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INTRODUZIONE<br />
Koi nahi hatega, bandh nahi banega<br />
Nessuno si muoverà, la diga non sarà costruita<br />
Doobenge par hatenge nahin<br />
Affogheremo ma non ci muoveremo<br />
[S<strong>lo</strong>gan del Narmada Bachao Andolan in India, nella <strong>lo</strong>tta di resistenza alla diga di Sardar Sarovar]<br />
Il mantra delle grandi infrastrutture ha segnato regimi e governi di<br />
co<strong>lo</strong>re diverso in tutto il seco<strong>lo</strong> scorso. Specialmente in un contesto di<br />
crisi economica o di ripresa dopo profondi sconvolgimenti, il ricorso da<br />
parte del<strong>lo</strong> Stato al sostegno diretto o indiretto per i grandi progetti infrastrutturali<br />
è stata una strada battuta regolarmente, nonostante le “grandi<br />
opere” portino sempre con sé profondi sconvolgimenti per l’ambiente e le<br />
popolazioni <strong>lo</strong>cali, e spesso nemmeno la crescita e <strong>lo</strong> <strong>sviluppo</strong> promesso.<br />
Le grandi dighe sono state l’icona di questo paradigma<br />
sviluppista sin dagli anni Trenta. Oggi alcune tra le prime dighe<br />
costruite nella storia in Francia o Stati Uniti sono state addirittura abbattute<br />
per ridare scorrimento naturale e sopravvivenza a fiumi e corsi d’acqua.<br />
Ma per quel che riguarda <strong>lo</strong> <strong>sviluppo</strong> infrastrutturale nel Sud del mondo,<br />
e soprattutto nelle economie emergenti, i mega-sbarramenti mantengono<br />
ancora un posto centrale, così come – sempre per restare nell’ambito<br />
energetico – i progetti a carbone e quelli nucleari. È quasi come se una<br />
parte del mondo che ha imparato a riconoscere i suoi errori, o quanto<br />
meno ad essere più prudente, non abbia interesse a consigliare al riguardo<br />
la fetta del Pianeta in via di industrializzazione. Anzi, peggio ancora, per<br />
interessi economici diretti o per pura ideo<strong>lo</strong>gia tende a promuovere uno<br />
<strong>sviluppo</strong> “forzato” per l’ambiente e le popolazioni <strong>lo</strong>cali.<br />
Specialmente nel continente africano, le grandi dighe<br />
rimangono tra le principali infrastrutture che catalizzano<br />
investimenti, finanziamenti pubblici internazionali e l’operato delle<br />
grandi corporation dei Paesi ricchi. A queste da un decennio si sono<br />
affiancate anche le imprese cinesi e quelle sudafricane, ma la musica non<br />
sembra cambiare. Anzi, dietro <strong>lo</strong> spauracchio della Cina continuamente<br />
brandito dai governi occidentali, perché le imprese cinesi rubano appalti,<br />
importano forza lavoro e mantengono bassi i costi, si nasconde la triste<br />
realtà che vede i governi occidentali sostenere le proprie società di costruzione,<br />
che di fatto operano in modo ana<strong>lo</strong>go a quelle cinesi. Questo<br />
il caso della poco democratica Etiopia, dove il governo populista impone<br />
la costruzione di nuove dighe realizzate dalle imprese cinesi così come da<br />
quelle italiane, in entrambi i casi senza gare di appalto. Senza parlare della<br />
diga di Merowe in Sudan, finanziata dal governo cinese ed “impallinata”<br />
dal democratico Occidente, ma costruita dalla francese Alstom.<br />
Dighe contro <strong>lo</strong> <strong>sviluppo</strong> 3