe<br />
stato opportuno innestare queste disposizioni di sospensione processuale all’interno<br />
del testo della Costituzione, al fine di coordinarle e raccordarle con le altre forme di<br />
immunità funzionale ivi previste, d’altro canto, a mio avviso, non può dirsi incostituzionale,<br />
in sé e per sé, aver utilizzato lo strumento della legge ordinaria.<br />
Indicazioni in direzione della “costituzionalizzazione” provengono anche dal diritto<br />
comparato: in Francia, a seguito di due pronunce (contestate in dottrina e parzialmente<br />
divergenti tra loro) adottate dal Conseil constitutionnel nel 1999 e dalla Cassazione nel<br />
2001, nelle quali si era dedotta, in via interpretativa, dal testo costituzionale la sussistenza<br />
di una forma di improcedibilità per i reati presidenziali extrafunzionali, si è deciso di<br />
intervenire con la revisione del testo costituzionale. Così, con la l. cost. 23 febbraio<br />
2007 (di riforma degli artt. 67 e 68 cost. del 1958), è stata sanzionata l’impossibilità di<br />
sottoporre il Presidente a qualsivoglia forma di giudizio (civile, penale o amministrativa)<br />
per la durata del mandato ma è pure stato individuato un correttivo nella possibile<br />
destituzione da parte del Parlamento (costituito in Alta Corte), qualora si accertino casi<br />
di grave inadempienza ai doveri, ritenuta incompatibile con lo svolgimento del mandato.<br />
Ma, tornando al nostro ordinamento costituzionale, ritengo che le ragioni di infondatezza<br />
di detto vizio emergano dalle risposte ai quesiti che seguono:<br />
a) sussiste, all’interno del testo costituzionale, una “riserva” costituzionale in materia<br />
di “immunità degli organi costituzionali”, che limiti alla legge fondamentale il<br />
compito di sottoporre a disciplina le prerogative ed i privilegi di tali organi?<br />
Tralasciando ogni considerazione sulla difficoltà di definire in modo preciso i confini<br />
di una “materia”, la mia interpretazione è che nei meandri delle precedenti decisioni della<br />
Corte costituzionale e, in particolare, in alcuni passaggi delle sentenze nn. 148/1983 e<br />
24/2004, si nasconda la risposta, di segno negativo, a detto quesito.<br />
In tali decisioni, invero, il giudice costituzionale sembra avere distinto, all’interno<br />
dell’area delle immunità, due gruppi di fattispecie: da un lato gli istituti di garanzia/prerogative<br />
(che potremmo definire immunità in senso proprio) che possono portare<br />
ad un arresto definitivo dell’azione penale obbligatoria (come l’autorizzazione a procedere<br />
o la delibera di insindacabilità); dall’altro gli istituti di garanzia/prerogative (definibili<br />
immunità in senso lato) che non impediscono l’esercizio dell’azione penale, ma<br />
condizionano le concrete vicende del processo, sia rinviandone l’inizio o la prosecuzione<br />
(così le ipotesi di sospensione) sia individuando ipotesi di esclusione dalla responsabilità<br />
(così le cause di non punibilità ovvero le scriminanti).<br />
Soltanto i primi strumenti, costituendo una deroga al principio di obbligatorietà<br />
dell’azione penale (art. 112 Cost.), debbono trovare il loro fondamento in una esplicita<br />
previsione costituzionale, mentre i secondi è sufficiente siano “il frutto di un ragionevole<br />
bilanciamento <strong>dei</strong> valori costituzionali in gioco” (sent. n. 148/1983, punto 5 del Considerato<br />
in diritto), a condizione che i beni giuridici da essi tutelati abbiano un implicito<br />
riconoscimento nel testo costituzionale.<br />
E, come detto, il riconoscimento della meritevole protezione del bene giuridico rap-
L’insostenibile ragionevolezza del “lodo”<br />
presentato dal sereno svolgimento di rilevanti funzioni pubbliche – esercitate dalle alte<br />
cariche dello Stato – è gia stato operato dalla Corte nella sent. n. 24/2004.<br />
b) Nell’eventualità si ritenesse (come pure si nega) esistere una “riserva” costituzionale<br />
nella materia “immunità degli organi costituzionali”, l’eventuale violazione di<br />
essa da parte del legislatore ordinario si tradurrebbe in una violazione dell’art. 138<br />
Cost.?<br />
La mia risposta a questo quesito è parimenti negativa: dal momento che l’art. 138<br />
Cost. disciplina il procedimento aggravato per modificare la costituzione (ovvero per<br />
procedere all’approvazione delle “altre leggi costituzionali”), una possibile violazione di<br />
questo parametro potrebbe giustificarsi solo sostenendo che il legislatore ordinario abbia<br />
realizzato surrettiziamente una revisione costituzionale, in spregio alle regole procedurali<br />
dettate da questa disposizione.<br />
Invero, seguendo la tesi <strong>dei</strong> giudici remittenti, si dovrebbero ipotizzare tre diverse<br />
ipotesi di violazione dell’art. 138 Cost.:<br />
a) una legge costituzionale che violi le norme procedurali fissate dall’art. 138 Cost. –<br />
ad es. approvata in seconda approvazione con una maggioranza relativa – ovvero che si<br />
ponga in contrasto con l’art. 139 Cost. (e quindi contravvenga ai c.d. limiti espliciti alla<br />
riforma costituzionale); rientrerebbe in questa ipotesi anche la violazione di una riserva<br />
espressa di legge costituzionale, quale quella prevista dall’art. 137, comma 1, Cost. per<br />
le garanzie di indipendenza <strong>dei</strong> giudici costituzionali;<br />
b) una legge costituzionale che violi (dal punto di vista sostanziale) i principi fondamentali<br />
sui quali si regge l’ordinamento costituzionale (i c.d. limiti impliciti alla revisione)<br />
– si pensi ad una modifica dell’art. 13 Cost. che allunghi i tempi per la convalida<br />
<strong>dei</strong> provvedimenti d’urgenza restrittivi della libertà personale –;<br />
c) una legge ordinaria che, dal punto di vista del contenuto, costituisca un grave<br />
vulnus all’ordinamento costituzionale vigente, tanto da rappresentare una revisione tacita<br />
della Costituzione stessa, alla stregua di quello che furono le leggi “fascistissime” per<br />
lo Statuto Albertino.<br />
Se le prime due ipotesi non presentano profili problematici, la terza ipotesi desta, invece,<br />
perplessità in relazione a tre ordini di motivi:<br />
1) in primo luogo questo ragionamento, portato alle sue estreme conseguenze, condurrebbe<br />
ad affermare che qualsiasi violazione e/o deroga da parte di leggi ordinarie di<br />
principi e prescrizioni costituzionali, in quanto forma surrettizia di revisione costituzionale,<br />
comporti consequenziale violazione delle regole dettate dal predetto art. 138 Cost.<br />
2) Il secondo motivo è di ordine formale: in un sistema a costituzione rigida come il<br />
nostro una legge quale la n. 124 del 2008 è, e resta, indipendentemente dal suo contenuto,<br />
una legge ordinaria, subordinata alla Costituzione ed impossibilitata (pena il suo annullamento)<br />
a contrastare o a derogare ad essa.<br />
La circostanza che, con detta legge ordinaria, si sia perpetrata una (supposta) eversione<br />
della legalità costituzionale (anche molto grave in ipotesi) non fa acquistare ad<br />
essa una forza formale che non possiede e non ne muta il rango nel sistema delle fonti.<br />
3) Il terzo motivo è di ordine sistematico: negli ordinamenti a costituzione “lunga”<br />
del secondo dopoguerra (che includono un esteso catalogo <strong>dei</strong> diritti e prevedono nel<br />
dettaglio organizzazione, funzioni e forme di responsabilità degli organi e <strong>dei</strong> poteri)<br />
l’ipotesi che una legge ordinaria sia in grado di modificare in modo tacito la Costituzione<br />
senza, tuttavia, entrare in diretto contrasto con i principi e/o le regole puntuali in Essa<br />
accolti non può essere considerata praticabile, nemmeno come ipotesi di scuola.<br />
In assenza di principi applicabili e di disposizioni puntuali, il legislatore ordinario a-<br />
121
122<br />
Federico Furlan<br />
gisce all’interno di una zona (ed invero ne esistono poche) nella quale è, in linea generale<br />
e salvo eccezioni, libero di intervenire con ampia discrezionalità per dettare la propria<br />
disciplina.<br />
E, allora, delle due l’una: o la legge ordinaria si muove all’interno del tessuto, dell’ordito<br />
costituzionale (costituito, per l’appunto, di principi e regole concrete, nell’interpretazione<br />
evolutiva fornita dalla giurisprudenza costituzionale) e quindi è da ritenersi<br />
legittima, oppure entra in contrasto con i principi e/o le regole puntuali di siffatto ordito,<br />
ed allora sarà incostituzionale.<br />
Per ulteriormente esemplificare: l’istituzione, all’interno della legge sull’ordinamento<br />
giudiziario (e quindi legge ordinaria), di un organo giurisdizionale ad hoc per giudicare<br />
gli illeciti disciplinari <strong>dei</strong> pubblici ministeri (con contestuale spoglio di tale attribuzione<br />
al CSM) integrerebbe senza dubbio un grave tentativo di menomazione del dettato<br />
costituzionale; nondimeno questa legge sarebbe incostituzionale per contrasto con gli<br />
artt. 105 e 107 Cost. e non per avere violato le regole procedurali fissate dall’art. 138<br />
Cost.<br />
In conclusione: le disposizioni del lodo Alfano si diranno incostituzionali nel caso in<br />
cui si accerti, da parte del Giudice delle leggi, che esse contrastano con specifici principi<br />
o regole posti dal testo costituzionale ed inerenti le prerogative di cui godono gli organi<br />
costituzionali e che li diversificano, nel trattamento, dagli altri cittadini (artt. 3, 68, 90,<br />
96 Cost.); diversamente si dovrà ritenere che dette disposizioni si muovano all’interno<br />
dell’ordito costituzionale, integrandolo e/o attuandolo in maniera legittima.<br />
3. Pienamente condivisibili mi paiono, invece, i dubbi di costituzionalità <strong>dei</strong> remittenti<br />
fondati sulla violazione del principio di uguaglianza (nella sua veste di principio di<br />
ragionevolezza dell’azione legislativa), poiché, anche dopo il restyling normativo, non<br />
sembrano superati i rilievi mossi dalla Corte (nella sent. n. 124/2004) sulla non ragionevole<br />
disparità di trattamento del Presidente del Consiglio e <strong>dei</strong> Presidenti di assemblea<br />
parlamentare rispetto agli altri membri <strong>dei</strong> collegi da essi presieduti (Considerato in diritto<br />
n. 8).<br />
Partiamo dal Presidente del Consiglio. Quest’organo è (dal punto di vista della costituzione<br />
formale, della legislazione attuativa – in primo luogo la l. n. 400 del 1988 – e<br />
della prassi costituzionale) un primus inter pares rispetto agli altri membri del Consiglio<br />
<strong>dei</strong> Ministri, come dimostrato dal fatto che:<br />
a) Egli non gode di preminenza/supremazia giuridica sui titolari degli altri dicasteri<br />
(assicurata, per contro, dalle rispettive leggi fondamentali al Cancelliere tedesco 1 ed il<br />
presidente del Governo spagnolo), tanto che non può procedere alla loro revoca ad nutum<br />
e non può indirizzare loro direttive nelle quali indicare gli obiettivi del proprio ministero;<br />
b) la Costituzione pone il principio di collegialità dell’esecutivo come regola fondamentale<br />
(accanto al principio monocratico) e prevede l’attribuzione della funzione di indirizzo<br />
politico al Governo nel suo complesso (il Presidente del Consiglio non determina<br />
la politica nazionale ma la dirige; la fiducia è ottenuta dal Governo collettivamente<br />
ed è solo la sfiducia al Governo nel suo complesso a rendere giuridicamente obbligatorie<br />
le dimissioni dell’intero Esecutivo).<br />
1 Non si dimentichi, peraltro, che anche il Cancelliere tedesco subisce i condizionamenti derivanti<br />
dagli accordi di coalizione, i cui contenuti, nella prassi recente, sono stati anche resi pubblici.
L’insostenibile ragionevolezza del “lodo”<br />
Certo, con il consolidamento del parlamentarismo maggioritario (nonché del bipolarismo)<br />
e grazie all’indiscussa leadership dell’attuale capo del Governo, il ruolo del Presidente<br />
del Consiglio quale guida e motore dell’Esecutivo è significativamente aumentato<br />
ed è anche stato riconosciuto in alcune importanti leggi (non ultima la legge elettorale<br />
del 2005), ma le indicazioni provenienti dalla prassi (peraltro non uniforme nelle legislature<br />
successive al 1994 2 ) non appaiono sufficienti a radicare la primazia del principio<br />
monocratico, in assenza di una revisione costituzionale o, quantomeno, delle leggi attuative<br />
3 .<br />
Quanto ai Presidenti delle assemblee parlamentari, è indubbio che essi abbiano un<br />
ruolo chiave nell’organizzazione e nella guida <strong>dei</strong> lavori e svolgano anche funzioni istituzionali<br />
(in particolare il presidente del Senato) ma nessuna ragione milita per un particolare<br />
privilegio ad essi attribuibile rispetto agli altri membri del collegio, quale quello<br />
previsto dal lodo; ciò, in base a due diversi ordini di considerazioni:<br />
a) il Presidente di assemblea dal 1994 (e ancor più marcatamente dalla XIV legislatura)<br />
ha assunto una dimensione politica sempre più marcata, a scapito della configurazione<br />
garantistica ed imparziale che possedeva in precedenza;<br />
b) in quanto membri delle Camere, i due Presidenti usufruiscono già delle garanzie<br />
di cui all’art. 68 Cost., le quali assicurano un ampio ventaglio di copertura immunitaria<br />
anche in relazione a procedimenti per reati connessi prima di assumere la carica.<br />
Le considerazioni che precedono non ritengo possano, invece, valere per l’organo<br />
monocratico Presidente della Repubblica, per il quale si potrebbe, in astratto, considerare<br />
lecita e legittima la disposizione, anzi attuativa di una lacuna (sia pure voluta, come si<br />
evince dall’intervento di Ruini in Assemblea costituente) del testo costituzionale, che<br />
tanto ha fatto discutere i costituzionalisti e che ha originato anche un precedente giurisprudenziale<br />
molto dubbio (del Tribunale di Roma sul caso Scalfaro-Sisde del 1991).<br />
La l. n. 124 del 2008 si presenta, però, intrinsecamente irragionevole anche con riferimento<br />
al Capo dello Stato perché, senza evidente e motivata ragione, sanziona diversamente<br />
il trattamento <strong>dei</strong> reati funzionali rispetto ai reati extrafunzionali (sospensione<br />
anziché giudizio della Corte a seguito di messa in stato di accusa), rendendo incostituzionali,<br />
anche in relazione a quest’organo, le disposizioni del lodo.<br />
2 Le vicende del II Governo Prodi, nel corso della XV legislatura, (e la sua crisi) hanno, invero,<br />
offerto elementi che depongono per una grande debolezza del capo del Governo in presenza di un governo<br />
di coalizione nel quale siedano molti partiti.<br />
3 Si vedano, in tal senso, le emblematiche dichiarazioni rese dal Premier al Congresso fondativo del<br />
Popolo delle Libertà il 29/3/2009: «La Costituzione assegna al presidente del Consiglio <strong>dei</strong> poteri quasi<br />
inesistenti. In altri Paesi, invece, il premier ha poteri veri: in Italia ahimè ha solo poteri finti e così il governo<br />
non può intervenire con prontezza e lo Stato non può funzionare. Il Paese ha bisogno di governabilità».<br />
123
QUADRARE IL CERCHIO<br />
(IL “LODO ALFANO” FRA L’“OMBRA” DEL GIUDICATO<br />
E I POTERI IN EQUILIBRIO)<br />
di GUIDO GALIPÒ *<br />
SOMMARIO: 1. Il “lodo Alfano” dinanzi alla Consulta: prolegomeni al problema. – 2. “Lodo Alfano”<br />
e sent. n. 24/2004: violazione del giudicato costituzionale? – 3. Ripensare la “giustizia politica”:<br />
alla ricerca della “quadratura del cerchio”.<br />
1. Come prevedibile, a poco più di soli due mesi dalla sua approvazione, il c.d. “lodo<br />
Alfano” (l. 24 luglio 2008 n. 124) è stato puntualmente oggetto delle censure d’incostituzionalità<br />
del Tribunale di Milano (ord. n. 397 del 26 settembre 2008 e n. 398 del 04<br />
ottobre 2008) e del GIP presso il Tribunale di Roma (ord. n. 9 del 26 settembre 2008).<br />
Ciò a dimostrazione, qualora ve ne fosse stato ancora bisogno, che quel conflitto fra<br />
magistratura e politica, che ha caratterizzato la c.d. “seconda repubblica” fin dalla sua<br />
genesi, è ancora lontano da una solida composizione normativa. Le eccezioni <strong>dei</strong> remittenti<br />
(circa la presunta violazione degli artt. 3, 111 e 112 Cost., nonché dell’art. 138<br />
Cost. in relazione agli artt. 90 e 96) in buona parte ripropongono contestazioni che avevano<br />
già interessato l’“antenato normativo” dell’attuale legge, e cioè l’art. 1 della l. 20<br />
giugno 2003 n. 140 (c.d. “lodo Maccanico-Schifani”) anch’esso in materia di sospensione<br />
<strong>dei</strong> processi riguardanti le alte cariche dello Stato. Una norma, come noto, dichiarata<br />
costituzionalmente illegittima dalla Consulta con la sent. n. 24/2004 per violazione degli<br />
artt. 3, 24, 111 e 112 Cost 1 . Ed è proprio in base a tale pronunzia che, in questa sede, ci<br />
si intende soffermare su un’eccezione di illegittimità costituzionale “capitale” 2 e assai<br />
originale rispetto alle altre questioni sollevate e, in un certo senso, “attese”: quella, cioè,<br />
con cui la 5°sez. penale del Tribunale di Milano (ord. n. 397/2008) ipotizza nei confronti<br />
del “lodo Alfano” la violazione del giudicato costituzionale formatosi ex art. 136 Cost.<br />
proprio in base alla sent. n. 24/2004. Quest’ultima, come noto, aveva inter alia censurato,<br />
come lesiva del principio di parità e del canone di ragionevolezza, la sospensione<br />
processuale sancita dall’art. 1 della l. n. 140 del 2003 (e analogamente riproposta dal<br />
nuovo testo) che accomunava “in un’unica disciplina cariche diverse non soltanto per le<br />
fonti d’investitura, ma anche per la natura delle funzioni e distingue…i presidenti rispet-<br />
* Dottore di ricerca in Diritti e Libertà fondamentali negli Ordinamenti giuridici contemporanei,Università<br />
di Catania.<br />
1 Per un commento della sentenza, cfr. S. CURRERI, Prime riflessioni sulla sentenza 20 gennaio<br />
2004, n. 24 della Corte costituzionale, nonché A. PUGIOTTO, Sull’immunità delle “alte cariche” una<br />
sentenza di “mezzi silenzi”, attualmente entrambi disponibili su http://www.giurcost.org<br />
2 Cfr. G.M. SALERNO, La sospensione <strong>dei</strong> processi penali relativi alle alte cariche dello Stato davanti<br />
alla Corte costituzionale, in questo <strong>volume</strong>.
Quadrare il cerchio (il “lodo Alfano” fra l’“ombra” del giudicato e i poteri in equilibrio)<br />
to agli altri componenti degli organi da loro presieduti” 3 . Tale eccezione appare assai<br />
significativa poiché, come già evidenziato 4 , la nuova formulazione della sospensione<br />
processuale adottata (che ha sancito la rinunciabilità della medesima da parte <strong>dei</strong> titolari<br />
5 , la tutela accordata alle parti civili 6 , la sostanziale non reiterabilità della prerogativa<br />
in caso di assunzione di altro incarico se non nella medesima legislatura 7 e la possibilità<br />
di procedere all’assunzione delle “prove non rinviabili” 8 ) sembra superare gran parte<br />
delle censure riproposte dai remittenti in riferimento agli artt. 111 e 112 Cost. Laddove,<br />
invece, si considerasse sussistente, con la riproposizione della sospensione processuale<br />
in favore <strong>dei</strong> medesimi soggetti previsti dalla l. n. 140 del 2003, una violazione del giudicato<br />
di cui alla sent. n. 24/2004, risulterebbe da ciò assorbita anche la vexata quaestio<br />
(puntualmente riproposta ex art. 138 Cost. dai giudici a quibus in relazione agli artt. 90 e<br />
96 Cost.) della necessità o meno di una legge costituzionale per introdurre nell’ordinamento<br />
l’inviolabilità processuale delle alte cariche. Se, infatti, in linea generale, l’utilizzo<br />
di una legge ordinaria in tale contesto (in luogo del pur preferibile 9 ricorso all’art.<br />
138 Cost.) non manca né di significativi precedenti normativi 10 né di fondamento dottrinale<br />
11 (tanto più che non di “immunità” sostanziale si parla, bensì di una “inviolabilità<br />
processuale” di natura provvisoria) 12 , ove il legislatore abbia inteso invece superare le<br />
prescrizioni imposte da un giudicato costituzionale (nella specie, la sent. n. 24/2004) avrebbe<br />
dovuto necessariamente procedere ex art. 138 Cost.<br />
2. Preliminarmente al merito della quaestio ex art. 136 Cost., appare utile richiamare<br />
i caratteri del c.d. “giudicato costituzionale”, anche a fronte della copiosa giurisprudenza<br />
della Consulta sedimentatasi al riguardo. In materia, la dottrina maggioritaria 13 e la stes-<br />
3<br />
Cfr. Corte cost., sent. n. 24/2004.<br />
4<br />
Cfr. I. NICOTRA-G.GALIPÒ, I poteri in equilibrio. Libertà d’esercizio delle funzioni tra inviolabilità<br />
e giurisdizione, 6 agosto 2008, in Federalismi.it-Rivista di diritto pubblico italiano, comunitario<br />
e comparato, n. 16/2008, attualmente disponibile su http://www.federalismi.it<br />
5<br />
Cfr. l. 23 luglio 2008, n. 124, art. 2.<br />
6<br />
Cfr. l. 23 luglio 2008, n. 124, art. 6.<br />
7<br />
Cfr. l. 23 luglio 2008, n. 124, art. 5.<br />
8<br />
Cfr. l. 23 luglio 2008, n. 124, art. 3.<br />
9<br />
Al riguardo, cfr. T. GIUPPONI, Il “lodo Alfano” e la riserva costituzionale in materia di immunità:<br />
la lezione francese, 10 luglio 2008, oggi in http://www.forumcostituzionale.it, nonché I.<br />
NICOTRA, Il Lodo Maccanico: le ragioni di una legge costituzionale, 8 giugno 2003, oggi in<br />
http://www.forum costituzionale.it.<br />
10<br />
Cfr. l’art. 5, l. n. 1 del 1981, sull’estensione <strong>dei</strong> componenti del CSM dell’insindacabilità ex art.<br />
68, comma 1, Cost., avallata per altro dalla stessa Corte cost. (cfr. sent. n. 148/1983)<br />
11<br />
Cfr. S. TRAVERSA, Immunità parlamentare, in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 184 ss., che ritiene<br />
sufficiente, in materia di disciplina di immunità penali ed inviolabilità processuali, la legislazione ordinaria<br />
laddove essa pervenga ad una “integrazione” di prerogative in capo a soggetti che già ne godano<br />
per espresso dettato costituzionale.<br />
12<br />
Cfr. D. BRUNELLI, Immunità, in Enc. giur. Treccani, 2004, 1-2, nonché N. ZANON, Parlamentare<br />
(status di), in Digesto delle Discipline pubblicistiche, Utet, Torino, 2006, X, 634.<br />
13<br />
Cfr. A. RUGGERI-A.SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, Giappichelli, Torino<br />
2004, 132-133, E. MALFATTI-S. PANIZZA-R. ROMBOLI, Giustizia costituzionale, Giappichelli, Torino<br />
2007, 305-307 e, ancor più specificatamente, F. DAL CANTO, Il giudicato costituzionale nel giudizio<br />
sulle leggi, Giappichelli, Torino, 2003.<br />
125
126<br />
Guido Galipò<br />
sa Corte 14 hanno chiarito la portata precettiva del combinato-disposto fra l’art. 136<br />
comma 1 e l’art. 137, comma 2, Cost., su cui si fonda il principio del c.d. “giudicato costituzionale”<br />
come vincolante, specie riguardo alle sentenze di accoglimento, non solo<br />
per la giurisdizione e la P.A., ma anche per il legislatore, inibito alla riproposizione per<br />
via ordinaria, sia pro preterito ed in via transitoria, sia pro futuro 15 , di norme già dichiarate<br />
costituzionalmente illegittime. Anzi, sotto questo aspetto, il disposto di cui all’art.<br />
136, comma 1, Cost. è stato definito nella stessa giurisprudenza 16 quale vera e propria<br />
“architrave” a garanzia della stessa rigidità costituzionale. Di talché, la Corte ha inoltre<br />
precisato, in numerose pronunzie 17 , che la declaratoria d’incostituzionalità per lesione<br />
del giudicato risulterebbe assorbente rispetto a tutte le altre questioni sollevate dal giudice<br />
a quo, ivi comprese le stesse poste a fondamento della pregressa censura<br />
d’incostituzionalità, ove reiterate 18 . A fronte dell’intenzione del legislatore di riproporre<br />
norme dichiarate incostituzionali superando il relativo giudicato, questi potrebbe farlo,<br />
come evidenziato da parte della dottrina 19 , soltanto mediante legge costituzionale. Ma<br />
ciò (aldilà dell’opportunità di una simile “contrapposizione” con il dictum della Corte) 20<br />
soltanto nei limiti in cui i contenuti della norma non risultassero in contrasto con i<br />
“principi supremi” ed il “nucleo duro di costituzionalità” dell’ordinamento 21 . Tutto<br />
quanto ciò premesso, il problema della possibile violazione del giudicato costituzionale<br />
viene in rilievo, appunto nel corpo dell’ord. n. 397/2008, con l’eccezione sollevata circa<br />
la presunta “sovrapponibilità” fra la sospensione processuale disegnata dal “lodo Alfano”<br />
e quella a suo tempo prevista dalla l. n. 140 del 2003 e censurata dalla Corte. Se infatti,<br />
come già evidenziato, notevoli sono le variazioni operate sull’istituto dal legislatore<br />
del 2008 al fine di recepire i rilievi della sent. n. 24/2004, è pur vero che il “cuore”<br />
normativo dell’attuale disciplina resta sostanzialmente invariato, confermando cioè una<br />
sospensione processuale che accomuna in un’unica disciplina, come sanzionato dalla<br />
Corte, vertici istituzionali assolutamente diversi fra loro sia per “fonte d’investitura” che<br />
per “natura delle funzioni svolte”, reiterando quella stessa disparità di trattamento fra<br />
Presidenti delle Camere e membri del Parlamento, e fra Presidente del Consiglio e Ministri,<br />
cassata dalla Consulta come lesiva dell’art. 3 Cost. e del canone di ragionevolezza.<br />
Ciò posto, la domanda è: ai fini della violazione dell’art. 136.1 Cost., è necessaria la pedissequa<br />
riproposizione delle disposizioni già censurate nel loro identico contenuto testuale,<br />
o è sufficiente una formulazione “analoga”, seppur non “identica” alla norma già<br />
censurata? La giurisprudenza della Corte, al riguardo, non è univoca. Se, infatti, in talu-<br />
14<br />
Cfr. Corte cost., sent. n. 73/1963, nonché le sentenze n. 88/1966 e n. 223/1983.<br />
15<br />
Cfr. F. DAL CANTO, Art. 137, in R. BIFULCO-A. CELOTTO-M. OLIVETTI (a cura di), Commentario<br />
alla Costituzione, Utet, Torino, 2006, II, 2695.<br />
16<br />
Cfr. Corte cost., sent. n. 73/1963, secondo cui il “rigore della norma dell’art. 136 della Costituzione”<br />
è ciò su cui “poggia il contenuto pratico di tutto il sistema delle garanzie costituzionali, in<br />
quanto essa toglie immediatamente efficacia alla norma illegittima. E proprio in considerazione della<br />
fondamentale importanza per il nostro ordinamento giuridico di questo precetto costituzionale, la<br />
Corte trova altresì opportuno porre in rilievo che esso non consente compressioni od incrinature nella<br />
sua rigida applicazione”.<br />
17<br />
Cfr. Corte cost., sent. n. 181/1997 e, soprattutto, sent. n. 211/2003.<br />
18<br />
Cfr. Corte cost., sent. n. 347/1999 e n. 545/1990.<br />
19<br />
Cfr. E. MALFATTI-S. PANIZZA-R. ROMBOLI, op. cit., 305.<br />
20<br />
Ibidem, 307.<br />
21<br />
Cfr. A. RUGGERI-A. SPADARO, op. cit., 132. Sui “principi supremi dell’ordinamento costituzionale”<br />
si rinvia alle ormai storiche sentenze della Corte cost. n. 1146/1988 e n. 366/1991.
Quadrare il cerchio (il “lodo Alfano” fra l’“ombra” del giudicato e i poteri in equilibrio)<br />
ne sentenze 22 la censura d’incostituzionalità ex art. 136 ha colpito soltanto la riproposizione<br />
pedissequa delle norme od il rinvio materiale ad esse (e non sarebbe, questo, il caso<br />
del Lodo Alfano), e se addirittura vi è un caso 23 in cui la Corte ha smentito la violazione<br />
dell’art. 136.1 Cost. per riformulazione di norma che, pur con tratti di analogia,<br />
introduceva un quid novi recettivo del presupposto giudicato (proprio come nel lodo Alfano),<br />
la sent. n. 922/1988, considerata quale vero e proprio “leading case” in materia,<br />
anche per i suoi richiami alla giurisprudenza pregressa, ha sancito che “far rivivere norme<br />
già divenute inefficaci in conseguenza del loro annullamento da parte della Corte<br />
contrasta con il rigore del precetto racchiuso nel primo comma dell’art. 136 che impone<br />
al legislatore di uniformarsi alla immediata cessazione dell’efficacia giuridica della<br />
norma illegittima, così escludendo sia che se ne possa prolungare la vita sia che la si<br />
possa far risorgere…a meno che, tenuto conto di tutte le circostanze, il quadro normativo<br />
in cui si è inserito l’articolo subentrante risulti mutato rispetto a quello in cui si colloca<br />
e dal quale traeva argomento la pronuncia della Corte. Va, cioè, evitato che una<br />
nuova legge valuti fatti, atti o situazioni come se la dichiarazione di illegittimità costituzionale<br />
non fosse intervenuta”. Concetto, questo, ribadito anche successivamente 24 dalla<br />
Corte, che esclude la violazione dell’art. 136 Cost. solo laddove “nessuna identificazione<br />
appare possibile” fra norma impugnata e precedente costituzionalmente illegittimo.<br />
Ciò poiché il giudicato costituzionale comporta che “sia precluso non solo il disporre<br />
che la norma dichiarata incostituzionale conservi la propria efficacia, bensì il perseguire<br />
e raggiungere, anche se indirettamente, esiti corrispondenti a quelli già ritenuti lesivi<br />
della Costituzione” 25 . Ancora, è stato altresì opportunamente notato in dottrina 26 che “il<br />
giudicato costituzionale non copre pertanto la generalità delle conseguenze prodotte dalla<br />
cessazione di efficacia della norma, bensì soltanto quelle che trovano il loro presupposto<br />
nell’accertamento, ovvero che rientrano nei limiti della “questione” già oggetto<br />
del giudicato”, come nel caso della sospensione processuale prevista dal lodo Alfano, in<br />
piena analogia con quella prevista dal censurato art. 1 della l. n. 140 del 2003. Risulta<br />
allora abbastanza evidente che, pur in presenza di significativi correttivi in recezione<br />
delle osservazioni rese dalla Corte nella sent. n. 24, nel lodo Alfano sembra palesarsi<br />
una completa uniformità fra la sospensione processuale ivi prevista e quella a suo tempo<br />
censurata dalla Consulta, sotto il profilo della reiterazione dell’assoggettamento alla<br />
medesima disciplina di incarichi diversi per funzione e legittimazione e della identica<br />
differenziazione di trattamento fra vertici istituzionali e componenti dell’organo collegiale<br />
presieduto, entrambe già ritenute irragionevoli. Una situazione, questa, che sembra<br />
pertanto rendere plausibile, nonostante autorevoli voci di dissenso 27 , la fondatezza della<br />
censura ex art. 136 Cost. e la violazione del giudicato costituzionale sancito dalla sent.<br />
n. 24/2004. Un giudicato che, pertanto, avrebbe dovuto indurre non già alla presentazione<br />
di un d.d.l. ordinario, bensì a preferire la “strada maestra” di un d.d.l. ex art. 138. Sol-<br />
22<br />
L’orientamento della Corte al riguardo è rinvenibile in numerose sentenze, fra cui si segnalano<br />
la n. 110/1997, la n. 181/1997 e la già citata sent. n. 545/1990.<br />
23<br />
Cfr. Corte cost., sent. n. 194/2002.<br />
24<br />
Cfr. Corte cost., sent. n. 347/1999.<br />
25<br />
Cfr. Corte cost., sent. n. 223/1983.<br />
26<br />
Cfr. F. DAL CANTO, Art. 137, in Commentario alla Costituzione, cit., 2693.<br />
27<br />
Cfr. G.M. SALERNO, La sospensione, cit., 23, che interpreta la lesione del canone di ragionevolezza<br />
de qua con esclusivo riferimento alla mancata menzione, accanto agli artt. 90 e 96 Cost., della l.<br />
cost. n. 1 del 1948, che estendeva ai giudici della Corte costituzionale e al suo Presidente (espunto dai<br />
soggetti indicati dalla l. n. 124 del 2008) le prerogative di cui all’art. 68 Cost.<br />
127
128<br />
Guido Galipò<br />
tanto una legge costituzionale, infatti, potrebbe legittimare la portata “derogatoria” di<br />
tale istituto rispetto al pregresso dictum della Corte, in presenza, per altro, di non trascurabili<br />
dati normativi che potrebbero giustificare una differenziazione, per via costituzionale,<br />
del trattamento processuale <strong>dei</strong> vertici degli organi costituzionali collegiali dello<br />
Stato riguardo ai componenti <strong>dei</strong> medesimi 28 , formalizzando altresì una prerogativa che,<br />
già con riferimento al Capo dello Stato, non ha mai conosciuto contestazione, trovando<br />
anzi, sia in dottrina 29 che nella prassi giurisprudenziale 30 , ampio conforto.<br />
3. La sensazione che, conclusivamente, si trae da questa ennesima “frattura” fra potere<br />
legislativo ed ordine giudiziario, rappresentata dall’impugnazione dinanzi alla Consulta<br />
del nuovo “lodo” e dal giudizio d’incostituzionalità che su di esso potrebbe essere<br />
pronunziato, è che ci si trovi di fronte all’ennesima “occasione mancata” per un generale<br />
ripensamento degli equilibri fra i poteri dello Stato e della stessa “giustizia politica”.<br />
Laddove, infatti, la Corte stessa ha riconosciuto la ratio del “lodo Maccanico-Schifani”<br />
(e, parallelamente, nell’attuale l. n. 124 del 2008) di tutelare “il sereno svolgimento delle<br />
rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche”, come un “interesse apprezzabile<br />
che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto<br />
al cui migliore assetto la protezione è strumentale”, essa non ha fatto altro che<br />
porre l’accento sulla necessità di ulteriormente rafforzare quel principio di separazione<br />
<strong>dei</strong> poteri e di equilibrio fra gli organi costituzionali che, dello Stato di diritto, costituisce<br />
uno <strong>dei</strong> fondamenti. Ed in tal senso il Capo dello Stato, in ossequio alla natura strettamente<br />
“garantista” del suo potere di rinvio delle leggi ex art. 74 Cost. soltanto in caso<br />
di “manifesta incostituzionalità della legge” 31 , non ha potuto fare a meno di sanzionarne<br />
la promulgazione. Pertanto, l’esigenza di idonei strumenti costituzionali che ridefiniscano<br />
non la “possibilità”, bensì le “modalità” e i “tempi” d’intervento dell’ordine giudiziario<br />
sugli altri organi costituzionali dello Stato e sui loro titolari, appare non soltanto<br />
provvida, ma anzi necessaria, alla luce dell’ormai endemico stato di tensione fra titolarità<br />
dell’indirizzo politico-istituzionale dello Stato e ordine giudiziario che ha contrassegnato,<br />
fino ad ora, la “lunga transizione costituzionale” del nostro ordinamento. Ciò tanto<br />
più se, alla luce dell’evoluzione in senso “maggioritario” della forma di governo italiana<br />
e della “Costituzione materiale”, si prendono in considerazione gli stessi altri istituti<br />
di “giustizia politica” attualmente già previsti dalla Carta ai suoi artt. 68, 90 e 96.<br />
28 Con riguardo, ad esempio alla peculiarità delle funzioni di presidenza delle Assemblee parlamentari,<br />
tali da plausibilmente giustificare, in linea generale, una tutela “rafforzata” della libertà e serenità<br />
d’esercizio delle funzioni, cfr. A. TORRE, Il magistrato dell’Assemblea. Saggio sui Presidenti<br />
parlamentari, Giappichelli, Torino, 2000, 138 ss., nonché F. BILANCIA, Art. 63, in Commentario alla<br />
Costituzione, cit., 1211 ss.<br />
29 Cfr. S. GALEOTTI-B. PEZZINI, Il Presidente della Repubblica nella Costituzione italiana, in Digesto<br />
delle Discipline Pubblicistiche, Utet, Torino, 2006, XI, 450, nonché A. BALDASSARRE, Il Presidente<br />
della Repubblica, in G. AMATO-A. BARBERA (a cura di), Manuale di Diritto Pubblico, Il Mulino,<br />
Bologna 2008, II, 251, nel senso dell’improcedibilità penale nei confronti del Capo dello Stato<br />
per l’intera durata del mandato.<br />
30 Ci si riferisce alla condotta della Procura della Repubblica di Roma, nell’ottobre-novembre<br />
1993, nei confronti dell’allora Capo dello Stato O.L. Scalfaro nel c.d. “caso SISDE”.<br />
31 Cfr. S. PAJNO, Art. 74, in Commentario alla Costituzione, cit., 1449 ss., nonché, sul punto, sia<br />
consentito rinviare a I. NICOTRA-G. GALIPÒ, Chi difende la Costituzione? Note a margine del recente<br />
parere del CSM sulle norme in materia di sospensione <strong>dei</strong> processi, 9 luglio 2008, in Federalismi.it n.<br />
14/2008, oggi disponibile su http://www.federalismi.it
Quadrare il cerchio (il “lodo Alfano” fra l’“ombra” del giudicato e i poteri in equilibrio)<br />
Infatti, la novella costituzionale dell’art. 68 Cost. operata nel 1993, nel preservare i<br />
componenti delle Camere non più dal “procedimento” ma solo dal “provvedimento”<br />
giudiziario restrittivo della libertà personale 32 , sembra non eliminare il rischio di procedimenti<br />
giudiziari a carico di parlamentari che siano stati avviati arbitrariamente o con<br />
intento persecutorio od invasivo 33 , ma la concessione o il diniego dell’autorizzazione al<br />
provvedimento restrittivo stesso appare sostanzialmente rimessa al buon volere della<br />
maggioranza di governo. Distorsione che risulta ancor più patente sub art. 90 Cost., dal<br />
momento che la valenza garantista del quorum della maggioranza assoluta ivi previsto<br />
per la messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, sembra potenzialmente<br />
vanificato dalla coincidenza del medesimo con la maggioranza di governo: è, questa,<br />
una situazione da cui l’imparzialità e la libertà d’esercizio del mandato presidenziale<br />
possono trarre giovamento? E le stesse valutazioni, con ogni ovvietà, sono reiterabili<br />
con riferimento all’autorizzazione delle Camere per i reati ministeriali di cui all’attuale<br />
art. 96 Cost. Una più serena ponderazione di questo scenario in sede preparatoria del<br />
d.d.l. “Alfano” ed una più oculata valutazione <strong>dei</strong> principi espressi dalla Corte nella<br />
sent. n. 24/2004, avrebbe potuto evitare la necessità di un ennesimo intervento della<br />
Corte e di scontro fra i Poteri, ed avrebbe potuto altresì rappresentare, anche in base alle<br />
innumerevoli proposte di legge depositate al riguardo ed agli orientamenti dottrinali 34 ,<br />
la “buona occasione” per “chiudere” in termini costituzionalmente soddisfacenti uno<br />
scontro pluriennale, realizzando quella “quadratura del cerchio” degli equilibri fra i poteri<br />
dello Stato e fra magistratura ed istituzioni che si ritiene non possa più tardare.<br />
32 Cfr. N. ZANON, op. cit., 635 ss.<br />
33 Cfr. M. CERASE, Art. 68, in Commentario alla Costituzione, cit., II, 1313 ss.<br />
34 Su tutti, cfr. A. PACE, Tornare all’autorizzazione a procedere?, oggi disponibile su<br />
http://www.associazione<strong>dei</strong>costituzionalisti.it, nonché il dibattito sviluppatosi sul già citato Federalismi.it<br />
n. 16/2008 su Il difficile equilibrio fra politica e magistratura: per un dibattito all’interno <strong>dei</strong><br />
principi costituzionali, con interventi di B. CARAVITA DI TORITTO, S. CECCANTI, T.E. FROSINI, G.M.<br />
SALERNO, I. NICOTRA, attualmente disponibile su http://www.federalismi.it<br />
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BREVE NOTA INTORNO ALLA LEGGE N. 124 DEL 2008<br />
di LORETTA GESLAO *<br />
SOMMARIO: 1. Della sospensione. – 2. Dell’immunità.<br />
1. La riflessione che segue, intorno alla l. n. 124 del 2008, vuole essere una chiosa<br />
essenziale sulla disciplina delle sospensioni nel processo penale e delle immunità, come<br />
esenzioni dalla giurisdizione, in relazione alle regole di rito e alle intrinseche eccentricità<br />
in rapporto al sistema costituzionale.<br />
In ambito processualpenalistico, l’istituto della sospensione del processo è sostanzialmente<br />
orfano di un organico corpus normativo disciplinante la materia poiché<br />
l’unico precetto di carattere generale esistente in merito è quello desumibile dall’art. 50<br />
c.p.p., che statuisce il c.d. principio di tassatività delle figure sospensive del processo<br />
penale, inteso come un aspetto del più ampio principio di irretrattabilità dell’azione penale<br />
1 . Esso implica che l’azione penale, una volta esercitata, non è più nella disponibilità<br />
del suo autore e deve progredire senza soste fino alla conclusione del processo, mentre<br />
il novero delle relative eccezioni è tipizzato, rigido e non suscettibile di applicazione<br />
analogica.<br />
Date queste premesse, sembra necessario un chiarimento concettuale. La previsione<br />
dell’art. 1 comma 1 della l. n. 124 del 2008, per cui “i processi penali nei confronti <strong>dei</strong><br />
soggetti che rivestono” le più alte cariche istituzionali “sono sospesi dalla data di assunzione<br />
e fino alla cessazione della carica o della funzione”, rientra nel novero degli arresti<br />
temporanei o quiescenze dell’attività processuale, concernenti le ipotesi di momentaneo<br />
ostacolo alla dinamica del processo, in cui l’azione è bloccata e il procedimento<br />
colpito da una paralisi temporanea di ordine generale 2 .<br />
* Dottore di ricerca in Tutela <strong>dei</strong> Diritti fondamentali, Università di Teramo.<br />
1 «(…) è sufficiente osservare che l’art. 3 c.p.p. delinea in termini tassativi le ipotesi di sospensione<br />
del processo penale, tanto da escluderne l’estensione per via analogica, e che, parallelamente, l’art.<br />
50 dello stesso codice dispone che ‘l’esercizio dell’azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto<br />
nei casi espressamente previsti dalla legge’»: così, Cass. pen., Sez. un., 28 giugno 2005, n.<br />
34655. Cfr. anche Cass., sez. V, 28 ottobre 1994. In particolare, sul ‘principio di irretrattabilità’, cfr.<br />
Corte cost. n. 58/1997. Cfr. infine F. DE LEO in Codice di Procedura Penale, Rassegna di giurisprudenza<br />