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giugno - Fraternità San Carlo

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MENSILE DELLA FRATERNITÀ SACERDOTALE DEI MISSIONARI DI SAN CARLO BORROMEO<br />

Anno XV, n. 6<br />

<strong>giugno</strong> 2011 - € 1,50<br />

fraternitàemissione<br />

Poste Italiane S.p.A. - Sped. in Abb. Post.<br />

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)<br />

art. 1, comma 2, DCB Milano<br />

6<br />

www.sancarlo.org<br />

LA FRATERNITÀ SAN CARLO NEL MONDO: ALVERCA PORTOGALLO ASUNCIÓN PARAGUAY BOLOGNA ITALIA BOSTON USA BUDAPEST UNGHERIA CHIETI ITALIA CITTÀ DEL MESSICO MESSICO COLONIA GERMANIA<br />

CONCEPCIÓN CILE DENVER USA FROSINONE ITALIA FUENLABRADA SPAGNA GERUSALEMME ISRAELE GROSSETO ITALIA GROTTAMMARE ITALIA ISOLA DEL GIGLIO ITALIA MILANO ITALIA MOSCA RUSSIA NAIROBI KENYA<br />

NOVOSIBIRSK SIBERIA PESARO ITALIA PRAGA REPUBBLICA CECA ROMA ITALIA SAN PAOLO BRASILE SANTIAGO DEL CILE CILE TAIPEI TAIWAN TRIESTE ITALIA VIENNA AUSTRIA WASHINGTON USA<br />

Fino alla stella<br />

più lontana<br />

di Massimo Camisasca<br />

La missione<br />

non è qualcosa<br />

che si aggiunge<br />

alla nostra<br />

comunione.<br />

È il suo<br />

esplicitarsi<br />

Nella foto, nonno e nipote imparano<br />

a disegnare.<br />

Nella sua più profonda origine la comunione che<br />

viviamo tra noi è il rapporto tra il Padre e il Figlio.<br />

L’amicizia che io vivo con voi mi fa entrare dentro tale<br />

rapporto. Ma qual è il contenuto del dialogo tra il Padre<br />

e il Figlio? Qual è il contenuto del nostro dialogo? Tra il<br />

Padre e il Figlio c’è l’universo, e l’universo degli universi.<br />

Nel loro sguardo reciproco, nel loro parlarsi, nel<br />

loro accogliersi, c’è ogni fiore, ogni foglia, ogni battito<br />

del cuore umano, ogni stella lontanissima.<br />

La comunione è contraddetta perciò dalle chiusure,<br />

dalle staccionate, dal ripiegarci su noi stessi, quando il<br />

contenuto del nostro rapporto diventa soltanto l’immagine<br />

di me riflesso nell’altro.<br />

Gesù ha voluto con la sua morte in croce partecipare<br />

dell’ultima estrema lontananza dell’uomo. Nel suo rapporto<br />

con il Padre, era inscritto il più lontano dei lontani:<br />

nella Croce lo ha reso vicino.<br />

Nella nostra comunione è già inscritta l’estrema<br />

distanza siderale della persona più lontana. Se non è<br />

questo il sentimento che domina la nostra amicizia, non<br />

viviamo la comunione cristiana.<br />

Don Giussani ci ricordava mons. Galbiati, suo insegnante<br />

a Venegono, uomo di immensa cultura biblica e<br />

di un profondo senso dello humour. Un giorno l’aveva<br />

portato sulla grande terrazza del seminario di Venegono,<br />

da cui si vede tutta la cerchia della montagne, dal<br />

Monviso al Monterosa. Egli aveva detto: «Ecco, vedi?<br />

Queste montagne sono tutte mie, ma io te le regalo».<br />

La comunione è la scoperta che ha fatto a un certo<br />

punto san Paolo, quando ha detto Tutto è vostro, se voi<br />

siete di Cristo come Cristo è di Dio (cfr. 1Cor 3,22). La<br />

missione non è qualcosa che si aggiunge dal di fuori<br />

alla nostra comunione. È il suo esplicitarsi. Già fin dall’inizio<br />

in essa sono compresi tutti i volti che poi, a poco<br />

a poco, nel corso della storia della mia vita io scoprirò.<br />

La Chiesa, dicevano i teologi medievali, comincia con<br />

Abele. La missione fa venire a galla il destino dell’origine,<br />

che è anche il destino della fine. Essa consiste nel<br />

grido: Vieni Signore Gesù (Ap 22,20). È il desiderio che<br />

esploda e si manifesti l’infinito che è contenuto in ciò<br />

che mi lega a voi.<br />

PASSIONE PER LA GLORIA DI CRISTO


APPUNTAMENTO<br />

IN SANTA MARIA<br />

MAGGIORE<br />

Sabato 25 <strong>giugno</strong> 2011, alle ore 15,30, presso la Basilica papale di <strong>San</strong>ta Maria Maggiore, mons. Rino Fisichella,<br />

presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione, ordina presbiteri<br />

don Patricio Hacin Ule e don Christoph Matyssek. Nella stessa celebrazione sono ordinati diaconi Emanuele<br />

Angiola, Diego Garciá Terań, Simone Gulmini, Tommaso Pedroli, Ruben Roncolato, Luca Speziale.<br />

2 fraternitàemissione<br />

GIUGNO<br />

L’isola del tesoro<br />

di Patricio Hacin Ule<br />

Sono originario della Patagonia, la regione più meridionale<br />

del Cile. La mia vocazione è stata segnata da<br />

tre incontri. Quello con un prete missionario, nell’isola<br />

dove vivevo. Quello con un gruppo di insegnanti, nella<br />

scuola dove lavoravo; e quello con la Fraternità <strong>San</strong><br />

<strong>Carlo</strong>.<br />

Il comunista e l’arcipelago<br />

Ai tempi della mia adolescenza - siamo a metà degli<br />

anni Ottanta - c’erano le dittature in America Latina, e in<br />

Cile c’era Pinochet. Era facile cadere in uno degli<br />

estremi della vita politica: o eri comunista, o eri fascista;<br />

o eri con Pinochet, o eri contro Pinochet. Così iniziai,<br />

a dodici anni, a fare il "comunista", contro il dittatore.<br />

Non ero veramente comunista. I comunisti, però,<br />

mi erano più simpatici. Volevo essere libero e percepivo<br />

che la dittatura soffocava questo desiderio; amavo le<br />

parole «libertà», «democrazia», «felicità» e vedevo che<br />

c’era gente che lottava per esse.<br />

Vivevo in una piccola isola, Chiloe, e da lì combattevo<br />

per la “rivoluzione”. Mio padre era morto e la lotta era<br />

anche un modo per riempire il vuoto lasciato dalla sua<br />

scomparsa. Mia madre, però, ne era preoccupata.<br />

Decise così, insieme al preside della mia scuola, di<br />

farmi frequentare il catechismo per la preparazione alla<br />

cresima. Lì incontrai un prete molto simpatico, di origine<br />

belga, don Andrea. Un missionario. Dicevano che era un<br />

prete “rosso”, ma, anche lui, non era davvero comunista.<br />

Era un grande uomo. Si recava in tutte le isole e le<br />

isolette dell’arcipelago al Sud del Cile, per incontrare<br />

le persone che gli erano affidate. Era capace di rischiare<br />

la vita per andare a visitare una famiglia. Iniziai ad<br />

accompagnarlo, e guardando lui, mi rendevo conto che<br />

quel desiderio di libertà e di felicità che io cercavo di<br />

soddisfare, trovava nella sua vita una risposta. Nacque in<br />

me una sorta di “vocazione”, anche se non desideravo<br />

essere prete (non capivo cosa significasse): volevo semplicemente<br />

essere come lui.<br />

ORDINAZIONI 2011<br />

Mandati<br />

A scuola dai propri studenti<br />

Crescendo, andai a studiare Educazione Fisica a<br />

Osorno. Durante l’università, tutta la mia storia precedente<br />

a poco a poco sfumò nella dimenticanza. Dopo la<br />

laurea mi ritrovai solo, distrutto, anche umanamente.<br />

Cominciai a cercare lavoro, e ricevetti la proposta di<br />

insegnare in una scuola, a <strong>San</strong>tiago. Era gestita da<br />

alcune persone di Comunione e liberazione. Fu uno<br />

choc, perché la vita cristiana che avevo conosciuto con<br />

don Andrea era molto concreta, vissuta ma poco ragionata:<br />

non avevo mai preso parte a un incontro simile alla<br />

scuola di comunità, ad esempio. Quel modo di vivere il<br />

cristianesimo mi spiazzò, ma nello stesso tempo rimasi<br />

colpito dalla vita che quelle persone conducevano:<br />

mangiavano insieme, stavano insieme, educavano i<br />

nostri studenti, e li educavano alla libertà.<br />

Incuriosito dalla figura di don Giussani, studiai i suoi<br />

libri, cercando di comprendere il suo insegnamento. Mi<br />

25 <strong>giugno</strong> 2011:<br />

Paricio Hacin e<br />

Christoph Matyssek<br />

sono ordinati<br />

sacerdoti.<br />

Ecco le storie<br />

della loro vocazione<br />

innamorai della proposta del movimento da lui sorto e<br />

si risvegliò in me quel desiderio che avevo sentito da<br />

piccolo. Accompagnando quei ragazzi, avvertii di nuovo<br />

il fascino della vita sacerdotale.<br />

Avevo ventiquattro anni, una ragazza, un lavoro: la vita<br />

stava andando verso una certa direzione. Tuttavia, decisi<br />

di pormi sul serio la domanda sulla mia vocazione.<br />

Lasciai tutto e, con il sostegno di alcuni amici, entrai nel<br />

seminario della Fraternità san <strong>Carlo</strong> a Città del Messico.<br />

L’intuizione di aprire un seminario per i ragazzi latinoamericani<br />

(che oggi è a <strong>San</strong>tiago del Cile) ha costituito<br />

per me la possibilità di iniziare la vita nella Fraternità.<br />

Se fossi andato direttamente a studiare a Roma, non<br />

avrei superato il primo anno. La casa di formazione a<br />

Città del Messico mi ha invece permesso di entrare a<br />

poco a poco in una vita nuova. L’educazione ricevuta da<br />

don Julián de La Morena ha posto le fondamenta, le<br />

fraternitàemissione MENSILE DELLA FRATERNITÀ SACERDOTALE DEI MISSIONARI DI SAN CARLO BORROMEO<br />

Aut. del Trib. di Cassino n. 51827 del 2-6-1997 - Mensile della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di <strong>San</strong> <strong>Carlo</strong> Borromeo DIRETTORE: Gianluca<br />

Attanasio REDAZIONE: Fabrizio Cavaliere, Lorenzo Locatelli, Jonah Lynch, Marco Sampognaro HANNO COLLABORATO: Massimo<br />

Camisasca, Julián de la Morena, Alfredo Fecondo, Patricio Hacin Ule, Christoph Matyssek PROGETTO GRAFICO: G&C IMPAGINAZIONE:<br />

Fabrizio Cavaliere FOTOLITO E STAMPA: Arti Grafiche Fiorin, <strong>San</strong> Giuliano Milanese (Mi) REDAZIONE E ABBONAMENTI: Via Boccea 761 - 00166<br />

Roma Tel. + 39 0661571400 - fm@sancarlo.org ABBONAMENTI base € 15 - sostenitore € 50 - IBAN: IT04T0351203206000000098780 c/c postale<br />

72854979 OFFERTE codice IBAN: IT72 W0351203206000000018620 - c/c postale 43262005 WW.SANCARLO.ORG


Chi ha conosciuto la gioia dell’incontro col Cristo, non può tenerla chiusa<br />

dentro di sé, ma deve irradiarla. Giovanni Paolo II<br />

GIUGNO<br />

fraternitàemissione<br />

3<br />

Il cielo vicino<br />

colonne che hanno sorretto gli anni successivi: l’amore<br />

per la propria cultura, per il proprio popolo, che ti introduce<br />

a tutta la realtà.<br />

La libertà che cerchiamo<br />

Nella Fraternità san <strong>Carlo</strong> ho trovato qualcosa che corrisponde<br />

a ciò che cercavo e continuo a cercare: una vita<br />

ancora piena di mistero, ma con una certezza grande,<br />

che dà la libertà che ho sempre cercato. La libertà che<br />

non passa attraverso un’ideologia, ma si realizza attraverso<br />

le circostanze dell’esistenza.<br />

Oggi sono in missione a Città del Messico. Al mattino<br />

insegno, il pomeriggio sono in parrocchia. Seguo i giovani,<br />

ma in modo diverso rispetto a quando lavoravo a<br />

<strong>San</strong>tiago. Entrare nella dimensione del sacerdozio conduce<br />

infatti nella prospettiva della salvezza che le persone<br />

cercano, che è la stessa salvezza che cerco io. Sto<br />

imparando, a poco a poco, che vivere il sacerdozio<br />

significa abbracciare il destino ultimo delle persone.<br />

Mi sono gettato in maniera irruenta nella missione, ma<br />

la vita con i fratelli mi insegna una misura nuova: non occorre<br />

solo «fare», seguire i ragazzi, occuparsi della pastorale;<br />

occorre stare in un posto concreto, in cui si inizia a<br />

vivere Cristo nella preghiera e nell’eucarestia.<br />

Una veduta dell’abitato di Chiloe,<br />

isola a sud del Cile (foto: whl-travel).<br />

Nella foto piccola, Patricio Hacin in<br />

barca verso la sua isola natale.<br />

A destra, Christoph Matyssek con<br />

alcuni parrocchiani di Ramallah.<br />

di Christoph Matyssek<br />

Quando mi chiedono di parlare della mia vocazione,<br />

sono io il primo a stupirmi della mia storia. È la storia<br />

di un miracolo che ha preso cose normali, ordinarie,<br />

e le ha rese straordinarie. È la storia di un ragazzo nato<br />

e cresciuto nella mentalità di questo mondo, però con<br />

la grazia di poter desiderare e guardare oltre il suo orizzonte.<br />

Il primo sentimento è di gratitudine per le molte persone<br />

che mi hanno accompagnato nel cammino e che<br />

sono stati segni della presenza paziente e discreta di<br />

Dio nella mia vita. Innanzitutto i miei genitori e i miei<br />

due fratelli maggiori. In casa ho sperimentato una fede<br />

viva che era il fondamento di tutta la vita. La mia famiglia<br />

mi ha mostrato un ideale di santità che ha orientato la<br />

mia ricerca.<br />

Ho compiuto un percorso lungo e non senza deviazioni,<br />

scisso tra ciò che il mio cuore desiderava e ciò che<br />

mi proponevano il mondo e i miei coetanei. Avevo una<br />

personalità timida e questo mi ha fatto faticare molto.<br />

Ma non ho mai rinunciato a cercare la mia piena realizzazione:<br />

ho seguito i miei interessi studiando storia,<br />

scienze politiche e scienze islamiche. In quegli anni la<br />

compagnia di Matthias, uno dei miei fratelli, di Christoph,<br />

un amico d’infanzia, di Andrea, la mia fidanzata<br />

di allora, era un aiuto grande a guardare avanti e tenere<br />

il desiderio vivo. Uguale importanza per il mio cammino<br />

ha avuto la Madonna di Medjugorje, dove sono andato<br />

spesso e dove ho imparato a pregare. Sentivo il cielo<br />

vicino e perciò mi sapevo a casa.<br />

Ma l’evento decisivo, che ha segnato la mia conversione<br />

e rivelato la mia vocazione, è stato l’incontro con<br />

don Roberto Zocco, un prete della Fraternità san <strong>Carlo</strong>,<br />

e con i suoi amici di Comunione e liberazione in Germania.<br />

Era, davanti a me, in carne e ossa, ciò che desideravo<br />

veramente per la mia vita. Il cielo vicino di Medjugorje<br />

era diventato una compagnia quotidiana nella<br />

scuola di comunità con Christoph Scholz a Berlino e<br />

nella vita degli universitari di Cl. Nessuna distanza, in<br />

Germania e fuori, era tanto g rande da rinunciare a<br />

incontrarli: la risposta alla mia domanda di una vita vissuta<br />

con verità e profondità, con bellezza e umanità,<br />

aveva acquistato un volto reale. Attraverso un “tu”<br />

potevo dire “io” e nello stesso tempo “sì” a Cristo. >>


«Al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio». Ma questo desiderio non può sopravvivere<br />

neanche pochi minuti se non diventa domanda, perché la vera forma del desiderio è la<br />

domanda: si chiama preghiera. Julián Carrón<br />

4 fraternitàemissione<br />

GIUGNO<br />

Dal primo istante a casa<br />

In seminario mi sono sentito e saputo dal primo istante<br />

a casa, cioè nel posto giusto e al momento giusto, nonostante<br />

la mia età avanzata – avevo già 28 anni – e nonostante<br />

la prospettiva di un cammino lungo per arrivare<br />

al sacerdozio.<br />

Ho imparato il profondo significato e il valore sacramentale<br />

della vita comune e della compagnia guidata.<br />

Non c’è un’esperienza che dia più certezza del vedere<br />

Cristo presente nel cammino e nella vita con i fratelli.<br />

Ho sperimentato una guida e una paternità da parte dei<br />

miei superiori, da don Massimo a don Gianluca e a don<br />

Matteo (durante lunghi giri di corsa nel nostro parco...).<br />

Il centro della vita non è mai stata la preoccupazione di<br />

dover riuscire in qualcosa, ma realizzare la mia vocazione.<br />

Ho imparato, grazie alla sequela paziente e persistente<br />

di don Andrea, il mio padre spirituale, a guardare<br />

alla mia vita con gratitudine e con orgoglio e perciò<br />

ad avere fiducia, anche nelle responsabilità grandi<br />

che Dio mi affiderà.<br />

Della vita nella Casa di formazione mi ha colpito<br />

anche l’intensità e l’intelligenza. Era una vita molto regolare,<br />

un susseguirsi quotidiano dei tempi per la preghiera,<br />

per i sacramenti, per lo studio, per la caritativa.<br />

E tutto aveva un unico fuoco: la scoperta della presenza<br />

di Dio e l’entrare nel suo disegno e nel suo sguardo su<br />

tutta la realtà.<br />

La vita in Terra <strong>San</strong>ta<br />

Per me è una grazia particolare essere mandato in Terra<br />

<strong>San</strong>ta, la terra di Gesù, dove la gente, oggi come allora,<br />

ha tanto bisogno di Lui.<br />

Quando sono partito per la missione, prima come<br />

seminarista in Giordania e ora in Terra <strong>San</strong>ta, sapevo<br />

che non stavo seguendo i miei progetti. Sono a Ramallah<br />

perché appartengo alla Fraternità san <strong>Carlo</strong>, che mi<br />

ha mandato a servire la Chiesa in questo paese. E questa<br />

coscienza è per me liberante e fortificante. La vita in<br />

parrocchia mi pone molte sfide nuove e a volte non so<br />

da dove cominciare. Sì, ci sono e faccio tutto come risposta<br />

personale e quotidiana a Cristo. Ma non sono da<br />

solo, con le mie sole forze, a rispondere. Posso avanzare<br />

passo dopo passo e incontrare tutta la realtà perché<br />

tutto ciò che faccio nasce e prende forma dalla comunione<br />

con don Vincent a casa e don Paolo a Roma.<br />

Così l’obbedienza al modo con cui Cristo si è reso<br />

vicino all’inizio del mio cammino - e oggi nella mia vita<br />

missionaria - diventa la strada attraverso la quale Egli<br />

mi guida e mi trasforma.<br />

Attraverso l’Atlantico<br />

di Fabrizio Cavaliere<br />

Essere missionari significa, a volte, lasciare<br />

tutto ciò che si è costruito in tredici anni, e<br />

partire, solcare il mare e raggiungere un<br />

nuovo porto, dall’altra parte del mondo.<br />

È il 1997 quando José Cortes, per tutti<br />

Zé Maria, portoghese di nascita, approda<br />

nella sua Lisbona, da prete missionario. La<br />

sua destinazione è un sobborgo della capitale,<br />

Alverca do Ribatejo. Non è una realtà<br />

facile, quarantamila abitanti, molti dei quali<br />

pendolari; la piccola, ma antica, chiesa è in<br />

un quartiere periferico della città, e in parrocchia<br />

è quasi assoluta la mancanza di<br />

bambini. Parte un lavoro per costruire una<br />

nuova chiesa. Allo sviluppo dell’edificio<br />

corrisponde il maggiore numero di persone<br />

che si stringono intorno al parroco e agli<br />

altri missionari: anziani, giovani e, soprattutto,<br />

bambini. E la crescente comunità ha<br />

la sua nuova casa, consacrata nel primo<br />

maggio del 2005 e dedicata, guarda caso,<br />

a dei bambini, i piccoli Pastorelli di Fatima,<br />

Francesco e Giacinta. la Igreja dos Pastorinhos,<br />

posta emblematicamente sulla<br />

strada verso Fatima, offre alle famiglie un<br />

nuovo, e importante, spazio d’incontro.<br />

Arriviamo così a oltre cinquecento bambini<br />

iscritti al catechismo, e al 2010. José deve<br />

partire, per andare dove la Fraternità e la<br />

Chiesa lo mandano.<br />

Nuova destinazione al di là dell’oceano<br />

Atlantico: Washington. Una parrocchia,<br />

«Christ the King», una nuova sfida. Prima<br />

di partire, il saluto al suo popolo portoghese,<br />

durante l’ultima messa con più di<br />

ottocento fedeli: «Sono stato il vostro<br />

pastore in questi anni. Vi ho guidato. Ho<br />

tentato di portarvi verso il Signore. Ma<br />

questo è stato possibile soltanto perché<br />

anch’io sono guidato, accompagnato. E<br />

questa compagnia ora mi conduce lontano».<br />

Lì, nella compagnia concreta dei fratelli<br />

e nella fedeltà alla Fraternità, sta la<br />

radice della serenità con cui affrontare le<br />

grandi sfide a cui spesso una persona si<br />

sente inadeguata. Con la medesima certezza<br />

Zè Maria ha salutato Washington,<br />

durante la prima messa nella parrocchia,<br />

nel giorno dell’Assunzione: «Ringrazio i<br />

miei fratelli della Fraternità san <strong>Carlo</strong> per la<br />

loro presenza e l’aiuto che mi daranno al<br />

servizio di tutti voi. Noi condividiamo la<br />

stessa missione, la stessa passione per la<br />

gloria di Cristo. Io non sono un uomo solo,<br />

io non sono un "one-man show"». Tutt’altro:<br />

la bellezza, e la profondità della vocazione<br />

sacerdotale ogni giorno si alimenta di<br />

quella partecipazione. «Questo è davvero<br />

un tesoro per me e, ne sono convinto, sarà<br />

anche una ricchezza per tutti voi».


C’è un’unica cosa che ci rende veramente tristi: è che Dio possa diventare uomo e non essere riconosciuto<br />

da coloro cui bussa alla porta. Allora Lui a noi ha messo dentro anche un’altra parola:<br />

«Vieni con me: aiutami, dammi la tua vita». E noi dobbiamo per forza dirgli di sì. Per forza? Per<br />

amore: ma le due cose ormai si confondono. Luigi Giussani<br />

GIUGNO<br />

fraternitàemissione<br />

5<br />

Un buon inizio...<br />

Marco Basile, Paolo Di Gennaro e Lorenzo Di Pietro festeggiano il primo anno di sacerdozio.<br />

È l’occasione per farci raccontare come è andata. Cartoline da Praga, Colonia, Lisbona<br />

LA VOCAZIONE DI PAVEL<br />

Marco Basile, missionario a Praga, parte dalla commovente<br />

storia di Pavel. «L’ho conosciuto all’Università<br />

Lateranense, era seminarista come me. Abbiamo condiviso<br />

due anni di studio e siamo diventati amici. È<br />

venuto anche a pranzo da noi. Siamo stati ordinati sacerdoti<br />

nello stesso giorno».<br />

Alcuni mesi fa, in ottobre, Pavel è morto in un incidente<br />

stradale. Aveva appena 27 anni. «Due settimane<br />

dopo è venuta a trovarci sua zia, che era diventata la mia<br />

insegnante di ceco, e ci ha detto che Pavel parlava<br />

spesso di me. Era rimasto colpito dalla nostra vita<br />

comune, e desiderava vivere la stessa esperienza con<br />

gli altri preti della sua parrocchia: tanto che alla fine del<br />

funerale il suo parroco, in lacrime, ha ricordato l’attenzione<br />

di Pavel per la vita in casa. Altri preti hanno iniziato<br />

a chiamare il parroco e ad offrirgli aiuto, e la zia ci<br />

diceva che secondo lei il compito di Pavel adesso era<br />

proprio quello di contribuire all’unità del clero della sua<br />

diocesi. La nostra vocazione si compie solo nell’incontro<br />

con Cristo, e il nostro vivere insieme è una grande testimonianza<br />

di essa».<br />

L’altra esperienza fondamentale di questi primi tempi<br />

in Repubblica Ceca riguarda le confessioni, dalle suore<br />

di Madre Teresa: «Nella confessione è evidente la grazia<br />

che ci è stata data con l’ordinazione. Confessare in<br />

un’altra lingua non è semplice. Mi accorgo che devo<br />

guardare all’essenziale: ascoltare, pensare, dare il perdono<br />

di Dio. Nasce una gratitudine, perché il mistero del<br />

male è spesso meschino e insignificante di fronte al<br />

mistero del bene. Il perdono ha un peso maggiore del<br />

proprio male. E se Dio stesso ti ha perdonato, allora<br />

anche tu puoi perdonare te stesso».<br />

LA PALLA DI NEVE<br />

«Sono passati pochi mesi dall’ordinazione, ma mi<br />

sembra che siano passati anni», esordisce Lorenzo Di<br />

Pietro, missionario a Colonia. «Mi occupo dei giovani,<br />

cioè della fascia d’età tra i 7 e i 25 anni. Piccoli, grandicelli,<br />

chierichetti… tutto molto ben organizzato, alla<br />

tedesca. Un cattolicesimo molto associativo, e questo è<br />

anche il suo rischio». In che senso? «Appuntamenti, riunioni,<br />

ruoli: ma qual è la differenza tra noi e gli altri?<br />

Cosa ci distingue da un club o da un’associazione? Con<br />

alcuni dei ragazzi più grandi è nata una bella amicizia,<br />

e io li ho provocati esattamente su questo punto. Perché<br />

– ad esempio – andiamo in vacanza insieme? A cosa<br />

vogliamo educarci? Così abbiamo iniziato a leggere Il<br />

senso religioso. Poiché la strada maestra è la vita comunitaria,<br />

voglio aiutarli a capire che cosa è la Chiesa, la<br />

dimensione ecclesiale. E lo faccio partendo da me, da<br />

come vivo con gli altri preti della mia casa: siamo una<br />

squadra, e i parrocchiani ci vedono come una via di<br />

mezzo tra una famiglia, un convento e un gruppo di<br />

amici».<br />

Un altro momento importante è stato la lettura pubblica<br />

della lettera pastorale del vescovo su matrimonio<br />

e sessualità, «due temi che in Germania suscitano molti<br />

problemi». Ma anche il rapporto con alcune famiglie italiane<br />

di Cl, in Germania per motivi di lavoro o di ricerca<br />

scientifica. «Li ho provocati sulla dimensione missiona-<br />

di Marco Sampognaro<br />

Dall’alto, Lorenzo di Pietro e Paolo<br />

Di Gennaro. Sotto: Praga, Marco<br />

Basile, a destra, a cena con alcuni<br />

parrocchiani. Pagina a fianco, dall’alto,<br />

una veduta di Gerusalemme;<br />

Christoph Matyssek con una famiglia.<br />

ria della loro vocazione, e loro si sono iscritti a un corso<br />

di tedesco».<br />

Colonia è una città molto cattolica, molto orgogliosa<br />

della sua tradizione. «C’è un cartello nella sala parrocchiale<br />

che dice “per fortuna cattolici”. Il punto è andare<br />

alle radici di questo. E, come dico ai ragazzi, noi siamo<br />

come una palla di neve, che inizia piccola a monte, ma<br />

finisce grande a valle».<br />

IL MISTERO DELLA PATERNITÀ<br />

Paolo di Gennaro è ad Alverca in Portogallo. Insegna<br />

religione nella scuola del movimento a Lisbona e segue<br />

diversi gruppi in parrocchia. «Luis Miguel, il parroco, mi<br />

ha affidato la messa più importante della domenica,<br />

quella delle 11, in cui ci sono i bambini. Nella nostra<br />

chiesa, dedicata ai pastorelli di Fatima, ci sono nei primi<br />

banchi circa centocinquanta bambini… con tutti i genitori<br />

dietro. La chiesa è strapiena, c’è gente ovunque.<br />

Così all’inizio arrivavo con l’angoscia. Poi ho imparato<br />

pian piano a parlare con i bambini, usando immagini e<br />

storie per comunicare un mistero. Ad esempio, per spiegare<br />

la fede ho detto loro che essa è come una candela<br />

accesa sull’altare: se soffi, si spegne! E tutti lì a provare<br />

a soffiare… Per loro io sono il prete, e hanno una grande<br />

relazione con me, anche se di fatto io non li conosco<br />

tutti, di alcuni non so nemmeno come si chiamano. Alla<br />

fine della messa vengono, mi salutano, chiedono di<br />

essere presi in braccio. Mi vedono come un padre, mi<br />

chiamano anche “padre”, di fatto».<br />

Anche con i ragazzi di Gs (15-18 anni) la parola chiave<br />

è “paternità”. «Grazie al sacramento che ho ricevuto, io<br />

sono padre di tutti. Mi sono affidati tutti, quelli che<br />

seguono e quelli che ti girano le spalle, quelli che ti<br />

sono simpatici e quelli che ti usano. E oltre ai ragazzi ci<br />

sono gli adulti, le persone anziane. Sto scoprendo che<br />

essere padre è essere padre di tutti, anche di quelli che<br />

non ho scelto».


BUONA<br />

VISIONE<br />

>><br />

John Landis<br />

The Blues Brothers<br />

con John Belushi<br />

e Dan Aykroyd<br />

U.S.A. 1980<br />

133 min.<br />

Una Dodge del 1974, una prigione, un reverendo battista, un negozio di strumenti musicali,<br />

una donna con il bazooka, un ristorante francese, un locale country, «del pane bianco tostato<br />

liscio, quattro polli fritti e una coca», un cast stellare... e il più grande inseguimento della storia<br />

del cinema. Film demenziale, surreale, chiassoso, ma difficile da non amare, perché tutto è<br />

ricompreso e messo al servizio della “missione” di Jack ed Elwood, i fratelli Blues: salvare a<br />

suon di musica l’orfanotrofio dove sono cresciuti.<br />

6 fraternitàemissione<br />

GIUGNO<br />

Come far uscire dalla noia, dallo stordimento delle vacanze<br />

estive un gruppo di ragazzi tra i 17 e i 25 anni?<br />

Semplice: affidate loro un compito, un compito grande,<br />

accompagnatelo con una bella storia, magari fantasy, e<br />

mandateli in missione. La storia che ci racconta don Marco<br />

Aleo, 39 anni, in Cile dal 2007, è tutta qui. È la storia<br />

di una “missione nella missione”. E di una scoperta di sé<br />

nel rapporto con gli altri.<br />

Don Marco, che cosa sono le missioni giovanili?<br />

Si tratta di un elemento tipico della tradizione cattolica<br />

cilena che abbiamo riscoperto e riformato. Si va fuori<br />

città, nelle campagne, a trovare le persone e ad animare<br />

le loro giornate. È un modo diverso di vivere le vacanze:<br />

vita comunitaria e missione. In Cile l’anno scolastico<br />

finisce a dicembre. La missione si è svolta in piena calura<br />

estiva, la prima settimana di febbraio.<br />

Dove siete andati? E in quanti eravate?<br />

Siamo andati a Picidegua, un paese a 150 km dalla nostra<br />

parrocchia. Base: una scuola affidataci in autogestione.<br />

È il terzo anno che ci andiamo. Quest’anno erano settanta<br />

giovani di età tra i 17 e i 25 anni, la fascia d’età dopo<br />

la cresima, insomma. A guidarli eravamo don Michele Lugli<br />

ed io.<br />

Come si svolgeva la giornata tipo a Picidegua?<br />

Sveglia. Colazione alle 8. Lodi insieme. Tre quarti d’ora<br />

di silenzio personale meditando sul testo Vivere è la memoria<br />

di me di don Carrón. Poi partenza per la missione:<br />

gruppetti di tre-quattro ragazzi in visita alle case del<br />

paese, per vivere un momento di condivisione totale con<br />

gli abitanti del posto. Rientro per il pranzo, quando non<br />

ti invitavano…<br />

Come si presentavano?<br />

Chiamavano alla porta -non c’è campanello-, si presentavano<br />

come i missionari della parrocchia di Puente Alto,<br />

e intavolavano una conversazione. In generale, il cileno<br />

è un tipo accogliente. E l’iniziativa era stata concordata<br />

con padre Omar, il parroco del paese, che ne aveva parlato<br />

alla gente. Molti ci conoscevano già. Altri non aprivano,<br />

o mostravano indifferenza. Noi invitavamo tutti all’incontro<br />

che si sarebbe tenuto la sera.<br />

Una vacanza<br />

molto particolare<br />

per i giovani<br />

della parrocchia<br />

di don Marco Aleo<br />

e don Michele Lugli.<br />

«Se tu non cresci,<br />

nemmeno io<br />

cresco»<br />

a cura di Marco Sampognaro<br />

Alcuni dei giovani «missionari» di<br />

<strong>San</strong>tiago con don Marco e don Michele<br />

Lugli.<br />

Cile In missio<br />

Incontro su cosa?<br />

Il filo conduttore erano i libri di C.S. Lewis Le Cronache<br />

di Narnia. Prima della missione c’è stato un lavoro preparatorio<br />

che don Michele ha accompagnato: avevamo<br />

diviso i ragazzi in sette gruppi, e affidato a ciascun gruppo<br />

uno dei sette libri di Narnia. Dovevano studiarlo ed<br />

estrarne un episodio, una scena particolarmente significativa.<br />

In missione, nei pomeriggi, condividevano il contenuto<br />

con tutta la comunità dei missionari. La discussione<br />

apportava sempre nuove luci.<br />

Quindi la missione era raccontare una scena del libro?<br />

Li invitavamo a messa, e dopo la messa c’era la presentazione<br />

della scena e la conversazione. A volte chiudevamo<br />

con dei canti e si stava ancora un po’ insieme.<br />

Qualche esempio di episodio scelto dai ragazzi?<br />

Uno dei più efficaci è quello di Lucy che vede il leone<br />

Aslan e nessuno le crede: aiuta a capire la fede, l’amicizia,<br />

l’autorità, la fiducia… meglio di molte lezioni teoriche.<br />

Oppure il “battesimo” di Eustachio (ripreso malamente<br />

anche nell’ultimo film tratto dai libri di Lewis, Il<br />

viaggio del veliero). O ancora Aslan che rivela a Shasta<br />

tutte le volte in cui era stato lui stesso, non riconosciuto,<br />

a farsi presente nella storia del ragazzo. O l’episodio dei<br />

nani, pseudoamici impenetrabili e sordi al ruggito di<br />

Aslan, o ancora la commovente scena della creazione di<br />

Narnia attraverso il canto del Leone.<br />

Quante persone accettavano l’invito?<br />

Molti bambini. Una quarantina tra giovani e adulti. Ma<br />

il numero di persone che partecipavano non è il criterio<br />

fondamentale.<br />

E qual è, allora?<br />

La crescita dei nostri ragazzi. Questa missione è stata<br />

un’esperienza di ora et labora. La vita comunitaria ne è<br />

stato il cuore pulsante: si è vissuto un clima di sequela,<br />

di unità della vita. E nei ragazzi si è visto.


È bella la strada / che porta a casa / e dove ti aspettano già.<br />

Claudio Chieffo<br />

GIUGNO fraternitàemissione<br />

7<br />

Un momento decisivo di quella settimana.<br />

Ciò che ha dato il “tono” alla convivenza è stato un nune<br />

con il leone Aslan<br />

Che cosa è cambiato in loro?<br />

Essere stati parte di un’esperienza di bellezza -che abbracciava<br />

il lavoro, lo studio e la fatica- all’altezza di ciò<br />

che cercano. Questo non se lo possono togliere di dosso,<br />

hanno visto che è possibile. Hanno un “precedente”!<br />

Tra loro, una parola molto usata è aburrimiento, che vuol<br />

dire noia. Letteralmente: il terrore -horreo- del vuoto. Specie<br />

in estate, per esorcizzare il fastidio di questo vuoto<br />

stanno al computer per ore, si alzano per pranzo… In missione<br />

no: l’ordine, la serietà, la bellezza prendevano il posto<br />

della noia. Per dire: non avevano Internet, non avevano<br />

Facebook, ma se ne dimenticavano completamente.<br />

Un’altra espressione molto usata è me cuesta (mi costa,<br />

mi secca), che riassume l’atteggiamento nei confronti<br />

di un compito da svolgere. In missione arrivavano a pulire<br />

i bagni senza lamentarsi.<br />

Il testo che meditavano nel silenzio, Vivere è la memoria<br />

di me, che riprendevamo in un’assemblea nel pomeriggio,<br />

è stato provvidenziale, perché descriveva il lavoro<br />

che acquista la dignità della preghiera, che diventa memoria.<br />

Per questo parlavo di unità della vita.<br />

Quindi sono tornati a casa più contenti.<br />

Hanno visto qualcosa di più di ciò che vivono di solito:<br />

una differenza, che li ha fatti uscire dall’indifferenza.<br />

Questo ha avuto un impatto anche in famiglia. Capita che<br />

i ragazzi acquistino una profondità che interroga i loro genitori.<br />

Almeno quelli che si lasciano interrogare.<br />

Marco Aleo (a sinistra) con i suoi<br />

ragazzi.<br />

Massimo Camisasca<br />

La casa, la terra, gli amici<br />

La Chiesa nel terzo millennio<br />

Edizioni <strong>San</strong> Paolo 2011<br />

pp. 135 - € 13<br />

cleo di ragazzi, all’interno del gruppo dei settanta, che<br />

è più vicino a noi e che aiutava tutti a guardare in un’unica<br />

direzione. Emblematico è stato ciò che una giovane ha<br />

detto a un’amica più grande: «Se tu non cresci, nemmeno<br />

io cresco»: è proprio l’immagine della corresponsabilità.<br />

Così i “figli” che abbiamo ci provocano e ci sussurrano:<br />

«Se tu non cresci, non cresco nemmeno io».<br />

NOVITÀ IN LIBRERIA<br />

I luoghi della Chiesa oggi<br />

Esce per i tipi delle Edizioni <strong>San</strong> Paolo il nuovo libro<br />

di Massimo Camisasca, «La casa, la terra, gli amici».<br />

Una riflessione sulla vita della Chiesa nel terzo millennio,<br />

intessuta intorno a una semplice domanda: che cosa<br />

è essenziale nella vita cristiana? L’autore suggerisce che<br />

oggi è necessario educare ai fondamenti che sostengono<br />

l’uomo nel suo attraversamento dell’esistenza, verso<br />

la luce.<br />

Tre parole delineano dunque lo spazio della vita cristiana,<br />

della Chiesa: la «casa», un luogo fisico, ma anche famiglia,<br />

accoglienza, comunione; la «terra», la destinazione<br />

universale di ogni vera esperienza umana, ma anche<br />

il nostro essere fatti di polvere, di limiti; gli «amici»: il vertice<br />

dell’esperienza della carità.


Nelle cose più ovvie e ordinarie è nascosto un vertiginoso senso<br />

dell’infinità e della trascendenza. Pavel Florenskij<br />

8 fraternitàemissione<br />

GIUGNO<br />

Diario missionario<br />

Per rispondere a Dio<br />

è confluito in CL venticinque anni fa. Quanti ricordi! I<br />

primi incontri con il movimento furono esaltanti. Ricordo<br />

le parole di don Giussani: «CL è il cammino, la meta è la<br />

Nuova Terra». «Essere cristiano significa essere un<br />

uomo vero.» Vibrano ancora in me, quelle parole. E non<br />

mi hanno deluso.<br />

Mi sorprendo spesso a commuovermi per molti accadimenti<br />

che sono un segno divino. Sono stato molto colpito,<br />

per esempio, dal salvataggio dei 33 minatori in<br />

Cile. Noi tutti speriamo di essere salvati dalla morte.<br />

Quale somiglianza con Cristo che scende negli inferi<br />

per salvarci! La gioia della vita al di là dei nostri limiti e<br />

delle circostanze è una correzione profonda per il<br />

nostro sguardo, che spesso si ferma alle apparenze. È il<br />

Mistero che ci salva.<br />

Un forte abbraccio,<br />

Julián<br />

BRASILE CRISTIANO, UOMO VERO<br />

di Julián de La Morena<br />

<strong>San</strong> Paolo del Brasile, 20 ottobre 2010<br />

Caro don Massimo,<br />

dopo il mio ritorno in Brasile nel mese di settembre ci<br />

sono stati molti sviluppi importanti che stanno<br />

segnando la mia vita. Il primo importante passo sono<br />

stati gli esercizi per i sacerdoti e per i Memores Domini,<br />

predicati da don Carrón. Il successivo viaggio in Paraguay,<br />

Argentina e Ecuador mi ha permesso di osservare<br />

la vita del movimento, la grande grazia che il movimento<br />

è per la Chiesa. Ho potuto riconoscere, ancora una volta,<br />

come Cristo sia presente. Le elezioni in Brasile, molto<br />

complesse e articolate, mi hanno permesso di comprendere<br />

più a fondo la mia missione e le sfide da affrontare.<br />

L’incontro con alcuni giovani brasiliani, che seguo più<br />

da vicino, mi ha dato conferma del metodo del movimento<br />

e della bellezza dell’educare e del lasciarsi educare.<br />

Tutti sono in attesa di conoscere Cristo. Quanto è bello<br />

il ministero sacerdotale! Di fronte a tanto bisogno e tanta<br />

povertà mi ripeto spesso: «Quanto ho bisogno di te,<br />

Gesù!». È certamente una grande grazia averlo incontrato<br />

ed essere stato chiamato a lavorare alla costruzione<br />

del suo Regno.<br />

Durante gli ultimi tempi, sono tornato spesso con la<br />

mente anche alla storia del movimento Nuova Terra, che<br />

Nella foto, Julián de La Morena<br />

durante una visita a un villaggio<br />

in Chapas (Messico).<br />

RUSSIA CIÒ CHE CI CHIEDE GESÙ<br />

di Alfredo Fecondo<br />

Novosibirsk, 13 dicembre 2010<br />

Carissimi,<br />

in questi giorni, la domanda che alimenta la mia riflessione<br />

riguarda ciò che mi aiuta a vivere la mia vita come<br />

vocazione. L’aiuto più grande proviene dalle circostanze<br />

in cui Dio mi pone.<br />

Mercoledì 8 dicembre, festa dell’Immacolata, per<br />

andare a celebrare la messa presso il monastero delle<br />

Carmelitane, tra neve e freddo, attese e blocchi, ho<br />

“perso” 4 ore, tutta la mattina! Tornato a casa, dopo un<br />

breve ristoro, mi rivesto per andare in università, a<br />

lezione di filosofia contemporanea [frequento il<br />

secondo anno di dottorato]. Apro la porta... Ma il timore<br />

di dover fare ancora altre 4, 5 ore di viaggio in quelle<br />

condizioni, mi blocca sulla porta. Mi dico: «Ma no! Resto<br />

a casa, oggi per me è festa!». L’attimo dopo mi chiedo:<br />

«Ma io, perché sono qua? Che cosa mi chiede Gesù?».<br />

Decido così di andare alla lezione più dura della settimana,<br />

dalle 16 alle 19.30. La lezione era introdotta da<br />

uno studente con una relazione su “Mounier e il personalismo”.<br />

Il professore, dal canto suo, ha sparato contro<br />

Chiesa e medioevo («La gente era libera nel medioevo?<br />

Certo che no!»). Ho atteso che finisse, ho chiesto la<br />

parola, ho richiamato i concili ecumenici, Boezio, la lettera<br />

a Filemone... Ne è nata una piccola discussione tra<br />

me e lui sulla differenza tra l’uomo greco e l’uomo<br />

medievale. Non potendo più pararsi, di colpo lui fa:<br />

«Bene, intervallo». Pochi istanti dopo, una collega, che<br />

fino a quel giorno non m’aveva mai rivolto la parola, mi<br />

si avvicina e mi chiede: «Che cos’è l’Infinito?».<br />

Vi saluto,<br />

Fec

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