Caccia al tesoro negli abissi - Focus

Inchiesta esclusiva 2
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Un naufragio è una tragedia, ma i tentativi di recuperare le favolose ricchezze affondate sono avventure affascinanti
Inghiottito
dall’uragano
Questi lingotti,
barre e monete
d’oro facevano
parte del carico
del Central
America, colato
a picco nel 1857
al largo della
Carolina (Usa).
07/2003
131 anni
sott’acqua
Così si
presentava ai
sub, nel 1988,
il tesoro
del Central
America.
Caccia al tesoro
negli abissi
Se il cavo
s’impiglia...
Un relitto. Oggi
vengono rilevati
con i sonar, in
passato si
usavano lunghi
cavi d’acciaio.
Alcune sono storie di
successi, altre finiscono
con un... buco nell’acqua.
Sempre, però, meritano
di essere raccontate.
Oro. In barre, lingotti, barili,
monete di ogni epoca
e nazionalità.Argento
e platino a tonnellate.
E poi ambra, avorio, diamanti,
gioielli, porcellane... È una minima
parte degli immensi tesori nascosti
nelle stive dei relitti. Navi silurate,
andate a fuoco, incagliate
sugli scogli o colate a picco durante
una tempesta.Transatlantici della
belle époque e galeoni spagnoli,
triremi romane e battelli postali
inglesi, che hanno come guardiani
dei loro forzieri soltanto i pesci.
Ognuna di queste imbarcazioni
ha una storia affascinante da raccontare.
Nell’articolo precedente
ne abbiamo ricostruita una, quella
del Polluce; qui ne trovate altre,
che hanno per scenario i mari di
tutto il mondo. Di alcune navi sappiamo
tutto, altre sono poco più
che una leggenda; in qualche caso
il tesoro è stato ritrovato, in qualcun
altro le ricchezze, vere o presunte,
sfidano ancora i tentativi di
recuperarle. Più spesso questi relitti
riposano, da millenni o da pochi
lustri, negli abissi oceanici.
● La missione del Sussex
Alba del 19 febbraio 1694. Una
violenta tempesta incalza la flotta
di sua maestà britannica, che ha
da poco superato lo Stretto di Gibilterra.
L’ammiraglia è il Sussex,
un veliero da 80 cannoni con 500
uomini d’equipaggio, sferzato dal
vento di levante, che minaccia di
scagliarlo contro la riva. È una lotta
impari. Il timoniere tenta di virare
di bordo per tornare verso Gibilterra:
è la manovra fatale, la nave
si piega di colpo su un fianco,
imbarca tonnellate d’acqua dai
portelli dei cannoni, cola a picco
in pochi minuti mentre l’ammira-
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▲
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70 anni fa
scendevano
i palombari.
Oggi si usa
il sonar
glio Francis Wheeler dorme nella
sua cabina. Il suo corpo verrà ritrovato
giorni dopo sulla riva
orientale della Rocca, ancora in
camicia da notte.
▲
● I “piccioli” per il duca
Una mattina del 1994 a Tampa,
in Florida. Negli uffici dell’Odyssey
Marine Exploration (Ome),
leader mondiale nell’esplorazione
sottomarina alla ricerca di relitti,
arriva un documento sensazionale.
È la copia di una lettera scritta da
un diplomatico alla corona di
Francia poco tempo dopo il naufragio
del Sussex:“La nave ammiraglia
della flotta inglese è
naufragata nella tempesta.
Trasportava un milione di
piastre di cui 800 mila per
il duca di Savoia e il resto
per il marchese di Laganez
e altri”.
Esattamente 3 secoli
dopo la tragedia, viene a
galla la missione segreta
affidata al comandante
Francis Wheeler e mai
portata a compimento.
Una missione delicata e
decisiva per le sorti dell’Inghilterra,
impegnata in
quegli anni in una guerra
contro le mire espansionistiche
di Luigi XIV di
Francia, il Re Sole.
Wheeler portava a bordo
1 milione di sterline in
monete d’oro e d’argento
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L’impresa
dell’Egypt
A lato, il
comandante
dell’Artiglio II,
nave della
Sorima, con
alcune monete
recuperate
dall’Egypt, al
largo di Brest.
Foto grande, uno
dei palombari
che portarono
a termine
l’impresa,
nel 1932.
(pari a circa 1 miliardo di dollari di
oggi). Dovevano “convincere” Eugenio,
duca di Savoia, a unire il suo
esercito a quello inglese contro la
Francia. Il naufragio del Sussex
cambiò la storia: il duca passò dalla
parte francese causando uno
stallo definitivo nelle vicende belliche
tra l’Inghilterra e i suoi alleati
e la Francia.
Da quasi 10 anni Greg Stemm,
uno dei fondatori dell’Ome, si è
gettato sulle tracce del Sussex e
del suo tesoro nascosto a 900 metri
di profondità. Il relitto e il suo carico,
per le leggi internazionali, sono
proprietà del governo inglese,
ma il ministero della Difesa, con
una decisione senza precedenti, il
27 settembre del 2002 ha stretto
un accordo con l’Ome per riportare
alla luce i resti del veliero e le
▲
Dai cavi d’acciaio
ai sommergibili
E
x pescherecci riadattati
contro navi oceanografiche e
minisottomarini; cavi d’acciaio
contro sonar e satelliti. Così, in
70 anni, è cambiato il modo di
cercare i tesori sommersi.
A colpi di benna. La Sorima,
famosa società italiana degli
anni ’30, usava appunto ex
pescherecci riadattati. Per
cercare i relitti trascinavano
lunghi cavi d’acciaio. Ogni volta
che si impigliavano in qualche
cosa, i palombari dovevano
scendere a verificare. Trovata la
nave, si lavorava di benne ed
esplosivo per farsi largo tra i
rottami. Le benne erano
montate sulla nave, e guidate
per telefono da un palombaro.
Satellitari. Oggi, società come
l’Odyssey marine exploration
per localizzare i relitti si basano
su testimonianze scritte come
su precise indicazioni satellitari
e dettagliate carte batimetriche
dell’area esaminata. L’Ome usa
la Minibex, una speciale nave
oceanografica lunga 30 metri,
che accoglie tra l’altro un
piccolo sottomarino biposto
che può raggiungere i 600 m di
profondità. Per localizzare i
relitti, i ricercatori usano uno
speciale sonar, che è costato
più di 60 mila euro, rimorchiato
dalla nave con cavi lunghi fino
a 3,5 km. Se il sito localizzato
è interessante, dalla Minibex
viene calato, in una gabbia
metallica in perfetta verticale
sotto la nave, il Rov (Remotely
operated vehicle) per un esame
più ravvicinato. L’apparecchio è
comandato attraverso un cavo
lungo 900 m, e può uscire dalla
gabbia per un centinaio di metri
e inviare dettagliate immagini
alla nave appoggio.
Computer e robot
Sopra, il Rov, apparecchio
filocomandato che invia
immagini subacquee alla
Minibex, nave oceanografica
della società Ome (a lato).

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Gioielli sulle spiagge
Parte del tesoro del Nuestra
Señora de la Concepción, galeone
spagnolo affondato nel 1638 a
Saipan (Marianne), sulla rotta
Manila-Acapulco.
casse piene di monete. Il patto prevede
che la società, che ha coperto
i costi iniziali dell’operazione, pari
a 5 milioni di dollari, e ha già scandagliato
un’area pari a circa 1.000
km 2 , se troverà il tesoro si potrà rifare
delle spese con la vendita dei
reperti del veliero a musei e collezionisti,
e in più ricaverà una percentuale
dell’eventuale tesoro riportato
alla luce: il 20% in caso di
valore tra 1 e 45 milioni di dollari,
il 50% da 45 a 500 milioni e il 40%
oltre i 500 milioni, salvo rottura
del contratto se entro 18 mesi dalla
stesura del piano non si trovasse
nulla nei fondali del Mediterraneo.
Stemm e i suoi hanno localizzato
ben 418 potenziali bersagli: al-
▲
Trovare un relitto costa molto, ma il guadagno è altissimo
on solo i mari cela-
Nno grandi ricchezze.
Ecco alcuni fra i tesori
“di terra” italiani.
Tomba di Porsenna. La
si cerca ancora oggi
vicino a Chiusi (Si). Pare
che il re si sia fatto
seppellire in un sarcofago
a forma di biga
trainata da 12 cavalli.
Sulla biga ci sarebbe la
statua del sovrano,
circondato da una
chioccia e da 5 mila
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cuni erano relitti di navi romane
o fenicie, altri imbarcazioni più
moderne o semplici cumuli di detriti.
Ma uno è particolarmente interessante:
si trova a -900 metri, il
sonar ha mostrato la sagoma di un
cannone, e successive indagini hanno
convinto l’Ome di aver finalmente
trovato il Sussex. Il denaro
era stivato sul fondo della nave e,
secondo i ricercatori, dovrebbe trovarsi
ora circa 5 metri sotto la pila
di detriti del Sussex: presto sapremo
se la caccia al tesoro avrà avuto
successo.
● Oro nel mar di Barents
Come è accaduto nella vicenda
dell’Edinburgh. Il 30 aprile 1942,
Ed ecco i tesori “di terra” italiani
pulcini. Tutto il corredo
funebre sarebbe d’oro.
Tempio di Gerusalemme.
Sembra che custodisse
un tesoro in
oggetti rituali e pietre
preziose, ma se ne è
persa ogni traccia dopo
il sacco di Gerusalemme
del 70 d. C. a
opera dei Romani.
Probabilmente il tesoro
finì a Roma e da qui
passò nelle mani di
Alarico quando questi la
ridusse a ferro e fuoco.
Ma il re barbaro morì
durante il viaggio verso
il Sud Italia e secondo
la leggenda i suoi
soldati deviarono il
corso del fiume
Busento per seppellirlo
sotto il suo letto con i
tesori razziati. Una volta
ridato al fiume il suo
corso naturale, la tomba
diventò introvabile.
L’oro di Dongo. Il 25
aprile 1945, quando fu
dal sottomarino tedesco U-456
partirono 2 siluri contro l’Edinburgh,
un incrociatore inglese apparso
nella tempesta di neve del
mar di Barents: un’alta colonna
d’acqua, fumo e fuoco si levò dal
fianco della nave. La paratie resistettero
ai siluri e i britannici cercarono
di tornare a Murmansk, da
cui venivano, ma furono sorpresi
da tre cacciatorpediniere tedeschi,
richiamati dal sottomarino. Un
combattimento breve e violentissimo:
l’Edinburgh, quasi immobile,
ricevette parecchi colpi e scomparve
nelle acque gelide, portando
con sé i corpi di 57 uomini e 5,5
tonnellate d’oro in 372 lingotti,
spedite dalla Banca Centrale del-
arrestato, il Duce
avrebbe avuto con sé
enormi ricchezze: oro,
gioielli, valuta straniera
e un miliardo di lire di
allora sottratto alla
Banca d’Italia. Il grosso
del tesoro scomparve.
Si suppone che una
parte del bottino sia
stata portata via e
un’altra sia stata
nascosta sui monti
attorno al lago di Como.
Silvia Artana
I cannoni di
Napoleone
Viene riportato a
galla un cannone
della Orient,
nave della flotta
francese
affondata ad
Abukir (Egitto)
dagli inglesi, con
un tesoro non
ancora ritrovato.
l’Unione Sovietica e diretti a Londra
per il pagamento delle forniture
militari. Il carico rimase un
segreto militare, e solo alla fine degli
anni Cinquanta, in gran segreto,
la Royal Navy e alcune compagnie
private inglesi cercarono di rintracciare
il relitto, invano. Si dovette
attendere il 1980, quando
Londra prese accordi con Mosca
sulla suddivisione dell’oro in caso
di recupero. Fu inviata nella zona
dell’affondamento la nave recuperi
Droxford che localizzò l’Edinburgh
a quasi 300 m di profondità.
L’anno successivo la Stephanitum,
del rhodesiano Keith Jessop, attrezzata
con telecamere da grandi
profondità e scafandri da palombaro
hi-tech (erano anche riscaldati)
riuscì a portare in superficie
l’oro russo, che venne spartito secondo
gli accordi: 30 milioni di dollari
all’Unione Sovietica; 16 al governo
britannico e 35 a chi aveva
effettuato il recupero.
● Le ricchezze dei nobili
Con simili somme in ballo, non
stupisce che la caccia al tesoro sia
un “gioco” che appassiona più i
grandi dei bambini, capace di infiammare
la fantasia di molti e di
spingere alcuni a dedicare tempo e
denaro a queste ricerche. Anche
perché i relitti abbondano a tutte
le latitudini.
▲

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Oro sovietico,
nave inglese
30 aprile 1942:
l’incrociatore
Edinburgh cola a
picco nel mar di
Barents. L’oro che
trasportava fu
recuperato 39
anni dopo.
La mecca dei tesori è il golfo
del Messico: qui passava la
rotta dei galeoni spagnoli
Per esempio, nel mare della
Cornovaglia si trova il postale
Berkeley Cosile, affondato su uno
scoglio nel 1694 nel tentativo di
sfuggire ai corsari francesi che miravano
al suo carico di 500 mila
sterline. Un’altra zona di tesori è la
costa atlantica della Francia. Qui si
trovano, tra gli altri, la Blanche
Nef, colata a picco nel 1120 con i figli
del re d’Inghilterra Enrico I, e il
seguito di 200 nobili coi loro bagagli
e le loro ricchezze.A poca distanza
giace il piroscafo Elisabethville,
silurato nel 1917. Il relitto
è a -75 metri e racchiude in 4
cassette 14 mila carati di diamanti
(la produzione 1917 dell’ex-Congo
belga) e 10 tonnellate d’avorio.
▲
● Platino alle Pescadores
Spostandoci verso lidi più esotici,
al largo delle isole Pescadores
(Formosa) c’è l’Awa Maru, affondata
nel 1945 con una tonnellata
d’oro e una di platino. Cambiamo
continente: in Sudafrica sono colati
a picco il Birkenhead, per un incendio
nel 1852 con 240 mila sterline
in oro, e, 70 anni prima, il Gro-
Il grande poster
dei tesori
nascosti nel
Mediterraneo
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svenor. Il suo carico, di 720 barre
d’oro, 1.450 d’argento e 19 cassette
di preziosi, è stato oggetto di almeno
4 tentativi di recupero, nel
1784, 1842, 1905 e 1921, tutti infruttuosi.
Anche l’Australia partecipa alla
caccia al tesoro, col galeone olandese
Golden Drake, naufragato
nel 1649 alla foce del fiume Moore
(Perth). Trasportava dall’Olanda
ben 78 mila fiorini-oro. E nei dintorni
di Manhattan ci sono monete
d’oro per 600 mila sterline a bordo
dell’Hussar, affondato nel 1784.
Ma il forziere più ricco è senza
dubbio quello dei fondali tra il mar
dei Caraibi e la costa orientale della
Florida. Non esistono stime attendibili
dell’ammontare, ma si
parla di miliardi di dollari in lingotti
e monete d’oro, affondati durante
i tre secoli di dominazione
spagnola. Di qui passava infatti la
mitica Carrera de Indias, l’incessante
flusso di navi che a partire
dal XVI secolo hanno trasportato
dal Nuovo Mondo alla Spagna ricchezze
favolose in metalli nobili,
pietre preziose, mercanzie pregia-
te. Centinaia di quei vascelli giacciono
in fondo al mare: affondati
dalle tremende tempeste, dall’imperizia
dei nocchieri, dall’inesistenza
di carte nautiche, dalla fragilità
degli scafi, dal sovraccarico.
Ma soprattutto dagli assalti dei pirati
e dai cannoni delle flotte nemiche
(Francia, Inghilterra, Olanda).
■
Mario Chiodetti e
Pietro Faggioli (ha collaborato
Lorenzo D. Mariani)
Con la mappa, e le storie, delle navi cariche
di ricchezze affondate nel “Mare nostrum”,
e dei principali relitti che si trovano lungo
le coste italiane. Da staccare e conservare.
In gabbia
sul fondale
Una tavola de
“La Domenica
del Corriere”
illustra
l’idroscopio,
un apparecchio
usato nel 1907
per il recupero,
vicino a Vigo,
dell’oro
di alcune navi
spagnole.
Per saperne di più:
Egidio Trainito, Tragedie di guerra e
di pace. 40 relitti nel mare della Sardegna
(Taphros). Con foto, mappe e
schede.
Aa. vv. Guida ai relitti del Mediterraneo
(White Star).
Gaetano Cafiero, Relitti. Immersioni
nella storia (White Star).
Su Internet: http://www.relitti.it un sito
italiano dedicato ai relitti di tutti i
mari del mondo.

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