Un normale testo di clinica otorinolaringoiatrica2 o un buon atlante d ...

L’IDEALE DELL’ECCELLENZA VOCALE IN ALCUNI TESTI DELLA 

TRADIZIONE DELLA MUSICA CLASSICA INDIANA. 

ROBERTO PERINU 

Le nostre vite non sono quelle che meritiamo; 

esse sono...deficienti sotto molti e dolorosi aspetti. 

Il canto le trasforma in qualche altra cosa. 

Il canto ci mostra un mondo degno del nostro desiderio, 

mostra a noi stessi come potremmo essere, 

se fossimo degni del mondo 

Salman Rushdie, La terra sotto i suoi piedi 1 

Un normale testo di clinica otorinolaringoiatrica 2 o un buon 

atlante d’anatomia umana 3 spiegheranno facilmente e chiaramente 

forma e funzione delle corde vocali. 

Poste nella laringe, sono due muscoli disposti come i lati di un 

triangolo 4 , con il vertice in alto. In posizione d’assoluto riposo - o di 

morte -, i lati si avvicinano alla base, perché si abbassa il vertice; in 

caso di fonazione, i lati si avvicinano, accorciando la base. Quello che 

1 SALMAN RUSHDIE, The ground beneath her feet, 1999; trad. it. La terra sotto i 

suoi piedi, Milano 1999, p. 28. 

2 FILIPO, D., Trattato di patologia otorinolaringoiatrica e cervico-facciale, Torino 

1969 

3 TRIMARCHI, A., Anatomia umana normale, vol.II, Novara 1951 pp. 165, 235- 

236. 

4 Verrebbe da dire isoscele, ma, di fatto, le due corde possono anche avere lunghezza 

e spessore diverso.

Studi Linguistici e Filologici Online 5.2 

Atti del XII Convegno A.I.S.S. 

Parma, settembre 2004 

conta evidenziare è che, sollecitate da una muscolatura destinata 

opportunamente a tale scopo, le corde vocali si contraggono o si 

rilasciano e che il suono è prodotto dall’attrito trasversale dell’aria a 

contatto con le stesse: esattamente come avviene negli strumenti a 

corda, in cui il suono è causato dallo sfregamento trasversale dei crini 

dell’archetto o dalla sollecitazione laterale delle dita della mano sulla 

corda. Vale a dire che gli strumenti ripetono un meccanismo fisico 

identico a quello con cui il suono si produce all’interno dell’apparato 

di fonazione. 

In un romanzo recentemente pubblicato anche in Italia, lo 

scrittore anglo-pakistano Hanif Kureishi così dice a proposito del 

percorso di studio e di pratica che, in India, i giovani artisti devono 

seguire: “Gli artisti indiani ... sono costretti ad una severa disciplina e 

sottomissione. C’è una proliferazione di padri, di guru e di figure 

autoritarie...L’individualismo e la ribellione non vengono considerati 

virtù. Per questi artisti la disciplina non è un di più, è un modo di 

vivere. E’ un’immagine che riguarda l’insegnamento, che comincia 

con la fede nel mago che rappresenta l’autorità, e deve finire con 

l’autorità che viene superata in maniera trascendente. Se l’artista 

riesce ad essere ispirato invece che annientato, se impara ad usare la 

tradizione piuttosto che a lasciarsi intimidire, raggiungerà una 

profondità di cultura e un’abilità tale che permeerà ed espanderà il 

suo lavoro”. 5 

5 KUREISHI, HANIF, My ear at his heart, London 2004; trad. It., Il mio orecchio 

sul tuo cuore, Milano 2004, p. 177. 

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La tradizione canora, codificata dal Nātya āstra e dal 

Gitālaˆkāra, si evolve fino al Saˆg…taratnākara (XIII d.C.) e al 

Saˆg…ta iromaŠi (XV d. C.) o, al massimo, fino al Saˆg…tarāja (XV d. 

C.); poi, si cristallizza, come si vede nelle opere a queste successive 6 e 

tale si mantiene, seppure in forma alquanto cristallizzata, ancora oggi. 

6 Per i testi esaminati, si fa riferimento alle seguenti edizioni: 

I. per il Nā˜ya ®āstra : 

1) The Nā˜ya ®āstra ascribed to BHARATAMUNI; GHOSH, Manomohan (a cura 

di), II voll., Asiatic Society, Calcutta 1956 [testo sanscrito]; Calcutta 1961 

[traduzione]; [Abbreviati N®I]; 

2) The Nā˜ya ®āstra of BHARATA-MUNI, transl. by a board of scholars, Rāga 

N tya series n. 2, Delhi, ®r… Satguru Publications, s.d. [Abbreviato N®II]; 

3) Nā˜ya ®āstra of BHARATAMUNI with the commentary Abhinavabharat… by 

ABHINAVAGUPTšCšRYA, IV voll., Delhi-Ahmedabad, Parimal Publications, 

1984 [Abbreviato N®III]; 

4) The Nā˜ya ®āstra, English transl. with crit. notes, by RANGACHARYA, ADYA, 

New Delhi, Munshiram Manoharlal Publ., 1996 [Abbreviato N®IV]; 

II. per il Gitālaˆkāra : 

Le Gitālaˆkāra, l’ouvrage originale de BHARATA sur la musique, EDITION 

CRITIQUE TRADUCTION FRANCAISE ET INTRODUCTION PAR 

DANIELOU, A. et BHATT, N.R., Institut Français d’ Indologie, Pondichéry 

1959 [Abbreviato GA]; per quanto riguarda il GA, mi piace segnalare una traduzione 

italiana, dal testo francese di Daniélou, ad opera di Enrico Anselmi, pubblicata a 

Palermo nel 1981; 

III. per il Saˆg…taratnākara : 

1) The Saˆg…taratnākara of ®ārŠgadeva, with the Kalānidhi of Kallinātha and the 

Saˆg…tasudhākara of SIˆHABHPšLA, vol. II, adhyāyas 2-4, ed. by Pandit S. 

Subrahmanya Sastri, Madras, The Adyar Library and research Centre, 1959; 

[Abbreviato SRI]; 

2) Saˆg…taratnākara of ®ārŠgadeva, sanskrit text and english translation with 

comments and notes, chapters II-IV, english trans. By R.K. SHRINGY under the 

supervision of PREM LATA SHARMA, vol. II, Delhi, Munshiram Manoharlal 

Publ., 1989 (1996); [Abbreviato SRII]; 

IV. per il Saˆg…ta iromaŠi, A medieval handbook of indian music, ed. with 

introduction and translation by EMMIE TE NIJENHUIS, Leiden-New York-Koln 

1992 [Abbreviato S®]; 

V. per il Saˆg…tarāja : 

Saˆg…tarāja by MAHšRš¦š KUMBHš, vol. I, ed. PREM LATA SHARMA, 

Varanasi 1963; [Abbreviato SRā]; 

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Nel Saˆg…taratnākara riceve il crisma del legame con quelle 

parti dello Yoga, che si fondano su di un pneumatismo introspettivo, al 

quale l’emissione canora, connessa com’è al controllo del respiro, è 

strettamente legata. 

Cominciamo dal Nātya āstra. Alla stanza 492 dell’adhyāya 

XXXII, compare un elenco di undici termini, riferiti a gāna 7 ; gāna 

afferisce alla famiglia della radice gai e riguarda il suono prodotto 

dalla voce durante il canto. 

Affermato che il canto deve essere completo in se stesso - 

prŠa - 8 , l’esposizione prosegue con un composto - vādya-vicitravarŠa 

-, che sottolinea il legame con la qualità strumentale 

dell’esecuzione, come ben evidenziato da vādya 9. Il quarto, il quinto e 

VI. per il Gitaprakā a : 

Gitaprakā a, by Krishnadas Badajena Mohapatra; ed. Sri Nilamadhab Panigrahi, 

Orissa Sangeet Natak Akademy, Bhubaneswar-14, 1983 [Abbreviato GP]; 

VII. per la Saˆg…takalpalatikā : 

Saˆg…takalpalatikā, by Haladhara Misra; ed. Sri Nilamadhab Panigrahi, Orissa 

Sangeet Natak Akademy, Bhubaneswar-14, 1984 [Abbreviato SKL]; 

VIII. per il Saˆg…tadāmodāra : 

Saˆg…tadāmodāra of ®ubha‰kara; ed. by Gaurinath Sastri and Govindagopal 

Mukhopadhyaya, Sanskrit College Calcutta, 1960 [Abbreviato SD]. 

7 N®I, XXXII, 492: “prŠasvaraˆ vādyavicitravarŠaˆ tristhāna obhaˆ triyataˆ 

trimātram | raktaˆ samaˆ lak Šamala‰krtaˆ ca sukhaprayuktaˆ madhuraˆ ca 

gānam || 

8 Il testo recita prna-svaram, con riferimento immediato allo svara. Si veda, a 

proposito del particolare significato che il termine può assumere, R.Perinu, 

L’esperimento descritto da Bharata, Nā˜ya ®āstra, XXVIII, 24-28; e da ®ārŠgadeva, 

Saˆg…taratnākara, I, 3, 10-22, in Bandhu, Scritti in onore di Carlo Della Casa, a cura 

di Renato Arena ed altri, Alessandria 1997, p. 302. 

9 Si badi, però, che il termine, vādya, strumento, deriva dalla rad. vad, il cui senso è 

eminentemente vocale, canoro. 

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il sesto termine - tristhāna obha, triyata, trimātrā 10 - e il nono - 

alaˆk ta 11 - tracciano le qualità intrinseche del canto, che, oltre a 

dispiegarsi, senza perdere di qualità, sui tre registri, deve avere tre yati 

e tre mātrā, vale a dire potenzialità - competenze, meglio - legate 

all’andamento ritmico ed alla velocità d’esecuzione, nonché capacità 

di ornare e di abbellire la linea melodica. 12 

Gli altri cinque termini - rakta, sama, lak Ša, sukhaprayukta, 

madhura 13 - individuano, invece, precise peculiarità estetiche 14 . 

Ancora un termine, sukha-prayukta: l’unione con la gioia - 

sukha - rivela un particolare atteggiamento di risposta da parte di chi 

ascolta, determinante in tutta la teoria indiana della fruizione, musicale 

in questo particolare caso. 

I termini citati indicano, tutti, qualità che, prescindendo - o 

partendo, se si preferisce - dalla dotazione naturale, richiedono un 

lavoro di perfezionamento, che, solo, viene dal seguire i dettami di una 

scuola. I termini sottendono qualità artistiche, riassunte dal termine 

10 Rispettivamente, che brilla nei tre registri, che ha tre yati, che ha tre mātrā. 

11 Ornato; eseguito con vocalizzi. Si vedano, anche, le traduzioni dello stesso 

termine, anche se in diverso testo [Gitālaˆkāra, cit. ..., pp. 9 e 15] proposte da 

Daniélou : “vocalisé, orné ”. 

12 Si tratta di indicazioni di carattere squisitamente tecnico, riguardanti abilità che 

vanno apprese con l’applicazione e lo studio, durante l’apprendistato musicale. 

13 Rispettivamente, appassionato, uniforme, a tempo, piacevole, dolce, come si 

precisa meglio più avanti. 

14 Termini quali rakta, lak Ša, sama e madhura saranno quasi sempre presenti nei 

trattati successivi. 

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rakta, che è la capacità di avvincere, e qualità che prevedono l’aver 

acquisito un livello di qualità esecutiva tale da assicurare 

un’esecuzione uniforme - sama -, dolce e delicata, priva di salti di 

tensione emotiva. 

Alle stanze 496 e 497-498, si esaminano il cantante - gāt - e la 

cantante - gāyikā. 

Del primo, affermato che deve essere giovane - pratyagravayas 

-, oltre che dotato di buoni mezzi vocali - madhurasvaropacitakaŠ˜ha - 

, si dice sinteticamente, con un composto - 

laya.tāla.kalā.pāta.pramāŠa - che deve essere conoscitore 15 profondo, 

esatto, scrupoloso di quanto sopra: velocità d’esecuzione, ritmica, 

metrica, battute e misure di esecuzione. 

Dalla cantante, invece, si pretende molto di più, come fosse 

ovvio che un uomo potesse intraprendere una carriera musicale e che, 

perciò, diventasse superfluo indicarne i requisiti; mentre è altrettanto 

ovvio che, per una donna, è meglio fornire maggiori precisazioni. 

Il testo è sempre molto conciso (due sole stanze) e sfruttando 

l’evidenza semantica dei termini in composto, disegnando, 

fulmineamente, l’aspetto fisico unito alla presenza scenica - 

rpaguŠakāntisaˆsthānasattvamādhuryasaˆpannā -, le qualità vocali 

- pe alamadhurasnigdhānunādasamarakta ubhakaŠ˜hā -, la 

competenza tecnica - suvihitasamakavidhāyinyag…tatālalayaku alā e 

ātodyārpitakaraŠā. Lei, la gāyikā, è “ yamā”, scura, affascinante, 

emblematica. 

15 Tattva-jñaƒ. 

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Poiché il testo è il primo cronologicamente ad affrontare 

l’argomento, merita qualche altra precisazione. Puntualizzato che 

entrambi i ritratti prevedono una specifica bipartizione tra competenze 

tecniche e qualità artistiche, passiamo ad esaminarle entrambe. 

La competenza tecnica del cantante è circoscritta a laya 

(velocità), tāla (misura ritmica), kāla (metrica), pāta (sequenze di 

colpi) e pramāŠa (misure esecutive). Quella della cantante, invece, è 

allargata alla conoscenza strumentale (ātodyārpita), oltre ai 

fondamenti - ineludibili - relativi a repertorio vocale (g…ta), qualità 

ritmica (tāla), abilità nella velocità di esecuzione (laya). 

Quanto alle qualità artistiche o sceniche, bisogna ulteriormente 

distinguere. Laddove è la natura che dispensa al cantante l’esser 

giovane (pratyagravayas) e l’aver fascino (snigdha), oltre a 

provvederlo di un’ugola (kaŠ˜ha) di pregio (madhura), è pur sempre 

l’esercizio che gli fa acquisire intonazione e precisione (svaropacita). 

Questo per il cantante, del quale altro non si dice: o, forse, 

semplicemente, si sottintende. 

Della cantante, invece, si afferma esplicitamente - quasi il 

sesso inducesse a dubitare della sua preparazione - che deve possedere 

un bagaglio di partenza ampio e variegato, che richiede una voce ricca 

di qualità, che partono dalla dolcezza (madhura) e dal fascino 

(snigdha) per arrivare allo splendore ( ubha) e così via. 16 

16 Per miglior completezza, si preferisce riportare qui di seguito il testo delle stanze 

relative sia al cantante sia alla cantante: ”gātā pratyagravayā snigdho 

madhurasaropacitakaŠthaƒ | layatālakalāpātapramāŠayoge u tattvajñaƒ ||”; N®I, 

XXXII, 496; “rpaguŠakāntisaˆsthānasattvamādhuryasapannā| 

pe alamadhurasnigdhānunādasamarakta ubhakaŠ˜hā ||”, N®I, XXXII, 497. 

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Ora, spostiamoci poco oltre, alle stanze dalla 514 alla 518, e, 

poi, dalla 519 alla 524a. 

Si elencano sei qualità (guŠa) 17 della voce (kaŠ˜ha) 18 e cinque 

difetti (do a) 19 del cantante. 20 

Tuttavia, prima di procedere all’esame dei passi citati, merita 

un cenno quanto si afferma alle stanze 512 e 513, 21 immediatamente 

precedenti, a proposito di maestro e di allievo. 

Ai sei guŠa dell’ācārya - sm ti, mati, medhā, ha, apoha, 

i yanispādana 22 – culminanti nella capacità di trasmettere ad altri il 

proprio bagaglio di competenze, corrispondono i sei dell’allievo - 

medhā e sm ti, come per l’ācārya, cui seguono lāghā, rāga, 

saˆghar a e utsāha - tutti tesi alla perseveranza finale, quasi in un 

crescendo che parte dall’obbedienza, passando attraverso la passione 

per quanto si sta apprendendo (rāga) e la voglia di superare gli altri 

(samghar a), e se stessi. Buon cantante, quand’anche si nasca, non si 

17 Elencati alla stanza 514 e dettagliate dalla 515 alla 518. 

18 Sarebbe, forse, meglio dire dell’apparato di fonazione, ma bisogna pur sempre 

tenere conto di quanto dispensa la natura - apparato di fonazione - e di quanto si può 

apprendere con la pratica - voce. 

19 Elencati alla stanza 519 e dettagliati dalla 520 alla 523. 

20 Il testo non specifica con chiarezza se si tratti della voce o del cantante. 

21 N®I, XXXII, 512-513: “sm tirmati ca medhā ca hāpohastathaica ca | 

i yani pādanaˆ caiva ā ācāryaguŠāƒ sm tāƒ || medhā sm tirguŠā lāghā rāgāƒ 

saˆghar a eva ca | utsāha ca a evaite i yasyāpi guŠāƒ sm tāƒ || “. 

22 Rispettivamente memoria, competenza, intelligenza, abilità dialettica di sostenere 

le proprie tesi e di sconfiggere quelle degli avversari, capacità di creare discepoli. 

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diventa senza essere stato discepolo obbediente e perseverante. Buon 

cantante, dunque, è, prima di tutti, il maestro stesso, e l’allievo lo 

diventerà solo se sarà riuscito, a sua volta, a diventare un “maestro”. 

Riprendiamo, adesso, le sei qualità e i cinque difetti, delle 

stanze 514-523. 

Singolare, in primo luogo, che si parli della qualità della voce, 

vale a dire dell’apparato vocale (kaŠ˜ha), e che i difetti siano ascritti al 

cantante, quasi la voce e la persona non dovessero coincidere. Si 

potrebbe sostenere che la voce è per natura, mentre la persona, in altre 

parole l’artista, è per scuola. Ma, in fondo, chi non ha qualità di 

partenza non si perita certo di intraprendere una carriera artistica e la 

voce – pur prodotta da un apparato anatomico, umano, e giudicata 

dall’orecchio del maestro – deve, è giocoforza, possedere delle 

caratteristiche giudicabili. Però, i difetti - e vorrei cominciare proprio 

da questi - sono dell’ordine derivante dal mediocre mestiere e non, è 

ovvio! da doti che non si posseggono e la cui mancanza non è 

imputabile ad alcuno. 

Il cantante non deve essere kapila 23 , termine impiegato in 

senso tecnico per indicare un timbro di voce afono, gorgogliante e 

catarroso. 24 Gli altri quattro do a descrivono chiaramente una 

situazione di difettosa - o incompleta - scolarizzazione, che dovrebbe 

23 Letteralmente “rosso”. Cfr. MONIER WILLIAMS, M., Dictionary... cit., p. 251, 

1. 

24 Forse, bisognerebbe evitare di esibirsi in pubblico, se le condizioni di salute lo 

sconsigliano. 

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consigliare al sedicente artista di posporre a miglior occasione 

l’esecuzione. 

Detti do a sono: avyavasthita, saˆdasã, kākin e tumbakin. 

Col primo - avyavasthita - si indica un tipo di esecuzione in cui 

il controllo dell’emissione non è costante né preciso: il risultato è 

quello di un continuo calo o di un continuo altalenare della tensione 

espositiva, con conseguente interruzione della risposta emotiva 

dell’ascoltatore. 

Col secondo - saˆda ã -, “a denti stretti ”, si indica 

un’evidente modesta apertura della cavità orale, che porta ad una 

scorretta intonazione e articolazione degli svara. 25 

Il terzo - kākin – mette in guardia contro l’impiego forzato 

della voce che, emessa in modo forzato e innaturale, assume sonorità 

sgradevole, richiamando il verso cacofonico del corvo. 

Sull’ultimo - tumbakin - che il testo definisce “nāsāgatasvara” 

26 , può essere interessante qualche altro chiarimento. 

A differenza del Nā˜ya®āstra, il Saˆg…taratnakara e i testi che 

ad esso si rifanno 27 , definiscono tumbakin il difetto di chi, cantando, 

gonfi esageratamente le guance, assumendo, per l’appunto, l’aspetto di 

25 N®, XXXII, 522a: “dantaprayogāt saˆda ãh svācāryaiƒ parik…rtitaƒ |” 

26 N®, XXXII, 523: “nāsāgatasvaro yastu tumbak… so’bhidh…yate | “ 

27 SR, III, 3, 33: “t° tumbakākārotphullagallastu gāyanaƒ | ”; Siˆhabhupāla chiosa: 

“tumbakamalābu; tadvatpullagalllastumbak… “; SRā, II, 1, 26: “t° sa tu kathyate | 

yastumbakavadutphullagalo gāyati gāyanaƒ || “; SKL, V, 14: “ t° punah | tumbavan 

phullagallo’thā “. Vedi oltre, p. 7. 

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una zucca, come ben dice il termine. Recenti studi occidentali 28 su 

determinate modalità dell’intonazione porterebbero ad avanzare 

l’ipotesi che un eccessivo gonfiamento delle gote potrebbe provocare 

una nasalizzazione del suono, per via dello sbilanciamento della cavità 

orale. Ciò potrebbe spiegare il senso differente, ma a questo punto solo 

in apparenza, conferito al termine in questione. 

Torniamo, ora, ai sei pregi. 

Oltre alla sonorità del timbro - ravaka 29 -, la voce deve 

possedere pienezza e solidità - ghana 30 -, unite, però, ad un’udibilità 

aliena da asprezza - snigdha 31 - ed a una dolcezza di timbro - 

madhura 32 -, che non deve venire meno neppure salendo nel registro 

acuto. Segue avadhānavant 33 , la qualità della concentrazione e 

dell’attenzione per tutta la durata dell’esecuzione. 

Infine, la qualità per eccellenza che completa e che si sposa alle 

altre è l’estensione della voce sui tre registri - tristhāno obhin - 34 , 

senza alterazione delle proprie caratteristiche precipue. 

28 TOMATIS, A., L’oreille et la voix, Paris 1987 ; trad. it., Milano 1993 (2000), p. 

201 e sgg. 

29 N®I, XXXII, 515a : “durāttu ryate yasmāt tasmācchrāvaka ucyate| » 

30 N®I, XXXII, 515 b : “ rāvako susvaro yastu na vik ipto ghanaƒ sm taƒ | » 

31 N®I, XXXII, 516 a : “su ravaƒ sa tvaparu aƒ snigdhastajjñaiƒ prak…rtitaƒ | » 

32 N®I, XXXII, 516 b : “mahasthāne’pyavaisvaryaˆ sa vai madhura ucyate | » 

33 N®I, XXXII, 517 a : “svare’dhike ca h…ne ca hyavirakto’vadhānavān | » 

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Ben si vede come una voce così sia un vero e proprio dono del 

cielo; ma altrettanto bene si deve tener presente come, pur possedendo 

un simile tesoro, una scadente applicazione e una scarsa e incompleta 

acculturazione canora possano portare ad un’esecuzione modesta e 

quanto mai povero dal punto di vista artistico ed estetico. 

Un altro testo, probabilmente coevo del Nā˜ya®āstra, il 

G…tālaˆkāra 35 , fornisce un elenco di nove tipologie del canto, 

all’adhyāya I, stanze 21-31. Poi, nell’adhyāya II, alle stanze 1- 4, 

indica i tre elementi su cui si fonda la tecnica canora. Nello stesso 

adhyāya II, alla stanza 8, indica le caratteristiche del buon cantante - 

gāyana-guŠa -, cui seguono, alla stanza 9, i difetti - do a. Ma è 

l’adhyāya III, alle stanze 1-2, che elenca più ampiamente i difetti - 14 

in tutto - relativi al canto. Tuttavia, a differenza del primo adhyāya, in 

cui le tipologie di canto sono dettagliate precisamente, qui il testo non 

va oltre una semplice elencazione. 

Esaminiamo il testo 36 . 

Come nel Nā˜ya®āstra, anche qui i termini riguardano sia 

qualità naturali sia acquisizioni tecniche. Infatti, ben otto si rifanno ad 

una scuola: l’espressività – rakta -, la precisa conoscenza del brano - 

34 N®I, XXXII, 518b-519: “ iraƒkaŠ˜he vabhihataˆ [tat]sthānamadhurasvaraiƒ || 

tristhāne’pi hi mādhuryaˆ yasya nityaˆ vidh…yate | tristhana obh… yevaˆ tu sa hi 

tajjñaiƒ prak…rtitaƒ || » 

35 GA, ed. cit., pp. 8-19; 20-25; 32-33. 

36 A proposito dei vari termini indicanti competenza: sono legati a radicali quali jŠā, 

vid, dhā; oppure, sono aggettivi come ku ala e simili; ancora, sono termini legati 

all’acutezza visiva (vi-cak aŠa), chiaro traslato per acutezza mentale. Sorprende, 

piuttosto, che, trattandosi di musica, di un’arte eminentemente acustica, non s’ 

incontrino termini direttamente relativi all’esperienza uditiva. 

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prŠa - e la sua corretta intonazione - prasanna -, la dizione accurata - 

vyakta - e chiara - vyutk ã - l’ornamentazione - alaˆk ta - e 

l’equilibrio dell’interpretazione - lak Ša -, la raffinatezza - sukumāra 

-. In una scuola degna di tale nome, il maestro insegna come eseguire 

il brano, che acquisisce qualità solo se perfettamente aderente ai 

dettami interpretativi della scuola stessa. Invece, la melodiosità - 

madhura - del timbro vocale è qualità innata e spontanea, che 

difficilmente - se assente o carente - si acquisisce. E’, semmai, vero il 

contrario: che si apprende, in altre parole, a controllare gli effetti di 

un’emissione poco melodiosa; ma il timbro, questo è connaturato 

all’organo di fonazione e ben poco si può fare di una voce sgraziata. 37 

Il secondo adhyāya si apre con una succinta esposizione 

(stanze 1-4) dei mezzi - upāya - grazie ai quali si apprende e si esercita 

l’arte vocale. Gli upāya sono tre: akti, vyutpatti, abhyāsa: vale a dire, 

nell’ordine, potenzialità naturale, senza la quale è velleitario 

intraprendere la carriera di cantante; competenza tecnica, che si 

apprende ad una scuola, senza la quale è inutile illudersi di 

raggiungere determinati traguardi; infine, pratica: senza sapere 

musicologico e pratica, la dote naturale, la akti, si riduce ben presto a 

poca cosa; finisce, addirittura, per esaurirsi, se lasciata all’estro e 

all’intemperanza personale. 

37 Dei termini qui esaminati, quattro compaiono anche nel Nā˜ya®āstra, rakta, 

alaˆk ta, lak Ša e madhura. Inizia a delinearsi, in altre parole, quel nucleo di 

termini che andranno a formare il contesto tradizionale dell’eccellenza canora. 

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La stanza successiva, la quinta, afferma ulteriormente che un 

paŠ it ben riconosce - e apprezza, conseguentemente - 

un’esecuzione di qualità, perché costruita su di un testo significativo, 

composto in varie lingue regionali, in metri accuratamente strutturati, 

secondo regole stilistiche conosciute. Tant’è che, alla stanza 8, dove si 

espongono i guŠa del cantante 39 , su cinque qualità che egli deve 

possedere per potersi definire tale, tre riguardano specifiche 

competenze letterarie. Deve essere buon linguista - sarvabhā ā- 

prav…Ša -, buon grammatico - abdajña - e buon poeta - sukavi. Il 

quarto guŠa riguarda la qualità vocale ed interpretativa - madhurasvara 

-; l’ultimo, l’aspetto fisico - dar an…ya -, che, in ogni caso, non 

nuoce mai, visto che, all’epoca, i mezzi moderni di riproduzione, del 

suono o dell’immagine, erano sconosciuti e che l’artista doveva 

necessariamente esibirsi di fronte ad un pubblico. 

Verrebbe fatto di domandarsi a quale titolo un’arte acustica - 

l’abbiamo accennato sopra 40 - debba avvalersi di un apparato visivo, 

quale quello costituito dal bell’aspetto. Forse, però, bisognerebbe 

considerare il termine - dar an…ya - non solo nel suo senso immediato 

e precipuo legato all’apparenza esteriore, ma prenderlo come l’invito 

ad assumere una postura corretta e composta. Infatti 41 , sembrerebbe 

38 

38 GA, II, 5: “gdhārthaˆ de abhā ābhirgurucchandovinirmitam | anyavarŠena 

saˆviddhaˆ gitaˆ amsanti paŠ itāƒ ||” 

39 

GA, II, 8: “ sarvabhā āpraviŠo yaƒ abdajño madhurasvaraƒ | 

sukavirdar an…ya ca gāyanaƒ pañcabhirguŠaiƒ ||”. 

40 V. supra, nota 31. 

41 TOMATIS, A., op. cit., p. 183 sgg. 

96




che la postura sia importante ai fini del cosiddetto autoascolto - e della 

conseguente corretta intonazione. L’aspetto fisico, allora, andrebbe ad 

assumere tutt’altra valenza rispetto alla semplice parvenza esteriore - 

la quale, in ogni modo, se gradevole, non nuoce di certo all’insieme. 

Più che derivante dall’aspetto “giovanile”, dunque, si dovrebbe forse 

intendere l’immagine del cantante come bella da vedere, intesa nel 

senso squisitamente tecnico della corretta postura che si deve assumere 

per cantare. 

I difetti sembrerebbero avvalorare proprio quest’ultima ipotesi. 

In effetti, chi canta, oltre a non essere di voce rauca e gracchiante - 

kākasvara -, che sarebbe, in fondo, dote naturale, non deve cantare 

scuotendo inutilmente il capo - iraƒkampin - o lasciando pendere le 

labbra in fuori - lambo ˜ha. In quest’ultimo caso, l’eccessivo pendere 

delle labbra può portare ad una scorretta apertura della bocca, 

posizione che può provocare problemi di emissione del suono, così 

come risulta dal modo nasale di cantare - anunāsika -, in cui sono 

interessate cavità del capo che non sono da impiegare nel canto. Anche 

il “lagnoso” - suvar in -, per ottenere l’effetto lacrimevole voluto, deve 

storcere il volto, provocando non solo un’immagine sgradevole per 

l’ascoltatore, ma sonorità poco ortodosse e di evidente incerta 

intonazione. L’ultimo difetto - di natura puramente tecnica o, piuttosto, 

etica - è quello dell’appropriarsi di brani altrui. Non si tratta, 

chiaramente, di semplice plagio - censurabile in sè e per sè - ma di 

scadente applicazione ai fini del conseguimento di quelle competenze 

concernenti e lingue e grammatiche e poetiche, in mancanza delle 

97




quali, il sedicente artista si vede costretto a ricorrere a farine di sacchi 

altrui. 

Ecco dunque che il “bell’aspetto” assume la qualità non tanto e 

non solo di “presenza in scena”, ma dà spessore alla figura artistica del 

cantante che, rispettando - e impersonando - i dettami dell’ideale di 

perfezione, non può che essere, tout court, “bello da vedere”. 

L’esame di pregi e difetti termina affermando che, in ogni 

modo, è la qualità di partenza, il dono costituito dalla “voce naturale” - 

kaŠ˜hodbhava 42 - ad essere la prerogativa essenziale. 

Il terzo adhyāya si apre con la semplice elencazione di 

quattordici do a del canto 43 , senza altra spiegazione. Merita, in ogni 

caso, distinguerli a seconda che siano naturali o tecnici. I primi, non 

guasta ribadirlo, sono quelli che dovrebbero sconsigliare la scelta di 

una carriera canora: sono quelli che possono presentarsi nel caso di 

mancanza del kaŠ˜hodbhava, 44 di cui s’è appena detto. 

Il difetto discriminante è quello del timbro sgradevole - 

kākasvara (strozzato) -, 45 imputabile ad un cattivo controllo della 

muscolatura preposta all’emissione del suono e non solo ad un difetto 

costituzionale. 

42 GA, II, 10a : “guŠāŠāmeva sarve āˆ guŠaƒ kaŠ˜hodbhavo varaƒ | ”. 

43 

GA, III, 1-2 : “ a‰kitaˆ bhitaˆ udghu ãmavyaktamanunāsikam | 

kākasvaraˆ irolinaˆ tathā sthānavivarjitam | visvaraˆ virasaˆ caiva vi li ãˆ 

vi amāhatam | vyākulaˆ tālahimaˆ ca g…tado ā caturda a || ”. 

44 V. supra, nota 37. 

45 Cfr. GA, cit., III, nota 1, dove A. Daniélou, il curatore dell’edizione qui usata, 

riportando un passo del comm. di Bha˜ã- obhākara alla Nārād…ya- ik ā, traduce il 

termine con :”voix de corbeau, rauque”. 

98




Gli altri undici, si possono dividere in due classi: difetti di 

produzione del suono e difetti artistici. 

I primi restano tali a dispetto dell’esercizio, che non ha potuto - 

o saputo - eliminarli o che sussistono proprio per mancanza di 

adeguata applicazione; i secondi, conducono ad un’esecuzione di 

basso livello artistico, che si commenta da sè. 

Nel primo caso, si indicano un volume sonoro eccessivo e 

incontrollato - udghu ã -, il timbro nasale - anunāsika - e la voce di 

testa, assurdamente acuta e sottile - irolina. 

Seguono altri due - a‰kita (incerto, insicuro) e bh…ta 

(timoroso, emozionato) -, che dipendono in modo irreversibile dal 

temperamento soggettivo. Anche in questi casi particolari, 

sembrerebbe che la causa dell’incertezza e del tremore possa e debba 

essere ascritta alla mancanza di applicazione 46 . 

A questi difetti ne sono legati altri, diretta conseguenza, 

soprattutto, della scarsa applicazione. Primi vengono i difetti di 

intonazione - visvara - e di comunicazione emotiva - virasa 47 -, che si 

aggiungono allo scadente controllo della voce nel cambio di registro - 

sthānavivarjita. Seguono - o conseguono, se si preferisce - il difetto 

concernente la dizione e l’intonazione imprecise - avyakta - e quello 

che porta ad interruzioni inopinate dell’esecuzione - vi li ã-, con 

conseguente caduta della tensione interpretativa - vyakula -, che risulta 

46 Sarebbe meglio dire, forse, che, se tali difetti sussistono anche dopo un lungo 

sforzo d’apprendistato, è opportuno rinunciare alla carriera di cantante. 

47 Quest’ultimo, tuttavia, può anche verificarsi a fronte di esecuzioni puramente 

virtuosistiche, ma, per così dire, senza anima. 

99




poco uniforme e superficiale. Ultimi, la mancanza di senso della 

misura melodica - vi amāhata - e della conseguente mancanza di ritmo 

- tālah…na. 

Se, in teoria, talune deficienze si potrebbero comprendere e 

giustificare, seppure in parte, quello che risulta è un monito che traccia 

un quadro d’insieme dal quale emerge la figura “perfetta”, in senso 

negativo, del cantante modesto. 

Questi è tale per tre motivi: mancanza di qualità, mancanza di 

applicazione e persistenza di difetti, anche dopo lunga applicazione. 

Non è quindi casuale che il testo, subito dopo aver elencato i 

quattordici do a, dichiari senza esitazione alcuna che non è degno che 

di commiserazione 48 chi si azzardi all’esibizione pubblica senza 

adeguato percorso di studio o, peggio ancora, senza seguire i dettami 

di una scuola. 

Nuovamente emerge il “progetto tecnico” legato al seguire una 

tradizione, nel senso che è solo il raggiungere i livelli richiesti da una 

severissima pratica di discepolato che è “arte”. Probabilmente, le doti 

personali si manifesteranno “intra moenia”, perché è vero che le doti 

di natura sono assolutamente necessarie, ma è altrettanto vero che è 

l’esecuzione perfetta, quella che segue minuziosamente i dettami della 

scuola, che, sola, fa l’artista. 

Non significa, però, che la tradizione debba essere supinamente 

seguita né passivamente accettata o, tanto meno, subita: significa che 

48 GA, III, 3: “anupāsya hi yaƒ āstraˆ g…taˆ badhnāti mandadh…ƒ | anupāsya 

guruˆ tasya tadbhavejjārajātavat ||”. 

100




l’arte sta “entro” il solco della tradizione: che è ordine e 

riconoscibilità, di contro all’arbitrio e all’abuso della soggettività priva 

di regola. 

In ogni caso, si tenga, presente che l’appartenere ad una scuola 

si traduce, nella pratica concreta, nel fatto che i cantanti - o i musicisti 

- di una tradizione cantano - o suonano - tutti nello stesso modo. Vale 

a dire che, pur col trascorrere del tempo, dal primo nel passato 

all’ultimo di oggi gli stilemi della scuola si mantengono costanti: tutti 

cantano - o suonano - come se ognuno di essi fosse il suo predecessore 

diretto. L’arte, così esercitata, è molto “imitativa”. 

Passiamo, ora, ad esaminare il Saˆg…taratnākara 49 . 

Il terzo adhyāya, riservato ad argomenti miscellanei - 

prak…rŠaka - offre una trattazione ampia e sistematica delle 

problematiche legate alla voce, trattazione che costituisce l’apice della 

tradizione partita dai due Bharata. Il livello è tale da rappresentare il 

modello cui tutti i testi successivi si rifaranno. A parte l’ampiezza ben 

maggiore della trattazione, rispetto al Nā˜ya āstra 50 , i passi che 

trattano l’argomento sono di importanza assoluta, perché vi si enuncia, 

per la prima volta, il concetto di ār…ra, della qualità naturale dei mezzi 

vocali. Le stanze interessate vanno dall’82 all’86, stanza in cui si 

concludono ribadendo l’eccezionale naturalità del dono della 

49 SRII, cit.: v. supra, nota 6. 

50 SRII, III, 13-86: 73 stanze contro le 15 del N®. 

101




cosiddetta “voce fenomenale” 51 , con queste singolari affermazioni: 

per ottenere la qualità vocale naturale, per fruire di una voce “bella” 

per sua natura - su- ār…ra -, bisogna votarsi al “Signore di Parvat…”, 

con pratiche ascetiche e devozionali, sperare nella buona sorte, 

ricevere in dono una particolare sapienza - qui, evidentemente 

musicale. Come a ricordare che cantanti di livello “fenomenale” si 

nasce; diventarlo è tutt’altro affare: è nelle mani di Dio, appunto. 52 

Ma vediamo come la voce “fenomenale” è definita. La stanza 

82 recita: “Per via del nascere col corpo, si dice ār…ra ciò che, anche 

in mancanza di pratica musicale, ha la capacità di disegnare 

esattamente un rāga”. 53 

Non c’è che da raccomandarsi al “Signore di Parvat… ”, come 

dice la stanza 86, perché con qualità di questo tipo si può solo nascere. 

Vien fatto, allora, di domandarsi a che spender tempo e fatica per 

raggiungere qualcosa che è riservato a pochi eletti solamente. 

Intanto, va rilevato come i musicologi indiani abbiano ben 

individuato l’esistenza di simili talenti naturali, che sfuggono alle 

51 KHAMBATA, A. S., Anatomia e fisiologia della produzione della voce: la voce 

fenomenale, in CRITCHLEY, M. – HENSON, R. A., The music and the brain – 

studies in the neurology of the music, London s.d.; trad. it. La musica e il cervello, 

Padova 1987, pp. 74-80. 

52 SRII, cit., III, 82-86; in particolare, la stanza 86 recita:”vidyādānena tapasā 

bhaktyā vā pārvat…pateƒ | prabhtabhāgyavibhavaiƒ su ār…ramavāpyate ||”; la 

traduzione inglese,offerta da R.K. SHRINGY, suona così: “A well gifted voice is 

obtained through great fortune, imparting of knowledge, penance or devotion to 

Lord ®iva”. 

53 

SRII, cit., III, p. 169: “rāgābhivyakti aktatvamanabhyāse’pi yaddhvaneƒ | 

tacchār…ramiti proktaˆ ār…reŠa sahodbhavāt ||”. 

102




logiche del tirocinio e delle scuole, per severe e tenaci che siano; e 

come, in questo contesto particolare, ®ār‰gadeva abbia elencato, a 

proposito della “voce fenomenale”, pregi e difetti fondamentali: e, 

visto che sono proprio gli esperti 54 ad affermarlo, ciò sta a significare 

che ®ār‰gadeva riporta e codifica i dettami di un lavoro di 

teorizzazione che, con lui e grazie a lui, tocca il suo vertice più 

significativo. 

Ma, quello che più è importante, a mio modo di vedere, è 

l’aver diviso la natura del suono vocale da quella delle caratteristiche 

del cantante. Vale a dire che una cosa è la “voce”, la quale, in se 

stessa, possiede pregi e difetti, come categoria a sè stante; altra cosa è 

l’uso che l’artista ne sa fare, mettendo insieme doti naturali e doti 

acquisite con la scuola. 

Dunque, i pregi 55 - nove - riguardano, innanzi tutto l’estensione 

della voce verso i toni acuti - tāra -; poi, il timbro, contraddistinto da 

dolcezza - mādhurya-, morbidezza - mārdava - e delicatezza - 

snigdhatā; la sonorità - anudhvani -; seguono la qualità tonale, 

identificata da profondità - gāmbh…rya -, compattezza - ghanatā -, 

ampiezza - kāntiprācurya - e la capacità emotiva - rakti . 

54 Kovida: cfr. MONIER WILLIAMS, M., A sanskrit-english dictionary, Oxford 

1899 (1964), p. 314, 1: “experienced, skilled, learned in”. Laddove si nasca con 

pregi, la voce è straordinaria; nel caso opposto, quando il proprio bagaglio tonale è 

scadente, si deve concludere che ci si trova di fronte ad un allievo al quale il maestro, 

in coscienza, non può far altro che consigliare di ... cambiar carriera. 

55 

SRII, cit., III, 83: “tārānudhvanimādhuryaraktigāmbh…ryamārdavaiƒ | 

ghanatāsnigdhatākāntiprācuryādiguŠairyutam ||”. 

103




Quando sia così connotata, la “voce fenomenale” si definisce 

su- ār…ra. 56 

I difetti, 57 perché anche in questo possono essercene, sempre 

in numero di nove, riguardano, sostanzialmente, l’assenza dei pregi 

distintivi della grande voce: mancanza di adeguata estensione - o, 

comunque, scarso controllo timbrico nell’estensione - sthānavicyuti -, 

il timbro sgradevole - kākitva, rk atva e kārka ya -; scarsa sonorità - 

anusvāna -; scadente qualità tonale - o, meglio, forse, mancanza di 

potenza - kār ya -; insufficiente qualità emotiva - tyaktaraktitā -; 

modesta intonazione - visvaratā - e scadente scorrevolezza del timbro, 

che si traduce in limitata uniformità espressiva - niƒsāratā . 

Le stanze 68-77 e 78-81 espongono, rispettivamente, i pregi 

(quindici) e i difetti (nove) del suono della voce – ābda -, tracciando 

un modello preciso delle sonorità che il cantante deve riprodurre e di 

quelle che, all’opposto, deve cercare di evitare o, quanto meno, di 

controllare. 

Intanto, vale la pena di rimarcare come il differente numero – i 

pregi sono quasi doppi rispetto ai difetti – ponga l’accento su di una 

ricerca nel campo della sonorità, sempre al fine di creare un modello 

“scolastico” a cui far salire il discepolo. In altre parole, si predilige 

l’eccellenza, non facile da raggiungere e della quale si indicano le 

qualità precipue, e si circoscrivono i limiti, evidenziandone le 

56 SRII, cit., III, 84a : “tat su ār…ramityuktaˆ lak yalak aŠakovidaiƒ|”. 

57 SRII, cit., III, 84b-85 : “anusvānavih…natvaˆ rk atvam tyaktraktitā || niƒsāratā 

visvaratā kākitvaˆ sthānavicyutiƒ | kār yaˆ kārka yamityādyaiƒ ku ār…raˆ tu 

d aŠaƒ ||”. 

104




tipologie, che dipendono, primariamente, da scadente qualità di 

partenza. 58 Il primo difetto è quello della secchezza – rk a 59 -, cui si 

affianca lo scarso controllo del volume di emissione – sphu˜ita 60 -. 

Segue il difetto denominato niƒsāra 61 , interpretabile come mancanza 

di consistenza timbrica ed emotiva. Il quarto difetto – kākolin 62 - 

indica la voce rauca e dal timbro gracchiante, proprio come quella di 

un corvo. Il quinto – ke˜i 63 - indica l’estensione notevole della voce, 

che si espande su tutti e tre i registri, ma senza alcuna qualità tonale 

particolare: buona, dunque, la dotazione naturale, ma scadente 

58 Come a dire che si può essere dotati di qualità musicale anche senza possedere una 

buona qualità vocale. Ciò apre la strada al “musicologo”, anche se pare precluderla al 

musicista. 

59 SRII, cit., III, 78a : “rk ahsnigdhatvanirmuktaƒ”; cui fa seguito il comm. di 

Siˆhabhpāla: “ snehābhāvāt “. 

60 SRII, cit., III, 79a : “sphu˜itānvartanāmakaƒ |”; commentato da Siˆhabhpāla: 

“yasya sphutita iva bhagna iva pratibhāti, sa sphutita ityucyate “. 

61 SRII, cit., III, 79b, dove si fa esplicito riferimento all’olio della pianta denominata 

ricinum communis ; “eraŠ akāŠ aniƒsāro niƒsāra iti k…rtitaƒ “; Siˆbhpāla non si 

discosta, ma chiarisce meglio il senso del termine niƒsāra, spiegandolo come 

antaƒsārah…naƒ. Mi domando, però, se il riferimento alla scadente corposità dell’olio 

qui chiamato in causa non possa anche essere messo in relazione al termine kāŠ a, 

che indica il nodo del bambù. Mi piacerebbe ipotizzare che, proprio come l’olio, 

quando lo si versa, esce a singhiozzo, a pezzi – come la canna di bambù che è 

“spezzata” – privata di continuità – dai nodi, così la voce, che esce “singhiozzante”, 

a sprazzi; e risulta priva di sostanza, perché è impossibile che, con tante interruzioni 

di suono, si riesca a stabilire quel rapporto emotivo che è indispensabile all’ascolto 

musicale. 

62 SRII, cit., III, 80a : “ kākolikākhyaƒ kākolakulanirgho ani ˜uraƒ| “; così ribadito 

da Siˆhabhpāla: “yastu kāka abdavanni ˜uraƒ sa kākol…tyucyate “. 

63 SRII, cit., III, 80b : “sthānatrayavyāptiyukto nirguŠaƒ ke˜irucyate “; come spiega 

Siˆhabhpāla, “yastu sthānatrayāˆ vyāpnoti, paraˆ tu mādhuryādiguānh…Šaƒ, sa 

ke˜irucyate |”. 

105




l’affinamento canoro. Il sesto – keŠi o keŠaya 64 - chiarisce la grande 

difficoltà con cui il cantante raggiunge il registro grave e acuto: si 

critica, cioè, la scarsa estensione della voce che, cosiffatta, non sarà 

mai in grado di esporre adeguatamente il timbro emotivo del rāga, che 

necessita di allargarsi su tutti e tre i registri. Il settimo difetto – k a 65 - 

riguarda l’eccessiva sottigliezza della voce, senza altre delucidazioni. 

Forse, le correlazioni con il latino parcus e gracilis o col greco 

kolekanos 66 , come suggeriscono 67 sia Monier Williams sia Benfey, 

possono dare l’idea dell’inconsistenza di questo tipo di voce, che non è 

certo in grado di farsi sentire adeguatamente. L’ultimo do a – bhagna 

68 - descrive la scadente qualità di una voce “ragliante”, sgradevole 

come il raglio dell’asino, insopportabilmente stentorea e incontrollata. 

In sintesi, i difetti della voce riguardano tanto il suono 

sgradevole e fastidioso, quanto l’incapacità di dare risalto alla linea 

64 SRII, cit., III, 81a : “k cchronm…lanmandratāraƒ ityucyate “; più chiaro e preciso 

nel comm. di Siˆhabhpāla: “yasya mahatā kle ena tāramandravyaptiƒ, sa keŠiƒ |”. 

65 SRII, cit., III, 81b : “atisk maƒ k aƒ “;Siˆhabhpāla non dice altro : “ suk maƒ 

k a “. 

66 ROCCI, L., Vocabolario Greco-Italiano, Città di Castello 1956 10 , p. 1066, 1; 

MONTANARI, F., Vocabolario della lingua greca, Torino 1995, p. 1108, 3 : il 

vocabolo indica una persona gracile ed emaciata. 

67 MONIER WILLIAMS, M., Dict. cit., p. 305, 3; BENFEY, TH., Sanskrit-English 

dictionary, trad. indiana dell’edizione originale del 1866, New Delhi 1982, p. 213, 1. 

68 

SRII, cit., III, 81b: “bhagnaƒ kharos˜radhvanin…rasaƒ “; ribadito così da 

Siˆhabhpāla: “gardabhakarabhadhvanivannn…raso bhagna ityucyate ||“. A 

proposito di karabha, può essere di qualche interesse segnalare che MONIER 

WILLIAMS, M., Dict. cit., p.254, 2, lo definisce :”( in music) a singer who wrinkles 

the forehead when singing “. 

106




melodica propria di un rāga. Non vanno, però, considerati difetti del 

cantante, quanto qualità negative del timbro vocale, da intendersi come 

difetti che devono poter essere tenuti sotto controllo con l’esercizio 

adeguato impartito dal maestro. 

Ben più ampia la disamina dei pregi. In breve, essendo i pregi 

il contrario dei difetti, riguardano tutte quelle qualità che rendono 

l’ascolto di una voce un momento di sublimazione estetica, che, se la 

voce è veramente pregevole, difficilmente si può dimenticare. 

Il primo pregio – m ã 69 - riguarda la sensazione che il suono 

della voce suscita nell’orecchio dell’ascoltatore, senso ripreso e 

ampliato dal termine successivo, madhura 70 , che, oltre alla dolcezza, 

semanticamente insita nel termine stesso, implica una stabilità di 

timbro e di intonazione che dovrebbe restare inalterata in tutti e tre i 

registri. Il testo, interpretato seguendo i suggerimenti dei curatori 

dell’edizione citata, dà al termine un senso e uno spessore che si 

discosta assai dal semplice aspetto timbrico che il termine, in ogni 

caso, reca con sé: ma, quello che mi sembra importante, è che la 

69 SRII, cit., III, 70a : “ rotranirvāpako m ãs “, che Siˆhabhupāla spiega “yastu 

rotrayoƒ sukham janayati sa m ã “. Evidentemente, il commentatore interpreta in 

modo particolare il termine nirvāpaka. I curatori dell’edizione citata, p. 166, 

traducono come segue: “m ã is that (voice) which is refreshing to the ears”, dando 

al termine il senso di “agreable, pleasing”, che, stando a MONIER WILLIAMS, M., 

Dict. cit., p. 557, 3, sembrerebbe meglio riferito a nirvāpaŠa. 

70 

SRII, cit., III, 70ab: “ tri u sthāne vavistaraƒ | madhuraƒ “. Però, i curatori 

dell’edizione qui usata [p. 166] preferiscono, ad avistara del testo, ana vara, di ben 

diversa portata. Spiegano la scelta in base al comm. di Siˆhabhupāla, che dice : 

”sthānatrayo’pyana varo’vina yavik to madhura ityucyate “. Suggeriscono la 

seguente giustificazione : “...it appears that most probably the original version might 

have been something like avisvara implying thereby that madhura is never out of tune 

in all three registers “. 

107




dolcezza non è tanto – o non solo – timbrica, quanto derivante 

dall’uniformità dell’intonazione, la cui mancanza fa sicuramente 

scomparire l’impressione di “dolcezza”, appunto. Il termine impiegato 

per definire il terzo requisito – cehāla 71 - non compare nei dizionari 

correntemente impiegati, quali possono essere sia il Monier Williams, 

il Benfey, l’Apte, il Renou: bisogna, dunque, ricavarne il senso dal 

testo e dai commenti. Entrambi i commentatori insistono 

particolarmente nel definire il termine, la cui valenza, a differenza 

degli altri, appare centrale nel contesto della qualità vocale. 

Siˆhabhpāla 72 si diffonde particolarmente nel chiarire i singoli 

aggettivi che ®ārŠgadeva stesso accosta a cehāla. 

Intanto, prau ha, del quale dice 73 che riguarda il tono sicuro e 

maturo della voce; poi, l’assenza di caratteristiche disturbanti come il 

volume eccessivo o insufficiente, che rendono la voce pastosa e tenera 

ad un tempo 74 . E ribadisce dicendo che “in tal modo va inteso 

cehāla” 75 . Puntualizza, inoltre, che la voce, per avere la qualità fin qui 

71 SRII, cit., III, 70b-71ab: “tāraƒ prau ho madhurarañjakaƒ || nātisthlo nātik aƒ 

snigdha cehālako ghanaƒ | ākaŠ˜hakuŠ˜hanaˆ sa syāt puˆ āˆ str…nāˆ tu sarvadā 

||”. 

72 SI¤HABHPšLA, Saˆgitasudhākara, comm. a SRII, III, 70b-71a: “...tāra 

prau ho madhurañjakaƒ | nātisthlo nātik aƒ snigdha cehālako ghanah ||”. 

73 SI¤HABHPšLA, Saˆg…tasudhākara, comm. a SRII, III, 70a : “prau haƒ 

prau himān pragalbhaƒ “. 

74 ID, Ib., : “ atisthlatātik atābhyāˆ h…naƒ snigdhaƒ snehavān “. 

75 ID, Ib., : “evaˆvidha cehālako jñātavyaƒ “. 

108




descritta, deve essere “piena” 76 , priva dell’inconsistenza che rende 

una voce poco gradevole, difficile da ascoltare, in una parola poco 

emozionante. Ma il senso vero e proprio si evince dall’affermazione 

con cui termina lo loka 81. Per mantenersi cehāla, il timbro vocale è 

legato all’insorgere dei caratteri sessuali secondari. Per i maschi, è il 

periodo in cui la voce si spezza, perdendo quelle caratteristiche di 

brillantezza e di levigatezza tipiche delle cosiddette voci bianche. Per 

le donne, invece, la voce, è svincolata da questa contingenza. Il passo 

del Saˆg…taratnākara 

77 

è diffusamente commentato sia da 

Siˆhabhpāla sia da Kallinātha, che insistono sull’interpretazione del 

verso. 78 La conclusione che se ne può trarre sta nella differente qualità 

della voce maschile e femminile; ma, mentre quella maschile, dopo 

l’insorgere dei caratteri sessuali secondari assume caratteristiche 

timbriche particolari, quella femminile va tenuta in considerazione 

perché fornisce un esempio concreto di queste caratteristiche di 

limpidezza e di cristallinità. In sostanza, a parte l’essere acuta, piena, 

dolce, affascinante, né troppo spessa né troppo sottile, la voce 

dovrebbe essere densa e senza incrinature. 

76 ID, Ib.,: “ ghano niƒsāratāh…naƒ”. 

77 SRII, III, 81b: “ākaŠ˜hakuŠ˜hanaˆ sa syāt puˆsāˆ str…Šāˆ tu sarvadā “. 

78 SI¤HABHPšLA, Saˆgitasudhākara, comm. a SRII, III, 71b; KALLINšTHA, 

Kalānidhi, comm. a SRII, III, 71b. Quest’ultimo suggerisce un ulteriore senso – 

r ha – forse a sottolineare il fatto che simile qualità vocale, proprio perché la voce 

tende a salire verso l’acuto (non dimentichiamo che resta inalterata nella voce 

femminile, che ha naturali qualità di acutezza), non deve perdere la qualità primaria, 

per me, di una voce, che è quella di essere perfettamente percepibile, 

indipendentemente dall’altezza del suono raggiunto, e sempre gradevole. 

109




L’esposizione di ®ārŠgadeva prosegue illustrando un quarto 

pregio – tristhāna 79 - consiste nel mantenersi uguale ed uniforme per 

l’estensione di tutti e tre i registri, qualità meglio chiarita dal 

commento di Siˆhabhpāla 80 che sostiene che tale qualità va relata a 

bellezza e splendore, che concorrono a formare quella precipua qualità 

naturale della voce, che si mantiene inalterabile per tutti e tre i registri. 

Si passa, poi, al quinto pregio – sukhāvaha 81 -, la qualità che 

arreca gioia. Il sesto – pracura 82 - indica l’ampiezza e la ricchezza del 

timbro vocale. Il settimo – komala 83 - definisce la dolcezza del suono, 

simile a quello del kokila 84 , il celebrato cuculo indiano. Ben 

suggerisce Siˆhabhpāla, definendo, a sua volta, questa caratteristica 

come saukumārya 85 , tenerezza, delicatezza. Si passa, poi, a gā ha 86 , 

79 

SRII, cit., III, 72ab : “tri u sthāne vekarpa chaviraktyādibhirguŠaiƒ | 

trithāno...||”. 

80 SIMžABHPšLA, Saˆg…tasudhākara, comm. a SRII, III, 72ab : “sthānatraye’pi 

chaviraktyādibhir guŠairupalak ita ekarpo’vik taƒ tristhāna ityucyate “. 

81 

SRII, cit., III, 72b : “sukhadah sa sukhāvahaƒ ||”. Siˆhabhpāla – 

Saˆg…tasudhākara, comm. al presente passo - aggiunge che il movimento che porta a 

provare “felicità” deve essere visto in rapporto alla mente (manas) : “yastu manasaƒ 

sukhadāyakaƒ sa sukhāvahaƒ”. 

82 SRII, cit., III, 73a :” r… a‰karapriyeŠoktaƒ pracurasthlatāyutaƒ |”; 

83 SRII, cit., III, 73b : “komalo’nvarthanāmaiva kokilādhvanivanmataƒ |”. 

84 MONIER WILLIAMS, M., Dict. cit., p. 312, 2. 

85 SI¤HABHPšLA, Saˆg…tasudhākara, comm. a SRII, III, 73b. 

86 SRII, cit., III, 74a : “gā hastu prabalo dra ravaŠācchravako mataƒ |”. 

110




l’ottava caratteristica, la potenza del suono che, come chiarisce 

Siˆhabhpāla, “si sente come se stesse diffondendosi ” 87 . La nona - 

rāvaka 88 - indica la capacità della voce di essere udita da lontano. La 

decima – karuŠa 89 - precisa il sorgere della risposta affettiva al timbro 

della voce. L’undicesima – ghana 90 - indica anch’essa la capacità di 

essere udita a distanza, unita alla compattezza naturale del timbro. Il 

dodicesimo pregio – snigdha 91 - insiste sulla mancanza di asprezza del 

timbro, che pure deve mantenersi udibile a distanza, come viene 

sottolineato dagli esperti. Il senso è legato al pregio successivo - 

lak Ša 92 -, il tredicesimo, spiegato come la fluidità che ha l’olio, 

87 SI¤HABHPšLA, Saˆg…tasudhākara, comm. a SRII, III, 74a : “prabalatvena 

prasaranneva yaƒ ruyate sa gā haƒ” . 

88 SRII, cit., III, 74a : “dra ravaŠācchrāvako mataƒ |”. 

89 SRII, cit., III, 74b : “karuŠaƒ rot cittasya karuŠārasad…pakaƒ ||”. Cfr. il comm. 

dei curatori dell’edizione indicata con SRI, p. 167: “ karuŠa inspires the aesthetic 

delight of pathos in the minds of the listeners”. 

90 SRII, cit., III, 75a:”dra ravaŠayogyastu ghano’ntaƒsāratāyutāƒ|”. 

91 SRII, cit., III, 75b : “ark o drasaˆ rāvyo budaiƒ snigdho dhvaniƒ sm taƒ ||”. 

Siˆhabhpāla si limita a ribadire il concetto, insistendo sulla mancanza di asprezza – 

“rk atāh…na...”. Il termine, come risulta dal MONIER WILLIAMS, Dict. cit., p. 

1267, 2, indica la dolcezza e la levigatezza che sono relative ad una sostanza grassa e 

morbida; così intendono il senso i curatori della presente edizione, a p. 167, nota 11. 

92 SRII, cit., III, 76a : “ lak Šastu tailadhārāvadacchidro dh…rasammataƒ |”. Cfr. 

SI¤HABHPšLA, Comm. cit., “yastu tailadhārāvat chidrah…naƒ...”; a questa 

interpretazione si attengono i curatori dell’edizione citata, p. 167, nota 12 : “The flow 

of the oil is characterised by an indistinct process of continuity, of im-perceptible 

change. Acchidra-lit. having no vacuum, i.e. ...continuous. Chidra is an empty space, 

a hole.” Di sicuro interesse sono le parentele col Greco skìzo, skìde e col Latino 

scindo suggerite da MONIER WILLIAMS, M., Dict. cit., p. 1267, 2, nonché col 

Latino caedo, proposto da Benfey, Sanskrit-English dictionary, cit., p. 317, 2. V. 

anche, supra, nota 59. 

111




quando scorre senza interruzioni. Così. La voce deve avere continuità 

di timbro sia nel passaggio dal grave all’acuto, sia nel crescere e nel 

decrescere del volume, sia, infine, nell’espressività. Il quattordicesimo 

– raktimat (o raktiyuta) 93 - ben si lega al precedente, perché è la qualità 

che suscita una reazione emotiva, anurakti, appunto, con termine 

intimamente connesso alla stessa radice di rāga. Il commentatore 

94 ribadisce impiegando un sinonimo – anurāga –, ma, soprattutto, una 

voce verbale al causativo - utpādayati -, che ben circoscrive il 

concetto. 

L’ultimo pregio – chavimat 95 - indica la brillantezza, meglio la 

luminosità del timbro vocale, che sgorga da un’ugola che il testo 

definisce “senza macchia”, vimala: davvero perfetta. Il commento di 

Siˆhabhpāla 96 usa il termine sah dayair, legandolo ad ujjvala, 

aggiungendo enfasi al contesto, tutto teso alla dimensione affettiva 

della risposta allo stimolo vocale. 

L’insieme dei quindici guŠa della voce mostra un crescendo, 

per restare in termini di musicalità, tutto teso al finale, che è quello 

della dimensione affettiva che il timbro vocale deve essere in grado di 

suscitare. Lo si vede particolarmente dagli ultimi pregi, 

93 SRII, cit., III, 76b : “anuraktestu janako raktimānabhidh…yate ||”. 

94 

SI¤HABHPšLA, Saˆg…tasudhākara, comm. a SRII, III, 76b: 

“yastvanurāgamutpādayati sa raktimān |”. 

95 

SRII, cit., III, 77ab:“dhāturvimalakaŠ˜hatvādyaƒ prājñairupalak yate 

|ujjvalo’yāmiti prokta chavimāniti sa dhvaniƒ ||”. 

96 

SI¤HABHPšLA, Saˆg…tasudhākara, comm. a SRII, III, 77ab: 

“sah dayairujjvala iti prat…yate sa chavimān |”. 

112




inequivocabilmente slegati dalle qualità fisiche della voce, che 

riguardano, ad esempio, sonorità, potenza, ampiezza, ecc. Qui, il fine è 

quello della capacità – potenzialità, meglio – di coinvolgere 

l’ascoltatore, che deve essere, per così dire, rapito dall’ascolto stesso. 

Nel contesto generale della trattatistica musicologica - non 

guasta ribadirlo - si tratta dell’esposizione di gran lunga più ampia e 

dettagliata, che riassume in sè, sistematizzandoli definitivamente, tutti 

i dettami degli autori precedenti e che costituisce, ancora oggi, il punto 

di riferimento tecnico ineludibile per musicologi, musicisti, maestri. 

Numerose le stanze dedicate al ritratto del cantante, che prima 

ancora di essere qualificato, è classificato come uttama, madhyama e 

adhama 97 . Poi, ulteriormente definito di cinque tipi e, ancora, in altri 

tre. Una sola stanza, invece, è dedicata alle cantanti, assimilate ai 

colleghi maschili, ma dotate di bellezza e gioventù; inoltre, ben 

accette, in quanto esperte musiciste, ai musicisti esperti. 98 

Il cantante “eccelso” è dotato di ben ventitré qualità, 

opportunamente ripartite tra mezzi fisici, doti artistiche ed esercizio ed 

applicazione. Prima di tutte le qualità viene l’appartenere a pieno titolo 

ad una scuola - su-saˆpradāya. Si enuncia qui con decisione l’assunto 

dei g…tajñāƒ: la perfezione dell’arte coincide con la perfetta 

97 SRII, cit., III, 18-19: di questi due ultimi tipi si dice solo che il primo non ha 

difetti, pur senza avere particolari doti; il secondo, invece, è caratterizzato proprio 

dall’aver difetti e basta. Le loro supposte qualità, dunque, si devono inferire dai pregi 

del cantante di valore. 

98 SRII, cit., III, 24:“rpayauvana ālinyogāyanyogāt vanmātāƒ| 

ādhuryadhuryadhvanaya caturā caturapriyāƒ ||”. 

113




acquisizione dei dettami di una scuola. L’estro artistico e le doti 

naturali si sublimano solo in ossequio ai dettami che costituiscono - e 

fondano - una tradizione musicale 99 . 

I mezzi fisici sono, quindi, compendiati dal termine su- ār…ra 

100 , di cui si è già detto. A parte, quindi, il complesso definito, appunto, 

su- ār…ra, le altre qualità innate riguardano, in primo luogo, la 

resistenza della voce alla fatica - jita rama 101 -, che consente al 

cantante di affrontare repertori di grande impegno fisico; segue 

l’eccellenza nella delineazione del rāga - bhajanoddura 102 - unita ad 

una solida memoria musicale - dharaŠānvita 103 -; poi, la capacità nel 

controllo del respiro – sphurjannirjavana 104 - e la naturale assenza di 

99 Che nient’altro è se non quanto già affermato nel GA, III, 3; cfr. supra, nota 41. 

Cfr. anche il comm. di Kallinathā a SRI, VII, 92, a proposito della tradizione 

scolastica. SRI dice: “yuktitaƒ saˆpradāyācca...”, cui si affianca Kallinātha : 

“ācāryopade aparaˆparāyāƒ”. 

100 Definito alle stanze 82-86; cfr. più sopra, p. 8. 

101 

SRII, cit., III, 15; cfr. SRI, III, 15, comm. di Siˆhabhupāla: 

“bahuprabandhagāno’pya rāntaƒ”. 

102 SI¤HABHPšLA, Saˆg…tasudhākara, comm. a SRI, III, 17b : “bhajanaˆ 

rāgasuvyaktiƒ su ār…rasamudbhavā “. 

103 Per essere esatti, il termine, come commenta S., Saˆg…tasudhākara, comm. a SRI, 

III, 17a, che cita il Saˆgitasamayasāra, opera di Pār vadeva [Per il trattatista citato, 

cfr. RAMAKRISHNA KAVI, Bharatako a, Tirupati 1951 (New Delhi 1983), p. 

694,2] indica la capacità di controllare la sottigliezza della voce, muovendo dal grave 

all’acuto e viceversa: “anutārāt paraˆ rutyā hānenāpasaran svarāt | dhvaneƒ 

sugā hatā tajjñairdhāraŠā samudah tā ||”. 

104 Anche questa caratteristica, a ben vedere, potrebbe essere interpretata come il 

risultato “tecnico” di un’applicazione continua e costante. 

SRI, III, 17 b, cfr. Commenti di Kallinātha [“nirjavanasya lak aŠaˆ sthaye u 

vak yate “] e di Siˆhabhpāla [“jita vāsatayāgānaˆ nāmnā nirjavanam viduƒ”]. 

114




difetti - sarvado avivarjita 105 -; infine, la qualità emotiva innata della 

voce - h dya abda. 106 - 

La qualità artistica, poi, si definisce come sughata, che, come 

chiosa Kallinātha 107 , indica primariamente la capacità di distribuire 

con misura la tonalità emotiva sull’arco dell’intero brano. 

L’altro commentatore, Siˆhabhpāla 108 , dal canto suo, la 

definisce come l’arte di dare vita ai tre elementi fondamentali della 

musica vocale: svara, tāla e pada. 

Tuttavia - va ripetuto una volta di più -, il grosso delle qualità 

del grande cantante - 14 su 23 - è quello che si acquisisce seguendo, e 

applicando, con dedizione totale i dettami impartiti da una scuola. 

Le competenze acquisibili al termine di un lungo tirocinio si 

possono raggruppare in competenze di contenuto musicale, 

competenze di livello esecutivo e qualità esecutive. 

105 Si potrebbe, anche, intendere però, che l’assenza di difetti possa dipendere dalla 

perfetta acquisizione scolastica. 

106 SRII, cit., III, 13; cfr. la traduzione del termine offerta dagli editori, a p. 151, nota 

3: “...that which appeals to the heart”; come pure il comm. di Siˆhabhpāla: “h dyo 

raman…yaƒ abdo yasya”. 

107 SRII, III, 17; cfr. Kallinātha: “ obhanaˆ yathā bhavati tathā ghaãyati sughaãƒ | 

laukikadezsabhā ayā “sughaã” iti vadanti ||”; vale a dire, come interpretano i 

curatori del testo [SRII, cit., p. 152, nota 11]: “...one who performs with excellence 

i.e. one whose movement is well organised ”; 

108 

Secondo la traduzione dei curatori del testo [SRI, cit., p.152, nota 11]: 

“Simhabhpāla quotes Saˆg…tasamayasāra as under: “One who causes the 

manifestation of tone, verbal text and tāla to the accompaniment of a beautiful voice 

is called sughata”. Il testo [SRI, cit., III, 17] recita: “sughaãsya lak āŠamuktaˆ 

saˆg…tasamayasārakareŠa – “svaro varŠa ca tāla ca vyaktaˆ ghaãyati trayam | 

obhanadhvanisaˆyuktaƒ sughaãm taˆ pracak ate ||”. 

115




Premesso che si tratta, sempre, di competenze tecniche che 

devono poter essere, a loro volta, insegnate ad un allievo, perché è 

questo che fa una scuola, il risultato complessivo fa del cantante un 

kriyāpara: è colui che Siˆhabhpāla 109 definisce il cantante che sa 

interpretare alla perfezione i dettami trasmessi dai testi di musicologia. 

Per arrivare a tanto - si badi, sempre, che questo è il livello di chi ha 

raggiunto competenze tali da poter essere maestro di altri - occorre 

acquisire una grande quantità di nozioni, relative all’intero complesso 

delle conoscenze musicali. Vale a dire, tutte le forme dei rāga primari 

e secondari 110 , di composizione 111 nonché di esposizione introduttiva 

del rāga 112 , dei vari tipi di ornamentazione nei differenti registri 113 , 

dei numerosi tipi di intonazione 114 e di movimento melodico 115 . Dopo 

109 SRI, cit., III, 17a; i curatori propongono quanto segue [SRI, cit., p.152, nota 10]: 

“S. quotes Saˆg…tasamayasāra as under: ” One who sings without blemishes both 

mārga and de … ...practising according to the theory laid down in the scientific 

works, is said to be in regular practice...”; il testo [SRI, cit., III, 17a] recita: 

“yathā āstraprayogeŠa mārgaˆ de …yameva ca | yo gāyati vinā do ān kathyate’sau 

kriyāparaƒ ||”. 

110 SRI, cit., III, 14a:”rāgarāgā‰gabhā ā‰gakriyā‰gopā‰gakovidaƒ”. 

111 SRI, cit., III, 14b: “prabandhagānani Šāto”. Simhabhpāla [SRI, cit., p. 155] così 

interpreta: “prabandhe u elādi u tāle u ca ni Šātaƒ sujñaƒ |” 

112 SRI, cit., III, 14b: “vividhālaptitatvavit ||”; SI¤HABHPšLA [SRI, cit., p. 155]: 

“vividhānāˆ vak yamāŠānāmālapt…nāˆ tattvajñaƒ”. 

[SRI, cit., III, 16a]: " uddhachāyālagābhijñaƒ”. 

113 

SR, cit., III, 15a: “sarvasthānotthagamake vanāyāsalasadgatiƒ”. 

SI¤HABHPšLA [SRI, cit., p. 155]: “mandramadhyatārasthānotthagamake u 

nirāyāsa ār…ragatimān “. 

114 SRI, cit., III, 16b: “sarvakākuvi e avit”. 

115 SRI, cit., III, 16b: “anekasthāyasaˆcāraƒ”. 

116




di che, si devono padroneggiare le varie tecniche per dare inizio e fine 

al brano 116 , per controllare l’emissione della voce - āyattakaŠ˜ha 117 -, 

per mantenere la misura ritmica - tālajña 118 - e l’andamento dinamico - 

yuktalaya 119 - e per non perdere la concentrazione emotiva - 

sāvadhāna 120 , che è quella che si trasmette all’ascoltatore e che 

l’ascoltatore percepisce come l’autentica qualità musicale 

dell’esecuzione stessa. 

Assai ampio, a sua volta, è l’elenco dei difetti che fanno 

pessimo - nindita – un cantante. 

Bisogna premettere che per difetti si intendono quelle pecche 

che il maestro individua e di cui insegna all’allievo la correzione. Non 

116 SRI, cit., III, 13b:”grahamok avicak aŠaƒ”. Kallinātha [SRI, cit., p. 153] spiega il 

composto come segue: “tatra vicak aŠatvaˆ nāma grahatālalayānurodhena 

g…tanirvāhakatvam“; cfr. Anche SRII, cit., p 152, nota 1, dove i curatori 

suggeriscono: “Graha-mok a is defined by K...as the beginning and the end of a 

song. The point of being an adept consists...in synchronising the initial note with tāla 

and laya. “ 

SI¤HABHPšLA [SRI, cit., p. 145], dal canto suo: ”gitasyudgrahaŠasthānaˆ 

vimuktisthānam ca yaƒ samyak jānāti “. 

117 

SRI, cit., III, 15b, spiegato da Kallinātha [SRI, cit., p. 154] come: 

“svadh…nadhvaniƒ”[come interpretano i curatori – SRII, cit., p. 152, nota 3 -: ””K” 

[interprets] it as...self-dependent tone”]; e da SI¤HABHPšLA [SRI, cit., p. 155] 

con: ”svādh…nakaŠ˜haƒ”; [come interpretano i curatori – SRII, cit., p. 152, nota 3 -: ” 

“S” interprets it as ...self-dependent (lit. throat) voice”]. 

118 SRI, cit., III, 15b. 

119 SRI, cit., III, 17a. 

120 

SRI, cit., III, 15b. Il termine è interpretato da SI¤HABHPšLA 

come“ rutini cayajŠaƒ”; come interpretano i curatori – SRII, cit., p. 152, nota 4 -: 

”sāvadhāna is interpreted by “S”...as...expert in determinig ruti”. 

117




sono difetti necessariamente tali da sconsigliare l’intraprendere la 

carriera di cantante. 

Anche in questo caso, bisogna distinguere tra difetti naturali, di 

“postura”, che dovrebbero - si auspica! - essere corretti e controllati, 

attraverso l’acquisizione 121 della corretta tecnica di canto; e difetti 

“culturali”, - in altre parole, la mancata acquisizione di un bagaglio 

scientifico e artistico, che coincide, va da sè, con il contesto poetico 

della tradizione - saˆpradāya- cui si appartiene - che il lavoro e lo 

studio non hanno saputo eliminare. 

Innanzi tutto, vanno segnalati - dal maestro al discepolo - tutti 

quei difetti di “postura”, che possono alterare la percezione della 

propria voce, oltre a dare di sè un’immagine scomposta e sgraziata 122 . 

Intanto, l’eccessiva agitazione del corpo - kampita 123 -. Poi, tutta una 

serie puntuale e precisa di prescrizioni, che vanno dalla bocca 

inutilmente spalancata - karālin 

124 - con un atteggiamento 

121 Sempre il maestro! 

122 TOMATIS, A., op. cit., pp. 183-189. Sarà utile rammentare che il 

Saˆg…taratnākara (si vedano le seguenti edizioni: Saˆg…taratnākara of ®ārŠgadeva 

– transl. ...by C. Kunhan Raja, vol. I, chapter I, Madras 1945; Saˆg…taratnākara of 

®ārŠgadeva, vol. I, engl. transl. by R.K.Shringy, under the supervision of P.L. 

Sharma, Delhi 1978, pp. 21-107) apre la propria dissertazione con un lungo excursus 

sull’origine fisica del suono, legandone la natura, il controllo e la qualità alle dottrine 

dello yoga : e lo yoga [ cfr. ELIADE, M., Techniques du Yoga, Paris 1948; trad. it. 

Tecniche dello Yoga, Torino 1952, p. 102] prescrive l’immobilità di contro al 

movimento. 

123 SRI, cit., III, 29b : “kampitaƒ kampanājjŠeyaƒ svabhāvādgātra abdayoƒ ||”. 

124 SRI, cit., III, 30a : “karāl… gaditaƒ sadbhiƒ karāloddhā˜itānanaƒ |”. 

118




sgraziatamente sbadigliante - udbhata 125 -, al collo ridicolmente ritto, a 

mò di cammello - karabha 126 -, alla tensione esagerata, che fa gonfiare 

le vene sulla fronte e sul collo - jhombaka 127 -, alle gote gonfie a 

ricordare l’immagine di una zucca - tumbakin 

128 -, al collo 

pateticamente piegato - vakrin 129 -, all’esagerato allungamento degli 

arti - prasārin 130 -, agli occhi emotivamente chiusi o volti al cielo - 

nim…laka - 131 . 

Ribadisco che tali dettami vanno visti nella triplice prospettiva 

dell’immagine del cantante, della produzione del suono e della 

percezione della propria voce: tre cose impossibili in cotanto abuso di 

movimenti indebiti. 

A questi vanno aggiunti la scorretta abitudine di cantare senza 

adeguata apertura del cavo orale, “a denti stretti” - saˆda ã -: ne 

consegue una pronuncia difettosa e poco chiara - avyakta - e, sovente, 

125 SRI, cit., III, 32a : “chāgavadvahan…ˆ kurvannudbhaõ’dhamagāyanaƒ|” 

126 SRI, cit., III, 31b : “dadhānaƒ kaˆdharāmrdhvāˆ karabho’bhihito budaiƒ ||” 

127 SRI, cit., III, 32a : “ sirālabhālavadanagr…vo gātā tu jhombakaƒ ||”.Va segnalato 

che Monier Williams [Dict. cit., 429,2] traduce il termine “making grimaces when 

singing”. Siˆhabhupāla commenta: “sirālaˆ bhālaˆ vadanaˆ gr…vā ca yasminniti 

kriyāvi i aŠam ”. 

128 SRI, cit., III, 26 a : “tumbak… tumbakākārophullagallastu gāyanaƒ”; commentato 

da Siˆhabhupāla: “tumbakam alābu; tadvatutphullagallastumbak… ”. 

129 SRI, cit., III, 36b : “ vakr… vakr…k agalo gāyan dh…rairud…ritaƒ ||”. 

130 SRI, cit., III, 34a : “ prasār… g…yate tajjñairgātrag…taprasāraŠāt ||”. 

131 SRI, cit., III, 34b : “ vinim…lako mato gāyan nim…litavilocanaƒ ||”. Come si 

inferisce facilmente, vengono, qui, stigmatizzati due differenti, anche se 

complementari, tipi di “cantore”: l’agitato (kampita, ecc.) e il patetico (vakrin, ecc.). 

119




un timbro aspro e gracchiante - kākin -; la pessima consuetudine di 

emettere suoni poco gradevoli - stkārin -, derivante da un mediocre 

controllo della muscolatura preposta alla fonazione. Da ciò deriva, 

assai spesso, il timbro nasale - anunāsika -, provocato dalla scorretta 

emissione e dallo scarso controllo del respiro, legato, sovente, ad uno 

scadente controllo della potenza del suono - udghu ã. 132 

Si tratta di tutta una serie di pessime abitudini, che vorrei 

definire “da dilettante”, quasi sempre padroneggiabili attraverso 

un’adeguata applicazione ai dettami di una scuola. Tuttavia, se a questi 

difetti posturali si sommano le lacune derivanti dal non seguire 

un’accurata disciplina scolastica, ecco pronto un altro ritratto, in 

negativo, del “perfetto cantante”, del modello da cui rifuggire a tutti i 

costi. 

Come già il G…tālaˆkāra, il Saˆg…taratnākara 133 segnala altri 

due difetti - emozionato (bh…ta 134 ) e timoroso ( a‰kita 135 ) - che 

dipendono, certo, dal temperamento naturale, ma che, a ben vedere, 

potrebbero anche essere provocati dalla coscienza di un’inadeguata 

preparazione e di un’imperfetta scolarizzazione. 

Passiamo, adesso, a quelle mancanze “culturali” cui qualunque 

adepto deve tentare di porre rimedio, sotto l’attenta guida del maestro. 

132 SRI, cit., III, 28b : “ udghu õ visarodgho aƒ “. 

133 SRI, cit., III, 29a. 

134 SRI, cit., III, 29a : “bh…to bhayānvito gātā “ . 

135 SRI, cit., III, 29a : “tvayayā a‰kito mataƒ |”. 

120




Innanzi tutto, l’intonazione imprecisa - vikala 136 -, che, certo, 

dipende dalla natura, ma anche - e largamente - dallo scarso studio dei 

brani e dalla loro scadente memorizzazione; poi, qualità ed equilibrio 

ritmico inadeguati - vitāla 137 -. La conseguenza inevitabile è 

un’esecuzione piatta e priva di colore emotivo - virasa 138 -, con 

impiego scorretto di svara - apasvara 139 -. Non si tratta di pura e 

semplice stonatura (si può ben sbagliare!), perché quella, semmai, è 

meglio spiegata dal termine vikala, che indica, appunto, un uso 

scorretto e impreciso delle ruti. Si tratta, piuttosto, dell’uso improprio 

di svara, che non sono quelli esattamente previsti dal rāga che si sta 

eseguendo. 

L’esecuzione, ormai, precipita nella scadente tessitura da un 

registro all’altro - sthānabhra ã 

140 -, nella confusione della 

presentazione del nucleo del rāga - avyavasthita 141 -, cantato con 

dizione poco chiara- avyakta 142 -. Per terminare, in bellezza!, si cade 

136 SRI, cit., III, 30b : ”vikalaƒ sa tu yo gāyet svarān nynādhika rut…n ||”. 

137 SRI, cit., III, 31a : “vitālastālavicyutaƒ |”. 

138 SRI, cit., III, 35a : “viraso n…raso ”. 

139 SRI, cit., III, 35a : ”varjyasvaragānādapasvaraƒ |“. 

140 SRI, cit., III, 36a : “sthānabhra ãƒ sa yaƒprāptuma aktaƒ sthānakatrayam |“. 

141 

SRI, cit., III, 36b : “avyavasthita ityuktaƒ sthānakairavyavasthitaiƒ || “. 

Siˆhabhpāla chiarisce: “avyavasthitaiƒ vyastaiƒ sthānairupalak itaˆ 

gāyannavyavasthitaƒ | “. 

142 Cfr. supra, nota 92. 

121




nello scambio tonale tra i rāga - mi raka 143 -, a questo punto quasi 

inevitabile. 

Ora, se si riflette sul fatto che il cantante così definito è detto 

nindita 144 , termine che indica chi viene biasimato o disprezzato, ne 

consegue primariamente che chi non si sottopone ad un adeguato 

tirocinio non potrà che incorrere nel disprezzo più totale. Ma, si badi, 

tale non è tanto chi non ha mezzi vocali - sempre che non non si ostini 

a voler essere cantante a tutti i costi -, quanto chi, pur avendone, non si 

applica con dedizione e impegno per ovviare a queste mancanze, 

spontanee, se si vuole, ma che sono la discriminante tra il dilettante e il 

professionista serio: l’artista, in una parola. 

Una volta di più, l’ideale di eccellenza si traduce, di fatto, 

nell’acquisizione di abilità che si ricevono da una scuola. Solo 

all’interno di una tradizione è possibile “misurare” il livello di un 

artista, proprio perché le sue doti naturali sono poste al servizio di un 

143 SRI, cit., III, 37ab : “ uddhachāyālagau rāgau mi rayan mi rakaƒ sm taƒ | 

itare āˆ ca rāgāŠāˆ mi rako bhrimi raŠāt || “.Siˆhabhpāla cita il 

Saˆg…tasamayasāra, dove, a proposito di questa caratteristica si tiene una posizione 

differente: “rāge rāgāntaracchāyāˆ mi rayan do avarjitaƒ | prav…Šavena yo gāyet 

so’yaˆ mi ra udāh taƒ || “, dove la capacità di “mischiare” è considerata positiva, 

ovviamente, s’intende – a mio modo di vedere – se, con essa, si indica la conoscenza 

di più rāga, nel senso che il termine “mistione” indica un a”pluralità” di tipi in 

repertorio. 

144 Il termine, per l’esattezza, non compare nel testo, ma nel comm. di Siˆhabhpāla. 

Il testo elenca ben 25 difetti, che il commentatore, appunto, ascrive ai cosiddetti 

“ninditān gāyakān...”. MONIER WILLIAMS, M., A Sanskrit-English Dictionary, 

cit., p. 549, 2, reca: “ ...blamed, censured...defamed, low, despicable...”, 

collegandolo, attraverso il radicale di appartenenza – nind – al Greco oneidos. Per 

quest’ultimo, cfr. ROCCI, L., Vocabolario cit., p. 1338, 1; MONTANARI, F., 

Vocabolario cit., p. 1395, 1; quest’ultimo collega il termine al sanscrito nidāna. 

122




bagaglio tradizionale, la cui perfetta interpretazione coincide con 

l’ideale di eccellenza. 

Quello, però, che è singolare - si parla sempre di musica - è che 

i dettami riguardanti l’interpretazione, alla padronanza del repertorio 

sonoro e tecnico, all’uniformità dell’esecuzione, alla precisa 

intonazione e alla risposta emotiva - prova, nell’ascoltatore, della 

qualità estetica dell’esecuzione stessa - sono validi, in senso lato, per 

qualunque esecuzione musicale, e non possono essere ristretti alla sola 

dimensione vocale. 

Ciò significa, in concreto, che il Sa‰g…taratnākara porta a 

compimento un lungo, laborioso e fruttuoso periodo di riflessione 

estetica e musicologica, tracciando un quadro ampio e dettagliato di 

quello che dovrebbe essere il modello artistico dell’esecuzione e 

dell’esecutore perfetti. 

E’ assolutamente degno di nota che tale modello, trascendendo 

tradizioni, scuole, stilemi e dettami poetici, sia perfettamente 

adattabile a qualsiasi tradizione musicale, indiana e non, e non solo 

relativa al XIII secolo. 

Col Saˆg…taratnākara si tocca il vertice di un’evoluzione 

teorica, innanzitutto, ma soprattutto estetica, tale che è giocoforza 

considerarlo il testo di riferimento. 

Per tornare al nostro assunto, i dettami di ®ārŠgadeva sono 

puntigliosamente ripresi in un testo del 1428 145 , il Saˆgita iromaŠi (Il 

145 Il titolo significa “Il diadema della musica”. Poiché “diadema”, iromaŠi, è anche 

un “titolo d’onore conferito ai paŠ it” (cfr. MW, 1072, 3), il senso del titolo può 

assumere anche diversa è più emozionante valenza. 

123




diadema del saˆg…ta), “atti”, per usare un termine moderno, di un 

congresso indetto a Ka a 146 da Sultan Malika ®āhi. 

Nel capitolo XIV 147 - prak…rŠaka (miscellanea) -, si sviluppa il 

tema del suono prodotto dalle corde vocali e quello del buono e del 

cattivo cantante. 

Il testo, a riprova del nostro assunto, ripercorre con attenzione 

l’esposizione di ®ārŠgadeva, dalla quale si discosta in modo non 

sostanziale. 

In breve, il trattato elucida le figure del cantante sommo - 

agraŠi -, medio e scadente; poi, elenca 25 do a 148 del pessimo 

cantante – nindita-, seguendo, però un ordine leggermente diverso da 

quello del Sa‰g…taratnākara; esamina, infine, i tipi di voce, legandoli, 

come fa ®ārŠgadeva 149 , ai tre umori fondamentali della medicina 

ayurvedica. Ancora, dalla stanza 63 alla 71, elenca quindici qualità 

della voce, cui fa seguire, alle stanze 72-74, sette difetti, che spiega 

con estrema sinteticità, quasi a rilevare che, ormai, sono nozioni 

d’obbligo, acquisite dalla tradizione musicale. 

Il trattato di riferimento è inequivocabilmente il 

Sa‰g…taratnākara, dal quale riprende l’intero elenco dei guŠa del 

146 Si tratta della capitale dei distretti ad occidente dell’attuale città di Allahabad, 

governati, all’epoca, da Sultan Malika. 

147 Alle stanze 1-27, 51- 63, 63 -75. 

148 Cfr. SRI, cit., III, 25 - 38. 

149 Cfr. SRI, cit., III, 39 - 42. 

124




suono, cambiandone l’ordine e discostandosene, in modo non 

sostanziale, solo in alcune delle definizioni. 150 

Come il grande maestro del passato, premette alla sua disamina 

una rapida trattazione dei tipi di suono in relazione agli umori 

fondamentali della medicina ayurvedica. 151 La prima qualità del suono 

è l’essere madhura, dolce, senza rinunciare alla potenza e mantenendo 

fascino anche nel registro acuto. 152 Il secondo pregio, komala, è 

definito dal nome stesso, senza ulteriori precisazioni. 153 Anche del 

terzo, gā ha, si rileva la potenza, qui contrapposta volutamente alla 

mancanza di debolezza. 154 Il quarto, tristhāna, riguarda l’estensione 

del suono, che deve mantenersi inalterato nei tre registri. 155 Il quinto, 

pracura, indica l’ampiezza del suono. 156 Il sesto, ghana, riguarda la 

pienezza del timbro, legata alla cosiddetta antaƒsāratā, vale a dire 

l’intima pienezza del suono. 157 Del settimo, cehāla, si predica la 

150 SRI, cit., III, 68 - 77; S®, XIV, 63-71. 

151 S®, XIV, 51- 63. 

152 S®, XIV, 63; 65: “tāre prau ho rañjaka ca madhuro m° dhvaniƒ”. 

153 S®, XIV, 63; 66: “komalo’nvarthanāmaiva komaladhvanivan mataƒ”. Non 

sfuggirà la parentela con SRI, cit., III, 73, per il quale si rinvia alla nota 81, a p. 13, 

sopra. 

154 S®, XIV, 63; 66: “gā haƒ syād a lathaƒ prau ha “. 

155 S®, XIV, 63; 66-67: “chaviraktādayo guŠaƒ || tri u sthāne vekarpā ya ca tri° tu 

saƒ |”. 

156 S®, XIV, 63; 67: “pra° sthlatāyukto “. Il termine è in grassetto, perché identico a 

SRI, cit., III, 73. 

125




limpidezza, ma, nel contempo, si sottolinea, oltre alla pienezza e alla 

dolcezza, la peculiare caratteristica del timbro, legata alla pubertà nei 

maschi e, nelle femmine, alla natura stessa. Per essere tale, questo tipo 

di pregi deve segnalarsi per il timbro né troppo pieno né troppo 

sottile 158 . L’ottavo, karuŠa, è deputato all’accensione dell’omonimo 

rasa. 159 Il nono, lak Ša, chiarisce la levigatezza e la continuità 

dell’emissione della voce, il cui suono è paragonato ad un’ininterrotta 

corrente d’olio. 160 Segue snigdha 161 , definito come non-aspro, pur 

mantenendo l’udibilità da lontano. L’undicesimo, m ã 162 , si discosta 

dal dettato di ®ārŠgadeva – e dalle conseguenti delucidazioni dei suoi 

commentatori – il quale poneva l’accento sulla freschezza del timbro. 

Il Sa‰g…ta iromaŠi, invece, ne indica la qualità di mantenersi inalterato 

nell’estensione in tutti e tre i registri. Nel dodicesimo pregio, 

sukhāvaha 163 , il testo si discosta nuovamente dal Sa‰g…taratnākara – 

che pone l’accento sull’effetto sulla mente (manas) – limitandosi a 

sottolineare il rapporto con il momento uditivo, legato alla capacità 

157 S®, XIV, 63; 67: “gh° antaƒsāratānvitaƒ ||”. 

158 S®, XIV, 64; 68: “ceh° tu ghanah snigdho na sthlo na k a samah | syād e a 

sarvadā str…Šāˆ puˆsāˆ ākaŠ˜hakuŠ˜hanāt ||”. 

159 S®, XIV, 64; 69: “k° ravaŠād eva karuŠarasavardhanaƒ”. 

160 S®, XIV, 64, 69: “tailadhārāvad achinnaravaƒ °...”. 

161 S®, XIV, 70: “dra ravyo na rk o ...s°...”. 

162 S®, XIV, 64; 70: “tri u sthāne u avichinno m° ”. 

163 S®, XIV, 64; 70 -71: “ rotrasukhāvahah s° ”. 

126




percettiva dell’orecchio. Il penultimo pregio, chavimat 164 , pone 

l’accento sulla brillantezza del timbro: il testo è un’evidente riduzione 

del Sa‰g…taratnākara, rispetto al quale si limita semplicemente a 

riportare parte della definizione di ®ār‰gadeva. Il quindicesimo, e 

ultimo, pregio, raktiyuta o raktimat 165 , gioca sul senso del termine 

rakti, che si spende tutto sulla relazione con la radice rañj, da cui 

deriva, ad esempio, il termine rāga. 

Analogo il discorso per i do a, che, con poche variazioni 

nell’ordine espositivo e nelle indicazioni esplicative, si rifanno in tutto 

e per tutto al Sa‰g…taratnākara. 166 

L’esposizione inizia con rk a 167 , il cui senso si intende da sé, 

in quanto aspro e duro. Prosegue con keŠi 168 , che indica la limitata 

estensione della voce, che non riesce ad esprimersi adeguatamente 

tanto nel registro grave quando in quello acuto. Seguono k a, flebile, 

e ke˜i, che il testo indica come privo di qualsivoglia pregio in tutti e tre 

i registri. 169 Kākolin, come l’evidente derivazione già descrive, è il 

164 S®, XIV, 64; 71: “ch° ujjvalaƒ abdo...”. 

165 S®, XIV, 64; 71: “r° raktivardhanaƒ “. 

166 Cfr. SRI, III, 78-81. S®, XIV, 72-75: cambia solamente l’ordine delle indicazioni. 

167 S®, XIV, 72; 73: “r° ‘nvartaƒ “. 

168 S®, XIV, 72; 73: “kle agamyamandratāras tu k°”. Cfr. NIJENHUIS (Te), E., 

Edizione citata del testo, nota 30, p. 572, dove il termine è fatto risalire, per 

giustificarne la traduzione proposta - neighing – al termine kiŠvin, cavallo. 

169 S®, XIV, 73: ”k° tu tristhānastho’pi nirguŠaƒ |”. Riporto, anche in questo caso, 

l’opinione di NIJENHUIS (Te), E., Edizione citata del testo, nota 31, p. 572, che, 

127




suono gracchiante e aspro, quasi venisse da uno stormo di corvi. 170 Si 

passa, poi, a due termini considerati sinonimi, sphu˜ita e bhagna, 

entrambi dal senso di “spezzato”, come può sembrare lo sgradevole 

raglio dell’asino. 171 L’ultimo do a, niƒsāra, 172 che qui sembra da 

tradurre con “vuoto”, completa la disamina. 

Altrettanto si può sostenere per il Saˆg…tarāja (Il re [dei 

trattati] sulla musica), testo di poco posteriore al Saˆgita iromaŠi. 

Anche il suo Autore, KumbhakarŠa, 173 si rifà, del tutto evidentemente, 

a ®ār‰gadeva. Così, la voce è definita da quindici qualità (guŠa) e da 

otto difetti (do a): sia nell’uno sia nell’altro caso, i termini sono 

esattamente gli stessi, salvo il diverso ordine di elencazione. Qualche 

differenza si incontra nella spiegazione dei singoli termini, ma la fonte 

è sempre imperante. Ad esempio, di madhura si predica l’inalterabile 

dolcezza anche nel registro acuto, dolcezza che commuove la mente, 

traducendo con grunting, così giustifica la sua scelta: “The term k° may derive from 

ki˜i, “hog, pig”. 

170 S®, XIV, 74: “k° droŠakākānāˆ nirgho a iti ni ˜huraƒ| ”. 

171 S®, XIV, 74: “sph° bh°paryāyo n…rasoccakharadhvaniƒ| “. 

172 S®, XIV, 75: “eraŠ akāŠ aniƒsāro niƒ° iti kathyate | “.La Nijehuis [ed. cit., 

p.497] traduce come segue:”pithless...means without pith like the stalk pf the castor 

oil plant”. Il termine si incontra anche in SRII, III, 79b, cit., per il quale si rimanda 

sopra , alla nota 62, dove il testo recita: “eraŠ akāŠ aniƒsāro niƒsāra iti k…rtitaƒ “: 

l’unica differenza sta nel verbo finale! 

173 Per l’Autore, v. R.PERINU, La musica indiana, Padova 1983, pp. 60-61; 101, 

note 82 e 83. 

128




con un suono che ricorda quello del kokila. 174 Di komala, invece, ci si 

limita ad indicarne l’implicita indicazione del significato stesso. 175 E 

così via, senza conferire alcunché di veramente nuovo a quanto già 

affermato in passato. 

Anche nella stigmatizzione del cantante nindita, il metodo e la 

terminologia sono chiaramente mutuate, sempre, dal 

Sa‰g…taratnākara. L’Autore segue la falsariga di ®ār‰gadeva, 

considerando sia qualità (guŠa) sia difetti (do a) della voce, riguardo 

ai quali accetta in toto la terminologia e il numero delle caratteristiche 

esposte secoli prima nel Saˆg…taratnākara 176 . Poi, ripresenta anche la 

discussione riguardante la cosiddetta “voce fenomenale”. 

L’esposizione si apre con una parafrasi parziale del Saˆg…taratnākara 

a proposito della definizione della voce fenomenale. Il verso del 

Saˆg…taratnākara, III, 9, 82 è cambiato solo nel primo emistichio, 

dove, però mantiene un analogo significato. La seconda parte del verso 

è citata testualmente. Entrambi i testi pongono l’accento sulla capacità 

innata, fisica, di delineare il rāga, anche senza particolare esercizio 

musicale. 178 Per quanto degna di considerazione, la trattazione di 

177 

174 SRā, ed. cit., II, 3, 2, 36: “tristhāne prau hiyukto mādhuryāñcitarañjakaƒ | 

m°...kokilādhvanipe alaƒ || “. SRII, ed. cit., associa il kokila a komala. V. supra, n. 

85. 

175 SRā, ed. cit., II, 3, 2, 37: “k°’nvarthanāmaiva”. 

176 SRā, ed. cit., II, 3, 1, vv. 18-35. 

177 SRā, ed. cit., II, 3, 2, vv. 59-69. 

178 SRā, ed. cit., II, 3, 2, 59: “rāgo’bhivyañjate yatrābhyāsenāpi vinā dhvanau |”; cfr. 

SRII, ed. cit., III, 9, 82: “rāgābhivyakti aktatvamanabhyāse’pi yaddhvaneƒ |”. 

129




KumbhakarŠa non può che limitarsi a riproporre i contenuti teorizzati 

da ®ār‰gadeva, visto che, nonostante il considerevole lasso di tempo 

intercorrente tra i due musicologi, lo studio dei fondamenti teorici 

della musica non sembra aver raggiunto risultati particolarmente 

nuovi. 

Esaminiamo, in conclusione, anche l’esposizione delle 

caratteristiche del pessimo cantante, nindita. Essa avviene sulla scorta 

dello stesso numero di qualificazioni, venticinque, a conferma che la 

tradizione è ormai consolidata. La lista è la stessa di ®ār‰gadeva, salvi 

due soli termini – udgha a e bombaka –. Il primo 179 – udgha a – 

compare in una lezione leggermente differente da quella impiegata da 

®ārŠgadeva – udbhaã -, ma la spiegazione offerta da KumbhakarŠa è 

compiuta sulla scorta di una trascrizione di circa metà del verso del 

Saˆg…taratnākara. E’ abbastanza evidente che si possono considerare i 

due termini identici. 

Quanto al secondo 180 – bombaka per jhombaka -, data 

l’estrema coincidenza dei testi, si potrebbe ipotizzare un semplice 

scambio di scrittura tra le due sillabe iniziali, la “bha” e la “jha”, 

alquanto assimilabili nella grafia. Eliminate queste due apparenti 

differenze, il confronto con le altre ventitré caratteristiche mette in 

179 SRā, II, 2, 24: “chāgavad vahaniˆ kurvannudgha o gāyano mataƒ “; cfr. SRI, II, 

3, 32: “chagavadvahan…ˆ kurvannudbhaõ’dhamagāyanaƒ”. 

180 

SRā, II, 2, 27: “...sirālabhāla vadanakandharaˆ”; cfr. SRI, II, 3, 32: 

“sirālabhālavadanagr…vo...”. 

130




luce non tanto una pedestre copiatura, ma una trascrizione molto 

fedele e attenta del dettato di ®ār‰gadeva. 

Un pregio, tuttavia, dell’opera, va segnalato. Il trattato di 

KumbhakarŠa va considerato un doveroso omaggio al sommo 

musicologo del passato, ®ār‰gadeva: l’ampiezza dell’opera e la cura 

nella trattazione degli argomenti ne fanno un testo ben differente da 

una semplice opera di trascrizione. E’ corretto considerare 

KumbhakarŠa un epigono di ®ār‰gadeva, ma altrettanto corretto è 

segnalarne la grande capacità di riflessione e di riproposizione del 

Saˆg…taratnākara, secondo un criterio che consente di qualificare il 

Saˆg…tarāja sulla base di una rigorosa scientificità e di una scrupolosa 

oggettività di esposizione. 

Differentemente dal Saˆg…tarāja, il Saˆg…takalpalatikā (La 

kalpalatikā della musica), un testo orissi della prima metà del XVII 

secolo, 181 a proposito dello stesso argomento, quello del pessimo 

cantante, mostra una supina aderenza al testo del Saˆg…taratnākara. 

Intanto, l’ordine è identico, soprattutto nell’elenco di venticinque 

difetti, che risulta nient’altro che una semplice copiatura. Anche le 

definizioni ricalcano pedestremente il Saˆg…taratnākara. L’unica vera 

differenza, per quello che può valere, è che i termini sono elencati 

semplicisticamente come difetti del canto, senza fare riferimento 

alcuno al tipo di cantante da cui prendono le distanze gli altri trattatisti. 

Anzi, l’Autore, Haladhara Mi ra, liquida sbrigativamente la questione 

181 SKL, ed. cit., V, 1-18, pp. 29-30. Per una breve informazione sull’Autore, si veda 

R.PERINU, Rapporto tra forma e accordatura di strumenti musicali, in Atti del 

Decimo Convegno Nazionale di Studi Sanscriti, Biella 1999 – Torino 2003, p. 92. 

131




sostenendo che, elencati i venticinque difetti, ce ne sarebbero molti 

altri e, così pure, altrettante qualità, ma consiglia la conclusione 

dell’esposizione a causa dell’eccessiva lunghezza che dovrebbe 

assumere il testo stesso. 182 Ben lontani dall’ampiezza espositiva di 

KumbhakarŠa, ci si trova di fronte ad una semplice opera di 

compilazione, utile, certo, ma di ben poco respiro a paragone di quelle 

qui esaminate. 

Un altro testo, di un secolo anteriore alla Saˆg…takalpalatika, il 

Saˆg…tadāmodara, 183 di palese tradizione krishnaita, espone, in 

apertura del quinto e ultimo stavaka, un elenco di quattordici do a del 

cantante, indicato dai termini gāyana e gātu. Degno di nota l’uso di 

gātu per cantante, perché, dei testi qui esaminati, il Saˆg…tadāmodara 

è l’unico che impieghi questo termine. A parte questo, l’elenco dà 

l’idea di essere una sorta di collazione tratta dai principali autori 

precedenti ®ubha‰kara. Fatta eccezione per il terzo termine – utkru ã 

-, traducibile con “dalla potenza eccessiva”, tipico di un timbro e, 

soprattutto, di un volume di voce incontrollato, gli altri tredici difetti 

compaiono già nella trattatistica esaminata in questo contesto. Ma, 

quello che lascia maggiormente perplessi e che rafforza nell’opinione 

che si tratti di una pura e semplice collazione, è che l’Autore, esaurito 

l’elenco, non fornisce alcuna delucidazione in merito: insieme alla lista 

182 SKL, ed. cit., V, 18: “anityā bahavo do āƒ santi tadvadguŠā api | noktā 

vistarabh…tyā ca jñeyāste pustakāntarāt || “. 

183 SD, ed. cit., V, 1-2. Per l’Autore, si veda R.PERINU, Rapporto tra forma e 

accordatura di strumenti musicali...cit., p. 91. 

132




termina anche la trattazione dell’argomento, quasi nient’altro volesse 

essere al di fuori di un semplice promemoria. 

In effetti, l’elenco 184 , oltre ad essere scarno, si limita a fornire 

dei termini senza alcun ordine apparente: salvo volervi vedere una 

tripartizione dei difetti legati al temperamento del sedicente artista – 

lajjita, insicuro, bh…ta, timoroso -; alla sua scadente dotazione naturale 

– utkru ã, dalla potenza eccessiva, avyakta, flebile, anunāsuka, 

nasale, kākasvara, stridulo; alla cattiva scolarizzazione, come la 

scorretta attitudine all’eccessivo dondolio del capo, iraƒkampa, 

oppure a tutte quelle carenze che denotano un percorso musicale 

ancora acerbo e immaturo: layasthānavivarjita, scadente senso della 

sequenza dei toni e della velocità di esecuzione, visvara, stonato, 

virasa, meccanico ed ancora scolastico, vi li ã, slegato e disarmonico, 

vi amāhata, senza equilibrio, vyākula, frettoloso, superficiale, 

tālah…na, senza ritmo. 185 L’unica considerazione proponibile è che i 

difetti, otto per tradizione, sono saliti a quattordici: niente i più. 

Giunti fin qui, di fronte all’evidente impoverimento di 

un’imponente tradizione musicologica, viene fatto di chiedersi cosa 

possa aver influito sul suo inequivocabile “congelamento”. 

184 A titolo puramente esemplificativo, si trascrive, di seguito, la traduzione, inglese, 

suggerita dai curatori della presente edizione, G. Sastri e G. G. Mukhopadhyaya, alle 

pp. 33 e 34: lajjita, shy, bh…ta, nervous, utkru ã, excessively loud, avyakta, 

indistinct, anunāsika, nasal, kākasvara, shrill, iraƒkampa, shaky in the head, 

layasthānavivarjita, bereft of proper beat and pause, visvara, out of tune, virasa, dry 

or mechanical, vi li ã, disjoined, vi amāhata, unevenly striking, vyākula, hurried or 

distracted, tālah…na, unrhythmical. 

185 In ogni caso, per una migliore discussione dei singoli termini, si invita il lettore a 

ripercorrere il percorso tracciato in precedenza in questa stessa esposizione. 

133




La storia della musica indiana chiarisce che la susseguente 

partizione nei due sistemi, hindosthano e karnatico, comincia a 

configurarsi, a porre le proprie basi, soprattutto classificatorie, proprio 

a partire dal Sa‰g…taratnākara. 

A titolo puramente personale, tento di suggerire un’ipotesi 

concernente il decadimento della tradizione teoretica, per altro - si 

badi! - affidata a musicologi o meridionali o, in ogni caso, esterni alla 

zona indogangetica sottoposta alle ondate islamiche. Proprio da qui si 

stava imponendo l’Impero Moghul, che ritengo la causa primaria della 

strada percorsa dalla musica dell’India, da allora fino ad oggi. Non si 

deve dimenticare che l’odierno sistema hindosthano è formato da 

scuole e da artisti di ispirazione islamica, cui, nel bene e nel male, si 

deve l’attuale standard artistico della musica indiana settentrionale. La 

lunga islamizzazione del subcontinente indiano ha sviluppato - è fuori 

di dubbio - un grande sistema artistico e musicale; ma la maggior parte 

dei suoi personaggi, oggi, non è in grado di leggere direttamente i testi 

sanscriti. Da ciò l’arduo problema di interiorizzare una tradizione che 

è fatta unanimemente risalire al Nā˜ya āstra e al Sa‰g…taratnākara. Va 

detto, tuttavia, che gli effetti dell’islamizzazione sono alquanto 

evidenti, soprattutto perché le scuole tradizionali (gharāŠa) sono 

guidate da ustad - equivalente al sanscrito paŠ it - con cui s’indicano i 

musicisti musulmani. L’islamizzazione ha fatto sì che la musica 

indiana si sia divisa in due sistemi e che la trattatistica - rigorosamente 

in sanscrito - fosse appannaggio di sanscritisti, ovviamente indù, 

inevitabilmente meridionali. La conseguenza più evidente è che gli 

134




odierni capiscuola, pur dichiarando di rifarsi a precisi āstra - che 

sono, segnatamente, ma anche assai genericamente, il Nā˜ya āstra e il 

Sa‰g…taratnākara, come si è appena sostenuto -, non conoscono che 

approssimativamente il sanscrito. Ne deriva che i loro colleghi 

contemporanei - indiani o occidentali - non sono in grado, salvo che in 

traduzione, di accostarsi direttamente a testi canonici. 

Ciò fa sì che sia in atto una sorta di singolare contraddizione 

che vede il dispiegarsi, da un lato, di una ragguardevole tradizione 

“estetica” e “poetica”, che, proprio perché tradizione, rivendica 

un’autenticità e una scientificità - che non può avere; dall’altro, di una 

seconda tradizione, parallela alla prima, “scientifica”, per definirla 

così, che enuncia i dettami estetici, che, a sua volta, non può 

rivendicare. 

In conclusione, è giocoforza prendere atto della parabola che è 

il percorso della musica in India. Parabola, certo; ma non discendente. 

Perché è fuori di dubbio che i due sistemi musicali indiani, indifferenti 

alle considerazioni di cui sopra, sono tutt’altro che in decadenza. Anzi! 

Il favore di cui, oggi, la musica indiana gode in tutto il mondo, parla, 

piuttosto, di una grande stagione contemporanea, nella quale si assiste 

al singolare fenomeno costituito da tutti quei musicisti e musicologi 

occidentali che, correttamente attratti dai dettami artistici della musica 

indiana, si cimentano ardimentosamente nello studio e nella pratica di 

questo universo, così ricco di sorprese e di stimolante gratificazione. 

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Un normale testo di clinica otorinolaringoiatrica2 o un buon atlante d ...

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