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“Todo cambia”:<br />

omaggio a Mercedes Sosa<br />

Angelo Pizzuto<br />

Giusto per sapere ‘a cosa si va incontro’ (ed a noi va benissimo),<br />

appena varcata la platea dello Spazio antagonista<br />

ed esistenzialista, due passi da Piazza San<br />

Giovanni -ampio, spartano garage nel cuore dello storico mercato<br />

di via Sannio- un video-documento, alla parete destra dell’ampia<br />

sala, proietta già da mezz’ora e ad anticipazione dello spettacolo,<br />

un reportage televisivo (non italiano) testimoniante una delle più<br />

accese manifestazioni della Madri di Plaza de Mayo: associazione<br />

formata da nonne e genitrici dei ‘desaparecidos’, i dissidenti scomparsi<br />

nel nulla (ovvero torturati e poi ‘morti senza tomba’) della dittatura<br />

militare in Argentina, tra il 1976 e il 1983.<br />

Mercedes Sosa, che di quel movimento si riteneva ‘ambasciatrice<br />

vagante’ e testimone appassionata (esule tra Parigi, Lisbona,<br />

Roma, Varsavia: alveo dei suoi concerti) amava farsi chiamare La<br />

Negra, “perché era sempre dalla parte degli ultimi” con la preziosa<br />

coerenza di un’artista intendeva usare la sua tempra (canora e<br />

musicale) quale esplicito, ‘partigiano’ strumento di lotta a favore<br />

del suo popolo e di ogni popolo oppresso (sterminato) dalla dittatura<br />

dei ‘mercati e del profitto ad oltranza ’- oggi in tripudio di avidità<br />

e darwiniana selezione della specie, come l’ allegoria pittorica<br />

del “Trionfo della Morte”.<br />

Probabilmente, come si avverte dal superlativo omaggio che Maria<br />

Letizia Gorga e Pino Ammendola rendono a Mercedes a cinque<br />

anni dalla sua scomparsa, l’umano destino della donna e dell’artista<br />

“erano racchiuse nella sua inconfondibile voce”. I cui timbri,<br />

tonalità, estensioni ed aspirazioni sono restituiti dalla superba interpretazione<br />

della Gorga in una sorta di (travagliata, miracolosa)<br />

mimesi intellettiva ed emotiva (rispetto al modello originario), ove<br />

si equilibrano, con millesimale dialettica, sia l’elemento del ‘distacco<br />

critico’, sia quello del ‘vigore immedesimato’. Attraverso<br />

un’alternanza di monologhi, raccordi, esecuzioni di alto profilo empatico\<br />

stilistico in cui la regia di Ammendola ha modo di enucleare<br />

i momenti topici della vicenda umana della Sosa: dall’infanzia poverissima<br />

(in una famiglia riscaldata dall’amore dei genitori e dei<br />

fratelli) al precoce matrimonio con Manuel Oscar Matus, dalla nascita<br />

dell’amatissimo figlio sino ai giorni ‘dell’abbandono’ (la grave<br />

forma di bipolare depressione che la ‘perseguitò’ sino alla fine),<br />

appena riscattati dal trionfale ritorno in patria e dalla possibilità di<br />

tornare ad esibirsi nei teatri Buenos Aires conosciuti da ragazza.<br />

Accompagnata dal vivo da Stefano De Meo (al pianoforte) e Pino<br />

Jodice (alla chitarra), Maria Letizia Gorga resta comunque l’eclettico,<br />

carismatico epicentro di una serata che non ha nulla di<br />

trionfalistico o nostalgico, specie in ragione della vivida ideologia<br />

di cui sa essere avvincente messaggera (“perché, chi vi dice<br />

che le ideologie sono morte, sta per vendervene una nuova,<br />

delle peggiori e oscurantista”, specie per la causa della cultura,<br />

delle espressioni d’arte, per sapere ‘critico’). Adoperandosi (non<br />

risparmiandosi) con autorevolezza ed eclettico talento in un<br />

percorso identitario di donna e musicista che non conosceva<br />

intimi confini di sdoppiamento, di ambivalenza: quindi laica sacerdotessa<br />

in ampio abito scuro (di ‘lutto e rinascita interiori’)<br />

che evolve – per smagliante performance- in acquisizione del<br />

più ambìto riscatto esistenziale: ‘sopravvivere’ a se stessi, mediante<br />

il ricordo e gli ‘strumenti’ (i ‘tre talenti’) messi a frutto durante<br />

il passaggio terreno.<br />

Il cui racconto si lega in una partitura ininterrotta alle canzoni ed<br />

evocazioni del ‘già vissuto’, come a disvelare i segreti di<br />

un’anima tormentata che, dietro la sua inguaribile voglia di lottare<br />

per se stessa e gli altri, non dissimula il suo innato sentimento<br />

di solitudine, di avvincente dolore. Quello che tuttavia ci<br />

avverte quanto sia indispensabile scommettere nella speranza<br />

(‘saltare il baratro’ della desolazione in corso) affinchè “Todo”-<br />

o almeno qualcosa- possa cambiare: giusto quando lo spettro<br />

della rassegnazione (maturo per deflagrare in rabbia) incombe<br />

sulla grigia quotidianità collettiva ed individuale. Di chi ha senno<br />

per intendere, captare, premonire. Quindi agire .<br />

****<br />

“Todo cambia”. Scritto e diretto da Pino Ammendola. Con Maria<br />

Letizia Gorga. Musiche eseguite ed arrangiate da Stefano De<br />

Meo (pianoforte) e Pino Iodice (chitarra). Teatro Lo Spazio,<br />

Roma<br />

40 24novembre2014 a<strong>sud</strong>’<strong>europa</strong>

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