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SPORT: GIURISPRUDENZA DE LA CORTE DI GIUSTIZIA DELLE C.E.
ISBN 978-960-92616-2-3
Marios Papalucas
www.sportlaw.gr
www.papaloukas.gr
M. Papalucas
SPORT:
GIURISPRUDENZA DE LA CORTE DI
GIUSTIZIA DELLE C.E.
2008
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Indice
Introduzione 5
1. Causa T-46/92, Scottish Football Association 7
2. Causa C-415/93, Jean-Marc Bosman 17
3. Causa C-124/96, Commissione v Regno di Spagna 37
4. Causa C-9/98, Agostini v Ligue Francophone de Judo 41
5. Causa C-67/98, Questore di Verona v Diego Zenatti 44
6. Causa C-51/96 e C-191/97, Christelle Deliège 50
7. Causa C-176/96, Jyri Lehtonen 61
8. Causa C-150/99, Stockholm Lindöpark AB 71
9. Cause da T-38/99 a T-50/99, Sociedade Agrícola dos Arinhos 79
10. Causa C-174/00, Kennemer Golf 86
11. Causa T-185/00, Antena 3 de Televisión SA 94
12. Causa C-318/00, Bacardi-Martini SAS 110
13. Causa C-206/01, Arsenal Football Club plc 117
14. Causa C-243/01, Piergiorgio Gambelli 127
15. Causa C-438/00, Deutscher Handballbund 140
16. Cause T-346/02 e T-347/02, Cableuropa SA 149
17. Causa C-42/02, Diana Elisabeth Lindman 186
18. Causa C-270/02, Commissione v Repubblica Italiana 191
19. Causa T-216/02, Fieldturf Inc. 196
20. Causa C-429/02, Bacardi France SAS 203
21. Causa C-338/02, Fixtures Marketing Ltd 211
22. Causa C-444/02, Organismos prognostikon agonon podosf. AE 218
23. Causa T-193/02, L. Piau v Commissione & FIFA 226
24. Causa C-246/04, Turn- und Sportunion Waldburg 246
25. Causa C-265/03, Igor Simutenkov 254
26. Causa T-33/01, Infront WM AG 261
27. Causa C-89/05, United Utilities plc 288
28. Causa T-477/04, TDK 293
29. Causa C-345/04, Centro Equestre da Lezíria Grande 304
30. Causa C-519/04, D. Meca-Medina, I. Majcen 310
31. Causa C-338/04, Placanica 321
32. Causa C-409/06, Winner Wetten 334
33. Causa C-49/07, MOT.O.E. 335
34. Causa C-359/07, SOBO Sport & Entertainment GmbH 336
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Introduzione
La Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha emesso nel corso degli ultimi
anni, numerose decisioni rispetto agli sport. Dopo il caso Bosman, la Corte ha
cominciato a riconoscere una certa autonomia alle organizzazioni sportive, usando
l’eccezione alla regola generale con frase come “…è permesso se questa regola
deriva da une bisogno inerente all’organizzazione di una tale competizione” nel caso
Deliège, oppure “…a meno che non ci siano ragioni obiettive che riguardano
esclusivamente gli sport ” nel caso Lehtonen, o ancora“le restrizioni imposte devono
essere ristrette a tutto ció che è necessario alla buona organizzazione delle
competizioni sportive ” nel caso di Meca-Medina. Infine, la Corte ha riconosciuta
anche il diritto delle organizzazioni sportive ad adottare azioni regolatrici in settori
che non sono esclusivamente sportivi e per i quali lo Stato non ha previsto
regolamenti, come nel caso Piau, ove la Corte ha riconosciuta alla FIFA il diritto di
stabilire delle regole rispetto al rilascio di licenze professionali ai manager dei
giocatori di calcio.
Questo evidentemente significa che la Corte non ha smeso di ripetere alle
organizzazioni sportive che rimane il giudice ultimo delle loro decisioni regolatrici e
di ricordargli i loro limiti, come nei casi Deutscher Handballbund e Simutenkov,
rispetto all’interdizione della discriminazione fondata sulla nazionalità.
D’altra parte, ci sono stati casi nei quali la Corte ha protetto l’autonomia delle
organizzazioni sportive contro l’intervento dello Stato. Cosí, nel settore delle
scommesse sportive, la Corte ha giudicato in ogni caso, dal caso Zennati ai casi
Gambelli e Placanica, che le procedure dello Stato per rilasciare permessi alle ditte di
scommesse sportive sono nulle. Lo stesso, nel caso della Repubblica Italiana rispetto
alla proibizione di imposizione da parte dallo Stato di restrizioni sugli articoli nutritivi
sportivi. La Corte ha trattato nel medesimo modo le restrizioni dello Stato rispetto alle
pubblicità televisive nelle zone della competizione, nel caso Bacardi – Martini.
Oggi, possiamo finalmente dire che la Corte, pur insistendo, in generale, sulla sua
opinione iniziale, come espressa nel caso Bosman, riconosce, con il tempo, che, da
una parte, esistono certe particolarità del settore sportivo e, dall’altra, che c’è un
settore che ricade esclusivamente sotto la competenza degli sport. In ogni modo, è un
peccato che lo sport ed il diritto sportivo, al momento di vedere riconosciuta la loro
indipendenza rispetto alle regole dello Stato, siano stati obbligati ad iniziare una
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nuova battaglia per convincere anche gli organi dell’Unione Europea che non hanno
bisogno di tutori.
Per la Giurisprudenza v. http://www.curia.europa.eu/ e ancora http://eurlex.europa.eu/
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1. Causa T-46/92,
The Scottish Football Association,
società di diritto scozzese, con sede a Glasgow (Regno Unito), ricorrente,
contro
Commissione delle Comunità europee,
convenuta,
avente ad oggetto l' annullamento della decisione della Commissione 31 marzo 1992,
relativa a un procedimento ai sensi dell' art. 11, n. 5, del regolamento del Consiglio 6
febbraio 1962, n. 17, primo regolamento di applicazione degli artt. 85 e 86 del Trattato
(IV/33.742 - TESN/Football Authorities),
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Prima Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Motivazione della sentenza
Antefatti e procedimento
1 La ricorrente è una società di diritto scozzese, costituita in forma di società a
responsabilità limitata e composta principalmente da associazioni ed enti calcistici, che
ha lo scopo di promuovere il calcio in Scozia e di rappresentare gli interessi delle
associazioni scozzesi a tutti i livelli.
2 Il 5 dicembre 1991 la Commissione inviava alla ricorrente una lettera ex art. 11 del
regolamento del Consiglio 6 febbraio 1962, n. 17, primo regolamento di applicazione
degli artt. 85 e 86 del Trattato (GU 1962, n. 13, pag. 204, in prosieguo: il "regolamento n.
17"). In tale lettera, che richiamava i passi pertinenti della disposizione di cui trattasi
nonché un estratto dell' art. 15 del medesimo regolamento n. 17, la Commissione,
facendo riferimento ad una denuncia presentata da The European Sports Network (in
prosieguo: la "TESN"), esprimeva perplessità in ordine al fatto che la ricorrente sembrava
voler impedire alla TESN la ritrasmissione in Scozia di incontri di calcio argentino.
Sembrerebbe che la ricorrente abbia avviato contatti al riguardo con l' associazione
calcistica argentina, ai sensi dell' art. 47 dello statuto della Federation of International
Football Associations (in prosieguo: la "FIFA"), che autorizzerebbe il comitato esecutivo
della stessa FIFA a fissare un nuovo sistema di regole a disciplina della trasmissione
televisiva internazionale di incontri di calcio. Stando alle informazioni raccolte dalla
Commissione, tale nuovo sistema non sarebbe stato ancora fissato. La base giuridica dell'
azione della ricorrente presso l' associazione calcistica argentina non sarebbe quindi
chiara. La ricorrente veniva quindi invitata - "al fine di consentire lo svolgimento della
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relativa inchiesta con piena cognizione dei fatti e nel loro corretto contesto economico" -
a rispondere ai seguenti quesiti:
"1) Sulla base di quale eventuale titolo giuridico siano stati avviati contatti con l'
associazione calcistica argentina.
2) Se, nelle more dell' emanazione di una nuova disciplina ad opera del comitato
esecutivo ex art. 47 degli statuti della FIFA, esistano accordi tra le associazioni nazionali
facenti parte della FIFA relativi alla trasmissione televisiva di incontri di calcio da un
paese all' altro.
3) Se, nelle more dell' emanazione di una nuova disciplina, esistano istruzioni della FIFA,
del comitato esecutivo della medesima o di qualsiasi altra autorità giuridica o esecutiva,
relative, con riguardo alle dette ritrasmissioni televisive, all' applicazione dell' art. 47 o
del precedente art. 37.
4) Si prega di fornire copia della corrispondenza intercorsa con l' associazione calcistica
argentina in merito alla diffusione televisiva di incontri di calcio argentini da parte della
TESN".
Ai fini della risposta ai detti quesiti veniva fissato un termine di quattro settimane. La
Commissione si richiamava al riguardo all' art. 11, n. 5, del regolamento n. 17.
3 In data 14 gennaio 1992 la ricorrente rispondeva nei seguenti termini:
"(...)
E' con una certa sorpresa che ci è pervenuta la vostra richiesta. Costituisce fatto noto in
Scozia così come in altri paesi che la trasmissione televisiva di incontri di calcio può
avere ripercussioni negative sul numero degli spettatori di calcio 'dal vivo' . E' nostro
dovere promuovere ed incoraggiare lo sport del calcio sia a livello di spettacolo sia a
livello di pratica sportiva. La televisione costituisce un eccellente mezzo di promozione e
di sostegno di tale sport, ma, se utilizzata in modo inopportuno, può anche produrre
effetti nocivi, in particolare riducendo il numero delle persone che assisterebbero
normalmente ad un incontro di calcio.
Per tale motivo l' associazione non teme di affermare che essa segue e continuerà a
seguire una politica consistente nel garantire un certo controllo sulla trasmissione
televisiva in Scozia di incontri di calcio laddove questi possano rivelarsi nocivi agli
interessi generali del calcio scozzese (...).
In tutto il mondo le preoccupazioni delle associazioni calcistiche sono le stesse. Per tale
motivo noi ci consultiamo regolarmente, a titolo di cortesia, nell' ambito delle istituzioni
internazionali poste a disciplina del gioco del calcio, al fine di evitare interferenze tra il
calcio in televisione e quello 'dal vivo' . Non riteniamo di dover dare giustificazioni sul
piano giuridico quando scriviamo ad un' altra associazione calcistica per ricordarle il
nostro mutuo interesse a un equilibrato rapporto tra i vantaggi e gli inconvenienti della
ritrasmissione televisiva di incontri di calcio stranieri.
Non sappiamo quando la FIFA concluderà i lavori previsti ai fini della revisione delle
norme esistenti in materia.
A dire il vero, non comprendiamo i motivi per i quali il signor Baron ha mostrato tanto
nervosismo al riguardo, né i motivi per i quali la Commissione è intervenuta in termini
così perentori.
Saremmo lieti di potervi incontrare in qualsiasi momento al fine di esporre le nostre
opinioni sul problema complessivo del contrasto tra ritrasmissione televisiva ed incontri
'dal vivo' , ma riteniamo sinceramente, per quanto attiene alla questione argentina, che la
Commissione non abbia motivo di trarre preoccupazione dalla corrispondenza intercorsa
tra associazioni consorelle sul problema di cosa sia più utile al gioco del calcio (...)".
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In mancanza di reazioni da parte della Commissione, la ricorrente le scriveva nuovamente
in data 11 marzo 1992 per ottenere conferma della ricezione della lettera del 14 gennaio
precedente.
4 Successivamente, con telefax 31 marzo 1992, la Commissione inviava alla ricorrente
una decisione di pari data - la cui notificazione formale è avvenuta qualche giorno più
tardi - relativa ad un procedimento ai sensi dell' art. 11, n. 5, del regolamento n. 17. Con
tale decisione la Commissione invitava la ricorrente, comunicandole una penalità di mora
di 500 ECU al giorno, a fornirle, entro il termine di due settimane a decorrere dalla
notificazione della decisione medesima, le informazioni richieste nella lettera 5 dicembre
1991 (artt. 1 e 2 e allegato). Nella decisione si menziona, all' art. 3, che contro di essa può
essere proposto ricorso dinanzi al Tribunale, ai sensi degli artt. 173 e 185 del Trattato.
Nei 'considerando' della decisione la Commissione indica l' oggetto della denuncia
presentata dalla TESN (punti 1 e 2), ricorda gli scopi della richiesta di informazioni
iniziale e constata il carattere incompleto della risposta data dalla ricorrente il 14 gennaio
1992 (punto 3); essa ricorda inoltre la necessità delle informazioni richieste ai fini della
prosecuzione dell' inchiesta (punto 4) e precisa il termine per la risposta alla decisione,
termine che essa ritiene adeguato (punto 6), nonché l' importo dell' ammenda prevista in
caso di mancata esecuzione della decisione medesima (punti 7 e 8).
5 In risposta a tale decisione, la ricorrente inviava, in data 15 aprile 1992, una lettera in
cui, dopo aver sottolineato come le apparisse profondamente ingiusta la condotta della
Commissione che non aveva risposto ad alcuna delle due lettere inviatele dalla ricorrente
medesima nel gennaio e nel marzo 1992, si pronunciava, in ordine ai quattro quesiti
enunciati nella decisione, nei termini seguenti:
1) La corrispondenza della ricorrente con un' associazione calcistica omologa potrebbe
essere fondata su varie basi giuridiche. Lo statuto della ricorrente le attribuirebbe il
compito di promuovere il calcio in Scozia in tutti i suoi aspetti; scrivere alle altre
associazioni rientrerebbe nella realizzazione di tale compito. La ricorrente avrebbe
chiesto all' associazione argentina di essere consultata, ai sensi dell' art. 47 degli statuti
della FIFA nonché della prassi costante delle associazioni calcistiche del mondo intero,
prima che gli incontri di calcio argentino fossero ritrasmessi in Scozia. Dalla
corrispondenza acclusa risulterebbe chiaramente che la ricorrente non intendeva vietare la
ritrasmissione televisiva di incontri di calcio argentino in Scozia.
2) Le norme della FIFA relative all' utilizzazione e alla ritrasmissione televisiva
internazionale di incontri di calcio sarebbero attualmente oggetto di esame. Nelle more
del compimento di tale revisione, la ricorrente (oltre ad altre associazioni calcistiche nel
mondo intero) continuerebbe ad attenersi alla convenzione precedente, vale a dire
consulterebbe le associazioni omologhe prima dell' avvio delle relative ritrasmissioni
televisive.
3) La ricorrente non sarebbe a conoscenza di alcuna istruzione della FIFA, né del suo
comitato esecutivo né di qualsiasi altra autorità giuridica o esecutiva, relativa all'
applicazione dell' art. 47 (o del precedente art. 37) degli statuti della FIFA con
riferimento alle ritrasmissioni di cui trattasi.
4) In allegato alla lettera la ricorrente ha prodotto copia delle lettere inviate all'
associazione argentina.
Procedimento e conclusioni delle parti
6 Ciò premesso la ricorrente proponeva il presente ricorso, registrato nella cancelleria del
Tribunale il 10 giugno 1992.
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7 Successivamente alla proposizione del ricorso, con lettera indirizzata alla ricorrente il
24 giugno 1992, la Commissione confermava che le risposte date dalla ricorrente
medesima nella lettera del 15 aprile 1992 erano sufficienti e fornivano le informazioni
richieste nella decisione alla quale, conseguentemente, la ricorrente aveva dato piena
esecuzione.
8 La fase scritta del procedimento si è svolta regolarmente, dovendo precisarsi che la
Commissione non ha depositato controreplica. Con memoria depositata il 17 luglio 1992
la Commissione ha sollevato eccezione di irricevibilità che, con ordinanza del Tribunale
(Prima Sezione) 28 ottobre 1992, è stata respinta nel merito. Su relazione del giudice
relatore, il Tribunale (Prima Sezione) ha deciso di passare alla fase orale senza procedere
ad istruttoria. Su richiesta della ricorrente è stato disposto il rinvio dell' udienza già
fissata per il 13 ottobre 1993.
9 Le parti hanno svolto le proprie difese orali e hanno risposto ai quesiti del Tribunale all'
udienza del 12 luglio 1994.
10 La ricorrente conclude che il Tribunale voglia:
- respingere l' eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione;
- annullare la decisione notificatale dalla Commissione il 31 marzo 1992;
- disporre ogni altro provvedimento che riterrà di giustizia;
- condannare la Commissione alle spese.
La Commissione conclude che il Tribunale voglia:
- dichiarare il ricorso irricevibile;
- in subordine, respingerlo perché infondato;
- condannare la ricorrente alle spese.
Sulla ricevibilità
11 A sostegno dell' eccezione di irricevibilità la Commissione deduce, sostanzialmente,
che, in considerazione delle circostanze concrete della specie, la ricorrente non può
vantare un interesse ad agire, essendosi conformata alla decisione impugnata prima della
proposizione del ricorso, senza mai contestare il diritto della Commissione a richiedere le
informazioni di cui trattasi. Conseguentemente, l' annullamento di tale decisione
risulterebbe del tutto inutile. Alla ricorrente non sarebbe peraltro derivato alcun
pregiudizio sostanziale dalla decisione medesima; infatti, essa non l' ha impugnata prima
della risposta, malgrado fosse stata informata, all' art. 3, dei motivi di ricorso disponibili.
12 La ricorrente ritiene che, se un atto è illegittimo, esso resti illegittimo
indipendentemente dal fatto che vi si dia acquiescenza o meno. Dall' art. 173, quarto
comma, del Trattato CE emergerebbe l' interesse che la ricorrente senz' altro
conserverebbe a contestare una decisione di cui sia specifica destinataria e in cui sia
minacciata l' irrogazione di un' ammenda, quando non vi era invece motivo per disporre
tale provvedimento. Considerato che la Commissione avrebbe illegittimamente esercitato
i poteri decisori attribuitile, la ricorrente ritiene di avere un legittimo interesse a ottenere
la garanzia che una siffatta condotta non si reiteri in futuro. All' udienza la ricorrente ha
aggiunto che all' epoca dell' emanazione della decisione impugnata erano state avviate
trattative a livello europeo tra la Commissione e le associazioni nazionali di calcio in
ordine alla ritrasmissione televisiva di incontri calcistici, trattative che sarebbero tuttora
in fase di svolgimento; con il ricorso la ricorrente intenderebbe quindi garantirsi contro il
rischio concreto che, nell' ambito di tali trattative, le vengano notificate altre decisioni
ingiustificate del tipo di quella oggetto del presente ricorso.
13 Ciò premesso, il Tribunale rileva anzitutto che le censure di natura strettamente
procedurale sollevate dalla ricorrente contro la decisione si limitano, sostanzialmente, a
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sostenere che il passaggio, operato dalla Commissione, dalla prima fase dell' inchiesta -
quella di richiesta di informazioni "semplice" - alla seconda fase - quella della richiesta
per mezzo di decisione - costituisca una misura eccessiva e prematura. Si deve rilevare
tuttavia che, come emerge dagli artt. 11, n. 5, 15, n. 1, lett. b), e 16, n. 1, lett. c), del
regolamento n. 17, un' impresa o un' associazione di imprese incorre, a fronte di una
decisione di tal genere, nel rischio di sanzioni più elevate rispetto all' ipotesi in cui le sia
stata rivolta una richiesta di informazioni "semplice". Infatti, essa può essere sottoposta
alla sanzione dell' ammenda per non aver fornito le informazioni richieste "nel termine
stabilito" e può esserle inflitta una penalità di mora al fine di costringerla a fornire
informazioni "in maniera completa ed esatta". Ne consegue che solamente laddove la
Commissione proceda ad una richiesta di informazioni per mezzo di decisione può
risultare pregiudicata la situazione giuridica dell' interessato, che non può essere quindi
privato, ancorché sia disposto a dar corso alle richieste formulategli, del legittimo
interesse a evitare che la Commissione passi prematuramente, in mancanza dei requisiti
previsti dall' art. 11, n. 5, del regolamento n. 17, alla fase della decisione.
14 Deve essere quindi riconosciuto l' interesse ad agire che non viene meno anche
qualora la decisione con la quale sia stata disposta la richiesta di informazioni sia stata già
eseguita dal destinatario al momento della proposizione del ricorso di annullamento, non
avendo quest' ultimo effetti sospensivi. Inoltre, l' annullamento di una siffatta decisione
può produrre di per sé conseguenze giuridiche, soprattutto laddove venga ingiunto alla
Commissione di disporre tutti i provvedimenti connessi con l' esecuzione della sentenza
del Tribunale e di astenersi dal reiterare tale condotta (v. sentenze della Corte 24 giugno
1986, causa 53/85, AKZO Chemie/Commissione, Racc. pag. 1965, punto 21, e 26 aprile
1988, causa 207/86, Apesco/Commissione, Racc. pag. 2151, punto 16). Ciò è
particolarmente vero nella specie, atteso che, come rilevato dalle parti all' udienza, le
trattative condotte a livello europeo tra la Commissione e le associazioni nazionali
calcistiche in ordine alla questione della ritrasmissione televisiva degli incontri di calcio
sono tuttora in corso. La ricorrente deve pertanto attendersi di trovarsi in qualsiasi
momento di fronte a nuove richieste di informazioni da parte della Commissione. Essa
mantiene quindi un legittimo interesse a che il giudice comunitario precisi i requisiti
giuridici dati i quali la Commissione può agire in materia per mezzo di decisione.
15 Ne consegue che l' eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione dev' essere
respinta.
Nel merito
16 A sostegno del ricorso la ricorrente deduce cinque motivi relativi, rispettivamente, alla
violazione dell' obbligo di motivazione previsto dall' art. 190 del Trattato CE, alla
violazione dei principi di proporzionalità, di sana amministrazione e della buona fede
nonché alla violazione di diritti fondamentali.
Quanto al motivo relativo alla carenza di motivazione della decisione impugnata
Argomenti delle parti
17 La ricorrente sostiene che, contrariamente all' art. 190 del Trattato, la Commissione
non ha motivato in modo sufficiente la decisione impugnata, laddove tale obbligo di
motivazione assumeva particolare importanza nel contesto della presente controversia. La
Commissione avrebbe infatti omesso importanti elementi di fatto. In particolare, la
decisione ignorerebbe la lettera 11 marzo 1992 in cui la ricorrente chiedeva alla
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Commissione conferma di aver ricevuto la sua prima lettera di risposta. Orbene, l' omessa
menzione di tali elementi nella motivazione della decisione indurrebbe a ritenere che la
ricorrente abbia intenzionalmente posto in essere una politica ostruzionistica diretta ad
ostacolare gli accertamenti della Commissione. Infine, contrariamente a quanto enunciato
al punto 8 della decisione, la ricorrente, nella lettera 14 gennaio 1992, non si sarebbe
"rifiutata" di fornire le informazioni richieste: essa avrebbe risposto ad una parte dei
quesiti e avrebbe proposto di discutere congiuntamente il problema nel suo complesso.
18 La Commissione fa valere di aver indicato, ai punti 1-4, 6 e 8 della decisione
impugnata, i motivi principali che l' avevano indotta a emanare la decisione stessa.
Richiamandosi alla denuncia iniziale, la decisione avrebbe rivolto l' invito a porre a
raffronto i quesiti posti nella lettera 5 dicembre 1991 con le risposte date nella lettera 14
gennaio 1992. Da tale raffronto risulterebbe che giustamente la Commissione avrebbe
considerato la lettera 14 gennaio 1992 quale diniego di fornire in termini completi le
informazioni richieste.
Giudizio del Tribunale
19 Si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza, l' obbligo di motivazione di
una decisione individuale è finalizzato a consentire alla Corte di esercitare il suo
sindacato sulla legittimità della decisione e di fornire all' interessato indicazioni
sufficienti per giudicare se la decisione sia fondata ovvero se sia eventualmente inficiata
da un vizio che consenta di contestarne la validità, dovendosi precisare che la portata di
tale obbligo dipende dalla natura dell' atto in questione e dal contesto nel quale l' atto è
stato emanato (v., per tutte, sentenza della Corte 4 giugno 1992, causa C-181/90,
Consorgan/Commissione, Racc. pag. I-3557, punto 14).
20 Nella specie si deve rilevare che la decisione impugnata è stata emanata a seguito di
uno scambio di corrispondenza tra le parti e che essa riprende esattamente la stessa
richiesta di informazioni già oggetto di tale corrispondenza. Non può quindi sostenersi
che la decisione potesse risultare sorprendente per la ricorrente e che, conseguentemente,
necessitasse una motivazione particolarmente circostanziata.
21 Per quanto attiene, inoltre, ai motivi dedotti dalla Commissione nella decisione
impugnata, si deve ricordare che la Commissione stessa, dopo aver riassunto i fatti dai
quali era scaturita la lettera 5 dicembre 1991 in cui aveva chiesto alla ricorrente di fornire
le informazioni di cui trattasi, ha rilevato, al punto 3, che la lettera di risposta datata 14
gennaio 1992 "non ha fornito le informazioni richieste in modo completo" ("failed to
provide the information requested in complete form"). Inoltre, la Commissione ha fatto
presente, al punto 4, come le informazioni richieste, in particolare la corrispondenza della
ricorrente con l' associazione calcistica argentina, fossero necessarie ai fini della
valutazione della condotta della ricorrente medesima con riguardo agli artt. 85, n. 1, e 86
del Trattato CE. Orbene, è pacifico tra le parti che tale corrispondenza non è stata
prodotta in risposta alla richiesta di informazioni "semplice" inviata alla ricorrente con la
menzionata lettera 5 dicembre 1991. Pertanto, la Commissione non era tenuta a motivare,
in termini più dettagliati, l' incompletezza delle informazioni fornite.
22 Si deve aggiungere che la ricorrente è stata apparentemente in grado di comprendere
la portata della decisione impugnata, considerato che ha fornito, nel termine impartitole
di due settimane, una risposta che la Commissione ha ritenuto completa e soddisfacente.
23 Laddove la ricorrente contesta infine alla Commissione di non aver menzionato, nella
decisione impugnata, né la sua disponibilità al dialogo né la sua richiesta di conferma
dell' avvenuta ricezione della prima lettera, la censura deve ritenersi irrilevante. Tale
omissione, infatti, non era tale da impedire la comprensione da parte della ricorrente della
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portata della decisione impugnata né poteva costituire ostacolo all' esercizio dei relativi
rimedi giuridici né poteva infine incidere sul sindacato giurisdizionale da parte del
Tribunale. La Commissione non era quindi tenuta a esaminare tali elementi nella
motivazione della decisione.
24 Il Tribunale ritiene conseguentemente che la decisione impugnata debba considerarsi
sufficientemente motivata, ai sensi dell' art. 190 del Trattato, e che il motivo relativo alla
carenza di motivazione debba essere respinto.
Quanto al motivo relativo alla violazione del principio di proporzionalità
Argomenti delle parti
25 La ricorrente fonda sostanzialmente tale motivo sull' affermazione secondo cui, in
considerazione delle circostanze del caso di specie, la Commissione, minacciando con la
decisione de qua l' irrogazione di una penalità di mora, avrebbe agito in modo
sproporzionato ed eccessivo rispetto alla condotta della ricorrente, laddove avrebbe
potuto raggiungere tale obiettivo domandando semplicemente alla ricorrente stessa,
eventualmente anche telefonicamente, di integrare le risposte già date nella lettera 14
gennaio 1992. Orbene, il rispetto del principio di proporzionalità assumerebbe particolare
importanza nelle cause che implichino l' applicazione di sanzioni, come affermato dalla
Corte nella sentenza 29 novembre 1956 (causa 8/55, Fédération charbonnière de
Belgique/Alta Autorità, Racc. 1955-1956, pag. 195).
26 La ricorrente sottolinea che nella specie la questione decisiva è quella se un singolo
che si adoperi per rispondere ad una richiesta di informazioni, ma la cui risposta non sia
ritenuta soddisfacente, possa essere esposto alla minaccia di sanzioni pecuniarie. Secondo
la ricorrente, la questione può essere risolta affermativamente nel caso di deliberato
rifiuto di cooperazione a fini ostruzionistici. Tuttavia, un provvedimento di tal genere non
dovrebbe essere emanato nel caso in cui un singolo si sia adoperato al fine di rispondere
ad una richiesta di informazioni, si sia offerto di incontrarsi con i funzionari competenti al
fine di discutere il problema, abbia inviato una seconda lettera alla Commissione e, lungi
dal ricevere una risposta, si sia trovato di fronte al silenzio dell' istituzione.
27 La Commissione replica che già da un raffronto molto superficiale dei quesiti posti
nella lettera 5 dicembre 1991 con le risposte date dalla ricorrente nella lettera 14 gennaio
1992 emerge come quest' ultima abbia praticamente ignorato la seconda e la terza
questione lasciando intendere, quanto alle altre, che la "questione argentina" non doveva
riguardare la Commissione, mentre la disponibilità a discutere di problemi generali non
verteva sui quesiti concreti posti alla ricorrente. Conseguentemente, la Commissione
sostiene di aver correttamente ritenuto che alla propria richiesta iniziale di informazioni
fosse stato opposto un rifiuto. A fronte di un siffatto diniego e in considerazione della
circostanza che l' art. 11 del regolamento n. 17 prevede unicamente un procedimento
articolato in due fasi, la Commissione è passata alla seconda fase, vale a dire a quella
della richiesta di informazioni per mezzo di decisione, in modo del tutto legittimo e
conformemente al principio di proporzionalità.
28 All' udienza la Commissione ha sottolineato la propria responsabilità nei confronti
dell' impresa TESN che aveva proposto una denuncia e che avrebbe potuto avviare un
procedimento per inadempimento. La ricorrente, dal canto suo, ha espressamente
riconosciuto che i due termini fissati dalla Commissione nella lettera 5 dicembre 1991 e
nell' art. 1 della decisione impugnata erano sufficienti per rispondere ai quesiti posti.
Giudizio del Tribunale
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29 Si deve precisare, anzitutto, che il motivo dedotto dalla ricorrente non attiene alla
legittimità, sotto il profilo sostanziale, della richiesta di informazioni inviata alla
ricorrente medesima, atteso che quest' ultima non contesta il potere della Commissione di
porle i quattro quesiti di cui trattasi. La censura consiste semplicemente nell'
affermazione secondo cui la Commissione, emanando la decisione con cui minacciava l'
irrogazione di una sanzione invece di limitarsi a una corrispondenza informale con la
ricorrente stessa, avrebbe agito in modo prematuro ed eccessivo.
30 Per quanto attiene inoltre alla questione se la Commissione, emanando nella specie la
decisione impugnata, abbia correttamente applicato l' art. 11 del regolamento n. 17, si
deve ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il detto articolo prevede, per l'
esercizio del potere attribuito alla Commissione di richiedere le informazioni che essa
reputi necessarie, una procedura in due fasi, di cui la seconda, comportante l' adozione da
parte della Commissione di una decisione che precisa le informazioni richieste, può
essere iniziata solo ove la prima fase, caratterizzata dall' invio di una richiesta di
informazioni, sia rimasta senza esito (v. sentenza 26 giugno 1980, causa 136/79, National
Panasonic/Commissione, Racc. pag. 2033, punto 10).
31 Per quanto attiene alla questione relativa ai motivi mediante i quali la Commissione
debba "avviare la prima fase" della procedura di inchiesta preliminare, si deve osservare
che la Corte ha affermato che il regolamento n. 17 ha dotato la Commissione di ampi
poteri di indagine e ha imposto ai singoli l' obbligo di collaborare attivamente alle
investigazioni, obbligo che implica che essi tengano a disposizione della Commissione
tutte le informazioni riguardanti l' oggetto dell' indagine (v. sentenza 18 ottobre 1989,
causa 374/87, Orkem/Commissione, Racc. pag. 3283, punti 22 e 27). Conseguentemente,
l' argomento della ricorrente, secondo cui la decisione impugnata sarebbe stata
giustificata solamente ove l' atteggiamento della ricorrente fosse risultato manifestamente
ostruzionistico con riguardo ai compiti della Commissione, dev' essere respinto. In
considerazione dell' obbligo di collaborazione attiva imposto ai singoli interessati nell'
ambito del procedimento di inchiesta preliminare, una reazione passiva può da sola
giustificare l' emanazione di una decisione formale ai sensi dell' art. 11, n. 5, del
regolamento n. 17.
32 Alla luce di tali considerazioni occorre quindi esaminare le risposte date dalla
ricorrente nella lettera 14 gennaio 1992 alla richiesta di informazioni del 5 dicembre
1991. In proposito il Tribunale rileva che, rispondendo al primo quesito, la ricorrente ha
affermato di non dover addurre una base giuridica per l' avvio di contatti epistolari con l'
associazione calcistica argentina e che, per quanto attiene alla risposta al secondo quesito,
essa ha affermato di non disporre delle informazioni richieste. Invece di rispondere al
terzo quesito, si è offerta di fornire chiarimenti generali a voce; la corrispondenza
intercorsa tra la ricorrente e l' associazione calcistica argentina, di cui era stata chiesta
copia nel quarto quesito, non è stata assolutamente prodotta dalla ricorrente. Il Tribunale
ritiene che tali risposte non possano considerarsi quale espressione di collaborazione
attiva da parte della ricorrente.
33 Inoltre, la ricorrente ha dichiarato di ritenere che "sinceramente, per quanto attiene alla
questione argentina, la Commissione non ha motivo di trarre preoccupazione dalla
corrispondenza intercorsa tra associazioni consorelle (...)" ["we honestly think that as to
the Argentinian matter, the Commission need not be troubled about an exchange of
correspondance between two fraternal associations (...)"]. Vista sotto il profilo
sostanziale, tale considerazione si estrinseca in un diniego cortese, ma esplicito, di
cooperare con la Commissione in materia. A fronte di tali circostanze specifiche, la
Commissione non era tenuta a proseguire una corrispondenza informale prolungata né ad
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avviare colloqui con la ricorrente, che aveva fornito solamente parte delle informazioni
richieste. Legittimamente la Commissione poteva quindi passare alla seconda fase della
procedura di inchiesta preliminare, vale a dire a quella richiesta di informazioni per
mezzo di decisione, senza che tale passo possa essere considerato eccessivo.
34 Dall' insieme delle suesposte considerazioni emerge che la Commissione ha
correttamente applicato l' art. 11 del regolamento n. 17 e che il motivo relativo alla
violazione del principio di proporzionalità dev' essere, quindi, respinto.
Quanto al motivo relativo alla violazione del principio di sana amministrazione
Argomenti delle parti
35 La ricorrente, richiamandosi alle sentenze della Corte 19 ottobre 1983, causa 179/82,
Lucchini/Commissione (Racc. pag. 3083), e 8 novembre 1983, cause riunite 96/82-
102/82, 104/82, 105/82, 108/82 e 110/82, IAZ e a./Commissione (Racc. pag. 3369),
sostiene che essa non poteva prevedere che la lettera 14 gennaio 1992 non corrispondesse
alla richiesta della Commissione. A fronte della mancata reazione della Commissione,
che non ha nemmeno risposto alla lettera 11 marzo 1992, la decisione impugnata non
avrebbe dovuto essere emanata.
36 La Commissione contesta la pertinenza della giurisprudenza citata dalla ricorrente.
Giudizio del Tribunale
37 Dalle suesposte considerazioni emerge che la lettera della ricorrente 14 gennaio 1992
non conteneva tutte le informazioni che la Commissione reputava necessarie ai fini della
propria inchiesta. La ricorrente, affermando che la Commissione non dovesse "trarre
preoccupazione" in ordine alla corrispondenza richiesta, doveva attendersi che tale
risposta potesse essere considerata, dal punto di vista della Commissione, come
insufficiente. La semplice richiesta dell' 11 marzo 1992 di confermare la ricezione della
prima lettera del 14 gennaio precedente resta al riguardo irrilevante. Conseguentemente,
la ricorrente doveva attendersi l' emanazione di una decisione ai sensi dell' art. 11, n. 5,
del regolamento n. 17. Il principio di sana amministrazione non è stato quindi violato.
Quanto al motivo relativo alla violazione del principio di buona fede e dei diritti
fondamentali
38 La ricorrente ritiene che la Commissione, con la sua pretesa condotta arbitraria,
avrebbe violato l' obbligo di attenersi al principio di buona fede. Orbene, il Tribunale ha
già rilevato come la ricorrente non abbia attivamente cooperato con la Commissione nell'
ambito della prima fase del procedimento di inchiesta. Conseguentemente, la ricorrente
non può vantare una buona fede che la Commissione abbia potuto violare. Tali
considerazioni valgono anche con riguardo al motivo relativo alla violazione dei diritti
fondamentali, a sostegno del quale la ricorrente deduce che la Commissione, negandole la
ragionevole possibilità di rispondere alla richiesta di informazioni "semplice", non
avrebbe realmente consentito che la prima fase del procedimento preliminare di inchiesta
potesse andare a buon esito.
39 Questi motivi, che appaiono peraltro quale semplice ripetizione di quelli precedenti,
non possono trovare quindi accoglimento.
40 Conseguentemente, il ricorso dev' essere interamente respinto.
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Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Prima Sezione)
dichiara e statuisce:
Il ricorso è respinto.
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2. Causa C-415/93,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CEE, dalla Cour d'appel di Liegi (Belgio) nelle cause dinanzi ad
essa pendenti tra
Union royale belge des sociétés de football association ASBL
e
Jean-Marc Bosman,
tra
Royal club liégeois SA
e
Jean-Marc Bosman, SA
d'économie mixte sportive de l'union sportive du littoral de Dunkerque,
Union royal belge des sociétés de football association ASBL,
Union des associations européennes de football (UEFA),
tra
Union des associations européennes de football (UEFA),
e
Jean-Marc Bosman,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 48, 85 e 86 del Trattato CEE,
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Motivazione della sentenza
1 Con sentenza 1. Ottobre 1993, pervenuta in cancelleria il successivo 6 ottobre, la Cour
d'appel di Liegi ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE,
talune questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 48, 85 e 86 dello
stesso Trattato.
2 Le dette questioni sono state sollevate nell'ambito di varie controversie, delle quali la
prima fra l'Union royale belge des sociétés de football association ASBL (in prosieguo:
l'«URBSFA») e il signor Bosman, la seconda fra il Royal club liégeois SA (in prosieguo:
il «RCL») e il signor Bosman, la SA d'économie mixte sportive de l'union sportive du
littoral de Dunkerque (in prosieguo: la «società di Dunkerque»), l'URBSFA e l'Union des
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associations européennes de football (UEFA) (in prosieguo: l'«UEFA»), e la terza fra
l'UEFA e il signor Bosman.
L'organizzazione del gioco del calcio
3 Lo sport di football association - generalmente noto come «giuoco del calcio» -,
professionistico o dilettantistico, viene praticato, nella forma organizzata, nell'ambito di
società che, in ciascuno degli Stati membri, sono consociate in associazioni nazionali,
dette anche federazioni. Solo nel Regno Unito esistono più federazioni nazionali, e
precisamente quattro, rispettivamente competenti per l'Inghilterra, il Galles, la Scozia e
l'Irlanda del Nord. L'URBSFA è la federazione nazionale belga. Dalle federazioni
nazionali dipendono altre associazioni secondarie o sussidiarie, incaricate
dell'organizzazione del gioco del calcio in taluni settori o in talune regioni. Le federazioni
organizzano campionati nazionali, ripartiti in più serie secondo il valore sportivo delle
società che vi partecipano.
4 Le federazioni nazionali aderiscono alla Fédération internationale de football
association (in prosieguo: la «FIFA»), associazione di diritto svizzero che organizza il
gioco del calcio a livello mondiale. La FIFA è suddivisa in confederazioni continentali, i
cui regolamenti sono soggetti alla sua approvazione. La confederazione competente per
l'Europa è l'UEFA, anch'essa associazione di diritto svizzero. Ne fanno parte circa
cinquanta federazioni, fra le quali, segnatamente, le federazioni nazionali degli Stati
membri che, conformemente allo statuto dell'UEFA, si sono impegnate a rispettare sia lo
statuto sia i regolamenti e le decisioni di quest'ultima.
5 Ogni partita di calcio organizzata sotto l'egida di una federazione nazionale dev'essere
giocata fra due società appartenenti alla detta federazione oppure da associazioni
secondarie o sussidiarie affiliate. La squadra schierata da ciascuna società è composta di
calciatori qualificati dalla federazione per tale società. Ogni calciatore professionista
dev'essere iscritto come tale alla propria federazione nazionale e figura come attuale o ex
dipendente di una specifica società.
La disciplina dei trasferimenti
6 Secondo il regolamento federale dell'URBSFA del 1983, vigente all'epoca dei fatti di
cui alle cause a quibus, si devono distinguere tre rapporti: l'affiliazione, che lega il
calciatore alla federazione nazionale, il tesseramento, che lega il calciatore ad una società,
e la qualificazione, che costituisce il necessario presupposto della partecipazione del
calciatore alle partite ufficiali. Il trasferimento è definito come il procedimento mediante
il quale il calciatore affiliato ottiene una variazione temporanea di tesseramento. In caso
di trasferimento temporaneo il calciatore resta tesserato presso la sua società, ma è
qualificato per un'altra società.
7 A norma dello stesso regolamento, tutti i contratti dei calciatori professionisti, la cui
durata varia da uno a cinque anni, scadono il 30 giugno. Prima della scadenza del
contratto, e non oltre il 26 aprile, la società deve proporre un nuovo contratto al
calciatore, il quale, in caso contrario, è considerato dilettante ai fini dei trasferimenti con
la conseguente applicazione di altre disposizioni del regolamento. Il calciatore è libero di
accettare o di respingere tale proposta.
8 Nel caso in cui la respinga, egli viene iscritto in un elenco di calciatori che possono
essere oggetto, fra il 1_ e il 31 maggio, di un cosiddetto trasferimento «imposto», il quale
non richiede il consenso della società cui il calciatore appartiene, ma comporta il
versamento a quest'ultima, da parte della nuova società, di una cosiddetta indennità «di
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formazione», calcolata moltiplicando il reddito lordo annuo del calciatore per coefficienti
che variano da 14 a 2, secondo la sua età.
9 Il 1_ giugno ha inizio il periodo dei cosiddetti trasferimenti «liberi», che richiedono il
consenso delle due società e del calciatore, in specie per quanto riguarda l'ammontare
dell'indennità di trasferimento che la nuova società è tenuta a versare a quella di
provenienza, a pena di sanzioni che possono arrivare fino alla radiazione della prima per
debiti.
10 Se non ha luogo alcun trasferimento, la società della quale il calciatore fa parte deve
offrirgli un nuovo contratto per una stagione, che prevede le stesse condizioni stabilite dal
contratto proposto entro il 26 aprile. Se il calciatore lo respinge, la società ha il diritto di
adottare, entro il 1_ agosto, un provvedimento di sospensione, in mancanza del quale
l'interessato riacquista la qualifica di dilettante. Il calciatore che persiste nel rifiuto di
firmare i contratti proposti dalla società di appartenenza può ottenere un trasferimento
come dilettante, senza il consenso della società, dopo due stagioni di inattività.
11 I regolamenti dell'UEFA e della FIFA, dal canto loro, non si applicano direttamente
nei confronti dei calciatori, ma sono inclusi nei regolamenti delle federazioni nazionali, le
sole ad avere il potere di farli applicare e di disciplinare i rapporti fra le società e i
calciatori.
12 L'UEFA, l'URBSFA e il RCL hanno sostenuto dinanzi al giudice nazionale che le
norme che si applicavano all'epoca dei fatti di causa ai trasferimenti tra società di Stati
membri diversi o tra società facenti parte di federazioni nazionali diverse nell'ambito
dello stesso Stato membro erano contenute in un documento intitolato «principi di
collaborazione tra le federazioni aderenti all'UEFA e le loro società», approvato dal
comitato esecutivo dell'UEFA il 24 maggio 1990 e in vigore dal 1_ luglio 1990.
13 Tale documento prevede che, alla scadenza del contratto, il calciatore sia libero di
stipulare un nuovo contratto con la società di sua scelta. Quest'ultima deve informarne
immediatamente la società di provenienza, la quale, a sua volta, ne informa la federazione
nazionale, che è tenuta a redigere il certificato internazionale di trasferimento. Tuttavia, la
società di provenienza ha il diritto di ricevere dalla nuova società un'indennità di
promozione o di formazione, il cui importo, in caso di disaccordo, viene fissato da una
commissione costituita nell'ambito dell'UEFA, moltiplicando il reddito lordo del
calciatore nella stagione precedente per un coefficiente variabile da 12 a 1, secondo l'età
dell'interessato, e con un massimo di 5 000 000 SFR.
14 Lo stesso documento precisa che i rapporti economici fra le due società per quanto
riguarda la fissazione dell'indennità di promozione o di formazione non influiscono
sull'attività del calciatore, il quale è libero di giocare per la società da lui prescelta.
Tuttavia, se quest'ultima non versa immediatamente l'indennità alla società di
provenienza, la commissione di controllo e di disciplina dell'UEFA esamina il caso e
rende nota la sua decisione alla federazione nazionale interessata, che può a sua volta
infliggere sanzioni alla società inadempiente.
15 Il giudice di rinvio ritiene che nella fattispecie oggetto delle cause a quibus l'URBSFA
e il RCL non abbiano applicato il regolamento dell'UEFA, ma quello della FIFA.
16 All'epoca dei fatti quest'ultimo regolamento disponeva, in particolare, che un
calciatore professionista non poteva lasciare la federazione nazionale presso la quale era
tesserato fintantoché fosse vincolato dal suo contratto e dai regolamenti della sua società
e della federazione nazionale, per quanto rigidi questi potessero essere. Il trasferimento
internazionale era subordinato al rilascio, da parte della federazione nazionale di
provenienza, di un certificato di trasferimento con il quale essa riconosceva che tutti gli
obblighi di carattere finanziario, compresa un'eventuale somma per il trasferimento, erano
stati adempiuti.
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17 Successivamente all'epoca suddetta l'UEFA ha intavolato trattative con la
Commissione delle Comunità europee. In particolare, nell'aprile 1991 essa si è impegnata
a far inserire nei contratti dei calciatori professionisti una clausola che consentisse a
costoro, alla scadenza del contratto, di stipulare un nuovo contratto con la società di loro
scelta e di giocare immediatamente per essa. Disposizioni in tal senso sono state inserite
nei «principi di collaborazione tra le federazioni aderenti all'UEFA e le loro società»,
adottati nel dicembre 1991 e in vigore dal 1_ luglio 1992.
18 Nell'aprile 1991 la FIFA ha anch'essa adottato un nuovo regolamento relativo allo
statuto e ai trasferimenti dei calciatori. Tale documento, come modificato nel dicembre
1991 e nel dicembre 1993, dispone che il calciatore può stipulare un contratto con una
nuova società se il contratto che lo vincola alla propria società è giunto a scadenza, è stato
risolto o scadrà entro sei mesi.
19 Norme particolari vigono poi per i calciatori «non dilettanti», definiti come i calciatori
che, per l'attività calcistica o per una qualsiasi attività inerente al calcio, hanno percepito
un'indennità superiore all'importo delle spese sostenute nell'esercizio di tale attività, a
meno che non abbiano riacquistato lo status di dilettante.
20 In caso di trasferimento di un calciatore non dilettante, o che diviene non dilettante
entro tre anni dal trasferimento, la società di provenienza ha diritto ad un'indennità di
promozione o di formazione, il cui ammontare dev'essere convenuto fra le due società
interessate. Nell'ipotesi di disaccordo la controversia dev'essere sottoposta alla FIFA o
alla confederazione competente.
21 Tali norme sono state integrate dal regolamento UEFA «relativo alla fissazione
dell'indennità di trasferimento», adottato nel giugno 1993 e in vigore dal 1_ agosto 1993,
il quale ha sostituito i «principi di collaborazione tra le federazioni aderenti all'UEFA e le
loro società» del 1991. Questo nuovo regolamento ribadisce il principio secondo cui i
rapporti economici fra le due società interessate non influiscono sull'attività sportiva del
calciatore, il quale è libero di giocare per la società con cui ha stipulato un nuovo
contratto. Esso dispone inoltre che, in caso di disaccordo fra le società interessate, spetta
alla competente commissione dell'UEFA determinare l'importo dell'indennità di
formazione o di promozione. Per i calciatori non dilettanti, il detto importo è calcolato in
base al reddito lordo ottenuto dall'interessato nei dodici mesi precedenti, o al reddito fisso
annuo garantito nel nuovo contratto, aumentato del 20% per i calciatori che hanno
giocato almeno due volte nella prima squadra nazionale rappresentativa del loro paese, e
moltiplicato per un coefficiente compreso fra 12 e 0 a seconda dell'età.
22 Dai documenti presentati alla Corte dall'UEFA risulta che taluni regolamenti in vigore
in altri Stati membri contengono anch'essi disposizioni che, in caso di trasferimento di un
calciatore fra due società della stessa federazione nazionale, obbligano la nuova società a
pagare alla società di provenienza, alle condizioni fra di esse convenute, un'indennità di
trasferimento, di formazione o di promozione.
23 In Francia l'indennità può essere richiesta solo se la società di provenienza è quella
con cui l'interessato ha stipulato il primo contratto da professionista; in Spagna solo se il
calciatore trasferito è di età inferiore a 25 anni; in Grecia, anche se la nuova società non è
espressamente tenuta a pagare un'indennità, il contratto fra la società e il calciatore può
subordinare il trasferimento di quest'ultimo al versamento di un determinato importo che,
secondo quanto dichiarato dall'UEFA, è in realtà per lo più posto a carico della nuova
società.
24 Le norme che si applicano in materia sono dettate, a seconda dei casi, dalle leggi
nazionali, dai regolamenti delle federazioni calcistiche nazionali oppure da contratti
collettivi.
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Le norme sulla cittadinanza
25 A partire dagli anni sessanta numerose federazioni calcistiche nazionali hanno adottato
norme che limitavano la possibilità di ingaggiare o di far partecipare alle competizioni
calciatori aventi cittadinanza straniera (in prosieguo: le «norme sulla cittadinanza»). Per
l'applicazione di tali norme la cittadinanza è definita con riferimento alla possibilità, per il
calciatore, di essere qualificato per giocare nella squadra nazionale o nella squadra
rappresentativa di un paese.
26 Nel 1978 l'UEFA si è impegnata nei confronti del signor Davignon, membro della
Commissione delle Comunità europee, da un lato, ad abolire le limitazioni del numero dei
contratti stipulati da ciascuna società con calciatori di altri Stati membri e, dall'altro, a
fissare a due il numero di tali giocatori che possono partecipare a ciascuna partita.
Quest'ultima limitazione non è applicabile ai calciatori stabiliti da oltre cinque anni nello
Stato membro interessato.
27 Nel 1991, a seguito di nuovi incontri con il signor Bangemann, vicepresidente della
Commissione, l'UEFA ha adottato la cosiddetta regola del «3+2», che prevede la
possibilità, per le federazioni nazionali, di limitare a tre il numero di calciatori stranieri
che una società può schierare in una partita di serie A del campionato nazionale, più due
calciatori che abbiano giocato nel paese in cui opera la federazione nazionale interessata
per un periodo ininterrotto di cinque anni, tre dei quali in squadre giovanili. Tale
limitazione vale anche per le partite giocate nell'ambito di tornei per squadre di club
organizzati dall'UEFA.
I fatti all'origine delle cause a quibus
28 Il signor Bosman, calciatore professionista di cittadinanza belga, è stato occupato, dal
1988, dal RCL, società belga di serie A, in base ad un contratto valido fino al 30 giugno
1990, che prevedeva una retribuzione mensile media di 120 000 BFR, premi compresi.
29 Il 21 aprile 1990 il RCL ha proposto al signor Bosman un nuovo contratto per la
durata di una stagione, in base al quale la sua retribuzione mensile era ridotta a 30 000
BFR, vale a dire al minimo previsto dal regolamento federale dell'URBSFA. Essendosi
rifiutato di firmare tale contratto, il signor Bosman è stato iscritto nell'elenco dei
calciatori cedibili. L'ammontare dell'indennità di formazione è stato fissato nel suo caso,
ai sensi del detto regolamento, a 11 743 000 BFR.
30 Poiché nessuna società aveva manifestato il proprio interesse ad un trasferimento
imposto, il signor Bosman si è messo in contatto con la società calcistica francese di
Dunkerque, di serie B, che lo ha poi assunto con una retribuzione mensile di circa 100
000 BFR ed un premio d'ingaggio pari a circa 900 000 BFR.
31 Il 27 luglio 1990 è stato del pari stipulato, fra il RCL e la società di Dunkerque, un
contratto che prevedeva il trasferimento temporaneo del signor Bosman per un anno,
contro il versamento, da parte della detta società al RCL, di un'indennità di 1 200 000
BFR, esigibile al momento in cui la Fédération française de football (in prosieguo: la
«FFF») avesse ricevuto il certificato di trasferimento rilasciato dall'URBSFA. Il contratto
accordava inoltre alla società di Dunkerque un'opzione irrevocabile per il trasferimento
definitivo del calciatore in cambio della somma di 4 800 000 BFR.
32 Entrambi i contratti, quello fra la società di Dunkerque e il RCL e quello fra la detta
società e il signor Bosman, erano tuttavia sottoposti ad una condizione sospensiva
secondo cui il certificato di trasferimento doveva essere inviato dall'URBSFA alla FFF
anteriormente alla prima partita della stagione, che doveva aver luogo il 2 agosto 1990.
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33 Dubitando della solvibilità della società di Dunkerque, il RCL non ha chiesto
all'URBSFA di trasmettere il detto certificato alla FFF. Di conseguenza, i due contratti
sono rimasti inefficaci. Il 31 luglio 1990 il RCL ha inoltre sospeso il signor Bosman,
impedendogli così di giocare per l'intera stagione.
34 L'8 agosto 1990 il signor Bosman ha intentato dinanzi al Tribunal de première
instance di Liegi un'azione contro il RCL. Contestualmente egli ha proposto una
domanda di provvedimenti urgenti diretta, in primo luogo, a far ingiungere al RCL e
all'URBSFA di versargli una provvisionale di 100 000 BFR al mese fintantoché egli non
avesse trovato un nuovo ingaggio, in secondo luogo, a far inibire ai convenuti di
ostacolare le sue possibilità di ingaggio, segnatamente mediante la riscossione di una
somma di denaro, e, in terzo luogo, a far sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte
di giustizia.
35 Con ordinanza 9 novembre 1990, il giudice dell'urgenza ha ordinato al RCL e
all'URBSFA di versare al signor Bosman una provvisionale mensile di 30 000 BFR ed ha
ingiunto loro di non ostacolare un suo eventuale ingaggio. Esso ha inoltre sottoposto alla
Corte di giustizia una questione pregiudiziale (causa C-340/90) vertente
sull'interpretazione dell'art. 48 del Trattato con riguardo alla normativa che disciplina i
trasferimenti dei calciatori professionisti (in prosieguo: le «norme sui trasferimenti»).
36 Nel frattempo, il signor Bosman era stato ingaggiato nell'ottobre 1990 dalla società
francese di serie B di Saint-Quentin, subordinatamente alla condizione sospensiva del
successo della sua domanda di provvedimenti urgenti. Tale contratto è stato però risolto
alla fine della prima stagione. Nel febbraio 1992 il signor Bosman ha stipulato con la
società francese di Saint-Denis de la Réunion un nuovo contratto, che è stato anch'esso
risolto. Dopo altre ricerche in Belgio e in Francia, egli è stato infine ingaggiato
dall'Olympic di Charleroi, militante nella serie C belga.
37 Secondo il giudice a quo, una serie di presunzioni gravi e concordanti autorizzano a
ritenere che, malgrado lo status di «libertà» attribuitogli dai provvedimenti del giudice
dell'urgenza, il signor Bosman sia stato vittima di un boicottaggio da parte di tutte le
società europee che avrebbero potuto ingaggiarlo.
38 Il 28 maggio 1991 la Cour d'appel di Liegi ha riformato l'ordinanza recante
provvedimenti provvisori del Tribunal de première instance di Liegi nella parte in cui
sottoponeva una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia. Essa ha confermato però
la condanna del RCL a pagare una provvisionale mensile al signor Bosman ed ha
ingiungo al RCL e all'URBSFA di mettere il signor Bosman a disposizione di qualsiasi
società che intendesse avvalersi delle sue prestazioni, senza esigere da questa
un'indennità. Con ordinanza 19 giugno 1991, la causa C-340/90 è stata cancellata dal
ruolo della Corte di giustizia.
39 Nell'ambito del giudizio di merito instaurato dinanzi al Tribunal de première instance
di Liegi, l'URBSFA, che, contrariamente a quanto era avvenuto in sede di procedimento
sommario, non era stata convenuta, è intervenuta volontariamente il 3 giugno 1991. Il 20
agosto 1991 il signor Bosman ha citato l'UEFA per farla intervenire nella causa da lui
intentata contro il RCL e l'URBSFA e per esperire direttamente nei suoi confronti
un'azione basata sulla sua responsabilità nella redazione dei regolamenti che gli
arrecavano pregiudizio. Il 5 dicembre 1991 il RCL ha chiamato in causa la società di
Dunkerque per essere garantito contro un'eventuale condanna nei suoi confronti. Il 15
ottobre 1991 e, rispettivamente, il 27 dicembre 1991, il sindacato francese di categoria
Union nationale des footballeurs professionnels (in prosieguo: l'«UNFP») e l'associazione
di diritto olandese Vereniging van contractspelers (in prosieguo: la «VVCS») sono
intervenuti volontariamente nella causa.
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40 Con nuove conclusioni depositate il 9 aprile 1992, il signor Bosman ha modificato la
sua domanda originaria contro il RCL, ha esperito una separata azione preventiva nei
confronti dell'URBSFA ed ha sviluppato la domanda proposta contro l'UEFA.
Nell'ambito di tali procedimenti egli ha chiesto che le norme sui trasferimenti e le norme
sulla cittadinanza fossero dichiarate inapplicabili nei suoi confronti e che, a causa del loro
comportamento illecito in relazione al suo mancato trasferimento alla società di
Dunkerque, il RCL, l'URBSFA e l'UEFA fossero condannati a versargli, da un lato, la
somma di 11 368 350 BFR, come risarcimento del danno da lui subito dal 1_ agosto 1990
sino alla fine della sua carriera, e, dall'altro, la somma di 11 743 000 BFR, corrispondente
al lucro cessante subito dall'inizio della sua carriera a causa dell'applicazione delle norme
sui trasferimenti. Il signor Bosman ha chiesto inoltre che fosse sottoposta alla Corte di
giustizia una questione pregiudiziale.
41 Con sentenza 11 giugno 1992, il Tribunal de première instance di Liegi si è dichiarato
competente a conoscere del merito delle cause. Esso, inoltre, ha ritenuto ricevibili le
domande proposte dal signor Bosman contro il RCL, l'URBSFA e l'UEFA e dirette
segnatamente a far dichiarare inapplicabili le norme sui trasferimenti e le norme sulla
cittadinanza nonché a far sanzionare il comportamento delle tre organizzazioni. Per
contro, il detto Tribunale ha respinto la domanda proposta dal RCL nei confronti della
società di Dunkerque e volta a far ordinare l'intervento in garanzia della società, ritenendo
che non fosse stato provato che quest'ultima non avesse adempiuto correttamente le sue
obbligazioni. Infine, rilevando che l'esame delle pretese avanzate dal signor Bosman nei
confronti dell'UEFA e dell'URBSFA implicava un giudizio sulla compatibilità delle
norme sui trasferimenti con il Trattato, esso ha chiesto alla Corte di giustizia di
pronunciarsi sull'interpretazione degli artt. 48, 85 e 86 del Trattato (causa C-269/92).
42 A seguito dell'appello interposto contro tale provvedimento dall'URBSFA, dal RCL e
dall'UEFA, il procedimento dinanzi alla Corte di giustizia è stato sospeso. Con ordinanza
8 dicembre 1993, la causa C-269/92 è stata infine cancellata dal ruolo in conseguenza
della nuova sentenza della Cour d'appel di Liegi che ha dato origine al presente
procedimento.
43 L'UNFP e la VVCS non sono stati citati in appello e si sono astenuti dall'intervenire in
tale sede.
44 Nella sentenza di rinvio la Cour d'appel di Liegi ha confermato la sentenza impugnata
nella parte in cui dichiarava il Tribunal de première instance di Liegi competente e le
azioni ricevibili e in quanto rilevava che l'esame delle pretese avanzate dal signor
Bosman nei confronti dell'UEFA e dell'URBSFA implicava quello della legittimità delle
norme sui trasferimenti. La Cour d'appel ha considerato inoltre che l'esame della
legittimità delle norme sulla cittadinanza era necessario, poiché la domanda al riguardo
proposta dal signor Bosman era basata sull'art. 18 del Code judiciaire belga, il quale
consente le azioni esperite «allo scopo di prevenire la lesione di un diritto gravemente
minacciato». Ora, il signor Bosman avrebbe prodotto vari elementi obiettivi i quali
farebbero presumere che il danno da lui temuto, ossia che le norme sulla cittadinanza
ostacolino la sua carriera, si produrrà effettivamente.
45 Il giudice di rinvio ha considerato segnatamente che l'art. 48 del Trattato, al pari
dell'art. 30, può vietare non soltanto le discriminazioni, ma anche gli ostacoli non
discriminatori per la libera circolazione dei lavoratori, se non possono essere giustificati
da esigenze imperiose.
46 A proposito dell'art. 85 del Trattato, esso ha osservato che i regolamenti della FIFA,
dell'UEFA e dell'URBSFA potrebbero costituire decisioni di associazioni di imprese
mediante le quali le società calcistiche limitano la concorrenza che si fanno per acquisire
i calciatori. Anzitutto, le indennità di trasferimento avrebbero una funzione dissuasiva e
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determinerebbero la riduzione delle retribuzioni dei calciatori professionisti. Inoltre, le
norme sulla cittadinanza vieterebbero di ottenere i servizi offerti da calciatori stranieri
oltre una determinata quota. Infine, il commercio fra Stati membri sarebbe pregiudicato,
in particolare dalla limitazione della mobilità dei calciatori.
47 La Cour d'appel prospetta poi l'esistenza di una posizione dominante detenuta
dall'URBSFA o di una posizione dominante collettiva a vantaggio delle società
calcistiche, ai sensi dell'art. 86 del Trattato, mentre le limitazioni della concorrenza
rilevate nell'ambito dell'art. 85 possono costituire abusi vietati dal detto art. 86.
48 La Cour d'appel ha respinto l'istanza dell'UEFA diretta a far chiedere alla Corte di
giustizia se la soluzione della questione sollevata a proposito dei trasferimenti sarebbe
diversa nel caso in cui un regolamento consentisse al calciatore di giocare liberamente per
la sua nuova società, anche se questa non ha versato l'indennità di trasferimento alla
società di provenienza. Essa ha in particolare osservato al riguardo che, a causa della
minaccia di rigorose sanzioni a carico delle società che non paghino la detta indennità, la
facoltà del calciatore di giocare per la nuova società resta subordinata ai rapporti
economici fra le società calcistiche.
49 In base a tali considerazioni, la Cour d'appel di Liegi ha deciso di sospendere il
procedimento e di chiedere alla Corte di giustizia di pronunciarsi, in via pregiudiziale,
sulle seguenti questioni:
«Se gli artt. 48, 85 e 86 del Trattato di Roma del 25 marzo 1957 vadano interpretati nel
senso che vietano:
- che una società calcistica possa pretendere di percepire il pagamento di una somma di
denaro allorché un giocatore già tesserato per la stessa società, dopo la scadenza del
contratto con essa stipulato, viene ingaggiato da una nuova società calcistica;
- che le associazioni o federazioni sportive, nazionali ed internazionali, possano includere
nei rispettivi regolamenti norme che limitano la partecipazione di giocatori stranieri,
cittadini dei paesi aderenti alla Comunità europea, alle competizioni che organizzano».
50 Il 3 giugno 1994 l'URBSFA ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza
della Cour d'appel, chiedendo che gli effetti della pronuncia fossero estesi al RCL,
all'UEFA e alla società di Dunkerque. Con lettera 6 ottobre 1994, il Procuratore generale
presso la Cour de cassation del Belgio ha comunicato alla Corte che nel caso di specie il
ricorso non ha effetto sospensivo.
51 Con sentenza 30 marzo 1995, la Cour de cassation ha respinto il ricorso dichiarando
che il rigetto privava di oggetto le domande relative all'estensione degli effetti della
sentenza. La Cour de cassation ha trasmesso copia della sua sentenza alla Corte di
giustizia.
Sulle domande di provvedimenti istruttori
52 Con lettera pervenuta alla cancelleria della Corte il 16 novembre 1995, l'UEFA ha
proposto un'istanza diretta a far disporre un mezzo istruttorio ai sensi dell'art. 60 del
regolamento di procedura allo scopo di acquisire informazioni integrative sul ruolo svolto
dalle indennità di trasferimento nel finanziamento delle società calcistiche di piccole o
medie dimensioni, sui sistemi di ripartizione degli introiti nell'ambito delle strutture
organizzative del gioco del calcio e sull'esistenza o sulla mancanza di sistemi alternativi
per l'ipotesi in cui il sistema delle indennità di trasferimento fosse abolito.
53 Dopo aver nuovamente sentito l'avvocato generale, la Corte ha ritenuto di dover
respingere tale istanza, proposta in un momento in cui, ai sensi dell'art. 59, n. 2, del
regolamento di procedura, la fase orale del procedimento era chiusa. In effetti, dalla
giurisprudenza della Corte (v. sentenza 16 giugno 1971, causa 77/70,
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Prelle/Commissione, Racc. pag. 561, punto 7) risulta che un'istanza del genere può essere
accolta soltanto se riguarda fatti che possono esercitare un'influenza decisiva e che
l'interessato non ha potuto far valere prima della chiusura della fase orale.
54 Nel caso presente basta rilevare che l'UEFA avrebbe potuto proporre la detta istanza
prima che la fase orale fosse dichiarata chiusa. Inoltre, la questione se lo scopo di
conservare l'equilibrio finanziario e sportivo, e specificamente di garantire il
finanziamento delle società di piccole dimensioni, possa essere conseguito con altri
mezzi, come la ridistribuzione di una parte degli introiti del gioco del calcio è stata
trattata, in particolare, dal signor Bosman nelle sue osservazioni scritte.
Sulla competenza della Corte a pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali
55 L'URBSFA, l'UEFA, taluni dei governi che hanno presentato osservazioni e, nel corso
della fase scritta, la Commissione, hanno contestato, per motivi diversi, la competenza
della Corte a pronunciarsi su tutte o su parti delle questioni sollevate dal giudice a quo.
56 In primo luogo, l'UEFA e l'URBSFA hanno sostenuto che le cause a quibus
costituiscono un artificio procedurale diretto ad ottenere che la Corte si pronunci in via
pregiudiziale su questioni obiettivamente irrilevanti per la decisione delle controversie. A
loro dire, infatti, il regolamento dell'UEFA non è stato applicato in occasione del mancato
trasferimento del signor Bosman a Dunkerque e peraltro, se fosse stato applicato, il detto
trasferimento non sarebbe stato subordinato al versamento di un'indennità di
trasferimento e quindi avrebbe potuto aver luogo. Di conseguenza, l'interpretazione del
diritto comunitario chiesta dal giudice nazionale non avrebbe alcun rapporto con gli
aspetti concreti o con l'oggetto delle cause a quibus e, secondo una costante
giurisprudenza, la Corte non sarebbe competente a risolvere le questioni sottopostele.
57 In secondo luogo, l'URBSFA, l'UEFA, i governi danese, francese e italiano, così come
la Commissione nelle sue osservazioni scritte, hanno sostenuto che le questioni relative
alle norme sulla cittadinanza non sono pertinenti alle controversie, che riguardano
unicamente l'applicazione delle norme sui trasferimenti. Infatti, gli ostacoli che il signor
Bosman ritiene provocati, nello sviluppo della sua carriera, dalle norme sulla cittadinanza
sarebbero puramente ipotetici e non costituirebbero un valido motivo perché la Corte si
pronunci sull'interpretazione del Trattato sotto tale profilo.
58 In terzo luogo, l'URBSFA e l'UEFA hanno rilevato all'udienza che, secondo la
sentenza 30 maggio 1995 della Cour de cassation belga, la Cour d'appel di Liegi non ha
ritenuto ricevibili le domande con cui il signor Bosman ha chiesto la declaratoria
dell'inapplicabilità, nei suoi confronti, delle norme sulla cittadinanza contenute nel
regolamento dell'URBSFA. Le cause a quibus non verterebbero quindi sull'applicazione
delle dette norme e la Corte non dovrebbe risolvere le questioni sottopostele a tale
proposito. Il governo francese ha aderito a questa conclusione con riserva, però,
dell'accertamento della portata della sentenza della Cour de cassation.
59 Si deve rilevare a questo proposito che, nell'ambito della collaborazione tra la Corte e i
giudici nazionali istituita dall'art. 177 del Trattato, spetta esclusivamente al giudice
nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità
dell'emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di
ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di
pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte.
Di conseguenza, se le questioni sollevate dal giudice nazionale vertono
sull'interpretazione del diritto comunitario la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire
(v., in particolare, sentenza 5 ottobre 1995, causa C-125/94, Aprile, Racc. pag. I-0000,
punti 16 e 17).
60 Nondimeno la Corte ha considerato che, per verificare la propria competenza, le
spettava esaminare le condizioni in cui era adita dal giudice nazionale. Infatti, lo spirito di
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collaborazione che deve presiedere al funzionamento del rinvio pregiudiziale implica che,
dal canto suo, il giudice nazionale tenga conto della funzione attribuita alla Corte, che è
quella di contribuire all'amministrazione della giustizia negli Stati membri e non di
esprimere pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche (v., in particolare, sentenza
16 luglio 1992, causa C-83/91, Meilicke, Racc. pag. I-4871, punto 25).
61 Proprio in considerazione di tale funzione la Corte ha ritenuto di non poter statuire su
una questione sollevata da un giudice nazionale qualora appaia in modo manifesto che
l'interpretazione o il giudizio sulla validità di una norma comunitaria chiesti da tale
giudice non hanno alcuna relazione con l'effettività o con l'oggetto della causa a qua (v.,
in particolare, sentenza 26 ottobre 1995, causa C-143/94, Furlanis costruzioni generali,
Racc. pag. I-0000, punto 12), oppure qualora il problema sia di natura ipotetica e la Corte
non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile
alle questioni che le vengono sottoposte (v., in particolare, sentenza Meilicke, citata,
punto 32).
62 Nella fattispecie si deve osservare anzitutto che le cause a quibus, considerate nel loro
insieme, non hanno natura ipotetica e che il giudice nazionale ha esposto con precisione
alla Corte il loro ambito fattuale e normativo e le ragioni che l'hanno indotto a ritenere
necessaria, per poter emettere la propria sentenza, una pronuncia sulle questioni da esso
sollevate.
63 Inoltre, anche ammesso che, come sostengono l'URBSFA e l'UEFA, il regolamento di
quest'ultima non sia stato applicato in occasione del mancato trasferimento del signor
Bosman alla società di Dunkerque, resta sempre il fatto che ad esso si fa riferimento nelle
azioni preventive del signor Bosman contro l'URBSFA e l'UEFA (v. sopra, punto 40) e
che un'interpretazione della Corte circa la compatibilità con il diritto comunitario del
sistema di trasferimento istituito dal regolamento dell'UEFA potrebbe essere utile al
giudice a quo.
64 Per quanto riguarda in particolare le questioni relative alle norme sulla cittadinanza,
risulta che le domande al riguardo proposte nell'ambito delle cause a quibus sono state
giudicate ricevibili in base ad una norma processuale nazionale che consente di esperire
un'azione, anche a fini declaratori, per prevenire la lesione di un diritto gravemente
minacciato. Come emerge dalla sua sentenza, il giudice a quo ha ritenuto che
l'applicazione delle norme sulla cittadinanza potesse effettivamente ostacolare la carriera
del signor Bosman, riducendone le possibilità di essere ingaggiato da una società di un
altro Stato membro o di giocare per essa. Il detto giudice è giunto quindi alla conclusione
che le domande del signor Bosman dirette a far dichiarare inapplicabili nei suoi confronti
le norme sulla cittadinanza soddisfacevano i presupposti prescritti dalla norma
summenzionata.
65 Non compete alla Corte, nell'ambito del presente procedimento, sindacare tale
giudizio. Anche se le azioni esperite nel caso di specie hanno carattere declaratorio e,
mirando a prevenire la lesione di un diritto minacciato, devono necessariamente basarsi
su previsioni per loro natura incerte, esse sono nondimeno consentite dal diritto nazionale
come interpretato dal giudice a quo. Alla luce di tali considerazioni, le questioni sollevate
dal giudice nazionale risultano obiettivamente necessarie per la soluzione delle
controversie con cui esso è ritualmente adito.
66 Infine, dalla sentenza 30 marzo 1995 della Cour de cassation non risulta che le norme
sulla cittadinanza siano estranee alle cause a quibus. La Cour de cassation ha
semplicemente dichiarato che il ricorso proposto dall'URBSFA contro la sentenza del
giudice a quo si basava su un'errata interpretazione di quest'ultima. Nel ricorso per
cassazione l'URBSFA aveva in effetti sostenuto che il giudice suddetto aveva ritenuto
ricevibile una domanda del signor Bosman diretta a far dichiarare le norme sulla
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cittadinanza contenute nei regolamenti della detta federazione inapplicabili nei suoi
confronti. Orbene, emerge dalla sentenza della Cour de cassation che, secondo la Cour
d'appel, la domanda del signor Bosman era diretta a prevenire ostacoli che sarebbero
potuti derivare per la sua carriera dall'applicazione non già delle norme sulla cittadinanza
contenute nel regolamento dell'URBSFA, che riguardavano calciatori di cittadinanza
diversa dalla belga, ma delle analoghe norme contenute nei regolamenti dell'UEFA e
delle altre federazioni nazionali aderenti a tale confederazione, che potevano riguardarlo
in quanto calciatore di cittadinanza belga.
67 Da quanto precede risulta che la Corte è competente a pronunciarsi sulle questioni
sottopostele dalla Cour d'appel di Liegi.
Sull'interpretazione dell'art. 48 del Trattato con riguardo alle norme sui trasferimenti
68 Con la prima delle sue questioni il giudice a quo chiede in sostanza se l'art. 48 del
Trattato osti all'applicazione delle norme, emanate da associazioni sportive, secondo le
quali un calciatore professionista cittadino di uno Stato membro, alla scadenza del
contratto che lo vincola a una società, può essere ingaggiato da una società calcistica di
un altro Stato membro solo se questa ha versato alla società di provenienza un'indennità
di trasferimento, di formazione o di promozione.
Sull'applicazione dell'art. 48 alle norme emanate da associazioni sportive
69 Su questo punto, occorre esaminare in limine taluni argomenti presentati relativamente
all'applicazione dell'art. 48 alle norme emanate da associazioni sportive.
70 L'URBSFA ha sostenuto che soltanto le maggiori società calcistiche europee possono
essere considerate imprese, mentre società come il RCL esercitano un'attività economica
trascurabile. Inoltre, la questione del giudice nazionale relativa alle norme sui
trasferimenti non riguarda i rapporti di lavoro fra i calciatori e le società, ma i rapporti
economici fra le società e le conseguenze della libertà di tesseramento presso una
federazione sportiva. Pertanto, l'art. 48 del Trattato non si applicherebbe in un caso come
quello di specie.
71 Dal canto suo, l'UEFA ha fatto valere in particolare che le autorità comunitarie hanno
sempre rispettato l'autonomia dell'attività sportiva, che è difficilissimo distinguere gli
aspetti economici del calcio da quelli sportivi e che una pronuncia della Corte sulla
situazione degli sportivi professionisti potrebbe rimettere in discussione l'intera
organizzazione del gioco del calcio. Di conseguenza, anche se l'art. 48 del Trattato
dovesse applicarsi ai calciatori professionisti, sarebbe necessario attenersi a criteri di
elasticità in considerazione della specificità di tale attività sportiva.
72 Il governo tedesco ha sottolineato anzitutto che nella maggior parte dei casi uno sport
come il calcio non ha indole di attività economica. Ha poi rilevato che lo sport in generale
presenta analogie con la cultura, ricordando che, ai sensi dell'art. 128, n. 1, del Trattato
CE, la Comunità deve rispettare la diversità nazionale e regionale delle culture degli Stati
membri. Infine, ha menzionato la libertà di associazione e l'autonomia di cui godono, in
base al diritto nazionale, le federazioni sportive per concludere che, secondo il principio
di sussidiarietà, considerato come principio generale, l'intervento delle autorità pubbliche
e, in particolare, della Comunità nella materia considerata dev'essere limitato allo stretto
necessario.
73 A proposito di tali argomenti si deve ricordare che, considerati gli obiettivi della
Comunità, l'attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia
configurabile come attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato (v. sentenza 12
dicembre 1974, causa 36/74, Walrave, Racc. pag. 1405, punto 4). E'questo il caso
dell'attività dei calciatori professionisti o semiprofessionisti che svolgono un lavoro
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subordinato o effettuano prestazioni di servizi retribuite (v. sentenza 14 luglio 1976,
causa 13/76, Donà, Racc. pag. 1333, punto 12).
74 Si deve del pari osservare che, ai fini dell'applicazione delle norme comunitarie
relative alla libera circolazione dei lavoratori, non è comunque necessario che il datore di
lavoro abbia la qualità di imprenditore, giacché il solo elemento richiesto è l'esistenza di
un rapporto di lavoro o la volontà di instaurare tale rapporto.
75 L'applicazione dell'art. 48 del Trattato non è neppure esclusa dal fatto che le norme sui
trasferimenti disciplinino i rapporti economici fra società calcistiche, anziché i rapporti di
lavoro fra società e calciatori. Invero, la circostanza che le società datrici di lavoro siano
tenute a versare indennità quando ingaggiano calciatori provenienti da altre società
influisce sulla possibilità degli interessati di trovare un ingaggio, nonché sulle condizioni
alle quali l'ingaggio è offerto.
76 Per quanto riguarda la difficoltà di separare gli aspetti economici del calcio da quelli
sportivi, la Corte ha riconosciuto, nella citata sentenza Donà, punti 14 e 15, che le norme
comunitarie sulla libera circolazione delle persone e dei servizi non ostano a normative o
a prassi giustificate da motivi non economici, inerenti alla natura e al contesto specifici di
talune competizioni sportive. La Corte, però, ha sottolineato che tale restrizione delle
sfera d'applicazione delle dette norme deve restare entro i limiti del suo oggetto specifico.
Pertanto, essa non può essere invocata per escludere un'intera attività sportiva dalla sfera
d'applicazione del Trattato.
77 Quanto alle eventuali conseguenze di questa sentenza per l'organizzazione del gioco
del calcio nel suo complesso, va rilevato che, secondo una costante giurisprudenza,
benché le conseguenze pratiche di ogni pronuncia giurisdizionale debbano essere vagliate
accuratamente, ciò non può indurre a scalfire l'obiettività del diritto ed a compromettere
la sua applicazione a motivo delle ripercussioni che tale pronuncia può provocare. Tutt'al
più le dette ripercussioni potrebbero essere prese in considerazione per decidere
eventualmente, se necessario, di limitare l'efficacia di una sentenza nel tempo (v., in
particolare, sentenza 16 luglio 1992, causa C-163/90, Legros e a., Racc. pag. I-4625,
punto 30).
78 Nemmeno può essere accolto l'argomento relativo alle pretese analogie fra sport e
cultura, giacché la questione sollevata dal giudice nazionale verte non già sulle condizioni
dell'esercizio di competenze comunitarie di rilievo limitato, come quelle basate sull'art.
128, n. 1, ma sulla portata della libera circolazione dei lavoratori, garantita dall'art. 48,
che costituisce una libertà fondamentale nel sistema della Comunità (v., in particolare,
sentenza 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663, punto 16).
79 Per quanto concerne gli argomenti relativi alla libertà di associazione, occorre
riconoscere che tale principio, sancito dall'art. 11 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e scaturente dalle tradizioni
costituzionali comuni agli Stati membri, fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la
costante giurisprudenza della Corte, peraltro riaffermata dal preambolo dell'Atto unico
europeo e dall'art. F, n. 2, del Trattato sull'Unione europea, sono oggetto di tutela
nell'ordinamento giuridico comunitario.
80 Tuttavia, non si può ritenere che le norme emanate da associazioni sportive e
menzionate dal giudice nazionale siano necessarie per garantire alle dette associazioni,
alle società calcistiche o ai calciatori l'esercizio di tale libertà o ne costituiscano una
necessaria conseguenza.
81 Infine, il principio di sussidiarietà, come interpretato dal governo tedesco, ossia nel
senso che l'intervento delle autorità pubbliche, e segnatamente delle autorità comunitarie,
nella materia considerata dev'essere limitato allo stretto necessario, non può avere
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l'effetto che l'autonomia di cui godono le associazioni private per adottare normative
sportive limiti l'esercizio dei diritti conferiti ai privati dal Trattato.
82 Respinte le obiezioni relative all'applicazione dell'art. 48 del Trattato ad attività
sportive come quelle dei calciatori professionisti, occorre ricordare che, come la Corte ha
dichiarato nella citata sentenza Walrave, punto 17, il detto articolo non disciplina soltanto
gli atti delle autorità pubbliche, ma si applica anche alle normative di altra natura dirette a
disciplinare collettivamente il lavoro subordinato.
83 La Corte, infatti, ha considerato che l'abolizione fra gli Stati membri degli ostacoli alla
libera circolazione delle persone sarebbe compromessa se l'eliminazione delle limitazioni
stabilite da norme statali potesse essere neutralizzata da ostacoli derivanti dall'esercizio
dell'autonomia giuridica di associazioni ed enti di natura non pubblicistica (v. la citata
sentenza Walrave, punto 18).
84 Inoltre, la Corte ha rilevato che nei vari Stati membri le condizioni di lavoro sono
disciplinate talvolta da norme di natura legislativa o regolamentare, talvolta da
convenzioni e altri atti di natura privatistica. Pertanto, se l'oggetto dell'art. 48 del Trattato
fosse limitato agli atti della pubblica autorità, potrebbero verificarsi disparità nella sua
applicazione (v. la citata sentenza Walrave, punto 19). Tale rischio è particolarmente
evidente in un caso come quello di specie poiché, come si è sottolineato nel punto 24 di
questa sentenza, le norme sui trasferimenti sono state emanate da enti diversi o secondo
tecniche differenti nei vari Stati membri.
85 L'UEFA obietta che questa interpretazione si risolve nel conferire all'art. 48 del
Trattato un valore più vincolante per i privati che per gli Stati membri, dato che solo
questi ultimi possono avvalersi di limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, di
pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
86 Tale argomento poggia su una premessa errata. Nulla osta, infatti, a che le
giustificazioni attinenti all'ordine pubblico, alla pubblica sicurezza e alla sanità pubblica
siano invocate da privati. La natura pubblicistica o privatistica della normativa di cui
trattasi non incide affatto sulla portata o sul contenuto delle dette giustificazioni.
87 Si deve pertanto concludere che l'art. 48 del Trattato si applica a norme emanate da
associazioni sportive come l'URBSFA, la FIFA, o l'UEFA per stabilire le condizioni alle
quali gli sportivi professionisti esercitano un'attività retribuita.
Quanto al carattere puramente interno della situazione cui si riferisce il giudice nazionale
88 L'UEFA rileva che le cause pendenti dinanzi al giudice a quo si riferiscono ad una
situazione puramente interna allo Stato belga, che esula dalla sfera d'applicazione dell'art.
48 del Trattato. Esse riguarderebbero infatti un calciatore belga il cui trasferimento non
ha potuto aver luogo a causa del comportamento di una società belga e di un'associazione
belga.
89 Certo, risulta da una giurisprudenza costante (v., in particolare, sentenze 28 marzo
1979, causa 175/78, Saunders, Racc. pag. 1129, punto 11; 28 giugno 1984, causa 180/83,
Moser, Racc. pag. 2539, punto 15: 28 gennaio 1992, causa C-332/90, Steen, Racc. pag. I-
341, punto 9; e Kraus, citata, punto 15) che le disposizioni del Trattato in materia di
libera circolazione dei lavoratori, e segnatamente l'art. 48, non possono essere applicate a
situazioni puramente interne di uno Stato membro, ossia in mancanza di qualsiasi criterio
di collegamento ad una qualunque delle situazioni previste dal diritto comunitario.
90 Tuttavia, dagli accertamenti di fatto compiuti dal giudice a quo risulta che il signor
Bosman aveva stipulato un contratto di lavoro con una società di un altro Stato membro
per esercitare un'attività retribuita nel territorio di tale Stato. Come ha giustamente
osservato l'interessato, egli ha, ciò facendo, risposto ad un'offerta di lavoro effettiva ai
sensi dell'art. 48, n. 3, lett. a).
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91 Poiché la situazione di cui alle cause a quibus non può qualificarsi puramente interna,
l'argomento prospettato dall'UEFA dev'essere respinto.
Sull'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori
92 Occorre quindi accertare se le norme sui trasferimenti costituiscano un ostacolo alla
libera circolazione dei lavoratori, vietato dall'art. 48 del Trattato.
93 Come la Corte ha affermato più volte, la libera circolazione dei lavoratori costituisce
uno dei principi fondamentali della Comunità e le norme del Trattato che garantiscono
tale libertà hanno effetto diretto sin dalla fine del periodo transitorio.
94 La Corte ha inoltre considerato che l'insieme delle norme del Trattato relative alla
libera circolazione delle persone mira a facilitare ai cittadini comunitari l'esercizio di
attività lavorative di qualsivoglia natura nel territorio della Comunità ed osta ai
provvedimenti che potrebbero sfavorirli qualora intendano svolgere un'attività economica
nel territorio di un altro Stato membro (v. sentenze 7 luglio 1988, causa 143/87, Stanton,
Racc. pag. 3877, punto 13, e 7 luglio 1992, causa C-370/90, Singh, Racc. pag. I-4265,
punto 16).
95 In tale contesto i cittadini degli Stati membri dispongono, in particolare, del diritto,
conferito loro direttamente dal Trattato, di lasciare il paese d'origine per entrare nel
territorio di un altro Stato membro ed ivi soggiornare al fine di esercitare un'attività
economica (v., in particolare, sentenze 5 febbraio 1991, causa C-363/89, Roux, Racc.
pag. I-273, punto 9, e Singh, citata, punto 17).
96 Le disposizioni che impediscano ad un cittadino di uno Stato membro di lasciare il
paese d'origine per esercitare il suo diritto di libera circolazione, o che lo dissuadano dal
farlo, costituiscono quindi ostacoli frapposti a tale libertà anche se si applicano
indipendentemente dalla cittadinanza dei lavoratori interessati (v., anche sentenza 7
marzo 1991, causa C-10/90, Masgio, Racc. pag. I-1119, punti 18 e 19).
97 D'altro canto, la Corte ha rilevato, nella sentenza 27 settembre 1988, causa 81/87,
Daily Mail and General Trust (Racc. pag. 5483, punto 16), che, sebbene le norme del
Trattato relative alla libertà di stabilimento mirino in particolare a garantire il beneficio
del trattamento nazionale nello Stato membro ospitante, esse ostano parimenti a che lo
Stato d'origine ostacoli lo stabilimento in un altro Stato membro di un suo cittadino o di
una società costituita secondo la sua normativa e corrispondente, peraltro, alla definizione
dettata dall'art. 58. I diritti garantiti dall'art. 52 e seguenti del Trattato sarebbero vanificati
se lo Stato d'origine potesse vietare alle imprese di lasciare il suo territorio per stabilirsi
in un altro Stato membro. Le stesse considerazioni valgono, sotto il profilo dell'art. 48 del
Trattato, per le norme che ostacolano la libera circolazione dei cittadini di uno Stato
membro che intendano svolgere un'attività lavorativa subordinata in un altro Stato
membro
98 Ora, è vero che le norme sui trasferimenti contestate nelle cause a quibus si applicano
anche ai trasferimenti di calciatori fra società appartenenti a federazioni nazionali diverse
nell'ambito dello stesso Stato membro e che norme analoghe disciplinano i trasferimenti
fra società appartenenti alla stessa federazione nazionale.
99 Tuttavia, come hanno fatto notare il signor Bosman, il governo danese e l'avvocato
generale nei paragrafi 209 e 210 delle sue conclusioni, tali norme sono idonee a limitare
la libera circolazione dei calciatori che vogliono svolgere la loro attività in un altro Stato
membro poiché impediscono loro di lasciare le società cui appartengono, o li dissuadono
dal farlo, anche dopo la scadenza dei contratti di lavoro che li legano ad esse.
100 In effetti, prevedendo, come fanno, che un calciatore professionista può esercitare la
sua attività in una nuova società stabilita in un altro Stato membro solo se quest'ultima ha
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versato alla società di provenienza l'indennità di trasferimento il cui importo è stato
convenuto fra di esse o determinato ai sensi dei regolamenti delle federazioni sportive, le
dette norme costituiscono un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori.
101 Come ha rilevato correttamente il giudice nazionale, tale conclusione non è inficiata
dal fatto che norme sui trasferimenti emanate dall'UEFA nel 1990 hanno disposto che i
rapporti economici fra le due società non influiscono sull'attività del calciatore, il quale
può giocare liberamente per la sua nuova società. Quest'ultima, infatti, resta tenuta a
versare l'indennità di cui trattasi, a pena di sanzioni che possono giungere fino alla sua
radiazione per debiti; e ciò le impedisce con altrettanta efficacia di ingaggiare un
calciatore proveniente da una società di un altro Stato membro senza prima pagare la
detta indennità.
102 La conclusione dianzi esposta non è infirmata nemmeno dalla giurisprudenza della
Corte, invocata dall'URBSFA e dall'UEFA, la quale esclude che l'art. 30 del Trattato si
applichi a provvedimenti che limitano o vietano talune modalità di vendita, purché essi
valgano per tutti gli operatori interessati che esercitano la loro attività nel territorio
nazionale e incidano in uguale misura, in diritto come in fatto, sullo smercio dei prodotti
nazionali e dei prodotti provenienti da altri Stati membri (v. sentenza 24 novembre 1993,
cause riunite C-267/91 e C-268/91, Keck e Mithouard, Racc. pag. I-6097, punto 16).
103 Basta rilevare, invero, che, sebbene le norme di cui si discute nelle cause a quibus si
applichino anche ai trasferimenti fra società facenti parte di federazioni nazionali diverse
nell'ambito dello stesso Stato membro e siano analoghe a quelle che disciplinano i
trasferimenti fra società aderenti alla stessa federazione nazionale, resta pur sempre il
fatto che esse condizionano direttamente l'accesso dei calciatori al mercato del lavoro
negli altri Stati membri e in tal modo sono idonee ad ostacolare la libera circolazione dei
lavoratori. Esse non possono quindi venire assimilate alle normative riguardanti le
modalità di vendita delle merci che la sentenza Keck e Mithouard ha ritenuto esulare
dalla sfera d'applicazione dell'art. 30 del Trattato (v. anche, in materia di libera
prestazione di servizi, sentenza 10 maggio 1995, causa C-384/93, Alpine Investments,
Racc. pag. I-1141, punti 36-38).
104 Di conseguenza, le norme sui trasferimenti costituiscono ostacoli alla libera
circolazione dei lavoratori vietati, in linea di principio, dall'art. 48 del Trattato. Ad una
diversa conclusione si potrebbe giungere solo se le dette norme perseguissero uno scopo
legittimo compatibile con il Trattato e fossero giustificate da imperiosi motivi d'interesse
pubblico. Anche in tale ipotesi, però, la loro applicazione dovrebbe essere idonea a
garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non dovrebbe eccedere quanto
necessario per farlo (v., in particolare, sentenza Kraus, citata, punto 32, e sentenza 30
novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-0000, punto 37).
Sull'esistenza di giustificazioni
105 L'URBSFA, l'UEFA e i governi francese e italiano hanno anzitutto sostenuto che le
norme sui trasferimenti sono giustificate dall'intento di conservare l'equilibrio finanziario
e sportivo fra le società e di sostenere la ricerca di calciatori di talento e la formazione dei
giovani calciatori.
106 Considerata la notevole importanza sociale dell'attività sportiva e, specialmente, del
gioco del calcio nella Comunità, si deve riconoscere la legittimità degli scopi consistenti
nel garantire la conservazione di un equilibrio fra le società, preservando una certa parità
di possibilità e l'incertezza dei risultati, e nell'incentivare l'ingaggio e la formazione dei
giovani calciatori.
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107 Per quanto riguarda il primo di questi scopi, il signor Bosman ha giustamente rilevato
che l'applicazione delle norme sui trasferimenti non costituisce un mezzo adeguato per
garantire la conservazione dell'equilibrio finanziario e sportivo nel mondo del calcio. Tali
norme non impediscono alle società economicamente più forti di procurarsi i servigi dei
migliori calciatori né impediscono che i mezzi finanziari disponibili costituiscano un
elemento decisivo nella competizione sportiva e che l'equilibrio fra le società ne risulti
notevolmente alterato.
108 Quanto al secondo scopo, si deve ammettere che la prospettiva di percepire indennità
di trasferimento, di promozione o di formazione è effettivamente idonea ad incoraggiare
le società a cercare calciatori di talento e ad assicurare la formazione dei giovani
calciatori.
109 Tuttavia, essendo impossibile prevedere con certezza l'avvenire sportivo dei giovani
calciatori e poiché solo pochi di essi si dedicano all'attività professionistica, le dette
indennità si caratterizzano per incertezza e aleatorietà e, comunque, non hanno alcun
rapporto con le spese effettivamente sostenute dalle società per formare sia i futuri
calciatori professionisti sia i giovani che non diventeranno mai tali. Ciò considerato, la
prospettiva di ricevere indennità del genere non può svolgere un ruolo determinante
nell'incentivare l'ingaggio e la formazione dei giovani calciatori né costituire un mezzo
idoneo per finanziare tali attività, soprattutto nel caso delle società calcistiche di piccole
dimensioni.
110 Peraltro, come ha rilevato l'avvocato generale nei paragrafi 226 e seguenti delle sue
conclusioni, gli stessi scopi possono essere conseguiti in modo almeno altrettanto efficace
con altri mezzi che non intralcino la libera circolazione dei lavoratori.
111 Inoltre è stato sostenuto che le norme sui trasferimenti sono necessarie a
salvaguardare l'organizzazione mondiale del gioco del calcio.
112 A questo proposito si deve rilevare che il presente procedimento verte
sull'applicazione delle norme in esame all'interno della Comunità e non riguarda i
rapporti tra le federazioni nazionali degli Stati membri e quelle dei paesi terzi. D'altra
parte, l'applicazione di norme diverse ai trasferimenti fra società facenti parte delle
federazioni nazionali della Comunità e ai trasferimenti fra tali società e quelle aderenti
alle federazioni nazionali dei paesi terzi non può creare difficoltà particolari. Infatti, come
emerge dai precedenti punti 22 e 23, le norme che a tutt'oggi disciplinano i trasferimenti
nell'ambito delle federazioni nazionali di alcuni Stati membri differiscono da quelle che si
applicano a livello internazionale.
113 Infine, l'argomento secondo cui le dette norme sono necessarie per compensare le
spese che le società hanno dovuto sostenere per pagare indennità al momento
dell'ingaggio dei loro calciatori non può essere accolto, giacché tende a giustificare la
conservazione di ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori con il semplice fatto che
tali ostacoli possono essere esistiti in passato.
114 Di conseguenza, la prima questione dev'essere risolta nel senso che l'art. 48 del
Trattato osta all'applicazione di norme emanate da associazioni sportive secondo le quali
un calciatore professionista cittadino di uno Stato membro, alla scadenza del contratto
che lo vincola ad una società, può essere ingaggiato da una società di un altro Stato
membro solo se questa ha versato alla società di provenienza un'indennità di
trasferimento, di formazione o di promozione.
Sull'interpretazione dell'art. 48 del Trattato con riguardo alle norme sulla cittadinanza
115 Con la seconda questione il giudice nazionale chiede in sostanza se l'art. 48 del
Trattato osti all'applicazione di norme emanate da associazioni sportive secondo le quali,
nelle partite delle competizioni che esse organizzano, le società calcistiche possono
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schierare solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati
membri.
Sull'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori
116 Come la Corte ha rilevato sopra, nel punto 87, l'art. 48 del Trattato si applica a norme
emanate da associazioni sportive che determinano le condizioni alle quali gli sportivi
professionisti esercitano un'attività retribuita. Pertanto, occorre accertare se le norme sulla
cittadinanza costituiscano un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, vietata
dall'art. 48.
117 L'art. 48, n. 2, dispone espressamente che la libera circolazione dei lavoratori implica
l'abolizione di qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza fra i lavoratori degli
Stati membri per quanto riguarda l'occupazione, la retribuzione e le condizioni di lavoro.
118 La citata disposizione è stata attuata, in particolare, dall'art. 4 del regolamento del
Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori
all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), ai sensi del quale le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che limitano, per impresa,
per ramo di attività, per regioni o su scala nazionale, il numero o la percentuale degli
stranieri occupati non sono applicabili ai cittadini degli altri Stati membri.
119 Lo stesso principio osta a che le norme dei regolamenti delle associazioni sportive
limitino il diritto dei cittadini di altri Stati membri di partecipare, come professionisti, ad
incontri di calcio (v. sentenza Donà, citata, punto 19).
120 A questo proposito, il fatto che tali norme non riguardino l'ingaggio dei detti
calciatori, che non è limitato, ma la possibilità, per le società cui appartengono, di farli
scendere in campo nelle partite ufficiali è irrilevante. Poiché la partecipazione a tali
incontri costituisce l'oggetto essenziale dell'attività di un calciatore professionista, è
evidente che una norma che limiti detta partecipazione incide anche sulle possibilità
d'ingaggio del calciatore interessato.
Sull'esistenza di giustificazioni
121 Essendo stata accertata l'esistenza di un ostacolo, occorre verificare se esso possa
essere giustificato con riguardo all'art. 48 del Trattato.
122 L'URBSFA, l'UEFA e i governi tedesco, francese e italiano osservano che le norme
sulla cittadinanza sono giustificate da motivi non economici, attinenti unicamente allo
sport in sé e per sé.
123 Infatti, esse servirebbero, in primo luogo, a preservare il legame tradizionale fra ogni
società calcistica e il proprio paese, che è molto importante per consentire al pubblico di
identificarsi con la squadra preferita e per far sì che le società che partecipano a gare
internazionali rappresentino effettivamente il proprio paese.
124 In secondo luogo, le dette norme sarebbero necessarie per costituire un'adeguata
riserva di calciatori nazionali che consenta alle squadre nazionali di mettere in campo
calciatori di alto livello in tutti i ruoli.
125 In terzo luogo esse contribuirebbero a conservare l'equilibrio sportivo fra le società
impedendo a quelle economicamente più forti di ingaggiare i migliori calciatori.
126 Infine, l'UEFA sottolinea che la regola del «3+2» è stata elaborata di concerto con la
Commissione e dev'essere riesaminata regolarmente in funzione dell'evoluzione della
politica comunitaria.
127 Va sottolineato al riguardo che nella citata sentenza Donà, punti 14 e 15, la Corte ha
riconosciuto che le norme del Trattato in materia di libera circolazione delle persone non
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ostano a normative o prassi che escludano i calciatori stranieri da determinati incontri per
motivi non economici, attinenti al carattere e all'ambito specifici di tali partite e che
quindi hanno natura prettamente sportiva, come, ad esempio, nel caso di incontri fra le
rappresentative di paesi diversi. La Corte ha sottolineato, però, che tale restrizione della
sfera d'applicazione delle norme di cui trattasi deve restare entro i limiti del suo oggetto
specifico.
128 Nella fattispecie le norme sulla cittadinanza non riguardano incontri specifici fra
rappresentative nazionali, ma si applicano a tutti gli incontri ufficiali tra società
calcistiche e, quindi, alla parte essenziale dell'attività esercitata dai calciatori
professionisti.
129 Alla luce di quanto precede le norme sulla cittadinanza non possono essere
considerate conformi all'art. 48 del Trattato. Questa norma sarebbe altrimenti privata del
suo effetto utile e il diritto fondamentale di accedere liberamente a un'occupazione, che
essa conferisce individualmente ad ogni lavoratore della Comunità (v., sentenza 15
ottobre 1987, causa 222/86, Heylens, Racc. pag. 4097, punto 14), sarebbe vanificato.
130 Nessuno degli argomenti fatti valere dalle associazioni sportive e dai governi che
hanno presentato osservazioni può inficiare tale conclusione.
131 In primo luogo si deve rilevare che il legame fra una società calcistica e lo Stato
membro nel quale essa è stabilita non può considerarsi inerente all'attività sportiva, in
ogni caso non più del legame che unisce tale società al suo quartiere, alla sua città o alla
sua regione, oppure, come nel caso del Regno Unito, al territorio di competenza di
ciascuna delle quattro federazioni. Nei campionati nazionali, infatti, si affrontano società
di regioni, di città o di quartieri diversi, ma nessuna norma limita, relativamente a tali
partite, il diritto delle società di schierare in campo calciatori provenienti da altre regioni,
da altre città o da altri quartieri.
132 Inoltre, la partecipazione alle gare internazionali è riservata alle società che hanno
ottenuto determinati risultati sportivi nel loro rispettivo paese, senza che la cittadinanza
dei loro calciatori rivesta un ruolo particolare.
133 In secondo luogo, va osservato che, anche se le squadre nazionali devono essere
composte di calciatori cittadini del paese interessato, questi non devono essere
necessariamente qualificati per le società di tale paese. Peraltro, ai sensi dei regolamenti
delle associazioni sportive, le società che hanno alle loro dipendenze calciatori stranieri
sono tenute a permettere loro di partecipare a determinati incontri nelle file della
nazionale del loro paese.
134 Inoltre, se è vero che la libera circolazione dei lavoratori, rendendo accessibile il
mercato del lavoro di uno Stato membro ai cittadini degli altri Stati membri, ha l'effetto di
ridurre le possibilità dei lavoratori nazionali di trovare un'occupazione nel territorio dello
Stato cui appartengono, è anche vero che essa offre loro in cambio nuove prospettive di
occupazione negli altri Stati membri. Manifestamente, tali considerazioni valgono anche
per i calciatori professionisti.
135 In terzo luogo, per quanto riguarda l'equilibrio sportivo, occorre rilevare che le norme
sulla cittadinanza, che impedirebbero alle squadre più facoltose di ingaggiare i migliori
calciatori stranieri, non sono idonee a conseguire questo scopo giacché nessuna norma
limita la loro facoltà di ingaggiare i migliori calciatori nazionali, che compromette in
misura non diversa il detto equilibrio.
136 Infine, per quanto riguarda l'argomento relativo al fatto che la Commissione ha
partecipato all'elaborazione della regola del «3+2», si deve ricordare che, al di fuori dei
casi in cui tali competenze le sono espressamente attribuite, la Commissione non ha il
potere di dare garanzie quanto alla compatibilità di un determinato comportamento con il
Trattato (v., anche, sentenza 27 maggio 1981, cause riunite 142/80 e 143/80, Essevi e
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Salengo, Racc. pag. 1413, punto 16). Essa, in ogni caso, non dispone del potere di
autorizzare comportamenti contrari al Trattato.
137 Da quanto precede risulta che l'art. 48 del Trattato osta all'applicazione di norme
emanate da associazioni sportive, secondo le quali, nelle partite delle competizioni che
esse organizzano, le società calcistiche possono schierare solo un numero limitato di
calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri.
Sull'interpretazione degli artt. 85 e 86 del Trattato
138 Poiché i due tipi di norme menzionate nelle questioni pregiudiziali sono in contrasto
con l'art. 48, non occorre pronunciarsi sull'interpretazione degli artt. 85 e 86 del Trattato.
Sugli effetti di questa sentenza nel tempo
139 Nelle loro osservazioni scritte e orali l'UEFA e l'URBSFA hanno attirato l'attenzione
della Corte sulle gravi conseguenze che dalla sua sentenza potrebbero risultare per
l'organizzazione del gioco del calcio nel suo complesso, qualora essa giudicasse
incompatibili con il Trattato le norme sui trasferimenti e le norme sulla cittadinanza.
140 Dal canto suo, il signor Bosman, pur osservando che una soluzione in tal senso non è
ineluttabile, ha rilevato che la Corte potrebbe limitare nel tempo gli effetti della sua
sentenza per quanto riguarda le norme sui trasferimenti.
141 Secondo una giurisprudenza costante, l'interpretazione che la Corte dà di una norma
di diritto comunitario nell'esercizio della competenza attribuitale dall'art. 177 del Trattato
chiarisce e precisa, se necessario, il significato e la portata della norma stessa, come deve
o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne
deriva che la norma così interpretata può e deve essere applicata dal giudice anche a
rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda
d'interpretazione, purché sussistano i presupposti per sottoporre al giudice competente
una lite relativa all'applicazione della detta norma (v., in particolare, sentenza 2 febbraio
1988, causa 24/86, Blaizot, Racc. pag. 379, punto 27).
142 Solo in via eccezionale la Corte, applicando il principio generale della certezza del
diritto inerente all'ordinamento giuridico comunitario, può essere indotta a limitare la
possibilità di qualunque interessato di far valere una norma, da essa interpretata, allo
scopo di rimettere in discussione rapporti giuridici costituiti in buona fede. Tale
limitazione può essere ammessa soltanto dalla Corte nella stessa sentenza che statuisce
sull'interpretazione richiesta (v., in particolare, sentenze Blaizot, citata, punto 28, e
Legros e a., citata, punto 30).
143 Nel caso di specie i peculiari aspetti delle norme emanate dalle associazioni sportive
per quanto riguarda i trasferimenti di calciatori fra società di Stati membri diversi, come
pure il fatto che le stesse norme, o norme analoghe, si applicavano sia ai trasferimenti fra
società aderenti alla stessa federazione nazionale sia ai trasferimenti fra società facenti
parte di federazioni nazionali diverse nell'ambito dello stesso Stato membro, possono
aver creato uno stato d'incertezza quanto alla compatibilità delle dette norme con il diritto
comunitario.
144 Pertanto, considerazioni imperative di certezza del diritto ostano a che situazioni
giuridiche che hanno esaurito i loro effetti nel passato siano rimesse in discussione.
Occorre prevedere, tuttavia, un'eccezione a favore delle persone che abbiano preso
tempestivamente iniziative per salvaguardare i loro diritti. Infine, si deve precisare che la
limitazione degli effetti della detta interpretazione può essere ammessa solo per le
indennità di trasferimento, di formazione o di promozione che, alla data di questa
sentenza, siano state già pagate o siano ancora dovute in adempimento di un'obbligazione
sorta prima di tale data.
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145 Di conseguenza, si deve statuire nel senso che l'effetto diretto dell'art. 48 del Trattato
non può essere fatto valere a sostegno di rivendicazioni relative a indennità di
trasferimento, di formazione o di promozione che, alla data di questa sentenza, siano state
già pagate o siano ancora dovute in adempimento di un'obbligazione sorta prima di tale
data, fatta eccezione per coloro che, prima della stessa data, abbiano intentato azioni
giudiziarie o esperito rimedi equivalenti ai sensi del diritto nazionale vigente in materia.
146 Per quanto riguarda invece le norme sulla cittadinanza, la limitazione temporale degli
effetti di questa sentenza non può essere ammessa. Infatti, alla luce delle citate sentenze
Walrave e Donà, nessuno poteva ragionevolmente ritenere che le discriminazioni
derivanti da tali norme fossero compatibili con l'art. 48 del Trattato.
Per questi motivi,
LA CORTE,
pronunciandosi sulle questioni sottopostele dalla Cour d'appel di Liegi con sentenza
1. Ottobre 1993, dichiara:
1) L'art. 48 del Trattato CEE osta all'applicazione di norme emanate da associazioni
sportive secondo le quali un calciatore professionista cittadino di uno Stato membro, alla
scadenza del contratto che lo vincola ad una società, può essere ingaggiato da una società
di un altro Stato membro solo se questa ha versato alla società di provenienza
un'indennità di trasferimento, di formazione o di promozione.
2) L'art. 48 del Trattato CEE osta all'applicazione di norme emanate da associazioni
sportive secondo le quali, nelle partite delle competizioni che esse organizzano, le società
calcistiche possono schierare solo un numero limitato di calciatori professionisti cittadini
di altri Stati membri.
3) L'effetto diretto dell'art. 48 del Trattato CEE non può essere fatto valere a sostegno di
rivendicazioni relative a indennità di trasferimento, di formazione o di promozione che,
alla data di questa sentenza, siano state già pagate o siano ancora dovute in adempimento
di un'obbligazione sorta prima di tale data, fatta eccezione per coloro che, prima della
stessa data, abbiano intentato azioni giudiziarie o esperito rimedi equivalenti ai sensi del
diritto nazionale vigente in materia.
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3. Procedimento C-124/96,
Commissione delle Comunità europee,
ricorrente,
contro
Regno di Spagna, convenuto,
sostenuto da
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord,
interveniente,
avente ad oggetto un ricorso diretto a far dichiarare che, stabilendo che l'esenzione
dall'IVA a favore delle prestazioni strettamente connesse con la pratica dello sport o
dell'educazione fisica si applica solo agli stabilimenti privati le cui quote d'ingresso o i
cui canoni periodici non superino un certo importo, il Regno di Spagna ha violato l'art.
13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE
in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte
sulla cifra di affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile
uniforme (GU L 145, pag. 1),
LA CORTE (Sesta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con atto introduttivo depositato in cancelleria il 17 aprile 1996 la Commissione delle
Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del Trattato CE, un ricorso diretto a
far dichiarare che, stabilendo che l'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto (in
prosieguo: l'«IVA») a favore delle prestazioni strettamente connesse con la pratica dello
sport o dell'educazione fisica si applica solo agli stabilimenti privati le cui quote
d'ingresso o i cui canoni periodici non superino un certo importo, il Regno di Spagna ha
violato l'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977,
77/388/CEE in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di
affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU
L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).
La sesta direttiva
2. L'art. 13, sub A, della sesta direttiva dispone che talune attività di interesse pubblico
sono esenti da IVA. Più precisamente, nella parte A, intitolata «Esenzioni a favore di
alcune attività di interesse pubblico», l'art. 13 della sesta direttiva prevede che:
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«1. Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle
condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle
esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:
(...)
m) talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o
dell'educazione fisica, fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo alle persone che
esercitano lo sport o l ' educazione fisica;
(...)
2. a) Gli Stati membri possono subordinare, caso per caso, la concessione, ad enti diversi
da quelli di diritto pubblico, di ciascuna delle esenzioni previste al paragrafo 1, lettere b),
g), h), i), l), m) e n) all'osservanza di una o più delle seguenti condizioni:
— gli enti di cui trattasi non devono avere per fine la ricerca sistematica del profitto: gli
eventuali profitti non dovranno mai essere distribuiti ma dovranno essere destinati al
mantenimento o al miglioramento delle prestazioni fornite;
— essi devono essere gestiti ed amministrati a titolo essenzialmente gratuito da persone
che non hanno di per sé o per interposta persona alcun interesse diretto o indiretto ai
risultati della gestione;
— essi devono praticare prezzi approvati dalle autorità pubbliche o che non superino detti
prezzi approvati, ovvero, per le operazioni i cui prezzi non sono sottoposti ad
approvazione, praticare prezzi inferiori a quelli richiesti per servizi analoghi da imprese
commerciali soggette all'imposta sul valore aggiunto;
— le esenzioni non devono essere tali da provocare distorsioni di concorrenza a danno
delle imprese commerciali soggette all'imposta sul valore aggiunto».
La normativa nazionale
3. La normativa spagnola in materia è costituita dall'art. 20 della legge 28 dicembre 1992,
n. 37, relativa all'imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: la «legge n. 37/92») come
modificato dall'art. 13 della legge 30 dicembre 1994, n. 42 (in prosieguo: la «legge n.
42/94»). La disposizione pertinente della suddetta normativa è l'art. 20, n. 1, punto 13, il
quale prevede un'esenzione per
«I servizi forniti a persone fisiche che praticano lo sport o l'educazione fisica, quale che
sia la persona o l'organismo a carico del quale la prestazione è fornita, a condizione che i
suddetti servizi siano direttamente legati alla pratica dello sport e dell'educazione fisica e
siano forniti dalle persone o dagli organismi seguenti:
(...)
d) organismi o stabilimenti privati a carattere sociale le cui quote d'ingresso o i cui canoni
periodici non superino gli importi indicati qui di seguito:
Quote d'ingresso o di ammissione: 265 000 PTA;
Quote periodiche: 4 000 PTA al mese».
Il procedimento precontenzioso
4. Con lettera 22 dicembre 1992 la Commissione ha informato il Regno di Spagna che
essa considerava l'art. 8, punto 13, della legge spagnola relativa all'imposta sul valore
aggiunto (legge 2 agosto 1985, n. 30, modificata con legge 15 ottobre 1990, n. 10)
incompatibili con l'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva.
5. Con lettera 28 maggio 1993 le autorità spagnole hanno risposto asserendo che la
normativa spagnola applicabile era l'art. 20, n. 1, punto 13 della legge n. 37/92 e che
quest'ultima non era in contrasto con la sesta direttiva.
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6. Tenuto conto di tale reazione e degli argomenti esposti dal Regno di Spagna, la
Commissione ha inviato a quest'ultimo il 10 ottobre 1994, un parere motivato nel quale
ribadiva che le disposizioni spagnole erano incompatibili con la sesta direttiva.
7. Con lettera 10 aprile 1995, il Regno di Spagna ha sostanzialmente riportato gli
argomenti già addotti nella sua risposta alla lettera del 22 dicembre 1992.
8. Successivamente, il Regno di Spagna, con la legge n. 42/94, ha in parte modificato
l'art. 20, n. 1, punto 13, della legge n. 37/92. La Commissione ha ritenuto che tale
modifica eliminasse solo parzialmente l'inadempimento e lasciasse inalterate le
limitazioni quantitative imposte agli organismi o stabilimenti privati sportivi.
Nel merito
9. A sostegno del suo ricorso, la Commissione afferma che la limitazione, prevista all'art.
20, n. 1, punto 13, della legge n. 37/92, dell'esenzione dall'IVA ai soli stabilimenti
sportivi privati che percepiscano quote di ingresso pari o inferiori agli importi menzionati
nel detto articolo è in contrasto con l'art. 13, sub A, della sesta direttiva. La condizione
supplementare imposta dalla normativa spagnola non sarebbe autorizzata né dalla frase
introduttiva dell'art. 13, sub A, n. 1, né dal disposto dell'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), né
dall'art. 13, sub A, n. 2, lett. a), terzo trattino, della sesta direttiva.
10. Il governo spagnolo, sostenuto dal governo del Regno Unito, fa valere in primo luogo
che dalla frase introduttiva dell'art. 13, sub A, n. 1, della sesta direttiva emerge che gli
Stati membri dispongono di un ampio potere discrezionale per dare attuazione alle
esenzioni ivi previste.
11. Si deve a questo proposito rilevare che le condizioni che possono essere fissate ai
sensi dell'art. 13, sub A, n. 1, della sesta direttiva non riguardano in alcun modo la
definizione del contenuto delle esenzioni previste da detta disposizione (v. sentenza 19
gennaio 1982, causa 8/81, Becker, Racc. pag. 53, punto 32).
12. Infatti, queste condizioni sono intese a garantire la corretta e semplice applicazione
delle esenzioni previste e riguardano i provvedimenti destinati a prevenire le frodi,
l'evasione fiscale e gli eventuali abusi (v. sentenza Becker, già citata, punti 33 e 34).
13. Si deve quindi disattendere l'argomento basato sulla frase introduttiva dell'art. 13, sub
A, n. 1.
14. Il governo spagnolo inoltre, per quanto riguarda l'esenzione delle prestazioni di
servizi contemplate all'art. 13, sub A, n. 1, lett. m) sostiene che, contrariamente alle altre
esenzioni previste dalla detta disposizione, la lett. m) prevede l'esenzione di «talune»
prestazioni di servizi. Questo consentirebbe agli Stati membri di limitare il campo di
applicazione dell'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), non soltanto escludendo espressamente
dalle esenzioni taluni servizi forniti dagli stabilimenti sportivi, ma anche applicando «altri
criteri», come l'ammontare della contropartita dei servizi di cui trattasi.
15. Si deve a questo proposito rilevare che dall'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta
direttiva emerge che l'esenzione di cui trattasi verte su prestazioni di servizi strettamente
connessi con la pratica dello sport o dell'educazione fisica fornite da organismi senza fini
di lucro.
16. E' pacifico che, sulla base della normativa spagnola, l'esenzione prevista dall'art. 13,
sub A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva è concessa solo ad organismi o stabilimenti
sportivi a carattere sociale che percepiscano quote d'ingresso o canoni periodici inferiori
o pari a un determinato importo.
17. Ora, l'applicazione del criterio dell'importo delle quote d'ingresso o dei canoni
periodici può portare a risultati in contrasto con l'art. 13, sub A, n. 1, lett. m). Infatti,
come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 5 delle sue conclusioni, l'applicazione
di un siffatto criterio può avere la conseguenza che, da un lato, un organismo senza fini di
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lucro resti escluso dal beneficio dell'esenzione di cui alla detta disposizione e, dall'altro,
che di tale esenzione potrebbe beneficiare un organismo avente fini di lucro.
18. Inoltre, da tale disposizione non risulta che uno Stato membro, dal momento che
concede un'esenzione per una determinata prestazione di servizi strettamente connessi
con la pratica dello sport o dell'educazione fisica fornita da organismi senza fini di lucro
possa assoggettarla a condizioni diverse da quelle previste all'art. 13, sub A, n. 2.
19. Ne consegue che la limitazione dell'esenzione delle prestazioni di servizi strettamente
connessi con la pratica dello sport o dell'educazione fisica agli organismi o stabilimenti
privati a carattere sociale che percepiscono quote d'ingresso o canoni periodici inferiori o
pari a un determinato importo è in contrasto con l'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta
direttiva.
20. Infine, il governo spagnolo osserva che la fissazione di un massimale all'importo delle
quote per l'esenzione delle prestazioni di servizi prevista dall'art. 13, sub A, n. 1, lett. m),
rientra nella nozione di prezzo approvato dalle autorità pubbliche ai sensi dell'art. 13, sub
A, n. 2, lett. a), terzo trattino, ed è, pertanto, giustificata in forza di quest'ultima
disposizione.
21. Al riguardo, basta constatare che da tale disposizione non risulta che uno Stato
membro, subordinando l'esenzione di cui all'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), ad una o più
condizioni previste nel n. 2, lett. a), della medesima disposizione, possa modificarne il
campo d'applicazione.
22. Inoltre, come giustamente rilevato dalla Commissione, l'art. 13, sub A, n. 2, lett. a),
della sesta direttiva prevede che gli Stati membri possono subordinare la concessione
delle esenzioni contemplate all'osservanza di una o più condizioni menzionate nella detta
disposizione. Quest'ultima pertanto esclude una limitazione dell'esenzione di prestazioni
di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica agli
organismi o stabilimenti sportivi privati a carattere sociale che percepiscano quote di
ingresso o canoni periodici pari o inferiori ad un determinato importo, senza tener conto
delle caratteristiche e delle circostanze specifiche di ciascuna attività sportiva.
23. Si deve pertanto constatare che, stabilendo che l'esenzione dall'IVA a favore delle
prestazioni strettamente connesse con la pratica dello sport o dell'educazione fisica si
applica solo agli stabilimenti privati le cui quote d'ingresso o i cui canoni non superino un
certo importo, il Regno di Spagna è venuto meno agli obblighi che ad esso incombono in
forza dell'art. 13, sub A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva.
Per questi motivi,
LA CORTE (Sesta Sezione)
dichiara e statuisce:
Stabilendo che l'esenzione dall'IVA a favore delle prestazioni strettamente connesse con
la pratica dello sport o dell'educazione fisica si applica solo agli stabilimenti privati le cui
quote d'ingresso o i cui canoni periodici non superino un certo importo, il Regno di
Spagna è venuto meno agli obblighi che ad esso incombenti in forza dell'art. 13, sub A, n.
1, lett. m), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di
affari — Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme.
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4. Procedimento C-9/98,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CEE, dal tribunal de première instance de Namur (Belgio), nella
causa dinanzi ad essa pendente tra
Ermanno Agostini,
Emanuele Agostini
e
Ligue francophone de judo et disciplines associées ASBL,
Ligue belge de judo ASBL,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 6, 48 e 59 del Trattato CE, del
regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera
circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), e della direttiva
del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni e
al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunità
in materia di stabilimento e di prestazioni di servizi (GU L 172, pag. 14),
LA CORTE,
ha emesso la seguente
Ordinanza
1. Con ordinanza 5 gennaio 1998, pervenuta alla Corte il 15 gennaio seguente, il tribunal
de première instance di Namur ha sottoposto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE,
diverse questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 6, 48 e 59 dello stesso
Trattato, del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla
libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), e della
direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE, relativa alla soppressione delle
restrizioni e al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno
della Comunità in materia di stabilimento e di prestazioni di servizi (GU L 172, pag. 14).
2. Questa ordinanza è stata pronunciata nell'ambito di una controversia che oppone i
signori Ermanno ed Emanuele Agostini alla Ligue francophone de judo et disciplines
associées ASBL, nonché alla Ligue belge de judo ASBL.
3. Ritenendo che la controversia ad esso sottoposta sollevasse questioni d'interpretazione
di talune disposizioni comunitarie, il giudice nazionale ha proposto alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«Se sia conforme o meno al Trattato di Roma e segnatamente agli artt. 6, 48, 59 e
seguenti, nonché al regolamento n. 1612/68 e alla direttiva 73/148 del Consiglio dei
ministri, il divieto al cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea di partecipare a
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una competizione sportiva, in qualità di sportivo sia professionista o semiprofessionista,
sia dilettante, per il motivo che l'interessato non è cittadino dello Stato membro sul cui
territorio è organizzata la competizione, tenendo conto del fatto che l'interessato è figlio
di lavoratori stabiliti in tale Stato membro e che egli stesso ha acquisito lo status di
lavoratore sul territorio del medesimo Stato membro.
Se la soluzione di tale questione debba essere diversa quando trattasi della partecipazione
a una competizione destinata a designare il campione nazionale dello Stato membro
interessato.
Inoltre, se l'interessato possa rivendicare il diritto di essere trattato al pari dei cittadini
nazionali quanto alle selezioni effettuate dalla Federazione sportiva nazionale dello Stato
membro interessato ai fini della partecipazione a grandi tornei internazionali ed a
competizioni quali i Campionati europei o mondiali e i Giochi olimpici, o se le
federazioni nazionali possano riservare selezioni siffatte esclusivamente ai loro cittadini».
4. Si deve ricordare innanzi tutto che l'esigenza di giungere ad una interpretazione del
diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone che quest'ultimo
definisca l'ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso
spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate (v., in particolare,
sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite da C-320/90 a C-322/90, Telemarsicabruzzo e a.,
Racc. pag. I-393, punto 6; ordinanze 19 marzo 1993, causa C-157/92, Banchero, Racc.
pag. I-1085, punto 4; 30 giugno 1997, causa C-66/97, Banco de Fomento e Exterior,
Racc. pag. I-3757, punto 7, e 30 aprile 1998, cause riunite C-128/97 e C-137/97, Testa e
Modesti, Racc. pag. I-2181, punto 5).
5. A tal riguardo occorre sottolineare che le informazioni fornite nelle decisioni di rinvio
servono non solo a consentire alla Corte di risolvere in modo utile le questioni, ma anche
a dare ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate la possibilità di
presentare osservazioni ai sensi dell'art. 20 dello Statuto della Corte (ordinanza Banco de
Fomento e Exterior, sopra menzionata, punto 8).
6. Ora, nella fattispecie, l'ordinanza di rinvio non contiene indicazioni sufficienti per
soddisfare tali requisiti. Il giudice nazionale si limita a porre le questioni pregiudiziali
senza fornire una qualunque indicazione sul loro fondamento. Esso non descrive né il
contesto di fatto della controversia, o le ipotesi di fatto sullequali esso si basa, né il
contesto normativo nazionale, né i motivi precisi che lo inducono a chiedere
delucidazioni sull'interpretazione del diritto comunitario e a ritenere necessario sottoporre
questioni pregiudiziali alla Corte.
7. Per contro esso indica esplicitamente che «il Tribunale non si sofferma sui fatti né del
resto sul diritto».
8. In tale situazione la Corte non è in grado di pronunciarsi, in mancanza di una qualsiasi
indicazione sulla condizione di professionista, di semiprofessionista o di dilettante dei
ricorrenti, sulla natura delle competizioni che costituiscono l'oggetto del procedimento
dinanzi al giudice nazionale, sulle modalità di selezione e di partecipazione a queste
competizioni, né sulla normativa nazionale vigente in materia.
9. Pertanto le indicazioni che figurano nell'ordinanza di rinvio, a causa del loro
riferimento troppo impreciso alle situazioni di diritto e di fatto considerate dal giudice
nazionale, non consentono alla Corte di fornire una interpretazione utile del diritto
comunitario.
10. Alla luce di queste considerazioni occorre constatare, ai sensi degli artt. 92 e 103, n.
1, del regolamento di procedura, che le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte sono
manifestamente irricevibili.
Per questi motivi,
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LA CORTE
così provvede:
La domanda di pronuncia pregiudiziale sottoposta dal tribunal de première instance di
Namur, con ordinanza 5 gennaio 1998, è irricevibile
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5. Procedimento C-67/98,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Consiglio di Stato nella causa
dinanzi ad esso pendente tra
Questore di Verona
e
Diego Zenatti,
domanda vertente sull'interpretazione delle disposizioni del Trattato CE relative alla
libera prestazione dei servizi,
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 20 gennaio 1998, pervenuta alla Corte il 13 marzo seguente, il
Consiglio di Stato ha sollevato, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234
CE), una questione pregiudiziale sull'interpretazione delle disposizioni del Trattato CE
relative alla libera prestazione dei servizi, al fine di valutare la compatibilità con tali
disposizioni di una normativa nazionale che proibisce, salvo eccezioni, l'esercizio di
scommesse e riserva a taluni enti il diritto di organizzare le scommesse autorizzate.
2. Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia tra il Questore di
Verona e il signor Zenatti, in ordine al divieto imposto a quest'ultimo di proseguire la sua
attività d'intermediario in Italia per una società, avente sede nel Regno Unito,
specializzata nell'accettazione di scommesse su eventi sportivi.
Il contesto normativo
3. In Italia, ai sensi dell'art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante
approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (GURI n. 146 del 26
giugno 1931, in prosieguo: il «regio decreto»), «non può essere conceduta licenza per
l'esercizio di scommesse, fatta eccezione per le scommesse nelle corse, nelle regate, nei
giuochi di palla o pallone e in altre simili gare, quando l'esercizio delle scommesse
costituisce una condizione necessaria per l'utile svolgimento della gara».
4. Dalla risposta del governo italiano al quesito posto dalla Corte riguardo alle modalità
di applicazione dell'eccezione prevista da tale disposizione risulta che le scommesse
possono essere effettuate vuoi sull'esito di eventi sportivi posti sotto il controllo del
Comitato olimpico nazionale italiano (in prosieguo: il «CONI»), vuoi sull'esito delle
corse dei cavalli organizzate tramite l'Unione nazionale incremento razze equine (in
prosieguo: l'«UNIRE»). L'utilizzazione dei proventi derivanti dalle scommesse e attribuiti
a tali due enti è disciplinata e deve consentire, in particolare, di favorire lo sviluppo delle
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attività sportive attraverso investimenti nelle infrastrutture sportive, in particolare nelle
regioni più carenti e nelle periferie delle grandi città, e di sostenere gli sport ippici e
l'allevamento di cavalli. In forza di varie disposizioni legislative emanate tra il 1995 e il
1997, l'organizzazione e l'accettazione delle scommesse riservate al CONI e all'UNIRE
possono essere concesse a persone o enti che offrano adeguate garanzie, in esito a
procedure di gara e dietro pagamento dei canoni applicabili.
5. L'art. 718 del codice penale italiano punisce l'esercizio o l'organizzazione di giochi
d'azzardo e l'art. 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (GURI n. 401 del 18 dicembre
1989), sanziona penalmente l'esercizio abusivo dell'organizzazione di giochi o di
scommesse riservata allo Stato o ad enti concessionari. Inoltre, i giochi e le scommesse
non autorizzati ricadono nella previsione dell'art. 1933 del codice civile, ai sensi del quale
non compete azione per il pagamento di un debito di gioco o di scommessa. Per contro,
non è consentito ripetere quanto è stato spontaneamente pagato, salvo il caso di frode.
La controversia nella causa principale
6. Dal 29 marzo 1997 il signor Zenatti svolge attività di intermediario in Italia per la
società SSP Overseas Betting Ltd (in prosieguo: la «Overseas»), allibratore autorizzato
avente sede in Londra, specializzata nell'accettazione di scommesse. Il ruolo del signor
Zenatti consiste nel gestire, per i clienti italiani della Overseas, un centro di trasmissione
dati aventi ad oggetto scommesse su avvenimenti sportivi stranieri. Egli invia a Londra a
mezzo telecopia o per Internet dei moduli compilati dai clienti, unitamente alla fotocopia
di bonifici bancari, e riceve dalla Overseas altre telecopie da trasmettere ai medesimi
clienti.
7. Con provvedimento del 16 aprile 1997 il Questore di Verona ha disposto la cessazione
dell'attività del signor Zenatti, considerato che tale attività non era autorizzabile ai sensi
dell'art. 88 del regio decreto, che consente la concessione di una licenza per l'esercizio di
scommesse solo quando l'esercizio stesso costituisce una condizione necessaria per l'utile
svolgimento della gara.
8. Il signor Zenatti ha proposto un ricorso per l'annullamento di tale decisione dinanzi al
Tribunale Amministrativo Regionale del Veneto, chiedendo, in via cautelare, la
sospensione dell'esecuzione della stessa. Con ordinanza 9 luglio 1997 il Tribunale
amministrativo regionale ha sospeso in via cautelare l'efficacia del provvedimento
controverso.
9. Il Questore di Verona ha proposto appello contro tale ordinanza dinanzi al Consiglio di
Stato.
10. Quest'ultimo ritiene che la soluzione della controversia richieda l'interpretazione delle
disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi. A suo parere, i
principi affermati nella sentenza della Corte 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler
(Racc. pag. I-1039; in prosieguo: la «sentenza Schindler»), secondo la quale tali
disposizioni non ostano a una disciplina come quella britannica sulle lotterie, tenuto conto
delle preoccupazioni di politica sociale e di prevenzione delle frodi che la giustificano,
sembrano applicabili per analogia alla normativa italiana sulle scommesse.
11. Tuttavia, in assenza di una sentenza pronunciata dal giudice comunitario su una
disciplina di tale natura, il Consiglio di Stato, le cui decisioni non sono impugnabili,
ritiene che l'art. 177 del Trattato gli imponga di adire la Corte di giustizia. Pertanto esso
ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione
pregiudiziale:
«Se le disposizioni del Trattato relative alla prestazione dei servizi ostino ad una
disciplina come la normativa italiana sulle scommesse tenuto conto delle preoccupazioni
di politica sociale e di prevenzione delle frodi che la giustificano».
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Sulla questione pregiudiziale
12. Il governo italiano e tutti gli altri governi che hanno presentato osservazioni nonché la
Commissione ritengono che la sentenza Schindler fornisca gli elementi essenziali che
consentono di dare alla questione proposta una soluzione negativa.
13. Per contro, il signor Zenatti sostiene che le raccolte di scommesse sugli eventi
sportivi non sono equiparabili alle attività delle lotterie, oggetto della sentenza Schindler,
soprattutto perché le scommesse non costituiscono giochi di puro azzardo, bensì giochi
nei quali lo scommettitore deve determinare il risultato con la sua abilità. Egli ritiene
inoltre che il semplice riferimento operato dal giudice a quo a preoccupazioni di politica
sociale e di prevenzione delle frodi non sia sufficiente per giustificare la normativa
controversa nella causa a qua.
14. A questo proposito occorre ricordare che, al punto 60 della sentenza Schindler, la
Corte ha messo in rilievo le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale che
sono collegate alle lotterie come agli altri giochi d'azzardo in tutti gli Stati membri. Le
normative nazionali sono generalmente volte a limitare, se non a vietare, la pratica dei
giochi d'azzardo e ad evitare che siano una fonte di profitto individuale. La Corte ha
ugualmente rilevato che le lotterie comportano elevati rischi di criminalità e di frode,
tenuto conto della rilevanza delle somme che consentono di raccogliere e dei premi che
possono offrire ai giocatori, soprattutto quando sono organizzate su grande scala. Esse
costituiscono inoltre un'incitazionealla spesa che può avere conseguenze individuali e
sociali dannose. Infine, secondo la Corte, anche se non può essere considerato di per sé
una giustificazione obiettiva non è indifferente il rilievo che le lotterie possono essere un
mezzo consistente di finanziamento per attività di beneficienza o di interesse generale
come le opere sociali, le opere caritative, lo sport e la cultura.
15. Come risulta dal punto 61 della stessa sentenza, la Corte ha considerato che queste
caratteristiche giustificano che le autorità nazionali dispongano di un potere discrezionale
sufficiente a determinare le esigenze di tutela dei giocatori e più in generale, tenendo
conto delle caratteristiche socioculturali di ogni Stato membro, di tutela dell'ordine
sociale, sia per quanto riguarda le modalità di organizzazione delle lotterie e il volume
delle puntate, sia per quanto riguarda la destinazione degli utili da esse ricavati. Spetta
pertanto ad esse valutare non solo la necessità di limitare le attività delle lotterie ma
anche di vietarle, purché dette limitazioni non siano discriminatorie.
16. Anche se la sentenza Schindler riguarda l'organizzazione delle lotterie, queste
considerazioni sono ugualmente valide, come emerge del resto dagli stessi termini del
punto 60 di tale sentenza, per gli altri giochi di azzardo che presentano caratteristiche
analoghe.
17. Certo, nella sentenza 26 giugno 1997, causa C-368/95, Familiapress (Racc. pag. I-
3689), la Corte ha rifiutato di equiparare taluni giochi alle lotterie che presentano le
caratteristiche esaminate nella sentenza Schindler. Si trattava però di giochi-concorsi
proposti su riviste sotto forma di cruciverba o di indovinelli, che consentivano ad alcuni
lettori, estratti a sorte fra coloro che avevano fornito le risposte esatte, di vincere dei
premi. Come la Corte ha osservato, in particolare, al punto 23 di tale sentenza, giochi
siffatti, organizzati unicamente su piccola scala e le cui poste sono poco rilevanti, non
costituiscono un'attività economica autonoma, ma soltanto un elemento fra gli altri del
contenuto redazionale di una rivista.
18. Al contrario, nella presente causa, le scommesse sulle competizioni sportive, pur non
potendo essere considerate giochi di puro azzardo, al pari di questi ultimi offrono, contro
una posta avente valore di pagamento, una prospettiva di profitto pecuniario. Tenuto
conto della rilevanza delle somme che esse consentono di raccogliere e dei profitti che
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possono offrire agli scommettitori, esse comportano gli stessi rischi di criminalità e di
frode e possono avere le stesse conseguenze individuali e sociali dannose.
19. Di conseguenza, le scommesse controverse nella causa a qua devono essere
considerate come giochi d'azzardo analoghi alle lotterie di cui alla sentenza Schindler.
20. Tuttavia, la presente causa si differenzia dalla causa Schindler almeno sotto due
profili.
21. Da un lato, sebbene le normative controverse nelle due cause sanciscano entrambe un
divieto, salvo eccezioni, delle operazioni considerate, la loro portata non è la stessa.
Come ha rilevato l'avvocato generale al paragrafo 24 delle sue conclusioni, mentre la
normativa nazionale esaminata nella sentenza Schindler implicava un divieto assoluto dei
giochi in esame, vale a dire le grandi lotterie, la normativa controversa nella causa a qua
non vieta totalmente l'esercizio di scommesse, ma riserva a taluni enti il diritto di
organizzarle a determinate condizioni.
22. D'altro lato, come è stato rilevato in alcune delle osservazioni presentate alla Corte,
tenuto conto della natura dei rapporti esistenti tra il signor Zenatti e la Overseas per la
quale egli opera, in una fattispecie come quella oggetto della causa a qua potrebbero
trovare applicazione le disposizioni del Trattato relative al diritto di stabilimento.
23. Su quest'ultimo punto, tuttavia, poiché la questione proposta dal giudice a quo è
limitata alle sole disposizioni relative alla libera prestazione dei servizi, non vi è motivo
di valutare l'eventuale applicabilità di altre disposizioni del Trattato.
24. Per quanto riguarda le disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei
servizi, esse si applicano, come ha affermato la Corte nella sentenza Schindler a proposito
dell'organizzazione delle lotterie, ad un'attività che consiste nel permettere agli
utilizzatori di partecipare, dietro corrispettivo, a un gioco d'azzardo. Pertanto, un'attività
siffatta rientra nel campo d'applicazione dell'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito
a modifica, art. 49 CE) qualora almeno uno dei prestatori sia stabilito in uno Stato
membro diverso da quello in cui viene offerto il servizio.
25. Ora, nella causa a qua, le prestazioni controverse sono quelle fornite
dall'organizzatore delle scommesse e dai suoi agenti nel far partecipare gli scommettitori
a un gioco d'azzardo offrendo loro una prospettiva di profitto. Tali prestazioni sono
normalmente fornite contro un corrispettivo costituito dal versamento della somma
scommessa e presentano un carattere transfrontaliero.
26. Né le parti nella causa a qua, né i vari governi che hanno presentato osservazioni né la
Commissione contestano che la normativa italiana, in quanto vieta l'esercizio delle
scommesse a tutte le persone o a tutti gli enti diversi da quelli che possono essere a tal
fine autorizzati, si applichi indistintamente agli operatori che potrebbero essere interessati
da una attività di tal genere, siano essi stabiliti in Italia o in un altro Stato membro.
27. Tuttavia, una tale normativa, impedendo agli operatori degli altri Stati membri,
direttamente o indirettamente, di procedere essi stessi all'esercizio di scommesse nel
territorio italiano, costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi.
28. Occorre quindi esaminare se tale pregiudizio alla libera prestazione dei servizi possa
essere ammesso in base alle misure derogatorie espressamente previste dal Trattato o
possa essere giustificato, in conformità della giurisprudenza della Corte, da esigenze
imperative connesse all'interesse generale.
29. A tale proposito, gli artt. 55 del Trattato CE (divenuto art. 45 CE) e 56 del Trattato
CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 46 CE), applicabili alla materia in forza dell'art.
66 del Trattato CE (divenuto art. 55 CE), ammettono le restrizioni giustificate dalla
partecipazione, sia pure occasionale, all'esercizio dei pubblici poteri o da motivi d'ordine
pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica. Inoltre, risulta dalla giurisprudenza
della Corte (v., in questo senso, sentenza 25 luglio 1991, causa C-288/89, Collectieve
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Antennevoorziening Gouda, Racc. pag. I-4007, punti 13-15), che gli ostacoli alla libera
prestazione dei servizi derivanti da misure nazionali indistintamente applicabili possono
essere ammessi solo se tali misure sono giustificate da esigenze imperative connesse
all'interesse generale, se sono atte a garantire il conseguimento dello scopo con esse
perseguito e se non eccedono quanto necessario a tal fine.
30. Secondo le indicazioni contenute nell'ordinanza di rinvio e nelle osservazioni del
governo italiano, la normativa controversa nella causa a qua persegue obiettivi analoghi a
quelli cui mira la normativa britannica sulle lotterie, quali rilevati dalla Corte nella
sentenza Schindler. La normativa italiana tende, infatti, a impedire che tali giochi
costituiscano una fonte di profitto individuale, a evitare i rischi di criminalità e di frode e
le conseguenze individuali e sociali dannose derivanti dall'incitazione alla spesa che essi
costituiscono ed a consentirli unicamente nei limiti in cui possono presentare un carattere
di utilità sociale per l'utile svolgimento di una gara sportiva.
31. Come ammesso dalla Corte al punto 58 della sentenza Schindler, questi motivi
devono essere considerati nel loro complesso. Essi si ricollegano alla tutela dei destinatari
del servizio e più in generale dei consumatori nonché alla tutela dell'ordine sociale, scopi
che già sono stati riconosciuti rientrare nel novero di quelli che possono essere
considerati come esigenze imperative connesse all'interesse generale (v. sentenze 18
gennaio 1979, cause riunite 110/78 e 111/78, Van Wesemael e a., Racc. pag. 35, punto
28; 4 dicembre 1986, causa 220/83, Commissione/Francia, Racc. pag. 3663, punto 20, e
24 ottobre 1978, causa 15/78, Société générale alsacienne de banque, Racc. pag. 1971,
punto 5). E' però necessario che, come affermato al punto 29 della presente sentenza, le
misure fondate su siffatti motivi siano atte a garantire il conseguimento degli scopi
perseguiti e non eccedano quanto necessario a tal fine.
32. Come già osservato al punto 21 della presente sentenza, la normativa italiana sulle
scommesse si distingue dalla normativa controversa nella sentenza Schindler soprattutto
in quanto non vieta totalmente le operazioni considerate, ma le riserva a taluni enti a
determinate condizioni.
33. Tuttavia, la determinazione dell'ampiezza di tutela che uno Stato membro intende
garantire nel proprio territorio in tema di lotterie e di altri giochi d'azzardo rientra nel
potere discrezionale riconosciuto dalla Corte alle autorità nazionali al punto 61 della
sentenza Schindler. Spetta a queste ultime infatti valutare se, nel contesto dell'obiettivo
perseguito, sia necessario vietare totalmente o parzialmente attività di questa natura o
soltanto limitarle e prevedere a tale scopo modalità di controllo più o meno rigide.
34. Pertanto, la sola circostanza che uno Stato membro abbia scelto un sistema di tutela
diverso da quello adottato da un altro Stato membro non può incidere sulla valutazione
della necessità e della proporzionalità delle disposizioni adottate in materia. Tali
disposizioni devono essere valutate unicamente alla luce degli obiettivi perseguiti dalle
autorità nazionali dello Stato membro interessato e del livello di tutela che esse mirano a
garantire.
35. Così come rilevato dalla Corte al punto 37 della sentenza 21 settembre 1999, causa C-
124/97, Läärä e a. (non ancora pubblicata in Raccolta), a proposito della gestione degli
apparecchi automatici per giochi d'azzardo, il fatto che le scommesse in questione non
siano del tutto vietate non è sufficiente a dimostrare che la normativa nazionale non sia
effettivamente volta a conseguire gli obiettivi d'interesse generale che essa dichiara di
perseguire e che devono essere considerati nel loro insieme. Infatti, un'autorizzazione
limitata dei giochi d'azzardo nell'ambito di diritti speciali o esclusivi riconosciuti o
concessi a determinati enti, che presenta il vantaggio di incanalare il desiderio di giocare
e la gestione dei giochi in un circuito controllato, di prevenire il rischio che tale gestione
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sia diretta a scopi fraudolenti e criminosi e di impiegare gli utili che ne derivano per fini
di pubblica utilità, serve anch'essa al perseguimento di detti obiettivi.
36. Tuttavia, come è stato evidenziato dall'avvocato generale al paragrafo 32 delle sue
conclusioni, una limitazione siffatta è ammissibile solamente se essa anzitutto persegue
effettivamente l'obiettivo di un'autentica riduzione delle opportunità di gioco e se il
finanziamento di attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dai giochi
autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa accessoria, e non la reale
giustificazione, della politica restrittiva attuata. Infatti, come rilevato dalla Corte al punto
60 della sentenza Schindler, anche se non è priva d'interesse la circostanza che le lotterie
e gli altri giochi d'azzardo possono essere un mezzo di finanziamento rilevante per attività
di beneficienza o di interesse generale, un siffatto rilievo non può essere considerato di
per sé una giustificazione oggettiva di restrizioni alla libera prestazione dei servizi.
37. Spetta al giudice a quo verificare se la normativa nazionale, alla luce delle sue
concrete modalità d'applicazione, soddisfi effettivamente gli obiettivi che possono
giustificarla e se le restrizioni da essa imposte non risultino sproporzionate rispetto a tali
obiettivi.
38. Alla luce del complesso di tali considerazioni, si deve risolvere la questione
pregiudiziale nel senso che le disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei
servizi non ostano a una normativa nazionale, come quella italiana, che riserva a
determinati enti il diritto di esercitare scommesse sugli eventi sportivi, ove tale normativa
sia effettivamente giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli effetti
nocivi di tali attività e ove le restrizioni da essa imposte non siano sproporzionate rispetto
a tali obiettivi.
Per questi motivi,
LA CORTE,
dichiara:
Le disposizioni del Trattato CE relative alla libera prestazione dei servizi non ostano a
una normativa nazionale, come quella italiana, che riserva a determinati enti il diritto di
esercitare scommesse sugli eventi sportivi, ove tale normativa sia effettivamente
giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli effetti nocivi di tali
attività e ove le restrizioni da essa imposte non siano sproporzionate rispetto a tali
obiettivi.
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6. Pprocedimenti riuniti C-51/96 e C-191/97,
aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Tribunal de première instance di
Namur (Belgio), nelle cause dinanzi ad esso pendenti tra
Christelle Deliège
e
Ligue francophone de judo et disciplines associées ASBL,
Ligue belge de judo ASBL,
Union européenne de judo (C-51/96),
e tra
Christelle Deliège
e
Ligue francophone de judo et disciplines associées ASBL,
Ligue belge de judo ASBL,
François Pacquée (C-191/97),
domande vertenti sull'interpretazione degli artt. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a
modifica, art. 49 CE), 60, 66, 85 e 86 del Trattato CE (divenuti artt. 50 CE, 55 CE, 81 CE
e 82 CE),
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 16 febbraio 1996 (C-51/96), pervenuta alla Corte il 21 febbraio 1996, e
con sentenza 14 maggio 1997 (C-191/97), pervenuta alla Corte il 20 maggio 1997, il
Tribunal de première instance di Namur, statuendo rispettivamente in sede di
procedimento sommario e nel merito, ha proposto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE
(divenuto art. 234 CE), due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt.
59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE), 60, 66, 85 e 86 del
Trattato CE (divenuti artt. 50 CE, 55 CE, 81 CE e 82 CE).
2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di controversie tra la signora Deliège, da
un lato, e la Ligue francophone de judo et disciplines associées ASBL (in prosieguo: la
«LFJ»), la Ligue belge de judo ASBL (in prosieguo: la «LBJ») e il presidente di
quest'ultima, il signor François Pacquée, dall'altro, in ordine al rifiuto di selezionarla per
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partecipare al torneo internazionale di judo di Parigi, nella categoria dei pesi inferiori a 52
kg.
Le regole di organizzazione e di selezione del judo
3. Il judo, sport di lotta individuale, è organizzato su scala mondiale dalla Federazione
internazionale di judo (in prosieguo: la «FIJ»). Sul piano europeo, esiste una federazione
denominata Unione europea di judo (in prosieguo: l'«UEJ»), che raggruppa le diverse
federazioni nazionali. La federazione belga è la LBJ, che si occupa essenzialmente delle
competizioni internazionali e procede alla selezione degli atleti ai fini della loro
partecipazione ai tornei internazionali. La LBJ è composta da due leghe regionali, la
Vlaamse Judofederatie (in prosieguo: la «VJF») e la LFJ. I membri della LBJ sono le due
leghe regionali, nonché le società che fanno parte di queste ultime. I judoka sono tesserati
presso un club che è a sua volta membro della lega regionale, la quale rilascia agli affiliati
una licenza necessaria per partecipare ai corsi o alle competizioni. Il titolare di una
licenza è tenuto a sottoporsi a tutti gli obblighi imposti dalla lega regionale in base al suo
statuto e ai suoi regolamenti.
4. Tradizionalmente, gli atleti sono suddivisi in relazione al loro sesso e a sette categorie
di peso, per un totale di quattordici categorie differenti. In occasione della sua assemblea
tecnica e sportiva di Amsterdam del 5 febbraio 1994 e del suo congresso ordinario di
Nicosia del 9 aprile 1994, il comitato direttivo dell'UEJ ha adottato norme relative alla
partecipazione ai tornei europei detti di categoria A. I detti tornei, così come i campionati
d'Europa del maggio 1996, permettevano di ottenere punti per la classifica nelle liste
europee che poteva determinare le qualificazioni per i giochi olimpici di Atlanta del
1996. Era previsto che solo le federazioni nazionali potessero iscrivere i loro atleti e che,
per ciascuna federazione europea, sette judoka di ciascun sesso potessero essere iscritti
sulle dette liste, ossia, in linea di massima, un judoka per categoria. Tuttavia, se nessun
atleta fosse stato designato in una categoria, era possibile iscrivere due judoka in un'altra
categoria, senza mai eccedere il limite di sette uomini e di sette donne. Come è stato
illustrato dalla LFJ all'udienza dinanzi alla Corte, la cittadinanza del judoka era irrilevante
in tale contesto, dato che solo la sua affiliazione alla federazione nazionale era presa in
considerazione.
5. Conformemente ai criteri di selezione per i giochi olimpici di Atlanta, adottati dalla FIJ
il 19 ottobre 1993 a Madrid, erano in particolare qualificati per tali giochi, in ciascuna
categoria, i primi otto degli ultimi campionati del mondo, nonché un certo numero di
judoka per ciascun continente (per l'Europa, nove uomini e cinque donne in ciascuna
categoria), da determinare sulla base dei risultati ottenuti da ciascun judoka nel corso di
un certo numero di tornei durante il periodo preolimpico. A tal fine, l'UEJ ha precisato, in
occasione della sua assemblea di Amsterdam e del suo congresso di Nicosia in
precedenza menzionati, che sarebbero stati presi in considerazione i tre migliori risultati
ottenuti nei tornei di categoria A e ai campionati d'Europa seniores, nel corso del periodo
compreso tra i campionati del mondo del 1995 ed i campionati d'Europa del 1996. Essa
ha altresìprevisto che sarebbero state qualificate le federazioni e non i judoka
personalmente.
Le controversie nelle cause a quibus e le questioni pregiudiziali
6. La signora Deliège pratica il judo dal 1983 e, a partire dal 1987, ha ottenuto, nella
categoria dei pesi inferiori a 52 kg, eccellenti risultati fra cui diversi titoli di campionessa
del Belgio, un titolo di campionessa d'Europa ed un titolo di campionessa del mondo
nella classe atlete al di sotto dei 19 anni, nonché vittorie e piazzamenti prestigiosi in
tornei internazionali. Le parti nelle cause a quibus sono in disaccordo quanto allo status
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della signora Deliège, dato che quest'ultima sostiene di esercitare il judo a titolo
professionistico o semiprofessionistico, mentre la LBJ e la LFJ fanno valere che il judo è
uno sport che, in Europa ed in particolare in Belgio, è praticato da dilettanti.
7. La signora Deliège sostiene che, dal 1992, i responsabili della LFJ e della LBJ hanno
illegittimamente ostacolato lo svolgimento della sua carriera. Ella lamenta in particolare
il fatto che le sia stato impedito di partecipare ai giochi olimpici di Barcellona nel 1992,
di non essere stata selezionata per i campionati del mondo nel 1993 né per i campionati
d'Europa nel 1994. Nel marzo 1995, la signora Deliège sarebbe stata informata di non
essere preselezionata per i giochi olimpici di Atlanta. Nell'aprile 1995, mentre si
preparava a partecipare ai campionati d'Europa che dovevano tenersi in maggio, ella
sarebbe stata esclusa dalla squadra belga a vantaggio di un'atleta affiliata alla VJF. Nel
dicembre 1995, le sarebbe stato impedito di partecipare al torneo internazionale di
categoria A di Basilea.
8. La LFJ asserisce che la signora Deliège è più volte entrata in conflitto con gli
allenatori, i selezionatori o i responsabili della LFJ e della LBJ e che ella è poco
disciplinata, essendo stata sottoposta in particolare ad una sanzione di sospensione
temporanea da ogni attività federale. Inoltre, ella si sarebbe trovata di fronte a difficoltà
di ordine sportivo, dato che il Belgio disponeva di almeno quattro judoka di alto livello
nella categoria dei pesi inferiori a 52 kg. La LBJ precisa che le decisioni relative alla
selezione degli atleti ai fini della partecipazione ai vari tornei e campionati sono prese dal
suo comitato sportivo nazionale, organo costituito pariteticamente da membri della VJF e
membri della LFJ.
9. I fatti che si trovano direttamente all'origine delle cause a quibus riguardano la
partecipazione al torneo internazionale di categoria A di Parigi del 10 e dell'11 febbraio
1996. Poiché la LBJ aveva selezionato altre due atlete che, secondo la signora Deliège,
avevano ottenuto risultati sportivi meno brillanti dei suoi, il 26 gennaio 1996 quest'ultima
ha adito il giudice dell'urgenza del Tribunal de première instance di Namur.
La causa C-51/96
10. La signora Deliège ha chiesto al Tribunal de première instance di Namur, in sede di
procedimento sommario, che fosse ingiunto alla LFJ e alla LBJ di adempiere a tutte le
formalità necessarie alla sua partecipazione al torneo di Parigi e che fosse sottoposta alla
Corte di giustizia una domanda di pronuncia pregiudiziale relativa al carattere illecito
delle norme emanate dalla UEJ circa il numero limitato di atleti per federazione nazionale
e le autorizzazioni federali per la partecipazione ai tornei individuali di categoria A alla
luce degli artt. 59, 60, 66, 85 e 86 del Trattato. Con citazione a comparire come terzo a
cui la causa è comune e come garante in data 9 febbraio 1996, la signora Deliège ha
chiamato in causa l'UEJ e ha chiesto al giudice dell'urgenza investito della controversia di
ingiungere a tutti gli organizzatori di tornei di categoria A di accettare in via provvisoria
ogni iscrizione da parte sua, sia stata ella selezionata o no dalla sua federazione
nazionale.
11. Con ordinanza 6 febbraio 1996, il giudice dell'urgenza del Tribunal de première
instance di Namur ha respinto la domanda proposta dalla signora Deliège per quanto
riguarda la sua partecipazione al torneo di Parigi, ma ha vietato alla LBJ e alla LFJ di
prendere qualsiasi decisione che implicasse la non selezione della ricorrente per ogni
futura competizione, sino a che le parti fossero nuovamente sentite sugli altri capi della
domanda.
12. Con ordinanza 16 febbraio 1996, lo stesso giudice ha innanzi tutto dichiarato
irricevibile la domanda di intervento coatto proposta nei confronti dell'UEJ.
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13. Il giudice a quo ha poi precisato che, conformemente alla giurisprudenza della Corte,
l'esercizio di uno sport rientra nel diritto comunitario nei limiti in cui può costituire
un'attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica,
art. 2 CE). A seguito della recente evoluzione della pratica sportiva, la distinzione tra un
dilettante e un atleta professionista si sarebbe attenuata. Gli sportivi ad alto livello
potrebbero percepire, oltre a sussidi o altri aiuti, redditi più consistenti in ragione della
notorietà di cui godono, di modo che essi fornirebbero prestazioni a carattere economico.
14. Secondo il giudice a quo, la signora Deliège sostiene, con un sufficiente fumus boni
juris, di dover essere considerata come prestatrice di servizi ai sensi degli artt. 59, 60 e 66
del Trattato. L'imposizione sistematica di un contingente e di una selezione a livello
nazionale sembrerebbe costituire un ostacolo al libero esercizio di una prestazione a
carattere economico. D'altro canto, non si può ragionevolmente sostenere che l'accesso
alle competizioni rivendicato dalla signora Deliège porterebbe a consentire a chiunque di
partecipare a qualsiasi torneo, dato che la competizione può essere accessibile a qualsiasi
sportivo che risponda ad obiettivi criteri di attitudine, come dimostrerebbe l'esperienza di
altri sport analoghi.
15. Tenuto conto in particolare dell'imminenza dei giochi olimpici di Atlanta e della
relativa brevità di una carriera di atleta ad alto livello, il giudice nazionale ha pertanto
considerato che la domanda della signora Deliège diretta a veder proporreuna domanda di
pronuncia pregiudiziale alla Corte aveva una «manifesta fondatezza». Il fatto che non
fosse stata intentata un'azione di merito non avrebbe ostato a che tale domanda di
pronuncia pregiudiziale venisse sollevata. Quest'ultima avrebbe potuto essere concepita
come un elemento della soluzione della controversia nel procedimento sommario o come
un mezzo istruttorio idoneo ad accelerare un procedimento di merito il cui avvio
sembrava entrare nelle intenzioni della ricorrente.
16. Di conseguenza, il giudice dell'urgenza del Tribunal de première instance di Namur
ha proposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se un regolamento che impone ad uno sportivo professionista, semi-professionista o
candidato a divenir tale, di essere in possesso di un'autorizzazione o di un provvedimento
di selezione della propria federazione nazionale per poter concorrere in una competizione
internazionale e che prevede contingenti nazionali di partecipazione o competizioni
analoghe, sia contrario o meno al Trattato di Roma ed in particolare agli artt. 59 -66,
nonché agli artt. 85 e 86».
17. Infine, quanto alla predisposizione di una situazione di attesa, il giudice a quo ha
constatato che le domande formulate dalla signora Deliège contro la LBJ e la LFJ non
potevano essere accolte. Tuttavia, esso ha considerato che occorreva garantire alla
ricorrente una tutela contro un danno grave, predisponendo una situazione di attesa che
non fosse di nocumento agli interessi degli altri sportivi.
18. Nell'attesa dell'esito di un procedimento nel merito, esso ha pertanto vietato alla LBJ
e alla LFJ di porre in essere qualsiasi atto rivolto a limitare o ad impedire il libero
esercizio da parte della ricorrente della sua attività di judoka, in particolare in occasione
di competizioni nazionali o internazionali, e che non fosse obiettivamente giustificato
vuoi dalla considerazione della sua attitudine fisica o del suo comportamento, vuoi dalla
valutazione comparativa delle sue qualità rispetto a quelle di altre atlete concorrenti. Tale
provvedimento doveva cessare di produrre i suoi effetti un mese dopo la pronuncia
dell'ordinanza in mancanza di proposizione di un'azione di merito da parte della signora
Deliège.
La causa C-191/97
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19. Con citazioni in data 27 febbraio e 1° marzo 1996, la signora Deliège ha intentato
un'azione di merito nei confronti della LFJ, della LBJ e del signor Pacquée dinanzi al
Tribunal de première instance di Namur. Tale azione era diretta, in primo luogo, ad
ottenere da quest'ultimo l'accertamento dell'illegittimità del sistema di selezione dei
judoka per i tornei internazionali, quale istituito dai regolamenti delle due citate
federazioni, in quanto esso conferisce a queste ultime un potere idoneo ad ostacolare il
diritto dei judoka alla libera prestazione dei servizi e la libertà professionale di tali
sportivi, in secondo luogo, ad ottenere la proposizione alla Corte di giustizia di una
questione pregiudiziale, in terzo luogo, ad ottenere che fosse predisposta una situazione
d'attesa nell'ipotesi in cui una siffatta questionevenisse sollevata, e, in ultimo luogo, ad
ottenere la condanna della LFJ e della LBJ a pagarle la somma di BEF 30 milioni a titolo
di risarcimento danni.
20. Nella sua sentenza, il giudice a quo ha considerato che esisteva un rischio evidente di
vedere la Corte dichiarare irricevibile la questione proposta nella causa C-51/96 in quanto
il giudice dell'urgenza aveva interamente esaurito la propria cognizione della
controversia. Il giudice a quo ha pertanto dichiarato che non occorreva attendere la
sentenza della Corte in questa prima causa e che, essendo incerta la soluzione della
questione sollevata nella causa di cui era investito, era sua compito adire la Corte in via
pregiudiziale.
21. In ordine alla domanda della signora Deliège diretta ad ottenere la predisposizione di
una situazione d'attesa, gli è sembrato molto difficile, se non impossibile, congegnare
praticamente una siffatta situazione rispettando l'interesse di ciascuna delle parti, dato che
l'interessata non ha proposto alcun provvedimento concreto al riguardo.
22. Di conseguenza, il Tribunal de première instance di Namur ha sospeso il giudizio e ha
sottoposto alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il fatto di imporre ad uno sportivo professionista, semi-professionista o candidato a
divenir tale, di essere in possesso di un'autorizzazione della propria federazione nazionale
per poter partecipare ad una competizione internazionale in cui non sono in gara squadre
nazionali, sia contrario o meno al Trattato di Roma ed in particolare agli artt. 59, 85 e 86
di tale Trattato».
Sulla competenza della Corte a risolvere le questioni pregiudiziali e sulla ricevibilità
di queste ultime
23. La LFJ, la LBJ, il signor Pacquée, i governi belga, ellenico e italiano, nonché la
Commissione, hanno contestato, a diverso titolo, la competenza della Corte a risolvere la
questione posta nella causa C-51/96 e la ricevibilità, totale o parziale, di tale questione.
24. Innanzi tutto, il giudice a quo si sarebbe pronunciato su tutti i capi della domanda
della ricorrente e si sarebbe così spogliato della controversia. Essendo concluso il
giudizio nella causa principale alla data in cui la Corte è stata adita, la soluzione della
questione stessa non presenterebbe più alcun interesse per il giudice a quo. Di
conseguenza, dalle sentenze 21 aprile 1988, causa 338/85, Fratelli Pardini (Rac. pag.
2041) e 4 ottobre 1991, causa C-159/90, Society for the Protection of Unbord Children
Ireland (Racc. pag. I-4685), risulterebbe che la Corte non sarebbe competente a darvi
soluzione.
25. La questione avrebbe poi un carattere ipotetico e riguarderebbe una materia - lo sport
dilettantistico - che non rientrerebbe nell'ambito di applicazione del diritto comunitario.
26. Infine, il giudice nazionale avrebbe omesso di definire in maniera sufficiente l'ambito
di fatto e di diritto in cui si inserisce la questione, esigenza che varrebbe in modo del tutto
particolare nel settore della concorrenza, che sarebbe caratterizzato da situazioni di fatto e
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di diritto complesse (sentenza 26 gennaio 1993, cause riunite da C-320/90 a C-322/90,
Telemarsicabruzzo e a., Racc. pag. I-393).
27. Anche la competenza della Corte a risolvere in tutto o in parte la questione
pregiudiziale sollevata nella causa C-191/97 e la ricevibilità di tale questione sono
contestate dalla LFJ, dalla LBJ e dal signor Pacquée, nonché dal governo ellenico e dalla
Commissione. Questi ultimi hanno in particolare fatto valere che il giudice a quo non ha
fornito indicazioni sufficienti circa il contesto di fatto e di diritto, che la questione
riguarda una materia estranea al diritto comunitario, che i diritti della difesa dell'UEJ e
della FIJ sono stati violati, e che la questione proposta ha carattere ipotetico in quanto si
riferisce a incontri diversi da quelli che si svolgono tra squadre nazionali.
28. In primo luogo, occorre rilevare che il problema se le questioni sollevate dal giudice
nazionale riguardino una materia estranea al diritto comunitario, vuoi perché lo sport
dilettantistico esulerebbe dall'ambito di applicazione del Trattato, vuoi perché gli incontri
considerati dal detto giudice vedrebbero in gara squadre nazionali, rientra nell'ambito del
merito delle questioni proposte e non in quello della ricevibilità di queste ultime.
29. In secondo luogo, per quanto riguarda la pretesa violazione dei diritti della difesa
della FIJ e dell'UEJ, non spetta alla Corte verificare se la decisione di rinvio sia stata
adottata in modo conforme alle norme nazionali di organizzazione giudiziaria e di
procedura (v., in particolare, sentenze 11 luglio 1996, causa C-39/94, SFEI e a., Racc.
pag. I-3547, punto 24, e 5 giugno 1997, causa C-105/94, Celestini, Racc. pag. I-2971,
punto 20). Ne consegue che la Corte non deve pronunciarsi sulla questione se la FIJ e
l'UEJ avrebbero dovuto essere chiamate in causa nei procedimenti a quibus.
30. In terzo luogo, si deve ricordare che, conformemente ad una giurisprudenza costante,
l'esigenza di giungere ad un'interpretazione del diritto comunitario che sia utile per il
giudice nazionale impone che quest'ultimo definisca l'ambito di fatto e di diritto in cui si
inseriscono le questioni sollevate o che esso spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali
questioni sono fondate. Dette esigenze valgono in particolare in determinati settori, quale
quello della concorrenza, caratterizzati da complesse situazioni di fatto e di diritto (v., in
particolare, sentenze Telemarsicabruzzo e a., citata, punti 6 e 7; 21 settembre 1999, causa
C-67/96,Albany, Racc. pag. I-0000, punto 39, e cause riunite da C-115/97 a C-117/97,
Brentjens', Racc. pag. I-0000, punto 38).
31. Le informazioni fornite nelle decisioni di rinvio pregiudiziale devono non solo
consentire alla Corte di fornire risposte utili, ma altresì dare ai governi degli Stati membri
nonché alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni ai sensi dell'art.
20 dello Statuto CE della Corte di giustizia. E' compito della Corte vigilare affinché tale
possibilità sia salvaguardata, tenuto conto del fatto che, a norma della suddetta
disposizione, alle parti interessate vengono notificate solo le decisioni di rinvio (v., in
particolare, ordinanza 23 marzo 1995, causa C-458/93, Saddik, Racc. pag. I-511, punto
13; citate sentenze Albany, punto 40, e Brentjens', punto 39).
32. Per quanto riguarda la causa C-191/97, che occorre esaminare in primo luogo, da un
lato, risulta dalle osservazioni presentate dalle parti nella causa principale, dai governi
degli Stati membri, dal governo norvegese e dalla Commissione, conformemente alla
detta disposizione dello Statuto CE della Corte di giustizia, che le informazioni contenute
nella sentenza di rinvio hanno permesso loro di prendere utilmente posizione sulla
questione sottoposta alla Corte nei limiti in cui essa riguarda le norme del Trattato
relative alla libera prestazione dei servizi.
33. Inoltre, pur se i governi ellenico, spagnolo e italiano hanno potuto ritenere che le
informazioni fornite dal giudice a quo non consentissero loro di prendere posizione sul
problema se l'attrice nella causa principale eserciti un'attività economica ai sensi del
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Trattato, è importante sottolineare che tali governi e le altre parti interessate sono stati in
grado di presentare osservazioni sulla base delle indicazioni di fatto del detto giudice.
34. Peraltro, le informazioni contenute nella sentenza di rinvio sono state completate
dagli elementi risultanti dal fascicolo trasmesso dal giudice nazionale e dalle osservazioni
scritte depositate dinanzi alla Corte. L'insieme di tali elementi, riportati nella relazione
d'udienza, è stato reso noto ai governi degli Stati membri e alle altre parti interessate ai
fini dell'udienza nel corso della quale essi hanno potuto, all'occorrenza, integrare le loro
osservazioni (v., altresì, in questo senso, citate sentenze Albany, punto 43, e Brentjens',
punto 42).
35. D'altra parte, le informazioni provenienti dal giudice nazionale, completate, per
quanto necessario, dagli elementi sopra citati, forniscono alla Corte una conoscenza
sufficiente dell'ambito di fatto e di diritto della controversia nella causa principale per
consentire alla Corte stessa di interpretare le norme del Trattato relative alla libera
prestazione dei servizi con riguardo alla situazione che forma oggetto della suddetta
controversia.
36. Invece, nei limiti in cui la questione proposta verte sulle regole di concorrenza
applicabili alle imprese, la Corte non si considera sufficientemente edotta perfornire
indicazioni circa la definizione del mercato o dei mercati di cui trattasi nella causa
principale. Dalla sentenza di rinvio non risulta neppure con chiarezza quali siano la
natura e il numero delle imprese che esercitano la loro attività su tale mercato o su tali
mercati. Inoltre, le informazioni fornite dal giudice a quo non consentono alla Corte di
pronunciarsi utilmente in ordine all'esistenza ed all'importanza degli scambi tra Stati
membri o in ordine alla possibilità che tali scambi siano pregiudicati dalle norme di
selezione dei judoka.
37. E' quindi giocoforza constatare che la sentenza di rinvio non contiene indicazioni
sufficienti per soddisfare le esigenze ricordate ai punti 30 e 31 della presente sentenza per
quanto riguarda le regole di concorrenza.
38. Neppure per quanto riguarda la questione sollevata nella causa C-51/96 l'ordinanza di
rinvio contiene indicazioni sufficienti per consentire alla Corte di pronunciarsi utilmente
sull'interpretazione delle regole di concorrenza applicabili alle imprese. Per contro, le
informazioni fornite dalla detta ordinanza, integrate se del caso dagli elementi contenuti
nelle osservazioni scritte depositate ai sensi dell'art. 20 dello Statuto CE della Corte di
giustizia e riportate nella relazione d'udienza, nonché le indicazioni risultanti dalla
sentenza di rinvio nella causa C-191/97, hanno consentito alle parti interessate di
prendere posizione sull'interpretazione delle norme relative alla libera prestazione dei
servizi e alla Corte di avere una conoscenza sufficiente del contesto di fatto e di diritto
per poter utilmente statuire al riguardo.
39. Nonostante la loro formulazione leggermente diversa, le questioni poste nelle due
cause principali sono, in sostanza, identiche e, di conseguenza, non occorre esaminare
ulteriormente gli argomenti con cui viene messa specificamente in discussione la
ricevibilità della questione sollevata nella causa C-51/96.
40. Risulta da quanto precede che la Corte deve risolvere le questioni proposte in quanto
esse vertono sull'interpretazione delle norme del Trattato relative alla libera prestazione
dei servizi. Invece, le dette questioni sono irricevibili nei limiti in cui riguardano
l'interpretazione delle regole di concorrenza applicabili alle imprese.
Sull'interpretazione dell'art. 59 del Trattato
41. In via preliminare, occorre ricordare che, considerati gli obiettivi della Comunità,
l'attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia configurabile come
attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato (v. sentenze 12 dicembre 1974, causa
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36/74, Walrave e Koch, Racc. pag. 1405, punto 4, e 15 dicembre 1995, causa C-415/93,
Bosman, Racc. pag. I-4921, punto 73). La Corte ha d'altro canto riconosciuto che l'attività
sportiva presenta una notevole importanza sociale nella Comunità (v. citata sentenza
Bosman, punto 106).
42. Tale giurisprudenza è del resto confortata dalla dichiarazione n. 29 sullo sport,
figurante in allegato all'atto finale della conferenza che ha adottato il testo del Trattato di
Amsterdam, la quale sottolinea la rilevanza sociale dello sport ed invitasegnatamente gli
organi dell'Unione europea a riservare un'attenzione particolare alle caratteristiche
specifiche dello sport dilettantistico. In particolare, tale dichiarazione è coerente con la
detta giurisprudenza in quanto essa riguarda le situazioni in cui l'esercizio dello sport
costituisce un'attività economica.
43. Occorre ricordare che le norme del Trattato in materia di libera circolazione delle
persone non ostano a normative o prassi che escludano i calciatori stranieri da determinati
incontri per motivi non economici, attinenti al carattere e all'ambito specifici di tali partite
e che quindi hanno natura prettamente sportiva, come, ad esempio, nel caso di incontri fra
le rappresentative di paesi diversi. La Corte ha sottolineato, però, che tale restrizione
della sfera d'applicazione del Trattato deve restare entro i limiti del suo oggetto specifico
e non può essere fatta valere per escludere da tale sfera un'intera attività sportiva
(sentenze 14 luglio 1976, causa 13/76, Donà, Racc. pag. 1333, punti 14 e 15, e Bosman,
citata, punti 76 e 127).
44. Ora, le norme di selezione controverse nelle cause a quibus non vertono su incontri
tra squadre o selezioni nazionali di paesi diversi, comprendenti solo persone in possesso
della cittadinanza dello Stato di cui fa parte la federazione che le ha selezionate, come i
giochi olimpici o taluni campionati del mondo o d'Europa, ma riservano la
partecipazione, per federazione nazionale, a taluni altri incontri internazionali ad alto
livello agli atleti che sono affiliati alla federazione di cui trattasi, indipendentemente dalla
loro cittadinanza. La sola circostanza che i piazzamenti ottenuti dagli atleti in tali
competizioni siano presi in considerazione per determinare i paesi che potranno iscrivere
loro rappresentanti ai giochi olimpici non può giustificare l'equiparazione di queste
ultime ad incontri tra squadre nazionali che possono esulare dall'ambito di applicazione
del diritto comunitario.
45. La LFJ ha in particolare sostenuto che le associazioni e federazioni sportive hanno il
diritto di determinare liberamente le condizioni di accesso a competizioni che riguardano
solo sportivi dilettanti.
46. Al riguardo, occorre rilevare che la semplice circostanza che un'associazione o
federazione sportiva qualifichi unilateralmente come dilettanti gli atleti che ne fanno
parte non è di per sé tale da escludere che questi ultimi esercitino attività economiche ai
sensi dell'art. 2 del Trattato.
47. Quanto alla natura delle norme controverse, risulta dalle citate sentenze Walrave e
Koch (punti 17 e 18) e Bosman (punti 82 e 83) che le disposizioni comunitarie in materia
di libera circolazione delle persone e dei servizi non disciplinano soltanto gli atti delle
autorità pubbliche, ma si applicano anche alle normative di altra natura dirette a
disciplinare collettivamente il lavoro subordinato e le prestazioni di servizi. Infatti,
l'abolizione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone e alla
libera prestazione dei servizi sarebbe compromessa se l'eliminazione delle limitazioni
stabilite da norme statali potesse essereneutralizzata da ostacoli derivanti dall'esercizio
dell'autonomia giuridica di associazioni ed enti di natura non pubblicistica.
48. Ne consegue che il Trattato, ed in particolare i suoi artt. 59, 60 e 66, può applicarsi
alle attività sportive e alle norme adottate dalle associazioni sportive, come quelle di cui
trattasi nelle cause principali.
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49. Alla luce di quanto precede e della trattazione svoltasi dinanzi alla Corte, è
importante verificare se un'attività come quella esercitata dalla signora Deliège possa
costituire un'attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato e, più in particolare, una
prestazione di servizi ai sensi dell'art. 59 dello stesso Trattato.
50. Nell'ambito della collaborazione giudiziaria instauratasi attraverso il procedimento
pregiudiziale tra il giudice nazionale e la Corte, spetta al primo accertare e valutare i fatti
di causa (v., in particolare, sentenza 3 giugno 1986, causa 139/85, Kempf, Racc. pag.
1741, punto 12) e alla Corte fornire al giudice nazionale gli elementi interpretativi
necessari per consentirgli di statuire sulla lite (sentenza 22 maggio 1990, causa C-332/88,
Alimenta, Racc. pag. I-2077, punto 9).
51. A questo proposito, è importante constatare innanzi tutto che la sentenza di rinvio
nella causa C-191/97 menziona in particolare sussidi attribuiti in relazione a precedenti
risultati sportivi e contratti di sponsorizzazione direttamente connessi ai risultati
conseguiti dall'atleta. D'altro canto, la signora Deliège ha sostenuto dinanzi alla Corte,
producendo taluni documenti a sostegno delle sue affermazioni, che ella aveva percepito,
in ragione delle sue prestazioni sportive, sussidi della Comunità francese del Belgio e del
comitato olimpico e interfederale belga e che ella era stata sponsorizzata da un istituto
bancario e da un costruttore di automobili.
52. In ordine poi alla nozione di attività economica e di prestazione di servizi ai sensi,
rispettivamente, degli artt. 2 e 59 del Trattato, si deve rilevare che esse definiscono la
sfera d'applicazione di una delle libertà fondamentali garantite dal Trattato e, come tali,
non possono venir interpretate restrittivamente (v, in questo senso, sentenza 23 marzo
1982, causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035, punto 13).
53. Per quanto riguarda più in particolare la prima di queste nozioni, risulta da una
giurisprudenza costante (sentenze Donà, citata, punto 12, e 5 ottobre 1988, causa 196/87,
Steymann, Racc. pag. 6159, punto 10) che una prestazione di lavoro subordinato o una
prestazione di servizi retribuita dev'essere considerata come attività economica ai sensi
dell'art. 2 del Trattato.
54. Tuttavia, come la Corte ha in particolare dichiarato nelle citate sentenze Levin (punto
17) e Steymann (punto 13), le attività esercitate devono essere reali ed effettive e non
talmente ridotte da potersi definire puramente marginali ed accessorie.
55. Quanto alla prestazione di servizi, risulta dall'art. 60, primo comma, del Trattato che
ai sensi di questa disposizione sono considerate quali servizi le prestazioni fornite
normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative
alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone.
56. A questo proposito, occorre constatare che le attività sportive e, in particolare, la
partecipazione di un atleta ad alto livello ad una competizione internazionale possono
comportare la prestazione di diversi servizi distinti, ma strettamente connessi, che
possono rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 59 del Trattato anche se taluni di
questi servizi non sono pagati da coloro che ne fruiscono (v. sentenza 26 aprile 1988,
causa 352/85, Bond van Adverteerders e a., Racc. pag. 2085, punto 16).
57. A mo' d'esempio, l'organizzatore di una siffatta competizione offre all'atleta la
possibilità di esercitare la sua attività sportiva misurandosi con altri concorrenti e,
correlativamente, gli atleti, con la loro partecipazione alla competizione, permettono
all'organizzatore di produrre uno spettacolo sportivo al quale il pubblico può assistere,
che emittenti di programmi televisivi possono ritrasmettere e che può interessare quanti
intendono inviare messaggi pubblicitari nonché sponsor. Inoltre, l'atleta fornisce ai propri
sponsor una prestazione pubblicitaria che trova il suo supporto nell'attività sportiva in se
stessa.
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58. Infine, per quanto riguarda le obiezioni espresse nelle osservazioni presentate dinanzi
alla Corte secondo le quali, da un lato, le cause principali riguarderebbero una situazione
puramente interna e, dall'altro, talune manifestazioni internazionali esulerebbero
dall'ambito di applicazione territoriale del Trattato, occorre ricordare che le disposizioni
del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi non sono applicabili ad attività che
in tutti i loro elementi si collocano all'interno di un solo Stato membro (v., da ultimo,
sentenze 9 settembre 1999, causa C-108/98, RI.SAN., Racc. pag. I-0000, punto 23, e 21
ottobre 1999, causa C-97/98, Jägerskiöld, Racc. pag. I-0000, punto 42). Tuttavia, un
elemento di estraneità può in particolare derivare dalla circostanza che un atleta partecipi
ad una competizione in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilito.
59. Spetta al giudice nazionale valutare, sulla base di questi elementi interpretativi, se le
attività sportive della signora Deliège, ed in particolare la sua partecipazione ai tornei
internazionali, costituiscano un'attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato, e, più in
particolare, una prestazione di servizi ai sensi dell'art. 59 dello stesso Trattato.
60. Supponendo che l'attività della signora Deliège possa essere qualificata come
prestazione di servizi, occorre esaminare se le norme di selezione di cui trattasi nelle
cause principali costituiscano una restrizione alla libera prestazione dei servizi, ai sensi
dell'art. 59 del Trattato.
61. A questo proposito, si deve rilevare che, a differenza delle norme applicabili nella
causa Bosman, le norme di selezione controverse nelle cause principali non determinano
le condizioni di accesso degli sportivi professionisti al mercato del lavoro e non
contengono clausole di cittadinanza che limitino il numero di cittadini di altri Stati
membri che possono partecipare ad una competizione.
62. La signora Deliège, cittadina belga, non sostiene del resto che la scelta effettuata dalla
LBJ, che non la ha selezionata per partecipare ad un torneo, sia stata operata in relazione
alla sua cittadinanza.
63. Inoltre, come è stato rilevato al punto 44 della presente sentenza, siffatte norme di
selezione non riguardano un torneo il cui scopo sia quello di mettere a confronto squadre
nazionali, ma un torneo in cui, un volta selezionati, gli atleti concorrono per conto
proprio.
64. in tale quadro, basta constatare che, se norme di selezione come quelle controverse
nelle cause principali hanno inevitabilmente l'effetto di limitare il numero di partecipanti
ad un torneo, tale limitazione è inerente allo svolgimento di una competizione sportiva
internazionale ad alto livello, che implica necessariamente l'adozione di talune norme o di
taluni criteri di selezione. Norme del genere non possono quindi essere di per se stesse
considerate come configuranti una restrizione alla libera prestazione dei servizi vietata
dall'art. 59 del Trattato.
65. Del resto, l'adozione, ai fini di un torneo sportivo internazionale, di un sistema di
scelta dei partecipanti rispetto ad un altro dev'essere fondata su un gran numero di
considerazioni estranee alla situazione personale di un atleta qualsiasi, come la natura,
l'organizzazione ed il finanziamento dello sport interessato.
66. Se un sistema di scelta può rivelarsi più favorevole nei confronti di una categoria di
atleti rispetto ad un altro, non si può dedurre da questo solo fatto che l'adozione di un
siffatto sistema costituisca una restrizione alla libera prestazione di servizi.
67. Pertanto, spetta naturalmente ai soggetti interessati, come gli organizzatori dei tornei,
le federazioni sportive o ancora le associazioni di atleti professionisti, emanare le norme
appropriate ed effettuare la selezione in forza di esse.
68. A questo proposito, occorre ammettere che l'affidamento di un siffatto compito alle
federazioni nazionali, in seno alle quali si trovano normalmente riunite le conoscenze e
l'esperienza necessarie, costituisce il riflesso dell'organizzazione adottata nella maggior
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parte delle discipline sportive, organizzazione che si basa in linea di principio
sull'esistenza di una federazione in ciascun paese. Inoltre, dev'essere rilevato che le
norme di selezione controverse nelle cause principali si applicano tanto alle competizioni
organizzate all'interno della Comunità quanto ai tornei che si svolgono all'esterno di essa
e riguardano nel contempo cittadini degli Stati membri e cittadini di paesi terzi.
69. Si devono pertanto risolvere le questioni sollevate nel senso che una norma che
imponga ad un atleta professionista o semiprofessionista, o candidato a divenir tale, di
essere in possesso di un'autorizzazione o di un provvedimento di selezione della propria
federazione per poter partecipare ad una competizione sportiva internazionale ad alto
livello in cui non sono in gara squadre nazionali, qualora essa discenda da una necessità
inerente all'organizzazione di una siffatta competizione, non costituisce di per se stessa
una restrizione alla libera prestazione di servizi vietata dall'art. 59 del Trattato.
Per questi motivi,
LA CORTE,
dichiara:
Una norma che imponga ad un atleta professionista o semiprofessionista, o candidato a
divenir tale, di essere in possesso di un'autorizzazione o di un provvedimento di selezione
della propria federazione per poter partecipare ad una competizione sportiva
internazionale ad alto livello in cui non sono in gara squadre nazionali, qualora essa
discenda da una necessità inerente all'organizzazione di una siffatta competizione, non
costituisce di per se stessa una restrizione alla libera prestazione di servizi vietata dall'art.
59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 CE).
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7. Procedimento C-176/96,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dal Tribunal de première instance de
Bruxelles (Belgio), nella causa dinanzi ad esso pendente tra
Jyri Lehtonen,
Castors Canada Dry Namur-Braine ASBL
e
Fédération royale belge des sociétés de basket-ball ASBL (FRBSB),
con l'intervento di
Ligue belge - Belgische Liga ASBL,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 6, 48 del Trattato CE (divenuti, in
seguito a modifica, artt. 12 CE e 39 CE), 85 e 86 del Trattato CE (divenuti artt. 81 CE e
82 CE),
LA CORTE (Sesta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 23 aprile 1996, pervenuta in cancelleria il 22 maggio 1996, il Tribunal
de première instance di Bruxelles, statuendo in sede di procedimento sommario, ha
sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE),
una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione degli artt. 6, 48 del Trattato CE
(divenuti, in seguito a modifica, artt. 12 CE e 39 CE), 85 e 86 del Trattato CE (divenuti
artt. 81 e 82 CE).
2. Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia tra il signor Lehtonen e
la Castors Canada Dry Namur-Braine ASBL (in prosieguo: la «Castors Braine») da una
lato, e la Fédération royale belge des sociétés de basket-ball ASBL (in prosieguo:la
«FRBSB»), nonché la Ligue belge - Belgische Liga ASBL (in prosieguo: la «BLB»)
dall'altro, in ordine al diritto della Castors Braine di far giocare il signor Lehtonen in
occasione di partite della serie maggiore del campionato nazionale belga di pallacanestro.
Le norme organizzative della pallacanestro e le norme relative ai termini per il
trasferimento
3. La pallacanestro è organizzata a livello mondiale dalla Federazione internazionale di
basket (in prosieguo: la «Fiba»). La federazione belga è la FRBSB, che gestisce la
pallacanestro sia a livello dilettantistico che a livello professionistico. La BLB, che al 1°
gennaio 1996 raggruppava undici delle dodici società di pallacanestro partecipanti al
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campionato nazionale belga di prima divisione, ha lo scopo di promuovere al più alto
livello la pallacanestro e di rappresentare la pallacanestro belga di alto livello sul piano
nazionale, in particolare presso la FRBSB.
4. In Belgio, il campionato nazionale maschile di pallacanestro di prima divisione è
diviso in due fasi: la prima, alla quale partecipano tutte le società, e la seconda, alla quale
partecipano solo le società che hanno ottenuto i migliori piazzamenti (partite dirette
all'assegnazione del titolo nazionale, in prosieguo: le «partite di play-off») e le società
che si sono classificate nelle ultime posizioni (partite dirette a determinare le società che
conservano il diritto di partecipare al campionato di prima divisione, in prosieguo: le
«partite di play-out»).
5. Il regolamento della Fiba che disciplina il trasferimento internazionale di giocatori si
applica integralmente a tutte le federazioni nazionali [art. 1, lett. b)]. Per i trasferimenti
nazionali, le federazioni nazionali sono invitate ad ispirarsi a tale regolamento
internazionale ed a redigere propri regolamenti sul trasferimento dei giocatori nello
spirito del regolamento della Fiba [art. 1, lett. c)]. Detto regolamento definisce il
giocatore straniero come colui che non ha la cittadinanza dello Stato a cui appartiene la
federazione nazionale che gli ha rilasciato la licenza [art. 2, lett. a)]. La licenza è
l'autorizzazione necessaria data da una federazione nazionale ad un giocatore per
permettergli di giocare a pallacanestro per una società aderente a tale federazione.
6.
L'art. 3, lett. c), del detto regolamento prevede, in via generale, che, scaduto il termine
fissato per la zona interessata, come definita dalla Fiba, non è consentito alle società, per i
campionati nazionali, includere nella loro squadra giocatori che abbiano già giocato in un
altro Paese della stessa zona durante la stessa stagione. Per la zona europea, il termine
ultimo per la registrazione dei giocatori stranieri è fissato al 28 febbraio. Dopo tale data, è
ancora possibile il trasferimento di giocatori provenienti da altre zone.
7. Ai sensi dell'art. 4, lett. a), dello stesso regolamento, ogni volta che ad una federazione
nazionale è presentata una domanda di licenza relativa ad un giocatore precedentemente
titolare di licenza presso una federazione di un altro Paese, prima dirilasciargli la licenza,
essa deve ottenere una lettera di uscita da quest'ultima federazione.
8. Secondo il regolamento della FRBSB, occorre distinguere anzitutto l'affiliazione, che
lega il giocatore alla federazione nazionale, poi il tesseramento, che riflette il legame del
giocatore con una società determinata, ed infine la qualificazione, che è il necessario
presupposto per la partecipazione di un giocatore alle competizioni ufficiali. Il
trasferimento è definito come l'operazione mediante la quale un giocatore affiliato ottiene
un cambio di tessera.
9. Gli artt. 140 e segg. del detto regolamento riguardano i trasferimenti, tra società
belghe, di giocatori affiliati presso la FRBSB, che possono aver luogo ogni anno durante
un periodo determinato, che andava, nel 1995, dal 15 aprile al 15 maggio, e, nel 1996, dal
1° al 31 maggio dell'anno precedente il campionato al quale partecipa la società
interessata. Nessun giocatore può essere tesserato per più di una società belga nel corso
della stessa stagione.
10. Nella sua versione applicabile all'epoca dei fatti della causa a qua, l'art. 244 dello
stesso regolamento prevedeva:
«E' vietato schierare in campo giocatori non tesserati presso la società o sospesi. Il
presente divieto vale altresì per le partite amichevoli e per i tornei.
(...)
Ogni infrazione sarà sanzionata con [un']ammenda (...)
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I giocatori (o le giocatrici) stranieri/e o professionisti/e (legge 24 febbraio 1978) affiliati/e
dopo il 31 marzo della stagione in corso non saranno più qualificati/e per giocare le
partite agonistiche, di coppa e di play-off della stagione in corso».
11. L'art. 254, punto 4), disponeva:
«I giocatori o le giocatrici aventi cittadinanza straniera, compresi i cittadini dell'UE, sono
qualificati solo se hanno adempiuto le formalità relative all'affiliazione, al tesseramento
ed alla qualificazione. Inoltre, essi devono soddisfare i presupposti del regolamento della
FIBA per ottenere una licenza (...)».
La controversia nella causa a qua
12. Il signor Lehtonen è un giocatore di pallacanestro avente cittadinanza finlandese.
Durante la stagione 1995/1996, egli ha giocato in una squadra che ha partecipato al
campionato finlandese e, alla fine di quest'ultimo, è stato ingaggiato dalla Castors Braine,
società aderente alla FRBSB, per partecipare alla fase finale del campionato del Belgio
1995/1996. A tal fine, le parti hanno stipulato, il 3 aprile 1996, un contrattodi lavoro di
«sportivo retribuito», in forza del quale il signor Lehtonen doveva percepire 50 000 BEF
netti al mese come retribuzione fissa e 15 000 BEF supplementari per ogni vittoria della
società. Tale ingaggio era stato registrato il 30 marzo 1996 presso la FRBSB, poiché la
lettera di uscita del giocatore era stata rilasciata il 29 marzo 1996 dalla federazione di
provenienza. Il 5 aprile 1996, la FRBSB ha informato la Castors Braine che, se la Fiba
non avesse rilasciato la licenza, la società sarebbe stata passibile di sanzioni e che, nel
caso in cui essa avesse schierato in campo il signor Lehtonen, lo avrebbe fatto a suo
rischio e pericolo.
13. Nonostante tale avvertimento, la Castors Braine ha fatto giocare il signor Lehtonen
nel corso della partita del 6 aprile 1996, giocata contro la squadra della società Belgacom
Quaregnon. Questa partita è stata vinta dalla Castors Braine. L'11 aprile 1996, a seguito
di una denuncia presentata dalla società Belgacom Quaregnon, la sezione «competizione»
della FRBSB ha sanzionato la Castors Braine infliggendole una sconfitta «a tavolino»
con il punteggio di 0-20 per la partita alla quale il signor Lehtonen aveva partecipato, in
violazione delle disposizioni del regolamento della Fiba attinenti ai trasferimenti dei
giocatori all'interno della zona europea. Nella partita seguente, contro la squadra della
società Pepinster, la Castors Braine ha iscritto il signor Lehtonen sul foglio di gara, ma
alla fine non l'ha fatto giocare. Essa è stata nuovamente assoggettata alla sanzione della
sconfitta «a tavolino». Correndo il rischio di subire nuove sanzioni di squalifica ad ogni
iscrizione del signor Lehtonen sul foglio di gara, o addirittura di vedersi relegare nella
divisione inferiore in caso di terza squalifica, la Castors Braine ha rinunciato alle
prestazioni del signor Lehtonen per le partite di play-off.
14. Il 16 aprile 1996, il signor Lehtonen e la Castors Braine hanno citato la FRBSB
dinanzi al Tribunal de première instance di Bruxelles, in sede di procedimento sommario.
Essi hanno chiesto, in sostanza, che venisse ingiunto alla FRBSB di revocare la sanzione
di squalifica inflitta alla Castors Braine per la partita del 6 aprile 1996 contro la società
Belgacom Quaregnon e che le fosse vietato di irrogare nei suoi confronti qualsiasi
sanzione tesa ad impedirle di far partecipare il signor Lehtonen al campionato del Belgio
1995/1996, comminandosi una penale di 100 000 BEF per ogni giorno di ritardo
nell'esecuzione dell'ordinanza.
15. Con accordo del 17 aprile 1996, le parti della causa a qua hanno convenuto di
presentare «conclusioni concordi» con le quali esse avrebbero sollecitato un rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia, congelando la situazione controversa nell'attesa della
futura sentenza di quest'ultima. Pertanto, le sanzioni di squalifica sarebbero state
mantenute, sarebbe stato sospeso il giudizio circa le sanzioni pecuniarie inflitte alla
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Castors Braine e quest'ultima si sarebbe astenuta dallo schierare in campo il signor
Lehtonen nel corso delle partite di play-off, restando per il resto salvi i diritti delle parti.
16. Durante l'udienza del 19 aprile 1996, la BLB ha presentato una domanda di intervento
volontario a sostegno della FRBSB e le parti hanno presentato le loro conclusioni
concordi.
La questione pregiudiziale
17. Nella sua ordinanza 23 aprile 1996, il giudice dell'urgenza del Tribunal de première
instance di Bruxelles ha innanzi tutto rilevato che nulla ostava a che esso sottoponesse
una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia. Esso ha poi considerato
che, al momento della proposizione dell'azione, il presupposto dell'urgenza era
sicuramente soddisfatto, in quanto la Castors Braine intendeva schierare in campo il
signor Lehtonen per le successive partite di campionato. Infine, esso ha preso atto
dell'accordo intervenuto tra le parti al fine di consentire il rinvio pregiudiziale alla Corte,
accordo ai sensi del quale la Castors Braine si sarebbe astenuta dallo schierare in campo il
signor Lehtonen per tutta la durata del campionato in corso, mentre la FRBSB si
impegnava, dal canto suo, a sospendere ogni sanzione.
18. Pertanto, il Tribunal de première instance di Bruxelles, dopo aver preso atto
dell'intervento volontario della BLB, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre
alla Corte la questione pregiudiziale seguente:
«Se siano compatibili con il Trattato di Roma (e specialmente con gli artt. 6, 48, 85 e 86)
le disposizioni regolamentari di una federazione sportiva che vietano ad una società di
schierare in campo per la prima volta un giocatore in una competizione se esso è stato
ingaggiato dopo una certa data, qualora si tratti di un giocatore professionista cittadino di
uno Stato membro dell'Unione europea, nonostante le ragioni di carattere sportivo
invocate dalle federazioni per giustificare le dette disposizioni, vale a dire la necessità di
non falsare le competizioni».
Sulla competenza della Corte a risolvere la questione pregiudiziale e sulla
ricevibilità di quest'ultima
19. In via preliminare, occorre ricordare che, come la Corte ha dichiarato nelle sentenze
21 aprile 1988, causa 338/85, Fratelli Pardini (Racc. pag. 2041, punto 11), e 4 ottobre
1991, causa C-159/90, Society for the Protection of Unborn Children Ireland (Racc. pag.
I-4685, punto 12), gli organi giurisdizionali nazionali hanno la facoltà di adire la Corte in
via pregiudiziale ai sensi dell'art. 177 del Trattato solo se è pendente dinanzi ad essi una
controversia nell'ambito della quale ad essi è richiesta una pronunzia che possa tener
conto della sentenza pregiudiziale. Invece, la Corte non è competente a conoscere del
rinvio pregiudiziale qualora, al momento in cui esso viene effettuato, il giudizio dinanzi
al giudice a quo sia ormai concluso.
20. Per quanto riguarda il presente procedimento, occorre rilevare che il giudice a quo,
dopo aver preso atto dell'accordo intervenuto tra le parti, ha deciso di proporre alla Corte
una questione pregiudiziale, riservandosi di statuire quanto al resto. Ne consegue che il
giudice nazionale dovrà ancora pronunciarsi sulla legittimità, alla luce del diritto
comunitario, delle sanzioni inflitte alla Castors Braine e sulle eventuali conseguenze di
esse. In tale occasione, esso sarà chiamato ad emettere una decisione in cui la sentenza
della Corte dovrà necessariamente essere presa in considerazione. Diconseguenza, non si
può sostenere che il detto giudice, operante nell'ambito del procedimento sommario, non
ha titolo per sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte e che questa non è
competente a risolverla.
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21. Il governo italiano e la Commissione hanno contestato la ricevibilità della questione
sollevata in quanto l'ordinanza di rinvio non conterrebbe un'esposizione sufficiente
dell'ambito di fatto e di diritto della controversia nella causa principale.
22. Secondo costante giurisprudenza, l'esigenza di giungere ad un'interpretazione del
diritto comunitario che sia utile per il giudice nazionale impone che quest'ultimo
definisca l'ambito di fatto e di diritto in cui si inseriscono le questioni sollevate o che esso
spieghi almeno le ipotesi di fatto su cui tali questioni sono fondate. Dette esigenze
valgono in particolare in determinati settori, quale quello della concorrenza, caratterizzati
da complesse situazioni di fatto e di diritto (v., segnatamente, sentenze 26 gennaio 1993,
cause riunite da C-320/90 a C-322/90, Telemarsicabruzzo e a., Racc. pag. I-393, punti 6 e
7; 21 settembre 1999, causa C-67/96, Albany, Racc. pag. I-0000, punto 39, e cause riunite
da C-115/97 a C-117/97, Brentjens', Racc. pag. I-0000, punto 38).
23. Le informazioni fornite nei provvedimenti di rinvio non servono solo a consentire alla
Corte di fornire utili soluzioni, ma anche ad offrire ai governi degli Stati membri nonché
alle altre parti interessate la possibilità di presentare osservazioni conformemente all'art.
20 dello Statuto CE della Corte. Spetta alla Corte vegliare a che detta possibilità sia
salvaguardata, tenuto conto del fatto che, in virtù della disposizione summenzionata, alle
parti interessate vengono trasmessi solo i provvedimenti di rinvio (v., segnatamente,
ordinanza 23 marzo 1995, causa C-458/93, Saddik, Racc. pag. I-511, punto 13; sentenze
citate Albany, punto 40, e Brentjens', punto 39).
24. Nella causa a qua, da un lato risulta dalle osservazioni presentate dalle parti, dai
governi degli Stati membri e dalla Commissione, conformemente alla detta norma dello
Statuto CE della Corte di giustizia, che le informazioni contenute nella decisione di rinvio
hanno permesso loro di prendere utilmente posizione sulla questione sottoposta alla Corte
nei limiti in cui essa riguarda le norme del Trattato relative alla libera circolazione dei
lavoratori.
25. Inoltre, pur se il governo italiano ha potuto ritenere che le informazioni fornite dal
giudice a quo non gli consentissero di prendere posizione sul problema se, nella causa a
qua, il signor Lehtonen debba essere considerato come un lavoratore ai sensi dell'art. 48
del Trattato, è importante sottolineare che tale governo e le altre parti interessate sono
stati in grado di presentare osservazioni sulla base delle indicazioni di fatto del detto
giudice.
26. Peraltro, le informazioni contenute nella decisione di rinvio sono state completate
dagli elementi risultanti dal fascicolo trasmesso dal giudice nazionale e dalle osservazioni
scritte depositate dinanzi alla Corte. L'insieme di tali elementi, riportati nella relazione
d'udienza, è stato reso noto agli Stati membri e alle altre parti interessate ai
finidell'udienza nel corso della quale essi hanno potuto, all'occorrenza, integrare le loro
osservazioni (v. altresì, in tal senso, le sentenze citate Albany, punto 43, e Brentjens',
punto 42).
27. D'altra parte, le informazioni provenienti dal giudice nazionale, completate, per
quanto necessario, dagli elementi sopra citati, forniscono alla Corte una conoscenza
sufficiente dell'ambito di fatto e di diritto della controversia nella causa principale per
consentire alla Corte stessa di interpretare le norme del Trattato relative al principio di
non discriminazione in base alla cittadinanza ed alla libera circolazione dei lavoratori alla
luce della situazione oggetto della suddetta controversia.
28. Invece, nei limiti in cui la questione proposta verte sulle regole di concorrenza
applicabili alle imprese, la Corte non si considera sufficientemente edotta per fornire
indicazioni circa la definizione del mercato o dei mercati di cui trattasi nella causa
principale. Dalla decisione di rinvio non risulta neppure con chiarezza quali siano la
natura ed il numero delle imprese che esercitano la loro attività su tale o su tali mercati.
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Inoltre, le informazioni fornite dal giudice a quo non consentono alla Corte di
pronunciarsi utilmente in ordine all'esistenza e all'importanza degli scambi tra Stati
membri o in ordine alla possibilità che tali scambi siano pregiudicati dalle norme relative
al trasferimento dei giocatori.
29. E' quindi giocoforza constatare che la decisione di rinvio non contiene indicazioni
sufficienti per soddisfare le esigenze ricordate ai punti 22 e 23 della presente sentenza per
quanto riguarda le regole di concorrenza.
30. Da quanto precede risulta che la Corte deve risolvere la questione sollevata in quanto
essa verte sull'interpretazione delle norme del Trattato relative al principio di non
discriminazione in base alla cittadinanza ed alla libera circolazione dei lavoratori. Per
contro, tale questione è irricevibile nella misura in cui essa riguarda l'interpretazione delle
regole di concorrenza applicabili alle imprese.
Nel merito
31. Alla luce di quanto precede, la questione sollevata dev'essere intesa come diretta
sostanzialmente a stabilire se gli artt. 6 e 48 del Trattato ostino all'applicazione di norme
emanate in uno Stato membro da associazioni sportive che vietino ad una società di
pallacanestro di schierare in campo, in occasione di partite del campionato nazionale,
giocatori provenienti da altri Stati membri qualora il trasferimento sia avvenuto dopo una
certa data.
Sulla sfera di applicazione del Trattato
32. In via preliminare, si deve ricordare che, considerati gli obiettivi della Comunità,
l'attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia configurabile come
attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato (divenuto, in seguito al a modifica,art. 2
CE)(v. sentenze 12 dicembre 1974, causa 36/74, Walrave e Koch, Racc. pag. 1405, punto
4, e 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, Racc. pag. I-4921, punto 73). La Corte
ha d'altra parte riconosciuto che l'attività sportiva presenta una notevole importanza
sociale nella Comunità (v. sentenza Bosman, citata, punto 106).
33. Tale giurisprudenza è peraltro confortata dalla dichiarazione n. 29 sullo sport,
figurante in allegato all'atto finale della conferenza che ha adottato il testo del Trattato di
Amsterdam, la quale sottolinea la rilevanza sociale dello sport ed invita segnatamente gli
organi dell'Unione europea a riservare un'attenzione particolare alle caratteristiche
specifiche dello sport dilettantistico. In particolare, tale dichiarazione è coerente con la
detta giurisprudenza in quanto essa riguarda le situazioni in cui l'esercizio dello sport
costituisce un'attività economica.
34. Occorre ricordare che le norme del Trattato in materia di libera circolazione delle
persone non ostano a normative o prassi che escludano i calciatori stranieri da determinati
incontri per motivi non economici, attinenti al carattere e all'ambito specifici di tali partite
e che quindi hanno natura prettamente sportiva, come, ad esempio, nel caso di incontri fra
le rappresentative di paesi diversi. La Corte ha sottolineato, però, che tale restrizione
della sfera d'applicazione del Trattato deve restare entro i limiti del suo oggetto specifico
e non può essere fatta valere per escludere da tale sfera un'intera attività sportiva
(sentenze 14 luglio 1976, causa 13/76, Donà, Racc. pag. 1333, punti 14 e 15, e Bosman,
citata, punti 76 e 127).
35. Per quanto riguarda la natura delle norme controverse nella causa principale, risulta
dalle citate sentenze Walrave e Koch, punti 17 e 18, e Bosman, punti 82 e 83, che le
disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione delle persone e di libera
prestazione dei servizi non disciplinano soltanto gli atti delle autorità pubbliche, ma si
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estendono anche alle normative di altra natura dirette a disciplinare collettivamente il
lavoro subordinato e le prestazioni di servizi. Infatti, l'abolizione fra gli Stati membri
degli ostacoli alla libera circolazione delle persone ed alla libera prestazione dei servizi
sarebbe compromessa se l'eliminazione delle limitazioni stabilite da norme statali potesse
essere neutralizzata da ostacoli derivanti dall'esercizio dell'autonomia giuridica di
associazioni ed enti di natura non pubblicistica.
36. Pertanto, si deve constatare che il Trattato, ed in particolare i suoi artt. 6 e 48,
possono essere applicati ad attività sportive ed a regole emanate dalle associazioni
sportive come quelle di cui trattasi nella causa a qua.
Sul principio di non discriminazione in base alla cittadinanza
37. Occorre ricordare che, conformemente ad una giurisprudenza costante, l'art. 6 del
Trattato, che sancisce il principio generale del divieto di discriminazioni fondate sulla
nazionalità, tende ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni disciplinate dal
diritto comunitario per le quali il Trattato non stabilisce norme specifiche di non
discriminazione (v., segnatamente, sentenze 10 dicembre 1991, causa C-179/90,
Merciconvenzionali porto di Genova, Racc. pag. I-5889, punto 11, e 14 luglio 1994,
causa C-379/92, Peralta, Racc. pag. I-3453, punto 18).
38. Ora, per quel che riguarda i lavoratori subordinati, questo principio è stato attuato in
concreto dall'art. 48 del Trattato.
Sull'esistenza di un'attività economica e sulla qualità di lavoratore del signor Lehtonen
39. Alla luce di quanto precede e della trattazione svoltasi dinanzi alla Corte, occorre
verificare se un giocatore di pallacanestro come il signor Lehtonen possa esercitare
un'attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato e, più in particolare, se egli possa
essere considerato come un lavoratore ai sensi dell'art. 48 dello stesso Trattato.
40. Nell'ambito della collaborazione giudiziaria instauratasi attraverso il procedimento
pregiudiziale fra il giudice nazionale e la Corte, spetta al primo accertare e valutare i fatti
di causa (v., in particolare, sentenza 3 giugno 1986, causa 139/85, Kempf, Racc. pag.
1741, punto 12) ed alla Corte fornire al giudice nazionale gli elementi interpretativi
necessari per consentirgli di statuire sulla lite (sentenza 22 maggio 1990, causa C-332/88,
Alimenta, Racc. pag. I-2077, punto 9).
41. A questo proposito, è importante ricordare innanzi tutto che l'ordinanza di rinvio
definisce il signor Lehtonen come un giocatore professionista di pallacanestro.
Quest'ultimo e la Castors Braine hanno prodotto dinanzi alla Corte il contratto di lavoro
«sportivo retribuito» di cui al punto 12 della presente sentenza, contratto che prevedeva il
pagamento di una retribuzione mensile fissa e di premi.
42. Per quanto riguarda poi le nozioni di attività economica e di lavoratore ai sensi
rispettivamente degli artt. 2 e 48 del Trattato, occorre rilevare che esse definiscono la
sfera dapplicazione di una delle libertà fondamentali garantite dal Trattato e come tali non
possono venir interpretate restrittivamente (v., in tal senso, sentenza 23 marzo 1982,
causa 53/81, Levin, Racc. pag. 1035, punto 13).
43. Per quanto riguarda più in particolare la prima di tali nozioni, risulta da una
giurisprudenza costante (sentenze Donà, citata, punto 12, e 5 ottobre 1988, causa 196/87,
Steymann, Racc. pag. 6159, punto 10) che una prestazione di lavoro subordinato o una
prestazione di servizi retribuita dev'essere considerata come attività economica ai sensi
dell'art. 2 Trattato.
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44. Tuttavia, come la Corte ha in particolare dichiarato nelle citate sentenze Levin, punto
17, e Steymann, punto 13, le attività esercitate devono essere reali ed effettive e non
talmente ridotte da potersi definire puramente marginali ed accessorie.
45. Per quanto riguarda la nozione di lavoratore, occorre ricordare che, in forza di una
giurisprudenza costante, essa non può essere interpretata in vario modo, con riferimento
agli ordinamenti nazionali, ma ha portata comunitaria. Tale nozionedevessere definita in
base a criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e
degli obblighi delle persone interessate. Ora, la caratteristica essenziale del rapporto di
lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore
di unaltra e sotto la direzione di questultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva
una retribuzione (v., segnatamente, sentenza 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum,
Racc. pag. 2121, punti 16 e 17).
46. Ora, dagli accertamenti di fatto compiuti dal giudice a quo, nonché dai documenti
prodotti dinanzi alla Corte, risulta che il signor Lehtonen aveva stipulato un contratto di
lavoro con una società di un altro Stato membro per esercitare un'attività retribuita nel
territorio di tale Stato. Come ha giustamente osservato il ricorrente nella causa a qua, egli
ha, ciò facendo, risposto ad un'offerta di lavoro effettiva ai sensi dell'art. 48, n. 3, lett. a),
del Trattato.
Sull'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori
47. Poiché un giocatore di pallacanestro come il signor Lehtonen deve essere qualificato
come lavoratore ai sensi dell'art. 48 del Trattato, occorre accertare se le norme relative ai
termini di trasferimento di cui ai punti 6 e 9-11 della presente sentenza costituiscano un
ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, vietato dalla stessa norma.
48. Vero è, al riguardo, che ai giocatori provenienti da un'altra società di pallacanestro
belga si applicano termini di trasferimento più rigorosi.
49. Non è meno vero che tali norme sono idonee a limitare la libera circolazione dei
giocatori che vogliono svolgere la loro attività in un altro Stato membro poiché
impediscono alle società belghe di schierare in campo, nelle partite di campionato,
giocatori di pallacanestro provenienti da altri Stati membri qualora essi siano stati
ingaggiati dopo una certa data. Di conseguenza, le dette norme costituiscono un ostacolo
alla libera circolazione dei lavoratori (v., in tal senso, sentenza Bosman, citata, punti 99 e
100).
50. Il fatto che le norme di cui trattasi non riguardino l'ingaggio dei detti giocatori, che
non è limitato, ma la possibilità, per le società cui appartengono, di farli scendere in
campo nelle partite ufficiali è irrilevante. Poiché la partecipazione a tali incontri
costituisce l'oggetto essenziale dell'attività di un calciatore professionista, è evidente che
una norma che limiti detta partecipazione incide anche sulle possibilità d'ingaggio del
giocatore interessato (v. sentenza Bosman, citata, punto 120).
Sull'esistenza di giustificazioni
51. Essendo stata così accertata l'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione dei
lavoratori, occorre verificare se quest'ultimo possa essere obiettivamente giustificato.
52. La FRBSB e la BLB, così come tutti i governi che hanno presentato osservazioni
dinanzi alla Corte, sostengono che le norme relative ai termini di trasferimento sono
giustificate da motivi non economici, attinenti unicamente allo sport in sé e per sé.
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53. Al riguardo, si deve riconoscere che la fissazione di termini per i trasferimenti di
giocatori può rispondere all'obiettivo di assicurare la regolarità delle competizioni
sportive.
54. Infatti, trasferimenti tardivi potrebbero modificare sensibilmente il valore sportivo
dell'una o dell'altra squadra nel corso del campionato, rimettendo così in discussione la
comparabilità dei risultati tra le diverse squadre impegnate in tale campionato e, di
conseguenza, il regolare svolgimento del campionato nel suo insieme.
55. Il rischio di una simile rimessa in discussione è particolarmente evidente nel caso di
una competizione sportiva che si svolga secondo le regole del campionato nazionale
belga di pallacanestro di prima divisione. Infatti, le squadre ammesse a partecipare alle
partite di play-off o chiamate a disputare le partite di play-out potrebbero approfittare di
trasferimenti tardivi per rafforzare i propri effettivi in vista della fase finale del
campionato, o persino in occasione di un unico incontro decisivo.
56. Tuttavia, le misure adottate dalle federazioni sportive per garantire il regolare
svolgimento delle competizioni non devono eccedere quanto necessario per conseguire lo
scopo perseguito (v. sentenza Bosman, citata, punto 104).
57. Nella causa a qua, risulta dalle norme relative ai termini di trasferimento che i
giocatori provenienti da una federazione non appartenente alla zona europea sono
assoggettati al termine del 31 marzo e non a quello del 28 febbraio, che si applica ai soli
giocatori provenienti da una federazione della zona europea, la quale comprende le
federazioni degli Stati membri.
58. A prima vista, una siffatta disciplina dev'essere considerata eccedente quanto
necessario per conseguire lo scopo perseguito. Infatti, dai documenti prodotti agli atti non
risulta che il trasferimento, tra il 28 febbraio e il 31 marzo, di un giocatore proveniente da
una federazione della zona europea presenti rischi maggiori per la regolarità del
campionato rispetto al trasferimento, durante lo stesso periodo, di un giocatore
proveniente da una federazione non appartenente a detta zona.
59. Tuttavia, spetta al giudice nazionale verificare in che misura ragioni obiettive,
attinenti unicamente allo sport in sé e per sé o relative a differenze esistenti tra la
situazione dei giocatori provenienti da una federazione appartenente alla zona europea e
quella dei giocatori provenienti da una federazione non appartenente a detta zona,
giustifichino una simile disparità di trattamento.
60. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione
sollevata, come riformulata, nel senso che l'art. 48 del Trattato osta all'applicazionedi
norme emanate in uno Stato membro da associazioni sportive che vietino ad una società
di pallacanestro di schierare in campo, in occasione delle partite del campionato
nazionale, giocatori provenienti da altri Stati membri che siano stati trasferiti dopo una
certa data qualora tale data sia precedente a quella che si applica ai trasferimenti di
giocatori provenienti da taluni Paesi terzi, a meno che ragioni obiettive, attinenti
unicamente allo sport in sé e per sé o relative a differenze esistenti tra la situazione dei
giocatori provenienti da una federazione appartenente alla zona europea e quella dei
giocatori provenienti da una federazione non appartenente alla detta zona, non
giustifichino una simile disparità di trattamento.
Per questi motivi,
LA CORTE (Sesta Sezione)
dichiara:
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L'art. 48 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39 CE) osta all'applicazione
di norme emanate in uno Stato membro da associazioni sportive che vietino ad una
società di pallacanestro di schierare in campo, in occasione delle partite del campionato
nazionale, giocatori provenienti da altri Stati membri che siano stati trasferiti dopo una
certa data qualora tale data sia precedente a quella che si applica ai trasferimenti di
giocatori provenienti da taluni Paesi terzi, a meno che ragioni obiettive, attinenti
unicamente allo sport in sé e per sé o relative a differenze esistenti tra la situazione dei
giocatori provenienti da una federazione appartenente alla zona europea e quella dei
giocatori provenienti da una federazione non appartenente alla detta zona, non
giustifichino una simile disparità di trattamento.
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8. Procedimento C-150/99,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), dallo Svea hovrätt (Svezia), nella
causa dinanzi ad esso pendente tra
Svenska staten
e
Stockholm Lindöpark AB
e tra
Stockholm Lindöpark AB
e
Svenska staten,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 13, parte A, n. 1, lett. m), e 13, parte B,
lett. b), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di
armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di
affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L
145, pag. 1),
LA CORTE (Quinta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 26 marzo 1999, pervenuta alla Corte il 23 aprile successivo, lo Svea
hovrätt ha proposto, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), tre
questioni pregiudiziali relative all'interpretazione degli artt. 13, parte A, n. 1, lett. m), e
13, parte B, lett. b), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in
materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla
cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme
(GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).
2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra lo Svenska staten
(Stato svedese) e la Stockholm Lindöpark AB (in prosieguo: la «Lindöpark») in merito al
risarcimento dei danni che quest'ultima reclama dallo Stato svedese per non aver
trasposto correttamente, in occasione dell'adesione del Regno di Svezia all'Unione
europea, la sesta direttiva, in particolare l'art. 13 della stessa.
La normativa comunitaria
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3. Ai sensi dell'art. 2 della sesta direttiva:
«Sono soggette all'imposta sul valore aggiunto:
1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del
paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;
2. le importazioni di beni».
4. L'art. 6, n. 1, della sesta direttiva, dispone:
«1. Si considera prestazione di servizi ogni operazione che non costituisce cessione di un
bene ai sensi dell'articolo 5.
Tale operazione può consistere tra l'altro:
- in una cessione di beni immateriali, siano o no rappresentati da un titolo;
- in un obbligo di non fare o di tollerare un atto od una situazione;
- nell'esecuzione di un servizio in base ad una espropriazione fatta dalla pubblica
amministrazione o in suo nome o a norma di legge».
5. L'art. 13, parte A, n. 1, della sesta direttiva recita:
«1. Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle
condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle
esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:
(...)
m) talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o
dell'educazione fisica, fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo alle persone che
esercitano lo sport o l'educazione fisica;
(...)».
6. Ai sensi dell'art. 13, parte B, della sesta direttiva:
«Fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da
essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni
sottoelencate e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:
(...)
b) l'affitto e la locazione di beni immobili, ad eccezione:
1. delle prestazioni di alloggio, quali sono definite dalla legislazione degli Stati membri,
effettuate nel settore alberghiero o in settori aventi funzioni analoghe, comprese le
locazioni di campi di vacanza o di terreni attrezzati per il campeggio;
2. delle locazioni di aree destinate al parcheggio dei veicoli;
3. delle locazioni di utensili e macchine fissati stabilmente;
4. delle locazioni di casseforti.
Gli Stati membri possono stabilire ulteriori esclusioni al campo di applicazione di tale
esenzione;
(...)».
7. L'art. 17 della sesta direttiva, nella versione che risulta dalla direttiva del Consiglio 16
dicembre 1991, 91/680/CEE (GU L 376, pag. 1), stabilisce:
«1. Il diritto a deduzione nasce quando l'imposta deducibile diventa esigibile.
2. Nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad
imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore:
a) l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni che gli sono o gli saranno
forniti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo
debitore dell'imposta all'interno del paese;
b) l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per i beni importati all'interno del paese;
(...)».
La normativa nazionale
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8. Ai sensi dell'art. 1, capitolo 1, della mervärdesskattlagen (1994/200) (legge n.
200/1994 in materia di imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: la «legge IVA»), l'IVA
dev'essere versata allo Stato in particolare per le cessioni di beni o servizi soggette ad
imposta ed operate a titolo commerciale. Ai sensi dell'art. 1, capitolo 3, della legge IVA
sono soggette ad imposta le cessioni e le importazioni di beni e servizi, salvo quanto
diversamente stabilito nel capitolo medesimo. All'obbligo di versamento dell'imposta è
correlato, ai sensi dell'art. 3, capitolo 8, della legge IVA, il diritto del soggetto passivo di
detrarre l'imposta versata a monte sugli acquisti a titolo oneroso o sulle importazioni
effettuate nell'ambito della propria attività.
9. Gli artt. 2 e 3, capitolo 3, della legge IVA prevedono una serie di esenzioni
dall'imposta nel settore immobiliare. In base alla decisione di rinvio, dall'art. 2, secondo
comma deriva che «sono esenti le transazioni relative a beni immobili, nonché la cessione
in uso e il godimento di affitti di fondi rustici, le locazioni, i diritti di abitazione e di
superficie, le servitù e altri diritti su beni immobili». Sino al 1° gennaio 1997 la legge
prevedeva anche un secondo comma del seguente tenore:
«Sono inoltre esenti dall'IVA le cessioni in uso di locali o di altri impianti o parti di
impianti, ai fini dell'effettuazione dell'attività sportiva o dell'educazione fisica, nonché la
messa a disposizione, ai fini dell'effettuazione di tale attività, di strumenti accessori o
altre apparecchiature».
10. A seguito di una modifica legislativa, entrata in vigore il 1° gennaio 1997, tale
disposizione veniva abrogata.
La controversia nella causa principale e le questioni pregiudiziali
11. La Lindöpark è una società che gestisce un campo da golf riservato alle imprese. I
suoi clienti sono unicamente imprese che, in tal modo, possono permettere al proprio
personale o ai propri clienti di praticare il golf sul terreno così attrezzato.
12. Ai sensi dell'art. 2, secondo comma, capitolo 3, della legge IVA, in vigore
anteriormente al 1° gennaio 1997, l'attività di golf per le imprese gestita dalla Lindöpark
era esente da imposta. La Lindöpark non aveva pertanto il diritto di dedurre l'IVA pagata
a monte sui beni e i servizi utilizzati nell'ambito di tale attività. A partire dalla modifica
di questa disposizione, entrata in vigore il 1° gennaio 1997, le attività della Lindöpark
sono soggette ad IVA e, pertanto, la società ha il diritto di dedurre l'imposta a monte.
13. La Lindöpark sostiene che la normativa vigente anteriormente al 1° gennaio 1997
violava i suoi diritti, in ogni caso a partire dall'adesione del Regno di Svezia all'Unione
europea, ossia il 1° gennaio 1995. Essa ha pertanto presentato un ricorso al Solna tingsrätt
chiedendo la condanna dello Stato svedese al pagamento della somma di SEK 500 000,
da essa ritenuta corrispondente all'IVA pagata a monte, tra il 1° gennaio 1995 e il 31
dicembre 1996, periodo durante il quale non aveva potuto operare alcuna deduzione. Tale
somma era maggiorata degli interessi calcolati dal momento in cui le deduzioni avrebbero
potuto in teoria essere operate, pari a SEK 41 632. Secondo la Lindöpark, lo Stato
svedese non aveva trasposto correttamente la sesta direttiva e, in particolare, l'art. 13 della
stessa.
14. Con sentenza 29 settembre 1997 il Solna tingsrätt ha accolto il ricorso della
Lindöpark, condannando lo Stato svedese a pagarle la somma di SEK 500 000, a titolo di
risarcimento danni, oltre agli interessi calcolati dal giorno in cui il ricorso era stato
proposto.
15. Lo Stato è ricorso in appello contro tale sentenza dinanzi allo Svea hovrätt, e
altrettanto ha fatto la Lindöpark, chiedendo l'accoglimento integrale del suo ricorso.
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16. Nutrendo dubbi sull'interpretazione da attribuire, nel caso di specie, alla sesta
direttiva, e in particolare all'art. 13 della stessa, lo Svea hovrätt ha deciso di sospendere il
giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), e l'art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva IVA
ostino a norme nazionali che prevedano un'esenzione generale dall'imposta per le cessioni
in uso di impianti sportivi, alle condizioni previste dall'art. 2, secondo comma, capitolo 3,
della legge IVA n. 200/1994, nel testo vigente sino al 1° gennaio 1997.
2. Se l'art. 13 della sesta direttiva IVA, nel combinato disposto con gli artt. 2, 6 e 17,
attribuisca ai singoli diritti che possono essere fatti valere dinanzi ai giudici nazionali
degli Stati membri.
In caso di soluzione affermativa delle prime due questioni:
3. Se la previsione di un'esenzione dell'imposta, ai sensi dell'art. 2, secondo comma,
capitolo 3, della legge IVA n. 200/1994, costituisca una violazione del diritto comunitario
sufficientemente grave e manifesta da far sorgere la responsabilità dello Stato membro
per il relativo risarcimento del danno».
Sulla prima questione
17. Con la prima questione il giudice a quo chiede, in sostanza, se l'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), e l'art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva IVA ostino a norme nazionali che
prevedano un'esenzione generale dall'imposta per le cessioni in uso di locali ed altri
impianti nonché per la messa a disposizione di strumenti accessori o altre apparecchiature
ai fini dell'effettuazione dell'attività sportiva e dell'educazione fisica, compresi i servizi
forniti da organismi aventi fini di lucro.
18. A tal proposito occorre rilevare che la cessione in uso di locali o di altri impianti,
nonché la messa a disposizione di strumenti accessori o altre apparecchiature ai fini
dell'effettuazione dell'attività sportiva o dell'educazione fisica, costituiscono prestazioni
di servizi ai sensi dell'art. 6 della sesta direttiva. Tali attività, in linea di principio, sono
pertanto soggette all'IVA, in forza dell'art. 2, n. 1, della sesta direttiva.
19. In deroga al principio sancito dall'art. 2, appena menzionato, l'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), della sesta direttiva prevede un'esenzione dall'imposta per le prestazioni di
servizi legate alla pratica dello sport e dell'educazione fisica. Tale esenzione è però
espressamente limitata alle prestazioni fornite da organismi senza scopo di lucro. Di
conseguenza, prestazioni di questo tipo che siano fornite da soggetti aventi fini di lucro
non rientrano nella sfera di applicazione dell'esenzione. Il capitolo 3 della legge IVA, nei
limiti in cui prevede, all'art. 2, secondo comma, un'esenzione generale per tali prestazioni,
senza limitarla ai prestatari non aventi fini di lucro, risulta quindi in contrasto con il
dettato delle corrispondenti disposizioni della sesta direttiva.
20. Per giustificare la normativa nazionale lo Stato svedese sostiene che nella causa
principale è applicabile un'altra disposizione, ossia l'art. 13, parte B, lett. b), della sesta
direttiva, che esenta le operazioni di affitto e di locazione di beni immobili. In effetti,
l'attività della Lindöpark consiste nella locazione ai propri clienti di un campo da golf,
che è un bene immobile. Pertanto, l'esenzione delle attività della Lindöpark sarebbe
giustificata.
21. In merito va rilevato che, nell'ambito delle questioni sollevate dal giudice nazionale,
la Corte è chiamata a fornire al giudice di rinvio dei criteri che gli consentano di
verificare la conformità, con la sesta direttiva, di una normativa nazionale come quella di
cui trattasi. La soluzione della controversia nella causa principale, considerate le
peculiarità del caso di specie, spetta però al giudice nazionale, che è il solo competente al
riguardo.
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22. Per quanto concerne la normativa nazionale discussa nella causa principale, non
certamente escluso che, in circostanze particolari, la cessione in uso di locali ai fini della
pratica dello sport o dell'educazione fisica possa costituire locazione di un bene immobile
e rientrare pertanto nella sfera di applicazione dell'esenzione di cui all'art. 13, parte B,
lett. b), della sesta direttiva. Tuttavia, la suddetta normativa non riguarda un simile caso
particolare, ma esenta in via generale l'insieme delle prestazioni connesse alla pratica
dello sport e dell'educazione fisica, senza distinguere, all'interno di tali prestazioni, fra
quelle che costituiscono locazione di un bene immobile e le altre. In tal modo, essa
introduce una nuova categoria di esenzioni non prevista dalla sesta direttiva.
23. Occorre pertanto rispondere alla prima questione nel senso che l'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), e l'art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva IVA ostano a norme nazionali che
prevedano un'esenzione generale dall'IVA per le cessioni in uso di locali ed altri impianti
nonché per la messa a disposizione di strumenti accessori o altre apparecchiature, ai fini
dell'effettuazione dell'attività sportiva e dell'educazione fisica, compresi i servizi forniti
da organismi aventi fini di lucro.
24. Per quanto riguarda l'applicazione dell'art. 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva
alla causa principale, la Corte non può che limitarsi a fornire al giudice nazionale, al
quale spetta la soluzione, sul punto, della controversia di cui è investito, talune
indicazioni derivanti dalla giurisprudenza consolidata.
25. In proposito occorre ricordare innanzitutto che per giurisprudenza costante i termini
con i quali sono state designate le esenzioni di cui all'art. 13 della sesta direttiva devono
essere interpretati restrittivamente, dato che tali esenzioni costituiscono deroghe al
principio generale secondo cui l'IVA è riscossa per ogni prestazione di servizi effettuata a
titolo oneroso da un soggetto passivo (v., in particolare, sentenza 15 giugno 1989, causa
348/87, Stichting Uitvoering Financiële Acties/Staatssecretaris van Financiën, Racc. pag.
1737, punto 13, nonché sentenze 12 settembre 2000, causa C-358/97,
Commissione/Irlanda, punto 52, e causa C-359/97, Commissione/Regno Unito, punto 64,
Racc. pag. I-0000).
26. Va inoltre rilevato che le prestazioni connesse alla pratica dello sport e
dell'educazione fisica debbono, per quanto possibile, essere considerate nel loro
complesso. Dalla giurisprudenza della Corte deriva che per accertare il carattere
imponibile di un'operazione occorre prendere in considerazione tutte le circostanze in cui
essa si svolge, così da rinvenirne gli elementi caratteristici (v. sentenza 2 maggio 1996,
causa C-231/94, Faaborg-Gelting Linien, Racc. pag. I-2395, punto 12). Infatti, come
giustamente sostiene la Commissione, l'attività di gestione di un campo da golf implica,
in linea generale, non soltanto la messa a disposizione passiva di un terreno, ma altresì un
gran numero di attività commerciali, come la supervisione, la gestione e l'assistenza
costante da parte del prestatario, la messa a disposizione di altri impianti, e così via. In
assenza di circostanze del tutto particolari, la locazione del campo da golf non costituisce,
pertanto, la prestazione principale.
27. Occorre infine considerare il fatto che la messa a disposizione di un campo da golf
può di solito essere limitata nell'oggetto e nella durata del periodo di utilizzazione. Al
riguardo, dalla giurisprudenza della Corte deriva che la durata del godimento di un bene
immobile, elemento essenziale del contratto di locazione (sentenze Commissione/Irlanda,
punto 56, e Commissione/Regno Unito, punto 68, entrambe citate in precedenza).
28. Spetta al giudice nazionale stabilire se, alla luce di tali elementi, l'attività di cui
trattasi nella causa principale si possa ritenere esonerata dall'IVA in forza dell'art. 13,
parte B, lett. b), della sesta direttiva.
Sulla seconda questione
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29. Con la seconda questione, il giudice nazionale chiede in sostanza se le disposizioni
dell'art. 17, nn. 1 e 2, della sesta direttiva, letti in combinato disposto con quelle degli artt.
2, 6 e 13 della stessa, siano sufficientemente chiare, precise ed incondizionate per essere
fatte valere dai singoli dinanzi al giudice nazionale nei confronti di uno Stato membro.
30. Per risolvere tale questione, basta rinviare alla costante giurisprudenza della Corte
relativa all'efficacia diretta delle direttive (v. sentenza 19 gennaio 1982, causa 8/81,
Becker, Racc. pag. 53, punti 17-25).
31. Da tale giurisprudenza emerge che, nonostante il margine di discrezionalità
relativamente ampio di cui gli Stati membri dispongono per l'attuazione di talune
disposizioni della sesta direttiva, i singoli possono far valere dinanzi al giudice nazionale
le disposizioni della direttiva che siano sufficientemente chiare, precise e incondizionate
(v. sentenze 20 ottobre 1993, causa C-10/92, Balocchi, Racc. pag. I-5105, punto 34, e
sentenza 6 luglio 1995, causa C-62/93, Bp Soupergaz, Racc. pag. I-1883, punto 34).
32. La Corte ha già riconosciuto espressamente tale carattere all'art. 17, nn. 1 e 2
(sentenza BP Soupergaz, citata, punto 36), e all'art. 13, parte B, lett. d), punto 1 (sentenza
Becker, citata, punto 49), della sesta direttiva. Anche gli artt. 2, 6, n. 1, che è l'unico
rilevante per la causa principale, e 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva rispondono ai
criteri sanciti dalla giurisprudenza citata al punto precedente, come rilevato dall'avvocato
generale ai paragrafi 45 e 46 delle sue conclusioni.
33. Occorre pertanto rispondere alla seconda questione nel senso che le disposizioni
dell'art. 17, nn. 1 e 2, della sesta direttiva, lette in combinato disposto con quelle degli
artt. 2, 6, n. 1, e 13, parte B, lett. b), della stessa, sono sufficientemente chiare, precise ed
incondizionate per poter essere fatte valere dai singoli dinanzi al giudice nazionale nei
confronti di uno Stato membro.
Sulla terza questione
34. Con la terza questione il giudice nazionale chiede, in sostanza, se l'applicazione di
un'esenzione generale dall'IVA per la cessione in uso di locali o di altri impianti, nonché
per la messa a disposizione di strumenti accessori o altre apparecchiature, ai fini
dell'effettuazione dell'attività sportiva e dell'educazione fisica, senza che tale esenzione
generale figuri nella sesta direttiva, costituisca una violazione del diritto comunitario
sufficientemente grave e manifesta da far sorgere la responsabilità dello Stato membro.
35. In primo luogo, occorre ricordare che, rispondendo alla seconda questione, la Corte
ha osservato che le disposizioni dell'art. 17, nn. 1 e 2, della sesta direttiva, lette in
combinato disposto con quelle degli artt. 2, 6, n. 1, e 13, parte B, lett. b), della stessa,
conferiscono ai singoli diritti che possono essere fatti valere contro lo Stato membro
interessato dinanzi a un giudice nazionale. Di conseguenza, la Lindöpark è legittimata a
far valere retroattivamente i crediti di cui sostiene di essere titolare nei confronti dello
Stato svedese basandosi direttamente sulle disposizioni della sesta direttiva ad essa
favorevoli. A prima vista, pertanto, un ricorso per risarcimento dei danni basato sulla
giurisprudenza della Corte in tema di responsabilità degli Stati membri per violazione del
diritto comunitario non sembra necessario.
36. In secondo luogo, per rispondere alla questione va ricordato che, secondo una
giurisprudenza anch'essa costante, il principio della responsabilità dello Stato per danni
causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al
sistema del Trattato (v., in particolare, sentenze 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-
48/93, Brasserie du pêcheur e Factortame, Racc. pag. I-1029, punto 31; 8 ottobre 1996,
cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94, Dillenkofer e a.,
Racc. pag. I-4845, punto 20; 17 ottobre 1996, cause riunite C-283/94, C-291/94 e C-
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292/94, Denkavit e a., Racc. pag. I-5063, punto 47; e sentenza 24 settembre 1998, causa
C-319/96, Brinkmann, Racc. pag. I-5255, punto 24).
37. Parimenti la Corte, in considerazione delle circostanze della fattispecie, ha dichiarato
che un diritto al risarcimento è riconosciuto dal diritto comunitario in quanto siano
soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a
conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione sufficientemente grave e manifesta e
che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il
danno subìto dai soggetti lesi (citate sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, punto
51; Dillenkofer e a., punti 21 e 23, Denkavit e a., punto 48, e Brinkmann, punto 25; v.
altresì sentenze 15 giugno 1999, causa C.140/97, Rechberger e a., Racc. pag. I-3499,
punto 21, e 4 luglio 2000, causa C-424/97, Haim, Racc. pag. I-0000, punto 36).
38. Se, in line a di principio, spetta ai giudici nazionali valutare la sussistenza delle
condizioni che fanno sorgere la responsabilità dello Stato membro per violazioni del
diritto comunitario, la Corte può nondimeno precisare talune circostanze di cui i giudici
nazionali possono tener conto nella loro valutazione. Nella causa principale il
giudicenazionale interroga la Corte sulle condizioni di una violazione grave e manifesta
del diritto comunitario.
39. Per rispondere alla questione va ricordato come dalla giurisprudenza della Corte
risulti che una violazione è sufficientemente grave e manifesta quando uno Stato
membro, nell'esercitare il suo potere normativo, ha violato in modo manifesto e grave i
limiti posti ai suoi poteri. Al riguardo, fra gli elementi che il giudice competente può
eventualmente prendere in considerazione, figura in particolare il grado di chiarezza e di
precisione della norma violata (sentenza Rechberger e a., citata, punto 50).
40. Come osservato nell'ambito delle risposte alla prima e alla seconda questione, deriva
chiaramente dalle disposizioni della legge IVA di cui alla causa principale che l'esenzione
generale adottata dal legislatore svedese non trova fondamento nella sesta direttiva e
risulta pertanto incompatibile con questa, a partire dalla data di adesione del Regno di
Svezia all'Unione europea. Considerato il dettato chiaro delle disposizioni della suddetta
direttiva, lo Stato membro interessato non si trovava di fronte a scelte normative e
disponeva di un margine di discrezionalità considerevolmente ridotto, se non addirittura
inesistente. Di conseguenza, può bastare la semplice trasgressione del diritto comunitario
per dimostrare l'esistenza di una violazione sufficientemente grave e manifesta (v.
sentenze 23 maggio 1996, causa C-5/94, Hedley Lomas, Racc. pag. I-2553, punto 28, e
Dillenkofer e a., citata, punto 25). Peraltro, il fatto che la normativa nazionale di cui
trattasi nella causa principale sia stata abrogata dal 1° gennaio 1997, ossia due anni dopo
la data della suddetta adesione, indica che il legislatore svedese era a conoscenza di
questa situazione di incompatibilità.
41. Occorre respingere l'argomento dello Stato svedese secondo il quale, anche a supporla
esistente, la violazione delle norme comunitarie era comunque giustificabile in quanto, da
un lato, la Corte non aveva ancora chiarito le disposizioni applicabili della sesta direttiva
e, dall'altro lato, la Commissione non aveva avviato alcun procedimento per
inadempimento, il che lo avrebbe lasciato senza alcun punto di riferimento certo quanto
alla portata del diritto comunitario in questione. Infatti, come chiarito ai punti 73 e 74
delle conclusioni dell'avvocato generale, non esisteva alcun ragionevole dubbio sulla
portata delle disposizioni in causa che potesse giustificare l'asserita violazione.
42. Alla terza questione occorre pertanto rispondere che l'applicazione di un'esenzione
generale dall'IVA per la cessione in uso di locali o di altri impianti, nonché per la messa a
disposizione di strumenti accessori o altre apparecchiature, ai fini dell'effettuazione
dell'attività sportiva e dell'educazione fisica, senza che tale esenzione generale sia
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prevista nella sesta direttiva, costituisce una violazione del diritto comunitario
sufficientemente grave e manifesta da far sorgere la responsabilità dello Stato membro.
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione)
dichiara:
1) Gli artt. 13, parte A, n. 1, lett. m), e 13, parte B, lett. b), della sesta direttiva del
Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni
degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta
sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, ostano a norme nazionali le quali
prevedano un'esenzione generale dall'imposta sul valore aggiunto per le cessioni in uso di
locali ed altri impianti nonché per la messa a disposizione di strumenti accessori o altre
apparecchiature ai fini dell'effettuazione dell'attività sportiva e dell'educazione fisica,
compresi i servizi forniti da organismi aventi fini di lucro.
2) Le disposizioni dell'art. 17, nn. 1 e 2, della sesta direttiva 77/388, lette in combinato
disposto con quelle degli artt. 2, 6, n. 1, e 13, parte B, lett. b), della stessa sono
sufficientemente chiare, precise ed incondizionate per poter essere fatte valere dai singoli
dinanzi al giudice nazionale nei confronti di uno Stato membro.
3) L'applicazione di un'esenzione generale dall'imposta sul valore aggiunto per la
cessione in uso di locali o di altri impianti, nonché per la messa a disposizione di
strumenti accessori o altre apparecchiature, ai fini dell'effettuazione dell'attività sportiva e
dell'educazione fisica, senza che tale esenzione generale sia prevista dall'art. 13 della
sesta direttiva 77/388, costituisce una violazione del diritto comunitario sufficientemente
grave e manifesta da far sorgere la responsabilità dello Stato membro.
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9. Cause da T-38/99 a T-50/99,
Sociedade Agrícola dos Arinhos, Ld., con sede in Lisbona,
Sociedade Agrícola do Monte da Aldeia, Ld., con sede in Lisbona,
António José da Veiga Teixeira, residente in Coruche (Portogallo),
Sociedade Agrícola Monte da Senhora do Carmo SA, con sede in Almeirim
(Portogallo),
Sociedade Agrícola de Perescuma SA, con sede in Almeirim,
Sociedade Agrícola Couto de Fornilhos SA, con sede in Moura (Portogallo),
Casa Agrícola da Raposeira, Ld., con sede in Coruche,
José de Barahona Núncio, residente in Évora (Portogallo),
Prestase - Prestação de Serviços e Contabilidade, Ld., con sede in Lisbona,
Sociedade Agro-Pecuária da Herdade do Zambujal, Ld., con sede in Palmela
(Portogallo),
Francisco Luís Pinheiro Caldeira, residente in Campo Maior (Portogallo),
Sociedade Agrícola Cabral de Ascensão, Ld., con sede in Horta dos Arcos, Serpa
(Portogallo),
Joaquim Inácio Passanha Braancamp Sobral, residente in Lisbona,
ricorrenti,
sostenuti da
Repubblica portoghese,
interveniente,
contro
Commissione delle Comunità europee,
convenuta,
avente ad oggetto un ricorso diretto all'annullamento dell'art. 2, punto a), della decisione
della Commissione 18 novembre 1998, 98/653/CE, recante misure d'emergenza rese
necessarie dall'insorgere di casi d'encefalopatia spongiformebovina in Portogallo (GU L
311, pag. 23), in quanto esso vieta di spedire dal Portogallo in Spagna e in Francia tori da
combattimento destinati a manifestazioni culturali o sportive,
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Quarta Sezione),
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ha pronunciato la seguente
Sentenza
Fatti e contesto giuridico
1. I tredici ricorrenti sono allevatori portoghesi di tori da combattimento. Tali tori sono
destinati a manifestazioni culturali o sportive che, nei paesi dell'Unione europea, sono
organizzate soltanto in Portogallo, in Spagna e in Francia. Questa razza di tori viene
allevata solo in questi tre Stati membri.
2. Il 10 novembre 1998, dopo aver appreso l'imminenza dell'adozione di una decisione
comunitaria relativa all'esportazione dei bovini portoghesi, l'associazione portoghese
degli allevatori di tori da combattimento inviava per fax al presidente della Commissione
un esposto destinato a richiamare l'attenzione sulla specificità della situazione dei tori da
combattimento portoghesi.
3. Il 18 novembre 1998 la Commissione emanava la decisione 98/653/CE, recante misure
di emergenza rese necessarie dall'insorgere di casi di d'encefalopatia spongiforme bovina
in Portogallo (GU L 311, pag. 23; in prosieguo: la «decisione impugnata»). Tale
decisione si basa sul Trattato CE, sulla direttiva del Consiglio 26 giugno 1990,
90/425/CEE, relativa ai controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi
intracomunitari di taluni animali vivi e prodotti di origine animale, nella prospettiva della
realizzazione del mercato interno (GU L 224, pag. 29), modificata da ultimo dalla
direttiva 92/118/CEE (GU L 62, pag. 49), in particolare sull'art. 10, n. 4, della medesima,
nonché sulla direttiva del Consiglio 11 dicembre 1989, 89/662/CEE, relativa ai controlli
veterinari applicabili negli scambiintracomunitari nella prospettiva della realizzazione del
mercato interno (GU L 395, pag. 13), modificata da ultimo dalla direttiva 92/118/CEE, in
particolare sull'art. 9, n. 4, della stessa.
4. Al punto 3 dei 'considerando della decisione impugnata, la Commissione rileva che nel
1996 sono state effettuate in Portogallo varie missioni riguardanti questioni attinenti
all'encefalopatia spongiforme bovina (in prosieguo: l'«ESB»), dalle quali è risultato che
non tutti i fattori di rischio erano stati trattati in maniera adeguata. Inoltre,una nuova
missione, effettuata dall'ufficio alimentare e veterinario della Commissione dal 28
settembre al 2 ottobre 1998 ha confermato il persistere di talune carenze nell'attuazione
delle misure di lotta contro i fattori di rischio.
5. L'art. 2 della decisione impugnata dispone:
«Il Portogallo provvede affinché non siano spediti dal proprio territorio verso altri Stati
membri o paesi terzi
a) bovini vivi ed embrioni di bovini;
(...)».
6. Ai sensi dell'art. 4 di tale decisione, il Portogallo provvede affinché sino al 1° agosto
1999 non siano spediti dal proprio territorio verso altri Stati membri o paesi terzi carni,
prodotti o materiale ottenuti da animali macellati in Portogallo.
7. L'art. 16, n. 1, della decisione impugnata recita:
«La presente decisione viene riesaminata entro i diciotto mesi successivi alla sua
adozione, sulla base di un esame globale della situazione, in particolare tenendo conto
degli sviluppi dell'incidenza della malattia, dell'effettivo rispetto delle pertinenti misure e
delle nuove conoscenze in campo scientifico».
8. Secondo l'art. 18 della stessa decisione, gli Stati membri sono destinatari di questa.
9. Il divieto di spedizione fuori dal Portogallo stabilito nella decisione impugnata veniva
successivamente prorogato al 1° febbraio 2000 dalla decisione della Commissione 28
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luglio 1999, 99/517/CE (GU L 197, pag. 45), che inoltre apportava talune modifiche alla
decisione impugnata.
10. La decisione impugnata veniva altresì modificata dalla decisione della Commissione
21 ottobre 1999, 99/713/CE (GU L 281, pag. 90). Questa decisione, che istituisce talune
eccezioni al divieto di spedizione stabilito dalla decisione impugnata, ammette, in
particolare, la possibilità di spedire tori da combattimento dal territorio portoghese in altri
Stati membri a talune condizioni.
11. La decisione impugnata veniva inoltre modificata dalla decisione della Commissione
31 gennaio 2000, 2000/104/CE (GU L 29, pag. 36). Il limite temporale al divieto di
spedizione previsto dall'art. 4 della decisione impugnata veniva soppresso. Inoltre l'art. 16
veniva modificato al fine di prevedere il riesame della decisione impugnata, così come
modificata, «entro il 18 maggio 2000, sulla base di un esame globale della situazione».
12. Con le decisioni 6 giugno 2000, 2000/371/CE e 2000/372/CE (GU L 134, pagg. 34 e
35) la Commissione si avvaleva della facoltà prevista dall'art. 3, n. 7, della decisione
impugnata, come inserito dalla decisione 99/713 e fissava per il 7 giugno 2000 la data in
cui poteva iniziare la spedizione dei tori da corrida dal Portogallo in Francia e,
rispettivamente, in Spagna.
Procedimento e conclusioni delle parti
13. Con atti depositati nella cancelleria del Tribunale il 12 febbraio 1999 i ricorrenti
hanno proposto ricorsi per l'annullamento dell'art. 2, punto a), della decisione impugnata,
in quanto vieta la spedizione dal Portogallo di tori da combattimento, ricorsi che sono
stati riuniti all'atto della loro registrazione, costituendo quindi una sola causa.
14. Con atto separato depositato nella cancelleria del Tribunale il 19 aprile 1999 sette
ricorrenti nella causa principale hanno presentato, ai sensi degli artt. 185 e 186 del
Trattato CE (divenuti artt. 242 CE e 243 CE) e degli artt. 104 e seguenti del regolamento
di procedura, una domanda di provvedimenti provvisori. Essi hanno chiesto al giudice
dell'urgenza la sospensione dell'esecuzione dell'art. 2, punto a), della decisione
impugnata, in quanto vieta di spedire dal Portogallo tori da combattimento, e l'adozione
di qualsiasi altro provvedimento provvisorio che il giudice avesse ritenuto adeguato.
15. Con ordinanza 9 agosto 1999 il presidente del Tribunale ha respinto la domanda di
provvedimenti provvisori.
16. Con ordinanza 14 ottobre 1999 il presidente della Quarta Sezione del Tribunale ha
accolto l'istanza d'intervento del governo portoghese a sostegno delle conclusioni dei
ricorrenti.
17. Le parti nei presenti ricorsi sono state espressamente invitate dal Tribunale a
pronunciarsi sulla modifica della decisione impugnata apportata con la decisione 99/713 e
sull'incidenza di tale modifica sulla presente causa. I ricorrenti hanno tenuto fermi i loro
ricorsi senza apportarvi modifiche.
18. Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di passare alla fase orale.
19. Le parti hanno presentato le loro difese orali ed hanno risposto ai quesiti rivolti dal
Tribunale all'udienza del 20 settembre 2000.
20. I ricorrenti concludono che il Tribunale voglia:
- annullare l'art. 2, punto a), della decisione impugnata, in quanto vieta di spedire dal
Portogallo in Spagna e in Francia tori da combattimento destinati a combattere nel corso
di manifestazioni culturali o sportive che avvengono in tali Stati membri;
- condannare la Commissione alle spese.
21. L'interveniente conclude che il Tribunale voglia:
- dichiarare i ricorsi fondati e, di conseguenza, annullare la decisione impugnata in
conformità a quanto chiesto dai ricorrenti;
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- condannare la Commissione alle spese.
22. La Commissione conclude che il Tribunale voglia:
- dichiarare i ricorsi irricevibili o, in subordine, respingerli;
- condannare i ricorrenti alle spese.
In diritto
23. I ricorrenti deducono in sostanza due motivi: il primo relativo a un errore sulle
premesse della decisione e ad un difetto di motivazione; il secondo relativo alla
violazione degli artt. 30, 34 e 36 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 28
CE, 29 CE e 30 CE) ed al principio di proporzionalità. La Commissione contesta i motivi
dei ricorrenti ed eccepisce l'irricevibilità dei ricorsi.
Sulla ricevibilità
Argomenti delle parti
24. La Commissione deduce che nessuno dei ricorrenti è individualmente riguardato dalla
decisione impugnata, giacché la loro situazione di fatto non presenterebbe caratteristiche
specifiche che li identifichi in maniera analoga al destinatario della decisione.
25. In proposito la Commissione sostiene che la situazione dei ricorrenti non va distinta
da quella degli allevatori portoghesi di altri bovini. Essa deduce, in particolare, che il
fatto che i tori da combattimento sono allevati solo per partecipare a manifestazioni
sportive o di tauromachia non impedirebbe che, dopo esser statoucciso nell'arena,
l'animale possa entrare nella catena alimentare, dato che la sua carne può, in particolare,
essere consumata in ristoranti specializzati.
26. All'udienza la convenuta ha inoltre rilevato che il fax spedito dai ricorrenti al
presidente della Commissione, e contenente un'esposizione della loro posizione, è stato
inviato soltanto dieci giorni prima della formale emanazione della decisione impugnata.
In quella data il progetto della decisione era stato già compilato in base a un parere del
comitato veterinario, adottato nell'ottobre 1998, in conformità alla normativa vigente.
27. I ricorrenti sostengono di soddisfare le condizioni relative alla legittimazione ad agire,
sancite dall'art. 173, quarto comma, del Trattato CE (divenuto art. 230, quarto comma,
CE), dato che la decisione impugnata li riguarda direttamente e individualmente.
28. Essi fanno valere l'esistenza di circostanze di fatto che li caratterizzano rispetto agli
altri allevatori e commercianti di bovini vivi, ai quali si applica astrattamente il
menzionato divieto.
29. In primo luogo, i ricorrenti allevano una razza unica di bovini destinati a combattere
nel corso di manifestazioni culturali o sportive che si svolgono solo in Portogallo, in
Spagna e in Francia. Tali tori da combattimento si distinguerebbero da tutti gli altri
bovini; sarebbe logico esportarli anche se, a causa della tutela della sanità pubblica, essi
devono essere distrutti dopo il combattimento.
30. In secondo luogo, essi sono registrati nel libro genealogico portoghese dei tori da
combattimento e nel libro genealogico spagnolo della razza dei tori da combattimento. La
registrazione in quest'ultimo è autonoma rispetto all'iscrizione nel primo, essendo
soggetta ai requisiti propri della normativa spagnola.
31. In terzo luogo, per la spedizione ed il trasporto dei loro tori in Spagna o in Francia i
ricorrenti sarebbero soggetti alle specifiche norme vigenti per i tori da combattimento
(che non vigono per gli altri bovini) e che garantiscono un rigoroso controllo di tutti gli
animali trasportati. Queste norme sarebbero un elemento fondamentale dell'insieme delle
garanzie relative alla rintracciabilità degli animali.
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32. In quarto luogo, ancor prima dell'emanazione della decisione impugnata e tramite
l'associazione di cui essi sono membri (l'associazione portoghese degli allevatori di tori
da combattimento) i ricorrenti avrebbero richiamato l'attenzione della Commissione sulle
specifiche caratteristiche dei tori da combattimento e della normativa loro applicabile e le
avrebbero chiesto di tener conto di tali caratteristiche. Detta associazione non ha una
propria attività economica e commerciale né un'attività autonoma rispetto a quella dei
suoi membri.
33. In proposito i ricorrenti ricordano di aver presentato, unitamente agli altri membri
dell'associazione portoghese degli allevatori di tori da combattimento, una denuncia alla
Commissione il 20 luglio 1998 chiedendole d'intervenire a proposito delle difficoltà
provocate dalle autorità spagnole quanto all'esportazione dei tori da combattimento
registrati nel libro genealogico portoghese. In tale denuncia essi avrebbero comunicato
alla Commissione dati atti a farle capire la specificità della normativa vigente per i tori da
combattimento rispetto a quella vigente per gli altri bovini.
34. Inoltre, il 10 novembre 1998, a seguito di informazioni riguardanti l'imminente
adozione di una decisione di divieto totale di esportazione dei bovini, i ricorrenti
avrebbero inviato per fax al presidente della Commissione un esposto destinato a
richiamare la sua attenzione sulla specifica situazione dei tori da combattimento
portoghesi. In tale esposto i ricorrenti insistevano sul fatto che sarebbe stato possibile
adottare altri provvedimenti (come l'obbligo d'incinerazione dei tori dopo lo spettacolo)
che, pur essendo altrettanto efficaci per la tutela della sanità pubblica, avrebbero avuto
ripercussioni meno restrittive sul commercio intracomunitario.
35. Infine, i ricorrenti aggiungono che la maggior parte di loro aveva concluso con
operatori spagnoli e francesi contratti aventi ad oggetto la vendita di tori da
combattimento destinati alle arene spagnole e/o francesi nel corso della stagione di
tauromachia 1999. L'esecuzione di tali contratti sarebbe stata resa impossibile dalla
decisione impugnata.
Giudizio del Tribunale
36. Ai sensi dell'art. 173, quarto comma, del Trattato, le persone fisiche o giuridiche
possono impugnare le decisioni adottate nei loro confronti o le decisioni che, pur
apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, le
riguardino direttamente e individualmente.
37. Occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, i soggetti diversi dai
destinatari di una decisione possono sostenere di essere individualmente riguardati, ai
sensi dell'art. 173, quarto comma, del Trattato, se tale decisione incida sulla loro
posizione giuridica a motivo di talune loro qualità specifiche o di una situazione di fatto
che li contraddistingua rispetto a chiunque altro e, quindi, li identifichi in modo analogo
al destinatario (sentenze della Corte 15 luglio 1963, causa 25/62,
Plaumann/Commissione, Racc. pagg. 195, 220, e 18 maggio 1994, causa C-309/89,
Codorniu/Consiglio, Racc. pag. I-1853, punto 20, e del Tribunale 27 aprile 1995, causa
T-435/93, ASPEC e a./Commissione, Racc. pag. II-1281, punto 62). Infatti, lo scopo
dell'art. 173, quarto comma, del Trattato è quello di garantire una tutela giuridica anche a
chi, pur non essendo il destinatario dell'atto controverso, è in pratica riguardato da
quest'ultimo in modo analogo a quello del destinatario (sentenza della Corte 11 luglio
1984, causa 222/83, Comune di Differdange e a./Commissione, Racc. pag. 2889, punto
9).
38. Quindi, alla luce di tale giurisprudenza, si deve accertare se i ricorrenti siano
riguardati dalla decisione impugnata in considerazione di talune loro qualità specifiche o
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se sussista una situazione di fatto che li contraddistingua, con riguardo a tale decisione,
rispetto a tutti gli altri operatori cui è applicabile.
39. Nel caso di specie la decisione impugnata istituisce misure di emergenza rese
necessarie dal verificarsi di casi di ESB in Portogallo. Essa stabilisce un divieto di
spedizione degli animali vivi della specie bovina, di carni e di altri prodotti ottenuti da
bovini macellati in Portogallo. Tale divieto è motivato da ragioni di tutela della sanità
pubblica. Già dall'inizio tale divieto doveva considerarsi temporaneo dato che la
decisione doveva essere riesaminata entro i 18 mesi successivi alla sua adozione, in attesa
di un esame globale della situazione.
40. I ricorrenti assumono, anzitutto, che i tori da essi allevati sono destinati a combattere
nel corso di manifestazioni culturali o sportive e che, quindi, sussiste un interesse ad
esportarli anche se, dopo il combattimento, essi devono essere distrutti. Inoltre, essi
assumono che i loro animali sono registrati nei libri genealogici portoghesi e spagnoli dei
tori da combattimento e che l'esportazione e il trasporto degli stessi verso la Spagna e la
Francia sono soggetti a norme specifiche che garantiscono un rigoroso controllo di tutti
gli animali esportati.
41. Si deve considerare che tali elementi non costituiscono una situazione peculiare che
contraddistingue i ricorrenti, con riguardo alla decisione impugnata, rispetto a qualsiasi
altro allevatore o esportatore di bovini riguardato dal divieto di spedizione stabilito da
detta decisione.
42. La circostanza che i tori esportati dai ricorrenti abbiano caratteristiche diverse e siano
soggetti a modalità di allevamento e ad un complesso di controlli specifici rispetto ad altri
bovini non riguarda il modo in cui la decisione di cui trattasi incide sui ricorrenti.
43. Infatti, questa decisione, in quanto vieta la spedizione di animali della specie bovina,
non tocca i ricorrenti a motivo di talune loro qualità specifiche o di una situazione di fatto
che li contraddistingua rispetto a qualsiasi altro operatore. Essa li riguarda solo a causa
della loro qualità oggettiva di esportatori di bovini, allo stesso titolo di qualsiasi altro
operatore che esercita la medesima attività di spedizione dal territorio portoghese. In tal
modo la decisione impugnata si rivolge, in termini astratti e generali, a categorie di
persone indeterminate e si applica a situazioni determinate oggettivamente.
44. Questi argomenti devono quindi essere respinti.
45. I ricorrenti sostengono altresì che, prima dell'adozione della decisione impugnata, in
particolare tramite l'associazione portoghese degli allevatori di tori da combattimento, di
cui sono membri, essi hanno richiamato l'attenzione dellaCommissione sulle
caratteristiche specifiche dei tori da combattimento e della normativa loro applicabile e
che le hanno chiesto di tener conto di tali caratteristiche.
46. Va ricordato che, anche ammettendo che tutte le lettere e tutti i contatti menzionati
dai ricorrenti possano aver avuto una relazione pertinente con l'oggetto della decisione
impugnata, dalla giurisprudenza risulta che il fatto che una persona intervenga, in un
modo o nell'altro, nell'iter che porta all'adozione di un atto comunitario, è, di per sé,
idoneo ad identificare detta persona con riguardo all'atto di cui trattasi solo quando la
vigente normativa comunitaria le conferisce talune garanzie procedurali (ordinanza del
Tribunale 9 agosto 1995, causa T-585/93, Greenpeace e a./Commissione, Racc. pag. II-
2205, punti 56 e 63, e sentenza del Tribunale 13 dicembre 1995, cause riunite T-481/93 e
T-484/93, Exporteurs in Levende Varkens e a./Commissione, Racc. pag. II-2941, punti
55 e 59).
47. Nel caso di specie l'argomento dei ricorrenti dev'essere esaminato nell'ambito della
normativa comunitaria che si applica nel presente caso, in particolare alla luce delle
direttive 89/662 e 90/425, in quanto esse riguardano l'istituzione di misure di emergenza
che si rendono necessarie per prevenire qualsiasi pericolo all'atto dell'accertamento di una
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malattia epizotica, di qualsiasi nuova malattia grave e contagiosa, o di qualsiasi altra
causa che possa costituire un pericolo per gli animali o per la salute dell'uomo.
48. Va osservato in proposito che nessuna delle disposizioni di detta normativa impone
alla Commissione, al fine di istituire siffatte misure di emergenza, di seguire un
procedimento nell'ambito del quale i ricorrenti abbiano il diritto, di per sé o tramite i loro
rappresentanti, di essere sentiti. Quindi, gli interventi menzionati dai ricorrenti non
possono legittimarli ad agire in base all'art. 173, quarto comma, del Trattato.
49. Infine, i ricorrenti sostengono di aver concluso contratti di vendita di tori da
combattimento destinati a combattere in Spagna e in Francia nel corso della stagione di
tauromachia 1999, contratti la cui esecuzione è stata resa impossibile dalla decisione.
50. E' vero che la Corte e il Tribunale hanno già dichiarato ricevibili ricorsi di
annullamento proposti contro atti di natura normativa poiché esisteva una disposizione di
rango superiore che imponeva all'autore degli atti di tener conto della situazione specifica
del ricorrente (v. sentenze del Tribunale 14 settembre 1995, cause riunite T-480/93 e T-
483/93, Antillean Rice Mills e a./Commissione, Racc. pag. II-2305, punti 67-78, e 17
giugno 1998, causa T-135/96, UEAPME/Consiglio, Racc. pag. II-2335, punto 90),
potendo in taluni cassi l'esistenza di contratti stipulati da un ricorrente e toccati dall'atto
controverso configurare una siffatta situazione specifica (sentenze della Corte 17 gennaio
1985, causa 11/82, Piraiki-Patraiki e a./Commissione, Racc. pag. 207, punti 28-31, e
26giugno 1990, causa C-152/88, Sofrimport/Commissione, Racc. pag. I-2477, punti 11-
13).
51. Tuttavia, la presente fattispecie si distingue da quelle che hanno dato luogo alle
menzionate sentenze, in quanto un siffatto obbligo non sussiste nel caso in esame. Quindi
questo argomento non può essere accolto.
52. Di conseguenza non sussiste nel caso di specie il presupposto della ricevibilità
consistente nel fatto che i ricorrenti siano individualmente riguardati dall'atto
controverso.
53. Quindi i loro ricorsi devono essere dichiarati irricevibili.
I ricorsi sono irricevibili.
Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)
dichiara e statuisce:
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10. Procedimento C-174/00,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, in
applicazione dell'art. 234 CE, dallo Hoge Raad der Nederlanden (Paesi Bassi), nella
causa dinanzi ad esso pendente tra
Kennemer Golf & Country Club
e
Staatssecretaris van Financiën,
domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta
direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle
legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune
di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1),
LA CORTE (Quinta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con sentenza 3 maggio 2000, pervenuta in cancelleria il 9 maggio seguente, lo Hoge
Raad der Nederlanden (Corte suprema dei Paesi Bassi), ha sottoposto a questa Corte, in
virtù dell'art. 234 CE, tre questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 13,
parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977,77/388/CEE, in
materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla
cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme
(GU L 145, pag. 1; in prosieguo: la «sesta direttiva»).
2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra la Kennemer Golf
& Country Club (in prosieguo: la «Kennemer Golf») e lo Staatssecretaris van Financiën
in merito all'imposta sul valore aggiunto (in prosieguo: l'«IVA») a cui la Kennemer Golf
è stata assoggettata a motivo di alcune prestazioni effettuate nel contesto della pratica del
golf.
Contesto normativo
Disciplina comunitaria
3. L'art. 2 della sesta direttiva dispone:
«Sono soggette all'imposta sul valore aggiunto:
1. le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all'interno del
paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;
2. le importazioni di beni».
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4. L'art. 4, n. 1, della sesta direttiva prevede:
«Si considera soggetto passivo chiunque esercita in modo indipendente e in qualsiasi
luogo una delle attività economiche di cui al paragrafo 2, indipendentemente dallo scopo
o dai risultati di detta attività».
5. Ai sensi dell'art. 13, parte A, n. 1, della sesta direttiva:
«Fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni
da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste
in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:
(...)
m) talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o
dell'educazione fisica, fornite da organizzazioni senza scopo lucrativo alle persone che
esercitano lo sport o l'educazione fisica;
(...)».
6. Il n. 2 della medesima disposizione è redatto come segue:
«a) Gli Stati membri possono subordinare, caso per caso, la concessione, ad enti diversi
da quelli di diritto pubblico, di ciascuna delle esenzioni previste al paragrafo 1, lettere b),
g), h), i), l), m) e n) all'osservanza di una o più delle seguenti condizioni:
- gli enti di cui trattasi non devono avere per fine la ricerca sistematica del profitto: gli
eventuali profitti non dovranno mai essere distribuiti ma dovranno essere destinati al
mantenimento o al miglioramento delle prestazioni fornite;
(...)».
Disciplina nazionale
7. Ai sensi dell'art. 11, n. 1, del Wet op de Omzetbelasting 1968 (legge del 1968 sull'Iva,
Staatsblad 1968, n. 329; in prosieguo: la «Legge 1968») del 28 giugno 1968:
«Alle condizioni da stabilirsi mediante provvedimento amministrativo sono esenti da
imposta (...):
(...)
e) i servizi forniti ai propri membri da organizzazioni il cui scopo è la pratica o la
promozione dello sport, ad eccezione (...)
f) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi a carattere sociale o culturale, da
determinare mediante regolamenti amministrativi, purché l'imprenditore non persegua
uno scopo di lucro e l'esenzione non sia atta a distorcere la concorrenza a danno delle
imprese aventi fini di lucro».
8. Il provvedimento amministrativo, menzionato al n. 1 della legge richiamata al punto
precedente, è l'Uitvoeringsbesluit Omzetbelasting 1968 (decreto di esecuzione dell'Iva
1968, Staatsblad 1968, n. 423; in prosieguo: il «decreto di esecuzione») del 12 agosto
1968. Esso prevede, al suo art. 7, n. 1, e al suo allegato B, che sono in particolare
considerate come cessioni di beni e prestazioni di servizi esenti:
«b) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi [a carattere sociale o culturale] effettuate
in quanto tali dalle organizzazioni di seguito elencate, purché esse non abbiano scopo di
lucro:
(...)
21. le organizzazioni che si occupano di fornire l'opportunità di praticare sport, solo per
tali prestazioni».
Causa principale e questioni pregiudiziali
9. La Kennemer Golf è un'associazione di diritto olandese che ha circa 800 soci. Essa ha
come scopo, ai sensi del suo statuto, la pratica e la promozione dello sport e di giochi, in
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particolare del golf. A tal fine, essa possiede nel territorio del comune di Zaandvoort
(Paesi Bassi) impianti comprendenti in particolare un campo per il golf e una sede del
club.
10. I soci della Kennemer Golf devono versare contributi annuali, nonché una quota di
ingresso e sono tenuti a partecipare ad un prestito obbligazionario senza interessi emesso
dalla Kennemer Golf.
11. Oltre all'uso degli impianti da parte dei soci della Kennemer Golf, le persone che non
sono soci della stessa possono fare uso del campo da golf e dei relativi impianti pagando
un contributo giornaliero. Dal fascicolo risulta che la Kennemr Golf percepisce in tale
maniera somme relativamente cospicue, che ammontano a circa un terzo degli importi
versati dai membri a titolo dei contributi annuali.
12. Nel corso degli anni che hanno preceduto l'esercizio fiscale 1994, la Kennemr Golf
chiudeva lo stato degli attivi e dei passivi con un saldo attivo, che è stato in seguito
contabilizzato in quanto fondo di riserva come accantonamento per le spese non annuali.
Ciò si è verificato anche per l'esercizio di cui trattasi nella causa principale, vale a dire
per l'esercizio 1994.
13. Ritenendo che le prestazioni fornite ai soggetti non soci della Kennemer Golf della
fossero esenti dall'IVA in virtù dell'art. 11, n. 1, lett. f) della Legge 1968 e dell'art. 7, n. 1,
nonché dell'allegato B, lett. b), punto 21, del decreto di esecuzione, la Kennemer Golf
non ha versato, per l'esercizio fiscale 1994, l'IVA relativa a queste prestazioni. Tuttavia, il
fisco ha considerato che la Kennemer Golf perseguiva in realtà uno scopo lucrativo e ha
proceduto ex post all'imposizione dell'IVA relativa a tali prestazioni.
14. La Kennemer Golf, avendo il fisco respinto il reclamo da essa presentato contro detta
decisione, ha proposto un ricorso davanti al Gerechtshof te Amsterdam (Corte di appello
di Amsterdam, Paesi Bassi). Tale giudice ha rigettato il ricorso con cui era stato adito per
il motivo che, qualora la Kennemer Golf realizzasse utili sistematicamente, si presumeva
che la stessa tentasse di produrre eccedenze di gestione e perseguisse uno scopo lucrativo.
15. La Kennemer Golf ha presentato un ricorso per cassazione avverso detta sentenza del
Gerechtshof te Amsterdam dinanzi allo Hoge Raad der Nederlanden. Questo, ritenendo
che la soluzione della controversia dipenda dall'interpretazione delle disposizioni
nazionali in materia di IVA alla luce delle corrispondenti disposizioni della sesta
direttiva, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1. a) Se, per stabilire se un'organizzazione abbia scopo lucrativo, ai sensi dell'art. 13,
parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva, si debba tenere conto solo dei risultati delle
prestazioni di servizi menzionate in tale disposizione, oppure debbano essere presi in
considerazione anche i risultati delle altre prestazioni fornite in aggiunta
dall'organizzazione.
b) Nell'ipotesi in cui con riferimento allo scopo lucrativo si debba unicamente tener conto
delle prestazioni di servizi offerte dall'organizzazione ai sensi dell'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), della sesta direttiva e non del risultato globale dell'organizzazione, se debbano
essere presi in considerazione solo i costi direttamente occasionati dalla prestazione di
tali servizi, oppure anche una parte degli altri costi dell'organizzazione.
2. a) Se si sia in presenza di un nesso diretto, come inteso, tra le altre sentenze, nella
sentenza della Corte 8 marzo 1988, causa 102/86, Apple and Pear Development
Council/Commissioners of Customs and Excise, Racc. pag. 1443, riguardo ai contributi
di un'associazione che offre ai propri soci, conformemente al fine statutario, la possibilità
di praticare uno sport in un contesto associativo, e, in caso di soluzione negativa, se
l'associazione, nell'ipotesi in cui oltre a ciò offra altre prestazioni per le quali riceva
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invece un diretto corrispettivo, debba essere considerata in tal caso solo in tali limiti
soggetto passivo di imposta ai sensi dell'art. 4, n. 1, della sesta direttiva.
b) Se, anche nel caso in cui non esista un nesso diretto tre le diverse prestazioni
dell'associazione a favore dei propri soci e i contributi versati da questi ultimi, si debba
includere tra gli introiti di un'organizzazione costituita in forma di associazione, da
prendere in considerazione per determinare se esista lo scopo lucrativo di cui alla prima
questione, il totale dei contributi annuali dei soci ai quali l'associazione, conformemente
al fine statutario, offre l'opportunità di praticare uno sport.
3. Se la circostanza che un'organizzazione impieghi gli utili da essa sistematicamente
perseguiti a favore delle sue prestazioni consistenti nell'offrire la possibilità di praticare
un tipo di sport, ai sensi dell'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva, giustifichi
la conclusione che tale organizzazione non persegue fini di lucro ai sensi della detta
disposizione; oppure se tale conclusione sia ammissibile solo nel caso in cui la ricerca di
utili di gestione sia solo occasionale, e non sistematica, e tali utili vengano impiegati nel
senso menzionato. Se, per risolvere tali questioni si debba tener conto anche del disposto
dell'art. 13, parte A, n. 2, [lett. a),] primo trattino, della sesta direttiva, e in caso di
soluzione affermativa, in quale senso debba essere interpretata tale disposizione; in
particolare, se nella seconda parte di tale disposizione tra le espressioni eventuali e
profitti si debba leggere sistematici oppure e solo occasionali».
Sulla prima questione
16. Con la sua prima questione, sub a), il giudice del rinvio domanda in sostanza se l'art.
13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che la
qualificazione di un'organizzazione come «senza scopo lucrativo» debba essere effettuata
prendendo in considerazione le sole prestazioni considerate in tale disposizione oppure
tenendo conto dell'insieme delle attività di tale organizzazione.
17. Secondo il governo olandese occorre fare riferimento alla specifiche prestazioni
previste dalla detta disposizione della sesta direttiva. Se non fosse così, si potrebbero
avere risultati irragionevoli e potrebbero essere incoraggiati frodi od abusi. Tale
impostazione sarebbe conforme all'economia generale del sistema comune dell'IVA, che
ogni volta riguarderebbe un'operazione concreta e non colui che esegue la prestazione.
18. Al riguardo si deve costatare che, come hanno osservato sia il governo del Regno
Unito sia la Commissione, dalla lettera dell'art. 13, parte A, n. 1, lett. m) della sesta
direttiva risulta che esso riguarda in maniera esplicita talune «prestazioni [...] fornite da
organizzazioni senza scopo lucrativo» e che nessuna delle versioni linguistiche di questa
disposizione presenta una formulazione da cui possa risultare, in ragione dell'ambiguità
della stessa, che l'espressione «senza scopo lucrativo» si riferisca alle prestazioni e non
alle organizzazioni.
19. D'altronde, l'insieme delle esenzioni elencate dall'art. 13, parte A, n. 1, lett. h)-p),
della sesta direttiva riguarda organizzazioni che agiscono nel pubblico interesse in un
settore sociale, culturale, religioso e sportivo o in un settore simile. L'obiettivo di tali
esenzioni è dunque un trattamento più favorevole, in materia di IVA, di alcune
organizzazioni le cui attività sono orientate verso finalità non commerciali.
20. L'interpretazione suggerita dal governo olandese, secondo la quale occorre prendere
in considerazione le sole prestazioni effettuate ai fini sopra menzionati, avrebbe come
conseguenza, come al paragrafo 23 delle sue conclusioni ha osservato l'avvocato
generale, che imprese commerciali, che di regola operano con uno scopo lucrativo,
potrebbero in linea di principio del pari chiedere l'esenzione dall'IVA quando effettuano,
eccezionalmente, prestazioni qualificabili come «senza scopo lucrativo». Un risultato del
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genere non può tuttavia essere conforme alla lettera e allo spirito della disposizione
oggetto della causa principale.
21. Se la qualificazione di un'organizzazione come «senza scopo lucrativo» deve essere
effettuata prendendo in considerazione tale organizzazione e non le prestazioni che essa
effettua ai sensi dell'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva, ne consegue che,
per determinare se un'organizzazione del genere soddisfi i requisiti prescritti da tale
disposizione, occorre tenere conto dell'insieme delle sue attività, comprese quelle che
essa fornisce come complemento dei servizi considerati dalla disposizione stessa.
22. La prima questione sub a) va quindi risolta dichiarando che l'art. 13, parte A, n. 1, lett.
m), della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che la qualificazione di
un'organizzazione come «senza scopo lucrativo» deve essere effettuata prendendo in
considerazione l'insieme delle attività della stessa.
23. Alla luce di questa soluzione, non è necessario risolvere la prima questione, sub b).
Sulla terza questione
24. Con la terza questione, che occorre esaminare prima della seconda a motivo dello
stretto collegamento che essa presenta con la prima questione, il giudice del rinvio chiede
in sostanza se l'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva, in combinato disposto
con il n. 2, lett. a), primo trattino, di questa disposizione, debba essere interpretato nel
senso che un'organizzazione possa essere qualificata come «senza scopo lucrativo»,
anche se essa tende sistematicamente a produrre eccedenze, che vengono in seguito dalla
stessa destinate all'esecuzione delle sue prestazioni.
25. Mentre i governi finlandese e del Regno Unito, nonché la Commissione, sostengono
che occorre prendere in considerazione il fatto che l'organizzazione in oggetto tenda ad
un profitto e non la circostanza che lo realizzi, anche abitualmente, il governo olandese fa
valere che l'esenzione dall'IVA non deve essere concessa quando profitti vengono
realizzati sistematicamente. L'esenzione sarebbe applicabile solamente nel caso di
eccedenze realizzate in via occasionale o meramente incidentale.
26. Al tale riguardo, si deve rilevare, in via preliminare, come dall'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), della sesta direttiva risulti che la qualificazione di un'organizzazione «senza
scopo lucrativo», ai sensi di questa disposizione, deve essere effettuata in relazione allo
scopo perseguito da questa, vale a dire tale organizzazione non deve mirare a produrre
profitti per i suoi soci, contrariamente alla finalità di un'impresa commerciale [v., a
proposito dell'esenzione prevista dall'art. 13, parte A, n. 1, lett. n), della sesta direttiva,
l'odierna sentenza, causa C-267/00, Zoological Society of London, non ancora pubblicata
nella Raccolta, punto 17]. Il fatto che la finalità dell'organizzazione che possa beneficiare
dell'esenzione dall'IVA costituisca il criterio di valutazione per la concessione di questo
vantaggio è chiaramente confermato dalla maggior parte delle altre versioni linguistiche
del detto art. 13, parte A, n. 1, lett. m), nelle quali si menziona esplicitamente che tale
organizzazione deve essere priva di scopo lucrativo (v, oltre alla versione francese, anche
le versioni tedesca - «Gewinnstreben» -, olandese - «winst oogmerk» -, italiana - «senza
scopo lucrativo» -, e spagnola - «sin fin lucrativo» -).
27. Spetta agli organi nazionali competenti in materia determinare se, alla luce
dell'oggetto statutario dell'organizzazione in questione, nonché delle circostanza concrete
di un dato caso di specie, un'organizzazione soddisfi i requisiti atti a conferirle la
qualificazione di organizzazione «senza scopo lucrativo».
28. Una volta accertato che ciò si verifica, il fatto che un'organizzazione realizzi del pari
profitti, anche se da essa perseguiti o prodotti sistematicamente, non può porre in
discussione la qualificazione iniziale di tale organizzazione fintanto che tali profitti non
siano distribuiti come utili ai soci dell'organizzazione stessa. E' certo che l'art. 13, parte
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A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva non impedisce alle organizzazioni considerate da
questa disposizione di chiudere il loro esercizio con un saldo attivo. Altrimenti, come ha
rilevato in particolare il governo del Regno Unito, organizzazioni del genere sarebbero
impossibilitate a creare riserve destinate a pagare la manutenzione e i futuri
miglioramenti dei loro impianti.
29. Il giudice del rinvio formula inoltre dubbi quanto al punto se tale interpretazione
possa essere fatta salva in casi nei quali l'organizzazione cerchi sistematicamente di
realizzare eccedenze. Egli si riferisce al riguardo all'art. 13, parte A, n. 2, lett. a), primo
trattino, della sesta direttiva che sembrerebbe negare l'esenzione dall'IVA quando
un'organizzazione miri sistematicamente a realizzare profitti.
30. Circa tale ultima disposizione, si deve immediatamente rilevare che essa enuncia una
condizione facoltativa, che gli Stati membri sono liberi di imporre, come condizione
supplementare, per la concessione di talune esenzioni di cui all'art. 13, parte A, n. 1, della
sesta direttiva, tra cui figura l'esenzione prevista in questa stessa disposizione alla lett. m),
la quale riguarda la causa principale. Sembra che il legislatore olandese richieda il
rispetto di tale condizione facoltativa per accordare il beneficio della detta esenzione.
31. Per quanto riguarda l'interpretazione della detta condizione facoltativa, il governo
olandese fa valere che l'esenzione deve essere negata quando un'organizzazione mira
sistematicamente a realizzare eccedenze. Il governo finlandese e del Regno Unito, nonché
la Commissione, ritengono tuttavia che la ricerca sistematica del profitto non sia decisiva
se risulta sia dalle circostanze del caso di specie, sia dal tipo di attività effettivamente
esercitata da un'organizzazione che quest'ultima opera conformemente al suo oggetto
statutario e che questo è privo di scopo lucrativo.
32. Al riguardo, occorre osservare che la prima condizione prevista dall'art. 13, parte A,
n. 2, lett. a), primo trattino, della sesta direttiva, cioè il divieto, per una data
organizzazione, di avere per scopo la ricerca sistematica del profitto, si riferisce
chiaramente, nella versione francese di questa disposizione, al «profit», mentre le altre
due condizioni enunciate da questa, cioè il divieto di distribuire profitti e il requisito della
destinazione degli stessi al mantenimento o al miglioramento delle prestazioni fornite, si
riferiscono ai «bénéfices».
33. Benché tale distinzione non si ritrovi in tutte le altre versioni linguistiche della sesta
direttiva, essa è confermata dall'obiettivo delle disposizioni dell'art. 13, parte A, di questa.
Infatti, come ai paragrafi 57-61 delle sue conclusioni ha osservato l'avvocato generale, si
oppongono alla qualificazione di un'organizzazione come «senza scopo lucrativo» non i
profitti («bénéfices»), nel senso di eccedenze che si producono alla finedi un esercizio,
ma gli utili nel senso di vantaggi pecuniari per i soci dell'organizzazione stessa. Ne
risulta, come fa valere anche la Commissione, che la condizione espressa nell'art. 13,
parte A, n. 2, lett. a), primo trattino, della sesta direttiva coincide essenzialmente, con il
criterio di organizzazione senza scopo lucrativo quale figura nell'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), di questa.
34. Il governo olandese fa valere che un'interpretazione del genere non terrebbe conto del
fatto che l'art. 13, parte A, n. 2, lett. a), primo trattino, deve, in quanto condizione
supplementare, necessariamente avere un contenuto che vada oltre quello della
disposizione di base. Al riguardo è sufficiente osservare che tale condizione non si
riferisce solamente all'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva, ma anche a
numerose altre esenzioni obbligatorie che hanno un diverso contenuto.
35. Di conseguenza, la terza questione va risolta dichiarando che l'art. 13, parte A, n. 1,
lett. m), della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che un'organizzazione può
essere qualificata come «senza scopo lucrativo», anche se essa tende sistematicamente a
produrre eccedenze, che in seguito vengono dalla stessa destinate all'esecuzione delle sue
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prestazioni. La prima parte della condizione facoltativa che figura all'art. 13, parte A, n.
2, lett. a), primo trattino, della sesta direttiva deve essere interpretata allo stesso modo.
Sulla seconda questione
36. Con la prima parte della seconda questione, sub a), il giudice del rinvio chiede in
sostanza se l'art. 2, n. 1, della sesta direttiva debba essere interpretato nel senso che i
contributi annuali dei soci di un'associazione sportiva possono costituire il corrispettivo
delle prestazioni di servizi fornite dalla stessa, anche quando i soci che non utilizzano gli
impianti dell'associazione o non li utilizzano regolarmente sono comunque tenuti a
versare il loro contributo annuale.
37. Il giudice del rinvio si riferisce al riguardo alla giurisprudenza della Corte, in
particolare al punto 12 della citata sentenza Apple and Pear Development Council, nella
quale la Corte ha statuito che la nozione di prestazione di servizi effettuata a titolo
oneroso, ai sensi dell'art. 2, punto 1, della sesta direttiva, presuppone l'esistenza di un
nesso diretto fra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto. Il giudice del rinvio nutre
dubbi sull'esistenza di tale nesso diretto in circostanze come quelle della causa principale.
38. Secondo il governo olandese, un nesso diretto tra il contributo dei soci
dell'associazione e le prestazioni fornite dalla stessa manca in circostanze come quelle
alla causa principale. L'art. 2, punto 1, della sesta direttiva, come interpretato dalla Corte,
richiederebbe che un servizio concreto sia direttamente retribuito, il che non avverrebbe
quando alcuni soci di un club sportivo non ricorrono alle prestazioni offerte da questo e
ciononostante pagano il loro contributo annuale.
39. Al riguardo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che la base imponibile di una
prestazione di servizi è costituita da tutto ciò che è ricevuto quale corrispettivo del
servizio fornito e che una prestazione di servizi è imponibile solo quando esista un nesso
diretto fra il servizio prestato e il controvalore ricevuto (sentenze Apple and Pear
Development Council, già citata, punti 11 e 12, nonché 3 marzo 1994, causa C-16/93,
Tolsma, Racc. pag. I-743, punto 13). Una prestazione configura pertanto un'operazione
imponibile soltanto quando tra il prestatore e l'utente intercorra un rapporto giuridico
nell'ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, nel quale il
compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato
all'utente (precitata sentenza Tolsma, punto 14).
40. Nella causa pendente dinanzi al giudice del rinvio, come sostiene la Commissione, la
circostanza che il contributo annuale sia forfettario e non possa essere riferito ad ogni
utilizzazione personale del campo da golf non incide per nulla sul fatto che prestazioni
reciproche sono scambiate tra i soci di un'associazione sportiva, come quella in questione
nella causa principale, e l'associazione stessa. Infatti, le prestazioni dell'associazione
consistono nell'offerta ai suoi soci, in maniera permanente, degli impianti sportivi e dei
vantaggi ad essi relativi e non in prestazioni puntuali effettuate su richiesta dei soci stessi.
Vi è dunque un nesso diretto tra i contributi annuali dei soci di un'associazione sportiva
come quella considerata nella causa principale e le prestazioni dalla stessa fornite.
41. D'altronde, come giustamente fa valere il governo del Regno Unito, la tesi sostenuta
dal governo olandese comporterebbe che la quasi totalità dei prestatori di servizi potrebbe
sottrarsi al versamento dell'IVA ricorrendo a prezzi forfettari e disattendere così i principi
d'imposizione che costituiscono il fondamento del sistema comune dell'IVA istituito dalla
sesta direttiva.
42. La prima parte della seconda questione, sub a), va quindi risolta dichiarando che l'art.
2, punto 1, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che i contributi annuali
dei soci di un'associazione sportiva, come quella considerata nella causa principale,
possono costituire il corrispettivo delle prestazioni di servizi fornite dalla stessa, anche
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quando i soci che non utilizzano gli impianti dell'associazione o non li utilizzano
regolarmente sono comunque tenuti a versare il loro contributo annuale.
43. Alla luce di questa soluzione, non è più necessario risolvere la seconda parte della
seconda questione, sub a), né la medesima questione, sub b).
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione)
dichiara:
1) L'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977,
77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative
alle imposte sulla cifra di affari - Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base
imponibile uniforme, deve essere interpretato nel senso che la qualificazione di
un'organizzazione come organizzazione «senza scopo lucrativo» deve essere effettuata
prendendo in considerazione l'insieme delle attività della stessa.
2) L'art. 13, parte A, n. 1, lett. m), della sesta direttiva 77/388 deve essere interpretato nel
senso che un'organizzazione può essere qualificata come organizzazione «senza scopo
lucrativo», anche se essa tende sistematicamente a produrre eccedenze, che in seguito
vengono dalla stessa destinate all'esecuzione delle sue prestazioni. La prima parte della
condizione facoltativa che figura all'art. 13, parte A, n. 2, lett. a), primo trattino, della
sesta direttiva 77/388 deve essere interpretata allo stesso modo.
3) L'art. 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388 deve essere interpretato nel senso che i
contributi annuali dei soci di un'associazione sportiva, come quella considerata nella
causa principale, possono costituire il corrispettivo delle prestazioni di servizi fornite
dalla stessa, anche quando i soci che non utilizzano gli impianti dell'associazione o non li
utilizzano regolarmente sono comunque tenuti a versare il loro contributo annuale.
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11. Cause riunite T-185/00, T-216/00, T-299/00 e T-300/00,
Métropole télévision SA (M6),
ricorrente nella causa T-185/00,
Antena 3 de Televisión, SA, con sede in Madrid (Spagna)
ricorrente nella causa T-216/00,
Gestevisión Telecinco, SA, con sede in Madrid,
ricorrente nella causa T-299/00,
SIC - Sociedade Independente de Comunicação, SA, con sede in Linda-a-Velha
(Portogallo), ricorrente nella causa T-300/00,
sostenute da
Deutsches SportFernsehen GmbH (DSF), con sede in Ismaning (Germania),
interveniente nella causa T-299/00,
e da
Reti Televisive Italiane Spa (RTI), con sede in Roma,
interveniente nella causa T-300/00,
contro
Commissione delle Comunità europee,
convenuta,
sostenuta da
Union européenne de radio-télévision (UER), con sede in Grand-Saconnex (Svizzera),
interveniente nelle cause T-185/00, T-216/00, T-299/00 e T-300/00,
e da
Radiotelevisión Española (RTVE), con sede in Madrid,
interveniente nelle cause T-216/00 e T-299/00,
avente ad oggetto la domanda di annullamento della decisione della Commissione 10
maggio 2000, 2000/400/CE, relativa ad un procedimento ai sensi dell'articolo 81 del
Trattato CE (IV/32.150 - Eurovisione) (GU L 151, pag. 18),
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda Sezione ampliata),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
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L'Unione europea di radiotelevisione e il sistema dell'Eurovisione
1. L'Unione europea di radiotelevisione (in prosieguo: l'«UER») è un'associazione
professionale tra enti radiotelevisivi senza scopo di lucro, costituita nel 1950 e con sede
in Ginevra (Svizzera). Conformemente all'art. 2 del suo statuto, come modificato il 3
luglio 1992, l'UER persegue lo scopo di rappresentare gli interessi dei propri membri in
materia di programmazione, nelle questioni giuridiche e tecniche come anche in altri
settori; in particolare, essa non solo promuove in ogni modo - ad esempio con
l'Eurovisione e con l'Euroradio - gli scambi di programmi radiofonici e televisivi ed ogni
altra forma di cooperazione tra i suoi membri e con gli altri enti o consorzi di enti di
radiodiffusione, ma assiste anche i membri attivi in ogni genere di trattative e, su
richiesta, conduce negoziati per loro conto.
2. L'Eurovisione costituisce l'ambito principale degli scambi di programmi tra i membri
attivi dell'UER. Essa esiste dal 1954 ed attua una parte essenziale degli obiettivi
dell'UER. Ai sensi dell'art. 3, n. 6, dello statuto dell'UER, nella sua stesura del 3 luglio
1992: «L'Eurovisione è un sistema di scambi di programmi televisivi, organizzato e
coordinato dall'UER, basato sull'impegno dei membri di offrirsi mutualmente, a
condizione di reciprocità, (...) la trasmissione degli avvenimenti sportivi e culturali che si
svolgono nel territorio nazionale, in quanto possono interessare gli altri membri
dell'Eurovisione, consentendo così la fornitura reciproca di un servizio di alta qualità in
questi campi al rispettivo pubblico nazionale». Sono soci dell'Eurovisione i membri attivi
dell'UER, nonché i consorzi di membri attivi di questo. Tutti i membri attivi dell'UER
possono partecipare ad un sistema di acquisizione in comune e di ripartizione dei diritti
televisivi (e dei costi relativi) per le manifestazioni sportive internazionali, denominati
«diritti dell'Eurovisione».
3. Per divenire membro attivo un ente di radiodiffusione deve soddisfare le condizioni
concernenti, in particolare, il tasso di copertura nazionale, la natura e il finanziamento
della programmazione (in prosieguo: i «criteri di adesione»).
4. Fino al 1° marzo 1988 il beneficio dei servizi dell'UER e dell'Eurovisione era riservato
ai membri della medesima. La modifica dello statuto dell'UER nel 1988 ha nel frattempo
aggiunto all'art. 3 un nuovo numero (n. 7 nella versione attuale), che prevede un accesso
contrattuale all'Eurovisione di cui potrebbero beneficiare sia i membri associati, sia i non
aderenti all'UER.
I ricorrenti
5. La Métropole télévision (in prosieguo: la «M6») è una società di diritto francese che
gestisce un servizio televisivo a diffusione nazionale trasmesso in chiaro via etere con
frequenze terrestri, nonché via cavo e via satellite.
6. Dal 1987 la M6 ha presentato per sei volte un fascicolo di candidatura all'UER. In
ciascuna occasione la sua candidatura è stata respinta in quanto non soddisfaceva i criteri
di adesione previsti dallo statuto dell'UER. Il 5 dicembre 1997, a seguito dell'ultimo
diniego da parte dell'UER, la M6 presentava una denuncia alla Commissione in cui
rendeva nota la posizione dell'UER nei suoi confronti e, in particolare, il rifiuto opposto
alle sue domande di ammissione. Con decisione 29 giugno 1999 la Commissione
rigettava la denuncia. Il Tribunale, con sentenza 21 marzo 2001, causa T-206/99,
Métropole télévision/Commissione (Racc. pag. II-1057), annullava tale decisione di
rigetto per difetto di motivazione e violazione degli obblighi incombenti alla
Commissione in materia di esame delle denunce.
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7. Nel frattempo, il 6 marzo 2000, la M6 presentava una nuova denuncia dinanzi alla
Commissione, con la quale le chiedeva di dichiarare i criteri di adesione all'UER, come
modificati nel 1998, restrittivi della concorrenza e inidonei all'esenzione ai sensi dell'art.
81, n. 3, CE. Con lettera 12 settembre 2000, la Commissione rigettava tale denuncia. La
ricorrente presentava un ricorso volto all'annullamento di tale rigetto. Con ordinanza del
Tribunale 25 ottobre 2001, causa T-354/00, M6/Commissione (Racc. pag. II-3177), il
ricorso è stato dichiarato irricevibile.
8. L'Antena 3 de Televisión, SA (in prosieguo: l'«Antena 3»), è una società di diritto
spagnolo, costituita il 7 giugno 1988, che ha ottenuto dall'autorità spagnola competente
una concessione per la gestione indiretta del servizio pubblico televisivo.
9. Con atto 27 marzo 1990, l'Antena 3 depositava la propria candidatura all'UER. La
decisione di rifiuto adottata dal consiglio d'amministrazione dell'UER le veniva
comunicata con lettera 3 giugno 1991.
10. La Gestevisión Telecinco, SA (in prosieguo: la «Telecinco»), è una società di diritto
spagnolo che gestisce un canale televisivo terrestre a diffusione nazionale trasmesso in
chiaro. Conformemente all'ordinamento giuridico spagnolo, tale impresa è uno dei tre
operatori privati ai quali le autorità spagnole hanno accordato, nel 1989, una concessione
decennale per la gestione indiretta del servizio pubblico televisivo. Tale concessione è
stata rinnovata alla Telecinco per un periodo supplementare di dieci anni.
11. La SIC - Sociedade Independente de Communicação, SA (in prosieguo: la «SIC»), è
una società di diritto portoghese, avente come scopo l'esercizio di attività nel settore
televisivo, la quale gestisce, dal mese di ottobre 1992, una delle principali emittenti
televisive a diffusione nazionale trasmesse in chiaro in Portogallo.
Fatti all'origine della controversia
12. A seguito di denuncia 17 dicembre 1987 presentata dalla società Screensport, la
Commissione indagava sulla compatibilità con l'art. 81 CE delle norme sull'acquisizione
collettiva e sulla ripartizione di diritti televisivi relativi ad avvenimenti sportivi nel
sistema dell'Eurovisione. La denuncia verteva, in particolare, sul rifiuto dell'UER e dei
suoi membri di concedere delle sublicenze per talune manifestazioni sportive. Il 12
dicembre 1988 la Commissione inviava all'UER una comunicazione degli addebiti
riguardanti le norme che disciplinano l'acquisizione e l'uso nell'ambito del sistema
dell'Eurovisione dei diritti televisivi per manifestazioni sportive, i quali sono in genere di
natura esclusiva. La Commissione si dichiarava disposta a considerare un'esenzione a
favore di dette norme purché l'obbligo di concedere sublicenze ai non aderenti fosse
previsto per una parte sostanziale dei diritti in questione e a condizioni ragionevoli.
13. Il 3 aprile 1989 l'UER notificava alla Commissione le sue disposizioni statutarie e
altre norme sull'acquisizione dei diritti televisivi per manifestazioni sportive, sullo
scambio di programmi sportivi nell'ambito dell'Eurovisione e sull'accesso contrattuale dei
terzi a tali programmi, al fine di ottenere un'attestazione negativa o, in mancanza,
un'esenzione ex art. 81, n. 3, CE.
14. Dopo la modifica, da parte dell'UER, delle norme che permettevano di ottenere
sublicenze per i programmi di cui trattasi (il «regime d'accesso dei non aderenti all'UER
del 1993»; in prosieguo: il «regime delle sublicenze»), la Commissione adottava, in data
11 giugno 1993, la decisione 93/403/CEE, relativa ad un procedimento ai sensi
dell'articolo [81] del Trattato CEE (IV/32.150 - UER/Sistema Eurovisione) (GU L 179,
pag. 23), ai sensi della quale l'istituzione accordava un'esenzione in forza del n. 3 del
precitato articolo. Tale decisione veniva annullata con sentenza del Tribunale 11 luglio
1996, cause riunite T-528/93, T-542/93, T-543/93 e T-546/93, Métropole télévision e
a./Commissione (Racc. pag. II-649).
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15. Successivamente, il 26 marzo 1999, su richiesta della Commissione, l'UER adottava e
sottoponeva a quest'ultima alcune norme che avrebbero permesso l'accesso ai diritti
dell'Eurovisione sfruttati sui canali televisivi a pagamento (le «norme relative alla
concessione di sublicenze per lo sfruttamento dei diritti dell'Eurovisione sui canali
televisivi a pagamento del 26 marzo 1999»; in prosieguo: le «norme relative alla
concessione di sublicenze»).
16. Il 10 maggio 2000 la Commissione ha adottato la decisione 2000/400/CE, relativa ad
un procedimento ai sensi dell'articolo 81 del Trattato CE (Caso IV/32.150 - Eurovisione)
(GU L 151, pag. 18; in prosieguo: la «decisione impugnata»), con la quale la
Commissione ha accordato una nuova esenzione sulla base del n. 3 dell'articolo succitato.
17. All'art. 1 della decisione impugnata la Commissione dichiara che, ai sensi,
segnatamente, dell'art. 81, n. 3, CE, le disposizioni dell'art. 81, n. 1, CE non si applicano,
a decorrere dal 26 febbraio 1993 e fino al 31 dicembre 2005, ai seguenti accordi notificati
aventi ad oggetto:
a) l'acquisizione collettiva di diritti relativi alla trasmissione televisiva di avvenimenti
sportivi;
b) la ripartizione dei predetti diritti acquisiti collettivamente;
c) lo scambio del segnale per le manifestazioni sportive;
d) il regime delle sublicenze;
e) le norme relative alla concessione di sublicenze.
18. Il regime delle sublicenze e le norme relative alla concessione di queste ultime
costituiscono insieme il regime di accesso dei non aderenti al sistema dell'Eurovisione.
19. Nell'ambito del regime delle sublicenze, la decisione impugnata prevede quanto
segue:
«[L']UER e i suoi membri concedono agli enti di radiodiffusione non aderenti
all'organizzazione un accesso estensivo ai programmi sportivi dell'Eurovisione, i cui
diritti siano stati acquisiti a titolo esclusivo mediante negoziazione collettiva. [Tale
regime] accorda la possibilità a terzi di accedere a diritti di trasmissione in diretta ed in
differita in relazione a diritti sportivi dell'Eurovisione acquisiti collettivamente. Ai terzi è
accordato in particolare l'accesso in ampia misura ai diritti non utilizzati, ossia il diritto di
trasmettere manifestazioni sportive che gli aderenti all'UER non diffondono o
trasmettono solo in minima parte. I termini e le condizioni d'accesso sono negoziati
liberamente tra l'UER (per i canali transfrontalieri) o il membro/i membri del paese
interessato (per i canali nazionali) e l'ente non aderente al sistema (...)» (punto 28 della
decisione impugnata).
20. Nel quadro delle norme relative alla concessione di sublicenze, la decisione
impugnata precisa che un non aderente all'UER ha la possibilità di acquistare diritti
televisivi al fine di trasmettere sul proprio canale a pagamento manifestazioni identiche o
analoghe a quelle proposte dai membri dell'Eurovisione sulle proprie emittenti televisive
a pagamento. I canoni pagati dai non aderenti devono riflettere equamente le condizioni
di acquisizione di tali diritti da parte del membro dell'Eurovisione [allegato II, punto iii),
della decisione impugnata].
21. La dichiarazione di esenzione di cui all'art. 1 della decisione impugnata è subordinata
ad una condizione e ad un onere. La condizione impone all'UER e ai suoi aderenti di
acquisire collettivamente i diritti per la trasmissione televisiva di avvenimenti sportivi
solo nel quadro di accordi che consentano loro di concedere a terzi l'accesso ai predetti
diritti in conformità al regime delle sublicenze e alle norme relative alla concessione di
sublicenze, o a condizioni più favorevoli per i non aderenti, previa autorizzazione da
parte dell'UER. L'onere impone all'UER l'obbligo di comunicare alla Commissione
qualsiasi modifica od integrazione del regime delle sublicenze e delle norme relative alla
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concessione di sublicenze, nonché qualsiasi procedura di arbitrato in relazione a
controversie inerenti a tale regime o a tali norme (art. 2 della decisione impugnata).
Procedimento e conclusioni delle parti
22. La M6, l'Antena 3, la SIC e la Telecinco hanno proposto i propri ricorsi con atti
introduttivi depositati presso la cancelleria del Tribunale, rispettivamente, il 13 luglio, il
21 agosto, il 18 e il 19 settembre 2000.
23. Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 5, il 17 e il 26 gennaio 2001,
l'UER e la Radiotelevisión Española (in prosieguo: la «RTVE») hanno chiesto di poter
intervenire, rispettivamente, nelle cause T-185/00, T-216/00, T-299/00 e T-300/00, e
nelle cause T-216/00 e T-299/00, a sostegno delle conclusioni della convenuta. Tali
domande sono state accolte con ordinanze del presidente della Quarta Sezione del
Tribunale 7 febbraio, 29 marzo e 7 maggio 2001.
24. Con lettera 22 febbraio 2001, la SIC ha depositato presso la cancelleria del Tribunale
una domanda di trattamento riservato relativamente ad alcuni elementi del ricorso. Il
Tribunale, con ordinanza del presidente della Quarta Sezione 30 aprile 2001, ha accolto
tale richiesta.
25. Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 7 e il 13 marzo 2001, la DSF
Deutsches SportFernsehen GmbH (in prosieguo: la «DSF») e la Reti Televisive Italiane
Spa (in prosieguo: la «RTI») hanno chiesto di poter intervenire, rispettivamente, nelle
cause T-299/00 e T-300/00, a sostegno delle conclusioni della ricorrente. Tali domande
sono state accolte con ordinanze del presidente della Quarta Sezione del Tribunale 7
maggio e 7 giugno 2001.
26. A causa di una modifica nella composizione delle sezioni del Tribunale incorsa a
partire dal 20 settembre 2001, il giudice relatore è stato assegnato alla Seconda Sezione e
le presenti cause sono state, di conseguenza, attribuite a tale Sezione.
27. Con decisione del Tribunale 20 febbraio 2002, le cause sono state rinviate ad una
sezione composta da cinque giudici.
28. Con ordinanza 25 febbraio 2002, il presidente della Seconda Sezione ampliata ha
riunito le quattro cause ai fini della fase orale del procedimento e della sentenza in
attuazione dell'art. 50 del regolamento di procedura del Tribunale.
29. Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha deciso
di passare alla fase orale. Nell'ambito delle misure di organizzazione del procedimento
esso ha invitato le parti a produrre taluni documenti e a rispondere per iscritto a taluni
quesiti.
30. Le parti hanno svolto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti del Tribunale
all'udienza del 13 e 14 marzo 2001.
31. Nella causa T-185/00, la M6 conclude che il Tribunale voglia:
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la Commissione alle spese;
- condannare l'UER alle spese dell'intervento.
32. Nella causa T-216/00, l'Antena 3 conclude che il Tribunale voglia:
- ordinare alla Commissione di allegare diversi documenti al fascicolo;
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la Commissione alle spese;
- condannare le intervenienti alle spese sostenute nell'ambito dei loro interventi.
33. Nella causa T-299/00, la Telecinco conclude che il Tribunale voglia:
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la Commissione alle spese.
34. Nella causa T-300/00, la SIC conclude che il Tribunale voglia:
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- ordinare alla Commissione di produrre taluni documenti;
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la Commissione alle spese;
- condannare l'UER alle spese dell'intervento.
35. Nelle quattro cause riunite, la Commissione conclude che il Tribunale voglia:
- respingere i ricorsi;
- condannare le ricorrenti alle spese.
36. La DSF, interveniente a sostegno delle conclusioni della Telecinco nella causa T-
299/00, conclude che il Tribunale voglia annullare la decisione impugnata.
37. La RTI, interveniente a sostegno delle conclusioni della SIC nella causa T-300/00,
conclude che il Tribunale voglia:
- annullare la decisione impugnata;
- condannare la Commissione alle spese, ivi comprese quelle sostenute dalla parte
interveniente.
38. L'UER, interveniente nelle quattro cause a sostegno delle conclusioni della
Commissione, conclude che il Tribunale voglia:
- respingere i ricorsi;
- condannare le ricorrenti alle spese sostenute nell'ambito del suo intervento.
39. La RTVE, interveniente a sostegno delle conclusioni della Commissione nelle cause
T-216/00 e T-299/00, conclude che il Tribunale voglia:
- respingere i ricorsi;
- condannare le ricorrenti alle spese sostenute nell'ambito del suo intervento.
In diritto
Osservazioni preliminari
40. Le ricorrenti deducono, in totale, sette motivi a sostegno dei loro ricorsi. Il primo
motivo, sollevato nelle quattro cause, concerne la violazione dell'obbligo di esecuzione
delle sentenze del Tribunale. Il secondo motivo, allegato nelle cause T-216/00 e T-
300/00, riguarda un errore di fatto e la violazione dell'obbligo di motivazione. Il terzo ed
il quarto motivo, sollevati in tutte le cause, hanno ad oggetto rispettivamente l'erronea
applicazione dell'art. 81, n. 1, CE, e la violazione dell'art. 81, n. 3, CE. Il quinto,
anch'esso invocato nelle quattro cause, si fonda su errori di diritto relativi all'ambito di
applicazione materiale e temporale della decisione impugnata. Il sesto motivo, fatto
valere nella causa T-216/00, riguarda la violazione del principio di buona
amministrazione. Infine, la settima censura, dedotta in tutte le cause, fa riferimento allo
sviamento di potere.
41. Occorre innanzi tutto analizzare il quarto motivo, sollevato nelle quattro cause, che
concerne la violazione dell'art. 81, n. 3, CE.
42. Con tale censura le ricorrenti sostengono che il sistema dell'Eurovisione non soddisfa
alcuno dei criteri di esenzione previsti all'art. 81, n. 3, CE, in particolare quello che
impone di evitare la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei
prodotti di cui trattasi. A tale proposito, si devono riqualificare gli argomenti avanzati
dalla M6 sul carattere discriminatorio del regime delle sublicenze e sul carattere
indispensabile di tale discriminazione in quanto, con tali argomenti, la M6 ritiene che il
regime delle sublicenze non presenti alcuna garanzia di accesso, per le emittenti non
aderenti, ai diritti acquisiti dall'UER e che, di conseguenza, vi sarebbe un frazionamento
del mercato dei diritti di trasmissione televisiva e quindi un'eliminazione della
concorrenza al suo interno.
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Sul quarto motivo, concernente la violazione dell'art. 81, n. 3, CE, relativamente al
criterio dell'impossibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei
prodotti di cui trattasi
Argomenti delle parti
43. Le ricorrenti contestano alla Commissione di aver applicato erroneamente l'art. 81, n.
3, lett. b), CE al caso di specie, essenzialmente per due ragioni.
44. In primo luogo, la Commissione non avrebbe definito esattamente né il mercato del
prodotto, né il mercato geografico di cui trattasi. In assenza di una definizione del
mercato rilevante, la conclusione della Commissione, secondo cui gli accordi notificati
non permettono alle imprese beneficiarie dell'esenzione di eliminare la concorrenza per
una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi, sarebbe priva di ogni fondamento. Infatti,
in assenza di una definizione preliminare, sarebbe impossibile determinare se le garanzie
offerte dal regime d'accesso dei terzi al sistema dell'Eurovisione soddisfino le condizioni
previste all'art. 81, n. 3, lett. b), CE.
45. Peraltro, là dove la decisione impugnata ammetterebbe che le grandi manifestazioni
sportive internazionali, quali i giochi olimpici o i campionati monidiali di calcio,
costituiscono mercati autonomi, la Commissione avrebbe dovuto concludere che, in tali
mercati, il sistema dell'Eurovisione elimina ogni concorrenza.
46. In secondo luogo, per quanto riguarda le garanzie fornite dal regime d'accesso di terzi
al sistema dell'Eurovisione che, secondo i termini della decisione impugnata,
permetterebbe di evitare l'eliminazione della concorrenza nel mercato, le ricorrenti
ritengono che, se avesse condotto un'analisi corretta del mercato del prodotto, la
Commissione avrebbe constatato che il regime d'accesso di terzi non poteva evitare
l'eliminazione della concorrenza per emittenti generaliste quali le ricorrenti. Infatti, da un
lato, tale regime autorizzerebbe in realtà solamente la trasmissione di programmi sportivi
in differita e, dall'altro, non funzionerebbe in realtà nei confronti di canali generalisti che,
come le ricorrenti, sarebbero in concorrenza con i membri dell'UER.
47. La Commissione, sostenuta dall'UER, fa valere che per prassi costante essa lascia
aperta la questione della definizione del mercato del prodotto o del mercato geografico
rilevante, allorché, sulla base dell'accezione più restrittiva possibile del mercato, non si
pone alcun problema di limitazione della concorrenza.
48. Orbene, nel caso di specie, per la Commissione è chiaro che gli accordi notificati
incidono sugli scambi tra gli Stati membri (punto 81 della decisione impugnata) e
limitano la concorrenza (punto 71 della decisione impugnata). Tuttavia, basandosi sulla
definizione più restrittiva del mercato del prodotto, ossia del mercato di acquisizione dei
diritti di trasmissione di manifestazioni sportive specifiche, quali i giochi olimpici estivi,
la Commissione sostiene che, tenuto conto della struttura del mercato e dell'insieme delle
norme in materia di sublicenze relative all'accesso di enti di radiodiffusione non aderenti
all'UER ai programmi sportivi dell'Eurovisione, gli accordi notificati non creano
problemi di limitazione della concorrenza.
49. La Commissione ritiene che, tenuto conto della definizione più restrittiva possibile
del mercato, gli effetti limitativi degli accordi notificati siano stati superati con la
modifica degli accordi e con le condizioni imposte dalla Commissione (relativamente al
regime d'accesso di terzi al sistema dell'Eurovisione). Non sarebbe stato dunque
necessario definire con maggiore precisione i mercati interessati.
50. Per quanto riguarda il regime d'accesso di terzi al sistema dell'Eurovisione, la
Commissione, sostenuta dall'UER e dalla RTVE, sottolinea che, a seguito delle modifiche
apportate a tale regime, i diritti di trasmissione in diretta non utilizzati dai membri
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dell'UER sono messi a disposizione dei loro concorrenti. L'accesso imposto dalla
Commissione ai diritti di trasmissione in differita sarebbe stato parimenti molto ampliato.
Tale regime funzionerebbe nella prassi e numerosi concorrenti dei membri dell'UER vi
ricorrerebbero per la trasmissione sia in diretta che in differita, come anche per la
trasmissione di stralci. Infine, in virtù di tale regime, non sarebbe possibile eliminare la
concorrenza per una parte sostanziale del mercato, anche basandosi su una definizione di
mercato tanto restrittiva quanto quella relativa ai diritti di trasmissione dei giochi olimpici
estivi.
Giudizio del Tribunale
51. In considerazione degli argomenti delle parti, occorre esporre i termini della decisione
impugnata, innanzi tutto per quanto riguarda la definizione del mercato interessato dagli
accordi notificati. A tale proposito, ai punti 38-49 della decisione impugnata si precisa
quanto segue:
«4.1. Mercato del prodotto
L'UER ritiene che il mercato rilevante per la valutazione del caso sia quello
dell'acquisizione dei diritti televisivi per manifestazioni sportive importanti di qualsiasi
disciplina sportiva, a prescindere dal carattere nazionale o internazionale
dell'avvenimento. L'UER è impegnata unicamente nell'acquisto di diritti televisivi per
manifestazioni sportive d'interesse paneuropeo.
La Commissione concorda con l'UER nel ritenere che i programmi sportivi abbiano
caratteristiche peculiari; i programmi sportivi registrano generalmente alti livelli d'ascolto
televisivo e raggiungono un pubblico definito, che costituisce l'obiettivo privilegiato di
taluni importanti inserzionisti pubblicitari.
Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dall'UER, il richiamo dei programmi
sportivi, e pertanto il livello di concorrenza nell'acquisizione dei diritti televisivi, varia a
seconda del tipo di sport e avvenimento. Gli sport di massa quali calcio, tennis o corse
automobilistiche attraggono in genere un grande pubblico, con preferenze diverse tra i
vari paesi. Gli sport minori, invece, hanno una quotazione molto bassa. Le manifestazioni
internazionali esercitano sul pubblico locale un richiamo di solito maggiore delle
equivalenti manifestazioni nazionali, purché vi partecipino la squadra o un campione
nazionali, mentre gli avvenimenti internazionali in cui non gareggiano campioni o
squadre nazionali suscitano sovente scarso interesse. Negli ultimi dieci anni, per effetto di
una maggiore concorrenza sui mercati della televisione, i prezzi dei diritti televisivi sono
notevolmente aumentati (...); ciò vale soprattutto per le manifestazioni sportive
internazionali di spicco, quali i campionati mondiali di calcio o i giochi olimpici.
Le preferenze dei telespettatori determinano il valore del programma per gli inserzionisti
pubblicitari e le emittenti a pagamento. (...) Il fatto tuttavia che determinate trasmissioni
sportive registrino un livello d'ascolto invariato o pressoché identico, indipendentemente
dal fatto che siano trasmesse in concomitanza ed in concorrenza con altri avvenimenti
sportivi, fa presumere che dette manifestazioni siano determinanti ai fini della scelta
dell'abbonato o dell'inserzionista a favore di una determinata emittente.
Dai dati relativi al comportamento degli spettatori in relazione a manifestazioni sportive
di spicco, emersi dall'analisi di alcuni avvenimenti sportivi - quali i giochi olimpici (estivi
ed invernali), le finali di Wimbledon e i campionati mondiali di calcio - risulta che
effettivamente il comportamento dei telespettatori non risente della coincidenza con altri
importanti avvenimenti sportivi, trasmessi contemporaneamente o quasi. In altri termini, i
dati d'ascolto televisivo relativi alle maggiori manifestazioni sportive sembrano in grande
misura indipendenti dal fatto che un altro importante avvenimento sportivo sia
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teletrasmesso quasi parallelamente. Ne deriva che l'offerta televisiva di tali avvenimenti
sportivi può influenzare gli abbonati o gli inserzionisti pubblicitari in misura tale da
indurre l'emittente a pagare prezzi molto più elevati (per l'acquisizione dei relativi diritti).
Concludendo, dall'indagine condotta dalla Commissione risulta che la definizione del
mercato proposta dall'UER è troppo vasta e che, molto verosimilmente, esistono mercati
distinti per l'acquisizione dei diritti relativi ad alcuni avvenimenti sportivi di spicco, la
maggioranza dei quali è di carattere internazionale.
Ai fini del procedimento in oggetto non occorre tuttavia definire esattamente i mercati
rilevanti sotto il profilo del prodotto. Tenendo conto dell'attuale struttura del mercato e
del regime per la concessione di sublicenze per l'accesso dei terzi ai programmi sportivi
dell'Eurovisione, gli accordi in discorso non sollevano preoccupazioni sotto il profilo
della concorrenza, anche considerando i mercati dei diritti relativi a particolari
manifestazioni sportive, quali i giochi olimpici estivi.
(...)
4.2. Mercato geografico
I diritti televisivi per alcune manifestazioni sportive sono acquistati in esclusiva per
l'intero territorio europeo - indipendentemente dalle modalità tecniche di emissione - per
essere successivamente rivenduti per paese; altri sono invece acquistati su base nazionale.
I diritti televisivi relativi alle manifestazioni sportive di spicco, quali i giochi olimpici,
per la cui aggiudicazione l'UER concorre, sono d'interesse paneuropeo in riferimento ai
telespettatori e rientrano generalmente nella prima categoria di licenze europee.
Nondimeno, indipendentemente dall'ambito di validità delle licenze, (...) le preferenze dei
telespettatori possono variare notevolmente da paese a paese, in funzione del tipo di sport
e del tipo di manifestazione, cosicché le condizioni di concorrenza per l'acquisto di diritti
televisivi sono variabili.
Riguardo ai mercati a valle interessati dalla notifica in esame, i mercati della televisione
in chiaro e della televisione a pagamento sono da considerare come aventi un'estensione
nazionale o corrispondente ad una determinata area linguistica, per motivi
prevalentemente linguistici, culturali, di licenze e di diritti di proprietà intellettuale.
Ai fini del presente procedimento non è tuttavia necessario definire esattamente il
mercato geografico di riferimento. Alla luce dell'attuale struttura del mercato e del regime
per la concessione di sublicenze ai fini dell'accesso di terzi ai programmi sportivi
dell'Eurovisione, gli accordi notificati non suscitano preoccupazioni, anche qualora si
assuma una base nazionale, sia per i mercati dell'acquisto dei diritti sportivi che per i
mercati a valle della televisione in chiaro e della televisione a pagamento».
52. Emerge dalla decisione impugnata, e in particolare dagli estratti citati al punto
precedente, che la posizione della Commissione nei confronti della definizione dei
mercati interessati può essere riassunta come segue: il sistema dell'Eurovisione produce
effetti su due mercati distinti, quello dell'acquisizione dei diritti televisivi, in cui l'UER è
in concorrenza con altri grandi gruppi europei operanti nel settore dei mezzi
d'informazione (il mercato a monte), e quello della trasmissione dei diritti sportivi
acquistati, nel quale i membri dell'UER sono in concorrenza, per ogni paese o zona
linguistica omogenea, con altre emittenti televisive, per la maggior parte nazionali.
53. Per quanto riguarda il mercato a monte, la Commissione ammette «che, molto
verosimilmente, esistono» (in inglese, unica lingua nella quale il testo della decisione fa
fede: «there is a strong likelihood») mercati separati per l'acquisizione dei diritti su
determinate manifestazioni sportive internazionali di spicco che sono normalmente
acquisiti per l'insieme del territorio europeo. Trattandosi del mercato a valle, anche se la
Commissione non lo precisa espressamente a proposito della definizione del mercato del
prodotto, nondimeno emerge dalla sua analisi che esiste, considerate le preferenze dei
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telespettatori e l'influenza di queste ultime sul valore dell'emissione per gli inserzionisti e
le società televisive a pagamento, un mercato specifico per la trasmissione delle grandi
manifestazioni sportive. Tale mercato che, secondo la Commissione, si suddivide in un
mercato della televisione ad accesso gratuito e in un mercato della televisione a
pagamento, sarebbe generalmente limitato al territorio nazionale o ad una zona
linguisticamente omogenea.
54. Tuttavia, la Commissione non ha ritenuto necessario definire esattamente né il
mercato del prodotto né il mercato geografico interessato dal sistema dell'Eurovisione
poiché, pur prendendo come punto di riferimento il mercato più ristretto possibile, ossia
quello dell'acquisizione di certe manifestazioni sportive quali i giochi olimpici, la
Commissione sostiene che il sistema dell'Eurovisione, tenuto conto delle strutture del
mercato e del regime di accesso di terzi a tale sistema, non solleva alcun problema per
quanto riguarda la concorrenza.
55. Inoltre, la Commissione afferma, ai punti 100-103 della decisione impugnata, in
merito all'eliminazione della concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui
trattasi con riferimento all'acquisizione collettiva dei diritti, che, malgrado l'UER sia
soggetta ad una crescente concorrenza da parte dei gruppi operanti nel settore dei mezzi
d'informazione e delle agenzie di acquisizione di diritti, «nondimeno, la Commissione si
è domandata se alcuni dei diritti acquisiti collettivamente potessero incidere su
avvenimenti sportivi di grande rilievo sotto il profilo economico o del pubblico, quali ad
esempio i giochi olimpici, che potrebbero costituire un mercato distinto e che sono
detenuti esclusivamente dagli aderenti all'Eurovisione». Essa prosegue:
«Al fine di dissipare eventuali timori in tal senso, l'UER ha modificato gli accordi
notificati, includendovi un regime per la concessione di sublicenze atto a garantire ai terzi
un ampio accesso ai diritti per le manifestazioni sportive, acquisiti nell'ambito
dell'Eurovisione. Questo forma un contrappeso all'effetto restrittivo dell'acquisizione
collettiva dei diritti sportivi. I regimi previsti offrono ai terzi un ampio accesso alla
trasmissione in diretta e in differita, sulla base di condizioni ragionevoli».
56. In aggiunta, a proposito delle restrizioni derivanti dalla ripartizione dei diritti acquisiti
nell'ambito dell'Eurovisione tra i membri dell'UER che sono in concorrenza per lo stesso
pubblico, la Commissione conclude, al punto 104 della decisione impugnata, che non vi
sarebbe eliminazione della concorrenza «vista l'attuale struttura del mercato
precedentemente tratteggiata e vista la capacità dei non aderenti all'UER di partecipare
alla trasmissione degli avvenimenti sportivi in questione in base al regime di concessione
di sublicenze [dell'UER]».
57. Emerge così dalla decisione impugnata che, anche se la Commissione non ha ritenuto
necessario definire esattamente il mercato del prodotto interessato, essa condivide
nondimeno l'ipotesi dell'esistenza di un mercato costituito unicamente per grandi
manifestazioni sportive internazionali, quali i giochi olimpici, al fine di verificare se il
sistema dell'Eurovisione soddisfi le condizioni per l'esenzione di cui all'art. 81, n. 3, CE.
Pertanto occorre constatare che l'assenza di una tale definizione esatta non infirma, nel
caso di specie, l'analisi della Commissione concernente la rispondenza del sistema
dell'Eurovisione alla condizione d'esenzione posta dall'art. 81, n. 3, lett. b), CE e, di
conseguenza, si deve considerare ininfluente tale parte dell'argomento delle ricorrenti.
58. Occorre quindi verificare se e, eventualmente, entro quali limiti la convenuta abbia
commesso un errore manifesto di valutazione nell'applicare la condizione d'esenzione
analizzata decidendo che, anche nel mercato costituito da manifestazioni sportive
internazionali particolari, il regime di accesso di terzi al sistema dell'Eurovisione
permetterebbe di compensare le restrizioni della concorrenza nei confronti dei terzi e
dunque di evitare che la concorrenza sia eliminata a detrimento di questi ultimi.
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59. Prima di analizzare tale regime, occorre esporre innanzi tutto la struttura dei mercati
interessati e le restrizioni della concorrenza che comporta il sistema dell'Eurovisione.
60. Per quanto riguarda la struttura dei mercati, emerge in particolare dalla decisione
impugnata che i diritti televisivi inerenti a manifestazioni sportive sono concessi per una
determinata area geografica, solitamente in esclusiva. Tale esclusiva è considerata
necessaria per garantire il valore di un determinato programma sportivo in termini di
quota d'ascolto televisivo e di proventi pubblicitari (punto 51 della decisione impugnata).
61. I diritti televisivi sono detenuti di solito dagli organizzatori della manifestazione
sportiva, che controllano l'accesso al luogo in cui essa si svolge. Per controllarne le
riprese televisive e garantire l'esclusiva, l'organizzatore ammette un solo ente di
radiodiffusione o un numero limitato di enti di radiodiffusione che producono il segnale
televisivo. Il contratto stipulato con l'organizzatore vieta di mettere il segnale prodotto a
disposizione di terzi che non abbiano acquisito i relativi diritti televisivi (punto 52 della
decisione impugnata).
62. Per quanto riguarda la posizione dell'UER nei mercati rilevanti, la Commissione
precisa che la quota di mercato di quest'ultima ha subìto una sensibile riduzione
nell'ultimo decennio. L'UER, in materia di acquisizione dei diritti televisivi per
determinate manifestazioni sportive, deve far fronte alla concorrenza di grandi gruppi
europei operanti nel settore dei mezzi d'informazione e di agenzie internazionali di
acquisizione di diritti televisivi. Nel corso degli ultimi anni l'UER avrebbe dovuto
rinunciare ad un gran numero di manifestazioni sportive importanti in quanto i
concorrenti avrebbero offerto importi più elevati (punti 54 e 55 della decisione
impugnata). L'UER continuerebbe tuttavia a detenere una solida posizione nel mercato
dell'acquisizione dei diritti di importanti manifestazioni sportive internazionali, che
costituiscono un forte richiamo per i telespettatori europei; tali diritti non dovrebbero,
secondo i loro detentori, essere diffusi dalla televisione a pagamento. Inoltre, l'UER
occupa tuttora una posizione senza uguali, in quanto referente unico di un'associazione di
radiotelevisione che assicura agli organizzatori il più ampio spettro di pubblico in Europa.
Il fatto che i diritti televisivi europei relativi ai giochi olimpici siano sempre stati venduti
all'UER è particolarmente significativo (punti 55-57 della decisione impugnata).
63. A proposito dei suoi effetti sulla concorrenza, il sistema dell'Eurovisione, come
emerge dalla decisione impugnata (punti 71-80), comporta due tipi di restrizioni. Da un
lato, l'acquisizione collettiva dei diritti televisivi per le manifestazioni sportive, la loro
ripartizione e lo scambio del segnale limitano o addirittura eliminano la concorrenza tra i
membri dell'UER, i quali competono sia nel mercato a monte, ossia quello
dell'acquisizione dei diritti, sia nel mercato a valle, quello della trasmissione televisiva
delle manifestazioni sportive. Dall'altro, tale sistema comporta determinate restrizioni
della concorrenza nei confronti dei terzi in quanto, come esposto al punto 75 della
decisione impugnata, detti diritti sono di norma venduti su base esclusiva e ciò fa sì che
essi siano praticamente inaccessibili ai non aderenti all'UER.
64. A tale proposito, se è vero che l'acquisto dei diritti di trasmissione televisiva di un
avvenimento non costituisce di per sé una restrizione della concorrenza sussumibile sotto
l'art. 81, n. 1, CE e può essere giustificato dalle peculiarità del prodotto e del mercato
rilevante, è pur vero che l'esercizio di tali diritti in un contesto giuridico ed economico
specifico può comportare una tale restrizione (v., per analogia, sentenza della Corte 6
ottobre 1982, causa 262/81, Coditel e a., Racc. pag. 3381, punti 15-17).
65. Infatti, seguendo tale orientamento, la Commissione afferma, al punto 45 della
decisione impugnata, che «l'acquisizione di diritti televisivi esclusivi per taluni
avvenimenti sportivi ha una notevole incidenza sui mercati a valle della televisione, [nei]
quali gli avvenimenti sportivi [sono] trasmessi».
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66. Peraltro, emerge dall'analisi del fascicolo e dall'argomentazione delle parti che
l'acquisizione dei diritti di trasmissione di una grande manifestazione sportiva
internazionale quale i giochi olimpici o il campionato mondiale di calcio ha
necessariamente un forte impatto sul mercato del patrocinio e della pubblicità, fonte
principale d'introiti per le emittenti televisive che trasmettono in chiaro, poiché tali
programmi attirano un gran numero di telespettatori.
67. Inoltre, occorre parimenti rilevare che, come sottolineato dalla SIC, gli effetti
restrittivi della concorrenza derivanti dal sistema dell'Eurovisione nei confronti dei terzi
sono intensificati, da un lato, dal livello di integrazione verticale dell'UER e dei suoi
membri, i quali non sono unicamente acquirenti di diritti, ma sono anche operatori
televisivi che diffondono i diritti acquistati, e, dall'altro, dall'estensione geografica
dell'UER, i cui membri trasmettono in tutti i paesi dell'Unione europea. Di conseguenza,
quando l'UER acquisisce i diritti di trasmissione per una manifestazione sportiva
internazionale, l'accesso a tale avvenimento è, in linea di principio, automaticamente
escluso per tutti gli operatori che non sono membri. La situazione sembra invece essere
diversa quando i diritti di trasmissione delle manifestazioni sportive sono acquistati da
un'agenzia al fine di rivenderli o da un gruppo operante nel settore dei mezzi
d'informazione che non ha operatori se non in taluni Stati membri, poiché tale gruppo
cercherà di avviare trattative con gli operatori degli altri Stati membri al fine di vendere
tali diritti. In tal caso, nonostante l'acquisto in esclusiva dei diritti, gli altri operatori
conservano la possibilità di negoziare l'acquisizione di questi ultimi per i propri mercati.
68. Alla luce di tutti questi dati, ossia la struttura del mercato, la posizione dell'UER nel
mercato di talune manifestazioni sportive internazionali e il livello d'integrazione
verticale dell'UER e dei suoi membri, si deve verificare se il regime d'accesso di terzi al
sistema dell'Eurovisione permetta di compensare le restrizioni della concorrenza nei
confronti di questi ultimi e dunque di evitare che la concorrenza sia eliminata nei loro
confronti.
69. Prima di procedere a tale analisi, occorre rilevare che emerge dalla decisione
impugnata (in particolare dai punti 106-108) che, quando la Commissione stabilisce, ai
punti 103 e 104 della decisione impugnata (v. supra, punti 55 e 56), che le restrizioni
della concorrenza causate dal sistema dell'Eurovisione sono compensate da una serie di
norme relative alla concessione di sublicenze, essa si riferisce all'intero regime di accesso
di terzi al sistema dell'Eurovisione, il quale comprende il regime delle sublicenze e le
norme relative alla concessione di queste ultime (v. supra, punto 18). Tuttavia, poiché le
ricorrenti sono emittenti televisive che trasmettono in chiaro, solo il regime delle
sublicenze potrebbe compensare le restrizioni della concorrenza che esse lamentano.
Pertanto, l'analisi del Tribunale verterà esclusivamente su tale regime.
70. Al punto 107 della decisione impugnata, la Commissione riferisce che, nell'ambito
del regime delle sublicenze, «l'UER e i suoi membri concedono agli enti radiotelevisivi
non aderenti all'organizzazione un accesso estensivo ai programmi sportivi di
Eurovisione i cui diritti siano stati acquisiti tramite negoziati collettivi». A parere della
Commissione, «[i]l regime del 1993 accorda ai terzi diritti di trasmissione in diretta e
differita per gli avvenimenti i cui diritti sono acquisiti collettivamente nell'ambito
dell'Eurovisione». Inoltre, al punto 28 della decisione impugnata, si sostiene a tale
proposito che «[a]i terzi è accordato in particolare l'accesso in ampia misura ai diritti non
utilizzati, ossia il diritto di trasmettere manifestazioni sportive che gli aderenti all'UER
non diffondono o trasmettono solo in minima parte».
71. Si deve rilevare che, come si evince dall'allegato I della decisione impugnata, il
regime delle sublicenze, applicabile alle emittenti televisive che trasmettono in chiaro,
prevede la possibilità di accordare sublicenze per la trasmissione in diretta e in differita.
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Per quanto riguarda le trasmissioni in diretta (paragrafo IV, punto 1, dell'allegato I), esse
sono previste unicamente per trasmissioni residuali, ossia per trasmissioni di avvenimenti
agonistici, o parti di essi, che non vengono diffusi in diretta dai membri dell'UER, dato
che «si ritiene che una manifestazione sia trasmessa in diretta, se la maggioranza dei
principali avvenimenti agonistici che la compongono sono trasmessi in diretta»
(paragrafo IV, punto 1.3, dell'allegato I). Conseguentemente, è sufficiente che un membro
dell'UER si riservi la diffusione in diretta della maggioranza degli avvenimenti agonistici
di una manifestazione perché vengano rifiutate ai terzi concorrenti per lo stesso mercato
le sublicenze per la trasmissione in diretta dell'intera manifestazione, e persino dei singoli
avvenimenti agonistici che non saranno trasmessi in diretta dal membro dell'UER.
72. Dalle risposte della SIC ai quesiti del Tribunale emerge che, attuando tale norma,
l'operatore pubblico portoghese (la RTP - Radiotelevisão Portuguesa, SA; in prosieguo: la
«RTP»), membro dell'UER, ha rifiutato alla SIC la vendita di sublicenze per la
trasmissione in diretta delle partite del campionato mondiale di calcio del 1994, e persino
di quelle partite che la RTP non avrebbe diffuso, dal momento che la RTP aveva
intenzione di trasmettere in diretta la maggioranza (ossia 47 su 52) delle partite di tale
manifestazione.
73. Orbene, anche se fosse necessario, per ragioni legate all'esclusività dei diritti di
trasmissione delle manifestazioni sportive e alla preservazione del loro valore economico
(v. supra, punto 60), che i membri dell'UER si riservino la trasmissione in diretta dei
programmi che l'UER ha acquisito, nessuna di tali motivazioni permette tuttavia di
giustificare il fatto che essi abbiano la possibilità di estendere tale diritto di riserva a tutti
i singoli avvenimenti agonistici della stessa manifestazione, anche qualora essi non siano
intenzionati a trasmettere tutte le singole competizioni in diretta.
74. Peraltro, dall'attuazione congiunta del regime delle sublicenze (applicabile alle
emittenti che trasmettono in chiaro) e delle norme relative alla concessione di sublicenze
(applicabili alle emittenti a pagamento) emerge che, anche se un membro dell'UER
trasmette meno della maggioranza degli avvenimenti agonistici di una manifestazione
sportiva ma diffonde comunque il resto delle competizioni di tale manifestazione sulla
sua emittente a pagamento, il non aderente all'UER ha accesso solamente alla
trasmissione in differita, a meno che non si tratti a sua volta di un'emittente a pagamento,
nel qual caso può acquistare sublicenze, secondo le norme relative alla concessione delle
medesime, per trasmettere in diretta competizioni identiche o analoghe a quelle trasmesse
dal membro dell'UER.
75. Conseguentemente, e come si evince dal fascicolo, in particolare dalla corrispondenza
tra la M6 e il Groupement de radiodiffuseurs français de l'union européenne de radiotélévision
(in prosieguo: il «GRF») e tra la SIC e la RTP, la possibilità di trasmissione in
diretta delle principali manifestazioni sportive da parte dei non aderenti all'UER rimane
solo teorica, poiché i membri dell'UER possono sia trasmettere essi stessi le
manifestazioni in diretta, sia fare ricorso, ai sensi del regime delle sublicenze, a un diritto
di riserva concernente anche le manifestazioni che essi non hanno intenzione di
trasmettere in diretta.
76. Tali restrizioni sono tanto più vincolanti in quanto emerge dalla presente controversia
che, in generale, solamente la trasmissione in diretta si rivela concretamente interessante
per le ricorrenti, che sono canali nazionali generalisti che trasmettono in chiaro e
dispongono di una copertura nazionale, dato che la diffusione televisiva delle
competizioni sportive, o almeno delle più rilevanti, permette di attirare un ampio
pubblico e dunque di giustificare il suo costo economico fintantoché non è noto il
risultato di tali competizioni e, quindi, quando tale trasmissione è in diretta. Viceversa,
per i canali nazionali generalisti quali le ricorrenti, il cui finanziamento dipende
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esclusivamente dalla pubblicità e dal patrocinio dei programmi, la diffusione di
manifestazioni sportive in differita non riveste alcun interesse dal punto di vista
economico.
77. A tali restrizioni si aggiungono ancora - almeno nel caso della Francia, in cui diverse
emittenti televisive sono membri dell'UER - alcune questioni di ordine pratico che
rendono difficile l'accesso dei non aderenti all'UER sia all'acquisto di sublicenze «per la
diretta», sia all'acquisto all'asta dei diritti dell'UER non utilizzati dai suoi membri (come
accadde per i diritti della trasmissione televisiva dei giochi olimpici di Sidney da parte
della televisione francese). Tali difficoltà sono essenzialmente legate al fatto che le
emittenti televisive non aderenti all'UER non dispongono, entro un termine sufficiente,
delle informazioni necessarie, da un lato, per attivare i mezzi tecnici indispensabili alla
trasmissione televisiva delle manifestazioni sportive e, dall'altro, per adeguare sia la loro
programmazione, sia le loro comunicazioni al pubblico e per permettere loro pertanto di
conseguire livelli di ascolto tali da giustificare l'investimento.
78. Così, a seguito di una richiesta della M6, effettuata con lettera 18 gennaio 1996, volta
a sapere se essa avrebbe potuto trasmettere le competizioni dei giochi olimpici di Atlanta
(luglio 1996), la GRF rispondeva, solo durante un incontro tenutosi il 7 giugno 1996 ed in
termini molto vaghi, che i membri francesi dell'UER avrebbero dedicato a tale
manifestazione quindici ore di diretta al giorno e che, di conseguenza, l'accesso della M6
alle trasmissioni in diretta «avrebbe potuto eventualmente avere ad oggetto qualche
partita di calcio o talune competizioni di scarso interesse, quali il softball».
79. Alla luce di quanto precede, la prima conclusione che deve trarsi è che,
contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il regime delle sublicenze non
garantisce che i diritti di trasmissione in diretta non utilizzati dai membri dell'UER siano
messi a disposizione dei loro concorrenti.
80. Relativamente alla possibilità di acquisire sublicenze per trasmettere manifestazioni
in differita o diffonderne la sintesi, tenendo presente il fatto che tali modalità di
trasmissione sono poco appetibili per i canali nazionali generalisti che trasmettono in
chiaro e dispongono di una copertura nazionale, si deve constatare che anche tale
possibilità è soggetta a diverse restrizioni. In primo luogo, la diffusione di competizioni i
cui diritti siano stati acquistati dall'UER può essere effettuata non prima che sia trascorsa
un'ora dalla fine della manifestazione (embargo di un'ora) o dell'ultima competizione del
giorno, ma mai prima delle 22,30, ora locale. In secondo luogo, dai documenti allegati al
fascicolo dalle ricorrenti emerge che, in realtà, i membri dell'UER, per lo meno nei paesi
in cui operano le ricorrenti, impongono condizioni ancora più restrittive, in particolare
relativamente all'embargo orario e al trattamento editoriale dei programmi.
81. Il regime analizzato prevede, infine, la possibilità per i non aderenti all'UER di
acquistare alcuni diritti per la trasmissione di servizi di attualità (due per manifestazione o
per giorno di competizione, della durata di 90 secondi ciascuno), denominata «News
Access». Tuttavia, come rilevato dalle ricorrenti, tale possibilità viene loro sempre
garantita nel paese in cui operano, indipendentemente dal regime delle sublicenze. Nel
caso di Spagna e Portogallo, la facoltà di trasmettere le sintesi delle manifestazioni
sportive al fine di informare il pubblico è garantita dal diritto costituzionale
all'informazione. Nel caso della Francia, tale possibilità sussiste in attuazione del codice
di buona condotta in vigore tra le emittenti televisive francesi.
82. In risposta ai quesiti del Tribunale volti a conoscere gli elementi di cui la
Commissione disponeva per poter affermare che il regime d'accesso di terzi ai diritti
dell'Eurovisione, in vigore per le emittenti che trasmettono in chiaro dal 1993, offre «ai
terzi un ampio accesso alla trasmissione in diretta e in differita, sulla base di condizioni
ragionevoli», la Commissione ha allegato al fascicolo una lista dell'UER che elenca le
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sublicenze accordate fino al 13 maggio 1997. Tuttavia, lungi dal confermare le
affermazioni della Commissione e dell'UER relative al regime d'accesso di terzi al
sistema dell'Eurovisione, i dati indicati in tale lista le infirmano. Infatti, si evince da tali
dati che, se in alcuni Stati, come i Paesi Bassi, la Svezia e la Norvegia, sembra che i
membri dell'UER accordino sublicenze alle emittenti televisive concorrenti, negli altri
Stati membri, invece, la concessione di sublicenze permane molto restrittiva e limitata, in
alcuni casi, ad emittenti televisive regionali che operano in mercati decisamente
circoscritti, come in Spagna (circostanza confermata, peraltro, dalla lista delle sublicenze
che la RTVE ha prodotto nell'ambito del suo intervento), o, in grande misura, alla
trasmissione di stralci di competizioni a fini d'informazione (la «News Access»), come in
Italia o in Germania. Per i paesi in cui operano due delle ricorrenti, la Francia e il
Portogallo, non è menzionata nessuna sublicenza.
83. Consegue dall'insieme degli elementi messi a disposizione del Tribunale che,
contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione nella decisione impugnata, il
regime delle sublicenze non garantisce ai concorrenti dei membri dell'UER un accesso
sufficiente ai diritti di trasmissione delle manifestazioni sportive di cui questi ultimi
dispongono in virtù della loro partecipazione a tale consorzio d'acquisto. Il detto regime,
tanto per le norme da esso previste quanto per la sua attuazione, non permette - esclusa
qualche eccezione - ai concorrenti dei membri dell'UER di ottenere sublicenze per la
diffusione in diretta dei diritti dell'Eurovisione non utilizzati. In realtà, consente
unicamente l'acquisizione di sublicenze per trasmettere le sintesi delle competizioni a
condizioni molto restrittive.
84. Tale conclusione non è confutata dall'argomento dell'UER volto a provare il buon
funzionamento del regime d'accesso di terzi al sistema dell'Eurovisione con il fatto che
non si ricorre alle procedure di arbitrato da esso previste. Innanzi tutto, tale argomento
non si rivela corretto, in quanto emerge dalla corrispondenza intercorsa tra la SIC e la
RTP che tali operatori hanno fatto ricorso all'arbitrato, almeno in relazione all'acquisto
delle sublicenze per il campionato mondiale di calcio del 1994. In aggiunta, il ricorso
all'arbitrato è previsto dal regime analizzato solo in caso di controversia avente ad oggetto
il prezzo delle sublicenze, il che implica che le parti vi ricorrano esclusivamente in caso
di accordo su tutte le altre condizioni di accesso [v. paragrafo IV, punto 5.1, dell'allegato
I alla decisione impugnata, e l'allegato II, punto iii), della medesima decisione]. Pertanto,
il fatto che non si usufruisca di tale procedura non può dimostrare che il regime delle
sublicenze permetta un reale accesso ai programmi acquisiti dall'UER.
85. Dall'insieme delle considerazioni suesposte emerge che la Commissione ha
commesso un errore manifesto di valutazione nell'applicazione dell'art. 81, n. 3, lett. b),
CE, nel sostenere che, anche ipotizzando l'esistenza di un mercato del prodotto limitato a
talune grandi manifestazioni sportive internazionali, il regime delle sublicenze garantisce
l'accesso di terzi, in concorrenza con i membri dell'UER, ai diritti dell'Eurovisione e
consente, di conseguenza, di evitare che la concorrenza in tale mercato venga eliminata.
86. Poiché la concessione da parte della Commissione di una decisione individuale di
esenzione presuppone che l'accordo, o la decisione di un'associazione d'imprese, soddisfi
cumulativamente le quattro condizioni enunciate dall'art. 81, n. 3, CE e che è sufficiente
che manchi una delle quattro condizioni perché l'esenzione debba essere negata (v., in
particolare, sentenze della Corte 13 luglio 1966, cause riunite 56/64 e 58/64, Consten e
Grundig/Commissione, Racc. pag. 457, in particolare pagg. 527 e 528, e sentenza del
Tribunale 15 luglio 1994, causa T-17/93, Matra Hachette/Commissione, Racc. pag. II-
595, punto 104), si deve annullare la decisione impugnata senza che occorra pronunciarsi
né sugli altri motivi dedotti, né sulle domande di produzione di documenti formulate dalle
ricorrenti nelle cause T-216/00 e T-300/00.
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Per questi motivi,
IL TRIBUNALE (Seconda Sezione ampliata)
dichiara e statuisce:
E' annullata la decisione della Commissione 10 maggio 2000, 2000/400/CE, relativa ad
un procedimento ai sensi dell'articolo 81 del Trattato CE (IV/32.150 - Eurovisione).
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12. Procedimento C-318/00,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell'art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division
(Regno Unito), nella causa dinanzi ad essa pendente tra
Bacardi-Martini SAS,
Cellier des Dauphins
e
Newcastle United Football Company Ltd,
domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a
modifica, art. 49 CE),
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 28 luglio 2000, pervenuta alla Corte il 14 agosto seguente la High Court
of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division, ha sottoposto ai sensi dell'art. 234
CE due questioni pregiudiziali sull'interpretazione dell'art. 59 del Trattato CE (divenuto,
in seguito a modifica, art. 49 CE).
2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un procedimento avviato dalla
Bacardi-Martini SAS e dalla Cellier des Dauphins (in prosieguo: le «attrici nella causa
principale») contro la Newcastle United Football Company Ltd (in prosieguo: la
«Newcastle») e intesa ad ottenere il risarcimento del danno che esse avrebbero subito a
causa dell'asserita ingerenza della Newcastle nell'esecuzione di contratti di diffusione di
messaggi pubblicitari che esse avevano concluso con la Dorna Marketing (UK) Ltd (in
prosieguo: la «Dorna»).
Ambito normativo
3. La legge francese 10 gennaio 1991 n. 91/32, relativa alla lotta contro il tabagismo e
l'alcolismo (JORF del 12 gennaio 1991, pag. 615; in prosieguo: la «legge Évin») ha
modificato l'art. 17 del code des débits de boissons (codice della vendita di bevande),
divenuto successivamente art. L.3323-2 del code de la santé publique (codice della sanità
pubblica).
4. Questa disposizione vieta con forti limitazioni talune forme di propaganda o di
pubblicità, diretta o indiretta, a favore delle bevande alcoliche.
5. Dalla legge Évin risulta che è vietata ogni forma di pubblicità di bevande alcoliche,
definite come quelle con contenuto alcolico superiore a 1,2° che non sia espressamente
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autorizzata. La pubblicità televisiva di bevande alcoliche, non essendo esplicitamente
autorizzata, è vietata.
6. Tale divieto è confermato dall'art. 8 del decreto 27 marzo 1992, n. 92/280, adottato per
dare attuazione all'art. 27, I, della legge 30 settembre 1986 relativa alla libertà di
comunicazione e che fissa i principi generali relativi al regime applicabile alla pubblicità
e alla sponsorizzazione in televisione (JORF del 28 marzo 1992, pag. 4313), il quale
stabilisce:
«E' vietata la pubblicità riguardante, da un lato, i prodotti la cui pubblicità televisiva sia
oggetto di un divieto legislativo e, dall'altro, i seguenti prodotti e settori economici:
- bevande aventi un contenuto alcolico superiore a 1,2°;
(...)».
7. Il Conseil supérieur de l'audiovisuel (in prosieguo: il «CSA») è un'autorità
amministrativa indipendente che ha il compito di garantire l'esercizio della libertà di
comunicazione. Esso esercita in particolare un controllo sulla pubblicità diffusa mediante
un servizio di comunicazione audiovisiva. Il CSA può infliggere sanzioni amministrative
nei confronti delle emittenti che non rispettino gli obblighi ad esse imposti in particolare
dalla legge Évin.
8. Nel 1995 il CSA ha elaborato un «codice di buona condotta», contenente principi
relativi alla telediffusione sulle reti francesi di eventi sportivi che si svolgono in Francia o
all'estero e nell'ambito dei quali sono esposti cartelli pubblicitari di bevande alcoliche. I
principi enunciati in questo codice, che è stato modificato più volte, non hanno portata
normativa, ma, in base al preambolo di tale codice, sono ammessi come
un'interpretazione volontariamente accettata secondo buona fede.
9. Secondo il codice di buona condotta adottato dal CSA, quale formulato al tempo dei
fatti della causa principale, i produttori e gli inserzionisti francesi non possono ricevere
un trattamento diverso da quello dei loro concorrenti esteri, nei soli limiti della legge
nazionale del luogo dell'evento.
10. Il detto codice parte dal principio che le emittenti devono astenersi dal mostrare
condiscendenza rispetto alla pubblicità di bevande alcoliche.
11. A tal fine esso opera una distinzione tra «eventi internazionali» e gli «altri eventi» che
si svolgono all'estero.
12. Per quanto riguarda gli «eventi internazionali», le cui immagini, essendo trasmesse in
un ampio numero di paesi, non possono essere considerate come dirette principalmente al
pubblico francese, le emittenti francesi, allorché trasmettono immagini di cui non
controllano le riprese, non possono essere sospettate di condiscendenza rispetto alla
pubblicità interessata, anche se tale pubblicità appare sugli schermi.
13. Per quanto riguarda gli «altri eventi», qualora la normativa del paese ospitante
autorizzi la pubblicità delle bevande alcoliche nel luogo della competizione ma la
trasmissione riguarda specificamente il pubblico francese, le parti che negoziano con i
titolari dei diritti televisivi sono tenute a fare tutto quanto in loro potere per evitare che
appaiano in trasmissione marche commerciali che riguardano le bevande alcoliche.
14. Il British Code of Advertising (codice britannico della pubblicità) non vieta la
pubblicità di bevande alcoliche né limita i modi in cui tali bevande possono essere
pubblicizzate. Tuttavia, esso limita il contenuto consentito di queste pubblicità sotto
diversi aspetti.
Causa principale e questioni pregiudiziali
15. Le attrici nella causa principale sono società di diritto francese che esercitano in
particolare l'attività di produzione e commercializzazione di bevande alcoliche. La
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Newcastle è una società di diritto inglese proprietaria e amministratrice di un club e di
uno stadio di calcio.
16. Nell'ambito di un accordo concluso nel 1994 tra, da un lato, un'associazione di calcio
e diversi club di calcio, compresa la Newcastle, e, dall'altro, la Dorna, quest'ultima è stata
incaricata di vendere e di affiggere messaggi pubblicitari lungo il perimetro dei campi da
gioco per ogni partita giocata in casa dalle prime squadre di questi club.
17. In base a due contratti conclusi nel novembre 1996 tra le attrici nella causa principale
e la Dorna, quest'ultima si è impegnata a fornire alle prime spazi pubblicitari sul suo
sistema di annunci elettronici rotanti durante un incontro tra Newcastle e Metz, club di
calcio francese, che doveva svolgersi il 3 dicembre 1996 a Newcastle nell'ambito del
terzo turno della coppa UEFA (Unione delle associazioni europee di calcio).
18. Questo incontro doveva costituire oggetto di una trasmissione televisiva nel Regno
Unito ed in Francia. La Newcastle, con un accordo sottoscritto con la CSI Ltd (in
prosieguo: la «CSI»), una società di diritto inglese la cui attività consiste in particolare
nella vendita di diritti di trasmissione televisiva di eventi sportivi, si era impegnata in
particolare ad autorizzare e/o ad adoperarsi per rendere possibile la trasmissione in diretta
dell'incontro alla televisione francese.
19. La pubblicità di bevande alcoliche che doveva essere diffusa durante l'incontro in
conformità ai contratti conclusi tra le attrici nella causa principale e la Dorna rispettava i
requisiti posti dal diritto inglese.
20. Poco prima dell'inizio dell'incontro, la Newcastle si è accorta che la Dorna aveva
venduto alle attrici nella causa principale spazi pubblicitari per reclamizzare le loro
bevande alcoliche durante l'incontro. Di conseguenza, la Newcastle ha comunicato alla
Dorna che, poiché l'incontro doveva essere trasmesso da una rete televisiva francese,
sarebbe stata applicabile la normativa francese che limita la pubblicità per le bevande
alcoliche e che la Dorna doveva quindi rimuovere dai suoi pannelli la pubblicità delle
attrici nella causa principale al fine di conformarsi a questa normativa.
21. Poiché la pubblicità di cui è causa non poteva essere più eliminata dai pannelli rotanti
poco tempo prima dell'inizio dell'incontro, il sistema elettronico di affissione è stato
programmato in modo che, durante l'incontro, apparisse in ciascuno dei suoi passaggi
solo per uno o due secondi, invece dei trenta secondi previsti nei contratti. L'incontro è
stato trasmesso in diretta sulla televisione francese, in quanto la CSI aveva venduto i
diritti di trasmissione alla rete televisiva francese Canal +.
22. Il 23 luglio 1998 le attrici nella causa principale hanno presentato dinanzi alla High
Court of Justice (England & Wales), Queen's Bench Division, un ricorso contro la Dorna
e la Newcastle mirante in particolare ad ottenere un risarcimento danni, l'accertamento
del fatto e la tutela provvisoria (Damages declaration and injuctive relief). I ricorsi
presentati contro la Dorna hanno costituito successivamente oggetto di rinuncia agli atti.
23. A sostegno dei ricorsi presentati contro la Newcastle, le attrici nella causa principale
fanno valere che la violazione dei contratti conclusi tra esse e la Dorna è imputabile alla
Newcastle, che l'ingerenza della Newcastle in questi contratti non può essere giustificata
con le disposizioni di applicazione della legge Évin poiché queste ultime sono
incompatibili con l'art. 59 del Trattato e che la Newcastle è quindi responsabile per i
danni causati alle attrici nella causa principale dalla violazione di detti contratti da essa
provocata.
24. Le attrici nella causa principale ritengono che le disposizioni di applicazione della
legge Évin, in particolare come interpretate ed applicate dal CSA, sono incompatibili con
l'art. 59 del Trattato in quanto costituiscono una restrizione alla prestazione
transfrontaliera di servizi, poiché limitano la pubblicità di bevande alcoliche nel corso di
eventi sportivi che si svolgono in Stati membri diversi dalla Francia, allorché questi
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eventi sono teletrasmessi in Francia, e/o vietano o limitano la trasmissione televisiva in
Francia di eventi sportivi che si svolgono in altri Stati membri ed in occasione dei quali
viene trasmessa pubblicità di bevande alcoliche nei luoghi in cui essi si svolgono.
25. Secondo le attrici nella causa principale, l'interesse pubblico che le disposizioni di
applicazione della legge Évin cercano di salvaguardare è tutelato in maniera adeguata
dalla normativa sulla pubblicità di bevande alcoliche vigente nel Regno Unito.
26. Per il resto, le attrici nella causa principale sostengono che le restrizioni imposte in
conformità alle disposizioni di applicazione della legge Évin sono, per diversi motivi,
sproporzionate.
27. Nelle sue memorie difensive la Newcastle fa valere in particolare che il fatto di
incaricare la Dorna di rimuovere la pubblicità delle attrici nella causa principale sulla
base delle disposizioni di applicazione della legge Évin era giustificato data la
compatibilità di queste disposizioni con l'art. 59 del Trattato.
28. La High Court rileva, da una parte, che diversi giudici francesi si sono pronunciati in
maniera diversa sull'applicabilità della legge Évin alle trasmissioni transfrontaliere di
eventi sportivi. Dall'altro, essa fa valere una relazione di esperti relativa agli effetti pratici
delle disposizioni di applicazione della legge Évin che le è stata sottoposta. Ne deriva, in
particolare, che gli incontri precedenti ai quarti di finale della coppa UEFA sono
considerati come «altri eventi» ai sensi del codice di buona condotta adottato dal CSA.
29. Dopo essersi assicurata del fatto che le questioni sollevate dinanzi ad essa non
dovevano essere esaminate nell'ambito della direttiva del Consiglio 3 ottobre 1989,
89/552/CEE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative
regolamentari ed amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività
televisive (GU L 298, pag. 23), la High Court ha ritenuto che la disposizione di diritto
comunitario applicabile fosse l'art. 59 del Trattato.
30. Tuttavia, non le è sembrato opportuno, in qualità di giudice inglese, statuire
definitivamente sulla legittimità di una legge francese in relazione all'art. 59 del Trattato,
in particolare senza che il governo francese avesse potuto presentare le sue osservazioni
al riguardo.
31. In tale contesto, la High Court ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre
alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se gli artt. da L.17 a L. 21 del Code des débits de boissons (le cosiddette disposizioni
della legge Évin), l'art. 8 del decreto 27 marzo 1992, n. 92-280, e le disposizioni del code
de bonne conduite del 28 marzo 1995 siano incompatibili con l'art. 59 del Trattato CE
(divenuto, in seguito a modifica, articolo 49 CE) nella misura in cui impediscono o
limitano:
a) la pubblicità di bevande alcoliche durante eventi sportivi da trasmettere per via
televisiva in Francia, ma che hanno luogo in altri Stati membri, e
b) la trasmissione in Francia di eventi sportivi aventi luogo in altri Stati membri e in cui
sia presente pubblicità di bevande alcoliche.
2. In caso contrario, se il modo in cui tali disposizioni sono concretamente interpretate ed
applicate dal Conseil supérieur de l'audiovisuel sia incompatibile con l'articolo 59 del
Trattato CE (divenuto [in seguito a modifica] articolo 49 CE) nella misura in cui si
impedisce o si limita:
a) la pubblicità di bevande alcoliche durante eventi sportivi da trasmettere per via
televisiva in Francia, ma che hanno luogo in altri Stati membri, e
b) la trasmissione in Francia di eventi sportivi aventi luogo in altri Stati membri e in cui
sia presente pubblicità di bevande alcoliche».
32. La Corte, ritenendo poco chiari, sulla base dei documenti ad essa presentati, i motivi
per cui una soluzione delle questioni pregiudiziali fosse necessaria al giudice nazionale
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per emettere la sua sentenza nella causa principale, ha chiesto, ai sensi dell'art. 104, n. 5,
del suo regolamento di procedura, al giudice nazionale di chiarire più dettagliatamente su
quale base la Newcastle potesse far riferimento alla legge Évin - supponendo che sia
compatibile con l'art. 59 del Trattato - affinché fosse respinto il ricorso presentato contro
di essa.
33. Nel rispondere a tale domanda, la High Court of Justice ha precisato che il ricorso
presentato contro la Newcastle era basato sul «pregiudizio indotto tramite l'istigazione ad
una violazione contrattuale». Ora, sarebbe ben consolidato nel diritto inglese il principio
secondo cui una parte può far valere che una tale ingerenza in un contratto è giustificata.
La questione intesa ad accertare cosa costituisca una giustificazione in tale ambito
rientrerebbe nella competenza del giudice nazionale che dovrebbe statuire tenendo conto
di tutte le circostanze della causa.
34. Nella presente causa, la Newcastle avrebbe fatto valere di essere legittimata a dare
istruzioni per rimuovere i pannelli pubblicitari nello stadio, poiché, tra l'altro, «tali
istruzioni erano state date in quanto si poteva ragionevolmente pensare che il fatto di non
darle avrebbe comportato una violazione della normativa francese».
35. Per quanto riguarda le attrici nella causa principale, esse farebbero valere che questo
motivo di difesa è inaccettabile in diritto comunitario poiché la legge Évin è in ogni caso
incompatibile con l'art. 59 del Trattato.
36. La High Court ha quindi ritenuto che fosse opportuno chiedere alla Corte di
pronunciarsi in via pregiudiziale sulla questione di diritto comunitario che le ha
sottoposto.
Sulla ricevibilità
Osservazioni presentate alla Corte
37. Il governo francese e la Commissione sostengono che le questioni pregiudiziali sono
irricevibili. Infatti, secondo il governo francese, la normativa francese non ha
applicazione extraterritoriale. Soltanto l'emittente francese che aveva acquistato i diritti di
trasmissione televisiva avrebbe dovuto rispondere di un'eventuale violazione della legge
francese nel trasmettere in Francia l'incontro che si è svolto in Inghilterra. Facendo valere
la normativa francese, la Newcastle sarebbe stata motivata unicamente dal timore di
perdere il corrispettivo dei diritti televisivi.
38. La Commissione aggiunge che il giudice nazionale non ha precisato se ed in che
modo tali considerazioni finanziarie possano giustificare l'ingerenza in un contratto tra
terzi. Più in generale, il giudice nazionale non avrebbe fornito alla Corte alcuna
indicazione circa il modo in cui le soluzioni delle questioni poste potrebbero essergli di
ausilio nel risolvere la controversia ad esso sottoposta.
39. Secondo le attrici nella causa principale invece la ricevibilità del rinvio pregiudiziale
risulta dal fatto che il giudice nazionale deve esaminare tutte le giustificazioni che sono
state fatte valere dinanzi ad esso. E' pacifico che la decisione della Newcastle era
motivata dall'esistenza e dagli effetti della normativa francese. Le attrici nella causa
principale fanno valere che questo tentativo di giustificazione non è valido in quanto la
legge Évin è incompatibile con l'art. 59 del Trattato.
40. Il governo del Regno Unito condivide tale argomento e aggiunge che, se l'accordo
concluso tra la Newcastle e la CSI prevedeva, esplicitamente o implicitamente, il rispetto
del diritto francese nella trasmissione dell'incontro, la compatibilità del diritto francese
con l'art. 59 del Trattato sarebbe effettivamente pertinente per il procedimento principale.
In ogni caso, il requisito imposto all'emittente francese di negoziare il rispetto della legge
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Évin nella trasmissione di incontri aventi luogo all'estero conferirebbe a questa normativa
effetti extraterritoriali.
Valutazione della Corte
41. Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, spetta esclusivamente al
giudice nazionale cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la
responsabilità dell'emananda decisione giurisdizionale valutare, alla luce delle particolari
circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale, sia la rilevanza
delle questioni che propone alla Corte. Di conseguenza, dal momento che le questioni
sollevate dal giudice nazionale vertono sull'interpretazione del diritto comunitario, la
Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (v., in particolare, sentenze 15 dicembre
1995, causa C-415/93, Bosman e a., Racc. pag. I-4921, punto 59; 13 marzo 2001, causa
C-379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I-2099, punto 38, e 10 dicembre 2002, C-153/00,
Der Weduwe, Racc. pag. I-11319, punto 31).
42. Tuttavia, la Corte ha anche affermato che, in ipotesi eccezionali, le spetta esaminare
le condizioni in cui il giudice nazionale le sottopone questioni pregiudiziali (v., in tal
senso, sentenze PreussenElektra, cit., punto 39). Infatti, lo spirito di collaborazione che
deve presiedere al funzionamento del rinvio pregiudiziale implica che, dal canto suo, il
giudice nazionale tenga presente la funzione assegnata alla Corte, che è quella di
contribuire all'amministrazione della giustizia negli Stati membri e non di esprimere
pareri consultivi su questioni generali o ipotetiche (sentenze citate Bosman e a., punto 60,
e Der Weduwe, punto 32).
43. Pertanto, la Corte ha ritenuto di non poter statuire su una questione sollevata da un
giudice nazionale qualora appaia in modo manifesto che l'interpretazione o il giudizio
sulla validità di una norma comunitaria chiesti da tale giudice non hanno alcuna relazione
con l'effettività o con l'oggetto della causa principale, oppure qualora il problema sia di
natura ipotetica e la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per
fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (v. sentenze Bosman,
cit., punto 61; 9 marzo 2000, causa C-437/97, EKW e Wein & Co., Racc. pag. I-1157,
punto 52, e 13 luglio 2000, causa C-36/99, Idéal tourisme, Racc. pag. I-6049, punto 20).
44. Al fine di consentire alla Corte di espletare la sua funzione in conformità al Trattato, è
indispensabile che i giudici nazionali chiariscano, nel caso in cui non risultino
inequivocabilmente dal fascicolo, i motivi per i quali ritengono necessaria alla
definizione della controversia la soluzione delle questioni da loro proposte (sentenza 16
dicembre 1981, causa 244/80, Foglia, Racc. pag. 3045, punto 17). Infatti, la Corte ha
affermato che è indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni
sui motivi della scelta delle norme comunitarie di cui chiede l'interpretazione e sul nesso
che egli stabilisce tra le dette norme e la normativa nazionale applicabile alla controversia
(ordinanza 28 giugno 2000, causa C-116/00, Laguillaumie, Racc. pag. I-4979, punto 16).
45. Inoltre la Corte deve esercitare una particolare vigilanza quando le venga sottoposta,
nell'ambito di una controversia tra privati, una questione pregiudiziale intesa a consentire
al giudice nazionale di valutare la compatibilità della normativa di un altro Stato membro
col diritto comunitario (sentenza Foglia, cit., punto 30).
46.
Nella fattispecie, poiché le questioni sottoposte sono destinate a consentire al giudice del
rinvio di valutare la compatibilità con il diritto comunitario della normativa di un altro
Stato membro, la Corte deve essere informata dettagliatamente dei motivi che inducono
tale giudice a ritenere che la soluzione di tali questioni sia necessaria per consentirgli di
emettere la sua pronuncia.
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47. Ora, dalla descrizione dell'ambito normativo effettuata dal giudice nazionale risulta
che quest'ultimo deve applicare nella causa principale le disposizioni del diritto inglese.
Tuttavia, egli ritiene che «il punto centrale per la soluzione della controversia riguarda la
legittimità della legge Évin» senza tuttavia affermare che la soluzione di tale questione è
necessaria per consentirgli di emettere la sua pronuncia.
48. Essendo stato invitato dalla Corte a precisare più dettagliatamente su quale base la
Newcastle potesse far valere la legge Évin, il giudice nazionale in sostanza si è limitato
ad esporre l'argomento della convenuta nella causa principale secondo cui essa poteva
ragionevolmente ritenere che l'omissione di fornire istruzioni per rimuovere i pannelli
pubblicitari nello stadio avrebbe comportato una violazione del diritto francese.
49. Per contro, il giudice nazionale non ha indicato se esso stesso ritenesse che la
Newcastle potesse ragionevolmente supporre di essere tenuta a rispettare la normativa
francese, e la Corte non dispone di alcun elemento in tal senso.
50. Per il resto, il governo del Regno Unito ha sostenuto che la premessa che consente di
concludere per la pertinenza delle questioni pregiudiziali potrebbe consistere
nell'esistenza di un obbligo per la Newcastle di rispettare la normativa francese sulla base
della formulazione dell'accordo che essa aveva concluso con la CSI, accordo che
prevedeva la trasmissione dell'incontro Newcastle-Metz da parte di una rete televisiva
francese. A tale riguardo è sufficiente constatare che il giudice nazionale non ha fatto
valere l'esistenza di un tale obbligo contrattuale.
51. Inoltre, come sottolinea giustamente l'avvocato generale al paragrafo 34 delle sue
conclusioni, anche se il giudice nazionale dovesse ritenere che la Newcastle poteva
ragionevolmente supporre che il rispetto della normativa francese richiedeva la sua
ingerenza nei contratti di cui trattasi, non è affatto chiaro perché mai tale giustificazione
non dovrebbe più sussistere qualora la disposizione di cui Newcastle intendeva assicurare
il rispetto risultasse incompatibile con l'art. 59 del Trattato.
52. Ora, l'ordinanza di rinvio non contiene alcuna informazione nemmeno su tale punto.
53. Alla luce di queste considerazioni, si deve constatare che la Corte non dispone di
elementi da cui emerga la necessità di pronunciarsi sulla compatibilità con il Trattato di
una normativa di uno Stato membro diverso da quello del giudice del rinvio.
54. Pertanto, le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte sono irricevibili.
Per questi motivi,
LA CORTE,
dichiara:
La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court of Justice (England &
Wales), Queen's Bench Division, con ordinanza 28 luglio 2000, è irricevibile.
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13. Procedimento C-206/01,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division
(Regno Unito), nella causa dinanzi ad essa pendente tra
Arsenal Football Club plc
e
Matthew Reed,
domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva del
Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli
Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1),
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 4 maggio 2001, pervenuta in cancelleria il 18 maggio successivo, la
High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, ha sottoposto alla Corte, a
norma dell'art. 234 CE, due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione dell'art. 5,
n. 1, lett. a), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU
1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).
2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia tra l'Arsenal Football
Club plc (in prosieguo: l'«Arsenal FC») e il sig. Reed in merito alla vendita e all'offerta in
vendita da parte di quest'ultimo di sciarpe sulle quali figurava a grandi lettere il termine
«Arsenal», segno registrato come marchio dall'Arsenal FC in particolare per prodotti del
genere.
Contesto normativo
Normativa comunitaria
3. Nel primo considerando della direttiva si afferma che le legislazioni nazionali sui
marchi d'impresa presentano disparità che possono ostacolare la libera circolazione dei
prodotti e la libera prestazione dei servizi, nonché falsare le condizioni di concorrenza nel
mercato comune. Ai sensi di tale considerando, ne deriva che, nella prospettiva
dell'instaurazione e del funzionamento del mercato interno, è necessario ravvicinare le
legislazioni degli Stati membri. Il terzo considerando della direttiva precisa che non è
attualmente necessario procedere ad un ravvicinamento completo delle legislazioni degli
Stati membri in tema di marchi d'impresa.
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4. Ai sensi del decimo considerando della direttiva:
«(...) la tutela che è accordata dal marchio di impresa registrato e che mira in particolare a
garantire la funzione d'origine del marchio di impresa, è assoluta in caso di identità tra il
marchio di impresa e il segno e tra i prodotti o servizi (...)».
5. L'art. 5, n. 1, della direttiva dispone:
«Il marchio d'impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il
diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare, nel commercio:
a) un segno identico al marchio d'impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui
esso è stato registrato;
b) un segno che, a motivo dell'identità o della somiglianza di detto segno col marchio
d'impresa e dell'identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio
d'impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico,
comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio d'impresa».
6. L'art. 5, n. 3, lett. a) e b), della direttiva prevede:
«Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono
soddisfatte:
a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;
b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini (...)».
7. Ai sensi dell'art. 5, n. 5, della direttiva:
«I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per
la tutela contro l'uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i
prodotti o servizi, quando l'uso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre
indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o della notorietà del marchio di impresa o
reca pregiudizio agli stessi».
8. L'art. 6, n. 1, della direttiva è così formulato:
«Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare
ai terzi l'uso nel commercio:
a) del loro nome e indirizzo;
b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore,
alla provenienza geografica, all'epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del
servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;
c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di
un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,
purché l'uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».
Normativa nazionale
9. Nel Regno Unito il diritto dei marchi è disciplinato dal Trade Marks Act 1994 (legge
sui marchi del 1994) che, al fine di recepire la direttiva, ha sostituito il Trade Marks Act
1938 (legge sui marchi del 1938).
10. L'art. 10, n. 1, del Trade Marks Act 1994 recita:
«E' responsabile di contraffazione di un marchio d'impresa chi fa uso nel commercio di
un segno identico al marchio per beni o servizi identici a quelli per cui il marchio è
registrato».
11. Ai sensi dell'art. 10, n. 2, lett. b), del Trade Marks Act 1994:
«E' responsabile di contraffazione di un marchio d'impresa chi fa uso nel commercio di
un segno distintivo per il quale, a motivo
(...)
b) della sua somiglianza con il marchio e del suo impiego per designare beni o servizi
identici o simili a quelli per cui il marchio è registrato,
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esiste un rischio di confusione da parte del pubblico, comprendente la probabilità
dell'associazione con il marchio».
Controversia nella causa principale e questioni pregiudiziali
12. L'Arsenal FC è una nota società calcistica che gareggia nella prima divisione del
campionato inglese. Soprannominata anche «the Gunners», essa è stata associata per
lunghissimo tempo a due emblemi, ossia quello dello scudo («the crest device») e quello
del cannone («the canon device»).
13. Nel 1989 l'Arsenal FC ha ottenuto che fossero registrati come marchi, in particolare, i
termini «Arsenal» e «Arsenal Gunners» nonché gli emblemi del cannone e dello scudo,
per una categoria di prodotti che includeva indumenti, articoli di abbigliamento sportivo e
calzature. L'Arsenal FC crea e fornisce i propri prodotti o li fa fabbricare e fornire
attraverso l'intermediario della sua rete di rivenditori autorizzati.
14. Dato che le sue attività commerciali e promozionali nell'ambito della vendita, sotto i
detti marchi, di souvenir e di prodotti derivati hanno conosciuto in questi ultimi anni un
notevolissimo sviluppo e gli hanno procurato ingenti profitti, l'Arsenal FC ha cercato di
fare in modo che i prodotti «ufficiali» - ossia i prodotti fabbricati per l'Arsenal FC o con
la sua autorizzazione - potessero essere identificati in modo chiaro e ha cercato di
convincere i propri sostenitori ad acquistare solo tali prodotti. Inoltre, esso ha promosso
azioni giudiziarie, in sede sia civile sia penale, contro commercianti che vendevano
prodotti non ufficiali.
15. Dal 1970 il sig. Reed vende souvenir ed altri prodotti aventi origine dal calcio, quasi
tutti riportanti segni facenti riferimento all'Arsenal FC, in vari chioschi situati all'esterno
della cinta dello stadio dell'Arsenal FC. Egli è riuscito a ottenere dalla società KT Sports,
incaricata dalla società calcistica di cui trattasi di commercializzare i suoi prodotti ai
rivenditori situati intorno al suddetto stadio, solo quantità molto esigue di tali prodotti
ufficiali. Nel 1991 e nel 1995 l'Arsenal FC ha fatto confiscare articoli non ufficiali
detenuti dal sig. Reed.
16. Il giudice a quo osserva che nella fattispecie in esame nella causa principale non è
contestato il fatto che, in uno dei suoi chioschi, il sig. Reed abbia venduto e proposto in
vendita sciarpe riportanti segni che facevano riferimento all'Arsenal FC con iscrizioni a
grandi lettere e che si trattasse nella fattispecie di prodotti non ufficiali.
17. Detto giudice precisa inoltre che nel suddetto chiosco figurava un grande cartello
recante il seguente testo:
«Il termine o il (i) logotipo(i) contenuti negli articoli in vendita sono utilizzati unicamente
allo scopo di decorare il prodotto e non implicano né esprimono appartenenza o alcun
altro rapporto con il fabbricante o i distributori di qualsiasi altro prodotto. Sono prodotti
ufficiali dell'Arsenal soltanto quei prodotti provvisti dell'apposita etichetta che
contrassegna i prodotti ufficiali dell'Arsenal».
18. Per di più, il giudice a quo osserva che, quando ha potuto, eccezionalmente,
procurarsi articoli ufficiali, il sig. Reed, nei contatti con i propri clienti, ha distinto in
modo chiaro i prodotti ufficiali da quelli non ufficiali, in particolare con l'apposizione di
un'etichetta recante la dicitura «ufficiale». D'altro canto, i prodotti ufficiali venivano
venduti a prezzi superiori.
19. Considerando che, vendendo le sciarpe non ufficiali controverse, il sig. Reed, da un
lato, era incorso nella responsabilità extracontrattuale in base ad un «passing off» - vale a
dire, secondo il giudice del rinvio, il comportamento di un terzo atto a indurre in errore in
modo tale che un gran numero di persone creda o sia portato a credere che gli oggetti
venduti da questo terzo siano articoli dell'attore o siano venduti con la sua autorizzazione
o presentino un collegamento di tipo commerciale con lo stesso - e, dall'altro, si era reso
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colpevole di contraffazione di marchio, l'Arsenal FC ha intentato un'azione contro il
suddetto commerciante dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery
Division.
20. Alla luce delle circostanze della fattispecie di cui alla causa principale, il giudice a
quo ha respinto la domanda dell'Arsenal FC nella sua azione per responsabilità
extracontrattuale (per «passing off») in quanto, in sostanza, la suddetta società calcistica
non era stata in grado di dimostrare l'esistenza di una reale confusione da parte del
pubblico interessato e, più in particolare, non aveva potuto provare che tutti i prodotti a
carattere non ufficiale smerciati dal sig. Reed venissero considerati dal pubblico come
provenienti dall'Arsenal FC o da quest'ultimo autorizzati. A tale proposito, il giudice del
rinvio ha segnatamente rilevato che a suo parere i segni che richiamavano l'Arsenal FC,
apposti sugli oggetti venduti dal sig. Reed, non comprendevano alcuna indicazione
relativa all'origine di questi ultimi.
21. Quanto alla doglianza dell'Arsenal FC relativa alla contraffazione dei suoi marchi e
fondata sull'art. 10, nn. 1 e 2, lett. b), del Trade Marks Act 1994, il giudice a quo ha
respinto l'argomento dell'Arsenal FC secondo cui l'uso fatto dal sig. Reed dei segni
registrati come marchi veniva percepito da coloro cui essi erano destinati come indicante
la provenienza dei prodotti («badge of origin») e quindi costituiva un uso di tali segni «in
quanto marchi d'impresa» («trademark use»).
22. Infatti, secondo tale giudice, i segni apposti sui prodotti del sig. Reed venivano
percepiti dal pubblico come dimostrazioni di sostegno, fedeltà o appartenenza («badge of
support, loyalty or affiliation»).
23. Alla luce di tali elementi, il giudice a quo ha ritenuto che l'azione per contraffazione
dell'Arsenal FC avrebbe potuto avere esito positivo solo se la tutela conferita al titolare
del marchio dall'art. 10 del Trade Marks Act 1994 e dalla direttiva attuata dalla detta
legge vietasse a un terzo un uso diverso dall'uso in quanto marchio d'impresa, il che
presupporrebbe un'interpretazione estensiva di tali norme.
24. A tale riguardo, il giudice del rinvio afferma che la tesi secondo cui è vietato a terzi
un uso diverso da un uso in quanto marchio d'impresa presenta talune incongruenze.
Tuttavia, la tesi inversa, ossia quella secondo cui è disciplinato solo l'uso in quanto
marchio d'impresa, si scontrerebbe con una difficoltà connessa alla formulazione letterale
della direttiva e del Trade Marks Act 1994, che definiscono la contraffazione come l'uso
di un «segno» e non come l'uso di un «marchio d'impresa».
25. Il giudice a quo osserva che è segnatamente alla luce di tale formulazione letterale
che la Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) (Regno Unito) ha dichiarato,
nella sentenza Philips Electronics Ltd/Remington Consumer Products ([1999] RPC 809),
che l'uso di un segno - registrato come marchio d'impresa - diverso da un uso in quanto
marchio d'impresa poteva rappresentare una violazione del diritto di marchio. La High
Court osserva che lo stato del diritto in merito a tale questione permane tuttavia incerto.
26. Peraltro, il giudice del rinvio ha respinto l'argomento del sig. Reed relativo all'asserita
invalidità dei marchi dell'Arsenal FC.
27. Di conseguenza, la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division, ha
deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
«1) Qualora un marchio sia validamente registrato e
a) un terzo utilizzi nel commercio un segno identico al detto marchio per designare
prodotti identici a quelli per i quali il marchio è registrato, e
b) il terzo non possa far valere a sua difesa il disposto dell'art. 6, n. 1, della direttiva del
Consiglio (...), 89/104/CEE (...),
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se tale terzo possa far valere limitazioni agli effetti del marchio in quanto l'uso
contestatogli non comporta alcuna indicazione di origine (ossia non indica un
collegamento nel commercio tra i prodotti ed il titolare del marchio).
2) In caso di soluzione affermativa, se sia sufficiente a costituire tale collegamento la
circostanza che l'uso di cui trattasi venga percepito come una dimostrazione di sostegno,
fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del marchio».
Sulle questioni pregiudiziali
28. Occorre esaminare in modo congiunto le due questioni pregiudiziali.
Osservazioni sottoposte alla Corte
29. L'Arsenal FC osserva che l'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva consente al titolare del
marchio di vietare l'uso di un segno identico al marchio d'impresa e non assoggetta affatto
l'esercizio di tale diritto di veto alla condizione che il segno sia usato in quanto marchio
d'impresa. La tutela conferita da tale disposizione si estende pertanto all'uso del segno da
parte di terzi anche quando tale uso non accrediti l'esistenza di un collegamento tra il
prodotto e il titolare del marchio d'impresa. Tale interpretazione sarebbe avvalorata
dall'art. 6, n. 1, della direttiva poiché le particolari limitazioni all'esercizio dei diritti
derivanti dal marchio previste da tale articolo dimostrerebbero che un siffatto uso, in
linea di principio, ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva
e che esso è consentito solo nei casi tassativamente previsti dall'art. 6, n. 1, della direttiva.
30. In subordine, l'Arsenal FC osserva che, nel caso di specie, l'uso fatto dal sig. Reed del
segno identico al marchio Arsenal deve essere comunque qualificato come uso del
marchio in quanto marchio d'impresa poiché tale uso fornisce un'indicazione in merito
alla provenienza dei prodotti e non rileva che sia il titolare del marchio d'impresa ad
essere così designato.
31. Il sig. Reed sostiene che le attività commerciali controverse nella causa principale non
ricadono nell'ambito di applicazione dell'art. 5, n. 1, della direttiva, poiché l'Arsenal FC
non avrebbe provato che il segno fosse utilizzato in quanto marchio d'impresa, ossia per
indicare la provenienza dei prodotti, come sarebbe richiesto dalla direttiva e, più in
particolare, dall'art. 5 di quest'ultima. Se il pubblico non percepisse il segno come
un'indicazione di origine, l'uso non costituirebbe un uso del segno in quanto marchio
d'impresa. Per quanto riguarda l'art. 6 della direttiva, da tale disposizione non emergono
elementi da cui risulti che essa contiene un elenco tassativo delle attività che non
costituiscono contraffazione.
32. La Commissione sostiene che il diritto ricavato, da parte del titolare di un marchio,
dall'art. 5, n. 1, della direttiva è indipendente dal fatto che il terzo non utilizzi il segno in
quanto marchio d'impresa e, in particolare, dal fatto che detto terzo non lo utilizzi come
indicazione d'origine ma renda noto al pubblico mediante altri mezzi che i prodotti non
provengono dal titolare del marchio d'impresa, o addirittura che l'uso del segno non è
stato autorizzato da quest'ultimo. La finalità specifica del marchio d'impresa sarebbe
infatti quella di garantire che solo il titolare possa fornire al prodotto la sua identità di
origine grazie all'apposizione del marchio stesso. La Commissione sostiene inoltre che
dal decimo considerando della direttiva consegue che la tutela prevista all'art. 5, n. 1, lett.
a), di quest'ultima è assoluta.
33. All'udienza la Commissione ha aggiunto che la nozione di uso del marchio d'impresa
in quanto marchio d'impresa, se ritenuta rilevante, si riferisce ad un uso idoneo a
distinguere prodotti anziché ad indicare la loro origine. Tale nozione includerebbe anche
usi da parte dei terzi che pregiudichino gli interessi del titolare del marchio d'impresa,
come quello relativo alla reputazione dei prodotti. Comunque, la percezione da parte del
pubblico del termine «Arsenal», identico a un marchio denominativo, come una
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dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del marchio
non escluderebbe che i prodotti interessati siano percepiti anche per questa ragione come
provenienti dal titolare del marchio d'impresa. Al contrario, invece, una tale percezione
confermerebbe il carattere distintivo del marchio e aumenterebbe il rischio che i prodotti
siano percepiti come provenienti dal titolare del marchio stesso. Di conseguenza, anche
se l'uso del marchio d'impresa in quanto marchio d'impresa fosse un criterio rilevante, il
suddetto titolare dovrebbe poter legittimamente vietare l'attività commerciale controversa
nella causa principale.
34. L'Autorità di vigilanza AELS sostiene che, perché l'art. 5, n. 1, della direttiva possa
essere invocato dal titolare del marchio d'impresa, i terzi devono far uso del segno al fine
di distinguere - dato che si tratta della funzione principale e tradizionale del marchio -
prodotti o servizi, ossia utilizzare il marchio d'impresa in quanto marchio d'impresa. Se
tale condizione non ricorresse, il titolare potrebbe invocare solo le disposizioni del diritto
nazionale previste all'art. 5, n. 5, della direttiva.
35. Tuttavia, la condizione dell'uso del marchio d'impresa in quanto marchio d'impresa ai
sensi dell'art. 5, n. 1, della direttiva, che dovrebbe essere intesa come una condizione di
uso di un segno identico al marchio al fine di contraddistinguere prodotti o servizi,
sarebbe una nozione di diritto comunitario cui si dovrebbe attribuire un significato ampio,
tale da includere, in particolare, l'uso come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o
appartenenza nei confronti del titolare del marchio.
36. Secondo l'Autorità di vigilanza AELS, il fatto che il terzo che appone il marchio
d'impresa su determinati prodotti indichi che questi ultimi non provengono dal titolare del
marchio non escluderebbe un rischio di confusione per una cerchia più ampia di
consumatori. Se il titolare non avesse il diritto di opporsi a che terzi agiscano in questo
modo, potrebbe derivarne un uso generalizzato del segno che, in fin dei conti, priverebbe
il marchio del suo carattere distintivo, ponendone così a repentaglio la principale e
tradizionale funzione.
Soluzione della Corte
37. Occorre rammentare, in limine, che l'art. 5 della direttiva definisce i «[d]iritti conferiti
dal marchio di impresa» e che l'art. 6 contiene norme relative alla «[l]imitazione degli
effetti del marchio di impresa».
38. Ai sensi dell'art. 5, n. 1, prima frase, della direttiva, il marchio d'impresa registrato
conferisce al titolare un diritto esclusivo. Ai sensi dello stesso paragrafo, lett. a), tale
diritto esclusivo legittima il titolare a vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare, nel
commercio, un segno identico al marchio d'impresa per prodotti o servizi identici a quelli
per cui esso è stato registrato. L'art. 5, n. 3, della direttiva elenca in modo non tassativo i
tipi di uso che il titolare può vietare ai sensi del n. 1 di tale articolo. Altre disposizioni
della direttiva, come l'art. 6, definiscono talune limitazioni degli effetti del marchio
d'impresa.
39. Per quanto riguarda la situazione controversa nella causa principale, occorre osservare
che, come emerge in particolare dal punto 19 e dall'allegato V dell'ordinanza di rinvio, il
termine «Arsenal» figura a grandi lettere sulle sciarpe messe in vendita dal sig. Reed ed è
accompagnato da altre menzioni notevolmente meno visibili, in particolare «the
Gunners», che si riferiscono tutte al titolare del marchio, vale a dire l'Arsenal FC. Tali
sciarpe sono destinate, tra l'altro, ai sostenitori dell'Arsenal FC, che le indossano in
particolare durante le gare cui partecipa la detta società.
40. Pertanto, come ha osservato il giudice a quo, l'uso del segno identico al marchio
avviene effettivamente nel commercio, dal momento che si colloca nel contesto di
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un'attività commerciale finalizzata a un vantaggio economico e non nell'ambito privato.
Si tratta inoltre dell'ipotesi di cui all'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva, vale a dire quella
di un segno identico al marchio d'impresa per prodotti identici a quelli per cui esso è stato
registrato.
41. A tale proposito, occorre constatare in particolare che l'uso controverso nella causa
principale è fatto «per prodotti» ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva perché
riguarda l'apposizione del segno identico al marchio d'impresa su prodotti nonché
l'offerta, l'immissione in commercio o la detenzione a tali fini di prodotti, ai sensi dell'art.
5, n. 3, lett. a) e b), della direttiva.
42. Al fine di risolvere le questioni pregiudiziali, è necessario determinare se l'art. 5, n. 1,
lett. a), della direttiva autorizzi il titolare del marchio d'impresa a vietare qualsiasi uso nel
commercio, da parte di un terzo, di un segno identico al marchio d'impresa per prodotti
identici a quelli per cui quest'ultimo è stato registrato o se tale diritto di veto presupponga
la sussistenza di un interesse specifico del titolare in quanto titolare del marchio, nei
limiti in cui l'uso del segno di cui trattasi da parte di un terzo debba pregiudicare o poter
pregiudicare una delle funzioni del marchio.
43. A tal riguardo, occorre anzitutto rammentare che l'art. 5, n. 1, della direttiva realizza
un'armonizzazione completa e definisce il diritto esclusivo di cui godono i titolari di
marchi all'interno della Comunità (v., in tal senso, sentenza 20 novembre 2001, cause
riunite da C-414/99 a C-416/99, Zino Davidoff e Levi Strauss, Racc. pag. I-8691, punto
39, e giurisprudenza citata).
44. Nel nono considerando della direttiva si precisa che quest'ultima mira a garantire al
titolare del marchio d'impresa, «negli ordinamenti giuridici di tutti gli Stati membri, la
medesima tutela» e si qualifica tale finalità come «fondamentale».
45. Al fine di evitare che la tutela concessa al titolare del marchio vari da uno Stato
all'altro, spetta pertanto alla Corte dare un'interpretazione uniforme dell'art. 5, n. 1, della
direttiva, in particolare della nozione di «uso» ivi contenuta, nozione che forma oggetto
delle questioni pregiudiziali nella presente causa (v., in tal senso, citata sentenza Zino
Davidoff e Levi Strauss, punti 42 e 43).
46. In secondo luogo, si deve osservare che la direttiva è volta, come emerge dal suo
primo considerando, ad abolire le disparità tra le legislazioni degli Stati membri in
materia di marchi d'impresa che possono ostacolare la libera circolazione dei prodotti e la
libera prestazione dei servizi nonché falsare le condizioni di concorrenza nel mercato
comune.
47. Il diritto di marchio costituisce infatti un elemento essenziale del sistema di
concorrenza non falsato che il Trattato mira a stabilire e mantenere. In tale sistema le
imprese debbono essere in grado di attirare la clientela con la qualità delle loro merci o
dei loro servizi, il che è possibile solo grazie all'esistenza di contrassegni distintivi che
consentano di identificarli (v., segnatamente, sentenze 17 ottobre 1990, causa C-10/89,
Hag GF, Racc. pag. I-3711, punto 13, e 4 ottobre 2001, causa C-517/99, Merz & Krell,
Racc. pag. I-6959, punto 21).
48. In tale prospettiva, la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al
consumatore o all'utilizzatore finale l'identità di origine del prodotto o del servizio
contrassegnato dal marchio, consentendo loro di distinguere senza confusione possibile
questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa. Infatti, per poter
svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato
che il Trattato intende istituire e mantenere, il marchio deve costituire la garanzia che tutti
i prodotti o servizi che ne sono contrassegnati sono stati fabbricati o forniti sotto il
controllo di un'unica impresa alla quale possa attribuirsi la responsabilità della loro
qualità (v., in particolare, sentenze 23 maggio 1978, causa 102/77, Hoffmann-La Roche,
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Racc. pag. 1139, punto 7, e 18 giugno 2002, causa C-299/99, Philips, Racc. pag. I-5475,
punto 30).
49. Il legislatore comunitario ha consacrato tale funzione essenziale del marchio
disponendo, all'art. 2 della direttiva, che i segni che possono essere riprodotti
graficamente possono costituire un marchio alla sola condizione che essi siano adatti a
distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese (v., in particolare,
citata sentenza Merz & Krell, punto 23).
50. Perché tale garanzia di provenienza, che costituisce l'essenziale funzione del marchio,
possa essere garantita, il titolare del marchio deve essere tutelato nei confronti dei
concorrenti che volessero abusare della posizione e della reputazione del marchio
vendendo prodotti indebitamente contrassegnati con questo (v., segnatamente, citate
sentenze Hoffmann-La Roche, punto 7, e 11 novembre 1997, causa C-349/95,
Loendersloot, Racc. pag. I-6227, punto 22). A tale proposito, nel decimo considerando
della direttiva si sottolinea il carattere assoluto della tutela accordata al marchio d'impresa
in caso di identità tra il marchio d'impresa e il segno e tra i prodotti o servizi controversi e
quelli per i quali il marchio è stato registrato. Vi si specifica che tale tutela mira in
particolare a garantire la funzione d'origine del marchio d'impresa.
51. Da tali considerazioni discende che il diritto esclusivo previsto all'art. 5, n. 1, lett. a),
della direttiva è stato concesso al fine di consentire al titolare del marchio d'impresa di
tutelare i propri interessi specifici quale titolare di quest'ultimo, ossia garantire che il
marchio possa adempiere le sue proprie funzioni. L'esercizio di tale diritto deve essere
pertanto riservato ai casi in cui l'uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa
pregiudicare le funzioni del marchio e, in particolare, la sua funzione essenziale di
garantire ai consumatori la provenienza del prodotto.
52. Infatti, la natura esclusiva del diritto conferito dal marchio registrato al titolare di
quest'ultimo in forza dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva può essere giustificata solo nei
limiti dell'ambito di applicazione di tale disposizione.
53. A tale riguardo occorre rammentare che, ai sensi dell'art. 5, n. 5, della direttiva, l'art.
5, nn. 1-4, di quest'ultima non pregiudica le disposizioni applicabili in uno Stato membro
per la tutela contro l'uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i
prodotti o servizi.
54. Infatti, il titolare non potrebbe vietare l'uso di un segno identico al marchio d'impresa
per prodotti identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato se tale uso non potesse
pregiudicare i suoi interessi specifici in quanto titolare del marchio d'impresa, considerate
le funzioni di quest'ultimo. Pertanto, taluni usi a fini puramente descrittivi sono esclusi
dall'ambito di applicazione dell'art. 5, n. 1, della direttiva perché non ledono alcuno degli
interessi tutelati da tale disposizione e non rientrano quindi nella nozione di uso ai sensi
della disposizione stessa (v., per quanto riguarda un uso a fini puramente descrittivi
quanto alle caratteristiche del prodotto offerto, sentenza 14 maggio 2002, causa C-2/00,
Hölterhoff, Racc. I-4187, punto 16).
55. Al riguardo, è giocoforza constatare anzitutto che la situazione della fattispecie di cui
alla causa principale è fondamentalmente diversa da quella che ha originato la citata
sentenza Hölterhoff. Nel caso di specie, l'uso del segno si colloca infatti nell'ambito di
vendite a consumatori e non è manifestamente destinato a fini puramente descrittivi.
56. Alla luce della presentazione della parola «Arsenal» sui prodotti controversi nella
causa principale nonché delle altre diciture secondarie figuranti su questi ultimi (v. punto
39 della presente sentenza), l'uso di detto segno è tale da rendere credibile l'esistenza di
un collegamento materiale nel commercio tra i prodotti interessati e il titolare del
marchio.
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57. Tale conclusione non può essere rimessa in discussione dall'avvertenza, figurante nel
chiosco del sig. Reed, secondo cui i prodotti controversi nella causa principale non
costituiscono prodotti ufficiali dell'Arsenal FC (v. il punto 17 della presente sentenza).
Infatti, anche supponendo che una siffatta avvertenza possa essere fatta valere da un terzo
a sua difesa in un procedimento per contraffazione di marchio, è giocoforza constatare
che, nella fattispecie di cui alla causa principale, non può essere escluso che taluni
consumatori, in particolare se i prodotti sono presentati loro dopo essere stati venduti dal
sig. Reed e asportati al chiosco in cui appariva l'avvertenza, interpretino il segno come
indicante l'Arsenal FC quale impresa di provenienza dei prodotti.
58. Peraltro, si deve constatare che, nella fattispecie oggetto della causa principale, non è
nemmeno garantito, come esige tuttavia la giurisprudenza della Corte ricordata al punto
48 della presente sentenza, che tutti i prodotti contrassegnati dal marchio d'impresa siano
stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un'unica impresa alla quale possa attribuirsi la
responsabilità della loro qualità.
59. Infatti, i prodotti controversi nella causa principale vengono forniti al di fuori del
controllo dell'Arsenal FC quale titolare del marchio d'impresa, in quanto è pacifico che i
suddetti prodotti non provengono dall'Arsenal FC né dai suoi rivenditori autorizzati.
60. Pertanto, l'uso di un segno identico al marchio controverso nella causa principale può
mettere a repentaglio la garanzia di provenienza che costituisce la funzione essenziale del
marchio, come emerge dalla giurisprudenza della Corte menzionata al punto 48 di questa
sentenza. Pertanto si tratta di un uso al quale il titolare del marchio può opporsi in
conformità all'art. 5, n. 1, della direttiva.
61. Essendo accertato che, nella fattispecie di cui alla causa principale, l'uso da parte di
terzi del segno interessato può pregiudicare la garanzia di provenienza del prodotto e che
il titolare del marchio deve potervisi opporre, tale conclusione non può essere rimessa in
discussione dal fatto che il suddetto marchio venga percepito, nel contesto di tale uso,
come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del titolare del
marchio.
62. Alla luce di quanto precede, le questioni proposte dal giudice a quo devono essere
risolte nel senso che, in una situazione non rientrante nell'ambito di applicazione dell'art.
6, n. 1, della direttiva in cui un terzo faccia uso, nel commercio, di un segno identico a un
marchio d'impresa validamente registrato su prodotti identici a quelli per i quali è stato
registrato, il titolare del marchio, in una fattispecie come quella controversa nella causa
principale, può opporsi a tale uso conformemente all'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva.
Tale conclusione non può essere rimessa in discussione per il fatto che il detto segno, nel
contesto di tale uso, venga percepito come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o
appartenenza nei confronti del titolare del marchio.
Per questi motivi,
LA CORTE,
dichiara:
In una situazione non rientrante nell'ambito di applicazione dell'art. 6, n. 1, della prima
direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, in cui un terzo faccia uso,
nel commercio, di un segno identico a un marchio d'impresa validamente registrato su
prodotti identici a quelli per i quali è stato registrato, il titolare del marchio, in una
fattispecie come quella controversa nella causa principale, può opporsi a tale uso
conformemente all'art. 5, n. 1, lett. a), della suddetta direttiva. Tale conclusione non può
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essere rimessa in discussione per il fatto che il detto segno, nel contesto di tale uso, venga
percepito come una dimostrazione di sostegno, fedeltà o appartenenza nei confronti del
titolare del marchio.
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14. Procedimento C-243/01,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 234 CE, dal Tribunale di Ascoli Piceno nel procedimento penale dinanzi ad esso
pendente a carico di
Piergiorgio Gambelli e altri,
domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE,
LA CORTE,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 30 marzo 2001, pervenuta in cancelleria il 22 giugno successivo, il
Tribunale di Ascoli Piceno ha sottoposto alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, una
questione pregiudiziale relativa all'interpretazione degli artt. 43 CE e 49 CE.
2. La detta questione è stata sollevata nell'ambito di un procedimento penale a carico del
sig. Gambelli e di altri 137 indagati (in prosieguo: i «sigg. Gambelli e altri») accusati di
aver organizzato abusivamente scommesse clandestine e di essere proprietari di centri che
effettuerebbero attività di raccolta e trasmissione di dati in materia di scommesse, il che
costituisce un reato di frode contro lo Stato.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3. L'art. 43 CE così recita:
«Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei
cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate.
Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o
filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di uno Stato
membro.
La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività non salariate e al loro esercizio,
nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi
dell'articolo 48, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di
stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo
ai capitali».
4. L'art. 48, primo comma, CE, prevede che «[l]e società costituite conformemente alla
legislazione di uno Stato membro e aventi la sede sociale, l'amministrazione centrale o il
centro di attività principale all'interno della Comunità, sono equiparate (...) alle persone
fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri».
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5. L'art. 46, n. 1, CE, dispone che «[l]e prescrizioni del presente capo e le misure adottate
in virtù di queste ultime lasciano impregiudicata l'applicabilità delle disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative che prevedano un regime particolare per i
cittadini stranieri e che siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica
sicurezza e di sanità pubblica».
6. A norma dell'art. 49, primo comma, CE, «[n]el quadro delle disposizioni seguenti, le
restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della Comunità sono vietate nei
confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia
quello del destinatario della prestazione».
La normativa nazionale
7. Ai sensi dell'art. 88 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, Testo Unico delle Leggi
di Pubblica Sicurezza (GURI del 26 giugno 1931, n. 146; in prosieguo: il «regio
decreto»), «non può essere conceduta licenza per l'esercizio di scommesse, fatta
eccezione per le scommesse nelle corse, nelle regate, nei giuochi di palla o pallone e in
altre simili gare, quando l'esercizio delle scommesse costituisce una condizione
necessaria per l'utile svolgimento della gara».
8. Ai sensi dell'art. 37 della Legge Finanziaria 23 dicembre 2000, n. 388 (Supplemento
ordinario della GURI del 29 dicembre 2000; in prosieguo: la «legge n. 388/00»), la
licenza di esercizio delle scommesse è accordata solo ai concessionari o autorizzati da un
ministero o altro ente al quale la legge riserva la facoltà di organizzare o accettare
scommesse. Le scommesse possono riguardare tanto il risultato di eventi sportivi posti
sotto il controllo del Comitato olimpico nazionale italiano (in prosieguo: il «CONI») o
delle organizzazioni da esso dipendenti, quanto il risultato delle corse di cavalli
organizzate tramite l'Unione nazionale per l'incremento delle razze equine (in prosieguo:
l'«UNIRE»).
9. Gli artt. 4, 4 bis e 4 ter della legge 13 dicembre 1989, n. 401, recante «Interventi nel
settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello
svolgimento di competizioni agonistiche» (GURI del 18 dicembre 1989, n. 294; in
prosieguo: la «legge n. 401/89»), come modificata dall'art. 37, n. 5, della legge n. 388/00,
che ha introdotto gli artt. 4 bis e 4 ter nella legge n. 401/89, dispongono quanto segue:
«Esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa
Articolo 4
1. Chiunque esercita abusivamente l'organizzazione del giuoco del lotto o di scommesse
o di concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario, è
punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi comunque
organizza scommesse o concorsi pronostici su attività sportive gestite dal Comitato
olimpico nazionale italiano (CONI), dalle organizzazioni da esso dipendenti o
dall'Unione italiana per l'incremento delle razze equine (UNIRE). Chiunque
abusivamente esercita l'organizzazione di pubbliche scommesse su altre competizioni di
persone o animali e giuochi di abilità è punito con l'arresto da tre mesi ad un anno e con
l'ammenda non inferiore a lire un milione.
2. Quando si tratta di concorsi, giuochi o scommesse gestiti con le modalità di cui al
primo comma, e fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo,
chiunque in qualsiasi modo dà pubblicità al loro esercizio è punito con l'arresto fino a tre
mesi e con l'ammenda da lire centomila a lire un milione.
3. Chiunque partecipa a concorsi, giuochi, scommesse gestiti con le modalità di cui al
primo comma, fuori dei casi di concorso in uno dei reati previsti dal medesimo, è punito
con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda da lire centomila a lire un milione.
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(...)
Articolo 4 bis
Le sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione,
autorizzazione o licenza ai sensi dell'articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive
modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accertare o
raccogliere o comunque favorire l'accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per
via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in
Italia o all'estero.
Articolo 4 ter
(...) le sanzioni di cui al presente articolo si applicano a chiunque effettui la raccolta o la
prenotazione di giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scommesse per via telefonica
o telematica, ove sprovvisto di apposita autorizzazione all'uso di tali mezzi per la predetta
raccolta o prenotazione».
La causa principale e la questione pregiudiziale
10. Dall'ordinanza di rinvio emerge che il Pubblico ministero e il giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Fermo hanno rilevato l'esistenza di un'organizzazione
diffusa e capillare di agenzie italiane, collegate via Internet con il bookmaker Stanley
International Betting Ltd (in prosieguo: la «Stanley»), con sede in Liverpool (Regno
Unito), della quale fanno parte il sig. Gambelli e altri, che sono gli indagati nella causa
principale. Viene loro contestato di aver collaborato, sul territorio italiano, con un
bookmaker straniero all'attività di raccolta di scommesse di regola riservata per legge allo
Stato, in violazione della legge n. 401/89.
11. Tale attività, considerata in contrasto con il regime di monopolio sulle scommesse
sportive attribuito al CONI e integrante la fattispecie di reato prevista dall'art. 4 della
legge n. 401/89, si svolgeva con le seguenti modalità: comunicazione da parte del
giocatore al responsabile dell'Agenzia italiana delle partite sulle quali intende
scommettere e indicazioni della somma giocata; invio, da parte della predetta agenzia, via
Internet, della richiesta di accettazione al bookmaker con indicazione degli incontri di
calcio nazionali in questione e delle puntate effettuate; invio, da parte del bookmaker, via
Internet e in tempo reale, della conferma dell'accettazione della scommessa; trasmissione
di tale conferma, da parte dell'agenzia italiana, al giocatore e pagamento di quest'ultimo
del corrispettivo dovuto all'agenzia, inoltrato poi al bookmaker su apposito conto estero.
12. La Stanley è una società di capitali di diritto britannico, registrata nel Regno Unito e
che svolge attività di bookmaker sulla base di una licenza rilasciata dalla Città di
Liverpool ai sensi del Betting Gaming and Lotteries Act, con facoltà di svolgere tale
attività nel Regno Unito e all'estero. La detta società organizza e gestisce scommesse in
base ad una licenza britannica selezionando gli eventi e le quote, nonché assumendone il
rischio economico. La Stanley versa le vincite e paga le varie imposte previste nel Regno
Unito, oltre alle tasse sulle retribuzioni e ad altri tributi. Essa è soggetta a controlli
rigorosi quanto alla regolarità delle attività svolte, controlli che vengono effettuati da una
società privata di revisione nonché dall'Inland Revenue e dal Customs & Excise.
13. La Stanley propone al pubblico europeo un ampio ventaglio di scommesse a quota
fissa su eventi sportivi nazionali, europei o mondiali. I singoli possono partecipare dalla
propria abitazione, mediante vari sistemi come Internet, via fax o telefonicamente, alle
scommese organizzate e gestite dalla Stanley.
14. La presenza della Stanley in Italia come impresa si concretizza in accordi
commerciali con operatori ovvero intermediari italiani, accordi relativi alla creazione di
centri di trasmissione dati. Tali centri mettono a disposizione degli utenti alcuni mezzi
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telematici, raccolgono e registrano le intenzioni degli scommettitori e le trasmettono alla
Stanley.
15. Gli indagati nella causa principale sono iscritti alla Camera di Commercio quali
proprietari di imprese per l'avvio di un centro trasmissione dati e sono stati autorizzati dal
Ministero delle Poste e delle Comunicazioni alla trasmissione di dati.
16. Il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Fermo emanava un decreto di
sequestro preventivo e gli indagati venivano sottoposti a perquisizioni personali e
controlli nelle agenzie, nelle abitazioni e nelle autovetture. Veniva ordinato l'arresto
dell'indagato Garrisi, membro del Consiglio di amministrazione della Stanley.
17. Contro i decreti di sequestro dei centri trasmissione dati di loro proprietà gli indagati
della causa principale hanno proposto istanza di riesame dinanzi al Tribunale di Ascoli
Piceno.
18. Il Tribunale di Ascoli Piceno si richiama alla giurisprudenza della Corte, in
particolare alla sentenza 21 ottobre 1999, causa C-67/98, Zenatti (Racc. pag. I-7289).
Osserva tuttavia che le questioni sorte nella causa dinanzi ad esso pendente non sono
pienamente riconducibili alle fattispecie già esaminate dalla Corte nella menzionata
sentenza Zenatti. Le recenti modifiche della legge n. 401/89 richiederebbero un nuovo
esame della questione da parte della Corte.
19. A tale riguardo il Tribunale di Ascoli Piceno si riferisce ai lavori parlamentari relativi
alla legge n. 388/00, dai quali emergerebbe che le restrizioni introdotte da quest'ultima
nella legge n. 401/89 sarebbero state dettate prioritariamente dall'esigenza di
salvaguardare la categoria dei «Totoricevitori» sportivi, categoria imprenditoriale privata.
Detto giudice afferma di non ravvisare, in tali restrizioni, alcuna preoccupazione di
ordine pubblico che possa giustificare la limitazione dei diritti garantiti dalla normativa
comunitaria o costituzionale.
20. Detto giudice sottolinea che la liceità dell'attività di raccolta e di trasmissione delle
scommesse su eventi sportivi esteri, ricavabile dall'originaria formulazione dell'art. 4
della legge n. 401/89, aveva provocato la nascita e lo sviluppo di una rete di operatori che
avevano investito capitali e creato infrastrutture nel settore del giuoco e delle scommesse.
Tali operatori avrebbero visto improvvisamente messa in discussione la regolarità della
loro posizione in seguito alle modifiche normative introdotte con la legge n. 388/00
contenente divieti - penalmente sanzionati - di svolgere attività, da chiunque e ovunque
effettuate, di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di
scommessa, in particolare su eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione
dello Stato.
21. Il giudice del rinvio si pone la questione del rispetto del principio di proporzionalità
con riguardo, da un canto, al rigore del divieto previsto, accompagnato da sanzioni penali
tali da rendere praticamente impossibile per le imprese o per gli operatori comunitari
legalmente costituiti lo svolgimento in Italia di attività economiche nel settore del giuoco
e delle scommesse, e, d'altro canto, con riguardo all'importanza dell'interesse pubblico
interno protetto cui vengono sacrificate le libertà sancite dal diritto comunitario.
22. Il Tribunale di Ascoli Piceno ritiene peraltro di doversi interrogare sulla rilevanza
dell'apparente discrasia esistente tra la normativa interna di rigoroso contenimento delle
attività di accettazione delle scommesse sportive da parte delle imprese comunitarie
estere, da un lato, e la forte espansione del giuoco e delle scommesse che lo Stato italiano
persegue sul piano nazionale con finalità di raccolta di risorse per l'Erario, dall'altro.
23. Il detto giudice osserva che il procedimento dinanzi ad esso pendente solleva, da un
lato, questioni di diritto interno relative alla compatibilità delle modifiche legislative
apportate all'art. 4 della legge n. 401/89 con la Costituzione italiana, che tutela l'iniziativa
economica privata per le attività non assoggettate ad imposizione fiscale da parte dello
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Stato e, dall'altro, questioni relative all'incompatibilità della norma contenuta nella detta
disposizione con la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi transfontalieri.
Con riguardo alle questioni di diritto interno così formulate, il Tribunale di Ascoli Piceno
ha adito la Corte costituzionale.
24. Ciò premesso, il Tribunale di Ascoli Piceno ha deciso di sospendere il procedimento e
di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:
«Se vi sia incompatibilità, con conseguenti effetti nell'ordinamento giuridico interno, tra
gli artt. 43 e segg. e 49 e segg. del Trattato CE in materia di libertà di stabilimento e di
libertà di prestazione dei servizi transfontalieri, da un canto, e, d'altro canto, una
normativa nazionale quale quella italiana di cui agli artt. 4, primo comma e segg., 4 bis e
4 ter della legge n. 401/89 (come da ultimo modificata con l'art. 37, quinto comma, della
legge 23 dicembre 2000, n. 388) contenente divieti - penalmente sanzionati - di
svolgimento delle attività, da chiunque e ovunque effettuate, di raccolta, accettazione,
prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, in particolare, su eventi sportivi,
in assenza di presupposti concessori e autorizzatori prescritti dal diritto interno».
Sulla questione pregiudiziale
Osservazioni presentate alla Corte
25. Il sig. Gambelli e altri osservano che, vietando ai cittadini italiani di collaborare con
società straniere al fine di effettuare scommesse e di ricevere in tal modo i servizi offerti
da tali società via Internet, proibendo agli intermediari italiani di offrire le scommesse
gestite dalla Stanley, impedendo a quest'ultima di stabilirsi in Italia mediante i detti
intermediari e di offrire così in tale Stato i propri servizi provenienti da un altro Stato
membro e, dunque, creando e mantenendo un monopolio nel settore del giuoco e delle
scommesse, la normativa oggetto della causa principale costituisce una restrizione sia alla
libertà di stabilimento sia alla libera prestazione di servizi. Tale restrizione non potrebbe
essere giustificata alla luce della giurisprudenza della Corte risultante dalle sentenze 24
marzo 1994, causa C-275/92, Schindler (Racc. pag. I-1039), 21 settembre 1999, causa C-
124/97, Läärä e a. (Racc. pag. I-6067), e Zenatti, citata supra, poiché la Corte non
avrebbe avuto modo di esaminare le modifiche introdotte nella detta normativa dalla
legge n. 388/00 e non avrebbe esaminato la problematica sotto il profilo della libertà di
stabilimento.
26. A tale riguardo gli indagati nella causa principale sottolineano che lo Stato italiano
non persegue alcuna politica coerente finalizzata a limitare ovvero a sopprimere le attività
di giuoco, ai sensi delle menzionate sentenze Läärä e a., punto 37, e Zenatti, punto 36. Le
preoccupazioni dedotte dalle autorità nazionali con riguardo alla tutela degli
scommettitori contro i pericoli di frode, alla salvaguardia dell'ordine pubblico o alla
riduzione delle occasioni di giuoco per evitare le conseguenze dannose delle scommesse,
sia sul piano individuale che sociale, e con riguardo all'incitamento alla spesa che queste
ultime costituiscono, sarebbero destituite di fondamento dal momento che lo Stato
incrementa l'offerta di giuochi e di scommesse e incita anche i singoli a ricorrere a tali
giuochi facilitando il sistema di raccolta per aumentare gli introiti fiscali. La circostanza
che l'organizzazione delle scommesse sia disciplinata da leggi finanziarie indicherebbe la
reale motivazione, di natura economica, delle autorità nazionali.
27. La finalità della normativa italiana consisterebbe parimenti nel proteggere i
concessionari del monopolio nazionale rendendo quest'ultimo impenetrabile per gli
operatori degli altri Stati membri, atteso che i bandi di gara prevedono criteri riguardanti
la struttura proprietaria che non possono essere soddisfatti da una società di capitali
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quotata in borsa, ma solo da persone fisiche, e che essi impongono il requisito di disporre
di locali e di essere concessionari di lunga data.
28. Gli indagati della causa principale sostengono che è difficile ammettere che una
società quale la Stanley, operante in modo assolutamente legittimo e debitamente
controllata nel Regno Unito, venga trattata dal legislatore italiano al pari di un operatore
che pratichi l'organizzazione di giuochi clandestini, quando tutti gli elementi connessi con
l'interesse pubblico sono tutelati dalla normativa britannica e gli operatori intermediari
italiani, contrattualmente legati alla detta società quali sedi secondarie o filiali, sono
iscritti all'ordine dei fornitori di servizi e registrati presso il Ministero delle Poste e delle
Comunicazioni, con il quale operano e dal quale sono periodicamente sottoposti a
controlli e verifiche.
29. Tale situazione, rilevante sotto il profilo della libertà di stabilimento, si porrebbe in
contrasto con il principio del reciproco riconoscimento nei settori non ancora
armonizzati. Essa violerebbe, del pari, il principio di proporzionalità, tanto più che la
sanzione penale dovrebbe costituire l'extrema ratio alla quale uno Stato membro può
ricorrere quando altre misure o strumenti non siano in grado di fornire una tutela
adeguata dei beni da proteggere. Orbene, per effetto della normativa italiana, il giocatore
che si trovi sul territorio italiano non solo sarebbe privato della possibilità di rivolgersi ai
bookmakers stabiliti in un altro Stato membro, ancorché mediante l'intermediazione di
operatori stabiliti in Italia, ma sarebbe anche passibile di sanzione penale.
30. I governi italiano, belga, ellenico, spagnolo, francese, lussemburghese, portoghese,
finlandese e svedese, nonché la Commissione si richiamano alla giurisprudenza della
Corte, in particolare alle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti.
31. Il governo italiano richiama la sentenza Zenatti, citata supra, al fine di giustificare la
compatibilità della legge n. 401/89 con la normativa comunitaria in materia di libera
prestazione dei servizi, nonché di libertà di stabilimento. Sia l'aspetto preso in
considerazione dalla Corte nella detta sentenza, vale a dire l'autorizzazione
amministrativa a svolgere l'attività di raccolta e di gestione delle scommesse sul territorio
italiano, sia la questione sorta nella causa principale, vale a dire la previsione di una
sanzione penale che vieta tale attività allorché è prestata da operatori che non facciano
parte del sistema di monopolio statale in materia di scommesse, perseguirebbero la
medesima finalità, costituita dal divieto dell'attività e dalla riduzione delle opportunità
concrete di giuoco al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
32. Secondo il governo belga, un mercato unico dei giuochi d'azzardo potrebbe soltanto
indurre i consumatori a sperperare somme maggiori e comporterebbe rilevanti
conseguenze dannose per la società. Il livello di tutela introdotto dalla legge n. 401/89 ed
il sistema restrittivo di autorizzazione sarebbero idonei ad assicurare la realizzazione di
obiettivi di interesse generale, quali la limitazione e il controllo rigoroso dell'offerta dei
giuochi nonché delle scommesse, e sarebbe proporzionale ai detti obiettivi, senza
comportare alcuna discriminazione in base alla nazionalità.
33. Il governo ellenico ritiene che l'organizzazione dei giuochi d'azzardo e delle
scommesse su eventi sportivi debba rimanere sotto il controllo dello Stato ed essere
esercitata sotto forma di monopolio. Il suo esercizio da parte di enti privati produrrebbe
conseguenze dirette, quali il turbamento dell'ordine pubblico, l'incitamento alla
commissione di reati nonché lo sfruttamento degli scommettitori e, più in generale, dei
consumatori.
34. Il governo spagnolo fa valere che sia l'attribuzione di diritti speciali o esclusivi,
mediante un rigoroso regime di autorizzazioni o di concessioni, sia il divieto di apertura
di succursali di agenzie straniere ai fini della raccolta di scommesse effettuate in altri
Stati membri sono compatibili con la politica di limitazione dell'offerta, sempreché tali
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misure vengano introdotte con la finalità di ridurre le occasioni di giuoco e lo stimolo
della domanda.
35. Il governo francese sostiene che la circostanza che, nella causa principale, la raccolta
delle scommesse si effettui con mezzi telematici e gli eventi sportivi che ne costituiscono
l'oggetto si svolgano esclusivamente sul territorio italiano - il che non si verificava nella
causa sfociata nella menzionata sentenza Zenatti - non rimetterebbe in questione la
giurisprudenza della Corte ai sensi della quale una normativa nazionale che limiti
l'esercizio di attività legate a giuochi d'azzardo, alle lotterie ed alle slot machines è
compatibile con il principio della libera prestazione dei servizi ove tale normativa sia
finalizzata ad obiettivi di interesse generale quali la prevenzione della frode o la
protezione dei giocatori dal loro stesso comportamento. Gli Stati membri sarebbero
pertanto legittimati a disciplinare l'attività degli operatori in materia di scommesse a
condizioni non discriminatorie, l'intensità e la portata delle restrizioni rientrando nei
margini di discrezionalità riconosciuti alle autorità nazionali. Spetterebbe pertanto ai
giudici degli Stati membri valutare se le autorità nazionali abbiano rispettato la corretta
proporzione nella scelta dei mezzi utilizzati, con riguardo al principio della libera
prestazione dei servizi.
36. Quanto alla libertà di stabilimento, il governo francese ritiene che le restrizioni alle
attività delle società italiane indipendenti contrattualmente legate alla Stanley non
pregiudichino il diritto del detto bookmaker di stabilirsi liberamente in Italia.
37. Secondo il governo lussemburghese, la normativa italiana costituisce un ostacolo
all'esercizio di un'attività di organizzazione di scommesse in Italia, poiché impedisce alla
Stanley l'esercizio delle proprie attività sul territorio italiano, vuoi direttamente mediante
la libera prestazione di servizi transfontalieri, vuoi indirettamente con l'intermediazione di
agenzie italiane connesse via Internet. La detta normativa costituirebbe, al contempo, un
ostacolo alla libertà di stabilimento. Tuttavia, tali restrizioni sarebbero giustificate in
quanto perseguono obiettivi di interesse generale, quali la preoccupazione di incanalare e
controllare il desiderio di giocare, e sono idonee e proporzionate rispetto ai detti obiettivi,
in quanto non comportano discriminazioni riguardanti la nazionalità, dal momento che sia
gli organismi italiani sia quelli con sede all'estero devono ottenere la stessa licenza
rilasciata dal Ministro delle Finanze per poter esercitare sul territorio italiano le attività di
organizzazione, accettazione e raccolta di scommesse.
38. Il governo portoghese sottolinea la rilevanza della questione oggetto della causa
principale ai fini del mantenimento, in Italia come in tutti gli Stati membri, della gestione
delle lotterie in regime di monopolio pubblico, nonché ai fini di assicurare un'importante
fonte di entrate per gli Stati, che sostituisca la riscossione coercitiva di imposte e che
serva a finanziare le politiche sociali, culturali e sportive. Per quanto riguarda il giuoco
d'azzardo, l'economia di mercato e la libera concorrenza implicherebbero una
ridistribuzione antisociale dei fondi raccolti tramite il giuoco, dal momento che tali fondi
tenderebbero a spostarsi da paesi in cui il complesso degli importi delle scommesse è
modesto a paesi in cui tale importo è più considerevole e l'ammontare dei premi più
interessante. Gli scommettitori dei piccoli Stati membri finanzierebbero pertanto il
bilancio sociale, culturale e sportivo degli Stati membri più grandi e, negli Stati membri
più piccoli, la diminuzione delle entrate dei giuochi costringerebbe i rispettivi governi a
finanziare altrimenti l'azione sociale pubblica e le altre attività sociali, sportive e culturali
dello Stato, il che comporterebbe, nei piccoli Stati, un aumento delle imposte e, negli
Stati grandi, una diminuzione delle imposte. La spartizione del mercato del lotto e delle
lotterie statali fra tre o quattro grandi gestori nell'Unione europea produrrebbe peraltro
cambiamenti strutturali nelle reti di distribuzione di giuochi legittimamente gestite dagli
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Stati, provocando la soppressione di numerosi posti di lavoro e un divario tra i livelli di
disoccupazione dei diversi Stati membri.
39. Il governo finlandese si richiama, in particolare, alla menzionata sentenza Läärä e a.,
nella quale la Corte avrebbe riconosciuto che la necessità e la proporzionalità delle
disposizioni emanate da uno Stato membro devono essere valutate soltanto alla stregua
degli obiettivi perseguiti dalle autorità nazionali di tale Stato e del livello di tutela che
intendono assicurare, cosicché spetterebbe al giudice del rinvio verificare se, in
considerazione delle sue concrete modalità di applicazione, la normativa nazionale
consenta di conseguire gli obiettivi che ne giustificano l'esistenza e se le restrizioni siano
proporzionate rispetto agli obiettivi medesimi, fermo restando che tale normativa deve
trovare applicazione indistintamente nei confronti di tutti gli operatori, siano essi italiani
o provenienti da un altro Stato membro.
40. Secondo il governo svedese, la circostanza che l'introduzione di restrizioni alla libera
prestazione di servizi sia finalizzata ad interessi di natura fiscale non consente di
concludere che tali restrizioni siano in contrasto con il diritto comunitario, sempreché
siano proporzionate e non discriminatorie tra gli operatori, il che spetta al giudice del
rinvio accertare. Le modifiche apportate alla normativa italiana dalla legge n. 388/00
consentono di vietare a un ente al quale sia stata negata l'autorizzazione alla raccolta di
scommesse in Italia di eludere la legge esercitando la propria attività da un altro Stato
membro e vietano ad enti stranieri che organizzano scommesse nel proprio paese di
esercitare in Italia la loro attività. Come la Corte ha già avuto modo di affermare ai punti,
rispettivamente, 36 e 34 delle menzionate sentenze Läärä e a. e Zenatti, la sola
circostanza che uno Stato membro abbia scelto un sistema di tutela diverso da quello
adottato da un altro Stato membro non può incidere sulla valutazione della necessità e
della proporzionalità delle disposizioni adottate in materia.
41. La Commissione delle Comunità europee ritiene che le modifiche legislative di cui
alla legge n. 388/00 si limitano ad esplicitare quanto già previsto dalla legge n. 401/89,
senza creare una fattispecie di reati completamente nuova. Le ragioni di ordine sociale
che inducono a limitare gli effetti nocivi delle attività di scommessa sugli incontri di
calcio e che giustificano una normativa nazionale che riservi a determinati enti il diritto di
raccogliere tali scommesse restano identiche, indipendentemente dallo Stato membro in
cui tali manifestazioni abbiano luogo. La circostanza che, nella menzionata sentenza
Zenatti, le manifestazioni sportive oggetto delle scommesse si svolgessero all'estero,
mentre nella causa principale gli incontri di calcio hanno luogo in Italia, sarebbe del tutto
irrilevante. La Commissione aggiunge che la direttiva del Parlamento europeo e del
Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della
società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno
(«direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1), non si applica alle
scommesse, sicché la questione non dovrebbe essere risolta in modo diverso rispetto alla
detta sentenza.
42. La Commissione osserva che la causa non deve essere esaminata sotto il profilo della
libertà di stabilimento, dal momento che le agenzie gestite dagli indagati nella causa
principale sono indipendenti ed agiscono quali centri di raccolta delle scommesse e come
intermediarie nelle relazioni tra i loro clienti italiani e la Stanley, al di fuori di ogni
rapporto di subordinazione nei confronti di quest'ultima. Tuttavia, anche se si dovesse
ipotizzare l'applicabilità delle disposizioni sul diritto di stabilimento, le restrizioni
introdotte dalla normativa italiana sarebbero giustificate dalle stesse ragioni di politica
sociale riconosciute dalla Corte nelle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti
con riguardo alla restrizione della libera prestazione dei servizi.
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43. All'udienza, la Commissione ha comunicato alla Corte di aver avviato un
procedimento per inadempimento nei confronti della Repubblica italiana relativo alla
liberalizzazione del settore delle scommesse ippiche gestite dall'UNIRE. Quanto al
settore del lotto, che è liberalizzato, la Commissione ha ricordato la sentenza 26 aprile
1994, causa C-272/91, Commissione/Italia (Racc. pag. I-1409), nella quale la Corte ha
affermato che la Repubblica italiana, avendo riservato la partecipazione a un bando di
gara relativo ad un appalto-concorso per la concessione del sistema di automazione del
giuoco del lotto soltanto ad enti, società, consorzi o raggruppamenti il cui capitale
sociale, considerato singolarmente o complessivamente, fosse a prevalente partecipazione
pubblica, è venuta meno agli obblighi che le incombono, in particolare, ai sensi del
Trattato CE.
Pronuncia della Corte
44. Occorre esaminare, in primo luogo, se una normativa quale la legge n. 401/89 di cui
alla causa principale costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento.
45. Si deve ricordare che le restrizioni alla libertà di stabilimento da parte dei cittadini di
uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, ivi comprese le restrizioni
all'apertura di agenzie, di succursali o di filiali, sono vietate dall'art. 43 CE.
46. Laddove una società, quale la Stanley, con sede in uno Stato membro, effettui
un'attività di raccolta di scommesse con l'intermediazione di una organizzazione di
agenzie situate in un altro Stato membro, quali le agenzie degli indagati di cui alla causa
principale, le restrizioni imposte alle attività di tali agenzie costituiscono ostacoli alla
libertà di stabilimento.
47. Inoltre, in risposta ai quesiti posti dalla Corte all'udienza, il governo italiano ha
riconosciuto che la normativa italiana relativa ai bandi di gara per le attività di
scommessa in Italia contiene restrizioni. Secondo il detto governo, la circostanza che
nessun ente abbia ottenuto l'omologazione per tali attività, salvo quello detentore del
monopolio nel settore, troverebbe spiegazione nel fatto che la normativa italiana è
concepita in modo tale che solo alcuni soggetti possano ottenere la concessione.
48. Orbene, nella misura in cui l'assenza di operatori stranieri tra i concessionari del
settore delle scommesse relative ad eventi sportivi in Italia è dovuta alla circostanza che
la normativa italiana in materia di bandi di gara esclude, in pratica, che le società di
capitali quotate sui mercati regolamentati degli altri Stati membri possano ottenere
concessioni, la detta normativa costituisce, prima facie, una restrizione alla libertà di
stabilimento, anche se tale restrizione si impone indistintamente a tutte le società di
capitali potenzialmente interessate da tali concessioni, indipendentemente dal fatto che
abbiano sede in Italia o in un altro Stato membro.
49. Non si può pertanto escludere che i requisiti dettati dalla normativa italiana per
partecipare ai bandi di gara, ai fini dell'attribuzione delle dette concessioni, costituiscano
parimenti un ostacolo alla libertà di stabilimento.
50. In secondo luogo, si deve esaminare se la detta normativa costituisca una restrizione
alla libera prestazione dei servizi.
51. L'art. 49 CE vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno della
Comunità nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della
Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione. L'art. 50 qualifica
«servizi» le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano
regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle
persone.
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52. La Corte ha già affermato che l'importazione di documenti pubblicitari e di biglietti di
lotteria in uno Stato membro per far partecipare gli abitanti di detto Stato membro ad una
lotteria organizzata in un altro Stato membro si ricollega ad un'attività di «servizi»
(sentenza Schindler, citata supra, punto 37). Analogicamente, l'attività consistente nel far
partecipare i cittadini di uno Stato membro a giuochi di scommesse organizzati in un altro
Stato membro, ancorché aventi ad oggetto eventi sportivi organizzati nel primo Stato
membro, si ricollega ad un'attività di «servizi» ai sensi dell'art. 50 CE.
53. La Corte ha affermato, del pari, che l'art. 49 CE dev'essere interpretato nel senso che
esso concerne i servizi che un prestatore offre telefonicamente a potenziali destinatari
stabiliti in altri Stati membri e che questi fornisce senza spostarsi dallo Stato membro nel
quale è stabilito (sentenza 10 maggio 1995, causa C-384/93, Alpine Investments, Racc.
pag. I-1141, punto 22).
54. Applicando tale interpretazione alla problematica della causa principale, ne consegue
che l'art. 49 CE riguarda i servizi che un prestatore quale la Stanley, con sede in uno Stato
membro, nella specie il Regno Unito, offre via Internet - e dunque senza spostarsi - a
destinatari che si trovino in un altro Stato membro, nella specie la Repubblica italiana,
sicché ogni restrizione a tali attività costituisce una restrizione alla libera prestazione dei
servizi da parte di un tale prestatore.
55. Inoltre, la libera prestazione dei servizi comprende non solo la libertà del prestatore di
offrire ed effettuare servizi per destinatari stabiliti in uno Stato membro diverso da quello
sul cui territorio si trovi il detto prestatore, ma anche la libertà di ricevere o beneficiare,
in quanto destinatario, dei servizi offerti da un prestatore stabilito in un altro Stato
membro, senza essere impedito da restrizioni (v., in tal senso, sentenze 31 gennaio 1984,
cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone, Racc. pag. 377, punto 16, e 26 ottobre
1999, causa C-294/97, Eurowings Luftverkehr, Racc. pag. I-7447, punti 33 e 34).
56. Orbene, rispondendo ai quesiti posti dalla Corte all'udienza, il governo italiano ha
confermato che l'attività di un privato che si connette in Italia dal proprio domicilio, via
Internet, con un bookmaker stabilito in un altro Stato membro, facendo uso della propria
carta di credito quale mezzo di pagamento, costituisce un reato ai sensi dell'art. 4 della
legge n. 401/89.
57. Tale divieto, penalmente sanzionato, di partecipare a scommesse organizzate in Stati
membri diversi da quello sul cui territorio risiede il giocatore, costituisce una restrizione
alla libera prestazione dei servizi.
58. Lo stesso vale per il divieto, del pari penalmente sanzionato, nei confronti degli
intermediari, quali gli indagati nella causa principale, di agevolare la prestazione di
servizi di scommesse su eventi sportivi organizzati da un prestatore, quale la Stanley, con
sede in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti intermediari svolgono la propria
attività, poiché un tale divieto costituisce una restrizione al diritto del bookmaker alla
libera prestazione dei servizi, anche se gli intermediari si trovano nello stesso Stato
membro dei destinatari dei servizi medesimi.
59. Si deve pertanto rilevare che una normativa nazionale quale la legislazione italiana
sulle scommesse, in particolare l'art. 4 della legge n. 401/89, costituisce una restrizione
alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi.
60. Ciò premesso, occorre esaminare se tali restrizioni possano essere ammesse a titolo di
misure derogatorie espressamente previste agli artt. 45 CE e 46 CE, ovvero se possano
essere giustificate, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi imperativi
di interesse generale.
61. Quanto agli argomenti fatti valere, in particolare, dai governi ellenico e portoghese al
fine di giustificare le restrizioni ai giuochi di azzardo e alle scommesse, è sufficiente
ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la riduzione o la diminuzione delle
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entrate fiscali non rientra fra i motivi enunciati all'art. 46 CE e non può essere considerata
come un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere per
giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento o alla libera prestazione dei servizi
(v., in tal senso, sentenze 16 luglio 1998, causa C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto
28, e 3 ottobre 2002, causa C-136/00, Danner, Racc. pag. I-8147, punto 56).
62. Come si evince dal punto 36 della menzionata sentenza Zenatti, le restrizioni devono
perseguire in ogni caso l'obiettivo di un'autentica riduzione delle opportunità di giuoco e
il finanziamento di attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dai
giuochi autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa accessoria, e non la
reale giustificazione, della politica restrittiva attuata.
63. Per contro, come ricordato sia dai governi che hanno presentato osservazioni sia dalla
Commissione, nelle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti, la Corte ha
affermato che le considerazioni di ordine morale, religioso o culturale, nonché le
conseguenze moralmente e finanziariamente dannose per l'individuo e la società che sono
collegate ai giuochi d'azzardo e alle scommesse possono giustificare che le autorità
nazionali dispongano di un potere discrezionale sufficiente a determinare le esigenze di
tutela del consumatore e dell'ordine sociale.
64. In ogni caso, per risultare giustificate, le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla
libera prestazione dei servizi devono presentare i requisiti previsti dalla giurisprudenza
della Corte (v., in particolare, sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag.
I-1663, punto 32, e 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto
37).
65. Ai sensi di tale giurisprudenza, infatti, le dette restrizioni devono, in primo luogo,
essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale; in secondo luogo, devono
essere idonee a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e, in terzo luogo, non
andare oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo. In ogni caso, devono
essere applicate in modo non discriminatorio.
66. Spetta al giudice del rinvio stabilire se, nella causa principale, le restrizioni alla libertà
di stabilimento e alla libera prestazione di servizi previste dalla legge n. 401/89 rispettino
tali requisiti. A tal fine, il detto giudice dovrà tener conto degli elementi precisati nei
punti seguenti.
67. Anzitutto, anche se, nelle menzionate sentenze Schindler, Läärä e a. e Zenatti, la
Corte ha ammesso che le restrizioni alle attività di giuoco possono essere giustificate da
motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela del consumatore e la prevenzione
della frode e dell'incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al giuoco,
occorre tuttavia che le restrizioni fondate su tali motivi e sulla necessità di prevenire
turbative all'ordine sociale siano idonee a garantire la realizzazione dei detti obiettivi, nel
senso che tali restrizioni devono contribuire a limitare le attività di scommessa in modo
coerente e sistematico.
68. A tale riguardo, riferendosi ai lavori preparatori della legge n. 388/00, il giudice del
rinvio ha sottolineato che lo Stato italiano persegue, a livello nazionale, una politica di
forte espansione del giuoco e delle scommesse allo scopo di raccogliere fondi, tutelando i
concessionari del CONI.
69. Orbene, laddove le autorità di uno Stato membro inducano ed incoraggino i
consumatori a partecipare alle lotterie, ai giuochi d'azzardo o alle scommesse affinché il
pubblico erario ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono
invocare l'ordine pubblico sociale con riguardo alla necessità di ridurre le occasioni di
giuoco per giustificare provvedimenti come quelli oggetto della causa principale.
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70. Inoltre, le restrizioni imposte dalla normativa italiana in materia di bandi di gara
devono essere indistintamente applicabili, vale a dire con le stesse modalità e con gli
stessi criteri agli operatori stabiliti in Italia ed a quelli provenienti da altri Stati membri.
71. Spetterà al giudice del rinvio esaminare se i requisiti di partecipazione ai bandi di
gara per le concessioni relative alla gestione di scommesse su eventi sportivi siano fissati
in termini tali da poter essere soddisfatti, in pratica, più facilmente dagli operatori italiani
che non da quelli stranieri. In tale ipotesi, i detti requisiti non rispetterebbero il criterio di
non discriminazione.
72. Infine, le restrizioni imposte dalla normativa italiana non devono eccedere quanto
necessario per conseguire l'obiettivo perseguito. A tal riguardo, il giudice del rinvio dovrà
esaminare se la sanzione penale irrogata a chiunque effettui scommesse dal proprio
domicilio in Italia via Internet con un bookmaker situato in un altro Stato membro non sia
sproporzionata alla luce della giurisprudenza della Corte (v. sentenze 29 febbraio 1996,
causa C-193/94, Skanavi e Chryssanthakopoulos, Racc. pag. I-929, punti 34-39, e 25
luglio 2002, causa C-459/99, MRAX, Racc. pag. I-6591, punti 89-91), soprattutto dal
momento che la partecipazione alle scommesse viene incoraggiata allorché si svolge nel
contesto di giuochi organizzati da enti nazionali autorizzati.
73. Il giudice del rinvio dovrà inoltre chiedersi se la circostanza di imporre restrizioni
penalmente sanzionate sino a un anno di arresto per gli intermediari che facilitino la
prestazione di servizi da parte di un bookmaker stabilito in uno Stato membro diverso da
quello in cui i detti servizi sono offerti, mettendo a disposizione degli scommettitori nei
propri locali la connessione via Internet con il bookmaker, costituisca una restrizione che
ecceda quanto necessario per la lotta alla frode, soprattutto in considerazione del fatto che
il prestatore di servizi è sottoposto, nello Stato membro in cui è stabilito, ad un sistema
normativo di controlli e sanzioni, gli intermediari sono legittimamente costituiti e, prima
delle modifiche normative di cui alla legge n. 388/00, tali intermediari si ritenevano
autorizzati a trasmettere scommesse su eventi sportivi esteri.
74. Quanto alla proporzionalità della normativa italiana con riguardo alla libertà di
stabilimento, anche se l'obiettivo perseguito dalle autorità di uno Stato membro è quello
di evitare il rischio che i concessionari dei giuochi siano implicati in attività criminali o
fraudolente, escludere la possibilità per le società di capitali quotate sui mercati
regolamentati degli altri Stati membri di ottenere concessioni per la gestione di
scommesse sportive, soprattutto quando esistano altri strumenti di controllo dei bilanci e
delle attività delle dette società, può risultare una misura eccessiva rispetto a quanto
necessario per impedire la frode.
75. Spetta al giudice del rinvio verificare se la normativa nazionale, alla luce delle sue
concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se
le restrizioni che essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi.
76. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la questione pregiudiziale deve essere
risolta nel senso che una normativa nazionale contenente divieti - penalmente sanzionati -
di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di
scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o
autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla
libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli
artt. 43 CE e 49 CE. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce
delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da
giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali
obiettivi.
Per questi motivi,
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LA CORTE,
dichiara:
Una normativa nazionale contenente divieti - penalmente sanzionati - di svolgere attività
di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative,
in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo
Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla
libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli artt. 43 CE e 49 CE. Spetta al
giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di
applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che
essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi.
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S P O R T: G I U R I S P R U D E N Z A D E L A C O R T E D I G I U S T I Z I A D E L L E C. E.
15. Procedimento C-438/00,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma
dell'art. 234 CE, dall'Oberlandesgericht Hamm (Germania) nella causa dinanzi ad esso
pendente tra
Deutscher Handballbund eV
e
Maros Kolpak,
domanda vertente sull'interpretazione dell'art. 38, n. 1, dell'Accordo europeo che
istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la
Repubblica slovacca, dall'altra, approvato a nome delle Comunità con la decisione del
Consiglio e della Commissione 19 dicembre 1994, 94/909/CECA, CE, Euratom (GU L
359, pag. 1),
LA CORTE (Quinta Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con ordinanza 15 novembre 2000, pervenuta in cancelleria il 28 novembre successivo,
l'Oberlandesgericht Hamm ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, una
questione pregiudiziale relativa all'interpretazione dell'art. 38, n. 1, dell'Accordo europeo
che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte,
e la Repubblica slovacca, dall'altra, firmato a Lussemburgo il 4 ottobre 1993 e approvato
a nome delle Comunità con la decisione del Consiglio e della Commissione 19 dicembre
1994, 94/909/CECA, CE, Euratom (GU L 359, pag. 1; in prosieguo: l'«Accordo di
associazione Comunità-Slovacchia»).
2. Tale questione è stata sollevata nell'ambito di una controversia tra il Deutscher
Handballbund eV (federazione tedesca di handball, in prosieguo: il «DHB») e il signor
Kolpak con riguardo al rilascio di un cartellino di giocatore professionista.
L'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia
3. Secondo l'art. 1, n. 2, l'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia ha segnatamente
per obiettivo di costituire un ambito adeguato per il dialogo politico tra le parti che
consenta lo sviluppo di strette relazioni politiche, di promuovere l'espansione degli
scambi nonché relazioni economiche armoniose tra le parti, incentivando così uno
sviluppo economico dinamico e la prosperità della Repubblica slovacca, nonché di
gettare le basi per l'assistenza finanziaria e tecnica della Comunità alla Repubblica
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slovacca, mentre l'obiettivo finale di tale paese è, secondo l'ultimo considerando del
suddetto accordo, quello di divenire membro delle Comunità.
4. Con riguardo alla causa principale, le disposizioni rilevanti dell'Accordo di
associazione Comunità-Slovacchia si trovano nel titolo IV di quest'ultimo, intitolato
«Circolazione dei lavoratori, stabilimento e fornitura di servizi».
5. L'art. 38 dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia, che figura nel capitolo I,
intitolato «Circolazione dei lavoratori», del titolo IV, dispone al n. 1:
«Nel rispetto delle condizioni e modalità applicabili in ciascuno Stato membro:
- il trattamento accordato ai lavoratori di nazionalità della Repubblica slovacca
legalmente occupati nel territorio di uno Stato membro è esente da qualsiasi
discriminazione basata sulla nazionalità, per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di
retribuzione o di licenziamento, rispetto ai cittadini di quello Stato membro;
- il coniuge e i figli legalmente residenti di un lavoratore legalmente occupato nel
territorio di uno Stato membro, fatta eccezione per i lavoratori stagionali e per i lavoratori
oggetto di accordi bilaterali nell'accezione dell'articolo 42, salvo diverse disposizioni di
tali accordi, hanno accesso al mercato del lavoro di quello Stato membro nel periodo di
soggiorno di lavoro autorizzato di quel lavoratore».
6. L'art. 42 dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia, figurante nel medesimo
capitolo, precisa:
«1. Tenendo conto della situazione del mercato del lavoro nello Stato membro, nel
rispetto della sua legislazione e delle regole in vigore in quello Stato membro in materia
di mobilità dei lavoratori:
- si dovrebbero mantenere e, se possibile, ampliare le agevolazioni esistenti per l'accesso
all'occupazione dei lavoratori della Repubblica slovacca accordate dagli Stati membri ai
sensi di accordi bilaterali;
- gli altri Stati membri considerano favorevolmente l'opportunità di concludere accordi
analoghi.
2. Il Consiglio di associazione valuta l'opportunità di concedere ulteriori facilitazioni, ivi
comprese le possibilità di accesso alla formazione professionale, in conformità con le
norme e procedure in vigore negli Stati membri e tenendo conto della situazione del
mercato del lavoro degli Stati membri e della Comunità».
7. L'art. 59 dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia, che figura nel capitolo IV,
intitolato «Disposizioni generali», del titolo IV, dispone al n. 1:
«Ai fini del titolo IV del presente accordo, l'accordo non impedisce in alcun modo alle
Parti di applicare le rispettive leggi e disposizioni in materia di ingresso e soggiorno,
condizioni di lavoro e stabilimento delle persone fisiche, nonché di prestazione dei
servizi, a condizione che, così facendo, esse non le applichino in modo da vanificare o
compromettere i benefici spettanti all'una o all'altra ai sensi di una specifica disposizione
dell'accordo stesso (...)».
Normativa nazionale
8. Il DHB ha adottato la Spielordnung (regolamento federale in materia di gare, in
prosieguo: la «SpO»), il cui art. 15 disponeva, nella versione vigente alla data
dell'ordinanza del giudice a quo:
«1. Vanno muniti della lettera A dopo il numero di matricola i cartellini dei giocatori
a) non aventi la cittadinanza di uno Stato membro,
b) non aventi la cittadinanza di uno Stato terzo associato ai cui cittadini sia stata
riconosciuta la parità di trattamento ai sensi dell'art. 48, n. 1, del Trattato CE,
c) (...)
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2. Nelle squadre appartenenti alla Bundesliga (lega nazionale) e alle Regionalligen (leghe
regionali) possono essere schierati, negli incontri di campionato e in quelli di coppa, al
massimo due giocatori il cui cartellino sia contrassegnato con la lettera A.
(...)
5. Il contrassegno con la lettera A apposto sul numero di matricola del cartellino va tolto
ogni anno al 1° luglio se il paese d'origine del giocatore ha acquisito a tale data la qualità
di paese associato ai sensi del n. 1, lett. b). Il DHB pubblica ed aggiorna costantemente
l'elenco degli Stati associati di cui alle presenti disposizioni».
Causa principale e questione pregiudiziale
9. Il signor Kolpak, cittadino slovacco, ha stipulato, nel marzo 1997, un contratto di
lavoro di durata determinata con scadenza al 30 giugno 2000, poi, nel febbraio 2000, un
nuovo contratto di durata determinata con scadenza al 30 giugno 2003, per occupare il
posto di portiere nella squadra tedesca di handball del TSV Östringen eV Handball,
società tedesca di seconda divisione. Egli percepisce uno stipendio mensile. Egli risiede
in Germania ed è in possesso di un titolo di soggiorno regolare.
10. Il DHB, che organizza partite di campionato e di coppa a livello federale, gli ha
rilasciato un cartellino di giocatore contrassegnato dalla lettera «A» a causa della sua
cittadinanza slovacca.
11. Il signor Kolpak, il quale aveva sollecitato il rilascio di un cartellino di giocatore
senza aggiunta della menzione riferentesi ai cittadini di paesi terzi, ha presentato dinanzi
al Landgericht Dortmund (Tribunale di prima istanza) (Germania) un ricorso con cui ha
contestato tale decisione del DHB. Egli sostiene che la Repubblica slovacca fa parte dei
paesi terzi i cui cittadini hanno il diritto di partecipare senza alcuna limitazione alle
competizioni, alle stesse condizioni dei giocatori tedeschi e dei giocatori comunitari, in
base al divieto di discriminazione risultante dal combinato disposto del Trattato CE e
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia.
12. Il Landgericht ha ingiunto al DHB di rilasciare al signor Kolpak un cartellino di
giocatore senza la menzione «A» per il motivo che, a tenore dell'art. 15 della SpO,
quest'ultimo non doveva essere trattato alla stessa stregua di un giocatore avente la
cittadinanza di un paese terzo. Il DHB ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi
all'Oberlandesgericht Hamm.
13. Secondo il giudice a quo, il rinvio all'art. 48 del Trattato CE (divenuto, in seguito a
modifica, art. 39 CE) operato dall'art. 15, n. 1, lett. b), della SpO va inteso nel senso che
quest'ultima disposizione è applicabile solo ai giocatori che sotto il profilo della libera
circolazione dei lavoratori fruiscono di una perfetta equiparazione ai cittadini comunitari.
Secondo tale interpretazione il signor Kolpak non avrebbe diritto al rilascio di un
cartellino senza le limitazioni derivanti dall'aggiunta della lettera «A», poiché una siffatta
parità di trattamento generalizzata non è contenuta negli accordi di associazione conclusi
con i paesi dell'Europa dell'Est e del bacino mediterraneo e, segnatamente, nell'Accordo
di associazione Comunità-Slovacchia.
14. Il giudice nazionale chiede quindi se il disposto dell'art. 15, n. 1, lett. b), della SpO sia
in contrasto con l'art. 38 dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia. Se così fosse
e se quest'ultima disposizione avesse effetto diretto nei confronti dei singoli, il signor
Kolpak potrebbe rivendicare il rilascio di un cartellino non limitativo.
15. Il giudice nazionale considera infatti che il DHB, negando al signor Kolpak, a causa
della sua cittadinanza, un cartellino non limitativo, viola il divieto contenuto nell'art. 38
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia.
16. Al riguardo detto giudice constata, da un lato, che il contratto del signor Kolpak, che
è disciplinato dall'art. 15 della SpO, è un contratto di lavoro, in quanto l'attore è
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vincolato, contro il corrispettivo di una retribuzione mensile fissa, a fornire in forma
subordinata prestazioni nell'ambito dell'attività di allenamento e degli incontri organizzati
dalla sua società e che si tratta in proposito della sua principale attività professionale.
17. Esso ritiene, d'altro canto, che il disposto combinato dell'art. 15, nn. 1, lett. b), e 2
della SpO crea una disparità di trattamento sotto il profilo delle condizioni di lavoro.
Infatti il signor Kolpak è già legalmente occupato nel territorio della Repubblica federale
di Germania, ove risiede, è in possesso di un titolo di soggiorno valido, non è soggetto,
conformemente alla legislazione tedesca, all'obbligo di ottenere un permesso di lavoro e
non è più personalmente interessato da un ostacolo, anche indiretto, all'assunzione e
ciononostante non fruisce, per effetto delle suddette disposizioni, della stessa possibilità
di altre persone di partecipare a partite ufficiali nell'ambito della sua attività
professionale.
18. Pertanto, secondo il giudice a quo, il divieto di discriminazione dettato dall'art. 38
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia è applicabile ove non vi osti la riserva
contenuta nella medesima disposizione, concernente le condizioni e modalità applicabili
nei vari Stati membri. Detto giudice considera in proposito che rientrino in siffatte
condizioni e modalità solo norme giuridiche di carattere generale e non norme implicanti
l'applicazione di condizioni di lavoro diverse a seconda della cittadinanza del lavoratore.
Esso è quindi incline a pensare che la normativa emanata dal DHB, nell'ambito
dell'autonomia riconosciuta alle associazioni, non fa parte delle suddette condizioni e
modalità. In caso contrario il divieto di discriminazione contenuto nell'Accordo di
associazione verrebbe vanificato.
19. A parere del giudice a quo, inoltre, l'art. 38 dell'Accordo di associazione Comunità-
Slovacchia, alla stregua dell'art. 48 del Trattato, è una disposizione direttamente
applicabile in quanto, tenuto conto del suo tenore letterale nonché della natura e
dell'oggetto, essa contiene un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione o i cui effetti non
sono subordinati all'adozione di alcun atto ulteriore. Secondo il giudice a quo l'art. 38
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia produce effetti anche nei confronti dei
terzi, poiché non è applicabile unicamente a provvedimenti adottati dalle autorità, ma si
estende anche alle normative di natura collettiva applicabili al lavoratore subordinato.
20. Detto giudice ne deduce che si configura una violazione del divieto di
discriminazione di cui all'art. 38 dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia che
dovrebbe implicare l'inapplicabilità al signor Kolpak dell'art. 15, n. 1, lett. b), della SpO.
21. Alla luce di quanto precede l'Oberlandesgericht Hamm ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se sia in contrasto con l'art. 38, n. 1, dell'Accordo europeo che istituisce un'associazione
tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica slovacca,
dall'altra - atto finale - il fatto che una federazione sportiva applichi ad uno sportivo
professionista in possesso della cittadinanza slovacca una normativa da essa emanata in
base alla quale le società sono autorizzate a far scendere in campo, nelle partite di
campionato o di coppa, solo un limitato numero di giocatori originari di Stati terzi non
facenti parte delle Comunità europee».
Sulla questione pregiudiziale
22. Con la questione pregiudiziale il giudice a quo chiede in sostanza se l'art. 38, n. 1,
primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia vada interpretato nel
senso che osta all'applicazione ad uno sportivo professionista di cittadinanza slovacca,
regolarmente occupato da una società stabilita in uno Stato membro, di una normativa
emanata da una federazione sportiva del medesimo Stato secondo cui le società sono
autorizzate a schierare, in occasione delle partite di campionato o di coppa, solo un
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numero limitato di giocatori originari di paesi terzi che non sono parti dell'accordo sullo
Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE»).
23. Allo scopo di risolvere la questione così riformulata, va anzitutto esaminato se l'art.
38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia possa essere
invocato da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale ed in secondo luogo, in caso di
soluzione positiva, se la suddetta disposizione possa essere invocata in rapporto alla
normativa emanata da una federazione sportiva nazionale come il DHB. Occorre infine
determinare la portata del principio di non discriminazione enunciato dalla medesima.
Sull'effetto diretto dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione
Comunità-Slovacchia
24. Va preliminarmente segnalato che, al punto 30 della sentenza 29 gennaio 2002, causa
C-162/00, Pokrzeptowicz-Meyer (Racc. pag. I-1049), la Corte ha già riconosciuto un
effetto diretto all'art. 37, n. 1, primo trattino, dell'Accordo europeo che istituisce
un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la
Repubblica di Polonia, dall'altra, firmato a Bruxelles il 16 dicembre 1991 ed approvato a
nome delle Comunità dalla decisione del Consiglio e della Commissione 13 dicembre
1993, 93/743/Euratom, CECA, CE (GU L 348, pag. 1; in prosieguo: l'«Accordo di
associazione Comunità-Polonia»).
25. Orbene, in primo luogo, il tenore letterale dell'art. 38, n. 1, primo trattino,
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia e quello dell'art. 37, n. 1, primo
trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Polonia sono identici.
26. In secondo luogo, l'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia e l'Accordo di
associazione Comunità-Polonia non sono distinguibili quanto ai loro obiettivi e al
contesto in cui sono stati adottati. Infatti perseguono entrambi segnatamente, a tenore
dell'ultimo considerando e dell'art. 1, n. 2, l'obiettivo di istituire un'associazione destinata
a promuovere l'espansione degli scambi nonché relazioni economiche armoniose tra le
parti contraenti, incentivando così uno sviluppo economico dinamico e la prosperità, in
un caso della Repubblica di Polonia, nell'altro della Repubblica slovacca, allo scopo di
facilitare l'adesione di tali paesi alle Comunità.
27. Alla luce di tali elementi, così come l'art. 58, n. 1, dell'Accordo di associazione
Comunità-Polonia non osta all'effetto diretto dell'art. 37, n. 1, primo trattino, di detto
accordo (v. citata sentenza Pokrzeptowicz-Meyer, punto 28), analogamente l'art. 59, n. 1,
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia non può ostare all'effetto diretto
dell'art. 38, n. 1, primo trattino, del medesimo accordo, tenuto conto della somiglianza
delle disposizioni di cui trattasi.
28. Peraltro, come già occorre per l'art. 37, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di
associazione Comunità-Polonia, l'attuazione dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo
di associazione Comunità-Slovacchia non è subordinata all'adozione, da parte del
consiglio di associazione istituito da tale medesimo accordo, di misure complementari
dirette a definirne le modalità di applicazione (v. citata sentenza Pokrzeptowicz-Meyer,
punto 29).
29. Infine, così come per l'art. 37, n. 1, dell'Accordo di associazione Comunità-Polonia, i
termini «[n]el rispetto delle condizioni e modalità applicabili in ciascuno Stato membro»,
di cui all'art. 38, n. 1, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia, non possono
essere interpretati nel senso di consentire agli Stati membri di sottoporre a condizioni o di
limitare discrezionalmente l'applicazione del principio di non discriminazione enunciato
da tale disposizione. Giacché un'interpretazione del genere avrebbe l'effetto di svuotare di
contenuto tale disposizione privandola così di ogni effetto utile (v. citata sentenza
Pokrzeptowicz-Meyer, punti 20-24).
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30. Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre riconoscere all'art. 38, n. 1,
primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia un effetto diretto: ciò
implica che i cittadini slovacchi che se ne avvalgono hanno diritto di farlo valere dinanzi
ai giudici nazionali dello Stato membro ospitante.
Sull'applicabilità dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-
Slovacchia alla normativa emanata da una federazione sportiva
31. Va preliminarmente ricordato che, quanto all'art. 48, n. 2, del Trattato, risulta dal
punto 87 della sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc. pag. I-4921),
che il divieto di discriminazione enunciato da tale disposizione si applica a norme
emanate da associazioni sportive per stabilire le condizioni alle quali gli sportivi
professionisti esercitano un'attività retribuita.
32. In proposito, al punto 84 della citata sentenza Bosman, la Corte ha rilevato che nei
vari Stati membri le condizioni di lavoro sono disciplinate talvolta da norme di natura
legislativa o regolamentare, talvolta da convenzioni e altri atti di natura privatistica.
Pertanto, se l'oggetto dell'art. 48 del Trattato fosse limitato agli atti della pubblica
autorità, potrebbero verificarsi disparità nella sua applicazione.
33. Trattandosi dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-
Slovacchia, per stabilire se tale disposizione sia applicabile ad una normativa dettata da
una federazione sportiva come il DHB, va esaminato se l'interpretazione accolta dalla
Corte in merito all'art. 48, n. 2, del Trattato possa essere trasposta, nel caso di specie, alla
suddetta disposizione dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia.
34. A tale riguardo la Corte ha affermato, ai punti 39 e 40 della citata sentenza
Pokrzeptowicz-Meyer, che, per quanto concerne l'art. 37, n. 1, primo trattino,
dell'Accordo di associazione Comunità-Polonia, se è vero che tale disposizione non
enuncia un principio di libera circolazione dei lavoratori polacchi all'interno della
Comunità, mentre l'art. 48 del Trattato sancisce il principio della libera circolazione dei
lavoratori a beneficio dei cittadini comunitari, dal confronto tra gli obiettivi e il contesto
dell'Accordo di associazione Comunità-Polonia, da una parte, e quelli del Trattato CE,
dall'altra, risulta che non esiste alcun motivo di attribuire all'art. 37, n. 1, primo trattino,
di tale accordo una portata diversa da quella accolta dalla Corte per quanto concerne l'art.
48, n. 2, del Trattato.
35. In tale contesto la Corte ha affermato, al punto 41 della citata sentenza
Pokrzeptowicz-Meyer, che l'art. 37, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione
Comunità-Polonia istituisce a favore dei lavoratori di cittadinanza polacca, dal momento
in cui sono legalmente occupati sul territorio di uno Stato membro, un diritto alla parità di
trattamento nelle condizioni di lavoro della stessa portata di quello riconosciuto in termini
analoghi ai cittadini comunitari dall'art. 48, n. 2, del Trattato.
36. Risulta da quanto precede, nonché dalle considerazioni formulate ai punti 25-30 della
presente sentenza, che l'interpretazione dell'art. 48, n. 2, del Trattato elaborata dalla Corte
nella citata sentenza Bosman e richiamata ai punti 31 e 32 della presente sentenza può
essere trasposta all'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-
Slovacchia.
37. Date le considerazione precedenti occorre concludere nel senso che l'art. 38, n. 1,
primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia è applicabile alla
normativa emanata da una federazione sportiva come il DHB che stabilisce le condizioni
alle quali sportivi professionisti esercitano un'attività subordinata.
Sulla portata del principio di non discriminazione enunciato all'art. 38, n. 1, primo
trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia
38. Secondo il DHB nonché i governi ellenico, spagnolo e italiano, la portata della
clausola di non discriminazione prevista all'art. 38 dell'Accordo di associazione
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Comunità-Slovacchia non avrebbe per scopo la perfetta equiparazione tra i lavoratori
cittadini della Repubblica slovacca ed i lavoratori cittadini degli altri Stati membri
dell'Unione europea. Della libera circolazione dei lavoratori di cui all'art. 48 del Trattato,
quale applicata nel settore dello sport dalla citata sentenza Bosman, potrebbero fruire
soltanto i cittadini comunitari o quelli di uno Stato membro del SEE.
39. Inoltre tutte le parti che hanno presentato osservazioni dinanzi alla Corte concordano
sul fatto che il divieto di discriminazione basato sulla nazionalità di cui all'art. 38, n. 1,
primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia è applicabile solo ai
lavoratori di cittadinanza slovacca già legalmente occupati nel territorio di uno Stato
membro e soltanto per quanto riguarda le condizioni di lavoro, di retribuzione o di
licenziamento.
40. Su tale aspetto il DHB nonché i governi ellenico, spagnolo e italiano sostengono che
la normativa prevista all'art. 15, nn. 1, lett. b), e 2 della SpO concerne l'accesso dei
cittadini slovacchi all'occupazione. L'art. 38, n. 1, dell'Accordo di associazione
Comunità-Slovacchia non può conseguentemente ostare all'applicazione di una siffatta
normativa.
41. Il signor Kolpak, il governo tedesco e la Commissione fanno valere, al contrario, che i
fatti di cui alla causa principale rientrano nell'ambito dell'art. 38, n. 1, primo trattino,
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia, poiché il signor Kolpak non
cercherebbe di accedere al mercato del lavoro tedesco, ma eserciterebbe già legalmente
un'attività in Germania in base al diritto nazionale e subirebbe, in tale contesto, una
discriminazione concernente le condizioni di lavoro a causa della SpO.
42. Occorre preliminarmente constatare al riguardo come risulti dal tenore letterale
dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia che il
divieto di discriminazione basata sulla nazionalità, previsto in tale disposizione, da un
lato, è applicabile solo ai lavoratori di cittadinanza slovacca già legalmente occupati nel
territorio di uno Stato membro e, dall'altro, si applica soltanto per quanto riguarda le
condizioni di lavoro, di retribuzione o di licenziamento. Pertanto tale disposizione,
diversamente dall'art. 48 del Trattato, non si estende alle normative nazionali in materia
di accesso al mercato del lavoro.
43. Orbene, dall'ordinanza del giudice a quo emerge che il signor Kolpak svolge
regolarmente un'attività subordinata come portiere a norma di un contratto di lavoro
stipulato con una società tedesca di seconda divisione, ch'egli è in possesso di un titolo di
soggiorno valido e che, secondo la legislazione nazionale, non necessita di alcun
permesso di lavoro per esercitare la sua professione. Risulta dunque che egli ha già
regolarmente accesso al mercato del lavoro in Germania.
44. In tale contesto, trattandosi più particolarmente della questione se una normativa
come quella di cui agli artt. 15, n. 1, lett. b), e 2 della SpO costituisca una condizione di
lavoro, va rilevato che nella citata sentenza Bosman la causa principale riguardava, tra
l'altro, regole o norme sulla cittadinanza simili, emanate dall'Union des associations
européennes de football (UEFA).
45. Ciò posto, risulta dal punto 120 della citata sentenza Bosman che, da un lato, tali
norme non riguardano l'ingaggio dei giocatori professionisti, che non è limitato, ma la
possibilità, per le società cui appartengono, di farli scendere in campo nelle partite
ufficiali e, dall'altro, che la partecipazione a tali incontri costituisce l'oggetto essenziale
della loro attività.
46. Deriva da quanto precede che una normativa sportiva come quella in parola nella
causa principale è relativa alle condizioni di lavoro ai sensi dell'art. 38, n. 1, primo
trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia in quanto essa abbia un
impatto diretto sulla partecipazione agli incontri di campionato e di coppa di un giocatore
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professionista slovacco, già regolarmente occupato secondo le disposizioni nazionali
dello Stato membro ospitante.
47. In presenza di tali elementi, per determinare se l'art. 38, n. 1, primo trattino,
dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia osti all'applicazione di una normativa
come quella di cui agli artt. 15, n. 1, lett. b), e 2 della SpO, rimane da stabilire se
quest'ultima implichi una discriminazione vietata dalla suddetta disposizione di tale
accordo.
48. Al riguardo va preliminarmente constatato che, quanto all'art. 48, n. 2, del Trattato,
risulta dal punto 137 della citata sentenza Bosman che tale disposizione osta
all'applicazione di norme emanate da associazioni sportive, secondo le quali, nelle partite
delle competizioni che esse organizzano, le società calcistiche possono schierare solo un
numero limitato di calciatori professionisti cittadini di altri Stati membri.
49. Per quanto riguarda l'interpretazione dell'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di
associazione Comunità-Slovacchia, risulta dai punti da 25 a 30, 34, 35 e 44 della presente
sentenza che, da un lato, tale disposizione istituisce a favore dei lavoratori di cittadinanza
slovacca, dal momento in cui siano legalmente occupati sul territorio di uno Stato
membro, un diritto alla parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro
della stessa portata di quello riconosciuto in termini simili ai cittadini di altri Stati
membri dall'art. 48, n. 2, del Trattato e, dall'altro, che la normativa in parola nella causa
principale è simile alle norme sulla cittadinanza considerate nella citata sentenza Bosman.
50. Sulla base delle considerazioni precedenti occorre dichiarare che l'interpretazione
dell'art. 48, n. 2, del Trattato elaborata dalla Corte nella citata sentenza Bosman e
richiamata al punto 48 della presente sentenza può essere trasposta all'art. 38, n. 1, primo
trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia.
51. Così l'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-Slovacchia
osta all'applicazione al signor Kolpak di una normativa come quella prevista all'art. 15,
nn. 1, lett. b), e 2 della SpO per la parte in cui quest'ultima ha per conseguenza che il
signor Kolpak, in quanto cittadino slovacco, benché regolarmente occupato in uno Stato
membro, dispone, in linea di principio, soltanto di una possibilità limitata, rispetto ai
giocatori cittadini di Stati membri o cittadini di Stati membri del SEE, di partecipare a
taluni incontri, cioè gli incontri di campionato e di coppa della Bundesliga e delle
Regionalligen, che costituiscono peraltro l'oggetto essenziale della sua attività in qualità
di giocatore professionista.
52. Un'interpretazione siffatta non può essere messa in questione con l'argomento del
DHB secondo cui la normativa di cui all'art. 15, nn. 1, lett. b), e 2 della SpO si
giustificherebbe grazie a considerazioni esclusivamente sportive, poiché la sua finalità
sarebbe quella di preservare la formazione organizzata a favore dei giovani giocatori di
cittadinanza tedesca e di promuovere la squadra nazionale tedesca.
53. Certo, al punto 127 della citata sentenza Bosman, la Corte ha ricordato che, nella
sentenza 14 luglio 1976, causa C-13/76, Donà (Racc. pag. 1333, punti 14 e 15), essa ha
riconosciuto che le norme del Trattato in materia di libera circolazione delle persone non
ostano a normative o prassi che escludano i calciatori stranieri da determinati incontri per
motivi non economici, attinenti al carattere e all'ambito specifici di tali partite e che
quindi hanno natura prettamente sportiva, come, ad esempio, nel caso di incontri fra le
rappresentative di paesi diversi.
54. Tuttavia, al punto 128 della citata sentenza Bosman, la Corte ha dichiarato che le
norme sulla cittadinanza non riguardavano incontri specifici fra rappresentative nazionali,
ma si applicavano a tutti gli incontri ufficiali tra società calcistiche e, quindi, alla parte
essenziale dell'attività esercitata dai calciatori professionisti.
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55. In tale contesto la Corte ha rilevato che il legame fra una società calcistica e lo Stato
membro nel quale essa è stabilita non può considerarsi inerente all'attività sportiva, in
ogni caso non più del legame che unisce tale società al suo quartiere, alla sua città o alla
sua regione. Nei campionati nazionali, infatti, si affrontano società di regioni, di città o di
quartieri diversi, ma nessuna norma limita, relativamente a tali partite, il diritto delle
società di schierare in campo calciatori provenienti da altre regioni, da altre città o da altri
quartieri. Inoltre la partecipazione alle gare internazionali è riservata alle società che
hanno ottenuto determinati risultati sportivi nel loro rispettivo paese, senza che la
cittadinanza dei loro calciatori rivesta un ruolo particolare (citata sentenza Bosman, punti
131 e 132).
56. Tenuto conto di tale giurisprudenza, va dichiarato che la discriminazione generata,
nella presente causa, dall'art. 15, nn. 1, lett. b), e 2 della SpO non può ritenersi giustificata
da considerazioni esclusivamente sportive, dato che discende da una normativa siffatta
che, in occasione di partite organizzate dal DHB, le società sono libere di schierare un
numero illimitato di cittadini degli Stati membri del SEE.
57. Peraltro, nelle osservazioni presentate dinanzi alla Corte, non si è fatto valere nessun
altro argomento idoneo a giustificare obiettivamente la disparità di trattamento tra
giocatori professionisti cittadini di uno Stato membro o di uno Stato membro del SEE e
giocatori professionisti di cittadinanza slovacca, risultante dall'art. 15, nn. 1, lett. b), e 2
della SpO e relativa alle condizioni di lavoro di quest'ultimi.
58. Risulta dalle considerazioni precedenti come la questione pregiudiziale vada risolta
dichiarando che l'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo di associazione Comunità-
Slovacchia debba interpretarsi nel senso che esso osta all'applicazione ad uno sportivo
professionista di cittadinanza slovacca, regolarmente occupato da una società stabilita in
uno Stato membro, di una normativa emanata da una federazione sportiva del medesimo
Stato secondo cui le società sono autorizzate a far scendere in campo, in occasione delle
partite di campionato o di coppa, solo un limitato numero di giocatori originari di paesi
terzi che non sono parti dell'accordo sul SEE.
Per questi motivi,
LA CORTE (Quinta Sezione),
dichiara:
L'art. 38, n. 1, primo trattino, dell'Accordo europeo che istituisce un'associazione tra le
Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica slovacca, dall'altra,
firmato a Lussemburgo il 4 ottobre 1993 ed approvato a nome delle Comunità dalla
decisione del Consiglio e della Commissione 19 dicembre 1994, 94/909/CECA, CE,
Euratom, va interpretato nel senso che esso osta all'applicazione ad uno sportivo
professionista di cittadinanza slovacca, regolarmente occupato da una società stabilita in
uno Stato membro, di una normativa emanata da una federazione sportiva del medesimo
Stato secondo cui le società sono autorizzate a far scendere in campo, in occasione delle
partite di campionato o di coppa, solo un limitato numero di giocatori originari di paesi
terzi che non sono parti dell'Accordo sulla Spazio economico europeo.
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16. Cause riunite T-346/02 e T-347/02,
Cableuropa SA, con sede in Madrid,
Región de Murcia de Cable SA, con sede in Murcia (Spagna),
Valencia de Cable SA, con sede in Madrid,
Mediterránea Sur Sistemas de Cable SA, con sede in Alicante (Spagna),
Mediterránea Norte Sistemas de Cable SA, con sede in Castellón (Spagna),
ricorrenti nella causa T-346/02,
Aunacable SA, con sede in Madrid,
Sociedad Operadora de Telecomunicaciones de Castilla y León (Retecal) SA, con
sede in Boecilli (Spagna),
Euskaltel SA, con sede in Zamudio-Bizkaia (Spagna),
Telecable de Avilés SA, con sede in Avilés (Spagna),
Telecable de Oviedo SA, con sede in Oviedo (Spagna),
Telecable de Gijón SA, con sede in Gijón (Spagna),
R Cable y Telecomunicaciones Galicia SA, con sede in La Coruña (Spagna),
Tenaria SA, con sede in Cordovilla (Spagna),
ricorrenti nella causa T-347/02,
contro
Commissione delle Comunità europee,
convenuta,
sostenuta da
Regno di Spagna,
da
Sogecable SA, con sede in Madrid
da
DTS Distribuidora de Televisión Digital SA (Vía Digital), con sede in Madrid,
e da
Telefónica de Contenidos SAU, con sede in Madrid,
intervenienti,
avente ad oggetto un ricorso diretto all'annullamento della decisione della Commissione
14 agosto 2002, che rinvia l'esame dell'operazione di concentrazione per la fusione delle
società DTS Distribuidora de Televisión Digital SA (Vía Digital) e Sogecable SA alle
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autorità garanti della concorrenza spagnole, ai sensi dell'art. 9 del regolamento (CEE) del
Consiglio 21 dicembre 1989, n. 4064, relativo al controllo delle operazioni di
concentrazione tra imprese (caso COMP/M.2845 - Sogecable/Canalsatélite Digital/Vía
Digital).
IL TRIBUNALE DI PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Terza Sezione),
ha pronunciato la seguente
Sentenza
Contesto normativo
1. Il regolamento (CEE) del Consiglio 21 dicembre 1989, n. 4064, relativo al controllo
delle operazioni di concentrazione tra imprese (GU L 395, pag. 1), come rettificato (GU
1990, L 257, pag. 13), e come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 30 giugno
1997, n. 1310 (GU L 180, pag. 1) (in prosieguo: il «regolamento n. 4064/89»), prevede
un sistema di controllo da parte della Commissione delle operazioni di concentrazione
che hanno una «dimensione comunitaria» ai sensi dell'art. 1, nn. 2 e 3, del regolamento n.
4064/89.
2. L'art. 9 del regolamento n. 4064/89 consente alla Commissione di rinviare agli Stati
membri l'esame di una operazione di concentrazione. Tale disposizione prevede in
particolare quanto segue:
«1. La Commissione può, mediante decisione, che essa notifica senza indugio alle
imprese interessate e che porta a conoscenza delle autorità competenti degli altri Stati
membri, rinviare alle autorità competenti dello Stato membro interessato un caso di
concentrazione notificata alle seguenti condizioni.
2. Entro tre settimane a decorrere dalla data di ricezione della copia della notifica, uno
Stato membro può comunicare alla Commissione, che a sua volta ne informa le imprese
interessate, che un'operazione di concentrazione:
a) minaccia di creare o di rafforzare una posizione dominante tale da ostacolare in modo
significativo una concorrenza effettiva in un mercato all'interno del suddetto Stato
membro che presenta tutte le caratteristiche di un mercato distinto, o
b) incide sulla concorrenza in un mercato all'interno del suddetto Stato membro che
presenta tutte le caratteristiche di un mercato distinto e non costituisce una parte
sostanziale del mercato comune.
3. Se la Commissione ritiene che, tenuto conto del mercato dei prodotti o servizi in
questione e del mercato geografico di riferimento ai sensi del paragrafo 7, tale mercato
distinto e tale minaccia esistano:
a) provvede essa stessa ad affrontare il caso per preservare o ripristinare una concorrenza
effettiva sul mercato in questione, o
b) rinvia il caso, interamente o in parte, alle autorità competenti dello Stato membro
interessato, per l'applicazione della legislazione nazionale sulla concorrenza del suddetto
Stato.
Se, al contrario, la Commissione ritiene che tale mercato distinto o tale minaccia non
esistano, essa prende una decisione al riguardo indirizzandola allo Stato membro
interessato.
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Se uno Stato membro informa la Commissione che una operazione di concentrazione
incide sulla concorrenza in un mercato distinto all'interno del suo territorio, che non
costituisce una parte sostanziale del mercato comune, la Commissione rinvia tutto il caso
o la parte di esso riguardante detto mercato distinto, se essa ritiene che un tale mercato
distinto è interessato.
(...)
7. Il mercato geografico di riferimento è costituito da un territorio in cui le imprese
interessate intervengono nell'offerta e nella domanda di beni e di servizi, nel quale le
condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere distinto dai
territori vicini, in particolare a motivo delle condizioni di concorrenza notevolmente
diverse da quelle che prevalgono in quei territori. In questa valutazione occorre tener
conto segnatamente della natura e delle caratteristiche dei prodotti o servizi in questione,
dell'esistenza di ostacoli all'entrata, di preferenze dei consumatori, nonché dell'esistenza,
tra il territorio in oggetto e quelli vicini, di differenze notevoli di parti di mercato delle
imprese o di sostanziali differenze di prezzi.
8. Per l'applicazione del presente articolo, lo Stato membro interessato può prendere
soltanto le misure strettamente necessarie per preservare o ripristinare una concorrenza
effettiva sul mercato interessato.
(...)».
Le imprese interessate
3. La Cableuropa SA (in prosieguo: la «Cableuropa»), prima ricorrente nella causa T-
346/02, è un'impresa che opera nel settore delle telecomunicazioni via cavo (in prosieguo:
«operatore via cavo»), attiva in particolare nel mercato della televisione a pagamento in
Spagna, e che detiene la maggioranza delle azioni delle altre ricorrenti nella presente
causa, ossia la Región de Murcia de Cable SA, la Valencia de Cable SA, la Mediterránea
Sur Sistemas de Cable SA e la Mediterránea Norte Sistemas de Cable SA, che sono
parimenti operatori via cavo attivi in Spagna.
4. La Aunacable SA (in prosieguo: la «Aunacable»), prima ricorrente nella causa T-
347/02, è una società che raggruppa cinque operatori via cavo attivi in Spagna, ossia la
Able en Aragon, la Canarias Telecom nelle isole Canarie, la Madritel a Madrid, la Menta
in Catalogna e la Supercable nella gran parte dell'Andalusia. Le altre ricorrenti nella
presente causa sono operatori via cavo regionali (in prosieguo: «operatori via cavo
regionali»), anch'essi attivi in Spagna.
5. La Sogecable SA (in prosieguo: la «Sogecable») è una società per azioni le cui attività
consistono essenzialmente nella gestione e nello sfruttamento di un canale televisivo
analogico a pagamento (Canal+) nel mercato spagnolo. La Sogecable gestisce parimenti
una piattaforma televisiva digitale via satellite, la Canalsatélite Digital, di cui essa
controlla l'83,25%. Le sue attività comprendono inoltre la fornitura di servizi tecnici e la
gestione del servizio di abbonamento, la produzione e la vendita di canali televisivi
tematici, la produzione, la distribuzione e la proiezione di film, l'acquisizione e la vendita
di diritti sportivi. La Sogecable, tramite Canal+ e Canalsatélite Digital, è il maggiore
operatore nel settore della televisione a pagamento in Spagna.
6. A seguito dell'accordo siglato il 28 giugno 1999 tra gli azionisti della Promotora de
Informaciones SA (in prosieguo: la «Prisa») e del gruppo Canal+ SA (in prosieguo: il
«gruppo Canal+»), e aggiornato nel 2002, la Sogecable è controllata congiuntamente da
queste due società, ciascuna delle quali detiene il 21,27% delle azioni, mentre le
rimanenti azioni sono possedute da diversi azionisti di minoranza e distribuite in borsa.
La Prisa è un gruppo spagnolo, attivo nell'ambito dei mezzi di comunicazione, che ha
interessi nei settori della stampa, dell'editoria, della radio e della televisione a pagamento.
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Il gruppo Canal+ dirige la divisione europea del cinema e della televisione del gruppo
Vivendi Universal (in prosieguo: il «Vivendi»). Quest'ultimo esercita la propria attività
nei settori della musica, della televisione e del cinema, delle telecomunicazioni,
dell'internet, dell'editoria e dell'ambiente.
7. La DTS Distribuidora de Televisión Digital SA (in prosieguo: la «Vía Digital»)
gestisce e sfrutta una piattaforma televisiva digitale nel mercato spagnolo. Essa è
parimenti attiva nella produzione, acquisto, vendita, riproduzione, distribuzione e
proiezione di ogni tipo di opera audiovisiva. E' inoltre il secondo operatore nel settore
della televisione multicanale a pagamento in Spagna.
8. La Vía Digital è controllata dalla Telefónica de Contenidos SAU (in prosieguo: la
«Telefónica de Contenidos»), società la cui ragione sociale era, fino al 23 ottobre 2002,
Grupo Admira Media SA (in prosieguo: la «Admira»). La Telefónica de Contenidos,
controllata interamente dalla Telefónica SA (in prosieguo: la «Telefónica»), il maggiore
operatore nelle telecomunicazioni nel mondo ispanofono, raggruppa e gestisce le
partecipazioni di quest'ultima sul mercato dei servizi audiovisivi spagnoli e latinoamericani.
Antefatti
9. Il 3 luglio 2002 la Commissione riceveva la notifica, ai sensi del regolamento n.
4064/89, di un accordo, concluso l'8 maggio 2002 tra la Sogecable e la Admira, volto alla
fusione della Vía Digital e della Sogecable attraverso uno scambio di azioni. L'accordo
prevedeva parimenti l'acquisizione da parte della Sogecable della partecipazione indiretta
della Admira alla Audiovisual Sport SL (in prosieguo: l'«AVS»), impresa mediante la
quale la Sogecable e la Telefónica controllano i diritti di ritrasmissione delle partite della
prima e della seconda divisione del Campionato spagnolo di calcio, di altre competizioni,
quali la UEFA Champions League e il Campionato mondiale della FIFA, nonché di altri