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FACOLTA' DI SCIENZE POLITICHE - Studi sullo Stato

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FACOLTA’ <strong>DI</strong> <strong>SCIENZE</strong> <strong>POLITICHE</strong><br />

- FIRENZE -<br />

corso di laurea in media e giornalismo<br />

insegnamento di Religioni e società<br />

prof. Giancarlo Mori<br />

a.a. 2007-08<br />

Dispensa pro manuscripto a cura del docente<br />

N.B. Dispensa per la preparazione dell’esame, unitamente al volume di S. Allievi, Musulmani<br />

d’Occidente, Carocci, 2005 (escl. Cap. 8)


(dispensa pro man. a cura del prof. Giancarlo Mori, nell’ambito dell’insegnamento “Religioni e<br />

società”, Facoltà di Scienze politiche, Firenze, a.a. 2007-08)<br />

Principi e “pratiche” di tutela costituzionale sul fenomeno religioso: il ruolo delle confessioni<br />

religiose.<br />

1. Nozioni preliminari.<br />

In via preliminare sono necessari chiarimenti su alcune nozioni fondamentali quali: diritti dell’uomo,<br />

diritti di libertà, diritto di libertà di coscienza, diritto di libertà religiosa e di religione, stato laico.<br />

1.1. Diritti dell’uomo (o diritti fondamentali)<br />

Si tratta dei diritti anteriori a qualunque formazione statuale o ordinamento giuridico perché<br />

imputabili a ciascuna persona non in quanto cittadino ma in quanto essere umano.. Per un ulteriore<br />

chiarimento leggiamo l’art.2Cost:<br />

«La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle<br />

formazioni sociali ove si svolge la sua personalità».<br />

Dunque: riconosce «Ciò significa che tali diritti non sono creati dalla Repubblica, ma al contrario<br />

sono ad essa preesistenti. In quanto anteriori allo <strong>Stato</strong> essi sono diritti non costituzionali ma in un certo<br />

senso ipercostituzionali» 1 . Su di essi lo <strong>Stato</strong> non ha alcuna disponibilità e dunque essi non possono essere<br />

violati né dalla legislazione ordinaria né da quella costituzionale; essi non sono riformabili.<br />

Naturalmente la declinazione concreta di tali diritti può essere, almeno in parte, diversa a seconda<br />

delle epoche e delle civiltà. Ma difficilmente si può sostenere che il primo di questi diritti fondamentali, sia in<br />

ordine cronologico che d’importanza, vale a dire il diritto aIla vita biologica, non abbia oggi una valenza<br />

universale. Da esso deriva, conseguentemente, tutta quella serie di diritti necessari affinché ciascuna<br />

persona possa svilupparsi nel corso della propria vita dal punto di vista fisico, intellettuale, affettivo: diritto<br />

all’integrità fisica, all’alfabetizzazione, ai rapporti affettivi ecc. Ma si dà una condizione indispensabile a che<br />

questi diritti possano attuarsi, ed è quella di libertà, per cui i diritti di libertà sono necessariamente<br />

preliminari all’esercizio di qualunque altro diritto.<br />

1.2. Diritti di libertà<br />

Ovviamente il più fondamentale dei diritti di libertà, la conditio sine qua non, è il diritto alla libertà<br />

personale in modo tale che questa non possa essere limitata se non a fronte di determinate garanzie.<br />

Detto diritto rende possibile, nell’ambito di una determinata società e all’interno di uno specifico<br />

ordinamento giuridico, l’attuazione dei diritti dell’uomo. La libertà, infatti, è sempre in relazione ad una<br />

possibile coazione, che potrebbe, appunto, limitare l’esercizio dei diritti fondamentali. Ciascuna persona di<br />

fronte non solo allo <strong>Stato</strong> di appartenenza, ma a qualunque altro <strong>Stato</strong>, di fronte non solo agli ordinamenti<br />

giuridici dei diversi Stati, ma anche all’ordinamento giuridico di diritto internazionale, ha diritti di libertà tali da<br />

1 CAPUTO 1998, p. 318.<br />

2


poter «disporre di se stessa e di determinarsi ad agire secondo le proprie convinzioni in merito alla propria<br />

vita personale e ai rapporti interpersonali» 2 .<br />

Qui ci si riferisce alla persona umana in quanto tale, e non al cittadino, appunto perché i diritti<br />

dell’uomo non derivano dalla condizione giuridica di cittadino, bensì dalla dignità stessa della persona. Colui<br />

che ha la cittadinanza in un determinato <strong>Stato</strong>, è in quanto tale titolare in esso di ulteriori diritti a lui garantiti<br />

dal rispettivo ordinamento giuridico. Saranno diritti ad es. politici oppure sociali (diritto alla salute, alla casa<br />

ecc.), ma nel concreto questi diritti potranno anche essere diversamente modulati: ad esempio, il diritto alla<br />

salute potrà conoscere aspetti diversi a seconda se attuato o meno in una situazione di welfare.<br />

I diritti dell’uomo, invece, non essendo condizionati ad un determinato ordinamento giuridico,<br />

richiedono equivalente realizzazione sotto qualsiasi latitudine.<br />

1.3. Libertà di coscienza<br />

La libertà di coscienza, da rubricarsi ovviamente anch’essa tra i diritti dell’uomo, sovrintende a quella<br />

scelta fondamentale che prima o poi si presenta a ciascuna persona, ossia l’opzione tra ciò che si crede<br />

essere bene o essere male, vantaggioso o svantaggioso. Sono le convinzioni e le inclinazioni personali ad<br />

orientare tale scelta che ciascuno matura alla luce non solo della propria ragione, ma anche dei propri<br />

sentimenti.<br />

Si può dire dunque che la libertà di coscienza è il nucleo interiore più personale e più inviolabile, che<br />

deve essere sottratto a qualunque coazione esterna. Tanto è assoluto questo principio che esso ammette<br />

anche la possibilità che il convincimento raggiunto dalla persona sia erroneo rispetto ai dati oggettivi, pur<br />

dandosi, nella misura in cui una determinata opzione comportasse effetti verso terzi, l’obbligo, spesso<br />

tutelato anche giuridicamente, di illuminare la propria coscienza tramite i mezzi ordinariamente disponibili.<br />

Ma lo <strong>Stato</strong> che intendesse in qualche modo interferire con questo nucleo interiore assumerebbe il ruolo del<br />

c.d. <strong>Stato</strong> etico, e ciò comporterebbe lo sconfinamento nell’ambito della coscienza individuale di un<br />

totalitarismo attuato ancor prima a livello sociale e politico.<br />

1.4. “Religione” e formazioni sociali: terminologia.<br />

Con il termine di religione possiamo intendere un complesso di credenze relative: a) ad una o più<br />

persone divine; b) e/o ad un’etica, e/o ad una visione del mondo, e/o ad un qualche progetto sulla propria<br />

persona comunque orientati su di una dimensione altra rispetto al dato sensibile della quotidianità 3 . Questo<br />

complesso di credenze può essere praticato con modalità del tutto private, nel chiuso della propria<br />

coscienza individuale o della propria abitazione. In questo caso si ha semplicemente la pratica individuale di<br />

una fede religiosa.<br />

Ma tale pratica può assumere anche una connotazione di tipo sociale, all’interno cioè di un’<br />

organizzazione più o meno complessa, i cui membri condividano sostanzialmente il medesimo credo.<br />

Diversissimi i tipi di tali possibili organizzazioni. Tra essi possiamo indicarne tre, oggi particolarmente<br />

presenti <strong>sullo</strong> scenario religioso: le confessioni religiose, le associazioni religiose, i nuovi culti, formazioni<br />

2 BARBERINI 2000, p.10.<br />

3 La dimensione, cui si accenna nel testo, sarebbe quella della trascendenza o dello spirituale o del soprannaturale. Ma potrebbero<br />

essere utilizzati, in proposito, anche termini diversi. Talvolta si utilizza, come alternativo a religione, il termine religiosità che a mio<br />

3


sociali tutte accomunate dalla religione così come su delineata, ma con notevoli diversità anche sostanziali.<br />

.<br />

Definire le confessioni religiose sarebbe alquanto improprio 4 , innanzitutto dal punto di vista<br />

giuridico 5 . Ma è possibile individuare, in termini più pragmatici, almeno due caratteristiche necessarie<br />

affinché un’organizzazione con interessi religiosi possa, da un punto di vista sociologico, rientrare nel novero<br />

delle confessioni. Tali caratteristiche sono: a) l’autoreferenzialità dell’organizzazione in questione; b) la sua<br />

tendenza all’universalità.<br />

a) I valori supremi cui si ispira la confessione sono autoreferenziali, ossia trovano fondamento non<br />

in qualcuno o in qualcosa di esterno ad essa, bensì o in un fondatore o in una storia interni, costituenti il<br />

fondamento su cui si basano le pretese religiose dell’organizzazione; b) La confessione tende per sua natura<br />

a non limitarsi ad un dato territorio o ad una specifica categoria di persone, ma essa è spinta a comunicare<br />

in ogni angolo del globo il proprio messaggio tramite un’attività sia di propaganda che di proselitismo 6<br />

Ma oltre a tali tratti essenziali le confessioni religiose oggi conosciute possono presentare, in parte o<br />

del tutto, anche i seguenti elementi:<br />

- a) elaborazione di un sistema concettuale includente sia affermazioni dottrinali che precetti etici<br />

(tale sistema può conoscere, a seconda delle confessioni, caratteristiche anche radicalmente diverse in<br />

ordine alle sue fonti, alle modalità di trasmissione, alla sua ortodossia, ma esso è sempre indirizzato ad una<br />

finalità altra rispetto alla quotidianità)<br />

- b) organizzazione interna che può avere un carattere sacro, basato cioè su di una vera e propria<br />

casta sacerdotale (cattolicesimo) o sostanzialmente laico (alcune confessioni protestanti, ebraismo ecc.)<br />

- c) regolamentazione dell’accesso dei nuovi adepti (e anche in questo caso si possono dare gradi<br />

diversi di complessità)<br />

- d) necessità di esprimere in forma associata il credo rispettivo, anche in luoghi di culto aperti al<br />

pubblico.<br />

Da sottolineare nuovamente il fatto che ciascuno dei quattro elementi su elencati non solo può<br />

mancare, senza che solamente per questo non si realizzi una vera e propria confessione, ma esso può<br />

avere una consistenza ben diversa tra una confessione e l'altra. Da rimarcare ancora che quanto descritto<br />

non costituisce una definizione, per cui, in teoria, potrebbero sorgere in futuro confessioni con<br />

caratteristiche totalmente diverse da quelle appena elencate.<br />

Finalità almeno in parte simili a quelle sin qui evidenziate vengono perseguite anche dalle<br />

associazioni religiose e dai nuovi culti, organizzazioni queste che, in linea di massima, sono, rispetto alle<br />

confessioni, o strutturalmente meno complesse, o storicamente meno radicate. Più in particolare, le prime si<br />

differenziano dalle confessioni per un duplice motivo: da una parte non sono del tutto autoreferenziali,<br />

richiamandosi ad elementi dottrinali od organizzativi propri di una confessione, dall’altra sono radicate in un<br />

territorio o in un ambiente, non essendo di per sé interessate ad una diffusione a carattere universale..<br />

Un fenomeno relativamente recente è quello dei così detti nuovi movimenti religiosi o nuovi culti o,<br />

con termine equivoco che sarebbe da evitare, sette.<br />

avviso dovrebbe piuttosto essere riservato ad indicare la qualità personale di colui che, interessato al fenomeno religioso, abbraccia<br />

appunto, di conseguenza, una determinata religione<br />

4 Il termine stesso di confessione religiosa, mutuato da concetti giuridici tipicamente occidentali, rimane scarsamente comprensibile<br />

ad un orientale di fede buddista o shintoista..<br />

5 E infatti, come si vedrà in seguito, nel nostro ordinamento non si dà definizione alcuna di confessione religiosa.<br />

6 La propaganda è ovviamente tesa al proselitismo, ossia a conquistare al proprio credo il maggior numero possibile di adepti. In<br />

realtà tale caratteristica non trova un’equivalente intensità, dandosi confessioni che pur aprendo le porte a chiunque sono<br />

organizzativamente alquanto incapaci di vera e propria propaganda. Un caso a sé stante da questo punto di vista è la confessione<br />

ebraica la quale si caratterizza innanzitutto come organizzazione comunitaria ancor prima che religiosa. Essa è comunque universale<br />

nel particolare senso che è la confessione propria di un’etnia, quella ebraica, sostanzialmente ancor oggi dispersa in una diaspora a<br />

carattere universale (ma sulla confessione ebraica vedi più ampiamente infra).<br />

4


Questi gruppi sono, almeno in certi casi, molto simili, anche quanto ad autoreferenzialità, alle<br />

confessioni, anche se non esiste ancora un vero accordo, neanche a livello giuridico, su come classificarli.<br />

Solo a titolo esemplificativo, senza alcuna pretesa di completezza, può qui richiamarsi in merito una tipologia<br />

avanzata da uno dei maggiori studiosi del fenomeno.<br />

a) Gruppi in qualche modo derivanti dalla tradizione cristiana (Chiesa dell’Unificazione del rev.<br />

Moon); b) gruppi con ascendenze orientali, talvolta dediti anche a pratiche yoga e di meditazione<br />

trascendentale (Fondazione Osho, Hare Krishna, Soka Gakkai); c) gruppi interessati al “potenziale umano”,<br />

e dunque anche a pratiche di tipo terapeutico (Chiesa di Scientology); d) gruppi legati alle varie forme di<br />

rinascita dell’occulto (Chiesa di Satana); e) gruppi per i quali la salvezza dell’umanità dipende dal contatto<br />

con UFO o alieni (ma in questi casi l’elemento religioso è davvero molto attenuato) 7 .<br />

Ma qualunque classificazione non può che essere, da un punto di vista propriamente giuridico, del<br />

tutto aleatoria, se non addirittura controproducente. Importante, invece, è mettere in guardia dalla tendenza<br />

ricorrente, talvolta su input di confessioni religiose di maggioranza, a criminalizzare in modo del tutto<br />

generico ed indifferenziato questi movimenti, anche se possono essersi dati casi di poca trasparenza,<br />

soprattutto nei rapporti con attività di tipo finanziario 8 e nel sistema di reclutamento di nuovi fedeli.<br />

Purtroppo, «la tendenza repressiva nei confronti dei nuovi movimenti religiosi (che è poi anche<br />

tendenza protezionistica nei confronti di quelli tradizionali) si è andata sviluppando in misura notevole in<br />

alcuni Paesi, e tende ad allargarsi in Europa, anche se si è subito avvertito il rischio che con essa si<br />

correva» 9 . Tanto più che, spesso, si addebitano a tali movimenti caratteristiche in realtà proprie anche di<br />

consolidate, antiche confessioni religiose: ad esempio, un certo tipo di aggressivo proselitismo, o<br />

determinate pressioni sulla coscienza individuale.<br />

Occorre porre molta attenzione a distinguere, in questi nuovi movimenti, due possibili ordini di<br />

fenomeni ben diversi tra loro: da una parte, si possono anche avere, come del resto in ogni formazione<br />

sociale, comportamenti patologici, legalmente perseguibili, dal punto di vista dei rapporti tra i singoli fedeli, e<br />

tra gli stessi e le rispettive autorità gerarchiche; dall’altra, il patrimonio dottrinale di tali movimenti può essere<br />

non solo diverso, ma addirittura antagonista rispetto a quello delle confessioni religiose maggiormente<br />

conosciute e di più antica tradizione italiana, in primis la confessione ebraica e quella cattolica.<br />

Nel primo caso, non si richiede affatto una legislazione speciale, essendo sufficiente l’applicazione<br />

del diritto penale comune. Nel secondo caso, si dovrebbe evitare di ostacolare una determinata visione<br />

religiosa sotto il pretesto di presunti (e non provati) reati, volendo in realtà ostacolare l’assoluta estraneità<br />

della visione medesima ai principi della cultura occidentale.<br />

La conclusione è che anche per i c.d. nuovi movimenti religiosi, così come per le confessioni, non è<br />

possibile delineare una preventiva definizione, perché «non esiste a tutt’oggi un criterio dogmatico valido per<br />

distinguere una volta per tutte ciò che è religione e ciò che non lo è, dal momento che le zone grigie della<br />

problematica religiosa sono destinate a permanere, e a modificarsi nel tempo, insieme all’evolversi della<br />

cultura e del costume» 10 .<br />

Ma una cosa è certa (e sarà ancora più chiara nel prosieguo di queste note): in uno stato pluralista<br />

non possono essere le confessioni religiose presenti in esso a certificare quale dei nuovi movimenti presenti<br />

sulla scena sociale, siano o no portatori di autentiche concezioni religiose.<br />

7 DAWSON 2005, pp. 38-39.<br />

8 E’ chiaro che una confessione (o associazione) religiosa non può, in quanto tale, avere come fine primario (e neppure concorrente<br />

con esso) attività commerciali, finanziarie e simili.<br />

9 CAR<strong>DI</strong>A 2002, p. 176. Lo stesso autore nota anche che «la questione dei limiti posti all’attività dei nuovi movimenti religiosi è stata<br />

più volte esaminata dalla giurisprudenza europea che per il solito ha trovato il modo di salvare i provvedimenti restrittivi adottati a<br />

livello nazionale» (p. 179).<br />

10 IDEM, p. 182.<br />

5


1.5. Libertà religiosa e di religione<br />

La libertà religiosa è una delle più rilevanti conseguenze della libertà di coscienza, e consiste<br />

nell’elaborare in modo autonomo una personale convinzione se esista o meno un qualche valore che<br />

trascenda la vita quotidiana e la consistenza del medesimo, se ciò possa identificarsi con una qualche<br />

divinità, quale sia l’eventuale corrispondente patrimonio dottrinale, se si diano conseguenze in ambito etico.<br />

Tale percorso può, a seconda delle persone, fermarsi ad una qualunque delle tappe su indicate, ma può<br />

anche sfociare in una vera e propria credenza sul fenomeno religioso, che può essere di segno negativo o<br />

positivo: si avrà, allora, rispettivamente, una credenza non religiosa e una credenza religiosa.<br />

La credenza non religiosa può assumere tipizzazioni del tutto diverse, che in buona sostanza si<br />

riducono a tre: indifferenza verso qualsiasi problematica a carattere religioso, atteggiamento scettico ovvero<br />

sospensione del giudizio nei confronti del problema religioso, credenza atea ossia esplicita ed argomentata<br />

negazione di qualunque valore trascendente.<br />

Anche la credenza religiosa può assumere gradi diversi: da una generica convinzione che non tutto<br />

possa nella vita ridursi all’orizzonte quotidiano, all’accettazione di uno o più esseri divini, all’individuazione<br />

precisa di un determinato sistema religioso. In tutti i casi fin qui evocati, la libertà religiosa include anche il<br />

diritto alla manifestazione esterna ed alla propaganda della convinzione raggiunta, qualunque essa sia.<br />

Questo significa che anche l’ateo, proprio in nome della libertà religiosa, ha il diritto di organizzarsi non solo<br />

per professare la propria credenza, ma anche per propagandarla.<br />

Quando invece si tratti di credenza religiosa e quando quest’ultima arrivi sino a prevedere l’adesione<br />

ad un determinato sistema religioso, allora si ha l’ulteriore diritto alla libertà di religione: ossia il diritto alla<br />

scelta in ordine ad una concreta, specifica pratica religiosa da condividersi socialmente; e quindi in ordine ad<br />

un’organizzazione sociale portatrice di interessi religiosi (sia essa un movimento, un’associazione o una<br />

confessione) 11 , e praticante quella medesima credenza che si è deciso di abbracciare.<br />

E deve esserci la possibilità concreta di una tale adesione. In altri termini, la libertà di religione<br />

riguarda due soggetti correlati: da una parte il singolo che possa liberamente aderire all’organizzazione<br />

religiosa prescelta, dall’altra quest’ultima che sia libera nell’organizzarsi per accogliere gli eventuali aderenti.<br />

Gli unici limiti a tale duplice libertà sono posti dai diritti dell’uomo e dai principi fondamentali del rispettivo<br />

ordinamento giuridico (ambito penale incluso)..<br />

Gli ostacoli possono sorgere più facilmente ai danni della libertà di religione che non di quella<br />

religiosa. In fondo elaborare in modo privato una propria convinzione religiosa è in gran parte questione di<br />

libertà intellettuale, anche se, naturalmente, si richiede un minimo di condizioni esterne favorevoli quali, ad<br />

esempio, possibilità di documentarsi, assenza di pressioni di qualunque tipo ecc.<br />

Ma più passibile di limitazioni è certamente la libertà di professare in concreto un determinato credo<br />

religioso pubblicamente e all’interno di una struttura a ciò specializzata (associazione, confessione, nuovo<br />

culto…). Qui possono darsi oggettivamente molteplici ostacoli e coazioni da diversi punti di vista (v. più<br />

estesamente infra).<br />

Solo uno stato laico può assicurare una reale libertà religiosa e di religione.<br />

1.6. <strong>Stato</strong> laico<br />

11 Vedi supra la differenza tra questi tre tipi di formazioni sociali.<br />

6


Alcune osservazioni innanzitutto sul termine stesso di laicità. 12 .<br />

Il termine laico (greco laòs, popolo) nasce e si afferma in ambito ecclesiastico. Nel corso del tempo<br />

esso conosce la stessa sorte toccata a tante nozioni nate in ambito ecclesiastico, vale a dire un processo di<br />

secolarizzazione. E’ nel ‘700 che quest’ultimo arriva a piena maturazione stante il radicamento di concetti<br />

quali ragione, progresso, scienza. Laico tende così a contrapporsi a religioso. E nel momento in cui nascono<br />

gli stati nazionali, quando cioè fondamento dello stato non è più la volontà divina bensì la nazione, il popolo,<br />

il termine laicità indica appunto la modalità con cui è operato tale passaggio: la giustificazione del potere<br />

statale non è più da ricercarsi nell’ambito religioso, bensì in quello secolare, più precisamente parlamentare.<br />

Il rappresentante del popolo e non il sacerdote è ora il garante della legalità.<br />

Come sappiamo, tutto ciò dal punto di vista storico ha comportato un processo estremamente<br />

complesso, nell’ambito del quale la nozione di laicità si è, a seconda dei casi, caricata di molteplici significati.<br />

Dunque, la prima considerazione è che noi oggi siamo di fronte ad un concetto di laico/laicità la cui storia<br />

non ci facilita una sua chiara definizione. Inoltre si attribuisce l’aggettivo laico a innumerevoli realtà: stato<br />

laico, comportamento laico, morale laica, visione laica della vita ecc..<br />

Ma per fare un po’ di chiarezza partiamo dal presupposto che la laicità abbia a che fare innanzitutto<br />

con lo <strong>Stato</strong> (del resto è la storia che ci invita ad un tale approccio), e che definire la laicità equivalga a porla<br />

in relazione a qualcos’altro, ossia, appunto, allo <strong>Stato</strong> Essa, quindi, la si definirà non in base ad un<br />

contenuto, ma ad una relazione. Questa è una prima considerazione a carattere generale.<br />

Entrando più nello specifico occorre richiamare innanzitutto ciò che la laicità non è. Si possono<br />

individuare almeno quattro nozioni inesatte di laicità<br />

a) Essa non è affatto un rifiuto della religione, non combatte la religione, non la allontana dalla<br />

società. Storicamente si sono avuti periodi, o ancor oggi si possono avere sistemi politici, nei quali la laicità<br />

è percepita come una sorta di reazione se non di contrapposizione al fenomeno religioso. Ma questo<br />

eventuale comportamento è semplicemente a difesa della laicità, non è esso stesso, in quanto tale, afferente<br />

alla laicità, non si identifica con essa.<br />

Nel linguaggio corrente talvolta si identificano i termini laicità/laicismo. Quest’ultimo in realtà riveste a<br />

mio avviso un significato diverso da quello di laicità, includendo un’assoluta pregiudiziale nei confronti della<br />

religione, comportante l’estromissione di quest’ultima da qualunque ambito in qualche modo afferente la<br />

sfera pubblica.<br />

b) la laicità non è una dottrina né una filosofia né, ancor peggio, un’ideologia. Questa possibile<br />

assimilazione costituisce un grande pericolo, perché rischia di consacrare la laicità come un valore assoluto,<br />

immutabile, portando quindi a gravi conflitti. Indubbiamente la nozione di laicità è nata in un contesto storico<br />

di un certo tipo, di conserva, come già ricordato, alla ragione, alla scienza, al progresso. Ma anche questi<br />

ultimi concetti sono oggi secolarizzati, nel senso che non vengono più percepiti come valore assoluti:<br />

altrettanto deve dirsi della laicità.<br />

c) la laicità non è un patto né una sorta di contratto sociale. Si possono evidentemente dare degli<br />

accordi tra <strong>Stato</strong> e religioni ma essi in sé non costituiscono la laicità, ma solo degli strumenti per assicurare<br />

la medesima.<br />

d) Occorre anche evitare di confondere la laicità con altri valori quali, ad es, la democrazia, il<br />

pluralismo, la tolleranza, la libertà religiosa. Valori questi che normalmente si accompagnano alla laicità, la<br />

richiedono anzi come presupposto ma non vi si identificano.<br />

Dunque cos’è la laicità, innanzitutto dal punto di vista del rapporto tra <strong>Stato</strong> e religioni. Possiamo<br />

descriverla in termini negativi come una separazione, ossia come una delimitazione di confini: lo <strong>Stato</strong> non<br />

12 Per tutta questa parte v. BARBIER 1995.<br />

7


deve invadere l’ambito religioso e viceversa. Ma ciò è ancora troppo generico e non fa che spostare il<br />

nostro interrogativo: qual è il fondamento di una tale separazione? Esso non può che individuarsi sia nella<br />

funzione dello stato che della religione. Qui naturalmente non si tratta di avventurarci in una lezione di<br />

filosofia politica o di antropologia religiosa. Innumerevoli le teorie che nel corso del tempo hanno cercato di<br />

giustificare le finalità dello stato e della religione. Noi ci limitiamo ad un’osservazione empirica.<br />

Le finalità dello stato, negli assetti costituzionali odierni, sono orientate ad organizzare e tutelare la<br />

cittadinanza – vale a dire l’appartenenza collettiva (in quanto membri di una collettività) ad una nazione – e<br />

ad assicurare l’esercizio della medesima.<br />

Le finalità della religione sono orientate alla trascendenza. Quest’ultima la possiamo descrivere<br />

come una persona, o un’entità, o un principio antecedenti l’uomo, che non trova in esso il proprio<br />

fondamento. La trascendenza è dunque radicalmente estranea all’orizzonte della quotidianità, e ad essa ci si<br />

rivolge per domande fondamentali sulla vita e sulla morte.<br />

E’ chiaro che la cittadinanza non può ricorrere a strumenti propri della trascendenza, né quest’ultima<br />

a strumenti propri della cittadinanza: nell’un caso e nell’altro sarebbero strumenti del tutto inefficaci. Ecco la<br />

distinzione e separazione tra ordine spirituale e ordine temporale.<br />

Ma separazione non significa di per sé conflitto, al limite può anche significare cooperazione, e<br />

comunque tra conflitto e separazione si dà tutta una gradualità. Ora i contenuti della religione non possono<br />

invadere la sfera dello <strong>Stato</strong>, ma quest’ultimo deve assicurare le condizioni necessarie affinché i propri<br />

cittadini possano concretamente esercitare i loro diritti fondamentali, che nella gerarchia dei diritti precedono<br />

gli stessi diritti di cittadinanza: e tra essi la libertà religiosa e di religione.<br />

Dunque la laicità intesa come separazione ma non come conflittualità. Essa non esclude l’interesse<br />

da parte dello <strong>Stato</strong> nei confronti della religione, pur richiedendo che tale interesse sia neutrale. Ciò significa<br />

che lo <strong>Stato</strong> deve interessarsi delle organizzazioni con interessi religiosi in modo eguale, senza cioè<br />

preferenza per alcuna, sulla base del presupposto che qualunque di esse potrebbe tornare utile al<br />

soddisfacimento concreto dei diritti attinenti la libertà religiosa; ma quale delle molteplici organizzazioni sia<br />

davvero più confacente a ciò non spetta decidere allo <strong>Stato</strong> bensì al singolo cittadino.<br />

Verifichiamo ora, in concreto, quanto sin qui detto dal punto di vista del nostro ordinamento. Occorre,<br />

innanzitutto, ricordare che i principi della nostra costituzione sono ordinati in una logica gerarchica. Esistono<br />

cioè dei valori cardine, dei principi supremi dell'ordinamento costituzionale che, secondo quanto indicato<br />

nella giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale, sono dotati «di una valenza superiore rispetto alle<br />

altre norme o leggi di rango costituzionale». Detti principi sono di due tipi: quelli «che la stessa costituzione<br />

esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma<br />

repubblicana,»; e quelli «che, pur non essendo espressamente menzionati fra i non assoggettabili al<br />

procedimento di revisione costituzionale, appartengono all'essenza dei valori supremi sui quali si fonda la<br />

costituzione italiana» 13 .<br />

Tra questi ultimi, e dal punto di vista della nostra tematica, due sono in particolar modo da ricordare:<br />

1) Il principio supremo della società aperta, vale a dire il principio secondo cui lo <strong>Stato</strong> deve tutelare<br />

le condizioni necessarie affinché nella società qualunque reale valore trovi equivalente accoglienza. Tale<br />

principio impedisce lo <strong>Stato</strong> etico, lo <strong>Stato</strong> che si ponga a servizio di un'ideologia o di una specifica dottrina,<br />

favorendo per contro uno <strong>Stato</strong> pluralista e neutrale rispetto alle diverse ideologie presenti nella società.<br />

2) Il principio supremo della laicità dello <strong>Stato</strong>, da intendersi questa nell’accezione già illustrata.<br />

Dunque, non radicale separatismo, ma neanche trattamento di privilegio a favore di una particolare ideologia<br />

13 Corte cost. 11 aprile 1989 n. 203 e 29 dicembre 1988 n. 1146.<br />

8


o confessione religiosa. In altri termini, la nostra costituzione non delinea uno <strong>Stato</strong> agnostico 14 , ma uno<br />

<strong>Stato</strong> il cui necessario intervento in merito al fenomeno religioso deve seguire due criteri guida fondamentali:<br />

a) la rimozione di eventuali ostacoli che impediscano al singolo di autodeterminarsi<br />

consapevolmente in materia religiosa, ed alle organizzazioni religiose di presentare liberamente il proprio<br />

credo;<br />

b) la disponibilità a intervenire positivamente perché il cittadino possa concretamente realizzare le<br />

proprie decisioni in materia religiosa, sia come singolo che in forma associata.<br />

a) Si tratta, innanzitutto, di libertà in senso negativo, ossia nel senso di impedire che il singolo venga<br />

ostacolato nella sua scelta in ambito religioso. E tale attività di tutela è molto più complessa di quanto non<br />

appaia a prima vista, perché essa deve applicarsi anche alla stessa fase preliminare di tale scelta, alla fase,<br />

cioè, durante la quale l'interessato cerca di chiarirsi le idee sul fatto religioso per poi optare, fra i diversi<br />

messaggi ideali che gli pervengono, in favore di quello che ritiene più convincente. Compito dello <strong>Stato</strong> è<br />

impedire che, già a questo livello, il singolo subisca interferenze e condizionamenti, ad esempio controllando<br />

che non vi siano tentativi di proselitismo improprio da parte di chicchessia, o perseguendo eventuali<br />

atteggiamenti di intolleranza soprattutto nei confronti di religioni marginali perché sgradite alle religioni<br />

tradizionalmente più radicate.<br />

Ma questa attività dello <strong>Stato</strong> deve essere ancor più puntuale nel momento in cui il singolo,<br />

abbracciato un determinato credo religioso, intenda praticarlo concretamente e in forma associata. Da<br />

questo punto di vista, la nostra costituzione obbliga lo <strong>Stato</strong> a rimuovere anche tutto ciò che potrebbe in<br />

qualche modo ostacolare l'esercizio di attività essenziali per una qualsiasi organizzazione religiosa, quali la<br />

testimonianza della relativa professione di fede, il culto, il proselitismo 15 . .<br />

b) Ma oltre a ciò, il principio supremo della laicità dello <strong>Stato</strong> implica anche che il medesimo assicuri<br />

una libertà in senso positivo, rispondendo alle istanze di tipo religioso e assicurando alle relative<br />

organizzazioni le necessarie risorse (finanziarie, ma non solo), risposta che deve rivestire un carattere<br />

avalutativo, senza cioè giudicare, nel merito, il patrimonio fideistico di questa o quella organizzazione<br />

religiosa. Occorre però sottolineare come esista una gradualità di attuazione della suddetta tutela, nel senso<br />

che essa tanto più sarà articolata ed efficace quanto più l'interesse religioso perseguito dal singolo sarà<br />

anche configurabile come interesse pubblico; vale a dire quanto più il medesimo tipo di interesse per una<br />

medesima religione sarà diffuso, ossia condiviso da altri cittadini. E quanto più sarà possibile individuare il<br />

soggetto portatore di tale interesse diffuso, vale a dire la corrispettiva organizzazione religiosa: confessione,<br />

associazione, movimento o quant’altro.<br />

2. Il contesto internazionale.<br />

Prima di affrontare l’analisi dei principi costituzionali sulla libertà religiosa, è necessario richiamare il<br />

contesto internazionale in merito. Detti principi, infatti, sono ormai ineludibili non solo perché scritti nella<br />

nostra costituzione, ma anche perché tutelati in innumerevoli dichiarazioni e convenzioni sottoscritte e<br />

ratificate dal nostro paese. Insomma, la tutela della libertà di coscienza e della libertà religiosa «non<br />

14 Uno <strong>Stato</strong> cioè che si disinteressi del fenomeno religioso ritenendolo del tutto irrilevante.<br />

9


costituisce oggi più un affare interno dei vari Stati, ma si trova coinvolta in quel processo di<br />

internazionalizzazione dei diritti dell’uomo che si è sviluppato dopo la fine del secondo conflitto mondiale» 16 .<br />

Si tratta di un processo ormai irreversibile.<br />

2.1. Dichiarazioni di interesse mondiale<br />

Occorre innanzitutto richiamare la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) 17 . E’ stato<br />

sottolineato come tale documento riposi su «quattro pilastri fondamentali»: a) i diritti della persona<br />

considerata in quanto tale; b) i diritti della persona in quanto membro di gruppi sociali; c) i diritti della persona<br />

in quanto soggetto politico; d) i diritti della persona in quanto soggetto economico 18 . La libertà religiosa è da<br />

ascriversi al secondo gruppo ed è definita all’art. 18, il cui contenuto ritroveremo, come si vedrà, nei trattati<br />

dell’Unione Europea:<br />

«[il diritto alla libertà di religione] include la libertà di cambiare religione o credo, e la libertà di<br />

manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il<br />

proprio credo nello insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti»<br />

Da un punto di vista generale, la suddetta dichiarazione ha avuto il merito «di formulare un concetto<br />

unitario e universalmente riconosciuto dei valori che dovevano essere difesi da tutti gli Stati nei loro<br />

ordinamenti interni» 19 . Tanto che alcuni dei principi affermati dalla dichiarazione trovarono<br />

successivamente ulteriori specificazioni in due singoli patti, l’uno sui diritti civili e politici, l’altro sui diritti<br />

economici, sociali e culturali, entrambi approvati in sede ONU nel 1966 20 . Patti che, diversamente dalla<br />

dichiarazione, comportano una serie di veri e propri obblighi formali da parte degli stati aderenti, avendo così<br />

favorito il costituirsi di relativi organi internazionali di controllo<br />

Ma ritornando al tema specifico della libertà religiosa, occorre sottolineare che la dichiarazione del<br />

1948 inserisce per la prima volta la libertà religiosa nel catalogo dei diritti fondamentali, e dunque<br />

indisponibili, dell’uomo in quanto tale, indipendentemente e ancor prima della sua cittadinanza. Tanto che la<br />

formula dell’art.18 succitato è stata ripresa successivamente in altri numerosi atti internazionali, ratificati<br />

anche dal nostro paese 21 .<br />

E sempre dal punto di vista specifico della libertà religiosa altrettanto importante è la Dichiarazione<br />

sulla eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o la convinzione<br />

(1981) 22 . Già dal titolo si evince che qui si ha un allargamento del diritto di libertà religiosa al diritto di<br />

convinzione, il diritto cioè di professare un determinato credo filosofico, anche ad esempio sul significato<br />

stesso della vita umana. Inoltre, in questa dichiarazione si richiamano esplicitamente due importantissimi<br />

principi: da una parte la religione «costituisce per colui che la professa uno degli elementi fondamentali<br />

della sua concezione di vita», dall’altra la libertà religiosa è di per sé inviolabile, potendo esserne limitato<br />

solo l’esercizio, ma in base ad un esplicito intervento legislativo determinato da una «reale necessità di<br />

15 Per professione di fede si intende il nucleo dottrinario caratterizzante la religione, per culto l’insieme di riti religiosi a carattere<br />

collettivo effettuati secondo un determinato cerimoniale, per proselitismo l’attività di propaganda mirata ad acquisire nuovi aderenti.<br />

16 BOTTA 1998, p. 154.<br />

17 Proclamata dall’Assemblea generale dell’ONU.<br />

18 Cassese 2005, p. 37.<br />

19 Cassese 2005, p. 40.<br />

20 Oltre 150 i Paesi attualmente aderenti a tali patti.<br />

21 Da ricordare tra gli altri: Convenzione americana sui diritti dell'uomo (San José di Costa Rica 1969), Carta africana dei diritti<br />

dell'uomo (Nairobi 1981), Dichiarazione universale islamica dei diritti dell'uomo (Parigi 1981), Dichiarazione dei diritti e delle<br />

libertà fondamentali (Parlamento europeo 1989).<br />

10


tutelare la sicurezza, l’ordine pubblico, la sanità, la morale pubblica, i diritti e le libertà fondamentali altrui» 23 .<br />

E’ vietata la discriminazione su base religiosa «da parte di uno <strong>Stato</strong>, di una istituzione, di un gruppo o di un<br />

individuo qualsiasi» 24 . Discriminazione da intendersi nel senso di «ogni distinzione, esclusione, restrizione o<br />

preferenza fondata sulla religione o la convinzione, avente per oggetto o per effetto la soppressione o la<br />

limitazione del riconoscimento, del godimento o dell'esercizio dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali<br />

su una base di eguaglianza».<br />

Molteplici le applicazioni di tali principi a diversi ambiti. Innanzitutto la famiglia: ai genitori è<br />

assicurato «il diritto di organizzare la vita in seno alla famiglia in accordo con la propria religione» (diritto<br />

dunque dei genitori di trasmettere ai figli la propria identità culturale di cui la religione è parte sostanziale); e<br />

in ambito scolastico gli alunni non possono essere obbligati «a ricevere un insegnamento relativo a una<br />

religione o a una convinzione contro il desiderio dei genitori» 25 .<br />

Ma libertà religiosa significa, più specificamente: libertà di praticare un culto e quindi,<br />

conseguentemente, anche di possedere edifici di culto; libertà da parte delle organizzazioni religiose di<br />

gestire istituzioni caritative e umanitarie; libertà «di scrivere, di stampare e diffondere pubblicazioni in materia<br />

religiosa»; libertà di insegnare una religione; libertà «di sollecitare e ricevere contributi, finanziari o di altro<br />

tipo» da parte sia di privati che di istituzioni 26 ; libertà di formare e nominare eventuali ministri di culto o<br />

funzionari o collaboratori; libertà «di osservare i giorni di riposo e di celebrare le feste secondo i precetti del<br />

proprio credo» 27 .<br />

La dichiarazione su citata del 1981 non è rimasta improduttiva neppure dal punto di vista formale,<br />

perché alla sua luce la Commissione ONU per i diritti umani ha definito nel 1986 «le funzioni di un relatore<br />

speciale sull’intolleranza religiosa incaricato» di vigilare affinché gli ordinamenti giuridici nazionali rispettino<br />

la dichiarazione 1981. Interessante il fatto che il relatore agisce anche a seguito di denunce da parte di<br />

confessioni religiose o anche di singoli cittadini. Ogni anno il relatore consegna alla Commissione per i diritti<br />

umani un rapporto sui progressi o sui regressi registrabili a livello mondiale in merito alla libertà religiosa e di<br />

convinzione. Analizzando i rapporti degli ultimi dieci anni si evidenziano situazioni non del tutto positive,<br />

riassumibili nella persistenza di politiche e legislazioni statali discriminanti comunità religiose non<br />

appartenenti alla religione dominante. La religione quantitativamente più colpita risulta essere quella<br />

cristiana: molto meno, in ordine decrescente, l’islam, il buddismo, l’ebraismo, l’induismo 28 .Ma occorre<br />

nuovamente sottolineare lo scarso potere di cui gode il relatore. Innanzitutto può entrare nello <strong>Stato</strong> in cui sia<br />

stata segnalata una violazione solo col permesso del rispettivo governo: Indonesia, Nigeria, Federazione<br />

russa, Israele si sono più volte rifiutate ad un tale controllo. Ma poi anche una volta verificata sul campo la<br />

violazione egli può solo richiamare, sia pur con un appello urgente, il governo interessato ma senza la<br />

collaborazione di quest’ultimo il richiamo rimane sterile.<br />

22 Proclamata anch’essa dalla Assemblea generale dell’ONU. Questi (e anche altri) ripetuti interventi dell’ONU sulla libertà religiosa<br />

sono del tutto coerenti con lo statuto stesso dell’ONU, secondo il quale tra i fini dell’organizzazione si colloca anche la promozione<br />

dei diritti dell’uomo e delle sue libertà fondamentali, senza distinzione alcuna di razza, sesso, lingua o religione.<br />

23 BOTTA 1998 p. 157.<br />

24 Cit. ivi..<br />

25 Nella Dichiarazione qui analizzata non si hanno riferimenti alla scuola privata; ma un'applicazione in tal senso la si ha in altri testi<br />

internazionali tra i quali, ad es., la Risoluzione sulla libertà di istruzione nella Comunità europea (Parlamento europeo 1984) per la<br />

quale i genitori hanno il diritto di scegliere «tra diverse scuole equiparabili, una scuola in cui questi [i figli] ricevano l'educazione<br />

desiderata».<br />

26 Questo è un punto particolarmente delicato perché deve essere sempre assicurata l'assoluta volontarietà dell'eventuale<br />

contribuzione. Il problema si è posto soprattutto a seguito di comportamenti, talvolta equivoci, da parte di taluni movimenti religiosi:<br />

vedi la Risoluzione su una azione comune degli Stati membri della Comunità europea di fronte a diverse infrazioni alla legge<br />

compiute da recenti organizzazioni che operano al riparo della libertà di religione (Parlamento europeo 1984) che richiede tra<br />

l’altro, per il riconoscimento di tali organizzazioni, che le medesime prevedano, per statuto, a favore dei propri membri «un<br />

sufficiente periodo di riflessione sull'impegno che si intende assumere, abbia esso carattere finanziario o personale».<br />

27 Per tutta questa parte v. BOTTA 1998, pp. 154-164.<br />

11


Concludendo: a) le NU hanno espresso per prime i principi fondamentali in ordine alla tutela della<br />

libertà di convinzione, e dunque anche di convinzione religiosa, e dunque anche di pratica religiosa,<br />

connettendoli espressamente al catalogo dei diritti dell’uomo; b) si sono naturalmente costituiti organi di<br />

controllo, vigilanti sul rispetto delle diverse convenzioni, che però non hanno i poteri di un vero e proprio<br />

tribunale che possa sanzionare in modo diretto gli eventuali Stati trasgressori; c) ciò ovviamente non<br />

significa sminuire quanto sin qui in merito ricordato, perché innanzitutto si è creata nel tempo, tra gli Stati,<br />

una consapevolezza in merito al rispetto dei diritti umani con un vero e proprio effetto di trascinamento 29 .<br />

2.2. Convenzioni di interesse europeo<br />

Nello spazio più specificamente europeo, si sono avuti molteplici interventi sulla materia che qui<br />

interessa nell’ambito della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE oggi OSCE) 30 .<br />

Ricordo i principali. Innanzitutto, è stato fissato il principio basilare secondo cui il diritto di libertà religiosa,<br />

ossia «la libertà dell’individuo di professare e praticare, solo o in comune con altri, una religione o un credo<br />

agendo secondo i dettami della propria coscienza», è un diritto che è essenziale non solo allo sviluppo della<br />

dignità umana, ma anche ai fondamenti stessi della cooperazione internazionale. In coerenza poi con<br />

questo fondamentale principio, ulteriori documenti emanati dalla CSCE sono scesi nel concreto<br />

esemplificando l’attuazione della libertà religiosa in molteplici, specifici diritti: diritti dell’individuo a ricevere<br />

un’istruzione religiosa, dei genitori ad educare i figli in conformità dei propri convincimenti religiosi, delle<br />

confessioni religiose a propagandare il proprio credo e ad accedere ai mass media, delle minoranze<br />

religiose soprattutto se coinvolte nei fenomeni migratori.<br />

Ma le dichiarazioni e le convenzioni fin qui citate, pur rivestendo un’indubbia rilevanza dal punto di<br />

vista della formazione di un comune approccio internazionalistico sul tema dei diritti umani, hanno in realtà<br />

un certo limite, sia perché non è previsto che quanto da esse disposto trovi diretta attuazione all’interno dei<br />

singoli ordinamenti statali, sia soprattutto perché gli eventuali Stati inadempienti non sarebbero sanzionabili<br />

da un qualche tribunale costituito ad hoc. Certamente gli Stati firmatari di quei documenti avrebbero l’obbligo<br />

morale e politico di uniformarvi la propria legislazione, ma nel caso di non ottemperanza gli organismi<br />

internazionali di controllo previsti non hanno la facoltà di procedere per via giudiziaria contro lo stato<br />

inadempiente 31 . Diverso, almeno in parte, è invece il discorso per le convenzioni e i trattati che hanno dato<br />

vita ai due attuali processi di integrazione europea facenti capo all’Unione Europea e al Consiglio d’Europa.<br />

Ritengo opportuno richiamarne brevemente gli antecedenti storici. L’Unione, raggruppante al<br />

momento 27 Paesi 32 , costituisce l’esito di un processo iniziato nel lontano 18 aprile 1951 con il trattato<br />

istituente la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) 33 , teso a liberalizzare importanti scambi<br />

28 Vedi per questa parte M. ALOE, La libertà di religione o convinzione nei rapporti del relatore speciale delle Nazioni Unite, tesi di<br />

laurea a.a. 2002-03, Fac. di Sc. Polit., Firenze, pp. 12-15.<br />

29 E’ quanto avvenuto con la costituzione dei vari tribunali penali internazionali (relativi ad esempio ai reati connessi al genocidio)<br />

favorita proprio dall’affermarsi delle convenzioni succitate.<br />

30 La CSCE nacque (1969) come conferenza paneuropea dall’iniziativa politica dei paesi allora facenti parte del Patto di Varsavia<br />

(URSS e paesi socialisti dell’est europeo). Nel 1992 la CSCE è divenuta OSCE, (da conferenza ad organizzazione), dandosi così una<br />

struttura più istituzionale, e prevedendo anche possibili interventi di peace keeping. Attualmente all’OSCE partecipano più di 50<br />

paesi, inclusi diversi extra-europei, soprattutto dell’area mediterranea. Ritornerò più avanti su tale organizzazione, sia pur sotto un<br />

diverso profilo.<br />

31 Diverso naturalmente il caso dei tribunali penali internazionali (già citati), vere e proprie istanze giurisdizionali a tutti gli effetti.<br />

32 Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania,<br />

Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna,<br />

Svezia, Ungheria.<br />

33 Trattato firmato da Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi. Il significato politico del trattato consisteva nel<br />

coinvolgere Francia e Germania, il cui storico antagonismo si riproponeva all’epoca riguardo alle due regioni della Saar e della Ruhr.<br />

Concretamente il trattato prevedeva già l’istituzione di organismi che rimarranno sino all’attuale Unione europea (parlamento, corte<br />

di giustizia, consiglio dei ministri).<br />

12


commerciali tra i Paesi aderenti. Una collaborazione, questa, a carattere esclusivamente economico il cui<br />

sostanziale successo, però, suggerì l’idea di estendere ad altri settori quanto già praticato per il commercio<br />

del carbone e dell’acciaio, avviandosi così un progetto di mercato comune europeo. Suoi primi, fondamentali<br />

esiti furono altri due trattati, siglati a Roma il 25 marzo 1957 34 , istituenti, l’uno la Comunità economica<br />

europea (CEE), l’altro la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom). Qui interessa in particolare il<br />

trattato CEE (= TCE), il quale estendeva in termini sostanziali i vantaggi previsti nell’accordo CECA. Veniva<br />

infatti creato un vero e proprio spazio comune europeo, con libera circolazione non solo delle merci, ma<br />

delle persone, dei servizi, dei capitali; veniva inoltre avviata una vera e propria unione economica, tramite<br />

l’adozione di politiche comuni in ambiti quali l’agricoltura, i trasporti, la concorrenza.<br />

Alla fine degli anni ’50, dunque, si trovarono ad operare sul medesimo territorio 35 ben tre Comunità,<br />

del tutto autonome l’una dall’altra, ciascuna con specifici istituti operativi, e dunque con inevitabili problemi di<br />

concorrenza e di sovrapposizioni. In quel periodo l’idea, pur avanzata da più parti, di una vera e propria<br />

unificazione europea si rivelò politicamente ancora impraticabile, e ci si accontentò di addivenire ad una<br />

fusione dei rispettivi organismi (1965): rimase integra l’autonomia delle tre Comunità, ma, accanto all’unica<br />

Alta Corte di giustizia, vennero istituiti un solo Consiglio dei ministri ed una sola Commissione esecutiva,<br />

organi che, di volta in volta, avrebbero agito in nome e per conto dell’una o dell’altra Comunità 36 .<br />

La situazione appena descritta, unita al fatto che ben presto si diedero successive adesioni di altri<br />

paesi, favorì la progressiva maturazione di un progetto di trattato dell’unione europea. Molteplici le tappe<br />

organizzative e le fasi negoziali a ciò necessarie, sfociate infine positivamente nel trattato istitutivo<br />

dell’Unione europea (= TUE, Maastricht, 7 febbraio1992). Trattato che non abolisce le Comunità di cui sopra,<br />

ma le coordina in un quadro istituzionale ed operativo unico (quanto alle istituzioni oggi operanti v. infra).<br />

Dunque nel caso dell’Unione europea non si è trattato della nascita di una nuova organizzazione<br />

internazionale, bensì semplicemente di «una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più<br />

stretta tra i popoli dell’Europa» 37 . Per spiegare con un’immagine questa nuova entità alquanto particolare, si<br />

è fatto ricorso ad una metafora architettonica, parlando, in riferimento all’Unione, di un tempio a tre colonne<br />

o tre pilastri. Le Comunità europee sono il primo di essi, mentre gli altri due sono costituiti rispettivamente<br />

dalla «politica estera e di sicurezza comune» e dalla «cooperazione giudiziaria», così come definite da<br />

ulteriori trattati successivi a Maastricht.<br />

Infatti già il TUE prevedeva ulteriori negoziati che potessero risolvere alcuni problemi rimasti insoluti.<br />

Si giunse così ad un successivo trattato firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 1997. Tale atto modifica ed<br />

integra alcune parti, sia pur minori, del trattato di Maastricht, dal punto di vista sia del funzionamento delle<br />

istituzioni che dell’ampliamento delle competenze comunitarie 38 .<br />

Ma il fenomeno dell’allargamento, ovverosia il crescente interesse da parte di altri paesi europei di<br />

entrare nell’Unione - con il conseguente problema di snellire i processi decisionali da parte di istituzioni i cui<br />

membri erano passati dai sei iniziali a dodici, ma con la prospettiva di ulteriori incrementi - consigliò nuovi<br />

aggiustamenti. Si arriva così al terzo trattato, quello di Nizza (26 febbraio 2001) 39 che, come già accennato,<br />

34 A cura degli stessi Stati già aderenti alla CECA.<br />

35 Pari ai sei Stati già indicati supra.<br />

36 POCAR 2004, p. 24ss.<br />

37 art. 1 del trattato Maastricht.<br />

38 Vengono maggiormente delineate le possibilità d’intervento da parte dell’Unione in settori quali l’ambiente, la politica<br />

occupazionale e sociale, la tutela dei consumatori, i fenomeni migratori, la cooperazione giudiziaria.<br />

39 A Nizza venne anche approvata una Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, su cui v. infra.<br />

13


innova sia quanto alle procedure che alle competenze: da quest’ultimo punto di vista, la novità più rilevante è<br />

relativa al rafforzamento della cooperazione europea nella politica estera e di sicurezza comune 40 .<br />

Ma la crescente complessità data da un’Unione ormai con 25 paesi membri (e diversi altri in lista<br />

d’attesa) consigliava un dibattito sulle prospettive future, anche dal punto di vista di una maggior efficacia e<br />

tempestività dei processi decisionali. Così qualche mese dopo il trattato di Nizza venne costituita una<br />

convenzione, ossia un organismo ristretto ma rappresentativo, secondo determinati criteri e a vari livelli,<br />

dell’Unione, con il compito di preparare una bozza di costituzione per l’Unione europea. Gli esiti di tale<br />

lavoro confluirono in un testo poi firmato, sotto la forma di trattato costituzionale, dai capi di stato dei 25<br />

Paesi dell’Unione nell’ottobre 2004 a Roma: la sua entrata in vigore venne condizionata all’approvazione da<br />

ottenersi, per via parlamentare o tramite referendum, all’interno di ciascun Paese. Ma a seguito della<br />

bocciatura referendaria avvenuta in Francia ed in Olanda, è stata necessario procedere ad una sostanziale<br />

revisione del trattato in questione che ha quindi ricevuto recentemente una nuova adesione da parte dei 27<br />

Paesi dell’Unione 41 .<br />

Occorre aggiungere al quadro essenziale sin qui delineato, gli accordi di cooperazione rafforzata, tra<br />

i quali, in particolare, quello monetario e quello di Schengen. Il primo, consistente nell’adozione di una<br />

moneta unica (euro) ebbe avvio nel 1989. e la sua attuazione venne codificata dal trattato di Maastricht. Tale<br />

unione economica e monetaria fa parte integrante del primo pilastro 42 (quello relativo alle Comunità), mentre<br />

la convenzione di Schengen (1990) 43 per la parte relativa alla libera circolazione delle persone afferisce<br />

anch’essa al primo pilastro, mentre per la parte relativa alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia<br />

penale afferisce al terzo pilastro (quello appunto relativo alla cooperazione giuridica).<br />

Al di là dei problemi connessi con un trattato costituzionale non ancora operante, l’Unione e le<br />

Comunità continuano a funzionare con i loro tradizionali organismi, i più importanti dei quali sono il Consiglio<br />

dei ministri, il Parlamento (con sede a Strasburgo), la Commissione (con sede a Bruxelles), la Corte di<br />

giustizia (con sede a Lussemburgo).<br />

Il Consiglio dei ministri riunisce periodicamente i capi di stato o di governo 44 degli Stati membri, e la<br />

sua è una funzione «di iniziativa e di elaborazione della politica generale dell’Unione» 45 , anche se tale<br />

funzione «non si esplica in atti tipici, dotati di una precisa forza vincolante per le istituzioni e per gli Stati<br />

membri, ma piuttosto in orientamenti di massima» 46 . Ma questo non significa che il Consiglio non abbia<br />

poteri decisionali, al contrario esso rappresenta il massimo organo deliberativo dell’Unione, pur nel rispetto<br />

di determinati limiti e condizioni.<br />

Da sottolineare la stretta collaborazione che molto spesso intercorre tra il Consiglio e il Parlamento<br />

europeo 47 , i poteri del quale sono in realtà alquanto diversi da quelli esercitati da un normale parlamento<br />

nazionale. Tra di essi qui si ricordano il potere di cooperazione e quello di codecisione : il primo consiste nel<br />

40 Vengono così ancor meglio delineati i tre specifici ambiti di competenza dell’Unione (i tre pilastri già citati): relativi alla politica<br />

economica interna (il pilastro, ricordo, più tradizionale perché derivante dalle tre Comunità antecedenti la stessa Unione), alla<br />

politica estera, alla cooperazione in materia penale e giudiziaria.<br />

41 Il trattato di Lisbona è stato appunto firmato in quella città il 13 dicembre 2007. Ovviamente ora si attende tutto il processo di<br />

ratifica da parte dei 27 Paesi, e dunque a tutt’oggi (dicembre 2007) il trattato non è ancora vigente.<br />

42 L’unione monetaria fa perno sulla Banca centrale europea con sede a Francoforte e su di un patto di stabilità che coordina le<br />

politiche di bilancio dei Paesi membri, regolamentando le possibilità di disavanzo. Adottano oggi l’euro Austria, Belgio, Finlandia,<br />

Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna.<br />

43 Alla convenzione di Schengen aderiscono tutti i Paesi oggi membri dell’UE con eccezione della Gran Bretagna e dell’Irlanda.<br />

Aderiscono inoltre la Norvegia e l’Islanda, ed entro il 20008 si precede l’adesione della Svizzera.<br />

44 La differenza dipende dall’assetto costituzionale del Paese interessato: ad esempio, l’Italia è rappresentata dal capo di governo, la<br />

Francia dal presidente della repubblica.<br />

45 POCAR 2004, p. 112. Sono oltre venti gli ambiti specifici ai quali può indirizzarsi l’attività politica comunitaria: dall’agricoltura alla<br />

libera circolazione di merci, persone e servizi, dalla gestione dell’economia e della moneta ai problemi occupazionali, dall’ambiente<br />

alla protezione dei consumatori (v. BARBERA-FUSARO 2002, p.66).<br />

46 POCAR cit.<br />

47 Attualmente esso si compone di 785 membri (per l’Italia 78 seggi).<br />

14


fornire pareri su proposte avanzate dalla Commissione 48 , eventualmente anche tramite la formulazione di<br />

emendamenti; la codecisione, invece, implica un coinvolgimento, nel processo decisionale in merito ad una<br />

determinata questione, della Commissione, del Consiglio e del Parlamento che in alcuni casi ha l’ultima<br />

parola.<br />

I membri della Commissione (oggi ventisette 49 ) sono nominati dal Consiglio, e la loro funzione è<br />

quella di tutelare non gli interessi dei relativi Paesi di provenienza, bensì quelli generali della comunità,<br />

funzione che si concretizza a livello di attività sia propositiva nei confronti del Consiglio e del Parlamento, sia<br />

esecutiva. Quest’ultima in realtà può anche includere il potere, delegato dal Consiglio, di emanare vere e<br />

proprie norme; e include, inoltre, un potere di vigilanza sul comportamento degli stati membri che può<br />

arrivare sino a proporre ricorsi alla Corte di giustizia.<br />

I tre organi testé delineati (Consiglio, Parlamento, Commissione) producono, sia pur a diverso livello<br />

e a seconda dei casi anche in cooperazione tra di essi, disposizioni di vario tipo, con effetti all’interno degli<br />

ordinamenti giuridici degli Stati membri. I più importanti di tali atti sono i regolamenti, dovendo intendersi con<br />

tale termine un vero e proprio atto legislativo, con portata generale (non riferibile, dunque, ad un caso<br />

specifico o individuale), «obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati<br />

membri» 50 . Insomma, i regolamenti svolgono a livello europeo la stessa funzione svolta dalle leggi all’interno<br />

di uno <strong>Stato</strong>, con la differenza che nell’elaborazione di essi vengono coinvolti, in diversi modi a secondo dei<br />

casi, Consiglio, Parlamento e Commissione 51 .<br />

La funzione fondamentale della Corte di giustizia è quella di vigilare sull’interpretazione e<br />

l’applicazione dei trattati, sia di quelli relativi all’Unione che di quelli relativi alle tre Comunità a suo tempo<br />

citate 52 : i relativi procedimenti, avviabili anche sulla base di ricorsi, possono riguardare sia gli Stati membri,<br />

sia una qualsiasi persona giuridica, sia un privato. Anche se con il trattato di Nizza le competenze della vera<br />

e propria Corte di giustizia sono state concentrate sulle controversie relative al comportamento degli Stati<br />

membri e agli atti delle istituzioni comunitarie, e sull’interpretazione e sulla validità degli atti comunitari.<br />

Accanto alla Corte, infatti, opera anche, dal 1989, un tribunale di primo grado al quale sono affidati tutti i<br />

ricorsi proponibili alla Corte da parte di persone fisiche (dunque anche privati) e giuridiche, rimanendo la<br />

possibilità di una seconda istanza presso la stessa vera e propria Corte.<br />

Questo duplice organo giurisdizionale ha competenza anche sulle controversie relative alla tutela dei<br />

diritti umani e delle libertà fondamentali, inclusa, dunque la libertà religiosa e di religione (v. più ampiamente<br />

infra).<br />

Un secondo processo di integrazione europea è quello avviatosi con Il Consiglio d’Europa (1949), le<br />

cui finalità sono state, fin dall’inizio, quelle di «tutelare i diritti dell’uomo e la democrazia parlamentare e<br />

garantire il primato del diritto» 53 . Da notare che dal 1989, con la caduta nell’Est europeo dei regimi<br />

comunisti, il Consiglio si è assunto il compito «di assistere i paesi dell’Europa centrale ed orientale ad<br />

48 Sulla quale vedi infra.<br />

49 Espressione dei 27 Paesi membri dell’Unione. Oltre al presidente, si ha un commissario responsabile dei seguenti ambiti: relazioni<br />

istituzionali, imprese ed industria, trasporti, affari amministrativi, giustizia, mass media, ambiente, affari economici e monetari,<br />

politica regionale, pesca, bilancio, scienza e ricerca, istruzione, salute, allargamento, aiuti umanitari, fiscalità, concorrenza,<br />

agricoltura, relazioni esterne all’UE, mercato interno, occupazione e affari sociali, commercio, energia, tutela consumatori,<br />

multilinguismo.<br />

50 POCAR, p. 254.<br />

51 Oltre al regolamento, un atto molto frequente, anch’esso emanabile, a seconda dei casi, da un’istituzione piuttosto che da un’altra,<br />

è la direttiva comunitaria, la quale, differentemente dal regolamento, obbliga gli Stati destinatari «soltanto per quanto attiene al<br />

risultato da raggiungere, lasciando liberi gli Stati membri di adottare le misure che più sembrano loro opportune per il conseguimento<br />

dell’obbiettivo indicato nell’atto» (POCAR, p. 286),.<br />

52 Infatti, la Corte, come del resto il parlamento, è sempre stata istituzione unica anche per le tre Comunità.<br />

53 V. sito http://www.coe.int (accesso del 7.10.2006).<br />

15


attuare e consolidare le riforme politiche, legislative e costituzionali, parallelamente alle riforme<br />

economiche» 54 . I Paesi oggi membri del Consiglio sono 46.<br />

Nell’ambito del Consiglio d’Europa venne elaborata la Convenzione per la salvaguardia dei diritti<br />

dell’uomo e delle libertà fondamentali (= CEDU) firmata a Roma nel 1950, alla quale oggi aderiscono tutti i<br />

46 paesi membri del Consiglio d’Europa,, il cui carattere cogente per gli stati aderenti viene assicurato dalla<br />

Corte europea dei diritti dell’uomo, con sede a Strasburgo. Essa è l’organo giurisdizionale presso cui non<br />

solo uno degli stati firmatari ma anche un suo singolo cittadino 55 può ricorrere contro presunte violazioni, da<br />

parte di altro <strong>Stato</strong> aderente alla Convenzione, di uno dei diritti 56 garantiti dalla medesima. La Corte si<br />

occupa anche di tutte le fasi preliminari del processo, al termine del quale emette una vera e propria<br />

sentenza, che esaurita l’eventuale fase di appello, se confermata è vincolante dal punto di vista del diritto<br />

internazionale: lo <strong>Stato</strong> giudicato colpevole non solo dovrà provvedere, anche con riforme legislative,<br />

affinché in futuro non ricorra la violazione contestata, ma dovrà anche in molti casi riparare agli eventuali<br />

danni prodotti. E da sottolineare questo potere sanzionatorio perché, come si vedrà tra poco, esso<br />

costituisce, nello spazio europeo, la più importante e diretta garanzia nei confronti della libertà religiosa e di<br />

religione.<br />

Organi principali del Consiglio d’Europa sono: un comitato composto dai ministri degli esteri dei 46<br />

paesi membri ed un’assemblea parlamentare che raggruppa 630 membri provenienti dai 46 parlamenti<br />

nazionali.<br />

Si hanno, dunque, in Europa due distinti spazi di aggregazione, l’uno che fa capo all’Unione e alle<br />

Comunità europee, ed ai relativi trattati, l’altro che si richiama alla Convenzione di Roma del 1950. Da notare<br />

che l’Unione europea in quanto tale non è membro della Convenzione romana, pur aderendovi<br />

singolarmente tutti i suoi membri.<br />

Dobbiamo ora chiederci quale tipo di protezione religiosa è assicurata all’interno di questi due spazi<br />

d’integrazione europea.<br />

Da osservare innanzitutto che tra le oltre venti materie in cui si articolano le competenze dell’Unione<br />

e delle Comunità europee non rientra direttamente il fenomeno religioso. Non si ha quindi in merito una vera<br />

e propria legislazione o regolamentazione a livello europeo, che è di per sé affidata agli ordinamenti<br />

nazionali. Ma questo non significa che l’Unione sia disinteressata alla tutela della libertà religiosa e di<br />

credenza, come provano i seguenti punti:<br />

1) Già ho accennato che il Consiglio europeo a Nizza, oltre ad un trattato, europeo promulgò anche<br />

la Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione europea (7.12.2000), carta che non è testualmente<br />

inserita nel corpo dei trattati. Ma essa , oltre ad aver comunque rivestito nel passato un fortissimo significato<br />

politico 57 , è stata formalmente approvata in una risoluzione da parte del Parlamento europeo il 29.11.2007<br />

tanto da essere esplicitamente richiamata dal trattato di Lisbona già citato 58 . Ora l’art. 10 della carta recita:<br />

54 Ivi.<br />

55 Non è forse molto noto che i «ricorrenti individuali possono presentare da soli i ricorsi, ma la rappresentanza da parte di un<br />

avvocato è raccomandata e in ogni caso è richiesta per le udienze o una volta che il ricorso è stato dichiarato ricevibile. Il Consiglio<br />

d’Europa ha predisposto un sistema di assistenza giudiziaria per i ricorrenti le cui risorse finanziarie siano insufficienti.» (sito citato).<br />

56 In sintesi la Convenzione e i suoi protocolli garantiscono: il diritto alla vita e alla libertà; ad equi processi, civili e penali; al voto<br />

attivo e passivo; alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; alla proprietà; alla libertà di riunione ed associazione.<br />

Garantiscono anche il divieto: della tortura, della pena di morte, della schiavitù, della discriminazione.<br />

57 Ad essa si sono in diverse occasioni riferite non solo le diverse istituzioni europee ma la stessa giurisprudenza dell’Unione e del<br />

Consiglio d’Europa.<br />

58 A seguito di detta risoluzione il Consiglio dell’Unione ha dato alla carta di Nizza valore vincolante, per cui secondo le parole<br />

stesse del presidente Barroso le sue disposizioni si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell'Unione nel rispetto del principio<br />

di sussidiarietà, come pure agli Stati membri. Pertanto, questi dovranno osservarne i principi e promuoverne l'applicazione.. La Corte<br />

di giustizia dell'Unione europea, una volta ratificato il trattato di Lisbona, avrà il compito di assicurare che la Carta dei diritti<br />

fondamentali sia rispettata<br />

16


«Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la<br />

libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il<br />

proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto,<br />

l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti».<br />

Da notare un fatto significativo: questo testo riprende quasi alla lettera l’art. 18 della Dichiarazione<br />

universale dei diritti dell’uomo già citata supra.<br />

2) Del resto questo articolo 10 della carta di Nizza è coerente con un altro articolo, fondamentale per<br />

il nostro discorso perché appartenente allo stesso Trattato dell’Unione (art. 6) e avente, dunque, in questo<br />

caso anche vincolante forza giuridica: con la conseguenza che una sua eventuale violazione è suscettibile di<br />

ricorso al tribunale ed alla Corte del Lussemburgo.<br />

art.6 TUE «L’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e delle<br />

libertà fondamentali, e dello stato di diritto […] L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono<br />

garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà<br />

fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950»<br />

3) Dunque ci si richiama qui alla Convenzione di Roma (CEDU), quella costitutiva del già citato<br />

Consiglio d’Europa, ed essa a sua volta prevede un articolo del seguente tenore:<br />

art. 9: «1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; questo diritto<br />

comporta la libertà di cambiare religione o convinzione, come pure la libertà di manifestare la propria<br />

religione o convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, con il culto,<br />

l’insegnamento, le pratiche e il compimento dei riti.<br />

2. La libertà di manifestare la propria religione o le proprie convinzioni non può essere oggetto di<br />

altre restrizioni se non quelle, previste dalla legge, che costituiscono misure necessarie, in una<br />

società democratica, per la sicurezza pubblica, la protezione dell’ordine pubblico, della salute<br />

pubblica o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui»<br />

E’ alquanto evidente che nel suddetto testo vi è un’esplicita e completa tutela della libertà religiosa e<br />

di credenza. E’ chiaro che ciascun <strong>Stato</strong> aderente alla Convenzione di Roma- e gli Stati dell’Unione tutti vi<br />

aderiscono – ha l’obbligo di uniformare la propria legislazione all’articolo citato, onde evitare che vi possano<br />

essere da parte del rispettivo ordinamento giudiziario eventuali sentenze contrastanti con l’articolo in<br />

questione. Perché in questo caso esse sarebbero impugnabili, nell’ambito sempre della Convenzione di<br />

Roma, di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.<br />

3) Possiamo concludere: a) nello spazio europeo vi sono accordi internazionali includenti anche la<br />

tutela della libertà religiosa; b) essi, differentemente da altri accordi a carattere universale, prevedono, in<br />

caso di violazione, ricorsi giurisdizionali e conseguenti sanzioni; c) tali accordi si supportano l’un l’altro,<br />

rafforzando ulteriormente quelle garanzie che ciascuno di essi anche solo per proprio conto già assicura.<br />

Infatti, come illustrato, i Paesi europei appartenenti sia all’Unione che alla Convenzione di Roma sono<br />

giuridicamente vincolati in modo duplice alla tutela della libertà religiosa in tutti i suoi aspetti: e ciò in forza,<br />

da una parte dell’art. 6 TUE, dall’altra dell’art. 9 CEDU. Quest’ultimo ovviamente già di per sé operante, ma<br />

17


ancor più rafforzato proprio dall’art. 6 TUE che lo richiama espressamente: e il tutto quasi suggellato dall’art.<br />

10 della carta di Nizza, ultimo in ordine di tempo, che, come notato, richiama addirittura la Dichiarazione<br />

universale 1948.<br />

Da notare, infine, che oltre agli interventi a carattere legislativo e giurisdizionale, l’ordinamento<br />

dell’Unione europea prevede specifici atti di indirizzo: tra questi sono rilevanti, dal punto di vista qui<br />

considerato, le direttive e le risoluzioni: le prime obbligano gli Stati a perseguire un determinato obiettivo, le<br />

seconde rivestono un forte significato politico. Le une e le altre possono comportare riferimenti ai diritti di<br />

libertà, e dunque anche di libertà religiosa: non vi è in merito, come già segnalato, una vera e propria<br />

competenza da parte dell’Unione, ma questo non comporta che gli atti suddetti non possano condizionare<br />

positivamente le singole legislazioni nazionali, favorendo quindi, sia pur in modo indiretto, un approccio<br />

europeo comune alle libertà di coscienza, religiosa e di religione.<br />

Concludendo su questo punto. Gli atti internazionali citati sono stati tutti ratificati dal nostro paese e<br />

quindi inseriti nel nostro ordinamento. Ciò significa che in esso i principi di libertà religiosa sono operanti<br />

indipendentemente dalla carta costituzionale. Dunque, da una parte quest'ultima anticipa cronologicamente<br />

quelle che saranno poi acquisizioni dell'ordinamento internazionale, le quali quindi godono, nel nostro<br />

ordinamento, di una obbligatorietà rafforzata, perché costituzionalmente garantite; dall'altra il sistema<br />

concreto operante oggi nel nostro paese di tutela della libertà religiosa (che andremo tra breve ad<br />

analizzare), non fa, come si vedrà, che confermare ed esplicitare, dal punto di vista attuativo, quelle<br />

acquisizioni, ponendoci così, su questo punto, in sostanziale sintonia con la grande maggioranza dei paesi<br />

democratici 59 .<br />

59 Si può anzi dire che, da alcuni punti di vista, il nostro sistema costituzionale a tutela della libertà religiosa è tra i più garantisti<br />

nell’ambito dell’Unione europea.<br />

18


3. La tutela costituzionale.<br />

3.1. Art. 19Cost.<br />

La costituzione italiana, sulla base del principio dei diritti inviolabili dell'uomo, inteso sia come singolo<br />

che come inserito nella collettività (art. 2 Cost.) 60 , assicura una protezione specifica anche in merito alla<br />

libertà religiosa e di religione. L'art. 19 Cost. è chiarissimo su questo punto:<br />

Art. 19 Cost.: «Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma,<br />

individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti<br />

contrari al buon costume».<br />

Premesso che non si devono dimenticare altri principi costituzionali collegati quali la libertà di<br />

riunione (art. 17) 61 , di pensiero (art. 21) 62 e di non discriminazione (art. 3) 63 , è da osservare innanzitutto che<br />

l’art. 19 tutela la pratica religiosa effettuata all'interno di una qualsiasi formazione sociale, con particolare e<br />

diretto riferimento al fenomeno associativo 64 . Da questo punto di vista si tratta di un’applicazione all’ambito<br />

religioso del diritto di associazione di cui all’art.18Cost. 65 .<br />

Non si richiede che la forma associata risponda a determinati requisiti per rientrare sotto la tutela<br />

costituzionale. Questo sul presupposto che, come già segnalato, non compete ad uno stato laico decidere<br />

nel merito se un preteso contenuto fideistico possa o non possa definirsi religioso. In altri termini, la<br />

presunzione, sino a prova contraria, rimane a favore della formazione sociale che dichiara di essere<br />

specificamente portatrice di un interesse religioso. Ovviamente, le modalità organizzative ed i successivi<br />

comportamenti dovranno essere coerenti con tale tipo di interesse.<br />

Quando tale coerenza venisse meno, l’ordinamento dovrebbe tutelare la buona fede di coloro che<br />

avessero aderito alla formazione sociale in questione credendo di coltivare tramite essa il proprio credo<br />

religioso. Da notare che anche in tal caso l’associazione in questione, se esente da illeciti o da reati,<br />

godrebbe comunque della protezione costituzionale, ma non più ai sensi dell'art.19, bensì del già citato<br />

art.18.<br />

E’ anche necessaria una spiegazione sul riferimento, contenuto nell’art.19, ai limiti da rispettarsi in<br />

merito al culto, non essendo permessi i «riti contrari al buon costume».. L'inciso è da intendersi in un duplice<br />

senso.<br />

Innanzitutto, esso si riferisce a riti contrari al comune senso del pudore in materia sessuale, concetto<br />

quest'ultimo molto elastico, da individuarsi secondo l'evoluzione del costume e della relativa opinione<br />

comune. In pratica solo la giurisprudenza può definire se, nel caso concreto, si sia oltrepassato il limite<br />

assegnato, dalla mentalità del momento, al buon costume. In altre parole, non può lo <strong>Stato</strong> definire in modo<br />

preventivo ciò che corrisponde al comune senso del pudore perché ciò rischierebbe di sindacare<br />

pregiudizialmente la liceità o meno di una pratica religiosa.<br />

Da notare ancora che il limite del buon costume è previsto esclusivamente per i riti, per le cerimonie,<br />

per gli atti esterni condotti in modo associato. Se, ad esempio, una formazione sociale con interessi religiosi<br />

60 Art. 2 Cost.: «La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove<br />

si svolge la sua personalità».<br />

61 Art 17 Cost.: «I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi».<br />

62 Art. 21 Cost.: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di<br />

diffusione».<br />

63 Art. 3 Cost.: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di<br />

lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».<br />

64 Mentre, come si vedrà, le confessioni religiose godono di ulteriore, specifica tutela ai sensi dell’art. 7 e 8Cost.<br />

65 Art. 18 Cost.: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla<br />

legge penale».<br />

19


predicasse comportamenti sessuali contrari al comune senso del pudore, ma limitandosi alla diffusione<br />

dell’idea senza mettere in pratica la medesima, non ricadrebbe di per sé sotto il limite dell’art.19 66 .<br />

Ma per capire appieno il senso dell’inciso occorre ricordare il contesto di opposizione all’esperienza<br />

fascista nel quale venne redatta la nostra carta costituzionale. Molti principi di essa, infatti, vennero elaborati<br />

proprio per impedire che nel nuovo stato repubblicano si rendessero possibili abusi sofferti nel regime<br />

appena trascorso. Tra di essi sono da annoverarsi interventi di polizia che, sotto il pretesto di motivi di ordine<br />

pubblico, ostacolavano la celebrazione di riti da parte di confessioni religiose (come i pentecostali) invise al<br />

regime. Memori di tali trascorsi, i costituenti hanno inteso esplicitare nell’art. 19 l’unico motivo che possa<br />

autorizzare l’autorità di pubblica sicurezza ad impedire un rito religioso. E’ chiaro allora che il significato più<br />

generale dell’inciso in questione risiede nel fatto che «lo <strong>Stato</strong> non può utilizzare il principio d’ordine pubblico<br />

o di buon costume per sindacare preventivamente il diritto di libertà per i cittadini o per una confessione<br />

religiosa, predisponendo allo scopo leggi speciali 67 ».<br />

Ritornando ad un punto di vista più generale, l'art. 19Cost. tutela la pratica religiosa effettuata<br />

all'interno di una formazione sociale, intendendosi indifferentemente con questo termine un movimento,<br />

un'associazione, un nuovo culto, una confessione religiosa, anche se quest'ultima trova, come vedremo in<br />

seguito, un'ulteriore protezione negli artt. 7 e 8Cost..<br />

E' interessante, inoltre, chiedersi se l'art. 19Cost. tuteli anche la libertà di ateismo. Si deve<br />

osservare al proposito che la libertà di religione implica la libertà di coscienza, Nella costituzione italiana non<br />

vi è mai un esplicito riferimento a quest'ultima, ma è ovvio che una responsabile scelta in materia religiosa<br />

implica la libertà di coscienza 68 , ossia la libertà di formulare un intimo convincimento in ordine alla materia<br />

religiosa; ed è altrettanto ovvio che tale convincimento, se veramente libero non può essere in alcun modo<br />

predeterminato e dunque può, in ipotesi, concludere per una qualsiasi delle opzioni possibili in materia,<br />

inclusa dunque anche l'opzione di rinunciare a credere ad una qualsiasi divinità.<br />

Questo stesso principio della libertà di convincimento, presuppone che il medesimo possa, nel<br />

tempo, mutare: diritto, quindi, di ricredersi e cambiare orientamento anche in materia religiosa, e questo,<br />

naturalmente, senza aggravio di alcun tipo per l’interessato: da ciò implicitamente consegue che «non<br />

possono imporsi comportamenti confessionali ai cittadini e non possono farsi indagini sui loro orientamenti in<br />

materia religiosa» 69 .<br />

Nel nostro paese viene assicurata «la tendenziale irrilevanza giuridica dell’appartenenza<br />

confessionale e delle convinzioni religiose in tutti i momenti della vita pubblica […] dei cittadini, e il diritto alla<br />

riservatezza sulla medesima appartenenza e sulle proprie convinzioni» 70 . Dunque, le scelte in ambito<br />

religioso da parte del cittadino sono del tutto irrilevanti per l’ordinamento pubblico, ed egli non è mai tenuto<br />

a giustificare il proprio convincimento, neppure quando compie delle scelte esteriori che vanno, nei fatti, a<br />

vantaggio di una determinata confessione religiosa (v. infra il caso della scelta per l’attribuzione dell’otto per<br />

mille dell’IRPEF) 71 .<br />

66 FINOCCHIARO 2003, p. 205.<br />

67 CAR<strong>DI</strong>A 2002, p. 127.<br />

68 Del resto numerosi atti internazionali, recepiti nel nostro ordinamento, citano espressamente la libertà di coscienza accanto a quella<br />

di pensiero, di convinzione, di religione.<br />

69 Ivi, p. 145.<br />

70 CAR<strong>DI</strong>A 2002., p. 142.<br />

71 Si può aggiungere che l’Italia ha, a suo tempo, ratificato una convenzione europea (1981), secondo la quale «i dati di carattere<br />

personale indicanti l’origine razziale, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o altri credo, nonché i dati a carattere personale<br />

relativi allo stato di salute ed alla vita sessuale, non possono essere elaborati automaticamente a meno che il diritto interno non<br />

preveda garanzie adatte». Com’è noto, il diritto interno italiano ha provveduto con una recente legge sulla privacy, estremamente<br />

garantista, la quale, tra l’altro, impedisce la formazione indiscriminata di anagrafi contenenti i c.d. dati sensibili, il cui uso distorto,<br />

cioè, porterebbe a discriminazioni: i «dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose […] le<br />

opinioni politiche, l’adesione […] a organizzazioni a carattere religioso […] nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute<br />

20


3.2. Art. 8Cost.<br />

Veniamo ora alla tutela particolarmente rafforzata assegnata alle confessioni religiose. La prima<br />

osservazione in merito è che nella costituzione non si ha definizione di confessione religiosa (né di<br />

associazione religiosa come già segnalato supra) . Ma, pur senza dandone una definizione, la Corte<br />

costituzionale ha descritto le confessioni religiose come<br />

«idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loro appartenenti»; esse rivestono una funzione in<br />

ordine «alla soddisfazione dei bisogni religiosi dei cittadini» e quindi in ordine ad un «effettivo godimento del<br />

diritto di libertà religiosa» 72 .<br />

Occorre sottolineare che quanto appena citato è una descrizione, appunto. La Corte, cioè, precisa<br />

la funzione sociale svolta dalle confessioni in rapporto all’esercizio della libertà religiosa; ma non definisce,<br />

vale a dire non predetermina i caratteri essenziali, essendo presenti o mancando i quali, si dia o non si dia<br />

una confessione.<br />

Quanto detto, comporta due conseguenze fondamentali, in un duplice senso, negativo e positivo:<br />

1. La mancanza, nel nostro ordinamento costituzionale, di una definizione di confessione religiosa non<br />

pregiudica in nessun caso un’efficace tutela della libertà di religione. Questa del resto è garantita in prima<br />

battuta già dall’art.19 citato, che tutela le formazioni sociali a carattere religioso: e la confessione religiosa è<br />

una particolare specie di formazione sociale.<br />

2. Ma, dal punto di vista positivo, all’art.19 occorre aggiungere innanzitutto il 1° comma dell’art. 8 che recita:<br />

«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge».<br />

Questo comma è chiarissimo e ci dice, senza bisogno di particolari interpretazioni, che tutte le confessioni<br />

religiose sono di per sé garantite, indipendentemente dal fatto che si attribuisca loro o meno una<br />

definizione..<br />

I costituenti hanno inteso, con tale impostazione, salvaguardare una nozione di confessione<br />

religiosa estremamente ampia, differentemente da altri paesi, nei quali un’associazione religiosa, per essere<br />

riconosciuta come confessione, deve dimostrare, o di avere una presenza tradizionalmente consolidata<br />

all’interno di quel paese, o di possedere una connotazione istituzionale in qualche modo comparabile con<br />

quella delle confessioni già esistenti.<br />

Ma adottare simili criteri significherebbe operare una discriminazione preliminare. Verrebbero<br />

escluse, infatti, da una parte confessioni, anche di antichissima tradizione, ma di per sé estranee alla cultura<br />

del nostro paese (v. il buddismo), dall’altra confessioni che, proprio perché ancora allo stato nascente, non<br />

potrebbero dimostrare quella consistenza organizzativa richiesta.<br />

L’interpretazione, invece, dell’art 8Cost., 1° c. (citato supra), interpretazione più coerente con l’intero<br />

contesto costituzionale in merito, confermata anche dalla Corte di Cassazione, suggerisce che l’elemento<br />

identificativo per riconoscere una confessione religiosa non sia nient’altro che «la volontà soggettiva [da<br />

parte dell'associazione in questione] di considerarsi ed essere considerata confessione religiosa a tutti gli<br />

effetti» 73 . E’ una sorta, dunque, di autocertificazione o di autoreferenzialità, senza che lo <strong>Stato</strong> possa, in<br />

e la vita sessuale, possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del<br />

Garante» (art. 22).<br />

72 Corte cost. 27 aprile 1993 n. 195.<br />

73 CAR<strong>DI</strong>A 2002, p. 170.<br />

21


linea di principio, sindacare il relativo patrimonio dottrinale; anche se. naturalmente, dovrà darsi una<br />

corrispondenza tra quanto dichiarato dalla confessione e quanto da essa praticato 74 .<br />

Ciò significa, innanzitutto, che il carattere religioso non può essere un semplice pretesto per altre<br />

attività, anche del tutto lecite, per godere dei numerosi vantaggi, anche fiscali, che il nostro ordinamento<br />

prevede per le confessioni vere e proprie. Dovrà dunque esserci coerenza tra la suddetta autocertificazione<br />

e i fini principali perseguiti, nonché i mezzi a ciò utilizzati. Fine e mezzi risulteranno dagli «accordi tra gli<br />

associati che si traducano per il solito in statuti depositati nel registro degli atti pubblici notarili» 75 .<br />

Dunque, è sufficiente l’autocertificazione desumibile dallo statuto di cui sopra, affinché<br />

un’associazione divenga confessione religiosa di fatto, senza cioè riconoscimento di vera e propria<br />

personalità giuridica (per la quale v. infra), ma comunque tutelata in modo specifico dall’art.8Cost., 1°c. 76<br />

Fin qui abbiamo spiegato la prima parte del comma citato, ossia: tutte le confessioni religiose.<br />

Rimane ora da spiegare la seconda parte, ossia sono egualmente libere davanti alla legge. Non uguali, ma<br />

ugualmente libere. Ciò significa che qui si ha «un principio di giustizia distributiva che consente di dare a<br />

ciascuna il suo» 77 . La nozione di uguaglianza sarebbe molto pericolosa (e contraddittoria con quanto sin qui<br />

evidenziato) perché trascinerebbe con sé l’idea di una uniformità di trattamento da parte dello <strong>Stato</strong> nei<br />

confronti delle confessioni, senza alcun rispetto, dunque, delle loro specificità: ciò comporterebbe<br />

l’imposizione di regole uguali per tutte, che ben difficilmente potrebbero consentire un’adeguata, e quindi<br />

differenziata, realizzazione di finalità religiose spesso del tutto divergenti (se non concorrenti).<br />

E’ del resto solo una tale impostazione a rendere possibile la stipulazione di un’intesa (v. più oltre),<br />

cioè di un accordo tra lo stato ed un’unica, singola confessione, accordo teso ad assicurare alla medesima<br />

gli specifici mezzi necessari per l’adempimento delle sue finalità.<br />

A questo punto dovrebbe essere del tutto chiaro come i singoli individui e le diverse formazioni<br />

sociali ad interesse religioso (nuovi culti, associazioni, confessioni) godano, senza alcun tipo di<br />

discriminazione, di una fondamentale tutela costituzionale che li pone in una oggettiva situazione di garanzia<br />

rispetto ad eventuali limitazioni da parte della legislazione ordinaria. Gli unici paletti, infatti, posti a confine<br />

della suddetta tutela sono i principi fondamentali dell’ordinamento, sia nazionale che internazionale, in<br />

particolar modo i diritti attinenti la persona umana, e le norme penali.<br />

Ma la tutela costituzionale sulla libertà religiosa e di religione non si esaurisce in quanto sin qui detto.<br />

Occorre, infatti, leggere l’art. 8 nella sua interezza:<br />

art.8Cost:: comma 1°.«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge».<br />

c. 2° «Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri<br />

statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano».<br />

c. 3° « I loro rapporti con lo <strong>Stato</strong> sono regolati per legge sulla base di intese con le relative<br />

rappresentanze»<br />

Quanto al 1° comma vedi supra. In merito al 2° comma è sottolineare la possibilità (dunque non<br />

l’obbligo) per una confessione di presentare il proprio statuto anche all’autorità amministrativa competente<br />

(Consiglio di <strong>Stato</strong>), in modo da ottenere un vero e proprio riconoscimento di personalità giuridica, in quanto,<br />

appunto, confessione religiosa. Lo statuto indicherà i fini, gli organi di governo, le risorse finanziarie,<br />

l'organizzazione sul territorio, e naturalmente non potrà contenere elementi in contrasto con l'ordinamento<br />

74 IDEM, pp. 170-171.<br />

75 Ivi.<br />

76 In concreto la tutela consiste, oltre che alla possibilità di impugnare eventuali provvedimenti amministrativi ostacolanti l’attività<br />

della confessione, anche nel fatto di poter usufruire di qualunque vantaggio previsto dalla legislazione per le confessioni religiose<br />

genericamente intese. Ma da quest’ultimo punto di vista occorre sottolineare come a tutt’oggi ancora manchi una specifica legge<br />

sulla libertà religiosa e di religione attuativa del comma costituzionale qui in esame. Numerose bozze della medesima sono transitate<br />

nelle aule parlamentari senza mai raggiungere l’esito definitivo.<br />

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giuridico italiano. Non potrà prevedere, ad esempio, una limitazione al diritto, da parte di un adepto, di<br />

recedere in qualunque momento dall’appartenenza confessionale, né la dipendenza totale degli organi della<br />

confessione da un’autorità residente all’estero 78 . Ma il controllo <strong>sullo</strong> statuto da parte dello stato dovrà<br />

limitarsi alla suddetta indagine di legittimità, senza cioè entrare nel merito della struttura organizzativa né,<br />

tanto meno, nel contenuto fideistico della confessione.<br />

In forza poi del 3° comma dell’art.8 la confessione può anche decidere (senza averne l’obbligo) di<br />

chiedere all’autorità competente (la Presidenza del Consiglio) l’apertura di trattative per addivenire all’intesa.<br />

La presentazione di uno statuto all’autorità amministrativa, dunque, è condizione obbligatoria per<br />

avere il riconoscimento di personalità giuridica e per firmare, successivamente, un’eventuale intesa, ma<br />

indipendentemente da queste due eventualità la confessione è comunque tutelata, in modo rafforzato<br />

rispetto alle altre associazioni religiose, dal primo comma dell’art. 8Cost.<br />

Riassumendo. Mentre le associazioni, i nuovi culti, o qualunque movimento con interesse religioso<br />

sono tutelati dall’art.19Cost., le confessioni sono garantite nei loro diritti sotto un triplice aspetto: a seconda,<br />

cioè, che esse siano confessioni semplicemente di fatto, senza personalità giuridica; che siano titolari di<br />

detta personalità, pur non avendo un’intesa; che godano sia dell’una che dell’altra 79 ,<br />

Occorre qualche parola di più su cosa si intenda per intesa, al di là della nozione generica di accordo<br />

tra due parti, ossia, nel nostro caso, lo <strong>Stato</strong> e la rappresentanza di una confessione religiosa. La funzione di<br />

questo specifico accordo sta nel «modificare la condizione giuridica della confessione religiosa» 80 : questa,<br />

infatti, con l’intesa, non rimane sottomessa, per tutto ciò che riguarda il fenomeno religioso, alle norme di<br />

carattere generale, ma ha la possibilità di contrattare uno speciale regime giuridico su base bilaterale.<br />

Certamente i contenuti dell’intesa,sottoscritti da ambo le parti, per trovare concreta applicazione devono<br />

essere inseriti nell’ordinamento statuale attraverso una legge parlamentare detta di esecuzione (o di<br />

approvazione) 81 , a carattere ordinario. Siglata l’intesa, il governo presenta il relativo disegno di legge in<br />

Parlamento, testo che deve naturalmente essere del tutto conforme all’intesa, facendola integralmente<br />

propria. Il Parlamento può approvarlo o meno, ma senza interferire nel contenuto, per cui, in caso di non<br />

approvazione, si dovrà procedere a nuovi incontri bilaterali per la stesura di una diversa intesa. In caso,<br />

invece, di approvazione, quanto previsto nell’intesa diventa legge dello stato, e potrà essere in futuro<br />

modificata solo con un nuovo negoziato tra <strong>Stato</strong> e confessione interessata.<br />

Naturalmente, onde evitare il rischio di una bocciatura parlamentare è possibile che lo stesso<br />

Parlamento diventi soggetto attivo nel corso della trattativa tra <strong>Stato</strong> e confessione, mediante un periodico<br />

esame, da parte parlamentare, dei parziali risultati man mano raggiunti, in modo tale da poter raccogliere<br />

eventuali pareri e proposte.<br />

In termini più propriamente operativi, le trattative in vista di un’intesa sono condotte a cura, da parte<br />

dello <strong>Stato</strong> di una commissione governativa, appositamente nominata, sotto la responsabilità politica del<br />

presidente del consiglio; da parte della confessione religiosa di una sua rappresentanza, i cui componenti<br />

devono rivestire una duplice qualità. Devono, innanzitutto, risultare idonei, secondo gli statuti della<br />

confessione, a negoziare e a stipulare in ordine agli specifici interessi religiosi della medesima; in secondo<br />

77 BARBERINI 2000, p. 42.<br />

78 Le due fattispecie su menzionate potrebbero verificarsi soprattutto nel caso di alcuni nuovi culti. Per la precisione, occorre<br />

ricordare che, in realtà, i vertici gerarchici della confessione cattolica dipendono proprio da un’autorità straniera (la S. Sede): questo è<br />

un caso del tutto particolare, su cui vedi infra.<br />

79 Vi è poi un ulteriore caso, del tutto a sé stante, che riguarda la confessione cattolica: v. infra nella parte dedicata all’art.7Cost.<br />

80 CAR<strong>DI</strong>A 1996, p. 224.<br />

81 La differenza terminologica deriva di per sé da una diversa valutazione sulla natura giuridica delle intese, problema questo che qui<br />

non si intende affrontare. Non lo ritengo, infatti, particolarmente interessante, stante l’orma notevole consolidamento del sistema<br />

delle intese, come sarà in seguito illustrato.<br />

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luogo, essi devono oggettivamente rappresentare quantomeno una significativa maggioranza di tutti coloro<br />

che, nel nostro paese, si dichiarano aderenti alla confessione in questione.<br />

3.3. Art. 7Cost.: le premesse storico-giuridiche.<br />

Si ha poi un caso del tutto particolare che riguarda la confessione religiosa cattolica, e quindi la<br />

Chiesa cattolica in Italia 82 . La particolarità è data da un duplice elemento, alquanto indivisibile, storico e<br />

giuridico.<br />

3.3.1. La “questione romana”.<br />

Fin dai primi secoli successivi alla fondazione della Chiesa da parte di Gesù Cristo, il vescovo di<br />

Roma acquistò una graduale, crescente autorità sulle sempre più numerose comunità cristiane che<br />

andavano radicandosi in tutto il mondo allora conosciuto. Concausa di questa evoluzione fu, tra l’altro, il<br />

potere temporale goduto dal papa su di un territorio che, inizialmente del tutto esiguo, andò man mano<br />

crescendo di estensione sino a costituirsi in vero e proprio stato – lo stato pontificio - con un suo esercito,<br />

una sua amministrazione, una sua moneta: insomma il papa divenne un vero e proprio sovrano temporale,<br />

alla pari dei vari sovrani che si dividevano il territorio italiano. Lo stato pontificio arrivò ad includere il Lazio, la<br />

Campania, le Marche, l’Umbria, la Romagna e la città di Bologna. Per diversi secoli dunque, il pontefice è<br />

stato anche un sovrano come gli altri, coinvolto nelle medesime dispute politiche, e riconosciuto, come ogni<br />

altro sovrano, soggetto di diritto internazionale.<br />

La “questione romana” nasce all’interno del processo risorgimentale: da una parte moti liberali,<br />

all’interno dello stesso stato pontificio, reclamavano democrazia e libertà, dall’altra si rivelava sempre più<br />

incomprimibile l’esigenza di unificazione di tutto il territorio italiano, Roma inclusa, sotto la monarchia dei<br />

Savoia.<br />

In un tale contesto, la sovranità temporale del papa appariva sempre più insostenibile, e infatti,<br />

quanto più ci si avvicina al 1870 tanto più il pontefice è abbandonato al suo destino anche dalle potenze<br />

cattoliche (soprattutto dall’Austria), e lo stato pontificio si disintegra gradualmente sino a quando il 20<br />

settembre 1870 le truppe italiane entrano in Roma. Il papa, Pio IX, privato manu militari del potere<br />

temporale goduto fino allora, si rinchiude dentro i palazzi adiacenti la basilica di S. Pietro, sul colle Vaticano,<br />

dichiarandosi in qualche misura prigioniero dello stato italiano.<br />

Giunge in tal modo al suo apice la questione romana, i cui termini essenziali possono ora così<br />

riassumersi: in primo luogo la rivendicazione da parte del pontefice di una sovranità necessaria per<br />

esercitare, senza condizionamenti di alcun tipo, non più un potere temporale, ma la propria missione<br />

spirituale e di governo sulla Chiesa cattolica; in secondo luogo, l’impossibilità di convivenza sul medesimo<br />

territorio di due sovranità, quella del nuovo <strong>Stato</strong> nazionale, e quella pretesa dal pontefice.<br />

In realtà, lo <strong>Stato</strong> cercò di offrire una soluzione, emanando nel 1871 una legge ordinaria denominata<br />

legge delle guarentigie, ossia delle garanzie. In effetti, con tale dispositivo si davano al pontefice una serie<br />

di garanzie davvero singolari, e prima fra tutte era la concessione al medesimo di una sovranità, beninteso<br />

non territoriale ma personale. Ossia la persona del pontefica veniva equiparata a quella di un sovrano, con<br />

tutte le garanzie personali tipiche di un sovrano, e dunque rimanendo così integra la capacità, ad esempio,<br />

di ricevere ed inviare ambasciatori. Ma non si concedeva una vera e propria sovranità di tipo territoriale,<br />

82 Confessione cattolica e chiesa cattolica indicano la medesima realtà, ossia la comunità religiosa (a livello sia particolare che<br />

universale) che professa i principi della fede cristiana sotto la guida, autoritativa e morale, del pontefice; il primo termine sottolinea<br />

maggiormente il carattere giuridico e sociologico, mentre il secondo termine (dal greco “ecclesìa” = assemblea) riveste un significato<br />

più propriamente teologico.<br />

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limitandosi la legge ad assicurare a Pio IX ed ai suoi successori una sorta di usufrutto perpetuo del territorio<br />

su cui ancor oggi insistono la basilica si S. Pietro ed i palazzi ad essa adiacenti: insomma, una franchigia<br />

territoriale a vantaggio del papa, ma rimanendo la relativa proprietà allo stato italiano.<br />

Pio IX, e i suoi successori, mai accettarono la legge delle guarentigie, per diversi motivi, e tra questi<br />

un paio di essi risultava davvero insuperabile: da una parte si sarebbe trattato di una concessione data<br />

dallo stato italiano, cancellando così, con un tratto di penna, la plurisecolare sovranità temporale del<br />

pontefice; dall’altra quest’ultimo non aveva garanzie davvero assolute, essendo, come già notato, la legge<br />

delle guarentigie una legge ordinaria, interna dello stato, e quindi, come ogni legge, in linea di principio<br />

riformabile o abrogabile in qualunque momento.<br />

3.3.2. La Santa Sede<br />

a) I presupposti<br />

Naturalmente, una tale situazione non poteva protrarsi senza trovare, prima o poi, una soluzione.<br />

Già qualche anno prima della grande guerra, si avviarono consultazioni riservate tra le due sponde del<br />

Tevere, riprese successivamente alla fine del conflitto. Ma fu con il regime fascista che apparve la<br />

necessità, politica ancor prima che religiosa, di chiudere quanto prima la questione romana. Si addivenne<br />

così nel 1929, ad un Trattato tra la Santa Sede e l’Italia 83 : da notare il radicale cambiamento rispetto alla<br />

soluzione avanzata a suo tempo con la ricordata legge delle guarentigie. Si stipulò un trattato, proprio nel<br />

senso che tale termine riveste nell’ordinamento internazionale: esso, dunque, andava a regolare<br />

minuziosamente i rapporti tra due stati sovrani, lo stato italiano e la Santa Sede 84 . Gli articoli del trattato<br />

che più qui interessano sono i seguenti:<br />

Art.2: «L’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua<br />

natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo».<br />

Art 3:«L’Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e la esclusiva ed assoluta potestà e giurisdizione<br />

sovrana sul Vaticano, com’è attualmente costituito, creandosi per tal modo la Città del Vaticano»<br />

Art. 24: «La Santa Sede, in relazione alla sovranità che le compete anche nel campo internazionale dichiara<br />

che essa vuol rimanere e rimarrà estranea alle competizioni temporali fra gli altri stati […] a meno che le parti<br />

contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace».<br />

Alcune osservazioni essenziali. «L’Italia riconosce»: dunque, la sovranità della Santa Sede è<br />

anteriore al momento della stesura del trattato, anteriore alla stessa unificazione italiana, perché in sostanza<br />

essa si ricollega alla sovranità a suo tempo già goduta dallo stato pontificio.. E infatti, si precisa subito<br />

appresso che tale sovranità è «inerente alla sua natura», e viene ancor prima della sua missione spirituale,<br />

anche se risulta poi funzionale a quest’ultima. Ma la Santa Sede, cioè il pontefice e l’ufficio che a lui fa<br />

capo, è soggetto di diritto internazionale non in quanto ente supremo della Chiesa cattolica, ma in quanto<br />

sovrano. E affinché tale sovranità possa essere concretamente esercitata viene costituito lo stato Città del<br />

Vaticano – in linea sostanziale di continuità con lo stato pontificio: ancorché minuscolo, esso è un vero e<br />

proprio stato, su cui si esercita la sovranità del papa. 85 . Da sottolineare infine la neutralità che non viene nel<br />

trattato imposta alla Santa Sede: essa stessa vi si impegna, in coerenza, appunto, alla sua missione<br />

spirituale.<br />

83 Detto anche trattato del Laterano, dal nome del palazzo di Roma in cui fu firmato.<br />

84 Col termine Santa Sede si intende direttamente l’ufficio papale e, conseguentemente, anche la struttura statuale ed organizzativa<br />

che dal pontefice dipende (v. anche infra).<br />

85 In realtà, come la sovranità pontificia ha la funzione alquanto sui generis di rendere possibile una missione spirituale, così lo stato<br />

vaticano ha caratteristiche altrettanto sui generis, come si vedrà in seguito.<br />

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Concludendo, «il Trattato del Laterano fu, in sostanza, un trattato di pace che chiudeva un periodo<br />

di conflittualità, un Trattato con cui la Santa Sede rinunciava formalmente ai suoi diritti sovrani sui territori<br />

occupati dall’Italia, ad eccezione di quella porzione di territorio sul quale si costituiva una nuova entità<br />

statale, cioè la stato Città del Vaticano» 86 , che andava, nei fatti, a sostituire, come fondamento della<br />

sovranità anche internazionale della Santa Sede, quello che un tempo era lo stato pontificio.<br />

b) caratteristiche dell’attuale presenza internazionale della Santa Sede<br />

Ritengo utile esemplificare, sia pur in termini essenziali, le modalità concrete con cui la Santa Sede<br />

esercita la propria sovranità in ambito internazionale.<br />

Innanzitutto, sono da ricordare le difficoltà sorte per la sua partecipazione, sia alla Società delle<br />

Nazioni, sia alla più matura Organizzazione delle Nazioni Unite. Nel primo caso vi fu l'opposizione da parte<br />

dell'Italia, ma si diede anche un disinteresse da parte della stessa Santa Sede essendo presenti, nella SDN,<br />

ben pochi paesi a tradizione cattolica I problemi invece per la partecipazione all'ONU derivavano dal citato<br />

art. 24 del Trattato (sulla neutralità della Santa Sede), dalla diffidenza sovietica, dall'esiguità del territorio su<br />

cui la Santa Sede esercita la propria sovranità (Città del Vaticano).<br />

Le predette difficoltà hanno suggerito una presenza della Santa Sede all’ONU limitata al ruolo di<br />

osservatore, ruolo per molto tempo esercitato oltretutto de facto¸ senza cioè che vi fosse in proposito un vero<br />

e proprio accordo scritto. Solo nel giugno 2004 è stata approvata all’unanimità dall’Assemblea generale<br />

dell’ONU una risoluzione che formalizza e consolida i diritti ed i privilegi che ammettono la Santa Sede ai<br />

lavori svolti nell’ambito dell’Assemblea generale, con l’unica esclusione dalle operazioni di voto 87<br />

Ma a parte l’eccezione appena ricordata, in linea di massima la Santa Sede partecipa ai vari tavoli<br />

internazionali in termini del tutto equivalenti a quelli di qualunque altro stato, e dunque anche con diritto di<br />

voto. Una prima svolta significativa in tal senso si ebbe con l’ammissione della Santa Sede alla Conferenza<br />

sull’uso pacifico dell’energia atomica (1955), non che, conseguentemente, e come membro a tutti gli effetti,<br />

all'Agenzia internazionale per l’energia atomica.<br />

Da quel momento in poi è da registrare un costante, progressivo sviluppo in merito sulla base di<br />

istanze non solo attinenti all’ambito spirituale. Si è cioè affermata una presenza in ambito internazionale<br />

della Santa Sede di tipo generalizzato, a prescindere dalle materie trattate: ciò significa che dal punto di<br />

vista del diritto internazionale la Santa Sede non è riconosciuta unicamente in quanto rappresentante di<br />

interessi specificamente religiosi. E di fatti oggi essa è accreditata, o come membro o con osservatori<br />

permanenti, presso innumerevoli organismi internazionali di vario genere (inclusi FAO, UNESCO, OAS).<br />

Del resto la Santa Sede ha aderito sempre più, negli anni del dopoguerra, a numerose convenzioni<br />

internazionali, giuridicamente vincolanti 88 . Questo dimostrano che essa ha scelto «una strategia di presenza<br />

ed azione internazionale a tutto campo», andando oltre «i profili religiosi e spirituali che sono strettamente<br />

inerenti alla sua natura»: è prevalsa insomma «una presenza generalizzata della Santa Sede in tutti gli<br />

organismi e i congressi internazionali quasi prescindendo dalle materie che vi si trattano» 89 .<br />

Da notare ancora che la Santa Sede in ambito internazionale non agisce, di per sé ed in prima<br />

istanza, in quanto organo supremo di governo della Chiesa cattolica, per cui si dia una sorta di<br />

86 BARBERINI 2000, p. 79.<br />

87 Viene tra l’altro stabilito «il diritto della Santa Sede di iscriversi nella lista di quanti chiedono di poter parlare e di partecipare al<br />

dibattito dell’Assemblea generale; il diritto di replicare; il diritto di far pubblicare e circolare le proprie comunicazioni come<br />

documenti ufficiali, di sollevare mozioni d’ordine e di co-sponsorizzare bozze di risoluzioni che si riferiscano direttamente allaSanta<br />

Sede»: cit. in MARGIOTTA BROGLIO, 2004, p. 566,<br />

88 Tra cui la convenzione sulle relazioni diplomatiche (1961), il trattato di non proliferazione delle armi nucleari (1968), l'accordo di<br />

salvaguardia con l'agenzia internazionale dell'energia atomica (1972), la convenzione sulla proibizione di armi chimiche (1993).<br />

Vedi un elenco sistematico completo in BARBERINI, 2001, pp. 416-446.<br />

89 Cardia 2000, p. 394.<br />

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trascinamento dell’ordinamento giuridico canonico nell’ambito internazionale. La Santa Sede agisce come<br />

vera e propria entità statuale a sé stante, anche se del tutto specifica, perché i suoi interessi sostanziali non<br />

sono di tipo temporale bensì spirituale, pur esercitando, come si vedrà, per esigenze esclusivamente<br />

funzionali, una vera e propria sovranità territoriale <strong>sullo</strong> stato Città del Vaticano. Quest’ultimo, poi, non ha di<br />

per sé rilevanza in ambito internazionale: quando accordi bilaterali o multilaterali riguardano temi implicanti<br />

direttamente problemi di territorialità, o funzioni amministrative proprie di uno stato, la Santa Sede può<br />

decidere di partecipare alle relative trattative in quanto stato Città del Vaticano (SCV) 90 , fermo restando che<br />

la corrispondente ratifica avviene sempre in nome della Santa Sede.<br />

3.3.3. Lo stato Città del Vaticano (SCV).<br />

Tale stato può descriversi, dal punto di vista delle sue finalità, come uno stato funzione, vale a dire<br />

come una entità territoriale posta a servizio di un determinato soggetto, la Santa Sede, che vi esercita la<br />

sovranità rimanendo ben distinta dallo stesso SCV.<br />

Prima conseguenza di ciò è che nell'ambito internazionale, come già accennato,. lo SCV non ha di<br />

per sé alcuna autonomia: è la Santa Sede che di volta in volta decide se intervenire in nome suo proprio, o<br />

in nome dello SCV, in quanto sovrana del medesimo. Ulteriore conseguenza il fatto che tra le due entità<br />

esiste un vincolo indissolubile, immutabile e perpetuo, tanto che se, per ipotesi, dovesse interrompersi il<br />

governo della Santa Sede <strong>sullo</strong> SCV questi cesserebbe automaticamente di esistere.<br />

Dal punto di vista delle caratteristiche interne, possiamo descrivere lo SCV come stato apparato,<br />

ben diverso dall'ordinario stato comunità.. E ciò per tutta una serie di motivi. Ne ricordiamo solo i principali.<br />

Innanzitutto, nello SCV la cittadinanza non si acquisisce né per nascita né per residenza, ma solo in<br />

ragione di un determinato ufficio all'interno della Curia romana, o per diretta concessione del pontefice.<br />

Sciolto il vincolo dell'ufficio o ritirata la concessione pontificia si perde la cittadinanza. E' dunque escluso il<br />

fatto che lo SCV abbia una popolazione stabile e, almeno in linea di principio, in espansione. Questo è il<br />

carattere più esclusivo dello SCV, ciò che lo rende del tutto specifico rispetto a qualsiasi altro stato, sia pur<br />

territorialmente esiguo. Si può parlare nel nostro caso di una nazionalità concessa in vista di una funzione,<br />

tale che la cittadinanza nello SCV va perduta appena venga meno la funzione per cui è stata concessa. Mai<br />

si darà nello SCV una popolazione attiva che agisce come collettività, e non già per il numero esiguo, ma per<br />

il fatto che la cittadinanza è data temporaneamente per funzione o per concessione, e quindi per uno scopo<br />

delimitato nei contenuti e nel tempo.<br />

In secondo luogo, la collettività all'interno dello SCV non può essere una comunità in senso<br />

compiuto perché gli interessi perseguiti dallo SCV sono per definizione del tutto estranei agli interessi<br />

personali dei suoi provvisori cittadini. Di conseguenza, nello SCV non vi sono diritti costituzionali veri e<br />

propri, né può essere rivendicabile un vero e proprio sistema di uguaglianza giuridica.<br />

Infine, nello SCV non si ha un popolo, una nazione che faccia da collegamento indispensabile tra i<br />

vertici dello <strong>Stato</strong> ed un determinato territorio. Perché il territorio dello SCV è stato creato, in modo del tutto<br />

avulso da un qualsiasi nucleo di popolo, come elemento servente ai fini dell’indipendenza della Santa Sede,<br />

affinché essa eserciti le proprie funzioni di governo della Chiesa universale fruendo di una vera ed efficace<br />

garanzia di libertà. Ciò significa anche che lo SCV non è una pertinenza territoriale facoltativa della Santa<br />

Sede nel senso che se essa, in ipotesi, abbandonasse volontariamente e in modo definitivo il territorio<br />

vaticano, non solo si darebbe, come già segnalato, l’automatica estinzione dello SCV, ma il territorio<br />

corrispondente ritornerebbe allo <strong>Stato</strong> italiano.<br />

90 Numerosi gli accordi in tal senso su materie attinenti ad esempio il diritto marittimo, i servizi postali e le radio<br />

telecomunicazioni, la circolazione stradale.<br />

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A conclusione di questa parte dedicata alla presenza internazionale della Santa Sede e dello SCV,<br />

possiamo chiederci perché mai le due entità statuali qui in discussione non siano membri effettivi né del<br />

Consiglio d’Europa né dell’Unione europea 91 .<br />

Per quanto riguarda lo SCV, è stato appena illustrato come esso sia uno stato del tutto sui generis,<br />

nel quale l’assenza di una nazione e di una cittadinanza comportano l’esclusione non solo dell’idea stessa di<br />

democrazia, ma anche dei diritti fondamentali dell’uomo. Ciò non significa, ovviamente, che nello SCV non<br />

possano essere rispettati tali diritti: nei fatti essi sono ampiamente tutelati, ma ciò avviene in definitiva grazie<br />

alla buona volontà del rispettivo sovrano (il pontefice). Non si ha cioè un ancoraggio oggettivo di tali diritti ad<br />

una carta costituzionale, o al fondamento stesso dello stato, o alla salvaguardia di una nazione, perché,<br />

come già sappiamo, nello SCV non esiste nulla di tutto ciò. Ma sappiamo altresì (v. supra) che Consiglio<br />

d’Europa ed Unione europea convergono nella salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali<br />

della persona, e conseguentemente richiedono agli stati interessati ad un’eventuale adesione preliminari<br />

assetti democratici. Tali assetti, se applicati allo SCV ne stravolgerebbero la natura, rendendolo in definitiva<br />

incapace proprio di quella fondamentale funzione, di ausilio alla Santa Sede, per la quale esso è stato a suo<br />

tempo creato. Conclusione: lo SCV risulta impossibilitato in sé stesso a fornire quelle garanzie indispensabili<br />

richieste per l’accesso alle istituzioni comunitarie europee.<br />

Ma anche per la Santa Sede si danno insormontabili difficoltà, sia pur di ordine diverso. Occorre qui<br />

richiamare il principio fondamentale che ha reso possibile il duplice processo di integrazione europea. E che<br />

possiamo così riassumere: ciascun <strong>Stato</strong> interessato a detta integrazione rinuncia ad una parte della propria<br />

sovranità, e si dichiara disponibile a sottomettersi, in caso di specifiche controversie, ad una giurisdizione<br />

soprannazionale, quella esercitata dalle due Corti europee (v. supra). Ora, questo principio fondamentale,<br />

senza il quale non sarebbe possibile innanzitutto l’Unione europea, ma anche, per alcuni profili, lo stesso<br />

Consiglio d’Europa, non è praticabile da parte della Santa Sede. Sia perché il potere temporale di cui essa<br />

gode è al servizio di una missione spirituale, è una sorta di appendice di quest’ultima: e quindi, in realtà una<br />

decurtazione di tale potere andrebbe ad intaccare la stessa missione spirituale; sia perché la Santa Sede<br />

esclude in modo categorico l’ipotesi stessa che il pontefice possa, in qualche modo, direttamente o<br />

indirettamente, essere chiamato in giudizio presso la corte del Lussemburgo o quella di Strasburgo.<br />

3.4. Art. 7Cost.: i contenuti.<br />

In realtà nel 1929 Mussolini non si limitò a siglare con la Sana Sede il trattato che risolveva<br />

definitivamente la questione romana, ma contestualmente ad esso firmò anche, sempre con la Santa Sede,<br />

un concordato, ossia un accordo che regolamentava i rapporti tra <strong>Stato</strong> italiano e Chiesa cattolica in Italia, in<br />

particolare dal punto di vista di alcune specifiche questioni sociali a rilevanza anche religiosa (ad es. il<br />

matrimonio, l’insegnamento della religione nelle scuole ecc.). Trattato e concordato vengono comunemente<br />

indicati col termine comprensivo di Patti lateranensi 92 .<br />

I costituenti, dunque, si trovarono sul tavolo questi patti che trovarono ovviamente ampia eco nel<br />

momento in cui vennero affrontati i problemi di cui ci stiamo qui occupando, e l’esito delle relative discussioni<br />

fu, per quanto riguarda la confessione cattolica, l’approvazione di uno specifico articolo ad essa dedicato,<br />

l’art.7.<br />

art.7Cost.: «Lo <strong>Stato</strong> e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.<br />

I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti,<br />

non richiedono procedimento di revisione costituzionale»<br />

91 Qui utilizzo CAR<strong>DI</strong>A 2000, p. 418ss.<br />

92 In quanto firmati a Roma nel palazzo del Laterano.<br />

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Non è certamente qui il caso di riportare le innumerevoli tesi sostenute dai vari autori per illustrare<br />

fondamenti e significato dell’articolo in questione. Ai nostri fini sono sufficienti un paio di punti fermi.<br />

Innanzitutto si ha qui una chiara affermazione sul fatto che Chiesa e <strong>Stato</strong> agiscono in due ambiti, del tutto<br />

indipendenti, ossia l’ambito spirituale e quello temporale; e conseguentemente, in ciascuno dei due ambiti si<br />

danno ordinamenti giuridici del tutto autonomi, non subordinabili l’uno all’altro. In secondo luogo vengono<br />

espressamente richiamati i Patti Lateranensi del 1929, richiamati e quindi, in un certo senso, nuovamente<br />

convalidati a livello costituzionale. Si ricorda qui quanto detto supra a proposito di questi Patti, e il fatto che<br />

essi constano di un trattato e di un concordato, entrambi dunque richiamati e convalidati dall’art.7Cost.<br />

Ora questo richiamo in costituzione del trattato non pone, in definitiva, particolari problemi, essendo<br />

esso, come già segnalato, trattato di pace irreformabile e definitivo. Diverso il discorso per il concordato che,<br />

ricordiamo, regola i rapporti dello <strong>Stato</strong> italiano con la Chiesa cattolica in Italia, occupandosi di alcuni,<br />

specifici interessi della confessione cattolica nel nostro paese.<br />

Da quest’ultimo punto di vista i costituenti avevano davanti a sé almeno due possibili opzioni.<br />

Potevano limitarsi a richiamare in costituzione il solo principio concordatario, il fatto cioè che le materie<br />

riguardanti la confessione cattolica si sarebbero sempre dovute regolare tramite un concordato con la Santa<br />

Sede. Hanno invece optato, sia pur dopo un intenso ed appassionato dibattito, per il richiamo esplicito di<br />

quel determinato concordato siglato nel 1929. Questa scelta rassicurava la Chiesa cattolica sul fatto che lo<br />

<strong>Stato</strong> sarebbe rimasto vincolato anche in futuro all’esistenza del concordato del 1929.<br />

Ma qui è necessario un ulteriore chiarimento. E’ evidente che il contenuto del concordato - quanto in<br />

esso disposto su materie interessanti la Chiesa cattolica 93 - per poter essere operativo all’interno<br />

dell’ordinamento giuridico italiano doveva esservi immesso con delle leggi specifiche di esecuzione. Ora<br />

l’art.7Cost, vincola lo <strong>Stato</strong> al concordato del 1929, ma non lo.vincola di per sé alle successive leggi<br />

attuative<br />

Ciò comporta una conseguenza ben precisa. Nel passaggio dal regime fascista al regime<br />

democratico la novità radicale di fondo è costituita dalla carta costituzionale. Se dunque le leggi attuative del<br />

concordato, succedutesi dal 1929 in poi, avessero violato i principi supremi dell’ordinamento costituzionale,<br />

ad esempio il principio di uguaglianza, lo stato non sarebbe stato più vincolato ad esse, ed avrebbe potuto<br />

riformarle secondo i nuovi principi costituzionali. E questo proprio in base al primo comma dello stesso<br />

art.7Cost. secondo cui l’ordinamento giuridico della stato non è subordinato a quello della Chiesa,<br />

trattandosi di due ambiti, il temporale e lo spirituale, del tutto autonomi.<br />

In concreto tra gli anni ’70 e ’80 si sono avuti diversi casi di interventi della Corte costituzionale<br />

indirizzati proprio a riformare, alla luce ad esempio del principio di uguaglianza di tutti i cittadini, diverse<br />

norme attuative del concordato del 1929, sicché è emersa con sempre maggior chiarezza la necessità di<br />

una riforma dei contenuti di quel concordato. Necessità, del resto, condivisa dalla stessa Santa Sede. Non<br />

dobbiamo dimenticare che negli anni ’60 si era tenuto un concilio ecumenico che aveva rinnovato molti<br />

aspetti della Chiesa cattolica, sia dal punto di vista teologico che giuridico. Dunque stavano maturando i<br />

tempi per un nuovo testo concordatario e per intervenire su molti dei privilegi che il concordato del 1929<br />

aveva accordato alla confessione cattolica, in modo tale da favorire equivalenti condizioni giuridiche sia per<br />

essa che per le altre confessioni religiose non cattoliche.<br />

Si arriva così nel 1984 ad un nuovo accordo bilaterale tra <strong>Stato</strong> italiano e Santa sede che modifica,<br />

in alcuni casi in modo notevole, il concordato del 1929.<br />

93 Vedi supra quanto già accennato in merito a due di queste materie, l’insegnamento della religione cattolica e il matrimonio<br />

religioso con effetti civili.<br />

29


Le materie principali su cui è intervenuto l’accordo di modifica sono relative al sostentamento<br />

economico, agli effetti civili del matrimonio religioso, all’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche.<br />

Qualche ulteriore cenno su ciò in seguito 94 .<br />

Volendo proporre un primo riassunto, in termini molto sintetici, di quanto sin qui illustrato, si può dire<br />

che la nostra costituzione, in merito alla tutela della libertà religiosa e di religione, si muove a cerchi<br />

concentrici, ovverossia la tutela muove da livelli più generali per poi differenziarsi in ambiti sempre più<br />

particolari.<br />

Il punto di partenza può, infatti, considerarsi l’art. 2Cost.:<br />

«La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle<br />

formazioni sociali ove si svolge la sua personalità».<br />

Chiarito a suo tempo come i diritti di libertà religiosa e di religione siano nient’altro che attuazione<br />

particolare dei diritti dell’uomo, occorre concludere che già l’art.2Cost tutela l’interesse religioso non solo<br />

della singola persona, ma anche delle formazioni sociali, quelle di base incluse, come, ad esempio, la<br />

famiglia.<br />

Inoltre l’art. 19, oltre cha a ribadire parte dell’art.2, entra più nel particolare, tutelando ulteriormente<br />

qualunque organizzazione sociale a specifico interesse religioso: movimenti, associazioni, confessioni. Ma a<br />

vantaggio di queste ultime una tutela ancor più rafforzata è data dall’art.8 in termini ulteriormente<br />

differenziati. Esso, infatti, prevede una triplice garanzia riferita ad uguale libertà, ad autonomia statutaria, al<br />

principio di bilateralità, a seconda che la confessione in questione sia una semplice confessione di fatto,<br />

abbia personalità giuridica, chieda la stipulazione di un’ intesa 95 .<br />

Infine, per una specifica confessione religiosa alquanto particolare, essendo la sua autorità suprema<br />

anche soggetto di diritto internazionale, l’art.7Cost prevede una tutela garantita da una bilateralità ancorata<br />

all’ordinamento internazionale.<br />

Da altro punto di vista si può osservare che, almeno in un certo senso, quanto più si sviluppa la<br />

struttura organizzativa della formazione sociale con interessi religiosi, tanto più cresce a suo vantaggio la<br />

corrispondente tutela costituzionale. Fatto, questo, più facilmente comprensibile se si ricorda che l’interesse<br />

religioso è un interesse eminentemente pubblico, e quindi tanto più bisognoso di tutela quanto più esso si<br />

presenti diffuso. Ed è presumibile che quanto più una formazione sociale sia complessa, tanto più essa sia<br />

potenziale diffonditrice del proprio, specifico interesse religioso<br />

In questa complessa architettura costituzionale sulla libertà religiosa si hanno come due livelli<br />

interdipendenti. Da una parte la proclamazione di principi, dall’altra l’indicazione di strumenti concreti per<br />

l’attuazione dei medesimi. E gli strumenti più rilevanti sono, come già illustrato, il concordato per la<br />

confessione religiosa cattolica, le intese per le altre confessioni. In tutti e due i casi si tratta di strumenti a<br />

carattere bilaterale, ossia di accordi tra lo stato e la Santa Sede, oppure tra lo <strong>Stato</strong> e le rappresentanze<br />

delle singole confessioni. Accordi, dunque, basati sul principio della bilateralità i cui effetti, come tra poco si<br />

vedrà, sono molto spesso convergenti, ma la cui natura è alquanto diversa.<br />

Nel caso, infatti, del concordato, i due contraenti, <strong>Stato</strong> e Santa Sede, sono entrambi soggetti di<br />

diritto internazionale, e quindi l’accordo rileva anche dal punto di vista dell’ordinamento di diritto<br />

internazionale: esso si perfezione tramite ratifica, come ogni trattato internazionale.. Se lo <strong>Stato</strong> violasse in<br />

modo unilaterale tale accordo, non solo violerebbe l’art. 7Cost, ma sarebbe anche passibile di sanzioni dal<br />

94 E’ da precisare che nel nuovo testo concordatario si dispone esplicitamente solo per l’insegnamento della religione e per il<br />

matrimonio, mentre per la questione degli impegni finanziari dello stato nei confronti della confessione cattolica viene istituita una<br />

commissione di studio ad hoc. L’esito del suo lavoro è stato poi recepito in un successivo accordo tra <strong>Stato</strong> e Santa Sede che<br />

regolamenta tutto la materia fiscale e finanziaria, incluso il sostentamento del clero cattolico (v. qualche ulteriore cenno infra).<br />

30


punto di vista dell’ordinamento internazionale. Nel caso, invece, delle intese, i rappresentanti di queste<br />

ultime sono semplicemente cittadini italiani, tanto che il contenuto dell’intesa deve essere recepito da una<br />

legge ordinaria dello stato. Se lo <strong>Stato</strong> violasse in modo unilaterale un’intesa, violerebbe solo l’art. 8Cost.,<br />

senza rilevanza alcuna nell’ordinamento internazionale.<br />

3.5. Concordato 1984 e intese: materie comuni.<br />

Nel 1984, già lo si è ricordato, si è avuto un accordo di modifica del concordato 1929, a seguito del<br />

quale sono venuti meno diversi privilegi goduti in precedenza dalla Chiesa cattolica. Ciò ha reso possibile<br />

nei fatti (e dal punto di vista politico) anche lo sblocco dell’altro strumento previsto in costituzione, quello<br />

delle intese, rimasto per lunghi decenni inattivo. E’ di tutta evidenza che dal 1948 (anno di entrata in vigore<br />

della costituzione) al 1984 non si è data attuazione all’art.8,c.3Cost.: e questo non per un disinteresse da<br />

parte delle confessioni religiose interessate, ma per motivi decisamente politici.<br />

Sono oggi operanti nel nostro ordinamento gli strumenti previsti nell’art.7Cost. e nell’art. 8Cost.c.3:<br />

sono, dunque, legge dello stato i contenuti non solo del concordato, così come modificato nel 1984, ma<br />

anche delle intese sinora (dicembre 2005) stipulate con confessioni diverse dalla cattolica e regolarmente<br />

approvate. Le confessioni interessate sono: le chiese rappresentate dalla Tavola valdese (1984), l'Unione<br />

italiana delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno (1988), le Assemblee di Dio in Italia (1988), l'Unione<br />

delle Comunità ebraiche italiane (1989), l'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (1995), la Chiesa<br />

Evangelica Luterana in Italia (1995) 96 .<br />

Tra le numerose materie su cui dispongono sia le intese che il concordato con la Chiesa cattolica<br />

credo sia utile ricordare soprattutto quelle relative alle modalità di finanziamento per le confessioni religiose,<br />

agli effetti civili del matrimonio religioso, all’istruzione religiosa nelle scuole, all'assistenza spirituale nelle<br />

strutture obbliganti (ospedali, carceri, caserme).<br />

3.5.1. Il finanziamento.<br />

E’ previsto che al momento della dichiarazione annuale dei redditi ciascun contribuente possa<br />

scegliere di destinare l’8 per mille dell’IRPEF globale riscossa annualmente dallo <strong>Stato</strong> 97 , o allo <strong>Stato</strong><br />

medesimo, o alla Chiesa cattolica, o ad una delle confessioni religiose appena citate (ma con eccezione<br />

della confessione battista che non ha accettato questo tipo di finanziamento). Le somme così raccolte<br />

vengono utilizzate dallo <strong>Stato</strong> per interventi straordinari di tipo sociale, assistenziale o culturale; dalla<br />

Chiesa cattolica per esigenze di culto, per il sostentamento del clero, per interventi caritativi; dalle altre<br />

confessioni religiose quasi esclusivamente per interventi sociali, assistenziali, umanitari e culturali 98 .<br />

95 BOTTA 1998, p. 79.<br />

96 Da ricordare anche che già sono da tempo sottoscritte intese con l’Unione Buddhista Italiana e con la Congregazione cristiana dei<br />

Testimoni di Geova, ma per problemi politici interni all'attuale maggioranza. di governo (dicembre 2005) non è stata ancora<br />

promulgata la relativa legge di esecuzione, e dunque dette intese non hanno ancora efficacia nell'ordinamento.<br />

97 Naturalmente è anche possibile non esprimere preferenza alcuna. Da sottolineare il fatto che l’eventuale indicazione da parte del<br />

singolo contribuente non ha come oggetto la sua quota parte di IRPEF, bensì l’IRPEF globale, a livello nazionale. Questo per un<br />

principio di eguaglianza: per impedire cioè che la diversa condizione economica dei singoli possa costituire in partenza un elemento<br />

di disuguaglianza tra le diverse confessioni, Quindi in realtà la scelta che può esprimere il contribuente va a configurarsi nei fatti<br />

come una sorta di referendum. La torta globale dell’otto per mille dell’IRPEF verrà distribuita proporzionalmente alle indicazioni<br />

pervenute.<br />

98 A titolo esemplificativo si riportano alcuni dati comparativi, tenendo conto che gli importi derivanti dallo 0,8% vengono anticipati,<br />

sulla base dell’anno precedente e salvo conguaglio nell’anno successivo. Ad es., nel 2001 alla Chiesa cattolica è pervenuta la somma<br />

di £ 1.476.956.004.520. Somma destinata ad incrementarsi anno dopo anno, arrivando nel 2005 ad € 984.115.165: nel bilancio<br />

preventivo essa è utilizzata per esigenze di culti (47%), per sostentamento del clero (32%), per interventi caritativi (19%). La Chiesa<br />

Luterana nel 2004 ha ricevuto € 2.892.172 così utilizzati: 15,6% per ministri di culto; 7,3% per opere sociali; 9,9% per gestione<br />

organizzativa; 30% per le varie comunità; 36% per progetti vari della confessione. Sempre nel 2004 la Chiesa Valdese ha ricevuto €<br />

4.583.221 così distribuiti: 92,5% progetti di utilità sociale in Italia e all’estero; 6% spese organizzative; 1,5% compensi al personale.<br />

Per rendersi conto della stratosferica differenza tra i tre bilanci occorre tener presente che in media oltre l'80% dei contribuenti che<br />

31


E’ altresì previsto che ciascun contribuente possa, se lo vuole, inserire tra le spese deducibili della<br />

propria denuncia dei redditi, una cifra massima di euro 1032 (pari a due milioni di vecchie lire) come<br />

contributo da destinare ad una qualunque confessione religiosa.<br />

Ma prima di concludere su questo punto, occorre evidenziare un escamotage, purtroppo presente<br />

nella legge all’origine del sistema dello 0,8%, che nei fatti concede alla Chiesa cattolica un vantaggio<br />

finanziario incolmabile rispetto alle altre confessioni religiose. Infatti, come accennato, i contribuenti scelgono<br />

ogni anno a quale dei soggetti possibili (stato o una delle confessioni religiose) destinare lo 0,8% dell’IRPEF<br />

globale. Sarebbe alquanto logico presumere che chi non esprime una scelta non intenda avvalersi del<br />

sistema proposto, e che quindi la sua non scelta debba andare a vantaggio della fiscalità generale. La<br />

legge in questione invece prevede che «in caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti, la<br />

destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse» 99 .<br />

Ciò significa, concretamente, che la maggioranza delle non scelte viene surrettiziamente assegnata<br />

a vantaggio di quella confessione che già gode della maggioranza delle scelte espresse (una sorta,<br />

appunto, di premio di maggioranza). Lo stato, sovvertendo la volontà del contribuente, concede alla<br />

confessione economicamente già più forte un’ulteriore tutela che le regala dei mezzi finanziari<br />

incomparabilmente superiori a quelli di una qualsiasi altra confessione religiosa, con conseguenti possibilità<br />

di interventi nella società senza pari.<br />

Esemplifichiamo pure, per meglio rendere l’idea: le scelte espresse equivalgono a poco più del 40%<br />

dei contribuenti, e più dell’80% di esse è ogni anno a favore della confessione cattolica. Quest’ultima,<br />

dunque, si aggiudica automaticamente anche oltre l’80% di quel quasi 60% di scelte non espresse, senza<br />

che almeno gran parte di coloro che non scelgono si rendano conto delle conseguenze di tale non scelta 100 .<br />

3.5.2. Il matrimonio.<br />

Concordato ed intese in merito al matrimonio religioso con effetti civili assicurano equivalente<br />

trattamento ai fedeli delle diverse confessioni religiose, pur venendo utilizzate nei rispettivi testi delle<br />

espressioni alquanto diverse: infatti ci si riferisce, per i cattolici ai «matrimoni contratti secondo le norme del<br />

diritto canonico» (è il c.d. matrimonio concordatario), per gli avventisti, pentecostali 101 , battisti e luterani ai<br />

«matrimoni celebrati di fronte ai ministri di culto», per i valdesi ai «matrimoni celebrati secondo le norme<br />

dell’ordinamento valdese», per gli ebrei ai «matrimoni celebrati secondo il rito ebraico». Comunque tutti<br />

questi tipi di matrimonio, ciascuno celebrato secondo un determinato rito religioso e senza che lo stato<br />

interferisca nel medesimo, comportano anche gli effetti civili, sia pur a determinate condizioni di cui in<br />

seguito.<br />

Da altro punto di vista, si può dire che attualmente, nel nostro ordinamento giuridico, «l’unico vincolo<br />

matrimoniale rilevante è solo quello civile che fa sempre capo ad una autonoma volontà dei nubenti di<br />

costituirsi coniugi di fronte al predetto ordinamento» 102 . Le modalità, poi, con cui i due interessati si<br />

costituiscono sposi di fronte all’ordinamento possono essere diverse. Una modalità esclusivamente civile,<br />

costituita dal matrimonio civile (celebrato in comune di fronte al sindaco o ad un suo delegato), oppure, per il<br />

cittadino che intendesse esercitare al riguardo il diritto di libertà religiosa, una modalità a carattere, appunto,<br />

esprimono un’opzione decidono a favore della Chiesa cattolica; il restante 20% è da dividersi tra coloro che optano o a favore dello<br />

<strong>Stato</strong> o di una delle cinque confessioni interessate Vedi inoltre infra l’artificio in merito alle scelte non espresse.<br />

99 Legge 20 maggio 1985, n.222, n. 47, c.3..<br />

100 Istruttive le cifre: ad esempio nel 2003 la confessione cattolica ha incassato una somma di € 787.845.865, di cui ben .€<br />

485.⎫864.544 derivanti dalle scelte non espresse. Da segnalare che la confessione valdese e quella delle Assemblee di Dio si sono<br />

sin qui rifiutate di partecipare alla distribuzione delle scelte non espresse. Ma proprio in questi giorni (novembre 2005) si sta<br />

procedendo ad una riconsiderazione di tale rifiuto.<br />

101 Ossia i fedeli appartenenti alle Assemblee di Dio.<br />

102 BOTTA 1998, p.195.<br />

32


eligioso; in quest’ultimo caso si tratterebbe di scegliere, esercitando ulteriormente la libertà di religione, uno<br />

qualunque dei riti religiosi su citati 103 comportante anche effetti civili.<br />

Da sottolineare che, naturalmente, rimane la libertà di celebrare un matrimonio in una «qualsiasi<br />

forma religiosa senza chiedere per esso il riconoscimento degli effetti civili» 104 . In tal caso per lo stato si<br />

tratterà di una semplice convivenza o di un c.d. matrimonio di fatto. Altrettanto chiaro che anche i matrimoni<br />

religiosi con effetti civili sono soggetti ad una eventuale pronuncia di divorzio, dandosi la quale essi<br />

perderebbero i connessi effetti civili, rimanendo naturalmente valido quanto previsto nel rispettivo<br />

ordinamento confessionale.<br />

Due sono le condizioni richieste perché il matrimonio con rito religioso consegua anche gli effetti<br />

civili: le pubblicazioni e la trascrizione.<br />

a) pubblicazioni.<br />

I due nubendi devono presentarsi all’ufficiale di stato civile, dichiarando la propria volontà di<br />

contrarre matrimonio e specificando il rito religioso cui intendono ricorrere, senza che tale indicazione possa<br />

incontrare ostacoli da parte dell’ufficiale il quale procede all’affissione delle pubblicazioni all’album<br />

comunale. Se non sorgono impedimenti, spirato il termine delle pubblicazioni, l’ufficiale di stato civile<br />

consegna ai nubendi il nulla osta da presentarsi al rispettivo ministro di culto.<br />

Un cenno sul problema degli impedimenti. Con tale termine, si intende una condizione soggettiva di<br />

uno o di ambedue i nubendi, permanendo la quale il matrimonio non può essere celebrato pena la sua<br />

nullità. Sia gli ordinamenti religiosi che quello statale prevedono, ciascuno dal loro punto di vista, degli<br />

impedimenti. Naturalmente agli effetti civili rilevano solo gli impedimenti previsti dal codice civile 105 .<br />

b) trascrizione<br />

Celebrato il matrimonio, il ministro di culto compila l’atto di matrimonio che poi invia, entro 5 giorni e<br />

unitamente al nulla osta ricevuto a suo tempo, all’ufficiale di stato civile il quale, entro 24 ore dalla ricezione,<br />

deve trascrivere l’atto nei registri civili: «con la trascrizione, il vincolo matrimoniale nasce nell’ordinamento<br />

dello <strong>Stato</strong> e resta soggetto integralmente, anche per quanto attiene alle eventuali controversie sulla sua<br />

validità, alle leggi dello <strong>Stato</strong>» 106 .<br />

Ciò significa che il rito religioso ha la funzione primaria di soddisfare l’esigenza religiosa dei<br />

nubendi, ma, una volta esauritosi, rimane il negozio giuridico (ossia il contratto matrimoniale) che, in quanto<br />

tale, è sottoposto alla legislazione dello <strong>Stato</strong>. Da notare che l’effetto civile, pur costituendosi con la<br />

trascrizione, è retroattivo, decorrendo dal momento della celebrazione nuziale.<br />

3.5.3. L’istruzione religiosa.<br />

Sull’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, si dà una sostanziale differenza tra la<br />

Chiesa cattolica da una parte e le altre confessioni dall’altra, differenza giustificata dal fatto che, come già<br />

accennato, il concordato vigente è in realtà una modificazione del concordato del 1929 e della legislazione<br />

da esso derivante.<br />

In questa materia la Chiesa cattolica ha mantenuto un rilevante privilegio, perché lo stato continua<br />

ancor oggi ad assicurare, mediante personale insegnante da lui stesso retribuito, e dunque stabilmente<br />

strutturato all'interno dell'istituzione scolastica, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche<br />

103 Rito cattolico (matrimonio concordatario), valdese, battista, luterano, avventista, pentecostale, ebraico. A tutt’oggi (dicembre<br />

2005) si danno queste possibilità, destinate ad aumentare essendo molto probabile la firma di ulteriori intese (le prossime dovrebbero<br />

essere con i buddisti e con i Testimoni di Geova).<br />

104 CAR<strong>DI</strong>A 1996, p. 435.<br />

105 La precisazione vale soprattutto per gli impedimenti gravi, quelli, cioè, secondo la legge civile, inderogabili: ad es. un vincolo<br />

matrimoniale già in essere, una relazione di consanguineità, interdizione per infermità mentale. Altri impedimenti più leggeri, ad es.<br />

l’età, potrebbero essere, anche per la legge civile, dispensabili.<br />

33


non universitarie. Naturalmente nessun alunno è obbligato a seguire tale insegnamento, ma al momento<br />

dell’iscrizione alla scuola ciascuno sceglie, in piena libertà, se avvalersi o non avvalersi del medesimo.<br />

L'alunno che non si avvalesse di detto insegnamento non può essere obbligato a frequentare, durante l'ora<br />

di religione, un'attività integrativa. La Corte Costituzionale ha infatti stabilito (1989) che l'alternativa per chi<br />

non scegliesse l'ora di religione non può consistere in un qualcosa di obbligante: «La previsione infatti di un<br />

altro insegnamento obbligatorio verrebbe a costituire condizionamento per quella interrogazione di<br />

coscienza che deve essere conservata attenta al suo unico soggetto: l'esercizio della libertà costituzionale<br />

di religione» 107 .<br />

Rimane, comunque, come già accennato, un forte privilegio per la Chiesa cattolica. Le intese con le<br />

altre confessioni, infatti, prevedono solamente il diritto, da parte delle medesime, di rispondere ad eventuali<br />

richieste degli alunni in ordine allo studio, in ambito scolastico, del fatto religioso, ma senza che ciò comporti<br />

oneri finanziari a carico dello <strong>Stato</strong>. Nel caso della religione cattolica, invece, il relativo insegnamento è<br />

oggettivamente obbligatorio, nel senso che deve essere comunque attivato ancor prima che l'utenza decida<br />

se avvalersene o meno: esso è materia stabilmente assicurata, con programmi definiti da cui discende,<br />

sempre secondo la sentenza appena citata, «la responsabilità per il docente di espletare un compiuto<br />

programma di insegnamento». Inoltre, la scelta di avvalersene crea, per lo studente in questione, l'obbligo<br />

scolastico di frequentarlo, diventando così l'insegnamento obbligatorio anche soggettivamente, e<br />

integrandosi nel relativo curriculum. Ed infatti, anche se non sono previsti né voti né esami, è comunque<br />

prevista una valutazione del profitto che allo stato attuale viene espressa in un apposito modulo, distinto<br />

dalla pagella. Inoltre il docente di religione è membro degli organi scolastici, anche se partecipa alle<br />

valutazioni periodiche e finali solo per gli alunni frequentanti il proprio corso.<br />

E questo carattere curriculare ha certamente favorito l’approvazione di una legge (18.7.2003) <strong>sullo</strong><br />

stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica, che pone gravi problemi di commistione tra ordinamento<br />

confessionale e ordinamento dello stato. Essi, infatti, vengono ammessi nei ruoli dell’insegnamento statale,<br />

tramite un concorso riservato, per la cui ammissione si deve «essere in possesso del riconoscimento di<br />

idoneità…rilasciato dall’ordinario diocesano [cioè del vescovo] competente per territorio» (art.3, c.4) 108 . E’ da<br />

sottolineare che il giudizio di idoneità rilasciato dal vescovo è a suo totale, insindacabile giudizio. Nei fatti,<br />

materia del giudizio non è solo la competenza professionale dell’insegnante 109 , ma anche la coerenza della<br />

sua vita privata con i principi della morale cattolica. La successiva immissione in ruolo avviene nuovamente<br />

con il consenso da parte del vescovo (art.3, cc. 7 e 8), che può esser ritirato 110 in qualunque momento,<br />

inducendo così la risoluzione del rapporto di lavoro 111 . In questo caso, l’unica possibilità per l’insegnante di<br />

evitare il licenziamento è quella di riuscire ad utilizzare la mobilità professionale prevista dalla normativa<br />

ordinaria.<br />

Un giudizio complessivo sull’odierno insegnamento della religione nella scuola, porta a concludere<br />

che il sistema attuale favorisce nei fatti la confessione cattolica ancor più che nel passato. Non solo le<br />

106 CAR<strong>DI</strong>A cit., p. 440.<br />

107 Coerentemente, la Corte ha anche stabilito che «nello stato di non obbligo deve ritenersi compresa, tra le altre possibili, anche la<br />

scelta di allontanarsi o assentarsi dall'edificio della scuola».<br />

108 L’idoneità di cui nel testo include sia la preparazione professionale del candidato (e questo potrebbe avere una sua plausibilità),<br />

sia la ortodossia dottrinale e morale del medesimo, giudicata secondo la fede cattolica (basterebbe questo a qualificare la legge in<br />

questione in senso confessionale).<br />

109 Da questo punto di vista oggi gli insegnanti di religione sono, mediamente, molto preparati, essendo obbligatoriamente richiesti<br />

determinati titoli.<br />

110 Quando, cioè, il vescovo dovesse decidere che l’insegnante non è più idoneo, o per incapacità professionale o per aver mancato ai<br />

doveri di buon cristiano (esempio, per aver divorziato)<br />

111 L’interessato può eventualmente adire solo il tribunale ecclesiastico: l’eventuale sentenza canonica trova esecuzione senza<br />

possibilità di appello al TAR.<br />

34


percentuali di chi sceglie di avvalersi dell’ora di religione cattolica continuano ad avvicinarsi al 100% 112 , non<br />

solo gli insegnanti cattolici, come già visto, sono, come in passato, pagati dallo stato, oltre che,<br />

differentemente dal passato, assunti in ruolo, ma anche si hanno attualmente disposizioni rigorose<br />

sull’insegnamento della religione nelle scuole materne e nelle primarie, quando nel passato in questo tipo di<br />

scuole, nei fatti, l’insegnamento in questione era stato presso che abbandonato.<br />

Da notare infine che questa situazione di privilegio a favore della confessione cattolica non deriva di<br />

per sé dal testo concordatario del 1984, bensì da una serie di accordi, ad esso successivi, tra il ministero<br />

della Pubblica Istruzione e i vertici dell’episcopato italiano, accordi che hanno interpretato il testo suddetto in<br />

senso estensivamente favorevole alla Chiesa cattolica.<br />

3.5.4. Le strutture obbliganti.<br />

Anche in merito all'assistenza religiosa all'interno delle strutture obbliganti (carceri, caserme,<br />

ospedali), la Chiesa cattolica gode, a fronte delle altre confessioni, di una posizione di privilegio, derivante in<br />

parte dalla precedente situazione concordataria, ma in taluni casi ancor più accentuata rispetto a<br />

quest’ultima.<br />

Il principio generale è il seguente: da una parte, la confessione cattolica gestisce, all'interno della<br />

struttura obbligante, un servizio di assistenza spirituale strutturato, predisposto di per sé, finanziato a cura<br />

della struttura stessa, al quale il fedele può rivolgersi direttamente; dall’altra, per le confessioni diverse dalla<br />

cattolica esiste solo la possibilità che gli eventuali interessati si attivino, o per fruire dell’assistenza all’interno<br />

della struttura (ma senza alcun aggravio economico per quest’ultima), o per accedere al più vicino luogo di<br />

culto esterno.<br />

Credo interessante esemplificare citando i casi della polizia di stato e degli ospedali.<br />

Quanto alla prima, un accordo tra il ministro dell’Interno e il presidente della Conferenza Episcopale<br />

Italiana stabilisce un’articolata organizzazione dei cappellani cattolici 113 : essi godono di un incarico annuale<br />

tacitamente rinnovabile a carico dell’amministrazione, vengono equiparati, quanto a «dignità» e a«rango» ai<br />

commissari di polizia, usufruiscono di un alloggio di servizio, di un ufficio, di almeno un segretario, di un<br />

auto, di un «telefono portatile per garantire la reperibilità» 114 . Loro compito non è solo relativo alla vera e<br />

propria assistenza spirituale e di culto, dovendo essi anche contribuire «alla formazione del personale per<br />

l’approfondimento di principi di carattere etico-morale», non che offrire «il sostegno al personale e alle<br />

famiglie in difficoltà» 115 .<br />

In merito agli ospedali, non si ha una situazione comune a livello nazionale, coerentemente al fatto<br />

che è ormai di competenza delle regioni molta parte del sistema sanitario. Per il problema che qui interessa,<br />

sono da segnalare due accordi intercorsi in Lombardia e in Toscana tra i presidenti regionali ed i vescovi del<br />

rispettivo territorio: nell’un caso e nell’altro, gli assistenti religiosi cattolici sono assunti in ruolo a carico<br />

dell’azienda sanitaria.<br />

Colpisce in modo particolare quanto previsto nell’accordo lombardo in merito alle finalità<br />

dell’assistenza religiosa, della quale si dà un’interpretazione larghissima che, se applicata, andrebbe a<br />

confliggere con la libertà costituzionale che ogni paziente ospedalizzato ha di non condividere i principi<br />

della religione cattolica. Compito infatti del cappellano cattolico sarebbe non solo quello relativo<br />

112 Secondo i dati forniti dal ministero nell’anno scolastico 2004/05 si ha avuto la seguente media nazionale: scuola materna 95,9%;<br />

scuola primaria 95,9%; scuola secondaria 94,3%; scuola superiore 87,4% (L’Avvenire, 7.9.2005, p. 4); con punte generali al 99% in<br />

molte zone del Sud.<br />

113 Vedi l’intesa tra ministro dell’Interno e il presidente della CEI del 9.9.1999, e il successivo il decreto ministeriale, applicativo del<br />

8.10.2004, art.6.1 (leggili in http://www.olir.it).<br />

114 Decreto cit., art. 5.3.<br />

115 Ivi, art.5.2.<br />

35


all’assistenza spirituale di colui che ne facesse richiesta, ma includerebbe: «il sostegno al processo<br />

terapeutico della persona ammalata; la promozione di attività culturali; il contributo in materia di<br />

umanizzazione nella formazione del personale in attività di servizio; la promozione del volontariato» 116 .<br />

Possiamo aggiungere un cenno a problemi specifici posti solo da alcune confessioni in merito al<br />

giorno di riposo e a determinate prescrizioni a carattere alimentare. Così l'intesa con gli avventisti e quella<br />

con le comunità ebraiche prevedono il diritto di osservare il riposo settimanale nel giorno di sabato, sia pur<br />

«nel quadro della flessibilità dell'organizzazione del lavoro», e restando salve «le esigenze di servizi<br />

essenziali», e prevedono, di conseguenza, l'eventuale assenza scolastica e la non effettuazione di<br />

concorsi o di esami in detto giorno. Inoltre, la sola intesa con le comunità ebraiche dispone che sia<br />

possibile la macellazione «in conformità alla legge e alla tradizione ebraiche» 117 , e che nelle strutture<br />

obbliganti sia assicurata, a richiesta e senza oneri per l'istituto, un tipo di alimentazione secondo le<br />

prescrizioni ebraiche 118 .<br />

In conclusione di questa prima parte.<br />

Sono state delineate le caratteristiche fondamentali rivestite dal nostro ordinamento nei confronti<br />

della libertà religiosa e di religione. Ci si può chiedere se il nostro paese, a fronte del fenomeno religioso, sia<br />

un paese veramente laico: cioè, se si dia una separazione tra ordinamento secolare e confessioni religiose,<br />

e se lo stato sia neutrale verso di esse, non privilegiandone alcuna, ma cooperando con tutte in termini<br />

equivalenti.<br />

Dal punto di vista dei principi costituzionali la risposta non può che essere del tutto positiva: lo stesso<br />

richiamo in costituzione, storicamente inevitabile, del concordato con la Santa Sede a tutela della<br />

confessione cattolica non pregiudica di per sé l’intera architettura costituzionale sul fenomeno religioso,<br />

essendo l’art.7 sufficientemente bilanciato dagli artt.2,3,8,19.<br />

Ma le cose cambiano passando dal piano costituzionale a quello di specifici accordi, successivi al<br />

testo concordatario del 1984, tra autorità civile e religiosa, ed alla relativa normativa di attuazione. Abbiamo<br />

in proposito esaminato temi relativi al matrimonio, al finanziamento, all’insegnamento religioso nella scuola,<br />

all’assistenza spirituale nelle strutture obbliganti. In alcuni di questi casi, lo stato dismette la laicità<br />

costituzionale per assumere un atteggiamento di parte, dunque confessionale, a favore della confessione<br />

cattolica. In buona sostanza si presume che il servizio religioso ad impronta cattolica interessi, in modo<br />

preliminare e generalizzato, tutti i cittadini coinvolti nella scuola, nella polizia di stato, negli ospedali. Per cui<br />

esso viene messo a carico della fiscalità generale, senza preoccuparsi se il cittadino di fede ebraica o<br />

luterana o valdese abbia o meno equivalenti risorse per soddisfare quella medesima esigenza religiosa che<br />

la costituzione assicura anche a lui, e non solo al cittadino cattolico.<br />

Se a tutto questo aggiungiamo l’escamotage a suo tempo segnalato in merito al sistema dello<br />

0.8%IRPEF, è facilmente intuibile come la confessione cattolica abbia assunto un ruolo predominante sulle<br />

altre confessioni grazie non tanto ad una sua autonoma capacità espansiva, quanto a specifici interventi<br />

protettivi da parte dello stato.<br />

116 Protocollo d’intesa tra la Regione Lombardia e la Regione Ecclesiastica Lombarda, 21.3.2005, art.5. (leggilo nel sito olir citato).<br />

L’accordo toscano evita di entrare in questo tipo di tematica, rivestendo esso un carattere molto generico, rinviando per i particolari<br />

ad eventuali accordi tra le singole aziende ospedaliere ed i singoli vescovi (v. sul sito citato l’intesa tra la Regione Toscana e la<br />

Conferenza Episcopale Toscana del 24.1.2005). E’ da segnalare al proposito un duplice accordo intervenuto tra l’azienda<br />

ospedaliera di Careggi, e da una parte la comunità islamica, dall’altra la comunità ebraica: si definiscono le modalità per<br />

l’individuazione dei rispettivi ministri di culto deputati all’assistenza religiosa nel caso di specifiche richieste, non che la procedura<br />

da seguire in merito, ferma restando l’assenza di oneri per l’azienda sanitaria.<br />

117 Il principio fondamentale in merito richiede che l'animale macellato versi tutto il proprio sangue.<br />

118 Ciò che corrisponde alla cucina kasher nella quale, ad esempio, è permessa la carne di bovini ed ovini (ma evitando il sangue e<br />

alcuni tipi di grasso), ma non quella di equini e suini, mentre è proibita la contaminazione, durante la cottura, di carne con latticini.<br />

La cucina kasher comincia oggi ad essere proposta anche in ristoranti, mense aziendali e scolastiche ecc.<br />

36


Una tale condizione di privilegio restringe obiettivamente la capacità espansiva delle altre<br />

confessioni religiose condizionando, nei fatti, una reale applicazione dellart.8,1Cost.: «Tutte le confessioni<br />

religiose sono egualmente libere davanti alla legge».<br />

37


4.1. Le confessioni religiose cristiane<br />

Si impone un'osservazione preliminare. Le attuali chiese cristiane di cui andremo ad occuparci si<br />

richiamano tutte, dal punto di vista della loro stessa ragion d'essere, alla fede nell'insegnamento di Gesù<br />

Cristo, così come tramandato dai vangeli. Ciò significa tra l'altro che il cristianesimo, nei suoi primi secoli di<br />

vita, costituiva una Chiesa unitaria: la Chiesa cristiana, per tutto il primo millennio, era sostanzialmente una<br />

sola, era davvero cattolica 119 . Nell'accezione odierna, invece, per Chiesa cattolica si intende quella<br />

particolare Chiesa cristiana governata dal papa o pontefice, chiesa che riveste, a fronte delle altre chiese<br />

cristiane, una particolare importanza, sia dal punto di vista storico che da quello del numero attuale dei suoi<br />

aderenti, sia perché, come già ampiamente illustrato, il suo ente esponenziale, la Santa Sede, gode di<br />

personalità giuridica nell'ordinamento internazionale.<br />

Tratteremo dunque innanzitutto e più diffusamente delle caratteristiche costitutive della Chiesa<br />

cattolica odierna; del resto tale trattazione aiuterà a meglio capire le differenze successivamente intervenute<br />

nell'organizzazione del cristianesimo, a causa delle quali si sono poi man mano costituite le differenti chiese<br />

(o confessioni) cristiane oggi esistenti.<br />

4.1.1. La Chiesa cattolica..<br />

N.B. Occorre tener presente lo schema inserito in coda a questa dispensa.<br />

Dal punto di vista della sua costituzione la Chiesa cattolica è il risultato di una duplice serie di<br />

elementi: l'una non modificabile da alcuna autorità umana, l'altra modificabile e di fatto modificatasi nel<br />

corso della sua plurisecolare storia (nello schema i due periodi – A) e B) il primo, C) il secondo - sono divisi<br />

da una linea orizzontale tratteggiata). Gli elementi del primo periodo non sono modificabili perché, secondo<br />

la dottrina della Chiesa, essi o sono stati voluti direttamente da Cristo o hanno avuto origine nell'ambito delle<br />

primitive comunità cristiane (I° -II° secolo).<br />

Entrando nel particolare, il periodo in questione presenta a sua volta (cfr. lo schema) un duplice<br />

aspetto: una fase fondativa A) e una fase evolutiva B). La fase A) è quella direttamente avviata dalla<br />

predicazione di Gesù Cristo, ed è caratterizzata dal formarsi delle prime comunità cristiane, sorte ciascuna<br />

sotto la guida di un apostolo di Cristo (dunque, comunità apostoliche, formatesi negli anni immediatamente<br />

successivi alla sua morte), e nell'ambito delle quali, grazie a particolari tradizioni orali, sono stati redatti i<br />

quattro testi costituenti il vangelo di Marco, Matteo, Luca e Giovanni.<br />

La fase evolutiva B) appartiene al periodo immediatamente successivo alle comunità apostoliche (II°<br />

secolo), durante il quale sono state gettate le fondamenta costituzionali della Chiesa. Questa andava<br />

sempre più diffondendosi e strutturandosi grazie all’attività missionaria basata sulla predicazione e sulla<br />

celebrazione di riti religiosi nuovi, diversi da quelli conosciuti fino allora. Nacque così, dal punto di vista<br />

istituzionale la figura del vescovo, vale a dire del responsabile ultimo delle nuove comunità cristiane che<br />

andavano via via formandosi. Queste nuove comunità non rimanevano isolate l’una dall’altra, perché i<br />

vescovi si sentivano uniti da un legame di collegialità: le decisioni più importanti venivano così prese da tutti<br />

i vescovi di una determinata regione che si riunivano in concilio, metodo di governo questo che va sotto il<br />

nome di sinodalità (da un antico termine greco che significa assemblea). Lo stesso vescovo di Roma (che<br />

poi diverrà papa), nei primi secoli, pur rivestendo un ruolo di onore tutto particolare (perché primo vescovo di<br />

Roma era stato Pietro, l'apostolo prediletto da Cristo), rispettava questo criterio della sinodalità.<br />

Solo in un secondo tempo (dal III-IV secolo in poi) il ruolo del vescovo di Roma assume un<br />

significato preminente, di tipo gerarchico: si va costituendo quello che poi diverrà il primato pontificio, vale a<br />

dire un primato di giurisdizione da parte del papa su tutti i vescovi e dunque sulla Chiesa universale. Inizia<br />

119 Aggettivo derivante dal greco col significato appunto di universale.<br />

38


così un periodo dell'organizzazione ecclesiastica condizionato da avvenimenti storici e da questioni<br />

politiche, ma anche da necessità organizzative complesse. Questo secondo periodo (vedi la seconda parte<br />

in basso dello schema, periodo C), comporta il consolidamento di uffici e la creazione di organismi non voluti<br />

direttamente da Cristo né derivabili dalla primitiva tradizione cristiana, ma semplicemente richiesti dalla<br />

crescente complessità organizzativa della Chiesa universale.<br />

E' da avanzare qui un'osservazione assai importante dal punto di vista storico.<br />

Nel primo periodo, quello della duplice fase fondativa ed evolutiva, la Chiesa era davvero cattolica,<br />

ossia universale, perché non si erano ancora avute al suo interno le divisioni che ci sarebbero<br />

successivamente state. Ne ricordiamo almeno le più importanti: la scissione operata dalle chiese orientali<br />

(1054), che ha dato origine alle diverse Chiese ortodosse oggi esistenti; quella avviata da Martin Lutero<br />

(1517), con conseguente scisma protestante; quella provocata dalla Chiesa d'Inghilterra (1534), sfociata poi<br />

nella costituzione della confessione anglicana (o anglicanesimo). E' significativo che quantomeno gli<br />

ortodossi e gli anglicani accettino pienamente le istituzioni nate nel primo periodo della Chiesa, quello non<br />

modificabile, con particolare riguardo alla figura del vescovo (mentre contestano molte delle pratiche<br />

ecclesiastiche sopravvenute nel secondo periodo).<br />

L'accennata complessità organizzativa ha così consolidato, nella Chiesa cattolica, l'ufficio papale<br />

(vedi schema), divenuto il vertice decisionale per la Chiesa universale, ufficio che, in ordine al governo<br />

concreto della Chiesa e ai rapporti con gli Stati, assume la denominazione di Santa Sede. Le strutture che<br />

la Santa Sede utilizza per il governo della Chiesa universale, centralizzate nello stato Città del<br />

Vaticano,costituiscono la Curia romana 120 .<br />

Il papa inoltre utilizza, per determinate esigenze, il parere consultivo espresso dal collegio dei<br />

cardinali e da una rappresentanza dei vescovi di tutto il mondo che si riunisce in un'assemblea denominata<br />

sinodo dei vescovi<br />

Tutto ciò a livello universale. Ma, come si evince dallo schema, vi sono elementi organizzativi assai<br />

importanti anche a livello intermedio e locale: nel primo caso si hanno le conferenze episcopali, ossia<br />

l'assemblea generale includente tutti i vescovi di un determinato territorio, in genere corrispondente ad uno<br />

<strong>Stato</strong>, che deliberano su materie riguardanti la vita di quella determinata Chiesa nazionale; nel secondo<br />

caso, si hanno le parrocchie e le diocesi.<br />

Concludendo questa parte, possiamo dire che oggi gli attori essenziali nel governo della Chiesa<br />

cattolica sono a livello universale la Santa Sede, a livello intermedio le conferenze episcopali, a livello locale<br />

i vescovi. Ma, a dispetto di tale elenco, da quanto illustrato risulta che solo l'ufficio del vescovo (ufficio<br />

episcopale) appartiene alla costituzione non modificabile della Chiesa, così come voluta da Cristo e praticata<br />

dalle prime comunità cristiane. Mentre sia la Santa Sede che le conferenze episcopali sono il frutto di<br />

un'evoluzione storica che, in linea almeno di principio, potrebbe anche conoscere fondamentali modifiche<br />

senza per questo intaccare la missione affidata da Cristo alla Chiesa. Per richiamare un concetto già<br />

espresso, se per ipotesi il papa decidesse di organizzare diversamente il proprio ufficio, al limite<br />

cancellando la denominazione stessa di Santa Sede, o decidesse di sostituire le conferenze episcopali con<br />

altro organismo, potrebbe fare tutto ciò senza attentare con questo alla costituzione della Chiesa. Ma non<br />

rientra nelle possibilità del papa quella di abolire la funzione del vescovo, perché in una tale ipotesi<br />

crollerebbero le fondamenta stessa della Chiesa.<br />

4.1.2. Le Chiese protestanti.<br />

120 Ma sulla Santa Sede e sulla curia romana v. supra.<br />

39


E’ stato già accennato che la Chiesa cattolica, dal punto di vista della distribuzione del potere al suo<br />

interno, è configurata come una struttura ad ordinamento episcopale. In essa, infatti, l'ufficio del vescovo<br />

svolge un ruolo centrale, godendo non solo di una giurisdizione 121 , ma anche, e soprattutto, di una capacità<br />

personale, mai delegabile, di tipo spirituale: trattasi di un vero e proprio potere, a carattere spirituale<br />

appunto, dunque di natura ben diversa rispetto alla giurisdizione e con una sua specifica efficacia. Questo<br />

potere, chiamato potere d'ordine, gestisce determinati beni spirituali, quei beni che, secondo la dottrina della<br />

Chiesa, sono indispensabili per la salvezza spirituale. Il vescovo conferisce parte di questo suo potere ai<br />

sacerdoti i quali grazie ad esso possono amministrare ai fedeli i sacramenti (primo fra tutti la messa o<br />

eucarestia), ovverosia quei riti sacri che trasmettono a ciascun fedele un determinato beneficio in ordine alla<br />

salvezza. Il potere episcopale così inteso è riconosciuto anche all'interno della Chiesa anglicana e della<br />

Chiesa ortodossa, 122 delle quali però qui non ci occuperemo.<br />

Le altre Chiese cristiane non conoscono un ruolo del vescovo nei termini appena delineati, perché si<br />

richiamano sostanzialmente ai principi avanzati in questo campo dalla riforma protestante di Martin Lutero<br />

(sec. XVI) che è opportuno qui brevemente richiamare. Il principio base di essa consiste nell'affermazione<br />

che l'uomo, radicalmente peccatore, diventa giusto di fronte a Dio non grazie alle proprie opere buone (e ai<br />

conseguenti meriti), ma esclusivamente in virtù della fede, intesa innanzitutto come relazione personale<br />

con Gesù Cristo (dunque, giustificazione per fede): fede che deve essere alimentata da una costante – e<br />

personale – lettura della Bibbia. Quest'ultima è la vera, ultima autorità all'interno della Chiesa. Non si rende<br />

dunque necessaria mediazione umana alcuna, la salvezza non passa attraverso l'istituzione ecclesiastica.<br />

Si ricorda che per la Chiesa cattolica si hanno sette sacramenti, vale a dire sette riti sacri, mediante i<br />

quali vengono comunicati al fedele i beni spirituali necessari alla salvezza dell'anima. La maggioranza di essi<br />

sono destinati a ciascun fedele, in relazione ad alcuni momenti forti della sua vita: la nascita (sacramento del<br />

battesimo), il passaggio dall’infanzia all’adolescenza (sacr. della cresima), il formarsi di una famiglia (sacr.<br />

del matrimonio), una grave malattia (sacram. dell’unzione degli infermi). Si hanno poi due sacramenti che<br />

dovrebbero accompagnare costantemente ciascun fedele cattolico, vale a dire l’eucarestia (la messa) e la<br />

confessione (o penitenza). Si ha, infine, un ultimo sacramento riservato a coloro che diventano sacerdoti e<br />

poi, eventualmente, anche vescovi: il sacramento dell’ordine. E solo i sacerdoti e i vescovi possono<br />

amministrare i singoli sacramenti.<br />

Ben diversa in merito la dottrina protestante. Essa innanzitutto riconosce solamente il rito del<br />

battesimo (in genere, per immersione) e quello dell’eucarestia, denominato cena del Signore. Ma, e<br />

soprattutto, questi riti sono solamente simboli, tramite i quali viene ricordata l'opera redentrice di Cristo: essi,<br />

di per sé, non trasmettono alcun bene spirituale. Conseguentemente, qualunque fedele può amministrare il<br />

battesimo o presiedere il rito della cena, e quindi non esiste, nelle chiese protestanti, la figura del vescovo o<br />

del sacerdote cattolici, rivestiti di un potere sacro del tutto specifico. Esistono dei ministri di culto (o pastori),<br />

che svolgono una funzione all'interno della Chiesa, senza rivestire carattere di sacralità: sulla base del<br />

principio del sacerdozio universale dei fedeli, chiunque tra questi ultimi può essere, almeno in linea di<br />

principio, ministro del culto, senza che questo comporti l'attribuzione di un particolare potere d'ordine.<br />

Non vi è quindi, come nella Chiesa cattolica, il sacerdote o il vescovo che fa da mediatore tra il<br />

singolo e la divinità. L’esempio più calzante è quello della remissione dei peccati. Anche nelle chiese<br />

protestanti si ha un’etica, da alcuni punti di vista forse ancora più rigorosa che non l’etica cattolica. Ma,<br />

121 Includente, ricordiamolo, la titolarità del potere legislativo, esecutivo e giudiziaria.<br />

122 La confessione ortodossa, che comprende chiese di diversa, antichissima tradizione situate in Oriente, è nata con il distacco<br />

dalla Chiesa di Roma avvenuto nel 1054 per opera della Chiesa di Costantinopoli, mentre la confessione anglicana è dovuta<br />

all'opera di Enrico VII, re d'Inghilterra che nel 1534 costituì una Chiesa nazionale inglese, sottraendola all'autorità del papa. La<br />

presenza di fedeli ortodossi e anglicani nel nostro Paese è fortemente minoritaria, per lo più concentrata, per motivi storici, in alcune<br />

specifiche zone<br />

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differentemente dalla Chiesa cattolica per la quale il peccato viene rimesso tramite il sacramento della<br />

confessione (e quindi tramite un ministro), nelle Chiese protestanti il fedele non ha bisogno di un sacerdote<br />

confessore. Egli è certamente tenuto a pentirsi, ma questo avviene, o nel chiuso della sua coscienza, o, in<br />

alcune confessioni protestanti, pubblicamente, nel corso di un rito religioso: in ogni caso il perdono gli deriva<br />

non da un ministro di culto, ma direttamente dall’opera redentrice di Cristo.<br />

Occorre precisare un elemento estremamente importante. L’obiettivo iniziale dell’attività di Martin<br />

Lutero era quello di riformare la Chiesa cattolica, in particolar modo il papato, per recuperare lo spirito<br />

originario del cristianesimo. Solo in un secondo tempo, a causa delle resistenze di ogni tipo incontrate in<br />

questo suo tentativo di riforma, Lutero elaborò dei principi che, come visto, andavano a scuotere le<br />

fondamenta stesse della Chiesa romana. Lutero venne così scomunicato dal papa, ma in compenso ebbe la<br />

solidarietà e la protezione di quei principi tedeschi che si opponevano al potere temporale del papa.<br />

Iniziò così il lungo viaggio del protestantesimo, che gradualmente si diffuse non solo in Europa ma<br />

anche nel nuovo continente americano. Ma per una serie di motivi alquanto complessi, prima fra tutti il fatto<br />

che nel protestantesimo non esiste un’autorità centrale (tipo quella del papa nella Chiesa cattolica), ben<br />

presto dal tronco originario del luteranesimo derivarono altre denominazioni religiose: dal calvinismo<br />

all’anglicanesimo, dal metodismo all’avventismo ecc. Confessioni religiose queste, e molte altre, che pur<br />

richiamandosi ai principi fondamentali della dottrina luterana, presentano dei tratti specifici, sia dal punto di<br />

vista dottrinario che organizzativo. Dunque, oggi quando si parla di protestantesimo in realtà ci si riferisce<br />

ad una vera e propria galassia all’interno della quale convivono, non sempre del tutto pacificamente,<br />

innumerevoli organizzazioni religiose, alcune antiche, altre recentissime, alcune nate in Europa, altre in<br />

America, alcune con una forte struttura autoritaria 123 , altre a gestione del tutto democratica.<br />

Le principali confessioni protestanti presenti nel nostro Paese, e aventi tutte un’intesa con lo <strong>Stato</strong><br />

italiano, sono: le Assemblee di Dio in Italia, la Chiesa Cristiana Avventista del 7° giorno, la Confessione<br />

Battista, la Chiesa Evangelica Luterana, la Chiesa Valdese che condivide l’intesa con la Chiesa Metodista.<br />

5. Le Comunità ebraiche<br />

In via preliminare occorre precisare una distinzione tra ebraismo e religione ebraica. L’ebraismo è un<br />

complesso fenomeno culturale che prende avvio storicamente nell’ultimo scorcio del I secolo d.C., quando<br />

gli ebrei gradualmente abbandonano la Palestina ormai totalmente sottomessa al giogo romano. Inizia così<br />

la diaspora, ossia la dispersione del popolo ebraico al di fuori della sua terra.<br />

Nel corso del tempo tale dispersione non si è risolta in un fenomeno semplicemente logistico, ma ha<br />

comportato un costante processo di scambio tra la originaria cultura degli emigrati ebrei e le culture<br />

(soprattutto europee ed americana) con le quali essi venivano in contatto.<br />

Si è così costituito un ebraismo della diaspora la cui fisionomia culturale, pur arricchita dallo scambio<br />

di cui sopra, mantiene un forte, del tutto specifico carattere identitario basato su di un’idea religiosa. Essa<br />

consiste nella consapevolezza che in tanto ci si uò definire ebrei in quanto si è discendenti di quelle<br />

antichissime tribù semite che, secondo la Bibbia, Dio strinse a sé con un patto di fedeltà includente un fatto<br />

123 Ad esempio la Chiesa Avventista ha una struttura gerarchica complessa, simile a quella della Chiesa cattolica. Essa, infatti, pur<br />

essendo basata sulla chiesa locale, è estremamente articolata dal punto di vista gerarchico. E' una sorta di piramide al cui vertice sta<br />

la Conferenza generale con sede a Washington, organo coordinatore su scala mondiale. Ai gradi inferiori si hanno: la Divisione<br />

(organismo sovrannazionale, due in Europa), l'Unione (raggruppa chiese di uno o più Stati), la Federazione (chiese di un determinato<br />

territorio all'interno di un unico <strong>Stato</strong>) e infine la comunità locale. Siamo dunque in presenza di un'accentuata internazionalizzazione<br />

(simile, da certi punti di vista, alla Chiesa cattolica)., così come può essere notata una forte centralizzazione. Infatti l'autogoverno<br />

delle singole comunità è molto limitato. I pastori delle medesime non sono eletti, ma nominati (in Italia dall'Unione). Inoltre, in ogni<br />

grado della struttura gerarchica segnalata sono previste elezioni per nominare dei delegati all'assemblea superiore, ma esse non sono<br />

del tutto libere essendo orientate da un comitato di nomina proponente una lista di possibili eligendi.. Infine, ogni decisione in<br />

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en preciso: l’instaurazione, in un tempo futuro indefinito, di un’era messianica, difficilmente descrivibile con<br />

criteri umani ma sintetizzabile nella famosa immagine della terra promessa .<br />

Tale senso identitario, pur fondato su di un riferimento latamente religioso, è cosa diversa dalla vera<br />

e propria pratica religiosa secondo corrispondenti dettami confessionali. Ciò significa che l’ebraismo<br />

religioso è un segmento del più ampio ebraismo culturale, e che, ancor più concretamente, possono esservi<br />

ebrei anche del tutto disinteressati alla pratica religiosa. In merito a quest’ultima, poi, si danno, come del<br />

resto in ogni confessione religiosa, gradi differenziati: si va da atteggiamenti religiosi del tutto aperti ai valori<br />

laici (tipico questo dell’ebraismo europeo) al riformismo tipico dell’ebraismo americano, al fondamentalismo<br />

praticato in Israele dagli ultraortodossi.<br />

Da quanto sin qui illustrato, dovrebbe apparire chiaro che le comunità ebraiche hanno da sempre<br />

caratteristiche del tutto peculiari rispetto ad un qualsiasi altro gruppo religioso. Esse, come già accennato,<br />

sono portatrici non solo di interessi religiosi ma anche di profili etnici. Controprova, tra l’altro, di tale<br />

connessione è il fatto che la confessione ebraica non solo è forse l'unica a non praticare un vero e proprio<br />

proselitismo, ma regolamenta anche rigidamente l'accesso alla comunità e alla pratica collettiva della<br />

religione ebraica 124 .<br />

Una parola ora sulla situazione dell'ebraismo italiano nei lunghi secoli precedenti l'unificazione.<br />

Sostanzialmente e in linea generale, si ebbe un certo adattamento tra le comunità ebraiche e i diversi<br />

sovrani regnanti sulla penisola, il cui criterio di fondo consistette, da una parte in una protezione interessata<br />

a cura dei sovrani, dall'altra in una certa autonomia delle comunità in campo amministrativo (in relazione al<br />

culto, all'assistenza sociale, all'istruzione, alla facoltà d'imporre tasse), normativo (riconoscimento di alcune<br />

norme di diritto privato ebraico), giurisdizionale (tribunali all'interno delle comunità). Ma tutto ciò dipendeva<br />

esclusivamente da graziose concessioni dei diversi principi, e dunque non si dava né una situazione di<br />

uniformità nei vari stati della penisola né una vera e propria tutela giuridica.<br />

Un primo tentativo di razionalizzazione del problema venne condotto nello stato piemontese con la<br />

legge Rattazzi (1857), legge di tipo giurisdizionalista, vale a dire: un certo grado di autonomia alle comunità<br />

veniva controbilanciato da ingerenze statali addirittura in questioni di culto. Anche per la reazione da parte di<br />

diverse comunità che avrebbero preferito alla legge Rattazzi il regime giuridico assicurato alle semplici<br />

associazioni religiose, la legge medesima non trovò integrale applicazione, neppure successivamente<br />

all'unificazione del paese. Dopo la firma del concordato tra stato italiano e Chiesa cattolica (1929) apparve<br />

ancor più urgente una regolamentazione delle comunità, valida per tutto il territorio nazionale. A ciò si<br />

provvide con una serie di norme (1930-31), anch'esse a carattere giurisdizionalista, ma più accettabili da<br />

parte delle comunità che non la citata legge Rattazzi. Tali norme prevedevano, tra l'altro, l'obbligatorietà per<br />

ogni ebreo di adesione alla relativa comunità territoriale, la sua soggezione ad un'imposizione fiscale da<br />

parte della medesima, l'intervento dello <strong>Stato</strong> nella creazione e soppressione delle comunità, nonché nelle<br />

nomine interne.<br />

Norme ovviamente, almeno da certi punti di vista, discutibili, ma nulla di grave in confronto a quello<br />

che si stava preparando per le comunità ebraiche italiane, sul solco di quanto sarebbe avvenuto in<br />

Germania. L’ascesa infatti di Hitler al potere (gennaio 1933) favorì anche in Italia una progressiva, strisciante<br />

campagna anti-ebraica che, soprattutto in parte della stampa, coniugava “la militanza antifascista con<br />

l’appartenenza alla razza ebraica” 125 .<br />

materia dottrinale o morale deve essere approvata dalla Conferenza generale che controlla anche il Manuale di Chiesa, testo<br />

fondamentale per tutte le attività ecclesiastiche.<br />

124 Si diventa ebrei per nascita da madre ebrea. Da non confondere questo tipo di accesso con la cittadinanza nello stato di Israele,<br />

dove si hanno cittadini israeliani anche di religione cristiana o islamica.<br />

125 MISELLI-ZARZANA 2005, p.69.<br />

42


L’approdo ideologico di tale campagna si ebbe nella pubblicazione su tutti i quotidiani italiani di un<br />

Manifesto degli scienziati razzisti (luglio 1938), nel quale si proclamava tra l’altro che<br />

“le razze umane esistono […] esistono grandi e piccole razze […] la popolazione dell’Italia attuale è<br />

di origine ariana […] esiste ormai una pura razza italiana […] è tempo che gli italiani si proclamino<br />

francamente razzisti […] gli ebrei non appartengono alla razza italiana […] gli ebrei rappresentano l’unica<br />

popolazione che non si è mai assimilata in Italia perché è costituita da elementi razziali non europei […] i<br />

caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo.<br />

L’unione è ammissibile solo nell’ambito delle razze europee” 126<br />

In nome dunque della difesa della razza 127 iniziò una serie impressionante di provvedimenti restrittivi<br />

nei confronti delle comunità ebraiche (qui elencati in ordine di successione cronologica): censimento di tutti<br />

gli ebrei residenti in Italia, divieto per gli ebrei stranieri residenti in Italia di accedere alle scuole italiane,<br />

espulsione graduale degli ebrei dalle strutture militari, esclusione degli ebrei da ogni supplenza od incarico<br />

statali, espulsione dal territorio nazionale degli ebrei di origine straniera anche se divenuti nel frattempo<br />

cittadini italiani 128 , divieto di iscrizione di studenti ebrei a scuole di ogni ordine e grado (università inclusa),<br />

espulsione dalle medesime di tutti i docenti ebrei.<br />

La strada era ampiamente spianata alla promulgazione delle leggi razziali, ossia del decreto legge<br />

17 novembre 1938 e dei successivi provvedimenti applicativi.<br />

La normativa in questione disponeva il divieto di matrimonio, pena la nullità, tra cittadini italiani di<br />

razza ariana e cittadini di altra razza (leggi: di razza ebraica); escludeva gli ebrei dall’appartenenza alle<br />

Forze Armate, ed alle amministrazioni pubbliche di qualsiasi tipo; poneva nei confronti dei medesimi pesanti<br />

restrizioni all’esercizio della patria potestà sui figli, ai diritti di proprietà, alle attività di tipo professionale 129 .<br />

Questa scarna elencazione non dà ovviamente l’idea di quanto in realtà tali discriminazioni andassero ad<br />

incidere sulla vita quotidiana della popolazione ebraica. Si possono avanzare in merito alcune<br />

considerazioni.<br />

Innanzitutto “l’Italia non era seconda a nessun altro paese per la meticolosità e la severità delle<br />

misure imposte agli ebrei. […] talune norme italiane apparivano addirittura più severe e vessatorie delle<br />

corrispondenti norme tedesche” 130 . In secondo luogo, si ebbe un contesto sociale e politico sostanzialmente<br />

favorevole alle leggi razziali: basti pensare alla quasi assoluta unanimità con cui il parlamento tramutò in<br />

legge i decreti, ed alla solerzia con cui la pubblica amministrazione li applicò, andando anche in molti casi al<br />

di là della lettera , creando così ulteriori vessazioni.<br />

Queste ultime non furono che prodromo all’ulteriore emarginazione degli ebrei, connessa con gli<br />

eventi bellici sulla base di un preteso ruolo in essi rivestito dall’ebraismo internazionale. Ma questa volta<br />

l’emarginazione sfociò in misure di restrizione della libertà personale che progressivamente arrivarono fino<br />

ai campi di concentramento: 51 in Italia i campi finora recensiti (il più grande dei quali, a Ferramonti di<br />

Tarsia, prov. di Cosenza, arrivò a 2000 internati) e 250 le località destinate al confino degli ebrei 131 .<br />

Nel dopoguerra sarebbe apparsa sempre più inadeguata la legislazione del 1930-31, sia dal punto di<br />

vista generale (l'art. 8Cost avrebbe consentito la stipulazione di un'intesa), sia su alcuni punti specifici ormai<br />

contrastanti con la carta costituzionale. Valga per tutti un accenno alla già ricordata imposizione fiscale, che<br />

rendeva su questo punto la confessione ebraica del tutto atipica rispetto a qualsiasi altra confessione<br />

126 Riportato ivi, pp. 85-86.<br />

127 Mussolini in persona volle il giornale intitolato appunto La Difesa della Razza<br />

128 Provvedimento questo particolarmente odioso perché andava a colpire i molti ebrei fuggiti dalle persecuzioni hitleriane.<br />

129 Le cifre parlano di 181 professori allontanati dalle scuole, 400 dipendenti statali licenziati, 2500 professionisti inibiti, 150 militari<br />

congedati, oltre 1000 nuclei famigliari in gravi necessità economiche (MISELLI-ZARZANA 2005, p.116).<br />

130 COLLOTTI 2004, p.77.<br />

131 IDEM, pp. 107 e 109.<br />

43


eligiosa.. La normativa del 1930-31 sulle comunità israelitiche, e vigente fino al 1989 (legge di esecuzione<br />

dell'intesa), stabiliva che appartenessero «di diritto alla comunità tutti gli israeliti che hanno residenza nel<br />

territorio di essa» (art. 4). La giunta della comunità stabiliva annualmente, per ciascuno, il reddito imponibile<br />

e la relativa aliquota d'imposta. Si davano anche possibilità di ricorsi (tutti interni), esauriti i quali il ruolo<br />

diveniva esecutivo, con decreto della Corte d'appello. E' chiaro che questo sistema non poteva che essere<br />

dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale: con l'intesa la confessione ebraica, su questo e su altri<br />

punti, accetterà una condizione giuridica più vicina a quella delle altre confessioni, pur nel mantenimento di<br />

caratteristiche del tutto peculiari. 132<br />

L'ebraismo crede nella sopravvivenza dell'anima e sostiene la centralità dei comportamenti etici, di<br />

derivazione biblica, connessi, in modo del tutto particolare, a degli aspetti anche di tipo rituale. Il libro sacro<br />

degli ebrei è costituito da quasi tutti i libri della prima parte della Bibbia, l'Antico Testamento, i più importanti<br />

dei quali, dal punto di vista normativo, sono i primi 5 libri costituenti la Torah, fondamento della normativa<br />

ebraica. Tra le leggi rituali più importanti da ricordare la circoncisione per i maschi, le regole alimentari 133 ,<br />

l'osservanza del riposo del sabato. Il culto ebraico si svolge nella sinagoga, ed include preghiere, letture<br />

bibliche, inni. Forte accentuazione rituale rivestono anche le feste ebraiche, cadenzate sull'antichissima<br />

vicenda storica del popolo ebraico: la Pasqua ebraica, ad esempio, ricorda il passaggio del popolo ebraico<br />

attraverso il mar Rosso per fuggire dal faraone egiziano. Il ministro di culto ebraico è il rabbino: che ha la<br />

funzione di insegnare, celebrare matrimoni e funerali, gestire la vita religiosa della comunità.<br />

Le comunità ebraiche operanti in Italia vengono definite come «formazioni sociali originarie,<br />

organizzate secondo la legge e la tradizione ebraiche, ciascuna nell'ambito della propria circoscrizione» e<br />

costituenti tra loro «l'Unione delle Comunità ebraiche italiane, espressione unitaria dell'ebraismo in Italia» 134 .<br />

Tra i principali fini delle comunità da ricordare, oltre quello dell'esercizio del culto, anche la promozione<br />

della cultura ebraica, la gestione di scuole, l'assistenza e la beneficenza, il controllo sugli enti ebraici<br />

civilmente riconosciuti. Da sottolineare il fatto che, differentemente dalle altre confessioni religiose,<br />

l'ebraismo italiano rivendica una originaria funzione sociale che va molto al di là dell'elemento religioso.<br />

La singola comunità è strutturata in un'assemblea di tutti gli iscritti (con funzioni consultive), in un<br />

consiglio (organo deliberativo, eletto dagli iscritti) il cui presidente «rappresenta ad ogni effetto la comunità»,<br />

in una giunta (emanazione del consiglio con compiti amministrativi), nel rabbino capo. Questi «esercita le<br />

funzioni di magistero, di giurisdizione e di direzione del culto secondo la tradizione ebraica» 135 . E' nominato a<br />

cura del consiglio. Da notare, quindi, che il potere è qui basato su di un sistema elettivo, di tipo democraticorappresentativo.<br />

L'organo di governo, è infatti il consiglio (eletto) le cui delibere vengono attuate dalla giunta,<br />

eletta in seno al consiglio.. La figura del rabbino assume un ruolo importante ma sostanzialmente limitato<br />

all'ambito religioso, non a scapito del governo laico della comunità: egli si limita ad esprimere un parere sulla<br />

eleggibilità dei consiglieri proposti e a partecipare con solo voto consultivo alle sedute del consiglio e della<br />

giunta.<br />

L'Unione delle comunità ebraiche italiane «è l'ente rappresentativo degli ebrei in Italia». Essa, oltre a<br />

«rappresentare e tutelare le comunità, i loro iscritti e l'ebraismo italiano in genere di fronte al Governo»,<br />

provvede, tra l'altro, «alla conservazione delle tradizioni ebraiche», alla gestione dei beni culturali ebraici,<br />

132 Per tutta questa parte LONG 1991., pp. 139-159.<br />

133 A quanto già accennato in merito, possiamo aggiungere che per l'ebraismo esistono, dal punto di vista alimentare, animali puri ed<br />

impuri, identificandosi i primi con i ruminanti dotati di unghia fessa (ovini e bovini; rimangono esclusi gli equini ed i suini). Inoltre,<br />

il rituale ebraico impone anche una specifica macellazione: si richiede cioè che l'animale versi tutto il proprio sangue, prescrizione<br />

questa passata anche all'islamismo. Le rispettive comunità sono così autorizzate, da una normativa in materia, a macellare l'animale<br />

«mediante un coltello affilatissimo in modo che possano essere recisi con un unico taglio contemporaneamente l'esofago, la trachea<br />

ed i grossi vasi sanguigni del collo».<br />

134 Statuto dell'Unione delle Comunità ebraiche italiane, art.1<br />

135 Idem, art. 29.<br />

44


alla preparazione dei rabbini e dei funzionari di culto, alla sovvenzione finanziaria di comunità bisognose,<br />

alla vigilanza «sull'esecuzione degli adempimenti previsti dall'intesa con lo <strong>Stato</strong>» 136 . I mezzi finanziari sono<br />

assicurati da redditi patrimoniali, dai contributi delle comunità, dai proventi derivanti della ripartizione della<br />

quota del gettito IRPEF, da offerte e donazioni a diverso titolo.<br />

136 Id., art.37.<br />

45


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE<br />

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G. BARBERINI, Chiesa e Santa Sede nell’ordinamento internazionale, Torino, Giappichelli, 2003<br />

G. BARBERINI, Lezioni di diritto ecclesiastico, Torino, Giappichelli, 2000<br />

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A. CASSESE, I <strong>DI</strong>RITTI UMANI OGGI, BARI, 2005<br />

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R. SARACINO, La Chiesa evangelica luterana in Italia, in http://www.olir.it, agosto 2004<br />

46


LA CHIESA CATTOLICA: SCHEMA ESPLICATIVO<br />

A) FASE FONDATIVA<br />

GESU’ CRISTO<br />

↓<br />

↓<br />

APOSTOLI<br />

↓<br />

↓<br />

COMUNITA<br />

APOSTOLICHE<br />

↓<br />

↓<br />

tradizioni orali<br />

=<br />

testi evangelici<br />

↓<br />

B) FASE EVOLUTIVA ↓<br />

↓<br />

↓<br />

TRASMISSIONE<br />

=<br />

predicazione + riti<br />

↓<br />

↓<br />

vescovo ←→ vescovo ←→ vescovo ecc.<br />

chiesa ↓ collegialità ↓ collegialità ↓<br />

universale ↓ ↓ ↓<br />

↓ comunità comunità comunità ecc.<br />

↓<br />

governo → →<br />

sinodi<br />

(gruppo di vescovi)<br />

collegiale → → concili<br />

(tutti i vescovi)<br />

↓<br />

↓<br />

vescovo di Roma<br />

↓<br />

→ → → → 1054 scisma Chiese orientali = Ortodossia<br />

↓ → → → → 1517 rottura di Lutero = Protestantesimo<br />

→ → → → 1534 scisma Chiesa d’Inghilterra = Anglicanesimo<br />

↓<br />

Papa<br />

=<br />

primato pontificio/Santa Sede<br />

↓<br />

↓<br />

↓<br />

↓<br />

↓<br />

governo<br />

gerarchico → → →<br />

livello universale: curia romana<br />

collegio cardinalizio<br />

sinodo dei vescovi<br />

livello intermedio: conferenze episcopali<br />

livello locale:<br />

47<br />

diocesi<br />

parrocchie

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