La fisica della vela
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offrissero meno opportunità a queste forze di esercitare<br />
la loro azione.<br />
Le forze di resistenza sono dovute a diverse cause<br />
fisiche, e la loro comprensione richiede di guardare<br />
il sistema scafo-fluido su più scale dimensionali.<br />
Su scala microscopica, tra le molecole di un<br />
fluido intervengono forze attrattive di origine elettrostatica,<br />
le forze di van der Waals. Queste forze di<br />
coesione intermolecolare si esercitano a brevissima<br />
distanza, e in buona approssimazione si può assumere<br />
che il loro effetto si manifesti solo fra molecole<br />
adiacenti. Le forze di coesione non si esercitano<br />
solo fra le molecole del liquido, ma anche fra<br />
queste molecole e quelle di una qualsiasi superficie<br />
solida a contatto con il liquido stesso.<br />
Pensiamo a una lastra piana adagiata su un liquido<br />
fermo. Il liquido bagna la lastra, cioè le sue<br />
molecole aderiscono a quelle del materiale <strong>della</strong> lastra<br />
costituendo un sottilissimo velo di liquido fortemente<br />
coeso alla sua superficie. Se si trascina la<br />
lastra tangente alla superficie del liquido, anche il<br />
velo si muoverà solidale con lei. Inesorabilmente le<br />
forze di coesione agiranno anche fra le molecole del<br />
velo e quelle del velo vicino, mettendolo in moto.<br />
<strong>La</strong> velocità del secondo velo sarà inferiore rispetto a<br />
quella del primo, proprio come avviene fra due dischi<br />
di una frizione che slitta. Il moto si propagherà<br />
trasferendosi progressivamente fra veli adiacenti,<br />
che avranno una velocità sempre più bassa via via<br />
che ci si allontana dalla lastra, sino a ritrovare lo<br />
stato di quiete come il liquido circostante.<br />
<strong>La</strong> grandezza che esprime macroscopicamente<br />
la coesione di un fluido è la viscosità. Sostanzialmente<br />
riconducibile agli attriti interni, la viscosità<br />
dell’acqua è quindi una delle cause di quelle forze<br />
di resistenza che impediscono a una barca di incrementare<br />
indefinitamente la propria velocità anche<br />
sotto l’azione di una forza propulsiva costante.<br />
Osservando il sistema scafo-fluido su una scala<br />
più grande si entra nel mondo delle «particelle idrodinamiche»,<br />
entità macroscopiche che rappresentano<br />
il movimento di un gruppo di molecole vicine.<br />
In un fluido che scorre secondo una corrente ordinata<br />
e costante, le particelle idrodinamiche si muovono<br />
secondo traiettorie dette «linee di flusso». Se<br />
le linee di flusso scorrono parallelamente fra loro, il<br />
moto del fluido si dice laminare, e questo è il comportamento<br />
che ci si aspetterebbe intuitivamente da<br />
parte dell’acqua che scorre lungo la carena di una<br />
barca in movimento, ma non è sempre così. Le particelle<br />
idrodinamiche dei fluidi reali dimostrano infatti<br />
una naturale riluttanza a rispettare il moto laminare<br />
oltre certi limiti di velocità e distanza, e la<br />
quantificazione di questi limiti è espressa dal numero<br />
di Reynolds R = lv/ν, dove l è la dimensione<br />
B Baricentro<br />
C Centro di carena<br />
M Metacentro<br />
B<br />
C<br />
B<br />
C<br />
lineare, v è la velocità delle particelle idrodinamiche<br />
e ν è la viscosità cinematica del fluido al quale<br />
appartengono le particelle.<br />
Sperimentalmente si verifica che esiste un valore<br />
di soglia per il numero di Reynolds sotto il quale un<br />
fluido conserva il regime laminare e sopra il quale<br />
il moto delle particelle si modifica radicalmente:<br />
i filetti fluidi non hanno più andamento continuo<br />
e lineare, ma assumono geometrie complicate, entrando<br />
nel dominio delle turbolenze. <strong>La</strong> teoria delle<br />
turbolenze è complessa, e ancora non del tutto risolta;<br />
un modello intuitivo, formalizzato dal russo<br />
Andrej Kolmogorov, afferma sostanzialmente che<br />
i moti turbolenti metabolizzano parte dell’energia<br />
del moto iniziale ordinato trasferendola su scale dimensionali<br />
sempre più piccole sino a degradarla in<br />
calore – tramite le forze di attrito interno del fluido<br />
– a spese <strong>della</strong> forza propulsiva <strong>della</strong> barca.<br />
Osservando il sistema scafo-fluido su scala ma-<br />
IL BraCCIO DEL MOMENtO<br />
van<br />
croscopica si torna a vedere una barca che navi- raddrizzante (figura in alto, sopra) è<br />
Onne<br />
ga. Le barche a <strong>vela</strong> procedono per lo più in asset- dato dalla lunghezza del segmento<br />
to dislocante, ovvero spostando acqua di continuo, ortogonale alla retta CM, passante per<br />
(disegno);<br />
e quando l’acqua è costretta a muoversi si forma il baricentro B. Quando si cerca la<br />
autori<br />
un’onda. Quello delle onde è un argomento affa- stabilità di forma (sotto), in uno scafo<br />
degli<br />
scinante <strong>della</strong> <strong>fisica</strong>, ed è così ricorrente da indurre a sezione trasversale allungata,<br />
la suggestione che le onde siano un modo predilet- il braccio del momento raddrizzante<br />
indicazione<br />
to dalla natura per trasportare energia. Ma proprio aumenta rapidamente in funzione<br />
su<br />
perché le onde trasportano energia la loro stessa ge-<br />
dell’angolo di rollio. In figura,<br />
Carrara,<br />
nerazione richiede energia, e questo è un altro ine- il metacentro M è così in alto da uscire<br />
luttabile freno per una barca. <strong>La</strong> resistenza d’onda. dal riquadro.<br />
Stefano<br />
B<br />
B<br />
P<br />
M<br />
C<br />
A<br />
C<br />
Stefano Carrara, su indicazione degli autori<br />
74 LE SCIENZE 498 febbraio 2010 www.lescienze.it LE SCIENZE 75<br />
der Wal/Corbis (fotografia)<br />
B<br />
B<br />
Per capire la relazione tra un’onda di dislocamento<br />
e il moto <strong>della</strong> barca che la genera bisogna<br />
chiedersi prima di tutto qual è la sua velocità<br />
di propagazione. In acque profonde la velocità di<br />
un’onda è proporzionale alla radice quadrata <strong>della</strong><br />
sua lunghezza d’onda l. In una vasta insenatura le<br />
onde hanno una l tipica di 15 metri, che le porta a<br />
viaggiare a 18 chilometri all’ora, ma in alto mare,<br />
dove l è dell’ordine di 600 metri, viaggiano a 110<br />
chilometri all’ora. È strabiliante il caso degli tsunami,<br />
che hanno una l intorno ai 200 chilometri:<br />
in questo caso la velocità dipende soprattutto dalla<br />
B<br />
M<br />
M<br />
C<br />
B C<br />
IL PErCHé DEL<strong>La</strong> ZaVOrra. Quando<br />
si cerca di garantire la stabilità<br />
di un’imbarcazione attraverso<br />
la stabilità di peso (in alto), l’impiego<br />
di una zavorra abbassa il baricentro,<br />
e conseguentemente ne aumenta<br />
la distanza verticale dal metacentro.<br />
profondità ed è di circa 700 chilometri all’ora, quasi<br />
quanto un aereo di linea.<br />
Tornando all’onda di dislocamento, se si osserva<br />
una barca in navigazione si nota la formazione di<br />
un’onda che parte da prua e si allunga verso poppa.<br />
Per una barca con velocità costante, quest’onda<br />
conserva la sua forma nel tempo e in ogni punto<br />
del suo sviluppo. Per ogni velocità <strong>della</strong> barca<br />
quindi, l’onda di dislocamento deve avere una l<br />
tale da consentirle di stare al passo con lo scafo.<br />
All’aumentare <strong>della</strong> velocità <strong>della</strong> barca l’onda di<br />
prua aumenta progressivamente la sua lunghezza<br />
d’onda, sino a uguagliare la lunghezza dello scafo.<br />
A questo punto la barca assume un assetto decisamente<br />
sconveniente: la poppa sprofonda nel cavo<br />
dell’onda di dislocamento, e tutto lo scafo si trova<br />
a doverne risalire il dorso, con enorme dispendio di<br />
energia. <strong>La</strong> velocità limite alla quale si verifica questa<br />
condizione è determinata dalla lunghezza dello<br />
scafo, e prende il nome di velocità di carena.<br />
Tutto ciò che abbiamo visto finora riguarda il<br />
mondo dell’acqua. Alzando lo sguardo al di sopra<br />
<strong>della</strong> superficie si entra nel mondo del vento e delle<br />
vele, che apre a nuove sfide e motivi di fascino.<br />
fuori dall’acqua:<br />
la portanza<br />
Con la loro particolare e ingegnosa<br />
forma delle vele, le giunche<br />
cinesi riuscivano a progredire<br />
in modo significativo verso il<br />
settore di provenienza del vento<br />
molti secoli prima che si imparasse<br />
a farlo in modo efficace<br />
nel mondo occidentale. Evidentemente<br />
i cinesi erano riusciti a<br />
trovare il modo di estrarre energia<br />
dal vento e orientarla, almeno<br />
in parte, in direzione <strong>della</strong><br />
prua. Anche se la comprensione<br />
fisico-matematica del fenomeno<br />
tarderà molti secoli, in Oriente<br />
furono probabilmente i primi<br />
a sfruttare la «portanza» per «stringere» e risalire<br />
il vento.<br />
Ma che cos’è la portanza? Termine di origine aeronautica,<br />
in quel contesto indica la forza a cui è<br />
sottoposta l’ala di un aereo in direzione perpendicolare<br />
al flusso d’aria incidente su di essa. In un<br />
contesto nautico si parla di vele, non di ali, ma la<br />
sostanza non cambia: con un vento proveniente da<br />
un piccolo angolo di incidenza, l'angolo di attacco,<br />
sulla <strong>vela</strong> agisce una forza aerodinamica totale circa<br />
perpendicolare alla sua superficie; la componente<br />
trasversale al vento è appunto la portanza.