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Professoressa Gianna Marcato - UNPLI Veneto

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La forza del dialetto<br />

Come impostare la questione, da un punto di vista<br />

scientifico, culturale, didattico.<br />

Alcune considerazioni sul piano linguistico: G.<strong>Marcato</strong>, Guida<br />

allo studio dei dialetti, Padova, Cleup, 2011.<br />

Sulle tracce del passato: G.<strong>Marcato</strong>, Parlarveneto. Istruzioni per<br />

l’uso, Padova, Unipress, 2004; G. <strong>Marcato</strong>, “La politica linguistica<br />

della Serenissima e la complessità sociale dello stato veneziano”, in<br />

AA.VV. Società, economia, istituzioni. Elementi per la conoscenza<br />

della Repubblica Veneta, Vol. II. Società e cultura. Verona: Cierre,<br />

2002, pp. 21-83<br />

Questioni di attualità : G.<strong>Marcato</strong>, La forza del dialetto, Verona,<br />

Cierre, 2007.


Una antica “diglossia”: la grammatica duecentesca della<br />

Biblioteca di Monaco<br />

• In una grammatica del XIII secolo, custodita nella Biblioteca di Monaco, alla<br />

parola latina segue la traduzione volgare. Le caratteristiche linguistiche<br />

collocano il testo nell'Italia settentrionale, anzi molto probabilmente proprio a<br />

Verona. Eccone alcune righe per far capire come fosse strutturata:<br />

• Hec auelana, huius auelane, la noxela.<br />

• Hec nux, huius nucis, la nuxe.<br />

• Hec glanis, huius glandis, la ianda.<br />

• Hec castanea, huius castanee, la castagna.<br />

• Hec ficus, huius ficus, lo figo.<br />

• Hec una, huius uue, I'uua.<br />

• Hic datilus, huius datili, lo dataro.<br />

• Hic cedrus, huius cedri, lo cedro.<br />

• Hic garifolus, huius garifoli, lo garofalo.<br />

• Hic recemus, huius racemi, lo raspo de I'uua.<br />

• Hoc piper, huius piperis, lo peuere.<br />

2


Una premessa storica: il dialetto e la scuola nel 1786<br />

1786: sostituisce i testi in latino fino a questa data in auge nell’insegnamento<br />

scolastico l’abbecedario di Soave, divenuto testo di base per<br />

l’alfabetizzazione in italiano, usato in tutti gli stati italiani (tranne il Regno di<br />

Napoli) dalla fine del Settecento fino al periodo napoleonico:<br />

Raccomanda il Soave:<br />

“dir loro (agli scolari) quando una, e quand’altra proposizione in dialetto<br />

Lombardo, e farsela or dall’uno, or dall’altro, or da tutti recare in puro ed<br />

esatto Italiano” ( Soave 1792, rist, p.65)<br />

“Finalmente per esercitarli anche al parlare, egli (il maestro), si asterrà<br />

dall’usare con essi (gli scolari) in iscuola il dialetto Lombardo, ma userà<br />

sempre l’Italiano finito, o, come dicesi comunemente, il Toscano e obbligherà<br />

gli Scolari pur similmente a parlargli sempre, e rispondendo nello stesso<br />

linguaggio, correggendoli di mano in mano ove facciano errore”( Soave<br />

1792, rist, p.66)<br />

3


Una premessa storica: il dialetto e la scuola nel 1810<br />

Una proposta dell’abate Cesari (1810): dal noto all’ignoto<br />

• Per la prima volta viene sviluppato il presupposto secondo<br />

cui il dialetto, in quanto lingua materna, fornisce<br />

all’alunno il miglior supporto all’ampliamento delle sue<br />

competenze linguistiche e allo studio della grammatica:<br />

“La cosa parla da sé. Ora eglino nessun’altra ne sanno<br />

(lingua) che il proprio dialetto. Essi nel loro dialetto<br />

parlando, sanno il valore delle voci che usano, e le parti<br />

dell’orazione, nomi, pronomi, verbi, eccetera, le usano<br />

tutte. Ora io questa loro scienza vorrei recarla ad essi a<br />

profitto; facendo, che tutto il loro studiar nella lingua,<br />

fosse un tradurre dal dialetto lor naturale… Facciasi<br />

adunque che il loro dialetto spieghi, accompagnandolo<br />

sempre, il Toscano … e così debbano assai facilmente<br />

voltar in Toscano e con piena intelligenza, tutto ciò che<br />

essi medesimi avranno detto in loro volgare”<br />

4


Il dialetto nella didattica di un maestro dell’Ottocento:<br />

L’abate Ziliotti prende in considerazione il dialetto con l’obiettivo didattico di<br />

“trasportare in lingua il proprio dialetto materno, colla guida di un abile<br />

precettore”(1828):<br />

Presenta 100 brani “filosofico-politico-morali” in dialetto padovano graduati a<br />

seconda del loro tasso di dialettalità, distinguendo il<br />

colto dialetto<br />

men colto dialetto<br />

basso stile prolisso<br />

Seguono un dizionario e una lista di voci costruita per permettere un confronto<br />

contrastivo del tipo ammassare ∼ ammazzare; nono ∼ nonno; labro ∼ labbro.<br />

Interessante la progressione didattica nell’ordine dei racconti proposti: dai più<br />

lontani all’esperienza del parlato dell’alunno ai più vicini (e quindi dal più<br />

facile al meno facile, dal già “mediato” che ha bisogno di ritocchi di superficie<br />

al non mediato, che ha bisogno di impegnative rielaborazioni)<br />

È evidente la percezione di una stratificazione sociolinguistica<br />

che distingue il “basso stile” da un uso più raffinato della varietà<br />

5<br />

linguistica.


Un sillabario ottocentesco: guida alla lettura partendo dal<br />

dialetto<br />

• Luigi Barbirolli (1841) elabora un sillabario che si pone un<br />

preciso obiettivo didattico: “iniziare alla lettura italiana i<br />

fanciulli che parlano il veneto dialetto”<br />

• Novità dell’approccio:<br />

metodo alfabetico;<br />

avvio alla lettura partendo da parole del dialetto<br />

(N.B. i precedenti approcci presupponevano la capacità di<br />

saper leggere e scrivere): la testa, i cavei, el viso, el naso,<br />

la boca … i botoni, le scarsele… le mosche, i pulesi, una<br />

brespa …<br />

criterio ordinatore: Mi, mama, la mama, la lama,i<br />

muli, le mule, la mula, la lume, le lime, le lame, mi molo,<br />

lu mola, mola , molè …; i denti, che bei denti, el curadenti,<br />

din din, un budin, un soldin, una dindia, le dindie, din don,<br />

un veladon, qualchedun …<br />

6


Il “Libretto dei nomi” (1849) e l’importanza della variazione interna<br />

ai dialetti del <strong>Veneto</strong> (mosaico unitario)<br />

Il “Libretto dei nomi”, edito a Venezia nel 1849, restò in uso ancora per<br />

un decennio dopo l’annessione del <strong>Veneto</strong> all’Italia.<br />

Il modo di presentare i termini è quello dell’Abbecedario<br />

I dialetti presi in esame sono otto: sette varietà venete più il friulano:<br />

Un esempio: la scumaruola= Dial ven. triv. e bell. Cassa da spiumar, pad.<br />

Cazzetta, vic. Menestro da sbiumare, ver. Minestrador sbuso, pol.<br />

Cassa da sbiuma, friul. Chiazze forade.<br />

Manzoni vede nel vocabolario dialettale lo strumento che permette allo<br />

scolaro dialettofono di acquisire l’idioma unitario<br />

(I vocabolari di Nazari (1874, 1876, 1884): per il veronese: Patuzzi –<br />

Bolognini 1900)<br />

7


La riforma Gentile (1923) : un nuovo protagonismo del dialetto a<br />

scuola dopo un trentennio di “crisi” (1892-1934)<br />

• La riforma Gentile (1923), reagendo all’impronta antidialettale che<br />

aveva caratterizzato gli anni 1892- 1923, prevede per le ultime tre<br />

classi delle elementari “nozioni di grammatica ed esercizi<br />

grammaticali con riferimento al dialetto. Esercizi di traduzione dal<br />

dialetto”.<br />

I libri di testo previsti sono: un “libro per esercizi di traduzione dal<br />

dialetto” e un “libro sussidiario per la cultura regionale e le nozioni<br />

varie”.<br />

• Lombardo Radice (1952) considera il dialetto come unico punto di<br />

partenza per la didattica dell’italiano: il riferimento didattico è tuttavia<br />

un dialetto letterario.<br />

• Nel 1934 i programmi aboliscono ogni approccio dialettale.<br />

8


Dialetti e lingua (da G.<strong>Marcato</strong>, Guida allo studio dei dialetti,<br />

Padova, Cleup, 2011).<br />

Contrapposizione o complementarietà<br />

• Il volgare al bivio: la codifica cinquecentesca e la trasmissione diretta dei<br />

parlanti<br />

• Per una definizione di dialetto (sul piano linguistico)<br />

• Per una connotazione di dialetto (sul piano socio –culturale)<br />

• La “forza” dell’oralità: Costume vs. Codice<br />

• La “debolezza” dell’oralità: il peso dell’indessicalità e l’azione<br />

dell’amnesia funzionale nella trasmissione di una lingua<br />

• La lingua come azione sociale: equilibrio tra “costi” e “ricavi” del parlare<br />

• Complessità del repertorio e “oralità” come “variazione” che consente alla<br />

lingua di aderire al sistema delle esperienze condivise nella comunità.<br />

• Monolinguismo come mitica astrazione (radici ed identità)<br />

• “Italoromanzo” ed “eteronomia”: due costrutti utili per guardare in modo<br />

corretto e produttivo al rapporto tra lingua e dialetto<br />

Quale lo spazio dei dialetti in un repertorio multilingue<br />

9


Comunicazione, azione linguistica e dialetto: quale passato, quale<br />

futuro (da G.<strong>Marcato</strong>, La forza del dialetto, Verona, Cierre, 2007)<br />

Livelli d’uso della lingua:<br />

• comunicazione di base (oralità dell’interazione faccia a faccia),<br />

• comunicazione letteraria (scritta),<br />

• comunicazione mediata dalle moderne tecnologie (SMS e CMC).<br />

Caratterizzazione storica del dialetto:<br />

a) trasmissione diretta, all’interno del gruppo<br />

b) coinvolgimento affettivo all’interno della socializzazione primaria<br />

c) stabilità dei rapporti all’interno di una comunità territorialmente<br />

circoscritta e coesa.<br />

d) commistione alle azioni<br />

e) l’interiorizzazione di una idea non normativa della varietà appresa,<br />

con una conseguente maggior presenza di varianti linguistiche<br />

individuali e di gruppo, di creatività, di libertà linguistica.<br />

10


Funzioni della lingua: alla scoperta della funzione fatica<br />

funzione “fatica”, per agire affettivamente, funzione “mediatrice”,<br />

per trasmettere informazioni e modelli di vita, funzione letteraria,<br />

intesa come elaborazione formale.<br />

Alla scoperta della funzione fatica, una delle “forze” del dialetto:<br />

immersione nella “fisicità” della lingua, contatto col suono, ingresso<br />

nella magia di una lingua, che avvolge e consente di socializzare.<br />

• Capacità da sviluppare: “smontare” la catena dei suoni /smontare le<br />

parole in “pezzetti” dotati di unità di suono (“sillabe”)/giocare con<br />

tratti e\o parole creando nuove forme:<br />

• Un esempio: Dindoncampanònecampanedesanbruxònesonavatanto<br />

• fòrtecheebutavaxoepòrteeportegeradefèrovoltaeàcartaghe xeunpulièro<br />

• Elpulierotràpeàevoltaeàcartadhexetrecavàetrecavàemexemàte<br />

• Voltaeàcartaghexeunfrateelfratevacaritàvoltaeàcartaghexeelpapàelpapà<br />

conatrombetavoltaeàcartaghexenavecétaeàvecetaghecoredrìo<br />

• voltaeàcartachexefinìo<br />

È chiaro che tra le parole non c’è rapporto alcuno se non di ritmo e di<br />

rima. Trovarne altre. Giocare con altre rime.<br />

Scomposizione del lessico per scoprire sillabe, rime ed assonanze: for-te, porte/<br />

pulie-ro, fe-ro/ cav- àe, pe- àe/ma-te, fra-te/cari-tà, pa-pà/ tromb-eta, veceta<br />

. 11


Funzioni della lingua: alla scoperta della funzione mediatrice<br />

Per trattare correttamente la questione del dialetto occorre ricordare che:<br />

• Imparare una lingua nel mondo dell’oralità significa semplicemente ed<br />

inevitabilmente condividere le esperienze del gruppo che quella lingua la usa<br />

per comunicare bisogni, valori, modelli di vita.<br />

• Necessità pressante della memoria orale è quella di sedimentare gli elementi<br />

che non servono più nella comunicazione di ogni giorno, per lasciare spazio al<br />

bisogno di nuovo (mentre in una lingua a tradizione scritta resta traccia nei<br />

testi delle antiche parole, nella lingua orale parole e significati abbandonati<br />

non lasciano più traccia di sé, come se mai fossero esistiti).<br />

Guardare al dialetto come chiave di lettura di una storia locale consente di:<br />

• sviluppare attraverso il dialetto una relazione con l’ambiente (lessico della bio<br />

diversità);<br />

• educare al confronto tra generazioni ;<br />

• educare all’ascolto e all’attenzione per la memoria orale, come complemento<br />

della “storia scritta” e punto di partenza per la sua interpretazione ;<br />

• guidare alla scoperta di un mondo di segni che, collegando al proprio passato,<br />

consentano di leggerlo correttamente dall’interno (valore della fraseologia);<br />

• sviluppare la capacità di percepire le caratteristiche linguistiche della<br />

comunità, e le “azioni” comunicative che esse consentono, “giocando” col<br />

multilinguismo, per includere nel “gioco” delle lingue tutti i protagonisti di<br />

comunità che si vanno facendo sempre più complesse.<br />

12


Alla scoperta dell’uso scritto del dialetto (da G.<strong>Marcato</strong>, “La politica<br />

linguistica della Serenissima e la complessità sociale dello stato<br />

veneziano”, in AA.VV. cit.)<br />

• Ci mette di fronte ad un ricco repertorio di testi l’attenzione per l’uso<br />

letterario del dialetto: da Calmo, con la sua commedia plurilingue<br />

calata nella Venezia del ‘500, a Ruzante, col suo pavano di satira e di<br />

denuncia, a Cavassico, notaio bellunese attivo nel ‘500, da Giacomino<br />

da Verona, con i suoi versi carichi di patina locale, a Leonardo<br />

Giustinian, emblema del petrarchismo imperante nel ‘400, a Maffio<br />

Venier, con il suo veneziano cinquecentesco , alla critica in versi di<br />

Marco Boschini nel 600, al grande Andrea Zanzotto, recentemente<br />

scomparso.<br />

• Oltre a ciò ci aprono un mondo affascinante le “scritture minori”<br />

(lasciti e testamenti), le scritture mercantili (portolani e lettere dei<br />

mercanti), gli atti podestarili ed i verbali dei processi, preziose tracce<br />

di una storia linguistica, economica e sociale in cui l’uso scritto del<br />

dialetto rivela tutta la sua spontanea peculiarità.<br />

13


Alcune piste di lettura, per un confronto con la storia (da G.<strong>Marcato</strong>,<br />

Parlarveneto, Padova, unipress, 2004)<br />

• I nomi di luogo mediati dal dialetto (di origine latina e germanica);<br />

• Nomi, cognomi e soprannomi: influssi germanici, influssi cristiani,<br />

importanza dei registri battesimali del ‘500 per la ricostruzione della<br />

storia dei cognomi);<br />

• Parole venute di lontano (protagonismo linguistico di greci, slavi,<br />

arabi, tedeschi, francesi racchiuso nei nostri dialetti);<br />

• Il lessico della cucina: regionalità, ritualità, tradizioni religiose, legame<br />

con l’ambiente, fantasia della povertà;<br />

• Strutture linguistiche a confronto:<br />

– cossa ghe ‘se / ghe n’elo che<br />

– piove/ a piove / el piou<br />

– ti no te podarè/ ti no tu podarà<br />

– co iù/ co lu/ co éo<br />

– ecc. ecc. ecc.<br />

14


Una questione di attualità: i parlanti evanescenti (da G.<strong>Marcato</strong>, La forza<br />

del dialetto. Verona, Cierre, 2007)<br />

• Il valore delle “autobiografie”, come scoperta di una realtà in movimento,<br />

come lettura della “colonna sonora” che accompagna la nostra vita,<br />

alternando varietà e ritmi, destinati a ricomporsi in un insieme unitario,<br />

pur se diversi tra loro (concetto di “identità aperta”).<br />

• Dialetto, immagine di sé e visione del mondo: la cesura (incolmabile)<br />

degli anni ’70 (Pasolini, la morte delle lucciole, come metafora della fine<br />

di un mondo agricolo).<br />

• Il dialetto come legame di affettività per bypassare la cesura creatasi con<br />

la generazione dei “nonni”<br />

• Il dialetto come bisogno di allargare il repertorio, oltre l’ufficialità e la<br />

globalizzazione, alla ricerca del “glocale”<br />

• Il dialetto in internet, come rivendicazione di libertà, di creatività, di<br />

riappropriazione di una “lingua negata”, sotto la maschera del nick name<br />

che consente di usare la lingua della tradizione senza temere le sanzioni<br />

sia di chi la vorrebbe morta , sia di quanti la vorrebbero legata a modelli<br />

puristici improponibili (e quindi, in sostanza, ugualmente “morta”. 15

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