Davide Conti
Narrare un altro sguardo
Si è provocatori nel proporre immagini, allo stesso tempo, decontestualizzate e ricontestualizzate. Si
è altrettanto provocatori nel voler riportare la fotografia a quella tendenza pittorica che aveva in
origine, uscendo fuori dal concettualismo e dalla smaterializzazione del corpo, propria degli anni
Settanta. L'epoca del simulacro viene qui riproposta in un'immagine che riprende il rapporto
mimetico o di rappresentazione con il reale, riacquisendo il rapporto con quest'ultimo, pur non
essendone una copia, ma mantenendo un rapporto di scambio di significato con l'immagine
storicizzata. Le immagini di Davide Conti, la sua Susanna e la sua Angelica, non sono una semplice
citazione ma una rilettura, vera e propria, che parte dal testo per potersi rileggere nella stessa
immagine.
Abbiamo di fronte una costruzione, una rimessa in gioco dell'indecidibilità tra reale e fittizio, tra
verità e manipolazione; ibridazione di generi e di forme, degli echi classici riappropriati dal
fotografo attraverso un'acuta analisi della contaminazione linguistica dei contenuti. I testi vengono
posti sotto la lente d'ingrandimento che è propria dell'arte, vengono sottoposti ad una ricostruzionerinnovazione
dell'immagine di riferimento, cogliendone in tal modo sempre nuovi significati. E' il
caso del Sacrificio di Isacco e dell'Achille e Pentesilea, ed è sempre in questo senso che va pensata
la messa in discussione, il rimescolamento, dei valori estetici proposti da Davide Conti. Così i
ritorni tematici non possono e non devono essere considerati come ritorni del medesimo, bensì
come ritorni del differente, da riferirsi cioè a una diversa modalità di messa in luce, ne sono un
chiaro esempio il Compianto di Patroclo o la Deposizione.
Centrale è il ruolo dei corpi: posti come costruzioni sceniche, senza abiti per esaltare la costruzione
formale, creano linee di tensione ed equilibri, che hanno fatto propria la lezione dei grandi maestri
del passato. Sculture di luce che perdono la propria identità ed emergono dalle tenebre, sfondi neri
che dissimulano la scena di un racconto, di una narrazione che viene messa in atto. Immagini, non
messe in scena, in cui, nel mosaico delle descrizioni narrative, l'artista esprime ciò che il mondo è
diventato per noi. Le immagini appaiono aperte e, al di là del riferimento testuale, lo spettatore
viene insignito della capacità di leggere la trascrizione dell'immagine; ogni frammento narrativo
viene in tal modo compreso in maniera sempre differente.
I soggetti narrativi principali sono i testi della nostra tradizione, dall'Antico Testamento all'Odissea,
dalla Salomè all'Ulisse e le Sirene, dove spesso il fulcro del significato dell'opera risiede in figure
femminili che pongono le immagini del fotografo degne di una nuova lettura. Abbiamo così la
proposta di una metafora erotica, portatrice di amore non sensuale, del cambiamento dell'immagine
femminile, come in Giuditta e Oloferne. Inoltre non ci si sofferma sull'estetica del corpo, sulla
perfezione delle forme, bensì sull'ambiguità e sulla diversità delle stesse, messaggere in tal modo di
un più esteso significato. Quest'ultimo lo scopriamo nell'immagine dell'imperfezione fisica
corredata dalla perfezione delle linee e dei volumi, come ad essere portatrici di quel dionisiaco, di
quel pathos, che può giungere al nostro occhio solamente tramite l'equilibrio formale. Le scene
costruite, che inventano una nuova realtà, come una sorta di tableau vivant contemporaneo, portano
con sé l'acutezza e la freddezza dei dettagli, che dissimulano frammenti di visioni ancorate alla
nostra storia culturale. In tal modo la chiarezza del contenuto all'interno dell'artificio della scena,
consiste nel creare una propria visione interiore, da parte dell'artista, di temi decontestualizzati e
ricontestualizzati al tempo stesso, dove l'assoluto controllo delle immagini rivela il medesimo
assoluto controllo del contenuto, in cui è evidente il desiderio segreto di trovare nuovi significati
contemporanei. Veniamo colti da simboli posti all'interno di un complesso sistema di riferimenti
visuali e, in altra parole, abbiamo di fronte a noi un mondo pittorico che rivive la tradizione, le linee
della nostra cultura, non come provocazione ma come rilettura di uno stesso linguaggio.
Chiara Micol Schiona
Chiara Micol Schiona
Laureata in Storia dell'arte con una tesi in Storia della Fotografia, ad oggi è dottoranda presso
l'Università degli Studi di Siena con un progetto sugli Archivi Fotografici. Redattrice del trimestrale
Arte e Critica e del web magazine Cultframe, si occupa di critica d'arte, redigendo testi per
cataloghi e approfondimenti tematici. Si occupa anche di curatela: tra le ultime mostre curate, la
personale di Yoshie Nishikawa presso la Galleria Pavesi di Milano, Orith Youdovich presso la
Galleria Gallerati di Roma e Gianluca Tullio per il Festival di Fotografia di Roma 2011.