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“Lavorare con le emozioni” – Il volume raccoglie i contributi originali

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patogenetici e non informano in nessun modo sul<strong>le</strong> possibili implicazioni<br />

etiologiche (punto di vista del soggetto). Anche l’ormai classico modello<br />

terapeutico, caratterizzato dal <strong>con</strong>cetto di approccio multidisciplinare bio-psicosocia<strong>le</strong>,<br />

si traduce in interventi volti a “normalizzare” i comportamenti del<br />

paziente e <strong>le</strong> <strong>con</strong>seguenze di questi, puntando sul recupero di un <strong>con</strong>trollo sulla<br />

sostanza e quindi su una presa di distanza da essa.<br />

Una del<strong>le</strong> definizioni più largamente <strong>con</strong>divise del Disturbo da Dipendenza è<br />

quella di “malattia cronica ad andamento recidivante” e, sicuramente, ta<strong>le</strong><br />

definizione corrisponde a quanto si osserva nel<strong>le</strong> storie dei pazienti; tuttavia si può<br />

anche ipotizzare che, in assenza di un modello esplicativo più esaustivo del<br />

fenomeno e del<strong>le</strong> sue cause, l’intervento terapeutico stesso possa in qualche modo<br />

<strong>con</strong>tribuire al cronicizzarsi del Disturbo o, comunque, al non prevenirne <strong>le</strong><br />

ricadute, non andando mai ad incidere sulla sua etiologia.<br />

L’unico tentativo <strong>con</strong>creto di inquadrare diversamente il fenomeno della<br />

dipendenza patologica è stato proposto a partire dagli anni ’80 da Khantzian<br />

(1985, 1990, 1997), <strong>con</strong> la sua ipotesi della ”autoterapia”. Nei suoi lavori, questo<br />

Autore ha indagato la possibilità che i soggetti che sviluppano una quadro di<br />

Addiction siano soggetti affetti primariamente da qualche altro Disturbo<br />

psichiatrico di Asse I o II e che trovano, nell’uso di sostanze, un qualche effetto<br />

<strong>le</strong>nitivo/curativo ai sintomi psicopatologici di cui soffrono. A mio avviso, l’unico<br />

motivo per cui ta<strong>le</strong> modello è tutt’ora <strong>con</strong>siderato solo una “ipotesi” deriva dal<br />

fatto che tutti gli studi volti a verificarlo o falsificarlo hanno inquadrato i pazienti<br />

utilizzando l’approccio categoria<strong>le</strong> del DSM e di <strong>con</strong>seguenza, in molti casi, solo<br />

una percentua<strong>le</strong> variabi<strong>le</strong> dei soggetti indagati presentava effettivamente una<br />

diagnosi psichiatrica aggiuntiva e pre-esistente.<br />

Comunque, ancora Goodman, in accordo <strong>con</strong> il modello dell’autoterapia, ha<br />

definito l’Addiction come “un processo in cui un comportamento, che può<br />

funzionare sia per produrre piacere che per fornire una via di uscita da una<br />

<strong>con</strong>dizione di sofferenza interiore, è impiegato in pattern caratterizzati da 1)<br />

ricorrente fallimento nel <strong>con</strong>trollare il comportamento stesso (power<strong>le</strong>ssness) e 2)<br />

reiterazione del comportamento nonostante <strong>le</strong> significative <strong>con</strong>seguenze negative<br />

(unmanageability)” (Goodman, 1990).<br />

Da queste <strong>con</strong>siderazioni scaturisce l’inderogabi<strong>le</strong> necessità di rivedere gli attuali<br />

modelli interpretativi e terapeutici dei Disturbi da Dipendenza, utilizzando nuovi<br />

paradigmi realmente esplicativi ed in grado di render <strong>con</strong>to anche degli aspetti<br />

etiologici dell’Addiction.<br />

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