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LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE - Rivista S.S.E.F.

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<strong>LA</strong> RESPONSABILITÀ <strong>PROFESSIONALE</strong><br />

1. Premessa - 2. La responsabilità del medico - 2.1. La responsabilità penale del medico - 2.1.2. Il nesso<br />

di causalità - 2.1.3. Il nesso psichico - 2.2. La responsabilità di altre categorie professionali - 2.2.1. La<br />

responsabilità del consulente tributario.<br />

1. PREMESSA<br />

Il carattere principale dell’obbligazione del professionista consiste nel porre in essere una attività<br />

strumentale al perseguimento dell’interesse del creditore-cliente. Rispetto a tale contenuto l’attenzione<br />

della dottrina e della giurisprudenza si è concentrata su quella particolare categoria di obbligazioni che è<br />

convenzionalmente definita come obbligazioni di mezzi 1 , che si suole contrapporre alla diversa categoria<br />

individuata nelle obbligazioni di risultato 2 . La differenza sostanziale tra le due tipologie di obbligazioni de<br />

quibus va inquadrata nel fatto che quando si chiede ad un professionista di prestare le proprie capacità<br />

professionali per la tutela di un interesse, non si può pretendere, a differenza di quanto accade nelle<br />

obbligazioni di risultato, che questi raggiunga il risultato e quindi soddisfi le speranze del cliente, ma si<br />

potrà solo pretendere che egli adotti quella diligenza che la fattispecie richiede usando tutto il suo<br />

bagaglio di esperienze e cognizioni, onde tentare di risolvere al meglio il problema; pertanto la<br />

prestazione del professionista rientra nell’ambito dell’obbligazione di mezzi. Infatti l’opera prestata da<br />

quest’ultimo, essendo relativa solo a prestazioni intellettuali attraverso il mezzo del sapere, non può<br />

essere mirata al raggiungimento di uno scopo come risultato, ma solo al tentativo di raggiungerlo,<br />

essendo questo in ogni caso influenzato da elementi esterni molte volte imponderabili. La stessa Corte<br />

di cassazione (Cass. civ., sez. II, 8 agosto 2000 n. 10431) ha sottolineato che le obbligazioni inerenti<br />

all'esercizio di un'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista<br />

assumendo l'incarico si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo.<br />

Ne deriva che l'inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento<br />

del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo<br />

svolgimento dell'attività professionale ed in particolare al dovere di diligenza per il quale trova<br />

applicazione, in luogo del criterio tradizionale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro<br />

della diligenza professionale fissato dall'art. 1176, comma 2, c.c., il quale deve essere commisurato alla<br />

natura dell'attività esercitata; pertanto la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento<br />

della sua attività è quella media, cioè la diligenza posta nell'esercizio della propria attività dal<br />

professionista di preparazione professionale e di attenzione medie, a meno che la prestazione<br />

professionale da eseguire in concreto non involga la soluzione di problemi tecnici di particolare<br />

difficoltà, nel qual caso la responsabilità del professionista è attenuta configurandosi, secondo l'espresso<br />

disposto dell'art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave. Conseguenza del fatto che il<br />

professionista adempie la propria obbligazione effettuando tutto il possibile per ottenere un certo<br />

risultato, anche se poi questo non viene raggiunto, è che il corrispettivo pattuito andrà comunque<br />

corrisposto (l’avvocato dovrà essere egualmente pagato anche se la causa è stata persa e il medico anche<br />

se il paziente non guarisce). Tuttavia questo vale sino a quando non si prova una responsabilità del<br />

professionista nell’adempimento del proprio obbligo di mezzi, cioè si dimostra che egli non ha fatto<br />

tutto il possibile (tenendo presente lo stato della migliore scienza o esperienza) per raggiungere il<br />

risultato. La colpa professionale (negligenza, imperizia o imprudenza) deve essere pertanto valutata con<br />

1 In questa direzione si veda Cass. 29 novembre 1973, n. 3298; si sostiene che l’obbligo che “…un libero professionista<br />

assume verso il cliente, per effetto dell’accettazione dell’incarico conferitogli (conclusione del contratto d’opera<br />

professionale), ha per contenuto (prestazione) lo svolgimento dell’attività professionale necessaria od utile in relazione al<br />

caso concreto ed in vista del risultato che, attraverso il mezzo tecnico professionale, il cliente spera di conseguire (cosiddetta<br />

obbligazione di mezzi o di comportamento, e non di risultato). Dovere, dunque, del libero professionista di svolgere<br />

l’attività professionale necessaria ed utile in relazione al caso concreto, e dovere di svolgerla con la necessaria adeguata<br />

diligenza…”.<br />

2 Sulle differenze in tema di responsabilità si rinvia a Franzoni, La responsabilità nelle obbligazioni di mezzo e nelle obbligazioni di<br />

risultato, Resp. comunicazione, impresa, 1997, I, p. 319.<br />

1


iferimento all’impegno che il professionista “modello” avrebbe posto in quel particolare caso e quello<br />

che è stato utilizzato nel caso concreto da quel professionista. La responsabilità del prestatore d’opera<br />

intellettuale è regolata in generale dell’art. 1176 c.c. che nel secondo comma fa obbligo al professionista<br />

di usare la diligenza media, da valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata. E’ il giudizio sulla<br />

diligenza che comporta, quindi, quale conseguenza, un giudizio sulla responsabilità del professionista,<br />

nel senso che si deve fare riferimento, per valutare la diligenza impiegata, al tipo di attività che il<br />

professionista è chiamato a compiere per cui, correlando la norma sopra indicata con quella successiva<br />

di cui all’art. 2236 c.c., si ha che la responsabilità del professionista, già limitata nelle prestazioni di difficile<br />

esecuzione ai soli casi di dolo o colpa grave, viene limitata anche nei casi rientranti nella normalità<br />

dal criterio valutativo della diligenza adoperata, avuto riguardo alla media diligenza cioè alla media<br />

capacità professionale, posto che al professionista, che non sia specializzato, non può chiedersi una capacità<br />

professionale eccezionale. Quindi, per fare un esempio, qualora un medico sia chiamato ad<br />

effettuare un intervento chirurgico di routine, tipo asportazione di un’appendicite o di un’ernia o, per<br />

farla più semplice, delle tonsille, la sua responsabilità sarà più ampia rispetto al caso in cui sia chiamato<br />

ad un delicato intervento di chirurgia cardio-vascolare od addirittura al cervello. Al contrario è evidente<br />

che se nel corso di un intervento di appendicectomia, qualora al posto della parte infiammata venga<br />

asportata una parte sana, indubbia è la responsabilità del chirurgo per il macroscopico errore in relazione<br />

ad un normale intervento: i professionisti, pertanto, rispondono anche per colpa lieve quando siano<br />

chiamati a risolvere problemi semplici e che rientrano nelle normali capacità di ogni medio professionista.<br />

L’art. 2236 c.c., come già sottolineato, limita la responsabilità del professionista ai casi di dolo o<br />

colpa grave se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Tale limitazione di<br />

responsabilità, che ad una prima analisi potrebbe risultare abusiva, in realtà è perfettamente<br />

consequenziale al tipo di attività che il prestatore d’opera intellettuale-professionista compie rispetto al<br />

prestatore d’opera materiale: il primo, infatti, impiega i mezzi che la sua conoscenza intellettuale gli<br />

consente, mentre l’altro deve solo plasmare una materia. E allora la differenza di obbligazione che l’uno<br />

assume rispetto all’altro, cioè il risultato ed i mezzi, rende comprensibile e condivisibile la limitazione di<br />

responsabilità per il professionista ai soli casi di dolo o colpa grave quando la prestazione implica la<br />

soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà mentre, di fronte ad ipotesi di normale impegno, il<br />

professionista risponde secondo i normali principi di responsabilità di cui all’art. 1176 c.c.. La legittimità<br />

della limitazione della responsabilità del professionista di cui all’art. 2236 c.c. è stata tra l’altro<br />

confermata dalla stessa Corte costituzionale attraverso la sentenza 28 novembre 1973 n. 166; è stato<br />

rilevato che lo speciale trattamento giuridico riservato al professionista non è collegato puramente e semplicemente a<br />

condizioni personali e sociali, ma ha in sè una sua adeguata ragione di essere, ed è il riflesso di una normativa dettata di<br />

fronte a due opposte esigenze: quella di non modificare l’iniziativa del professionista col timore di ingiuste rappresaglie da<br />

parte del cliente in caso di insuccesso e quella inversa di non indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del<br />

professionista stesso.<br />

Fino ad ora abbiamo parlato, per fare degli esempi, dei medici e dei chirurghi perché è proprio<br />

in riferimento a questi che vi è stata una evoluzione del concetto di responsabilità dei professionisti,<br />

non essendo altrettanto evidente per ciò che riguarda altre categorie di prestatori d’opera intellettuale:<br />

avvocati, notai, commercialisti, ecc. L’obbligazione che il medico assume nei confronti del proprio<br />

cliente è, come quella di ogni altro professionista intellettuale, di regola (ma con talune eccezioni) una<br />

obbligazione di mezzi e non di risultato. Ciò vuol dire che l’obbligazione del medico consiste nel fare<br />

tutto il possibile per ottenere la guarigione del paziente, ma egli non garantisce il risultato (la guarigione)<br />

allo stesso modo nel quale l’avvocato ha l’obbligo di fare tutto il possibile per vincere la causa ma non<br />

garantisce certo il risultato della vittoria della causa stessa.<br />

Nel prosieguo del presente lavoro si presterà particolare attenzione alla responsabilità del<br />

medico, in quanto la particolare delicatezza degli interessi alla cui tutela è chiamato tale professionista<br />

espone quest’ultimo ad una particolare situazione di rischio, potendo corrispondere ad ogni errore una<br />

lesione personale del “cliente”; la responsabilità del medico non può, pertanto, prescindere da profili<br />

penalistici, a differenza di altre professioni che invece, per gran parte, riguardano solo ipotesi di inadempienze<br />

contrattuali o illeciti di esclusiva rilevanza civilistica.<br />

2


2. <strong>LA</strong> RESPONSABILITÀ DEL MEDICO<br />

La figura più emblematica di prestatore di opera intellettuale che più è oggetto dell’indagine<br />

giurisprudenziale in tema di responsabilità è quella del medico 3 perché indubbiamente le conseguenze<br />

del suo operato hanno un riflesso immediato sia che il risultato sperato sia raggiunto, sia, e soprattutto,<br />

nel caso contrario. Per di più la professione medica, ed in particolar modo la specializzazione in chirurgia,<br />

espone il professionista ad una particolare situazione di rischio perchè sia la diagnosi, sia la cura, e<br />

quindi l’intervento chirurgico, molto spesso sconfinano nell’ipotetico se non addirittura nello<br />

sperimentale e comunque nell’incerto. La scienza medica, infatti, pur avendo fatto passi da gigante nelle<br />

conquiste tecnico scientifiche, è tuttavia ben lungi dall’essere ritenuta, ancora oggi, una scienza esatta.<br />

L’applicazione a questa professione delle norme sopra indicate, pertanto, è stata rigorosa e fino a poco<br />

tempo fa si sono perdonati errori eclatanti proprio in considerazione della delicatezza in ogni intervento<br />

effettuato. La giurisprudenza però è cambiata sia perché la posizione di inferiorità e debolezza del<br />

paziente danneggiato, rispetto a quella privilegiata del medico, doveva trovare un riscatto, sia perché ci<br />

si è resi conto che molto spesso il viatico, che era stato concesso in considerazione della delicatezza e<br />

dei rischi naturalmente connessi a tale attività, in molti casi era poi servito a sanare abusi a volte<br />

addirittura ingiustificabili. Non c’è molto da dire quando il medico intervenga in condizioni estreme, e<br />

quindi in stato di necessità, tentando di salvare una vita che sia irrimediabilmente perduta, per cui il<br />

tentativo 4 che abbia avuto esito infruttuoso, non costituisce ipotesi di responsabilità perché l’unico<br />

risultato sperato sarebbe stata la irraggiungibile salvezza. Al contrario, nel momento in cui l’intervento<br />

del professionista medico o chirurgo sia finalizzato al miglioramento della qualità della vita e quindi al<br />

ripristino della salute, qualora le conseguenze siano peggiorative costituendo un danno per il paziente,<br />

allora viene in rilievo la responsabilità dell’operatore che è indubbiamente regolata dal combinato disposto<br />

degli artt. 1176 e 2236 c.c. ma, quasi con una trasposizione di concetti penalistici, si fa in ogni caso<br />

riferimento alla negligenza ed alla imperizia quale ipotesi di colpa 5 . La Cassazione civile, con Cass., sez.<br />

III, 13 maggio 1982 n. 30128, ha affermato che l’indagine sulla sussistenza del nesso di causalità tra un ‘affezione<br />

o lesione personale ed una terapia medica od di un intervento chirurgico, al fine di un’eventuale risarcitoria dell’autore di<br />

tale terapia od intervento, implica il necessario ausilio di patologia medica e medicina legale, con la conseguenza che non<br />

potendo questa fornire un grado di certezza assoluta sulla derivazione di un certo evento da un determinato antecedente, la<br />

ricorrenza del suddetto rapporto di causalità non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte<br />

di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica . Quindi la responsabilità del professionista medicochirurgo<br />

non è più limitata alle ipotesi previste dalle norme civilistiche in esame, ma è influenzata anche<br />

da quelle penalistiche con un allargamento di queste oltre i limiti previsti dall’art. 40 c.p.. Vi è dunque<br />

una dilatazione della responsabilità del medico proprio perché quello che egli fa deve essere<br />

nell’esclusivo interesse della salute dell’individuo per cui gli è richiesta una particolare diligenza che<br />

sconfina addirittura nel rischio che coscientemente l’operatore assume laddove intervenga, anche se le<br />

probabilità di riuscita sono estremamente limitate 6 .<br />

3 Con il sintagma responsabilità medica si intende quell’aspetto di tutela della salute del cittadino in relazione ai rischi che lo<br />

stesso corre allorquando si sottopone ad un trattamento sanitario, intendendosi per tale qualunque attività volta a prevenire<br />

e curare il suo stato di malattia.<br />

4 Vedremo poi come la giurisprudenza ritiene obbligatorio il tentativo quasi in ogni caso.<br />

5 Negli ultimi anni, l’aumento dei casi di responsabilità medica è cresciuto a dismisura, provocando il triplicarsi di<br />

controversie giudiziarie. Molteplici sono le cause del fenomeno, non ancora ben identificato da un’analisi di studio<br />

progettuale, ma alcuni fattori scatenanti il fenomeno si sono già delineati: l’aumento delle patologie curate dai sanitari, oggi<br />

anche le più gravi e quindi l’evoluzione dei mezzi di cura e diagnosi; l’attività di sensibilizzazione costante delle associazioni a<br />

difesa dei diritti del malato; la maggiore presa di coscienza dei propri diritti da parte del cittadino; l’allungamento della vita<br />

media dell’uomo; la pressione dei mass–media; non ultimi, la stessa evoluzione del concetto e delle funzioni della<br />

responsabilità civile e, purtroppo, anche l’istinto predatorio, poco apprezzabile sul piano morale e deontologico, di molti<br />

addetti ai lavori, che, in presenza di enti e compagnie assicurative tenute a risarcire ed in grado di soddisfare esigenze<br />

economiche, incardinano giudizi civili spesso infondati, quasi sempre dal petitum lievitato in modo esponenziale.<br />

6 Rimane pur tuttavia, quella del medico, una obbligazione di mezzi, perch é certamente nessuno potrà impegnarsi a salvare<br />

la vita di un paziente affetto da carcinoma o da embolo cerebrale o da ictus, ma in ogni caso l’opera terapeutica che egli<br />

compie deve essere finalizzata ad eliminare i pericoli per la salute del paziente.<br />

3


2.1. <strong>LA</strong> RESPONSABILITÀ PENALE DEL MEDICO<br />

L’errore del medico inevitabilmente comporta una lesione alla persona se non addirittura il<br />

decesso del paziente e, quindi , come già sottolineato in precedenza, dovrà essere accertata la<br />

sussistenza di una eventuale responsabilità ai sensi delle norme penalistiche riguardanti i delitti contro la<br />

persona.<br />

In poche parole, nel caso in cui, a seguito dell’intervento del medico, si verifica la lesione o<br />

addirittura il decesso del paziente, bisogna valutare se tale evento dannoso, attraverso un criterio di<br />

regolarità causale, avrebbe potuto essere evitato adottando un’azione astrattamente idonea. Se le lesioni<br />

o il decesso del paziente, in ragione delle caratteristiche delle malattia e della gravità della stessa, non<br />

avrebbero potuto essere evitati da diverse e più idonee diagnosi e relative cure, si deve escludere la<br />

sussistenza di una qualsiasi influenza causale di eventuali profili di colpa del medico. Al contrario,<br />

quando risulti che tale intervento impeditivo, diverso da quello adottato nel caso concreto dal medico,<br />

avrebbe potuto, con determinate percentuali di probabilità (a proposito dell’oscillante giurisprudenza in<br />

merito all’esatta quantificazione di tali probabilità si dirà a breve), scongiurare il verificarsi dell’evento<br />

dannoso, si deve affermare la sussistenza del nesso causale tra la condotta del professionista e le lesioni<br />

subite dal paziente. Di conseguenza, accertata l’influenza eziologica del comportamento del sanitario<br />

rispetto all’exitus, è necessario verificare la colpevolezza e, quindi, il nesso psichico attraverso il quale è<br />

stata posta in essere la condotta. Pertanto, è necessario valutare la rimproverabilità soggettiva dell’errore<br />

diagnostico alla luce del combinato disposto degli artt. 47, comma 1 e 43, comma 3 c.p. Si configurerà<br />

in capo al medico una responsabilità penale per lesioni colpose o per omicidio colposo nel momento in<br />

cui l’errore sia colposo secondo i criteri penalistici. Al contrario potrebbero verificarsi dei casi in cui<br />

l’errore diagnostico non è certo addebitabile all’imperizia, negligenza o imprudenza del professionista,<br />

ma è giustificabile in quanto la patologia si è manifestata in forma del tutto anomala o con sintomi<br />

equivoci tali da escludere una condotta colposa del medico.<br />

2.1.2. IL NESSO DI CAUSALITÀ<br />

Come è ben noto il requisito della sussistenza del nesso di causalità, al fine della configurabilità<br />

di eventuali profili di colpevolezza, presuppone che l’evento appaia come la concretizzazione del rischio<br />

assunto con una determinata condotta omissiva o commissiva.<br />

L’art. 40 c.p. dispone che nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come<br />

reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della<br />

sua azione od omissione; non impedire un evento, che si ha l ‘obbligo giuridico di impedire, equivale a<br />

cagionarlo. È necessario, pertanto, che tra l’evento e la condotta intercorra un nesso di dipendenza<br />

causale in modo tale che il primo sia conseguenza della seconda, ripudiando, in ossequio al principio<br />

costituzionale della colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., ogni forma di responsabilità per un accadimento<br />

non effettivamente ricollegabile al comportamento del soggetto.<br />

E’ importante ricordare che la teoria condizionalistica 7 , adottata dal legislatore attraverso il<br />

riferimento all’evento-conseguenza contenuto nel già esaminato art. 40 c.p., deve essere integrata dal<br />

modello della sussunzione sotto leggi 8 , in ragione del quale la condotta è causa dell’evento quando esso<br />

ne sia la conseguenza secondo la miglior scienza ed esperienza del momento storico: la causa è<br />

individuata in quella condotta umana senza la quale l’evento, in base a tale miglior scienza od<br />

esperienza, non si sarebbe verificato 9 . La problematica, quindi, deve essere incentrata<br />

sull’individuazione del criterio in relazione al quale può affermarsi che un evento è conseguenza di una<br />

7 Non si tratta come è noto di un mero giudizio basato sull’esistenza di una semplice successione temporale per cui post hoc<br />

ergo propter hoc.<br />

8 Le leggi scientifiche di copertura o generalizzazioni causali, in grado di fornire la spiegazione causale dell’evento, possono<br />

essere di tipo universale (nel senso che forniscono un criterio nomologico di assoluta certezza) e di tipo statistico (in quanto<br />

basato su un criterio nomologico di probabilità)<br />

9 Ricordiamo che l’art. 41, comma 2, c.p., introduce un limite di rilevanza, individuato nelle cause sopravvenute da sole<br />

sufficienti a determinare l’evento; si tratta di fattori eccezionali tali da modificare il decorso dell’iter causale scatenato dalla<br />

condotta. Non incidono sulla rilevanza del nesso causale le concause eccezionali antecedenti e concomitanti.<br />

4


azione o omissione 10 . E’ proprio a questo proposito che la giurisprudenza, nell’individuare il nesso<br />

causale tra la condotta del medico e l’evento lesivo subito dal paziente, ha mostrato le maggiori<br />

incertezze. Per quanto riguarda la professione medica, infatti, è alquanto probabile che ci si trovi<br />

innanzi ad un reato omissivo improprio 11 , ed in tal caso il nesso causale si prospetta in termini diversi<br />

che non nei reati di azione. Infatti l’evento non impedito dal professionista, titolare della posizione<br />

giuridica di garanzia, non è stato da lui propriamente cagionato ma si è realizzato in ragione di uno<br />

sviluppo eziologico sul quale l’obbligato non è intervenuto. Pertanto la condotta omissiva, sotto un<br />

profilo naturalistico, non può produrre alcun risultato, in quanto priva di consistenza materiale. In tal<br />

caso, quindi, la verifica della sussistenza del nesso di causalità avverrà solo in termini probabilistici<br />

attraverso una riformulazione ipotetica della vicenda causale. In altre parole si muoverà dal presupposto<br />

che l’obbligato abbia effettivamente compiuto l’azione astrattamente doverosa al fine di valutare e<br />

stimare, sempre in termini probabilistici, la rilevanza causale impeditiva; pertanto occorrerà verificare, in<br />

base alla miglior scienza ed esperienza, se la condotta doverosa avrebbe probabilmente alterato il<br />

decorso causale naturalistico, in modo tale da impedire l’evento. Per quanto riguarda la professione<br />

medica, la giurisprudenza si è evoluta nel ritenere, ai fini della sussistenza del nesso causale tra la<br />

condotta del medico e l’evento, non più applicabile il principio della drastica conditio sine qua non, bensì<br />

quello della probabilità statistica, nel senso che si deve far riferimento alla comune nozione per<br />

accertare se l’intervento del sanitario avrebbe avuto probabilità sufficienti a giustificarlo. Per esempio la<br />

Cassazione nel l952 aveva escluso la colpa professionale di un sanitario per omissione di metodi<br />

scientifici di indagine in quanto non è sufficiente la semplice possibilità di evento favorevole in conseguenza<br />

dell’adozione di determinati metodi scientifici perché il nesso di causalità richiede sempre una derivazione necessaria,<br />

diretta e certa, tra azione ed omissione e l’evento 12 . La giurisprudenza più recente, invece, si è definitivamente<br />

orientata su un concetto probabilistico; la Cassazione, infatti, ha affermato che in tema di causalità<br />

omissiva, particolarmente in materia di responsabilità per colpa professionale medico-chirurgica, è corretto il ricorso al<br />

criterio della probabilità perché è impossibile affermare con certezza assoluta che un determinato evento non si sarebbe<br />

realizzato ove fosse stata posta in essere la condotta doverosa di un intervento terapeutico o chirurgico diretta ad impedirlo,<br />

trattandosi di un giudizio ipotetico da compiersi con il procedimento logico consistente nell’eliminazione mentale della<br />

omissione e nella sostituzione di questa con l’azione impedita astrattamente idonea, secondo un criterio di regolarità<br />

causale. Il rapporto di casualità può ritenersi sussistente ogni qualvolta sia accertato che una diversa<br />

condotta avrebbe avuto se non la certezza, una sufficiente probabilità di successo, serie ed apprezzabili possibilità<br />

di successo per salvare la vita al paziente. Si è fatto riferimento alle percentuali elaborate della statistica<br />

sanitaria, affermando l’esistenza di quel nesso in presenza di un buon ottanta - settanta per cento di esito<br />

positivo della terapia omessa, e, più di recente, quando le probabilità di successo erano all’ordine del<br />

cinquanta per cento. Di importanza determinante risulta essere, a tal proposito, la famosa sentenza<br />

Silvestri. Tale pronuncia ha quantificato il dato probabilistico addirittura nella misura del 30 per cento;<br />

di conseguenza viene affermato il principio secondo il quale, anche nel caso in cui le probabilità siano<br />

minime, è doveroso da parte del medico intervenire comunque per tentare di salvare il paziente: sussiste<br />

sempre il rapporto di casualità anche qualora l’esatta e tempestiva opera del sanitario avrebbe potuto evitare l’evento non<br />

già con certezza o elevate probabilità ma solo con probabilità apprezzabili nella misura del trenta per cento. Tale<br />

tendenza rigoristica aveva avuto precedenti nella tesi secondo la quale quando è in gioco la vita umana, anche<br />

solo poche probabilità di successo di un immediato o sollecito intervento sono sufficienti, talchè sussiste il nesso di casualità<br />

10 T. Padovani, Diritto penale, Giuffrè editore, V ed., 1999, p. 163, individua due teorie per definire i termini della dipendenza<br />

causale: la teoria della conditio sine qua non e la teoria della causalità adeguata. La prima identifica la causa in ogni condizione<br />

antecedente l’evento, senza la quale l’evento non si sarebbe verificato (per compiere tale accertamento, si ricorre ad un<br />

procedimento di “eliminazione mentale”); la seconda è sorta e si è sviluppata co me correttivo della teoria condizionalistica:<br />

sono considerate causali soltanto quelle condizioni che, in base alla comune esperienza, secondo l’id quod plerumque accidit ,<br />

sono idonee a provocare quel certo risultato.<br />

11 I reati omissivi impropri sono reati di evento con una condotta omissiva (reati commissivi mediante omissione) e si<br />

distinguono dai reati omissivi propri, i quali sono, invece, reati di mera condotta in cui l’omissione esaurisce la fattispecie di<br />

reato.<br />

12 Si trattava di un pazien te che aveva subito un danno alla vista perché il suo oculista non gli aveva praticato una terapia che<br />

sarebbe stata invece consigliabile in simile caso.<br />

5


quando un siffatto intervento non sia stato possibile a causa dell’incuria colpevole del sanitario 13 . Illuminante a tal<br />

proposito, in quanto di segno interpretativo contrario alla sentenza Silvestri, risulta essere la Cass. pen.,<br />

sez. IV, 20 novembre 2001 n. 14334, pronunciata in merito al ricorso presentato da un medico<br />

condannato dalla Corte di Appello di Palermo per il reato di omicidio colposo di una bambina affetta<br />

da scompenso cardiocircolatorio acuto conseguente a miocardite di probabile origine virale associata a grave insufficienza<br />

respiratoria prodottasi per una patologia infiammatoria interstiziale del parenchima polmonare, anch'essa di probabile<br />

origine virale; il pediatra, a detta dalla Corte di Appello, si era reso colpevole di carenze diagnostiche non<br />

essendosi per nulla posto il problema della miocardite. Nell’esame del caso de quo, la Suprema Corte<br />

sottolinea che la questione del nesso di causalità è stata, recentemente, oggetto di alcune sentenze della<br />

stessa Cassazione (Cass., sez. IV, 28 settembre 2000; Cass. 25 settembre 2001) 14 , nelle quali si è più<br />

volte ribadita la necessità di un accertamento particolarmente rigoroso della causalità anche nell'ambito delle fattispecie<br />

omissive improprie, sancendo il principio secondo cui il nesso di condizionamento tra la condotta omissiva dell'agente e<br />

l'evento lesivo sussiste solo qualora risulti che, se fosse stata posta in essere la condotta doverosa omessa, l'evento concreto<br />

sarebbe stato evitato con una probabilità di alto grado, vicina alla certezza, mentre non basta una semplice probabilità o<br />

possibilità, più o meno elevata; il giudice, avvalendosi del modello della sussunzione sotto leggi statistiche, ove non disponga<br />

di leggi universali, dice che è probabile che la condotta dell'agente costituisca, caeteris paribus, una condizione necessaria<br />

dell'evento, probabilità che altro non significa se non probabilità logica o credibilità razionale, probabilità che deve essere di<br />

alto rado nel senso che il giudice dovrà accertare che, senza il comportamento dell'agente, l'evento, con alto grado di<br />

probabilità, non si sarebbe verificato. La Corte di cassazione, pertanto, prendendo atto che l'alto grado di<br />

probabilità si è risolto spesso “in semplice probabilità”, “in possibilità” e “in serie ed apprezzabili<br />

possibilità di successo”, ha ritenuto di dover precisare che il giudice può affermare il nesso di<br />

condizionamento soltanto quando abbia accertato che, in quella determinata fattispecie, la condotta,<br />

azione od omissione, è stata causa dell'evento con alto grado di probabilità o con alto grado di<br />

credibilità razionale, cioè con probabilità vicina alla certezza, vicina a cento, probabilità che non può<br />

diventare certezza senza riserve per la decisiva ragione, posta in risalto dalla migliore dottrina, che l'accertamento del<br />

giudice non è un accertamento nomologico deduttivo, ma, per sua natura, probabilistico - induttivo, non essendo il giudice<br />

in grado di conoscere la condizione sufficiente dell'evento, ma conoscendone soltanto la condizione necessaria e, inoltre,<br />

avvalendosi, per lo più, di leggi statistiche, per definizione probabilistiche. Le ragioni di questa presa di posizione da<br />

parte del Supremo Collegio vanno ricercate nei principi ispiratori del nostro ordinamento positivo e, in<br />

particolare, nel principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza. Questo principio,<br />

unitamente al principio di legalità e tipicità della fattispecie penale è conseguenza della posizione<br />

centrale attribuita e riconosciuta alla persona umana dalla carta costituzionale: il sacrificio della libertà,<br />

con la sanzione penale, può verificarsi solo alla condizione del superamento della presunzione di non<br />

colpevolezza. Questa presunzione, a detta della Corte, non potrebbe ritenersi davvero superata se si<br />

affermasse il rapporto di causalità anche quando la legge di copertura, della quale il giudice si avvale per<br />

spiegare l'evento, fosse tale da lasciare uno scoperto scientificamente non tollerabile, ed è scientificamente intollerabile<br />

uno scoperto al di sotto del 5 per cento o, al massimo, del 10 per cento. II giudice, in altri termini, non può<br />

affermare il nesso di causalità allorché, secondo la stessa legge di copertura che dovrebbe utilizzare,<br />

l'evento potrebbe aver avuto, con più o meno accentuata probabilità, un altro antecedente, un'altra<br />

causa e non la condotta dell'uomo. Alla luce delle considerazioni de quibus la Corte, considerato che la<br />

paziente aveva una probabilità di salvarsi del solo 30 per cento, esclude la configurabilità di una qualche<br />

responsabilità penale del medico poiché non ritiene accertato il nesso di condizionamento quando la<br />

legge statistica che utilizza gli dice che l'evento può essersi verificato, nella misura del 70 per cento, per<br />

cause diverse dalla condotta dell'uomo.<br />

In conclusione, a modesto parere dello scrivente la stima probabilistica dovrebbe essere il<br />

risultato di un attento apprezzamento logico di tutte le circostanze del fatto preso in esame. E le<br />

rilevazioni statistiche potranno essere utilizzate ai fini della formazione della decisione purché, venga<br />

effettuato con estrema cautela, tenendo presenti le particolarità del caso concreto e analizzando nei limi-<br />

13 Si è affermato che la citata sentenza del 1991 (c.d. sentenza Silvestri) abbia voluto “compensare il difetto di rilevanza<br />

causale con l’elevato grado di colpa”.<br />

14 V. App. Lecce 2 ottobre 2000 n. 1397.<br />

6


ti del possibile tutte le circostanze differenziali rispetto alla situazione astratta cui si riferisce il dato<br />

statistico.<br />

2.1.3. IL NESSO PSICHICO<br />

Abbiamo avuto già modo di rilevare che l’errore diagnostico, una volta accertata la sussistenza<br />

del nesso di causalità tra la condotta e l’evento, deve essere valutato circa la sua rimproverabilità o meno<br />

in capo al medico a titolo di colpa. Questo perché l’ordinamento giuridico, al fine di poter esprimere la<br />

propria vis repressiva nei confronti di un soggetto in conseguenza della violazione di un qualsiasi<br />

obbligo giuridico, richiede che vi sia il preventivo e necessario accertamento della colpevolezza; questa<br />

rappresenta il momento della rimproverabilità soggettiva in quanto si deve verificare che il fatto tipico<br />

possa essere attribuito personalmente al suo autore in base alla sua capacità di intendere e di volere, al<br />

nesso psichico con cui ha realizzato il fatto, ed alle circostanze in cui si è formata la sua volontà.<br />

Pertanto il quadro giuridico di riferimento al fine di valutare la sussistenza di eventuali profili di<br />

colpevolezza va ricercato nel combinato disposto degli artt. 43 e 47 c.p. Le disposizioni codicistiche<br />

prevedono che l’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell`agente.; in caso di<br />

errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come<br />

delitto colposo. Il delitto è colposo, o contro l`intenzione, quando l`evento, anche se preveduto, non è<br />

voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza<br />

di leggi, regolamenti, ordini o discipline. In altre parole il delitto colposo è connotato, da un lato dalla<br />

mancanza di internazionalità e, dall’altro dalla presenza di una condotta negligente, imprudente od<br />

imperita ovvero connessa a violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, cui sia ricollegabile, con<br />

rapporto di casualità, l’evento. Le regole di diligenza e di prudenza non traggono origine da una fonte<br />

giuridica, ma dalla esperienza, che elabora norme atte ad evitare eventi pregiudizievoli, imponendo<br />

comportamenti positivi (diligenti) e vietandone altri (imprudenti). Tali regole di esperienza non sono<br />

mai avulse dalla concreta attività svolta, ma sono ad essa collegate, attraverso i parametri adottati da un<br />

agente-modello ejusdem condicionis et professionis, nelle specifiche condizioni che si presentino al momento<br />

dell’operare. I modelli di comportamento non possono prescindere dalla pericolosità dell’attività svolta<br />

e dalle condizioni in cui la stessa si svolge, in relazione alle quali sia eventualmente esigibile un livello di<br />

attenzione e di prudenza più alto. Il riferimento alla diligenza ed alla prudenza propri dell’Homo ejusdem<br />

condicionis et professionis permette di evitare una considerazione del tutto astratta dei doveri di diligenza e<br />

di prudenza e di adagiare il comportamento esigibile alle specifiche caratteristiche psicologiche del<br />

soggetto agente. Nell’ampia casistica che ci offre la giurisprudenza penale, ipotesi di negligenza sono<br />

state riscontrate nell’abbandono di corpi estranei quali tamponi di garza, ferri chirurgici, frammenti di<br />

un ago per sutura e persino un cucchiaio da cucina nel corpo del paziente, chiaramente addebitabili a<br />

colpevole, quanto evitabile disattenzione. Al dovere di diligenza va collegato anche l’obbligo di informare<br />

il paziente circa l’uso di medicine pericolose, o sulla gravità della malattia, ove ne dipenda la concreta<br />

possibilità di provvedere alla cura.<br />

Il fondamento normativo dell’obbligo di informazione lo si ancora nella Carta Costituzionale<br />

agli artt. 13 e 32, ma anche in numerose disposizioni normative, tra le quali l’art. 4 L. 26 giugno 67 n.<br />

458 (trapianto del rene tra viventi), l’art. 14 L. 22 maggio 1978 n. 194 (interruzione volontaria della<br />

gravidanza), art. 33, commi 1 e 5 L. 23 dicembre 1978 n. 833 (istituzione del Servizio Sanitario<br />

Nazionale), art. 2 L. 14 aprile 1982 n. 164 (rettificazione in materia di attribuzione di sesso) e più<br />

recentemente nell’art. 5, commi 3 e 4 L. 5 giugno 1990 n. 135 (prevenzione e lotta contro l’AIDS) e artt.<br />

29 e 34 Codice Deontologico della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri<br />

approvato il 25 giugno 1995 15 . L’obbligo per il medico di informare il paziente preesiste alla conclusione<br />

del contratto di formazione d’opera professionale, trovando il proprio fondamento sia nella norma<br />

costituzionale sia nella legge ordinaria. In tal senso, la Corte di cassazione, attraverso la Cass. civ., sez.<br />

15 Il nuovo Codice di Deontologia Medica del 1995 ha disciplinato, con gli artt. 29, 31 e 32 le modalità di informazione del<br />

paziente al fine di ottenerne il consenso, prevedendo dettagliatamente il tipo di informazione da dare, la qualità della stes sa<br />

anche relativamente alle varie alternative terapeutiche o alle even tuali complicanze, sempre tenendo buon co nto dell’aspetto<br />

morale e delle esigenze di non traumatizzare, con verità troppo crude, il paziente.<br />

7


III, 25 novembre 1994 n. 10014 16 , ha ribadito che l’informazione che il medico deve fornire al paziente<br />

deve contenere la natura e la portata dell’intervento, i rischi dello stesso, la percentuale verosimile di<br />

successo. In concreto, il paziente deve essere messo in condizione di valutare i rischi prevedibili 17 e le<br />

alternative praticabili. L’imprudenza è, invece, “avventatezza, insufficiente ponderazione”. Negligenza<br />

commista ad imprudenza si ha nell’assunzione di ruoli non di propria competenza, come nel medico<br />

generico o nel medico di guardia i quali, di fronte ad un caso che presenti particolari difficoltà tecniche,<br />

od esuli dalla propria competenza, trascurino di ricorrere ad uno specialista, o di avvertire il reparto -<br />

competente, salvo che il loro intervento sia imposto da una urgenza che non consenta alcuna remora.<br />

In tali casi la irresponsabilità del sanitario ed il rapporto di casualità vanno valutati con riferimento agli<br />

interventi che lo specialista avrebbe potuto attuare: si parla di colpa per assunzione di ruoli. Comunque<br />

anche l’obbligo di rivolgersi ad uno specialista per i casi più difficili o che esulino dalle proprie<br />

conoscenze, ed eventualmente di disporre il ricovero in ospedali più attrezzati, può rimanere superato<br />

qualora l’urgenza del caso, ed eventualmente la mancanza di mezzi rapidi di trasferimento, imponga di<br />

intervenire con immediatezza, a costo di affrontare dei rischi: in tal caso la perizia. Per quanto riguarda<br />

l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline 18 è necessario sottolineare che fra gli ordini e le<br />

discipline sono comprese non solo le prescrizioni che derivino da autorità pubbliche, ma anche quelle<br />

provenienti da autorità private, quali regolamenti interni. 19 L’imperizia, infine, è deficienza di<br />

preparazione scientifica e di adeguate cognizioni nella specifica materia, nell’uso dei mezzi di indagine,<br />

manuali, strumentali o terapeutici e delle tecniche specifiche al settore. E’ proprio a tal proposito che il<br />

parametro dell’agente modello, in ragione del quale operare la valutazione, assume una specifica<br />

rilevanza; va sottolineato che, nell’ambito di una medesima professione, non esiste un unico metro,<br />

stante la pluralità di agenti-modello, in relazione alla particolare qualificazione. La perizia esigibile,<br />

pertanto, va sostanzialmente valutata con riferimento al grado di qualificazione del soggetto: in misura<br />

diversa, quindi, per il medico generico, per lo specialista o per il cattedratico. L’errore diagnostico non<br />

può ritenersi giustificato allorchè la malattia si manifesti con carattere di assoluta normalità ed evidenza,<br />

rendendo palese la mancanza di quel minimo di preparazione ed esperienza cui ogni professionista è<br />

tenuto 20 . Nel portarsi alla conclusione si reputa importante riportare gli aspetti salienti del vivace<br />

dibattito sull’applicabilità o meno al settore penale del limite alla configurazione della responsabilità del<br />

professionista di cui all’art. 2236 c.c. 21 . Attraverso la Cass. 28 novembre 1973 n. 166, si è obiettato che<br />

16 “Nel contratto di prestazione d'opera intellettuale tra il chirurgo ed il paziente, il professionista anche quando l'oggetto<br />

della sua prestazione sia solo di mezzi, e non di risultato, ha il dovere di informare il paziente sulla natura dell'intervento,<br />

sulla portata ed estensione dei suoi risultati e sulle possibilità e probabilità dei risultati conseguibili, sia perchè violerebbe, in<br />

mancanza, il dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto<br />

(art. 1337 c.c.) sia perchè tale informazione è condizione indispensabile per la validità del consenso, che deve essere<br />

consapevole, al trattamento terapeutico e chirurgico, senza del quale l'intervento sarebbe impedito al chirurgo tanto dall'art.<br />

32, comma 2, Cost., a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per<br />

disposizione di legge, quanto dall'art. 13 Cost., che garantisce l'inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla<br />

libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica, e dall'art. 33 L. 23 dicembre 1978 n. 833, che esclude<br />

la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente se questo è in grado di prestarlo e non<br />

ricorrono i presupposti dello stato di necessità (art. 54 c.p.)”.<br />

17 Quelli imprevedibili non hanno alcun rilievo, secondo l’antico principio giuridico del quo plerumque accidit.<br />

18 Si è esattamente rilevato, inoltre, che, in tali fattispecie, non esplica funzione alcuna il criterio della prevedibilità, cui è<br />

normalmente collegata la responsabilità per colpa: l’emanazione delle norme disciplinanti una determinata attività comporta<br />

già un giudizio prognostico circa la situazione di pericolo derivante da un comportamento diverso. Va osservato, comunque,<br />

che dalla ratio sottesa al principio deriva che la responsabilità rimane circoscritta a quegli eventi alla cui prevenzione tendeva<br />

la norma violata.<br />

19 Possono richiamarsi il caso del medico che abbia consentito all’infermiere di effettuare una endovenosa, contro il divieto<br />

di cui all’art. 14, lett. c), R.d. 31 maggio 1928 n. 1334; la mancata denuncia all’ufficio di igiene di una malattia infettiva (in<br />

relazione al contagio derivato ad altre persone); l’inosservanza delle prescrizioni imposte per gli esami radiologici, che abbia<br />

cagionato una n ecrosi<br />

20 Anche il medico di guardia deve essere in grado di eseguire le più comuni prestazioni di urgenza.<br />

21 E’ bene ricordare che in linea generale, sebbene la responsabilità per colpa venga mitigata dall’art. 2236 c.c. (se la<br />

prestazione implica problemi tecnici di particolare gravità, il medico non risponde dei danni se non per dolo o colpa grave),<br />

la Corte di legittimità ha affermato che detta fattispecie non opera in tutte le ipotesi di colpa professionale, ma solo in quelle<br />

di colpa consistita in imperizia; allorquando la cattiva riuscita della prestazione è dovuta, invece, ad imprudenza o negligenza,<br />

la disposizione dell’art. 2236 c.c. non opera ed il medico risponderà anche solo per colpa lieve.<br />

8


nell’ambito della responsabilità penale la colpa non soggiace a graduazioni se non all’esclusivo fine della<br />

determinazione della pena, secondo la previsione dell’art. 133, comma 1, n. 3 c.p. 22 . L’applicabilità<br />

dell’art. 2236 c.c., inoltre, è stata anche contestata rilevandosi che si tratta di una limitazione operante<br />

esclusivamente nell’ambito della irresponsabilità contrattuale 23 .<br />

Non mancano, comunque, orientamenti di segno contrario; basta far riferimento alla Cass. pen.,<br />

sez. II, 23 agosto 1994: In materia di colpa professionale del medico quando l'evento venga addebitato a<br />

titolo di imperizia, la valutazione del giudice deve essere particolarmente larga nel ristretto ambito della<br />

colpa grave mentre se l'addebito si concreta in una condotta imprudente o negligente la valutazione del<br />

giudice deve essere effettuata nell'ambito della colpa lieve per la omissione della più comune diligenza<br />

rapportata al grado medio di cultura e capacità professionale, secondo i criteri normali e di comune<br />

applicazione, valevoli per qualsiasi condotta colposa 24 .<br />

2.2. <strong>LA</strong> RESPONSABILITÀ DI ALTRE CATEGORIE PROFESSIONALI<br />

Per quanto riguarda la professione forense, l’avvocato, benché assuma una non indifferente<br />

responsabilità verso il proprio cliente, interessato alla tutela dei propri diritti che molto spesso<br />

riguardano aspetti delicati, tuttavia difficilmente viene ritenuto responsabile per violazione del proprio<br />

mandato in quanto dalla sua omissione, o dal suo errore, non sempre ne discende un danno. Infatti,<br />

essendo quella dell’avvocato una mera obbligazione di mezzi, il mancato risultato non potrà mai essergli<br />

addebitato a meno che non sia evidente un suo errore dovuto a ignoranza della legge o ad omissione in<br />

un adempimento procedurale, che abbia determinato il risultato dannoso altrimenti evitabile. La<br />

giurisprudenza (in particolare la Cass., sez. III, 4 dicembre 1990 n. ll6l2) ritiene che: L’affermazione della<br />

responsabilità dell’avvocato implica l’indagine, positivamente svolta, sul sicuro e chiaro fondamento dell’azione che avrebbe<br />

dovuto essere proposta e quindi la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati più<br />

vantaggiosi per il cliente. La corte distingue l’ipotesi di incuria od ignoranza di disposizioni di legge per<br />

negligenza o imperizia tali da compromettere il buon esito del giudizio, da quella di errata<br />

interpretazione di leggi, di questioni opinabili di difficile soluzione, per le quali il professionista non<br />

risponde per il principio di cui agli artt. 2236 e 1176 c.c. L’avvocato, nell’espletamento dell’attività<br />

professionale, deve tendere a conseguire il buon esito della lite per il cliente e pertanto sussiste la sua<br />

responsabilità se, probabilmente e presuntivamente, applicando il principio penalistico di equivalenza<br />

delle cause (artt. 40 e 41 c.p.), esso non è stato raggiunto per sua negligenza (Cass. civ., sez. III, 6<br />

22 Art. 133 c.p. (Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena): Nell`esercizio del potere discrezionale indicato nell`articolo<br />

precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:<br />

1) dalla natura, dalla specie, dai mezzi dall`oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell`azione;<br />

2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;<br />

3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.<br />

Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:<br />

1) dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;<br />

2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;<br />

3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;<br />

4) dalle condizioni di vita individuale familiare e sociale del reo.<br />

23 Alcune decisioni tuttavia, al tem po stesso in cui escludono l’applicabilità del limite de quo, affermano che la colpa professionale<br />

del sanitario deve essere valutata con larghezza e comprensione per la peculiarità dell’esercizio dell’arte medica e per la difficoltà dei casi particolari”,<br />

sia pur sempre nell’ambito dei criteri dettati per l’individuazione della colpa medesima dell’art. 43 c.p..<br />

24 Sulla stessa linea interpretativa si pone la più recente e ormai cardine Cass. civ., sez. III, 10 maggio 2000 n. 5945. Si legge,<br />

infatti, che “la limitazione della responsabilità professionale del medico ai soli casi di dolo o colpa grave a norma dell'art.<br />

2236 c.c. si applica nelle sole ipotesi che presentino problemi tecnici di particolare difficoltà (perchè trascendono la<br />

preparazione media o perchè non sono stati ancora studiati a sufficienza, ovvero dibattuti con riguardo ai metodi da<br />

adottare) e, in ogni caso, tale limitazione di responsabilità attiene esclusivamente all'imperizia, non all'imprudenza e alla<br />

negligenza, con la conseguenza che risponde anche per colpa lieve il professionista che, nell'esecuzione di un intervento o di<br />

una terapia medica, provochi un danno per omissione di diligenza ed inadeguata preparazione. La sussistenza della<br />

negligenza va valutata in relazione alla specifica diligenza richiesta al debitore qualificato dall'art. 1176, comma 2, c.c. ed il<br />

relativo accertamento compete al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato”.<br />

9


febbraio 1998 n. 1286) 25 . La Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1996 n. 5617 ha ribadito che l'obbligazione<br />

assunta dal difensore nei confronti del cliente è una obbligazione di mezzi o di comportamento e non di risultato, sicché<br />

l’inadempimento del professionista è costituito dalla violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale<br />

e presuppone la violazione del dovere di quella diligenza media esigibile ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c.,<br />

mentre ricorre l’ipotesi di responsabilità ex art. 2236 c.c. solo nel caso di prestazione implicante la soluzione di problemi<br />

tecnici di speciale difficoltà. Pertanto, al di fuori di quest'ultimo caso, la responsabilità del professionista va configurata ove<br />

questi non abbia svolto l'attività inerente al mandato o l’abbia svolta parzialmente, ovvero anche per non avere informato<br />

il cliente della impossibilità di espletarla.<br />

Una figura speciale di responsabilità civile è quella del magistrato. Essa è di tipo<br />

extracontrattuale ed è attualmente disciplinata dalla L. 13 aprile 1988 n.117, che facendo seguito al<br />

referendum abrogativo delle disposizioni degli artt. 55 - 56 e 74 c.p.c., detta norme in tema di risarcimento<br />

dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati. Tale normativa<br />

prevede la responsabilità diretta del magistrato, nel caso in cui egli abbia commesso un fatto costituente<br />

reato, in modo che il danneggiato può agire secondo le norme ordinarie in via solidale contro il giudice<br />

e contro lo Stato, che a sua volta risponde in virtù dell’art. 28 Cost. 26 ; prevede altresì la responsabilità<br />

indiretta del solo Stato, quando il magistrato abbia commesso un fatto qualificato soltanto come illecito<br />

civile. In tali casi per il giudice risponde esclusivamente lo Stato, nei cui confronti deve agire il danneggiato<br />

per ottenere il risarcimento dei danni, con diritto di rivalsa dello Stato stesso verso il<br />

magistrato responsabile, e l’azione può essere esperita quando un danno ingiusto sia derivato da un<br />

comportamento, da un atto o da un prov vedimento giudiziario, posto in essere dal magistrato con dolo<br />

o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni 27 . Mentre la disposizione di cui all’art. 2 non specifica<br />

quali siano le fattispecie dolose, determina invece tassativamente le ipotesi per le quali sia possibile<br />

imputare al magistrato una colpa grave, collegata in modo specifico alla violazione di legge, determinata<br />

da negligenza inescusabile (lett. a), travisamento di fatti o errore di fatto, sempre dovuto ad inescusabile<br />

negligenza (lett. b e c) ed alla emanazione dei provvedimento concernenti la libertà personale (lett. d).<br />

L’articolo, peraltro, dispone che non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme<br />

di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove, ponendo così un preciso limite di operatività<br />

alle ipotesi di responsabilità fondate sul criterio di imputazione della colpa. Ciò significa che ogni errore<br />

del giudice in questa area di attività, quale che sia il grado della sua colpa, non costituisce illecito civile,<br />

consentendo reazioni solo attraverso l’impiego dei rimedi impugnatori, e non di azioni risarcitorie, sia<br />

pure proposte nei riguardi dello Stato.<br />

2.2.1. <strong>LA</strong> RESPONSABILITÀ DEL CONSULENTE TRIBUTARIO<br />

25 Nella specie il difensore, costituitosi parte civile per l'offeso, non lo aveva informato dell’udienza dibattimentale, e perciò<br />

era stato dichiarata la decadenza della costituzione, né aveva citato i testi ammessi sulla dinamica dell'incidente occorso al<br />

suo assistito e l'imputato era stato assolto con formula piena.<br />

26 Art. 13 L. 117 del 1988 (Responsabilità civile per fatti costituenti reato): 1. Chi ha subito un danno in conseguenza di un fatto<br />

costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni ha diritto al risarcimento nei confronti del<br />

magistrato e dello Stato. In tal caso l'azione civile per il risarcimento del danno ed il suo esercizio anche nei confronti dello<br />

Stato come responsabile civile sono regolati dalle norme ordinarie. 2. All'azione di regresso dello Stato che sia tenuto al<br />

risarcimento nei confronti del danneggiato si procede altresì secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei<br />

pubblici dipendenti.<br />

27Art. 2 L. 117 del 1988 (Responsabilità per dolo o colpa grave): 1. Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un<br />

comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave<br />

nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei<br />

danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale. 2. Nell'esercizio delle<br />

funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione<br />

del fatto e delle prove. 3. Costituiscono colpa grave:<br />

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;<br />

b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa<br />

dagli atti del procedimento;<br />

c) la negazione, determinata da negligenza inescu sabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del<br />

procedimento;<br />

d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza<br />

motivazione.<br />

10


Di particolare interesse risulta essere la responsabilità professionale del consulente fiscale<br />

d’azienda, il quale, alla luce della riforma del diritto punitivo tributario amministrativo di cui al D.lgs. 18<br />

dicembre 1997 n. 472, rientra tra i diretti destinatari delle sanzioni amministrative in conseguenza della<br />

commissione delle violazioni contemplate dal D.lgs. n. 471 del 1997. Con il varo del D.lgs. 472 del 1997<br />

è stata evidenziata la diretta responsabilità dell'illecito del commercialista, consulente del lavoro, ecc...,<br />

incaricato di svolgere la propria attività per conto del contribuente, stravolgendo così la regola che<br />

riteneva il contribuente come unico responsabile per gli adempimenti fiscali relativi al proprio<br />

patrimonio. Il D.lgs. n. 472 del 1997, infatti, riformando il sistema sanzionatorio tributario non penale,<br />

ha attribuito allo stesso una dimensione coerente e compatibile con i principi costituzionali vigenti in<br />

materia punitiva, quali i principi di legalità, di imputabilità, di adeguatezza, di proporzionalità e<br />

soprattutto di personalità della sanzione. In ragione di una oramai avanzata realtà economicoimprenditoriale,<br />

nella quale “dietro” la persona fisica, la società, l’associazione o l’ente con o senza<br />

personalità giuridica, titolari d’impresa e quindi titolari del rapporto giuridico tributario (“soggetto<br />

passivo d’imposta o contribuente”) , vi possono essere diverse persone fisiche che con le loro condotte<br />

determinano le vicende aziendali , si è voluto spostare le sanzioni dal contribuente alla persona fisica 28 ,<br />

perseguendo personalmente ed individualmente tutti i singoli soggetti autori delle condotte illecite. Da<br />

un lato vi è una responsabilità per l’illecito amministrativo in capo all’autore materiale della violazione 29 ,<br />

dall’altro si prevede un’obbligazione solidale a carico della persona fisica, società, associazione od ente,<br />

con o senza personalità giuridica, sul cui patrimonio si riflettono gli effetti economici della violazione 30 .<br />

Alla luce delle considerazioni de quibus, possiamo giungere a conclusione che il consulente tributario,<br />

inteso in senso lato, è direttamente responsabile delle violazioni amministrative tributarie che ha posto<br />

in essere nell’ambito della sua prestazione professionale, in ragione di una partecipazione dolosa o<br />

colposa al fatto.<br />

Ai sensi dell’art. 2, n. 2 D.lgs. n. 472 del 1997 le sanzioni amministrative sono riferibili alla<br />

persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione e, fino a prova contraria, si<br />

presume autore della violazione chi ha sottoscritto ovvero compiuto gli atti illegittimi. Ai sensi dell’art. 5<br />

nelle violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno risponde della propria azione od<br />

omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. In linea con quanto disposto dall’art. 2236<br />

c.c., in precedenza analizzato, si determina un limite nella configurazione della responsabilità del<br />

professionista disponendo che le violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria<br />

e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa<br />

grave. La colpa è grave quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è<br />

possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza,<br />

risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari 31 . Per quanto riguarda,<br />

28 Così I. Caraccioli, in La necessità di una riforma coordinata delle sanzioni amministrative e penali in campo fiscale, in Il Fisco n. 33 del<br />

2003.<br />

29 L’art. 11 n. 2 dispone che ”Fino a prova contraria, si presume autore della violazione chi ha sottoscritto ovvero compiuto<br />

gli atti illegittimi”.<br />

30 L’art. 11 n. 1 dispone che ”Nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo<br />

è commessa dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell’adempimento del suo ufficio o<br />

del suo mandato ovvero dal dipendente o dal rappresentante o dall’amministratore, anche di fatto, di società, associazione<br />

od ente, con o senza personalità giuridica, nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica, la società,<br />

l’associazione o l’ente nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione sono obbligati solidalmente al pagamento di<br />

una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti.”.<br />

31Ricordiamo che ai sensi dell’art. 6 D.lgs. n. 472 del 1997 (Cause di non punibilità): 1. Se la violazione è conseguenza di errore<br />

sul fatto, l’agente non è responsabile quando l’errore non è determinato da colpa. Le rilevazioni eseguite nel rispetto della<br />

continuità dei valori di bilancio e secondo corretti criteri contabili e le valutazioni eseguite secondo corretti criteri di stima<br />

non danno luogo a violazioni punibili. In ogni caso, non si considerano colpose le violazioni conseguenti a valutazioni<br />

estimative, ancorché relative alle operazioni disciplinate dal decreto legislativo 8 ottobre 1997, n. 358, se differiscono da<br />

quelle accertate in misura non eccedente il cinque per cento. 2. Non è punibile l’autore della violazione quando essa è<br />

determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si<br />

riferiscono, nonché da indeterminatezza delle richieste di informazioni o dei modelli per la dichiarazione e per il pagamento.<br />

3. Il contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo<br />

non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi. 4. L’ignoranza della<br />

legge tributaria non rileva se non si tratta di ignoranza inevitabile. 5. Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza<br />

11


quindi, il consulente fiscale risulta praticamente impossibile assicurare i rischi professionali con le<br />

cosiddette polizze R.C. professionali. L'ISVAP con la circ. 22 maggio 1995 n. 246 ha ritenuto che il<br />

contratto di assicurazione che sollevi l'assicurato dal pregiudizio economico costituito dall'applicazione di sanzioni<br />

amministrative pecuniarie sia da considerare... una funzione economico-sociale illecita per contrarietà all'ordine pubblico<br />

ex. art. 1343 c.c..... in tal modo risulterebbero violati i principi di personalità ed afflittività... in relazione al potere<br />

deterrente delle sanzioni amministrative riguardo ai comportamenti futuri dei soggetti interessati. L'ISVAP in<br />

conseguenza di quanto sopra scritto, ritiene inassicurabile il rischio rappresentato dall'applicabilità di<br />

sanzioni amministrative. Ancora l'Isvap in una sua comunic. 24 luglio 2000 prot. 67335, risponde<br />

negativamente ad un quesito di un professionista che domandava se un eventuale appendice ad una<br />

polizza esistente che prevedesse qualora in forza di provvedimenti legislativi, venissero intestate ed inflitte al<br />

professionista anziché al cliente, sanzioni, ammende o multe di natura fiscale per l'attività professionale svolta<br />

dall'assicurato, per prestazioni professionali svolte dall'assicurato stesso nei confronti del cliente, la garanzia s'intende<br />

estesa anche nei confronti del professionista con le stesse modalità e gli stessi limiti in cui sarebbe stata applicabile verso il<br />

cliente (ovvero si domandava se per una determinata violazione commessa dal contribuente-cliente per la<br />

quale era prevista una sanzione di Euro 100 e che in virtù del D.lgs. n. 472 del 1997 viene inflitta al<br />

professionista, la polizza manteneva indenne quest'ultimo almeno sino alla concorrenza della predetta<br />

sanzione). Nel caso specifico l'ISVAP sottolinea l'introduzione del principio della personalità della<br />

responsabilità in base al quale in ogni caso risponde della condotta posta in essere, l'autore della<br />

violazione (il professionista) invece del contribuente 32 .<br />

Da questo è facile comprendere che Il principio della "personalità" della sanzione avrebbe come<br />

diretta conseguenza la punibilità di amministratori, manager, dipendenti, in qualità di "autori" della<br />

violazione fiscale, seppur non beneficiari della medesima e tutto ciò con evidenti problemi in termini di<br />

immobilità decisionale. Le regole previste dal D.lgs. n. 472 del 1997 tendevano ad ingessare l'azione dei<br />

manager che con la citata riforma erano direttamente responsabili per le irregolarità riconducibili ai<br />

soggetti per i quali essi agivano (veniva abbandonato il meccanismo della responsabilità oggettiva,<br />

prendendosi in considerazione il criterio della partecipazione-colposa o dolosa del soggetto che aveva<br />

posto in essere l'atto sanzionabile). Le numerose critiche alla riforma hanno indotto il legislatore ad una<br />

revisione dei criteri sanzionatori per le sanzioni tributarie nelle società di capitali. L’art. 7 D.L. 30<br />

settembre 2003 n. 269, anticipando l’attuazione della delega per la riforma fiscale di cui all’art. 2, comma<br />

1, lettera l, L. n. 80 del 2003 33 , dispone che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società<br />

o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica.<br />

Il primo comma introduce una disposizione fondamentale; si abbandona il modello<br />

sanzionatorio incentrato sul principio della personalità della sanzione, applicata in capo a chi ha<br />

materialmente commesso la violazione, in ragione dell’attribuzione di una partecipazione cosciente e<br />

volontaria, per abbracciare il meccanismo della responsabilità oggettiva per cui la sanzione viene<br />

direttamente applicata sul contribuente a prescindere da qualsiasi tipo di valutazione soggettiva.<br />

Il comma 1 dell’art. 7 DL n. 269 del 2003 delinea una responsabilità autonoma ed esclusiva in<br />

capo alla persona giuridica per le violazioni amministrative tributarie. In conseguenza di una condotta<br />

illecita, realizzata da un qualsiasi soggetto che opera nell’ambito della compagine aziendale in qualità di<br />

dipendente di diritto o di fatto o che pone in essere un’attività di consulenza in senso lato e che ha<br />

maggiore. 5-bis. Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e<br />

non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo.<br />

32 Alla luce di quanto sinora considerato il professionista si trova nell'impossibilità di assicurare il proprio rischio diretto, per<br />

le sanzioni tributarie irrogate nei suoi confronti.<br />

Il professionista si trova quindi esposto alla possibilità di rispondere e garantire con il proprio patrimonio nei confronti<br />

dell'amrninistrazione per l'illecito amministrativo posto in essere non escludendo la possibilità ed il rischio di dover<br />

rispondere nei confronti del cliente a titolo di responsabilità contrattuale.<br />

33 L’art.2 L. delega n. 80 del 2003 dispone che: “Il codice è articolato in una parte generale ed in una parte speciale. La parte<br />

generale ordina il sistema fiscale sulla base dei seguenti princìpi:<br />

l) la sanzione fiscale amministrativa si concentra sul soggetto che ha tratto effettivo beneficio dalla violazione“; secondo B.<br />

Santacroce, in Sanzioni ai manager, passaggio al buio, in IlSole24ore del 30 ottobre 2003, l’art. 7 non risponderebbe allo spirito<br />

della delega fiscale (L. n. 80 del 2003) in quanto si prevedeva la revisione del principio della personalità della responsabilità<br />

tramite la riconduzione al soggetto che ne ha tratto effettivo vantaggio e non tramite il ritorno alla responsabilità oggettiva.<br />

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integrato un illecito amministrativo di natura tributaria, la sanzione a questa collegata sarà irrogata ed<br />

eseguita direttamente ed esclusivamente in capo alla società o ente con personalità giuridica.<br />

Sul piano soggettivo si deve sottolineare il fatto che la norma de quo è applicabile ad un numero<br />

di soggetti inferiore a quello rientrante nell’ambito applicativo del D.lgs. n. 472 del 1997. L’art. 7 D.L.<br />

269 del 2003, infatti, si riferisce esclusivamente alle società e agli enti con personalità giuridica.<br />

Con la conseguenza che per i professionisti che pongono in essere la propria prestazione<br />

nell’ambito di una organizzazione aziendale priva del requisito della personalità giuridica, richiesto<br />

dall’art. 7 D.L. n. 269 del 2003, continueranno a trovare applicazione le disposizioni del D.lgs. n. 472<br />

del 1997 e pertanto le sanzioni amministrative verranno applicate secondo il principio personalistico,<br />

non potendosi avere una responsabilità oggettiva del contribuente.<br />

Il mutato contesto normativo potrebbe aprire nuovi spiragli circa l’assicurabilità del rischio<br />

professionale dei consulenti fiscali d’impresa; al professionista dovrebbe essere nuovamente concessa la possibilità di<br />

"assicurarsi" estendendo il quadro legislativo introdotto con il D.L. 269 del 2003. La responsabilità per le violazioni o le<br />

irregolarità, commesse nello svolgimento del proprio incarico professionale dovrà essere ricondotta esclusivamente nei<br />

confronti del soggetto fiscale/contribuente che ha coscientemente sottoscritto l’atto o la dichiarazione fiscale ovvero al<br />

contribuente nell'interesse dei quale era stata svolta l'attività professionale di consulenza ed assistenza fiscale e tributaria.<br />

Le sanzioni per le violazioni alle norme tributarie verranno quindi ad essere irrogate esclusivamente al contribuente.<br />

Quest'ultimo avrà poi facoltà qualora ne ricorrano i presupposti, di agire nei confronti del proprio professionista o<br />

consulente sulla base degli incarichi professionali o dei mandati affidati. Cosi facendo il professionista avrà modo di<br />

svolgere la propria attività di consulenza fiscale, tributaria ed amministrativa in un clima più sereno e, sul piano giuridico<br />

scomparirà la non giustificata differenza tra amministratori, manager di società e liberi professionisti. Ne deriverà un<br />

sistema di maggior tutela per i "soggetti agenti" giacchè il D.lgs. n. 472 del 1997 prevedeva la responsabilità diretta dei<br />

soggetti che svolgono attività di consulenza fiscale senza nessuna preventiva disamina dell'attività irregolare tesa a stabilire<br />

sia chi avrà tratto vantaggio dalla violazione sia dell'effettìva colpevolezza dell'agente. Ovviamente l'estensione prevista dal<br />

D.L. 269 del 2003 circa le disposizioni sanzionatorie in base alle quali la sanzione non viene più comminata al soggetto<br />

che ha concorso o commesso la violazione bensì alla persona giuridica, dovrà e potrà essere estesa ai professionisti e<br />

consulenti iscritti negli albi dei dottori e ragionieri commercialisti, consulenti del lavoro e agli altri soggetti già abilitati<br />

dalla amministrazione finanziaria alla trasmissione telematica delle dichiarazioni come previsto dal D.P.R. n. 322 del<br />

1998, auspicando che tale disciplina venga estesa quanto prima anche a quel rapporti professionali intrattenuti con tutte le<br />

restanti categorie di contribuenti 34 .<br />

Dott. Nicola Monfreda<br />

Ufficiale della Guardia di finanza<br />

34 Sono le considerazioni espresse da E. M. Reggiani, Presidente del Sindacato Nazionale Ragionieri Commercialisti, nel<br />

corso di un convegno tenutosi a Tirrenia (Pisa) venerdì 8 ottobre 2004, sul tema Riforme fiscali, politica e professione economica.<br />

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