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Un giuramento fra otto tribù diede il via<br />

all’espansione mongola, che in 21 anni creò<br />

un impero più grande di quello romano<br />

Un mostro da Apocalisse.<br />

Un genio che unificò<br />

l’Asia. “Un tiranno feudale”<br />

(parere di Stalin, per<br />

25 anni leader del comunismo sovietico).<br />

“Un eccellente eroe” (giudizio<br />

di Mao Tse-tung, per 45 anni<br />

leader del comunismo cinese). “Un<br />

antenato del mio vampiro” (parola<br />

di Bram Stoker, lo scrittore irlandese<br />

che inventò Dracula). “L’uomosimbolo<br />

del secondo millennio” (responso<br />

del Washington Post, quotidiano<br />

americano). Sommate tutti questi<br />

giudizi e invertite pure gli addendi. Il risultato<br />

sarà sempre lo stesso: Gengis Khan.<br />

Chi ha ragione? Un po’ tutti, ma il<br />

Washington Post di più: lo prova il fatto<br />

che nessun altro personaggio vissuto nel<br />

Medioevo riesca tuttora a sconcertare, a<br />

dividere e a far discutere come il condottiero<br />

mongolo. Il quale, quando la Francia<br />

Una folcloristica<br />

rappresentazione<br />

europea del<br />

condottiero<br />

mongolo (1588).<br />

8<br />

Secondo una leggenda persiana, Gengis fece<br />

cuocere vivi i comandanti dei Taigiuti sconfitti.<br />

non era ancora unita e, in Italia, Pisa e Firenze<br />

litigavano per dividersi la Toscana,<br />

in soli 21 anni riuscì a conquistare il regno<br />

più grande della Storia: un territorio pari a<br />

quattro volte l’impero romano, che andava<br />

dalla Siberia alla Persia e dalla Cina al<br />

Volga, cioè alla periferia d’Europa.<br />

Re Oceano. Quest’anno ricorrono otto<br />

secoli esatti dalla fondazione di quel mega-<br />

Stato. Era infatti il 16 maggio del 1206,<br />

anno cinese della Tigre, quando le steppe<br />

della Mongolia Orientale sentirono risuonare<br />

un giuramento: “Se batteremo il nemico,<br />

ti porteremo donne, tende e cavalli.<br />

Se cacceremo belve montane, te ne daremo<br />

metà senza sventrarle. Tu sarai il più grande<br />

dei sovrani: un Re Oceano”. A parlare<br />

(più o meno) così erano i capi di otto tribù<br />

un tempo rivali, che avevano deciso di avere<br />

un capo comune: un guerriero 40enne<br />

di nome Temugin (ossia “il fabbro”).<br />

Tra gli spettatori di quella kurultay (assemblea)<br />

c’erano molti bovini, capre e cavalli,<br />

ma nessuno storico di corte in grado<br />

di scrivere per i posteri una cronaca dell’evento.<br />

Anzi, non c’era nemmeno la<br />

corte, perché il re abitava in una spartana<br />

tenda da pastore. E nessuno dei presenti<br />

sapeva scrivere: neppure il neosovrano,<br />

che nonostante questa lacuna<br />

da allora smise di chiamarsi Temugin<br />

e adottò appunto il roboante<br />

nome di Re Oceano, che nella sua lingua<br />

suonava Chinggis (o Gengis) Khan.<br />

Testa calda. Sembrava un atto di supponenza,<br />

perché Temugin non aveva né<br />

un “pedigree” di rilievo (era nato in un<br />

clan minore, i Borjigin) né una carriera<br />

da statista, ma solo un curriculum da capobanda<br />

attaccabrighe. Aveva iniziato da<br />

ragazzo, uccidendo un fratellastro per un<br />

pesce conteso. Poi, dopo la morte del padre,<br />

avvelenato da una tribù nemica, si era<br />

dedicato a mille faide, eliminando i capi rivali:<br />

l’ultimo, tale Giamuga, era un suo anda<br />

(fratello giurato) e perciò aveva avuto<br />

il privilegio di morire senza versamento di<br />

sangue, soffocato in un sacco.<br />

Temugin non era tuttavia un barbaro<br />

fuori media, ma lo specchio del suo Paese:<br />

mentre nell’adiacente Cina prosperava<br />

una civiltà antica e raffinata, i Mongoli<br />

vivevano in una primordiale condizione<br />

di nomadismo. “Non hanno in nessun luogo<br />

città stabili” si meravigliò Guglielmo da<br />

Rubrouck, un francescano che viaggiò nelle<br />

loro terre mezzo secolo più tardi e trovò<br />

solo un Paese costellato di tende (v. <strong>Focus</strong><br />

Storia n° 4, pag. 46).<br />

Oltre alle città, ai sudditi di Temugin<br />

mancavano molte altre cose: alfabeto,<br />

strutture statali, agricoltura. L’economia si<br />

basava sull’allevamento, soprattutto equino.<br />

Eppure, nel ventennio che seguì la kurultay<br />

del 1206, quell’“oceano” ricco solo<br />

di cavalli produsse un autentico tsunami.<br />

I primi a subirlo furono i popoli nomadi<br />

adiacenti: Taigiuti, Naimani, Tartari (nome<br />

che in Occidente fu usato erroneamente<br />

come sinonimo di Mongoli). Quindi le<br />

orde di Gengis Khan si lanciarono a conquistare<br />

l’altra metà del mondo, quella do-<br />

tata di città: attaccarono la Cina (1211); poi<br />

invasero l’attuale Kazakistan (1219), l’Uzbekistan<br />

(1220), l’Afghanistan, il Turkmenistan<br />

e l’Iran (1221); infine irruppero in<br />

Russia (1223).<br />

Abele contro Caino. L’espansione<br />

continuò anche dopo la morte del fondatore<br />

dell’impero (v. riquadro a pag. 10) e<br />

Distrutta<br />

dai Manciù<br />

Si scava tra<br />

le rovine di<br />

Karakorum,<br />

l’antica capitale<br />

mongola presso<br />

l’odierna<br />

Kharkhorin. A<br />

Gengis Khan e ai<br />

tesori dei suoi<br />

discendenti che<br />

regnarono sulla<br />

Cina fino al 1368<br />

sarà dedicata<br />

una mostra<br />

a partire dal<br />

prossimo ottobre<br />

a Treviso.<br />

arrivò a minacciare il cuore dell’Europa.<br />

Perché scoppiò quella “guerra mondiale”?<br />

«Al fondo» osserva Vito Bianchi, docente<br />

di Archeologia all’Università di Bari<br />

e autore di una biografia di Gengis Khan<br />

«c’era lo scontro insanabile fra un popolo<br />

di pastori, che voleva un mondo di spazi<br />

aperti, e le circostanti civiltà agricole, che<br />

Offerte per<br />

gli spiriti<br />

I Mongoli,<br />

di religione<br />

sciamanica<br />

(qui un ovoo,<br />

sorta di altare)<br />

erano tolleranti<br />

verso tutti i<br />

credo. A destra,<br />

una maschera<br />

demoniaca<br />

buddista da<br />

Ulan-Bator.<br />

avevano bisogno di insediamenti stabili e<br />

di confini precisi. È uno scontro ricorrente<br />

nella storia umana, fin dai tempi dell’agricoltore<br />

Caino e del pastore Abele. Quasi<br />

sempre hanno vinto i sedentari».<br />

Molto si è discusso sul perché, quella<br />

volta, Abele prevalse su Caino. Il merito è<br />

stato attribuito ora alla straordinaria mobilità<br />

e abilità della cavalleria mongola,<br />

ora alla sua presunta superiorità numerica,<br />

o alla sua perfetta organizzazione, o alla<br />

genialità del suo comandante. Mobilissimi<br />

e abili i cavalieri mongoli lo erano di<br />

sicuro (sapevano tirare d’arco in quattro<br />

direzioni mentre correvano al galoppo);<br />

numerosi anche, ma meno di quanto sembrasse:<br />

spesso in sella venivano sistemati<br />

dei manichini, per ingannare i nemici. Più<br />

di tutto, comunque, contarono l’organizzazione<br />

e la disciplina introdotte dal khan,<br />

entrambe ferree. L’esercito era inquadrato<br />

per unità decimali: alla base c’erano manipoli<br />

di 10 uomini, sopra unità di 10 manipoli<br />

e così via. In battaglia un soldato non<br />

poteva ritirarsi se non con gli altri nove:<br />

altrimenti i compagni l’avrebbero ucciso.<br />

Questa struttura si mostrò efficace sia negli<br />

scontri in campo aperto, combattuti soprattutto<br />

a cavallo con gli archi, sia negli<br />

assedi, dove i Mongoli impararono dai Cinesi<br />

a usare le catapulte.<br />

Carneficine. A tutto ciò si aggiungeva<br />

una determinazione spietata: l’avanzata di<br />

Gengis Khan lasciò dietro di sé montagne<br />

di morti, mai quantificati ma certamente<br />

nell’ordine dei milioni. A farne le spese<br />

furono soprattutto le città, simboli del<br />

mondo sedentario che i Mongoli aborrivano.<br />

Le devastazioni peggiori si registrarono<br />

nell’Asia musulmana: a Otrar (Kazakistan),<br />

Merv (Turkmenistan), Nishapur<br />

(Iran), Buhara e Samarcanda (Uzbekistan).<br />

Solo a Merv, narra lo storico curdo<br />

(continua a pag. 12)<br />

9

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