Ricerca Corso Tecnico dell'Ambiente - Scuola Edile Taranto
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REGIONE PUGLIA<br />
Assessorato Formazione Professionale<br />
ENTE SCUOLA EDILE TARANTO<br />
<strong>Corso</strong> di formazione<br />
“TECNICO DELL’AMBIENTE”<br />
“<strong>Taranto</strong>: Check – Up Ambiente”<br />
RICERCA<br />
POR PUGLIA 2000-2006, FSE, ASSE I, MISURA 1.10, AZIONE B). AVVISO N. 5/2005, PUBBLICATO NEL<br />
B.U.R. PUGLIA N. 110 DEL 1/09/2005 – CODICE PROGETTO POR050110B0094 – DENOMINAZIONE<br />
PROGETTO “TECNICO DELL’AMBIENTE” APPROVATO CON D.D. N. 370 DEL 16/06/2006 PUBBLICATA SUL<br />
BURP N. 77 SUPPL. DEL 22/06/06.<br />
Aprile 2007
Introduzione Ente <strong>Scuola</strong> <strong>Edile</strong> <strong>Taranto</strong> PAG. 9<br />
Premessa di Roberto De Giorgi PAG. 10<br />
Docente <strong>Corso</strong> <strong>Tecnico</strong> dell’Ambiente<br />
LE INVARIANTI PAESAGGISTICHE DA PAG. 11 A PAG. 74<br />
di Crivaglia Fabiana<br />
Setaro Fabio<br />
Fanigliulo Marianna<br />
Talamo Alessandro<br />
LA GESTIONE DEI RIFIUTI DA PAG. 75 A PAG. 105<br />
di Fedullo Alessandro<br />
Arcadio Francesca<br />
Raffaele Cristiano Maria<br />
Sergio Umberto<br />
Scardicchio Christian<br />
LA MOBILITA’ URBANA DA PAG. 106 A PAG. 172<br />
di Terzino Alessandra<br />
Lattarulo Maria Rosaria<br />
Sardella Stefania<br />
EMISSIONI ATMOSFERICHE ED IMPIANTI DA PAG. 173 A PAG. 230<br />
A RISCHIO DEL POLO DI TARANTO<br />
di Nisi Mariangela<br />
Quero Fabio<br />
Battista Ciro Daniele<br />
PROBLEMATICHE ENERGETICHE DA PAG. 231 A PAG. 335<br />
di Picaro Giovanni<br />
Dragusano Liliana Desdemon<br />
Notaristefano Michele<br />
Alessandra Mirizzi<br />
2
INDICE<br />
Introduzione Ente <strong>Scuola</strong> <strong>Edile</strong> <strong>Taranto</strong><br />
Premessa<br />
LE INVARIANTI PAESAGGISTICHE<br />
1. Il concetto di paesaggio<br />
2. Il paesaggio istituzionale: evoluzione legislativa<br />
2.1. Evoluzione legislativa<br />
2.2. La legislazione della Regione Puglia sulla tutela del paesaggio<br />
3. L’analisi del paesaggio<br />
3.1. Il paesaggio e la sua percezione<br />
3.2. I metodi e le tecniche di lettura del paesaggio<br />
3.3. Percezione statica e percezione dinamica<br />
3.4. Bacini e distretti visivi<br />
3.5. I tipi di paesaggio<br />
3.6. Componenti strutturanti naturali e antropiche<br />
3.7. Le unità di paesaggio<br />
3.8. Considerazioni<br />
4. L’analisi d’area vasta: la Provincia di <strong>Taranto</strong><br />
4.1. Inquadramento territoriale<br />
4.2. Analisi del territorio<br />
4.2.1 Geologia del territorio<br />
4.2.2 Ambiente<br />
4.3. Le interazioni tra la rete e i centri urbani, le industrie e le infrastrutture<br />
3.3.1 Industria<br />
3.3.2 Infrastrutture<br />
3.3.3 Agricoltura<br />
4.4. Possibili riconnessoni dei sistemi insediativi con la rete<br />
5. Focus sul corridoio Statte-<strong>Taranto</strong><br />
5.1. Premessa: focus sul corridoio Statte-<strong>Taranto</strong><br />
5.2. Criticità e potenzialità<br />
54.2.1. Individuazione delle zone di criticità<br />
5.2.1.1. Sviluppo urbano: l’espansione degli insediamenti residenziali a Statte<br />
5.2.1.2.Trattamento dei reflui urbani di Statte<br />
5.2.1.3. La linea ferroviaria <strong>Taranto</strong>-Bari<br />
5.2.1.4. L’area industriale<br />
5.2.1.5. Attraversamento della SS. 106 sul canale dello Stornara e Tara.<br />
5.2.1.6. Attraversamento della linea ferroviaria <strong>Taranto</strong>-Reggio Calabria sul fiume Tara<br />
3
5.2.1.7. Lido Azzurro, la foce del fiume Tara e l’insediamento portuale<br />
5.2.1.8. La SS. 172<br />
5.2.1.9. Quartiere Paolo VI<br />
5.2.2. Zone di potenzialità<br />
5.2.2.1. Gravina del Triglio<br />
5.2.2.2. Gravina Leucaspide<br />
5.2.2.3. I dolmen<br />
5.2.2.4. Le masserie<br />
5.2.2.5. La Gravina Mazzaracchio<br />
5.2.2.6. Il Parco del Mirto nel Quartiere Paolo VI<br />
5.2.2.7. Il Mar Piccolo<br />
5.3. Riepilogo<br />
5.4. Proposte<br />
5.5. Il progetto<br />
LA GESTIONE DEI RIFIUTI<br />
1. Cosa sono i rifiuti<br />
2. Cosa fare dei rifiuti.<br />
3. La gestione dei rifiuti<br />
4. Riciclaggio dei rifiuti<br />
5. Normativa sui rifiuti<br />
5.1 Livello nazionale<br />
5.1.1 Il Parlamento Europeo sconfessa il Testo Unico..<br />
5.2 Livello regionale.<br />
5.3 Livello provinciale<br />
5.4 Livello comunale<br />
6. Valutazione dei metodi pratici.<br />
6.1 Inceneritori.<br />
6.1.1 Tecnologie di incenerimento<br />
6.1.2 Recupero energetico<br />
6.2 Discariche.<br />
6.3 Riciclaggio industriale.<br />
6.4Riciclaggio biologico.<br />
6.5 Raccolta differenziata, campagne di educazione, legislazione.<br />
7. Rapporto Apat sui rifiuti 2006<br />
7.1Il quadro risultante fotografa un sistema di luci ed ombre<br />
7.2 Le fonti dei dati<br />
7.3 Produzione e raccolta differenziata dei rifiuti urbani<br />
8 La Situazione nella provincia di <strong>Taranto</strong><br />
9 I rimedi<br />
10. Conclusioni<br />
4
LA MOBILITÀ URBANA<br />
La gestione della mobilità urbana<br />
Agenda 21<br />
Decreto 27 Marzo 1998 del Ministero dell’Ambiente<br />
Piano Urbanistico Territoriale<br />
Piano Urbano della Mobilità<br />
Normative inerenti alla Mobilità<br />
Il Mobility Management<br />
Strategie di persuasione<br />
Strategie di concessione<br />
Strategie di restrizione<br />
Il Mobility Manager di Area<br />
Il Mobility Manager Aziendale<br />
1.8.1. Il Piano degli Spostamenti Casa-Lavoro<br />
1.8.2. Interventi sul Trasporto Pubblico<br />
1.8.3. Interventi sul Trasporto Aziendale<br />
1.8.4. Car sharing<br />
1.8.5. Car pooling<br />
1.8.6. Taxi collettivo<br />
1.8.7. Promozione e incentivi all’uso della bici<br />
1.8.8. Interventi interni all’azienda<br />
1.8.9. Forme di disincentivazione all’uso dell’automobile<br />
Il Mobility Management in Italia<br />
2. Situazione locale<br />
2.1. Progetto TARAS 2020<br />
2.2. PIC Urban II<br />
2.2.1. Asse III – Qualificazione della mobilità<br />
2.2.2. Piano Finanziario<br />
2.3. Azienda per la mobilità nell’area di <strong>Taranto</strong> – AMAT<br />
2.3.1. Storia della mobilità urbana di <strong>Taranto</strong><br />
2.3.2. Carta della mobilità 2006<br />
2.3.3. Indagine Customer Satisfaction<br />
2.3.3.1. Fattori, indicatori di qualità e Standard<br />
2.3.4. Attenzione per l’ambiente<br />
2.3.5. Busca (Bus Satellite Control and Assistence)<br />
2.3.6. I servizi informative all’utenza<br />
2.3.7. Servizio Idrovie<br />
Articoli tratti dal periodico AMAT informa<br />
3. Risoluzioni<br />
4. Conclusioni<br />
5
EMISSIONI ATMOSFERICHE ED IMPIANTI A RISCHIO DEL POLO DI TARANTO<br />
CAPITOLO I: Generalità sull’atmosfera<br />
1. L’atmosfera, composizione e stratificazione<br />
1.2 La qualità dell’aria<br />
1.3 Inquinamento su scale planetaria<br />
1.3.1 L’impoverimento dell’ozono stratosferico<br />
1.3.2 L’aumento dell’effetto serra<br />
1.3.3 Le piogge acide<br />
1.4 I problemi su scala locale e l’inquinamento<br />
CAPITOLO II: Inquinanti atmosferici principali: classificazione e caratteristiche<br />
2) Monossido di carbonio (CO)<br />
2.1 Ossidi di azoto (NOx)<br />
2.2 Ossidi di zolfo (SOx)<br />
2.3 Idrocarburi (HC)<br />
2.4 Particelle solide totali (PST)<br />
2.5 Altri inquinanti di interesse prioritario<br />
CAPITOLO III: Normative ambientali e descrizione degli impianti a rischio del territorio tarantino<br />
3 Scopo della ricerca<br />
3.1 Cenni sulla legislazione relativa all’inquinamento atmosferico<br />
3.2 <strong>Taranto</strong> ed il polo industriale “a rischio”<br />
3.3 Monitoraggio della qualità dell’aria<br />
3.3.1 Reti di monitoraggio gestite dall’APAT<br />
3.3.2 Reti di monitoraggio gestite dall’ARPA<br />
3.4 Riferimento normativo sanzionatorio<br />
3.5 Problematiche epidemiologiche<br />
CAPITOLO IV: Conclusioni e prospettive future<br />
PROBLEMATICHE ENERGETICHE<br />
Analisi delle risorse energetiche.<br />
Le singole fonti di energia rinnovabile.<br />
Approfondiamo lo studio sul petrolio<br />
Energia idraulica<br />
Energia solare.<br />
Energia eolica<br />
Energia geotermica<br />
Le biomasse, il biogas e i biocarburanti (biodiesel e bioetanolo)<br />
Combustibile derivato dai rifiuti (cdr)<br />
Energia maremotrice (oceani, maree e moto ondoso)<br />
L’idrogeno<br />
Efficienza energetica<br />
6
Riserve energetiche<br />
Risparmio energetico ed eco-building<br />
L’Europa e la questione dell’energia<br />
Le importazioni rimangono essenziali<br />
Modificare il mix di combustibili<br />
Tutelare l’ambiente<br />
Risparmiare energia grazie a un uso più razionale<br />
Diagnosi e certificazione energetica dei fabbricati<br />
La direttiva 2002/91/ce<br />
Un uso intelligente dell’energia<br />
Il mercato unico dell'energia.<br />
L’Italia e la questione dell’energia<br />
Fonti di approvvigionamento<br />
Energie non rinnovabili<br />
Energie rinnovabili<br />
Importazione.<br />
Problematiche<br />
Costo<br />
Dipendenza<br />
Storia della produzione di energia elettrica in italia<br />
Gli inizi<br />
La nazionalizzazione e la crisi petrolifera.<br />
Il presente<br />
Considerazioni per il futuro<br />
Come arriva il gas in Italia<br />
Il consumo del gas in Italia<br />
Parliamo del rigassificatore di Panigaglia<br />
Stoccaggi<br />
Come arriva il petrolio in Italia.<br />
La rete elettrica<br />
L’Italia e l’incentivazione delle fonti rinnovabili<br />
Il sistema italiano prevede una serie di incentivi nazionali per la produzione di energia elettrica da Fonti<br />
rinnovabili.<br />
Il fotovoltaico in Italia<br />
Cosa prevede il nuovo decreto del 19/02/07 in materia di incentivi per le energie rinnovabili e fotovoltaiche<br />
nello specifico.<br />
Come funziona il nuovo conto energia (2007)<br />
Cosa prevede il nuovo conto energia (2007)<br />
Tariffe incentivanti del nuovo conto energia (2007)<br />
Abbiamo raccolto una serie di informazioni relative agli impianti fotovoltaici domestici.<br />
Impianti solari termici<br />
7
Progetto archimede: presto il primo impianto<br />
Impianti eolici in Italia<br />
Il minieolico<br />
Impianti che utilizzano biomassa<br />
Promozione dell’uso dei biocarburanti<br />
“Nuovo piano sull’efficienza energetica, sulle rinnovabili e sull’eco industria”<br />
La certificazione energetica degli edifici<br />
Esperienze italiane<br />
La Puglia e la questione dell’energia<br />
Produzione di fonti primarie<br />
Produzione locale di energia elettrica<br />
L’evoluzione dei consumi di energia<br />
Politica regionale sul tema dell’energia<br />
Analisi della domanda di energia<br />
Il settore produttivo.<br />
Il settore dei trasporti<br />
Analisi dell’offerta di energia<br />
Gas naturale<br />
Fonti fossili<br />
La fonte solare fotovoltaica<br />
La fonte solare termica<br />
Fonte eolica<br />
Fonti da biomassa<br />
Le emissioni di anidride carbonica<br />
Incentivi per la regione Puglia<br />
La provincia di <strong>Taranto</strong> e la questione energetica<br />
Consumi di energia<br />
Consorzio <strong>Taranto</strong> energia (www.tarantoenergia.it)<br />
Convegno 19 maggio 2006<br />
Keinstar associates s.r.l.<br />
La multinazionale Vestas Italia s.r.l.<br />
Incontro con la comunità montana della murgia tarantina<br />
Il rigassificatore a <strong>Taranto</strong> – analisi sociale-<br />
La posizione della Gas Natural<br />
Conclusioni<br />
8
INTRODUZIONE<br />
La <strong>Scuola</strong> <strong>Edile</strong> di <strong>Taranto</strong> svolge da ormai circa 10 anni attività formativa rivolta a<br />
giovani e adulti in cerca di prima occupazione, o ex occupati e in mobilità e/o personale<br />
già occupato laureati e non.<br />
Una azione che spesso si avvale dell’ausilio e della collaborazione di Enti locali ed<br />
organismi imprenditoriali e sindacali, Università e mondo scolastico.<br />
In questo <strong>Corso</strong> per Tecnici Ambientali finanziato dalla Regione nell’ambito dei POR<br />
Puglia 2000-2006 misura 1.10, la formazione è legata ad una figura professionale<br />
spendibile nel mercato del lavoro, in quanto direttamente proporzionale all’aumento<br />
dell’attenzione sulle tematiche ambientali.<br />
Con il necessario approccio interdisciplinare che richiede la materia ecologica, ogni<br />
modulo formativo tende a costruire quel mix di competenze che necessitano nel mercato<br />
del lavoro.<br />
Con la ricerca sul campo, fase intermedia del percorso formativo, gli allievi hanno<br />
potuto dimostrare e sperimentare, le nozioni apprese in aula, attraverso l’analisi del<br />
contesto territoriale.<br />
Si sono potuti cimentare nella somministrazione di interviste ad interlocutori<br />
privilegiati che attraverso i loro interventi hanno ulteriormente arricchito lo studio.<br />
Con l’ausilio di un docente i corsisti hanno simulato un percorso di analisi e, in un<br />
periodo di tempo relativamente breve, hanno realizzato una ricerca che per i suoi<br />
contenuti e per gli spunti che offre può essere sicuramente divulgabile e fruibile.<br />
In questo lavoro che viene presentato nelle pagine che seguono, si può tranquillamente<br />
affermare che l’obiettivo formativo è stato ampiamente realizzato.<br />
ENTE SCUOLA EDILE TARANTO<br />
9
PREMESSA<br />
di Roberto De Giorgi ( docente)<br />
La struttura della ricerca, condotta dagli allievi, ripercorre sommariamente i titoli<br />
d’una valutazione ambientale strategica, prevista dalle normative comunitarie ed inserita,<br />
ma non attuata ancora, nel recente codice ambientale, di cui occupa la parte seconda.<br />
<strong>Taranto</strong> e il suo ambiente, una declinazione semplice su un aspetto complicato. Tema che<br />
sovente non riesce ad andare oltre la nota a pie’ di pagina d’una cronaca locale sbiadita<br />
ed appiattita sui disastri sociali, la “nera” in copertina e la politica dei “Palazzi”.<br />
Gli allievi hanno sviscerato, nei gruppi tematici, tutti i possibili risvolti problematici<br />
che una comunità urbana deve affrontare per essere in linea con un tasso di civiltà<br />
moderno, partendo dal fabbisogno di energia, sul quale s’accapigliano tutti, da chi dice che<br />
siamo autosufficienti a chi vuole creare il polo energetico, mentre restano al palo le fonti<br />
alternative; dalle questione che riguardano il territorio ed i<br />
suoi tesori ambientali e<br />
paesaggistici residui che vanno tutelati, le cosiddette: “invarianti” o punti sensibili che<br />
soffocano a causa degli inquinanti, dell’incuria e per l’aggressione del cemento e asfalto e<br />
la calata dei rifiuti speciali.<br />
Poi c’è il tema sulla struttura urbana, solo in parte risolta dal punto di vista viario<br />
dalle arterie della circonvallazione e che viene asfissiata dallo smog delle emissioni degli<br />
impianti a rischio e del traffico veicolare. Allora mobilità urbana significa ripensare al modo<br />
in cui ci si sposta, quanto fa il sistema pubblico e come orientare il privato a<br />
comportamenti eco-sostenibili.<br />
C’è il mondo dei rifiuti solidi urbani che ostenta le micro-discariche ad ogni angolo<br />
che offendono la vista e l’olfatto. Ma qual è il biglietto da visita di questa città<br />
Nella ricerca ci sono dati, schede, analisi del settore seguendo il filo logico della ricerca sul<br />
campo per implementare le conoscenze in campo ambientale.<br />
Il tutto con la necessaria autonomia dell’opera di ingegno in cui ciascun allievo nei<br />
gruppi ha redatto, cercato, analizzato, con il cipiglio dell’introspezione sul territorio per<br />
dare indicatori, offrire riflessioni, lanciare segnali.<br />
Un check up, una diagnosi rivolta a chi, nel ruolo che occupa, debba prevedere le<br />
adeguate terapie.<br />
10
REGIONE PUGLIA<br />
Assessorato Formazione Professionale<br />
ENTE SCUOLA EDILE TARANTO<br />
<strong>Corso</strong> di formazione<br />
“TECNICO DELL’AMBIENTE”<br />
LE INVARIANTI PAESAGGISTICHE<br />
Di :<br />
Crivaglia Fabiana<br />
Fanigliulo Marianna<br />
Setaro Fabio<br />
Talamo Alessandro<br />
11
1. Il concetto di paesaggio<br />
II concetto di paesaggio, nonostante l'impegno di uno stuolo sterminato di<br />
studiosi, è ancora lontano da un'interpretazione univoca. Infatti gli approcci tentati sono<br />
numerosi: dall'estetica alla geografia, dall'urbanistica alla botanica, dalla psicologia della<br />
percezione all'ecologia. Ciascun approccio ha dato luogo a diverse interpretazioni da cui<br />
discendono numerose definizioni, ciascuna delle quali ha come riferimento il proprio<br />
ambito disciplinare.<br />
Le modalità interpretative dipendono dal modo secondo cui l'osservatore si accosta allo<br />
studio del paesaggio. Un botanico sarà ovviamente portato ad interpretare il paesaggio<br />
come insieme di associazioni vegetali che danno luogo a complessi di vegetazione. Un<br />
geografo, ad esempio, tende a leggere il paesaggio come geosistema, ma anche come<br />
"interpretazione sociale della natura", processo tripolare che ha come protagonisti un<br />
osservatore, i meccanismi di percezione, un oggetto.<br />
E' indubbio, comunque, che il concetto di paesaggio è inscindibile dalla percezione visiva,<br />
cui va però accoppiata l'attività di elaborazione che la mente umana fa di ciò che<br />
percepisce. Eugenio Turri, fra i tanti che hanno sottolineato il ruolo dell'osservatore, nel<br />
rielaborare il significato dei segni percepiti, con una bellissima frase ha affermato che "il<br />
paesaggio senza l'uomo non esiste 1 ". Altrettanto interessante e l'affermazione di Denis<br />
Cosgrove secondo il quale "il paesaggio e un modo di vedere il mondo 2 ”.<br />
II paesaggio nasce quando l'uomo non "perlustra (più) con particolare attenzione la<br />
concretezza ambientale o la realtà della geografia umana….”, e, affrancato dalla fatica<br />
bruta per la sopravvivenza, è in grado di osservare l'ambiente che lo circonda in chiave<br />
estetica o poetica. Numerosi autori individuano nel Rinascimento l'epoca nella quale si fa<br />
largo per la prima volta nel mondo occidentale il concetto di paesaggio. In un primo<br />
momento esso appare inscindibilmente legato alla pittura per poi entrare trionfalmente<br />
anche nella prosa e nella poesia, come ci insegna Giacomo Leopardi con l'infinito,<br />
trasmettendoci magistralmente le emozioni che si possono provare davanti ad un<br />
paesaggio e facendoci riflettere sulla difficoltà di prescindere dall'apprezzamento estetico<br />
nella lettura e nell'interpretazione del paesaggio.<br />
1 E. Turri, 1974, Antropologia del paesaggio, Edizioni di Comunità, Milano.<br />
2 D. Cosgrove, , 1990, Realtà sociali e paesaggio.<br />
12
Volendo dare una definizione intuitiva si potrebbe dire che è l’immagine da noi percepita di<br />
un tratto della sua terrestre. E’ chiaro che parlare semplicemente di superficie è fin troppo<br />
riduttivo.<br />
Nel paesaggio è compreso in una dimensione spaziale completa, anche lo sviluppo<br />
verticale delle forme sensibili. Si sottintende quindi un volume, uno spessore, oltre che una<br />
dimensione orizzontale. Viene da sé che, osservando il paesaggio si può risalire ad un<br />
insieme concreto di forme e fenomeni che assumono la configurazione di segni,<br />
richiamando significati e funzioni.<br />
Si può anche parlare di “funzioni-segni, cioè segni di origine utilitaria e funzionale che<br />
diventano segni perché per il solo fatto che c’è società, ogni uso è convertito in segno di<br />
questo uso 3 ”.<br />
Il paesaggio si definisce quindi come “struttura di segni del territorio”. Pertanto non<br />
essendoci segno senza significato, questa affermazione permette l’analisi del paesaggio<br />
nelle sue componenti essenziali, cioè l’individuazione e la scomposizione dei segni e delle<br />
loro varie possibilità di configurazione e la ricerca di quelli ricorrenti.<br />
Il paesaggio dà la misura dell’antropizzazione in quanto riflesso del legame culturale di<br />
quella natura e dei suoi elementi. Diventa perciò un termine necessario per cercare l’uomo<br />
e comprendere la sua azione sul pianeta.<br />
Certamente il paesaggio può essere interpretato come "sistema di ecosistemi", ovvero<br />
come "sistema di unità spaziali ecologicamente diverse, fra loro interrelate”, oppure come<br />
manifestazione sensibile degli ecosistemi, o ancora come panorama, oppure come<br />
porzione di territorio che si abbraccia con lo sguardo; tuttavia il salto dallo sguardo che<br />
osserva le cose a fini utilitaristici al paesaggio avviene solo quando l'ambiente che ci<br />
circonda non rappresenta più solo le rocce e i minerali che si nascondono sotto, la legna e<br />
i frutti dei boschi, le caratteristiche ecosistemiche, le occasioni tattiche in guerra, ma viene<br />
osservato anche in chiave estetica e suscita sentimenti profondi.<br />
Osservare il paesaggio con il sentimento travalica l'osservazione utilitaristica o scientifica,<br />
ma non per questo ha minore dignità.<br />
L'osservazione dell'ambiente che ci circonda, sfrondata dal bisogno di conoscenza, entra<br />
nella sfera dell'estetica; ma proprio quando l'ambiente che ci circonda è osservato alla<br />
ricerca dell'equilibrio e dell'armonia fra le componenti, o dei contrasti cromatici, è allora<br />
che esso diventa paesaggio.<br />
3 R. Barthes, L’impero dei segni, 1970.<br />
13
2. Il paesaggio istituzionale<br />
2.1. Evoluzione legislativa<br />
Il concetto di paesaggio è stato affrontato anche dal punto di vista istituzionale:<br />
l’attenzione è evidentemente focalizzata su processi di scambio culturale che sono<br />
avvenuti nel tempo tra prassi giuridiche e discipline urbanistica.<br />
L’evoluzione del percorso normativo porta a riconoscere il tentativo di comporre un<br />
articolazione degli strumenti di pianificazione del paesaggio su più livelli,in grado di<br />
superare forme di azione sul paesaggio contraddistinte dai piani settoriali per ambiti di<br />
eccezione verso una maggiore integrazione con gli strumenti urbanistici ordinari.<br />
La tutela del paesaggio e del patrimonio artistico e storico della Nazione è rimasta per<br />
lungo tempo affidata ai seguenti fondamentali testi legislativi:<br />
- la legge n. 1497 del 26 giugno 1939, sulla protezione delle bellezze naturali e<br />
panoramiche;<br />
- la legge n. 1089 dell’1 giugno 1939, sulla protezione delle cose di interesse artistico e<br />
storico (in esse compresi i beni archeologici);<br />
- il R.D. n. 1357 del 3 giugno 1940, concernente il regolamento per l'applicazione della<br />
legge n. 1497/1939;<br />
- gli articoli 733 e 734 del codice penale;<br />
- la legge n. 382 del 22 luglio 1975 e le norme delegate di cui al D.P.R. n. 616 del 1977.<br />
La legge 1497/1939 sulla "Protezione delle bellezze naturali" prevede due categorie di<br />
bellezze naturali: le bellezze individue e quelle d'insieme. Per entrambe la tutela avviene<br />
con l'imposizione di un vincolo, detto panoramico o paesistico, che ha come scopo il<br />
mantenimento della consistenza e della conformazione delle cose ad esso soggette per<br />
tutti quegli aspetti che concorrono a conferire la qualità di bellezza naturale. La principale<br />
e tipica manifestazione di tale vincolo è il divieto.<br />
Questa condizione di relativa immodificabilità delle cose e dei luoghi si atteggia in modo<br />
diverso a seconda che operi su bellezze individue o d'insieme:<br />
- per le prime il regime di conservazione è non dissimile da quello proprio delle cose<br />
di interesse storico-artistico;<br />
- per le seconde il regime di tutela assume come riferimento una dimensione<br />
spaziale ed ambientale, risolvendosi in attività amministrative che si riconducono,<br />
14
nei loro aspetti più rilevanti, ad un vero e proprio governo del territorio. E' questo<br />
aspetto che porterà in seguito alla interferenza del regime amministrativo delle<br />
bellezze d'insieme con la regolamentazione urbanistica e ai conseguenti problemi di<br />
coordinamento tra l'una e l'altra disciplina.<br />
Per pervenire ad una migliore definizione preventiva delle entità dei limiti che la<br />
conservazione della bellezza naturale richiede di imporre alla utilizzazione edificatoria dei<br />
terreni e alle altre modificazioni dei luoghi, la legge appresta uno strumento peculiare per<br />
le bellezze d'insieme, che è la redazione del piano paesistico. La legge 1497/1939<br />
conferisce al Ministro competente la facoltà di disporre un piano territoriale paesistico con<br />
lo scopo di impedire che le aree delle località dichiarate "bellezze naturali d’insieme" siano<br />
utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica. Il piano può essere adottato<br />
contestualmente o successivamente alla approvazione dell'elenco delle bellezze vincolate<br />
ed è caratterizzato dall'essere facoltativo. Il contenuto prescrittivo del piano è precisato dal<br />
regolamento di attuazione delta legge, che gli attribuisce il compito di stabilire:<br />
- le zone di rispetto;<br />
- il rapporto fra aree libere e aree fabbricabili in ciascuna delle diverse zone della<br />
località;<br />
- le norme per i diversi tipi di costruzione;<br />
- la distribuzione e il vario allineamento dei fabbricati;<br />
- le istruzioni per la scelta e la varia distribuzione della flora.<br />
Il piano paesistico procede quindi secondo il metodo della zonizzazione, individuando le<br />
varie parti in ragione della loro importanza ai fini della conservazione dei tratti caratteristici<br />
della bellezza d'insieme e graduando per ciascuna di esse le limitazioni da rispettare nella<br />
edificazione delle aree e nelle altre attività di trasformazione del territorio. II contenuto del<br />
piano così delineato presenta degli evidenti punti di contatto, quanto a tipologia di<br />
prescrizioni, con il regolamento edilizio ed il programma di fabbricazione previsti dalla<br />
legge 1150/1942 (urbanistica). La legge comunque escludeva che il piano paesistico<br />
potesse assolvere a funzioni propriamente urbanistiche, almeno per quanto attiene al<br />
momento dinamico della utilizzazione del territorio: le indicazioni programmatiche relative<br />
alla destinazione delle aree e alle direttrici di espansione urbana restavano materia<br />
esclusiva del piano regolatore generale e del programma di fabbricazione. AI piano<br />
paesistico è anzi demandata una funzione non già di sviluppo, ma di contenimento di<br />
questo entro quelle condizioni che assicurano la compatibilità con la conservazione della<br />
bellezza tutelata.<br />
15
A dispetto dell'efficacia che gli strumenti fondamentali introdotti dalla legge, - il vincolo e il<br />
piano territoriale paesistico - sembravano assicurare riguardo alla gestione della<br />
protezione delle bellezze naturali, l'esperienza operativa di redazione dei piani territoriali<br />
paesistici si è rivelata, invece fallimentare. Innanzitutto per il numero veramente limitato di<br />
piani che hanno acquisito piena efficacia giuridica e per le porzioni ridotte di territorio<br />
interessate dal piano; in secondo luogo per le mancanze di carattere propriamente<br />
progettuale. Tra queste si osservano:<br />
- la sostanziale incoerenza tra la fase di indagine (talora addirittura assente) ed il<br />
momento progettuale;<br />
- l'interesse maggiormente indirizzato alla regolamentazione del nuovo intervento<br />
edilizio, piuttosto che alla gestione del belle paesaggio nel suo complesso;<br />
- un lasco regime vincolistico, talora clamorosamente migliorato dalla strumentazione<br />
urbanistica comunale.<br />
Il difetto più evidente dell'esperienza pianificatoria in materia di paesaggio è comunque<br />
consistito nel fatto che i diversi piani, sia per l'eterogeneità delle situazioni trattate e sia per<br />
l'assoluta difformità dei relativi contenuti progettuali non hanno favorito il definirsi di una<br />
reale cultura del paesaggio, né il delinearsi di una tecnica di pianificazione in materia,<br />
avendo avuto ognuno di essi una storia assolutamente autonoma.<br />
Va comunque rilevato che se nei contenuti della legge 1497 è appariscente la concezione<br />
estetizzante o vedutistica dei valori meritevoli di tutela, non mancano altre importanti<br />
indicazioni che costituiscono spie rivelatrici di un’originaria attenzione anche a valori più<br />
complessivi. Si veda ad esempio la preoccupazione di conciliare l'interesse privato con la<br />
tutela.<br />
In sintesi si può osservare che nella gestione della legge dal 1940 a oggi, ha assunto una<br />
posizione predominante il concetto di bellezza naturale e panoramica, posizione che si è<br />
tradotta in motivazioni che nel paesaggio hanno esaltato l'estetica generale, la non<br />
comune bellezza, i complessi di notevole interesse estetico, il quadro naturale di non<br />
comune bellezza panoramica. La mancanza di una tempestiva individuazione dei beni da<br />
tutelare ha portato quasi sempre a fronteggiare trasformazioni in atto o temute, riducendo<br />
così la tutela a una semplice considerazione soggettiva di elementi estetici, indubbiamente<br />
importanti, ma quasi sempre insufficienti e anacronistici di fronte alle rapide e pesanti<br />
trasformazioni delle nuove tecnologie costruttive e distruttive.<br />
La validità, almeno in via teorica, del piano paesistico, in grado di regolamentare in<br />
maniera sistematica un complesso di vincoli, nonché l'influenza dei risultati della<br />
16
Commissione Franceschini - commissione parlamentare istituita con il compito di indagare<br />
la tutela e la valorizzazione delle "cose" di interesse storico, archeologico, artistico e del<br />
paesaggio - hanno messo in evidenza la necessità di fare confluire la tutela e la<br />
valorizzazione dei beni ambientali verso interventi territoriali pianificati e il più possibile<br />
integrati con lo strumento urbanistico del piano regolatore. E’ in conseguenza di ciò che il<br />
legislatore attribuisce la relativa competenza alle Regioni con il D.P.R. n.8 del 1972. Tale<br />
decreto trasferisce alle Regioni anche le attribuzioni statali concernenti la redazione ed<br />
approvazione dei piani territoriali paesistici proprio in considerazione della stretta<br />
connessione tra i detti piani e l'attività urbanistica, attribuita in toto alle Regioni.<br />
L'attribuzione è però coincisa con il progressivo dilatarsi del concetto di urbanistica,<br />
identificata con il governo del territorio e di ogni attività che su di esso si realizza, e ha<br />
fatto si che anche le Regioni abbiano totalmente omesso di servirsi di tale mezzo di tutela,<br />
privilegiando esclusivamente la utilizzazione dei propri poteri urbanistici in funzione di<br />
protezione ambientale di beni, zone e località eventualmente anche non vincolati in base<br />
alla legge sulle bellezze naturali.<br />
Tale normativa venne profondamente innovata dalla legge 8 agosto 1985, n. 431 (legge<br />
Galasso), che introdusse disposizioni di significativo rilievo per la tutela delle zone di<br />
particolare interesse ambientale. Una sequenza operativa classica può essere individuata<br />
negli strumenti di pianificazione pertinenti ai diversi livelli amministrativi fissati dalla legge<br />
142 del ‘90 ognuno con specifiche competenze e finalità fra di loro integrate interagenti<br />
non in maniera gerarchica.<br />
Per quanto riguarda il livello regionale ”il piano paesaggistico regionale” individua le<br />
strutture fondamentali del paesaggio e ne vanta le diverse implicazioni in relazione agli<br />
altri settori ambientali; sulla base di queste valutazioni definisce i criteri generali della<br />
tutela e della valorizzazione articolandoli per ambiti di intervento.<br />
A livello provinciale il “piano territoriale provinciale” verifica approfondisce ed<br />
eventualmente modifica le indicazioni/prescrizioni dei piani regionali sulla base delle<br />
specificità locali e della conoscenza circostanziata del territorio e dell’ambiente,<br />
traducendo quindi le direttive previste per le unità paesistiche in norme (prescrizioni e<br />
indirizzi) a contenuto immediatamente cogente o in progetti integrati di fattibilità collegati<br />
agli interventi previsti per altri settori.<br />
A livello comunale il “Piano Regolatore Generale”(direttamente o attraverso i suoi<br />
strumenti di attuazione: programma pluriennale di attuazione e piani particolareggiati)<br />
detta le norme vincolanti per l’uso del suolo avendo particolare riguardo ai problemi<br />
17
inerenti il paesaggio e specificando in piani particolareggiati e norme di attuazione gli<br />
interventi progettuali individuati di massima nelle scale superiori. E’ generalmente a questo<br />
livello che si verifica la compatibilità dei progetti ad elevato rischio ambientale o gli<br />
interventi negli ambiti territoriali ritenuti maggiormente sensibili alle trasformazioni.<br />
Con il D.Lgs. 29 Ottobre 1999, n. 490 è stato emanato il testo unico delle disposizioni<br />
legislative in materia di beni culturali e ambientali, che ha abrogato le leggi nn. 1089 e<br />
1497 del 1939 e la legge n. 431/1985 (ad eccezione degli artt. 1ter e 1quinquies).<br />
Il D.lgs. n. 490/1999 se da un lato ha avuto l’innegabile effetto positivo di razionalizzare il<br />
corpus normativo di settore in un unico testo, dall’altro non ha apportato nessuna modifica<br />
ai pilastri della normativa recependo pedissequamente la legge del 1939 e quella del<br />
1985, nota come “Galasso”.<br />
Nel valutare l’esigenza e l’opportunità di un nuovo intervento del legislatore in materia, tale<br />
considerazione sembra però di secondo ordine, dovendosi rintracciare la ratio non tanto<br />
nella non innovatività del D.Lgs. n. 490/1999 ma piuttosto dalle profonde e sostanziali<br />
modifiche al tessuto costituzionale che richiedevano un adeguamento della normativa di<br />
settore al mutato scenario.<br />
Si giunge quindi alla legge n.137/2002 "Delega per la riforma dell'organizzazione del<br />
Governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici", che ha<br />
impegnato il Governo ad adottare un decreto legislativo per il riassetto e la codificazione<br />
delle disposizioni legislative in materia di beni culturali ed ambientali e al relativo D.Lgs. n.<br />
42 del 2004 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” .<br />
Il 1 maggio del 2004 è entrato in vigore il nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio<br />
che abroga integralmente il Testo unico sui beni culturali ed i beni ambientali del 1999,<br />
salvandone alcuni effetti nella fase transitoria.<br />
In via preliminare occorre individuare la ratio di un nuovo testo unico a pochi anni di<br />
distanza da un precedente intervento normativo in materia e rintracciabile in 2 motivazioni.<br />
La prima, e decisamente la più rilevante, è che la legge costituzionale n. 3 del 2001, com’è<br />
noto, ha modificato il titolo V della parte II della Costituzione inerente la forma di Stato, in<br />
special modo le variazioni apportate agli art. 117 e 118 della Costituzione, il primo<br />
dedicato alla ripartizione di competenza legislativa tra Stato e Regioni a statuto ordinario, il<br />
secondo alla distribuzioni di funzioni amministrative tra centro e periferia. Quindi il nuovo<br />
codice riconsidera la normativa sul paesaggio alla luce dei nuovi riferimenti della<br />
Costituzione e sembrano di tutta evidenza l’aumento dei poteri sia delle regioni, in merito<br />
18
ai nuovi piani paesaggistici, sia degli enti locali, con il nuovo iter per il rilascio<br />
dell’autorizzazione paesaggistica.<br />
A livello comunitario le strategie perseguite, finalizzate alla tutela del paesaggio, rientrano<br />
nell’ambito dello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (S.S.S.E.), un documento<br />
redatto dai Ministri dell’assetto del territorio dei 15 vecchi Stati dell’Unione europea, quale<br />
quadro di riferimento per la politica di sviluppo territoriale dell’UE in una prospettiva di<br />
sviluppo sostenibile ed equilibrato.<br />
L’obiettivo principale dello SSSE è il rafforzamento della coesione economica e sociale<br />
dell’UE non solo in virtù di uno sviluppo economico rispettoso dell’ambiente ma anche<br />
grazie a uno sviluppo spaziale equilibrato.<br />
Lo SSSE è un documento non vincolante che funge da quadro politico per migliorare la<br />
cooperazione da un lato tra le politiche settoriali comunitarie con incidenza sulla struttura<br />
territoriale e dall’altro tra gli Stati membri, le loro regioni e le loro città. Nel documento,<br />
viene affermata l'importanza del patrimonio culturale europeo, dai paesaggi rurali ai centri<br />
storici delle città, in quanto espressione della sua identità e appartenenza al patrimonio<br />
mondiale. Le misure di protezione rigorose, quali previste da programmi di tutela di siti e<br />
monumenti classificati, riusciranno a coprire sono una parte limitata di questo patrimonio.<br />
E’ quindi necessaria la gestione creativa del patrimonio stesso in grado di invertire la<br />
tendenza all'abbandono, al degrado e alla distruzione constatabile in numerose regioni.<br />
Nel documento viene anche evidenziata l'importanza del patrimonio culturale e naturale<br />
inteso come risorsa economica. La qualità di vita nelle città, nelle loro periferie e nelle aree<br />
rurali e sempre più determinante nelle decisioni di installare nuove attività economiche. Le<br />
ricchezze naturali e culturali sono anche una premessa essenziale dello sviluppo<br />
dell'industria turistica.<br />
Dello sviluppo delle risorse naturali si fanno carico, a livello comunitario, la gestione<br />
ambienti interessati (aria, acqua, suolo) e la tutela mirata del territorio (aree protette, zone<br />
sensibili). La realizzazione della rete ecologica “Natura 2000”, obiettivo prefissato della<br />
direttiva Fauna, Flora, Habitat e delle direttive ambientali, rappresenta un giusto approccio<br />
che va armonizzato tempestivamente con la politica di sviluppo regionale. Misure di tutela<br />
concertate relative a territori contemplati dalla rete vanno inserite nel quadro di schemi<br />
concordati di sviluppo territoriale. La rete ecologica e Natura 2000 sono in grado di<br />
garantire e sviluppare anche una rete di biotopi degni di tutela. Particolare attenzione è<br />
dedicata al collegamento tra le aree protette che favoriscono i movimenti degli scambi<br />
genetici della fauna e della flora selvatiche in una logica di protezione del territorio.<br />
19
L'orientamento dell'Unione europea consiste nel non penalizzare, né frenare lo sviluppo<br />
economico attraverso la cura del paesaggio, e lo traduce attraverso la conservazione e la<br />
gestione creativa dei paesaggi di interesse culturale e storico, estetico ed ecologico,<br />
attraverso una strategia integrata che rimanga aperta alle nuove evoluzioni e contribuisca<br />
alla creazione o al recupero dei paesaggi attraenti. Infatti accade che l'assenza stessa<br />
dell'attività umana provochi il degrado di vasti paesaggi, in particolare laddove<br />
scompaiono i metodi tradizionali di coltura. L'abbandono dei terreni nelle zone a rischio, ad<br />
esempio in montagna o nelle zone costiere, può avere serie conseguenze, come ad<br />
esempio un aumento dell'erosione del suolo. La promozione di metodi di coltura<br />
tradizionali, dalla valorizzazione turistica e dei rimboschimenti può rappresentare,<br />
potenziali alternative al completo abbandono.<br />
Tutto questo viene perseguito attraverso opzioni politiche quali:<br />
- la continuazione dello sviluppo di reti ecologiche europea come proposto nel<br />
quadro di Natura 2000, che colleghino i siti naturali protetti di interesse regionale,<br />
nazionale, transnazionale e comunitario;<br />
- l'impostazione delle politiche settoriali(agricola, regionale, dei trasporti, della pesca,<br />
ecc…) nel rispetto della conservazione della diversità biologica, come previsto dalla<br />
strategia comunitaria in materia di biodiversità;<br />
- lo sviluppo di strategie territoriali integrate per i siti protetti, per le zone<br />
ecologicamente sensibili e le zone ad elevata biodiversità, come le coste, le<br />
montagne, le zone umide che concilino la conservazione e lo sviluppo sulla base di<br />
adeguate prove dell'impatto ambientale e territoriale e che coinvolgano le parti<br />
interessate.<br />
- L'impiego più consistente degli strumenti economici come mezzi per valorizzare<br />
l'importanza ecologica delle zone protette e ecologicamente sensibili;<br />
- la promozione di infrastrutture urbane a basso dispendio di energia e a traffico<br />
contenuto, pianificazione integrata delle risorse ed utilizzo più intensivo delle<br />
energie rinnovabili, col fine di ridurre le emissioni di CO 2 ;<br />
- la protezione del suolo come fonte di vita per l'uomo, gli animali e le piante,<br />
riducendo erosioni, distruzioni del suolo e un utilizzo eccessivo delle aree verdi.<br />
- Lo sviluppo di strategie locali, regionali e trasnazionali di gestione dei rischi nelle<br />
zone esposte alle calamità naturali.<br />
20
Queste azioni rientrano nell'obiettivo generale delle politiche dell'assetto territoriale<br />
dell'Unione, ovvero quello di conseguire uno sviluppo equilibrato e duraturo del territorio<br />
attraverso la coesione socio-economica, la salvaguardia e la gestione delle risorse naturali<br />
e del patrimonio culturale nonché una competitività più equilibrata del territorio europeo.<br />
2.2. La legislazione della Regione Puglia sulla tutela del paesaggio<br />
La Regione Puglia è dotata di Piano Paesaggistico (approvato dalla Giunta regionale con<br />
deliberazione n. 1748 del 15 dicembre 2000) ed ha in corso di predisposizione gli<br />
adempimenti formali (stipula Accordo con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, art.<br />
156 comma 3 del Codice, successivo incarico per la verifica e adeguamento del nuovo<br />
Codice dei Beni Culturali) per operare gli adeguamenti del Piano al D.Lgs. 42/2004.<br />
L'attività di adeguamento del Piano Paesaggistico è condizionata dagli ulteriori<br />
adempimenti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di cui all'art. 156, comma 2 del<br />
Codice.<br />
il PUTT/P della Regione Puglia si configura come Piano Urbanistico Territoriale con<br />
specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali così come disposto dal 1°<br />
comma dell'art. 149 del D.lvo n. 490/99 e risponde ai requisiti di contenuto di cui alle<br />
lettere C) e D) dell'art.4 della L.R. n. 56/80 nonché ai requisiti di procedura di cui all'art. 8<br />
della stessa legge regionale innanzi citata già finalizzata alla tutela ed uso del territorio".<br />
E' opportuno evidenziare che il PUTT/P della Regione Puglia si configura non solo come<br />
piano meramente paesaggistico ma anche come piano urbanistico territoriale rappresenta<br />
cioè un quadro organico di riferimento per la pianificazione generale e/o di settore del<br />
territorio regionale ad ogni scala così come disposto dalla'art. 7 della L.R. n. 56/80.<br />
Il PUTT/P della Regione Puglia costituisce in sintesi un momento ordinatore per tutta la<br />
pianificazione regionale sia di pari livello sia sott'ordinata costituendo pertanto anche un<br />
punto di partenza per una rivisitazione complessiva dell'intera pianificazione territoriale<br />
regionale.<br />
21
3. L’analisi del paesaggio<br />
3.1. Il paesaggio e la sua percezione<br />
Se l'interpretazione estetica del paesaggio riveste un ruolo almeno pari a quella<br />
geografico-naturalistica, vanno allora individuate attentamente anche le modalità di lettura<br />
e di valutazione in chiave estetico-percettiva utili alle attività di pianificazione e di<br />
progettazione del paesaggio.<br />
Nonostante che le prime azioni di tutela del paesaggio siano state intraprese in chiave<br />
estetica, non molto è stato fatto per misurare il valore del bene tutelato, non tanto per<br />
svincolarsi dalla soggettività interpretativa, spesso influenzata dalle correnti culturali<br />
dominanti al momento, quanto per evidenziare il processo logico che ha portato ad un<br />
determinato giudizio.<br />
E' indubbio che l'apprezzamento del paesaggio è legato in primo luogo alla percezione da<br />
parte dell'osservatore. Tuttavia stenta a farsi largo il ricorso a metodi di indagine che<br />
tengano conto della complessità dei fenomeni percettivi, estendendo a tutti i sensi le<br />
modalità di interpretazione del paesaggio.<br />
Poiché la vista rappresenta per gli esseri umani il principale senso coinvolto nei processi di<br />
conoscenza, ma e anche il senso che apparentemente ci da garanzia di oggettività<br />
allontanandoci dall'oggetto osservato, è su di essa che si sono concentrati gli sforzi di<br />
quanti hanno cercato di comprendere il ruolo della percezione visiva nei processi di<br />
pianificazione.<br />
La visibilità è il principale fattore che viene preso in considerazione negli studi sul<br />
paesaggio. La possibilità di osservare vaste estensioni di territorio, è uno dei principali<br />
fattori ricercati nell'analisi paesistica. Questa possibilità è stata determinante soprattutto in<br />
passato, quando l'esistenza degli esseri umani era molto più radicata al proprio luogo di<br />
nascita. L'intera vita di un uomo poteva svolgersi all'interno di un ambito territoriale di non<br />
più di 20/30 chilometri di raggio; per cui “l'uomo era al tempo stesso attore e spettatore”.<br />
Come attore stava "dentro" il paesaggio (insider), contribuendo consapevolmente o<br />
inconsapevolmente a costruirlo. Come spettatore, si poneva al di fuori (outsider),<br />
astraendosene, quasi a contemplare gli effetti e il senso delle proprie azioni, passando da<br />
un'interpretazione soggettiva ad una oggettiva.<br />
22
Oggi il rapporto diretto con il proprio scenario di vita non esiste più; è venuta meno<br />
l'identificazione fra attore e spettatore. La bellezza dei paesaggi umani del passato stava<br />
anche nell'identificazione che si manifestava con la società che li produceva, con il loro<br />
significato simbolico. Oggi anche l'interpretazione soggettiva del paesaggio quale insider è<br />
diventata sempre pia difficile. La velocità degli spostamenti, il bombardamento di immagini<br />
cui siamo sottoposti da parte di numerosi mezzi di comunicazione di massa rendono di<br />
fatto impossibile la lettura del paesaggio in quanto protagonisti della sua costruzione.<br />
Anche in ciò sta la difficoltà di produrre nuovi paesaggi umani all'altezza del passato.<br />
Siamo vittime di un estraniamento dai luoghi che, come dice Roberto Gambino, rende<br />
difficile leggere i "rapporti tra i processi sociali che producono il paesaggio e l'evoluzione<br />
delle idee di paesaggio".<br />
La riconoscibilità rappresenta, dunque, uno dei principali requisiti del paesaggio.<br />
Riconoscibilità significa capacità di orientarsi e di identificarsi nel paesaggio.<br />
La capacità di orientamento è garantita in primo luogo da due fattori:<br />
- la posizione dell'osservatore;<br />
- la conformazione del suolo.<br />
La posizione sopraelevata dà la possibilità di abbracciare con lo sguardo una porzione di<br />
territorio più vasta e di cogliere in maniera appropriata i rapporti fra i diversi elementi che<br />
compongono il paesaggio osservato. La morfologia del suolo, se abbastanza articolata<br />
consente di creare una rete di punti di riferimento che facilitano l'orientamento.<br />
Tuttavia la capacità di orientamento sostenuta dalla ricchezza di elementi e dalla posizione<br />
sopraelevata dell'osservatore non garantisce la capacità di identificazione. Questa e il<br />
prodotto di una quotidiana consuetudine con il paesaggio osservato in qualità di<br />
protagonista della sua costruzione. Nel paesaggio in particolare vengono appalesati i modi<br />
che una società ha fatto suoi e ha istituzionalizzato nel suo rapportarsi alla natura. Ma oggi<br />
questa capacità di rapportarsi al paesaggio contemporaneamente in qualità di attore e di<br />
spettatore è quasi impossibile in quanto mancano i codici che consentono di leggere<br />
adeguatamente i significati di un paesaggio.<br />
Le società contemporanee, a causa della grande velocità di trasformazione che le<br />
caratterizza, presentano grandi difficoltà nel riflettere adeguatamente sulla propria<br />
autorappresentazione attraverso il paesaggio.<br />
Se la riconquista della capacità di "leggere" il paesaggio da parte di tutti gli individui<br />
rappresenta un obiettivo fondamentale per ricostruire un rapporto di identità fra società,<br />
individui e paesaggio, a maggior ragione ciò deve costituire lo scopo primario di quanti<br />
23
operano, da pianificatori o progettisti, sul paesaggio. Ciò sia che l'obiettivo primario sia<br />
l'intervento sul paesaggio, sia che si operi in vista di altri obiettivi che però coinvolgono<br />
direttamente gli aspetti paesistici. E' questo il caso, per esempio, delle trasformazioni<br />
territoriali indotte da grandi progetti infrastrutturali o da nuovi insediamenti residenziali e<br />
produttivi.<br />
3.2. I metodi e le tecniche di lettura del paesaggio<br />
I metodi di lettura del paesaggio sono molteplici così come le chiavi interpretative, la cui<br />
fortuna conosce alti e bassi. Attualmente, dopo un lungo primato detenuto dall'approccio<br />
estetico, rivolto principalmente agli aspetti panoramici legati a fattori storico-culturali, da<br />
circa quindici anni si registra in Italia una forte attenzione all'approccio geograficonaturalistico.<br />
L'ecologia del paesaggio sembra essere divenuta oggi la disciplina di<br />
riferimento per affrontare adeguatamente il tema della pianificazione e della progettazione<br />
del paesaggio.<br />
In Italia i principali sostenitori di questo approccio ritengono che il paesaggio vada<br />
interpretato e definito "....in maniera scientifica e quindi empirica, razionale e positiva...", e<br />
che pertanto sia necessario rifarsi all'ecologia, intendendola quale "sistema di unità<br />
spaziali ecologicamente diverse, fra loco interrelate, cioè come sistema di ecosistemi”.<br />
Secondo questo approccio "l'accezione scientifica (o ecologica) e quella fenomenica (o<br />
estetico-percettiva)" sono complementari, ma la seconda è valida solo in quanto forma di<br />
interpretazione integrativa.<br />
Si cerca di coniugare sia il punto di vista dell'insider (colui che vive dentro il paesaggio e<br />
che non riesce a collocarsi al di fuori astraendosi dalla soggettività) con quello dell'outsider<br />
che lo osserva da spettatore esterno e per questo è capace di oggettivare ciò che osserva<br />
Come lo studio del paesaggio dal punto di vista geografico-naturalistico può favorire<br />
l'attuazione di interventi (siano essi di trasformazione, conservazione o recupero) tali da<br />
non alterare o da ripristinare gli equilibri ecologici, così lo studio del paesaggio dal punto di<br />
vista estetico-percettivo può aiutare a preservare i significati simbolici di un determinato<br />
paesaggio o ad infondergliene altri, conservando o incrementando l'intensità e la qualità<br />
dei messaggi inviati all'osservatore; in altre parole, può aiutare a conservare l'identità fra<br />
luoghi e società in essi insediate (il punto di vista dell'insider) o a far leggere agevolmente<br />
il senso dei luoghi all'osservatore esterno (il punto di vista dell'outsider).<br />
24
Riconoscibilità e peculiarità, possono essere parametri da prendere in considerazione per<br />
suggerire determinati livelli di compatibilità e corrispondenti "indirizzi" utili a guidare le<br />
azioni di tutela orientata alla conservazione oppure le eventuali attività di trasformazione<br />
che costituiscono uno degli sbocchi degli studi sul paesaggio.<br />
La restituzione dell'identità di un luogo che venga slegata dalla sensibilità dell’osservatore<br />
può essere condotta attraverso l'individuazione dell'immagine pubblica come<br />
sovrapposizione di molte immagini individuali. Ciò comporta il ricorso alle interviste, usate<br />
quale strumento di confronto con le indagini svolte sul Campo dagli esperti.<br />
Lo strumento delle interviste è usato spesso, anche all'interno di metodi strutturati, per<br />
confrontare comparativamente il gradimento del pubblico nei confronti di diversi tipi di<br />
paesaggio.<br />
II paesaggio trasmette anche un messaggio estetico, il cui valore assoluto o relativo, come<br />
abbiamo visto, è di difficile lettura; ma non è altrettanto difficile la descrizione dei fattori<br />
visivi su cui si basa il messaggio estetico.<br />
3.3. Percezione statica e percezione dinamica<br />
Oggi l'osservazione del paesaggio avviene prevalentemente in movimento. Nel passato la<br />
lentezza degli spostamenti sul territorio era tale da far quasi coincidere percezione statica<br />
e percezione dinamica. Il viandante aveva tutto il tempo di osservare attentamente il<br />
paesaggio circostante, di analizzarne le singole componenti, di individuarne le complesse<br />
relazioni e di soffermarsi su quelle che riteneva maggiormente meritevoli di attenzione. Il<br />
punto panoramico cosi come noi oggi lo intendiamo, vale a dire un'area attrezzata a<br />
belvedere, segnalata e riportata sulle carte turistiche, era un elemento pressoché<br />
sconosciuto. I punti di osservazione strutturati erano invece quasi sempre quelli necessari<br />
alla difesa del territorio, come le torri di guardia o erano legati a occasioni religiose come i<br />
santuari.<br />
Ai giorni nostri, invece, il paesaggio viene percepito prevalentemente durante il movimento<br />
veloce, in auto o in treno.<br />
Ciò, se consente di attraversare rapidamente diverse configurazioni paesaggistiche,<br />
impedisce la percezione di dettaglio, quella che nel passato permetteva di interpretare il<br />
significato recondito di ciascun paesaggio. Si è resa pertanto necessaria l'individuazione di<br />
25
punti panoramici che, prevalentemente a scopo ricreativo, consentono di osservare vaste<br />
estensioni di territorio o particolari vedute.<br />
Sia a fini di puro godimento estetico, ma soprattutto a fini di studio, può essere opportuno<br />
classificare i punti panoramici in relazione at tipo di veduta che essi offrono. La<br />
suddivisione che qui si propone e la relativa classificazione si rifanno alla posizione del<br />
punto rispetto al quadro paesaggistico osservato e all'ampiezza della veduta.<br />
Un punto panoramico, quindi, rispetto alla posizione, può essere:<br />
- sottoposto (il caso di una postazione in prossimità del fondo di una valle proiettato<br />
verso i monti che si ergono in lontananza);<br />
- radente (il caso di una piazzola autostradale al centro di una vasta pianura);<br />
- sopraelevato (il caso più comune di un punto panoramico sul fianco o sulla cima di<br />
un rilievo proiettato verso il paesaggio che si stende più in basso).<br />
Rispetto, invece, all'ampiezza della veduta, un punto panoramico può essere classificato<br />
come:<br />
- quadro prospettico (quando l'angolo di apertura visiva è inferiore a 180°, quindi<br />
chiusa lateralmente e polarizzata generalmente su un fulcro visivo);<br />
- quadro panoramico (quando l'angolo di apertura visiva è compreso fra 180° e<br />
270°);<br />
- quadro paesaggistico (quando l'angolo di apertura visiva va da 270° a 3 60°),<br />
quando, in pratica, l'osservatore può osservare il paesaggio intorno a se senza<br />
incontrare ostacoli.<br />
Posizione e ampiezza della veduta, combinate insieme, danno luogo a diverse possibilità<br />
di osservazione del paesaggio, con differenti quantità di informazioni acquisibili. Un punto<br />
panoramico in posizione sopraelevata e con apertura visiva di 270° offre la possibilità di<br />
ricavare più informazioni rispetto ad un punto panoramico situato in posizione radente con<br />
apertura visiva inferiore a 180°.<br />
La classificazione può essere ulteriormente articolata registrando l'eventuale presenza di<br />
un fondale o di riferimento visivo e la profondità della veduta. Quest'ultima caratteristica è<br />
di grande importanza non tanto per il godimento estetico del paesaggio (che dipende<br />
prevalentemente dalla composizione del quadro visivo) quanto a fini di studio, poiché una<br />
veduta ampia permette di osservare un'estensione più grande di territorio e quindi di<br />
ottenere un numero maggiore di informazioni, come nel caso dei punti panoramici<br />
sopraelevati e con ampia apertura visiva.<br />
26
Una ulteriore classificazione dei punti panoramici può riguardare la loro facilità di accesso,<br />
mentre la superficie di territorio osservabile da un punto panoramico difficilmente<br />
accessibile potrà essere utile per osservare il paesaggio a fini di studio, ma avrà un ruolo<br />
secondario nel rendere possibile l'osservazione e la conoscenza del paesaggio da parte di<br />
un grande numero di persone.<br />
Individuare una rete di punti panoramici sul territorio studiato può aiutare a costruire una<br />
carta dell'intervisibilità, o meglio una mappa delle aree più visibili definita dalla<br />
sovrapposizione dei coni ottici di due o più punti panoramici. Ciò consente di conoscere, in<br />
prima approssimazione, le parti del territorio studiato che potenzialmente possono essere<br />
più facilmente oggetto di osservazione.<br />
Pertanto la carta dell'intervisibilità può risultare utile nell'individuazione dei vincoli e delle<br />
potenzialità di parti del territorio studiato in relazione agli aspetti visivi.<br />
La percezione dinamica, dal canto suo, rappresenta oggi la principale modalità di<br />
osservazione del paesaggio. Essa si presenta sotto due forme principali:<br />
- la percezione dinamica dall'alto, durante gli spostamenti in aereo, oggi sempre<br />
piu diffusa;<br />
- la percezione dinamica a livello del suolo, di gran lunga la più comune,<br />
caratteristica degli spostamenti in treno o in auto.<br />
La prima, quando avviene ad alta quota (condizione normale sui voli di linea), non<br />
consente di leggere i particolari ne la morfologia del territorio, del quale si apprezzano di<br />
più i colori e la tessitura creata dagli agenti naturali o dalle attività umane. Per questo<br />
motivo la percezione dinamica dall'aereo può avere un ruolo limitato nella lettura dei<br />
caratteri percettivi di un paesaggio. Diverso è il caso dei voli a bassi quota, utilizzati<br />
prevalentemente a scopo di studio, utili in quanto sostitutivi della percezione statica da un<br />
punto panoramico sopraelevato.<br />
La seconda, invece, assume i caratteri di un vero e proprio racconto che si dipana lungo il<br />
percorso effettuato, con l'affollarsi di episodi nei tratti in cui il paesaggio offre una fitta<br />
sequenza di immagini e con un fluire più lento delle informazioni là dove esso è meno<br />
articolato. La percezione dinamica è fortemente influenzata dalla velocità alla quale<br />
l’osservatore attraversa il paesaggio e dall'apertura visiva consentita dai margini del<br />
canale ferroviario o stradale che si sta percorrendo. L'osservatore, pertanto non ha la<br />
possibilità di scorgere il paesaggio attraversato con un certo anticipo come sull'automobile,<br />
dove la visione frontale precede e accompagna quella laterale e quindi di concentrare<br />
27
l'attenzione su un particolare considerato interessante. In entrambi i casi (treno o<br />
automobile) è determinante la profondità delta veduta. Quanto essa è maggiore, tanto più<br />
ampie sono le informazioni sui caratteri del paesaggio attraversato (tipo, conformazione,<br />
dettagli).<br />
La percezione dinamica, oggi, è uno degli strumenti pin idonei nelle operazioni di rilievo<br />
paesistico. La sequenza delle immagini, infatti, consente di riconoscere il tipo di paesaggio<br />
e le componenti di diverso tipo: strutturanti, qualificanti o caratterizzanti.<br />
Nel rilievo dinamico del paesaggio è importante, in primo luogo, determinare la profondità<br />
della veduta laterale. In un paese come l'Italia, caratterizzata da una morfologia molto<br />
articolata e da una diffusione degli insediamenti umani pervasiva la profondità della veduta<br />
può essere classificata, a seconda dell'estensione e della complessità del territorio<br />
studiato come:<br />
- breve fino a 500 metri;<br />
- media fra i 500 e i 2.000 metri;<br />
- lunga oltre i 2.000 metri.<br />
Con la veduta a breve distanza è possibile conoscere solo gli aspetti di dettaglio, mentre<br />
con grande difficoltà e possibile ricostruire il tipo di paesaggio attraversato. La lunga,<br />
invece, è quella che consente margini più ampi di lettura e, attraverso l'insieme di più<br />
sequenze, dà la possibilità all'osservatore di ricostruire esaurientemente i caratteri generali<br />
del paesaggio attraversato. Nell'attività di rilievo si potranno aggiungere informazioni<br />
supplementari descrivendo la natura e la frequenza delle barriere visive che ostacolano la<br />
vista laterale. Naturalmente queste operazioni potranno essere ulteriormente arricchite<br />
dall'uso di tecniche in grado di rappresentare anche i tipi di veduta frontale, nel caso<br />
dell'automobile, e le caratteristiche delle vedute laterali con la rappresentazione dei diversi<br />
quadri paesistici osservati.<br />
3.4. Bacini e distretti visivi<br />
Successivamente alla mappa della intervisibilità, l'individuazione dei distretti visivi<br />
costituisce un ulteriore passo in avanti nell'approccio strutturato allo studio degli aspetti<br />
visivi del paesaggio.<br />
I bacini e i distretti visivi sono costituiti da aree definite da orizzonti ben delineati, delimitate<br />
in generale da barriere visuali (crinali, profili di rilievi collinari, costoni,dossi). I primi<br />
28
coincidono generalmente con i bacini idrografici o con ampie loro porzioni, dando luogo a<br />
insiemi paesistici complessi, all'interno dei quali l’osservatore si muove senza poter<br />
traguardare verso l'esterno.<br />
I distretti visivi sono costituiti da porzioni di territorio più piccole, spesso coincidenti con<br />
una piccola valle laterale o con un impluvio minore. I confini di questi "contenitori<br />
paesistici" sono talvolta sfumati e lo sguardo dell'osservatore vi penetra anche standone al<br />
di fuori. Essi vanno distinti dalle "unità di paesaggio" che vanno individuate in base ad altri<br />
parametri.<br />
L'individuazione di un bacino visivo è alquanto facilitata dalla sua coincidenza pressoché<br />
totale con un bacino idrografico mentre l'individuazione di un distretto visivo non è agevole<br />
se l’analisi visiva tiene conto della percezione dinamica oltre che di quella statica. Infatti,<br />
con la percezione dinamica i confini tra un distretto visivo e l'altro si fanno ancora più<br />
sfumati, con frequenti incursioni dello sguardo in distretti visivi adiacenti, visibili<br />
fuggevolmente lungo il percorso seguito.<br />
L'individuazione dei distretti visivi in base alla percezione statica è, invece, più agevole e si<br />
può fondare su metodi gia sperimentati. Essa può consentire di avviare studi sistematici<br />
sui caratteri paesistici dell'area oggetto di studio, eventualmente misurandone l'interesse<br />
visuale in termini di ricchezza e significatività delle componenti paesistiche presenti al loro<br />
interno e attraverso li posizionamento delle sequenze visive tratte dallo studio delta<br />
percezione dinamica.<br />
3.5. I tipi di paesaggio<br />
Non si deve confondere il "tipo di paesaggio" con l'ecotessuto (assimilabile a "un insieme<br />
localizzato di ecosistemi interdipendenti che sono stati modellati da una storia ecologica e<br />
umana comune"), il quale nell'ecologia del paesaggio rappresenta l'elemento di transizione<br />
fra l'ecosistema e il paesaggio. I tipi di paesaggio vengono definiti il prodotto di un<br />
processo di astrazione privo di corrispondenze con la realtà concreta che, partendo da un<br />
insieme di caratteri ricorrenti utili a "delineare Ia forma della realtà territoriale", scaturisce<br />
"dall'unione di una certa configurazione formale con un certo contenuto".<br />
L'individuazione dei tipi all'interno dell'interpretazione estetico-percettiva del paesaggio<br />
può essere molto utile per comprenderne i caratteri di base, attraverso una loro<br />
prefigurazione di tipo astratto. La sintesi descrittiva fornita dalla denominazione attribuita a<br />
29
ciascun tipo di paesaggio consente di trasmettere informazioni circa i caratteri assunti dal<br />
paesaggio in una determinata area.<br />
3.6. Componenti strutturanti naturali e antropiche<br />
Le componenti strutturanti naturali e antropiche costituiscono "l’ossatura" contribuendo a<br />
costruire l’immagine complessiva del paesaggio. In effetti, si tratta di tutti quegli elementi<br />
che, per la loro singolarità, per la loro forma, per il loro colore, per la ricorrenza e per il<br />
significato particolare che assumono all'interno dell'insieme paesistico osservato,<br />
caratterizzano il paesaggio rendendolo riconoscibile e distinguibile dagli altri. Queste<br />
componenti possono essere definite "strutturanti" la conformazione del paesaggio; quelle<br />
minori possono essere definite "complementari".<br />
Le principali componenti strutturanti da prendere in considerazione sono quelle naturali e,<br />
in primo luogo quelle che determinano la forma del territorio o che delimitano ciascun<br />
ambito dando luogo ai bacini e ai distretti visivi, come le linee di cresta principali e<br />
secondarie. Esse possono essere distinte in<br />
- areali (laghi, altopiani, pianori carsici, circhi glaciali, sistemi di valloni o di baize<br />
rocciose, sistemi di dune);<br />
- lineari (crinali, alvei fluviali, orli di caldere);<br />
- puntuali (cime, picchi emergenti, stagni).<br />
Anche le componenti strutturanti antropiche contribuiscono, talvolta con peso uguale o<br />
superiore a quelle naturali, a definire i caratteri del paesaggio. A loro volta possono essere<br />
suddivise in<br />
- areali (sistemi insediativi residenziali, aree industriali);<br />
- lineari (grandi viadotti, autostrade, canali);<br />
- puntuali (castelli, torri, dighe, svincoli autostradali complessi).<br />
La ricchezza di componenti è un elemento di valorizzazione del paesaggio,<br />
indipendentemente dai caratteri della composizione paesistica cui danno luogo. Infatti ad<br />
un numero elevato di componenti significative corrisponde una maggiore riconoscibilità e,<br />
soprattutto, più accentuate possibilità di orientamento da parte dell'osservatore,<br />
accrescendo la probabilità che la configurazione paesistica osservata sia dotata di una<br />
rilevante figurabilità.<br />
30
3.7. Le unità di paesaggio<br />
Sulla questione delle unità di paesaggio si è sviluppato un ampio dibattito, paragonabile,<br />
per alcuni versi a quello sul concetto di paesaggio.<br />
In effetti, sia nella letteratura che nella pratica professionale, spesso si ritrova il termine<br />
"unità di paesaggio" cui vengono attribuiti dimensioni spaziali e significati diversi. Ciò nel<br />
tentativo di descrivere e/o circoscrivere ambiti territoriali che presentano o sembrano avere<br />
caratteri di omogeneità o di unitarietà. Tali tentativi sono operati per molteplici motivi che<br />
vanno da necessità puramente descrittive al bisogno di individuare aree chiaramente<br />
delimitate, nel cui ambito applicare una specifica normativa o avviare determinate attività<br />
di tutela e progettuali.<br />
Esistono anche altre interpretazioni delle unità di paesaggio, sia in chiave estetica che<br />
applicate a specifici ambiti disciplinari. Le unità di paesaggio rappresentano l’insieme di<br />
elementi diversi ma tipici di un paesaggio, che costituiscono delle configurazioni di sintesi<br />
altamente rappresentative della più vasta configurazione generale, nella quale tutti i<br />
predetti elementi si possono ritrovare.<br />
Il suolo, con le sue caratteristiche litologiche e pedologiche, nonché la sua forma e<br />
giacitura, è il punto di partenza, costituendo il supporto fisico dei fenomeni naturali di<br />
derivazione biologica e delle attività antropiche che contribuiscono a determinare i caratteri<br />
complessivi delle unità di paesaggio. Da questo punto di vista, le carte geomorfologiche e<br />
quelle relative alla fisionomia della vegetazione, combinate con le carte dell'uso del suolo,<br />
possono costituire una base valida per giungere all'individuazione di unità territoriali che<br />
siano caratterizzate da relazioni complesse tali da essere riconosciute come dotate di una<br />
propria identità. Dal punto di vista visivo, i parametri da prendere ulteriormente a<br />
riferimento sono molteplici. Essi in primo luogo riguardano l’aspetto assunto dal suolo (la<br />
giacitura e la conformazione) ai quali vanno aggiunti i caratteri della tessitura<br />
(regolare/irregolare) della grana (grossa/media/fine) e dei valori cromatici<br />
(uniformilarticolati , persistenti/cangianti).<br />
3.8. Considerazioni<br />
31
II paesaggio inteso come l’interpretazione dei fenomeni naturali e come prodotto delle<br />
azioni umane sul territorio resta un fattore determinante del benessere psico-fisico degli<br />
esseri umani. Lo spaesamento è, infatti, lo stato d'animo che gli esseri umani provano di<br />
fronte ad un contesto che non consente loro l’orientamento nello spazio e nel tempo.<br />
Si prova lo spaesamento quando si ritorna in un luogo dopo molti anni e non si trovano piu<br />
i punti di riferimento intorno ai quali era costruita la memoria dei luoghi.<br />
Riconoscere gli elementi costitutivi dell'identità di un paesaggio è una delle componenti<br />
fondamentali dello sviluppo sostenibile. Le trasformazioni del paesaggio sono sostenibili<br />
non solo quando esse avvengono all'interno della capacita di carico degli ecosistemi<br />
Lo studio del paesaggio deve sforzarsi di leggere gli elementi costituivi (naturali e<br />
antropici) della sua identità, cosi come essi sono venuti configurandosi nel corso ,del<br />
tempoe di fornire indicazioni sulla sua tutela, che non vuol dire mera conservazione dello<br />
stato di fatto ma conservazione della capacita di lettura della loro memoria, essendo<br />
consapevoli che la memoria è il risultato di un processo di selezione e di organizzazione<br />
dei dati che consente di utilizzarli quando sia necessario.<br />
Leggere la qualità di un paesaggio, pertanto, significa riuscire a interpretarlo in modo da<br />
comprendere quali sono le pietre miliari delta sua memoria e partire da queste per guidare<br />
le azioni di conservazione, di trasformazione o di recupero.<br />
4. Analisi di area vasta: la Provincia di <strong>Taranto</strong><br />
4.1. Inquadramento territoriale<br />
La provincia di <strong>Taranto</strong> si estende su una superficie di 2.436,67 Km 2 , di cui 1.342,39 Km 2<br />
sono pianeggianti e i rimanenti 1.094,28 Km 2 sono collinari.<br />
Amministrativamente la provincia è costituita da 29 comuni. La popolazione residente alla<br />
fine del 2003 era costituita da 579.696 di cui più di un terzo nel comune capoluogo.<br />
Il territorio è eterogeneo non solo per vocazione fisica ma anche a causa della storia<br />
sociale ed economica che ne ha caratterizzato la seconda metà del secolo scorso. Sino<br />
alla fine del secondo conflitto mondiale esso era dedito prevalentemente all’agricoltura,<br />
pesca, allevamento e artigianato. Nella zona del capoluogo l’Arsenale Militare era già da<br />
più di mezzo secolo una importante base militare e fiore all’occhiello per la cantieristica<br />
32
navale. Dopo la guerra, una delle priorità nazionali divenne quella di risolvere la questione<br />
del Mezzogiorno. La costituzione della Cassa del Mezzogiorno diede il via ad una fase di<br />
studio e di programmazione di opere e insediamenti che potessero portare sviluppo nelle<br />
regione del sud Italia. Il primo intervento per il rilancio dell’agricoltura attraverso opere di<br />
infrastrutturazione per migliorare la produttività e la riforma fondiaria si rivelò insufficiente<br />
soprattutto nelle zone desolate dell’Appennino. A questo punto il Mezzogiorno fu diviso in<br />
tre aree:<br />
aree di sviluppo globale costituite da grandi città con grandi potenzialità dal punto di vista<br />
umano;<br />
aree di ulteriore sviluppo corrispondenti ai centri che si trovavano in prossimità delle aree<br />
di sviluppo globale e che avevano di potenziare il loro sistema;<br />
aree da riorganizzare zone lontane dai grandi centri e con scarse risorse umane.<br />
Dell’ultima categoria facevano parte parecchie zone della Puglia, della Campania e della<br />
Calabria, in molti abitanti erano stati costretti ad emigrare in cerca di lavoro.<br />
Per questo motivo si tentò di dare sviluppo a quelle aree puntando sull’industria e le<br />
infrastrutture. Gli studi che vennero effettuati individuarono delle zone che, per<br />
caratteristiche territoriali, potessero meglio rispondere alle necessità di insediamenti<br />
industriali. In seguito, nelle aree selezionate, si costituirono delle società miste pubblicoprivato<br />
che avrebbero avuto il compito di programmare lo sviluppo industriale. Nella<br />
provincia di <strong>Taranto</strong> si costituì l’ASI (Associazione di Sviluppo Industriale). Questi consorzi<br />
avevano la possibilità di espropriare suoli e riassegnarli in concessione ad imprese<br />
interessate e realizzare infrastrutture. I piani redatti dai consorzi erano indipendenti dai<br />
PRG e dai PdF comunali.<br />
Le realtà pugliesi che furono scelte erano quelle che avevano una maggiore risorsa<br />
umana e una posizione privilegiata sul mare.<br />
A partire dagli anni ’60 a <strong>Taranto</strong> fu insediato l’Italsider. In questo modo fu creata una<br />
grande domanda di posti di lavoro anche contando quelli dell’indotto degli impianti<br />
siderurgici. Gli anni successivi videro un aumento della popolazione della città di <strong>Taranto</strong>,<br />
soprattutto nell’allora borgata di Statte e nel nuovo quartiere Paolo VI.<br />
Negli anni ‘70, attraverso una azione di pianificazione multidisciplinare a livello nazionale,<br />
si effettuarono studi per rilevare e risolvere i problemi che la precedente fase di sviluppo<br />
aveva portato.<br />
- ci si rese conto che tra le aree industrializzate e quelle limitrofe si era creato un<br />
grosso divario dal punto di vista della dotazione dei servizi;<br />
33
- queste zone avevano scarse infrastrutture che potessero collegarle con gli altri<br />
centri;<br />
- i centri più piccoli vedevano la popolazione diminuire sotto la forza attrattiva del<br />
centro più grande.<br />
Il territorio nazionale fu così suddiviso in tre sistemi:<br />
- di tipo A: corrispondenti alle aree metropolitane;<br />
- di tipo B : corrispondenti alle aree adiacenti alle precedenti;<br />
- di tipo C : sistemi in cui bisognava promuovere lo sviluppo con un programma<br />
alternativo a quello esistente.<br />
I sistemi di tipo C erano a loro volta suddivisi in due sottogruppi:<br />
- C1 nel caso di sistemi potenzialmente dinamici;<br />
- C2 più deboli dal punto di vista delle risorse umane e naturali.<br />
Il territorio di <strong>Taranto</strong> apparteneva alla categoria C1.<br />
Il programma non venne mai applicato ma fu una importante direttrice per la pianificazione<br />
del territorio degli anni successivi.<br />
Durante gli anni ’80 la domanda di acciaio continuò a tenere in vita l’economia della<br />
provincia che era diventata evidentemente monofunzionale a causa del gran numero di<br />
impiegati dell’indotto.<br />
Gli anni ’90 furono quelli che misero in ginocchio questo modello di sviluppo; la domanda<br />
di acciaio non fu più sufficiente e lo stato privatizzò gli impianti siderurgici di sua proprietà.<br />
Negli ultimi anni la situazione economica, secondo i dati forniti dalla provincia (vedi sito<br />
della provincia di <strong>Taranto</strong>) sono stati altalenanti e fortemente condizionati da una serie di<br />
fattori internazionali, nazionali ma anche locali in termini di calo dell’offerta interna.<br />
Parallelamente a questo sviluppo, il suolo ha cambiato numerose volte destinazione,<br />
lasciando poche tracce della sua originaria natura. Attraverso una serie di analisi, prima a<br />
livello provinciale e poi sempre più specifico, vedremo come siano cambiate le sue<br />
funzioni e come si è trasformato il rapporto tra le residue tracce e l’ambiente circostante.<br />
34
4.2. Analisi del territorio<br />
In questa particolare sezione si tenterà di analizzare il territorio della provincia nella sua<br />
complessità insita in una varietà di paesaggi descrivendo i caratteri geologici, ideologici,<br />
insediativi e produttivi.<br />
4.2.1. Geologia del territorio<br />
Il territorio si presenta costituito da tre grandi specie geologiche: quelle argillosa, sabbiosa<br />
e calcarea. La prima componente è presente debolmente nei territori di Castellaneta e<br />
sottoforma di sabbie argillose in alcune zone dell’immediato entroterra orientale. Molto più<br />
diffusi sono i suoli costituiti da sabbie limose sul litorale e nell’entroterra ad ovest ed i<br />
calcari che costituiscono le gravine e la costa orientale.<br />
Naturalmente le gravine e le lame costituiscono l’aspetto geomorfologico più interessante<br />
dell’intero arco jonico. Queste formazioni geologiche interessano i comuni di Ginosa,<br />
Laterza, Castellaneta, Mottola, Palagianello, Palagiano, Massafra, Martina Franca,<br />
Crispiano, Statte, Montemesola, Grottaglie e San Marzano di San Giuseppe procedendo<br />
da ovest verso est disposte in senso perpendicolare rispetto al mare. Il nome gravina<br />
deriva dal vocabolo di origine mediterranea “grava” che significa appunto voragine o<br />
località rocciosa. L’origine geologica delle gravine non accorda tutti gli studiosi. Alcuni<br />
sostengono che siano state formate esclusivamente dalla erosione dovuta alle piogge ed<br />
ai fiumi, altri, osservando la scarsa portata di questi ultimi, parla di sollevamenti tettonici<br />
della crosta terrestre nel corso di milioni di anni. Molti dei corsi d’acqua che avrebbero<br />
contribuito alla formazione delle gravine oggi scorrono nel sottosuolo in reti di formazione<br />
successiva ai fenomeni carsici descritti, sfociando nell’Adriatico (acque di Cristo) o nello<br />
Jonio (citri) sotto forma di sorgenti sottomarine. La differenza tra le lame e le gravine si<br />
trova nel profilo. Mentre le gravine sono strette, profonde con un profilo a “V”, le lame<br />
presentano un profilo ad “U” dovuto all’altezza ridotta delle pareti e dal fondo piatto.<br />
35
Fig.1 – La gravina<br />
Ciò è dovuto alla geomorfologia del territorio: dove lo spessore dei depositi di calcarenite<br />
era elevato l’erosione ha prodotto le gravine, dove era ridotto, le acque hanno raggiunto<br />
più facilmente il sottostante calcare di Altamura profondo un migliaio di metri, più<br />
resistente del precedente, che ha impedito l’erosione in profondità e favorendo quella in<br />
larghezza.<br />
La fascia costiera a ovest del Mar Grande di <strong>Taranto</strong> presenta una spiaggia emersa,<br />
bassa e sabbiosa, generalmente stretta e limitata quasi sempre da un cordone dunale in<br />
erosione facente parte di un sistema dunale ben sviluppato con una copertura costituita da<br />
una pineta ben strutturata, e da vegetazione psammofila a ginepro.<br />
La zona costiera orientale posta a sud del Mar Grande, a differenza della costa<br />
occidentale, presenta una morfologia articolata con baie e promontori impostati su di una<br />
struttura rocciosa, ed è stata interessata da un'urbanizzazione molto intensa.<br />
Passando al Mar Piccolo, i suoi due Seni rappresentano il fondo della dolina emisferica<br />
che costituisce il punto di raccolta dell’intero sistema di doline carsiche dell’interland<br />
tarantino. La successiva sedimentazione di particelle siltoso-argillose, con granulometria<br />
36
compresa tra i 0.0625mm fino ad inferiore agli 0.0039mm, ha impedito che, permeando,<br />
l’acqua modificasse la sezione delle conche. La deposizione di particelle di così piccola<br />
granulometria è indice dello scarso idrodinamismo caratterizzante il Mar Piccolo, che<br />
riceve i flussi del Mar Grande solo attraverso il Canale Navigabile e quello di Porta Napoli.<br />
Le coste del bacino sono costituite da depositi argillosi di Argille subappennine pliocalabriane<br />
che, pur essendo presenti già nelle zone interne di Roccaforzata e<br />
Montemesola, caratterizzano le rive del Mar Piccolo nei tratti più elevati e in quelli<br />
retrostanti ai pennelli sabbiosi. La datazione dei depositi è collocabile alla fine del<br />
Cretaceo e a tutto il Plio-Pleistocene, sebbene nella parte meridionale del Secondo Seno<br />
sia presente una successiva stratificazione di Calcarenti Calabriane.<br />
Questa stratificazione si spiega considerando i cicli di emersione dell’intero territorio<br />
tarantino che hanno visto l’innalzamento di Crispiano nel Calabriano e della zona delle<br />
Saline nel Tirreniano: questo processo si è sviluppato per sedimentazione di materiali<br />
clastici mentre il mare si ritirava fino a raggiungere le coste attuali.<br />
Durante i periodi che vanno dal post-calabriano al post-tirreniano la sedimentazione è<br />
stata caratterizzata da una netta variazione negli apporti di materiali argillosi o argillosomarnosi.<br />
Le fasi del processo di sollevamento del nostro territorio possono essere messe in<br />
relazione con gli effetti della tettonica di sollevamento regionale, senza escludere<br />
oscillazioni eustatiche legate a fenomeni glaciali. A questo processo si deve la formazione,<br />
nella roccia più antica di struttura carbonatica, di spaccature che, con la percolazione di<br />
acqua imbrifera, hanno avviato i fenomeni carsici a cui si può ricondurre il fenomeno dei<br />
citri.<br />
Per quel che riguarda la sedimentologia, i materiali che costituiscono i fondali del Mar<br />
Piccolo possono essere, nella loro totalità, classificati come segue:<br />
- Sabbioni a Sabbie grossolane (mm 2-0.6);<br />
- Sabbioni a Sabbia medio-fine (mm 0.6-0.06);<br />
- Silt (mm 0.06-0.006);<br />
- Argille grossolane (mm 0.006-0.0006);<br />
Oltre a questi aspetti generalizzanti, vi sono ristrette aree a ciottoli sparsi, dunque a fondo<br />
duro; in particolare, fondi duri calcarenitici si trovano nelle zone di imbocco del Canale<br />
Navigabile e del Canale di Porta Napoli e nel tratto costiero tra questi compreso; nei<br />
fondali bassi della zona di Punta Penna, nota come “secca di S. Caterina”; in parte<br />
37
dell’area di Buffoluto e in parte del promontorio “Il Forte”, i cui ciottoli sono sicuramente<br />
derivanti dallo sfaldamento delle calcareniti che costituiscono la costa.<br />
Riassumendo, quindi, si può affermare che le coste del Mar Piccolo si presentano basse<br />
sul livello medio del mare; la parte orientale del Primo Seno è costituita dal deposito<br />
argilloso Calabriano sormontato in alcuni punti da una copertura di calcareniti<br />
Pleistoceniche, così come si riscontra anche nel parte meridionale del Secondo Seno.<br />
Le zone più elevate sull’arco costiero sono congiunte da piccoli arenili confluenti verso gli<br />
sbocchi dei corsi d’acqua superficiali, come avviene nella parte settentrionale e orientale<br />
del Secondo Seno (zona delle Saline) i cui sedimenti sono formati da depositi alluvionali<br />
con accumulo di sabbioni a detrito e da depositi di erosione costiera accumulati ad opera<br />
del moto ondoso.<br />
Nell’area costiera di contrada Mancanecchia si trovano pareti argillose scoscese, fino ad<br />
arrivare, oltrepassato il Forte, ad un tratto costiero basso ed acquitrinoso che prosegue<br />
fino alla zona delle Saline. La zona oltre Punta Penna è, invece, caratterizzata dalla<br />
presenza di stretti pennelli sabbiosi fino ai Cantieri Navali ex Tosi, la cui originale costa<br />
argillosa scoscesa terminante con una spiaggia sabbiosa risulta oggi totalmente<br />
cementificata a favore del processo di urbanizzazione del quartiere Paolo VI. Anche la<br />
costa del rione Tamburi si presenta modificata con manufatti edili, se non proprio con<br />
materiali di risulta di ogni tipo.<br />
Dagli scoscendimenti argillosi di cui sopra, giungono al bacino apporti di sedimenti ad<br />
opera delle acque di dilavamento dei suoli agricoli che, sfortunatamente, provengono<br />
dall’ampio bacino idrografico di cui il Mar Piccolo costituisce il punto più basso e dunque di<br />
raccolta.: giungendo in acqua, tali materiali sedimentano più o meno intensamente<br />
nell’ambito del bacino e nei tratti prossimi alla costa.<br />
Nelle aree centrali dei due Seni, infine, sulle argille poggia una coltre melmosa di origine<br />
organica dovuta allo già citato scarso idrodinamismo.<br />
Le sorgenti costiere distinte in subaeree e sottomarine, ovvero i “citri”, costituiscono i punti<br />
di emergenza della falda idrica di base.<br />
I citri sono evidenziati sulla superficie del mare per la presenza di tipiche chiazze di forma<br />
subcircolare, al centro delle quali si osserva un ribollimento, dovuto al moto ascensionale<br />
dell’acqua di falda sorgiva, ed una certa corrente superficiale, limitata alle chiazze circolari,<br />
irradiantesi in tutte le direzioni a partire dalla zona centrale. Questa corrente, smorzando<br />
l’increspatura del mare,spiana la superficie della chiazza dandole un aspetto levigato.<br />
38
4.2.2. Ambiente<br />
L’ambiente naturale della provincia di <strong>Taranto</strong> si estende fondamentalmente su tre “archi”<br />
concentrici rivolti verso il mare. Questi archi corrispondono a tre fasce altimetriche: una di<br />
collina che va dai 200 ai 450m s.l.m., una di transizione che porta all’ultima di pianura che<br />
parte dal livello del mare sino a 100m. Le diverse zone sono caratterizzate anche da una<br />
diversa vegetazione. Osservando la conformazione del territorio si può ipotizzare che i<br />
primi due archi possano darci ancora testimonianza di un ambiente scarsamente<br />
antropizzato poiché corrispondono fondamentalmente a quelle zone forse più difficili da<br />
insediare in quanto caratterizzate dalle gravine e dai maggiori salti di quota. Dal punto di<br />
vista ambientale le gravine costituiscono una dominante ambientale, la più importante<br />
risorsa per collegare i diversi ambienti naturali, ormai residuali, dell’intera provincia.<br />
Fig.2 - Disposizione dei centri urbani rispetto all’orografia, idrografia e aree verdi della provincia<br />
Il primo arco, procedendo da nord verso il mare, comprende la zona a sud del territori di<br />
Martina Franca con il bosco dell’Orimini e il parco delle Pianelle. La vegetazione è<br />
costituita da boschi di caducifoglie con prevalenza di roverella (Quercuspubescens) e<br />
fragno (Quercus trojana).<br />
39
Da segnalare la presenza di numerose lame che fanno parte anch’esse del parco<br />
regionale della terra delle gravine.<br />
Il secondo è costituito dalle gravine; gli ambienti delle rupi ben illuminati sono colonizzati<br />
da varie specie, quali, ad esempio, euforbia arborea (Euphorbia arborea) e campanula<br />
pugliese (Campanula versicolor), mentre nelle zone ombrose prevalenti sono le felci. Sul<br />
fondo delle gravine si riscontra la presenza di salici (Salix), pioppi bianchi (Populus alba),<br />
giunchi (Juncus) e cannuccia di palude (Phragmites australis).<br />
Fig.3 - Ambienti naturali nella provincia di <strong>Taranto</strong><br />
In situazioni di inquinamento da scarichi fognari si rileva l'insediamento della lisca<br />
maggiore (Typha latifolia) e del coltefiaccio maggiore (Sparganium erectum).<br />
Le Gravine sono interessate da una macchia mediterranea costituita prevalentemente da<br />
arbusti sparsi. In vicinanza degli insediamenti umani rupestri è frequente rilevare la<br />
presenza di specie arboree coltivate quali, ad esempio, melograno (Punica granatum) e<br />
cotogno (Cydonia vulgaris).<br />
40
Oltre alla campanula pugliese, le gravine ospitano altre specie fioristiche endemiche o di<br />
origine balcanica, tra le quali l'ofride pugliese (Ophrys fuciflora apulica) e il raponzolo<br />
meridionale (Asyneuma limonifolium).<br />
Oltre alle gravine, anche gli ulivi sono un’altra invariante appartenendo al caratteristico<br />
paesaggio della terra pugliese; essi sono presenti soprattutto nei comuni ad est del<br />
capoluogo. Non dimentichiamo, infatti, che gli ulivi hanno una duplice importanza<br />
ambientale ed economica: a norma di legge, in quanto molti di essi sono piante secolari,<br />
non possono essere spostati o rimossi senza i dovuti permessi e, d’altra parte, fanno della<br />
regione una delle maggiori produttrici al modo di olio d’oliva.<br />
L’ultimo arco è quello formato dalle pinete della costa occidentale, risultato della bonifica<br />
realizzata in quelle zone durante il periodo fascista.<br />
Oggi questi tre paesaggi, come si vedrà in seguito appaiono abbastanza slegati tra loro.<br />
Si nota anche come i bacini idrografici dei corsi d’acqua della provincia nella maggior parte<br />
dei casi non coincidano con delle zone salvaguardate dal punto di vista ambientale. E’<br />
comprensibile pertanto come il territorio in esame sia a rischio idrogeologico.<br />
Sicuramente, negli anni, ha giocato un ruolo importante la perdita della memoria dei luoghi<br />
che, anche recentemente ha portato a sottovalutare le problematiche di sistemazione dei<br />
corsi d’acqua e della manutenzione delle infrastrutture.<br />
Sono davanti agli occhi di tutti i danni e i disagi causati dalle sempre più frequenti alluvioni<br />
proprio nelle zone delle gravine e delle bonifiche.<br />
Per quanto riguarda il Mar Piccolo, esso è situato all’estremo settentrionale del Golfo di<br />
<strong>Taranto</strong>, costituisce il centro del sistema lagunare costiero del territorio. E’ costituito da<br />
due “Seni” limitati dai promontori Punta Penna e Pizzone ed è stato dichiarato area ad<br />
elevato rischio ambientale dal D.P.R. 23/04/1998.<br />
La parte meridionale del Secondo Seno si estende in pieno centro urbano, più<br />
precisamente a partire dagli edifici di via Roma, attraverso i Giardini Peripato per finire<br />
all’Arsenale della Marina Militare.<br />
Dal Pizzone, andando verso Est, si incontrano la Contrada Mancanecchia, con i raccordi<br />
anulari del viadotto del Ponte Punta Penna; il promontorio “Il Fronte”, separato dalla “Zona<br />
delle Chianche” dall’avvallamento della Palude Erbara che si spinge nell’entroterra oltre la<br />
statale per Lecce; la zona di Cimino, pineta militare risalente agli inizi del XX secolo,<br />
parzialmente ceduta alla comunità e fruibile grazie al Parco di Cimino. La pineta si estende<br />
verso Est per circa tre chilometri, terminando presso la “Sorgente Riso”, quindi troviamo il<br />
canale d’Ajedda e l’area delle Saline di <strong>Taranto</strong> (o Palude Vela-Taddeo).<br />
41
A questo punto, inizia la costa settentrionale del Secondo Seno, affiancata dalla strada<br />
provinciale “Circummarpiccolo”, con la sua ampia curvatura terminante con il promontorio<br />
di Punta Penna; oltre Punta Penna si trovano i Cantieri ex Tosi, quindi gli insediamenti del<br />
quartiere Paolo VI e il Parco delle Rimembranze.<br />
Dalla foce del fiume Galeso inizia la costa occidentale del Primo Seno che si estende fino<br />
alla zona abitata del rione Tamburi, passando per l’area su cui insiste l’impianto<br />
siderurgico dell’ILVA; si giunge, così, al molo “ Pontile del Genio Marina”, zona un tempo<br />
fatiscente e ora occupata dalle piattaforme galleggianti per il mercato ittico.<br />
Il tratto meridionale del Primo Seno si estende dal Ponte di Pietra, che sormonta il<br />
Canale di Porta Napoli attraverso cui il Mar Piccolo comunica con il mare aperto, fino al<br />
Ponte Girevole, ovvero il Canale Navigabile che costituisce la seconda ed ultima<br />
connessione con il Mar Grande<br />
4.3. Le interazioni tra la rete e i centri urbani, le industrie e le infrastrutture<br />
Le relazioni tra la rete esistente e le attività umane risultano molto complesse come si può<br />
vedere dalla figura 40. L’area boschiva della murgia risulta ancora abbastanza compatta in<br />
quanto è un’area non appetibile dal punto di vista dello sviluppo urbano o industriale. Le<br />
zone con un’orografia meno complessa, quali possono essere le aree comprese tra le<br />
varie gravine, invece, in alcuni casi sono state fortemente antropizzate.<br />
Negli ultimi decenni, invece la pressione delle attività antropiche si è fatta sempre più<br />
schiacciante e, come se non bastasse, la perdita della memoria dei territori, ha fatto in<br />
modo che non si tenesse più in debito conto l’equilibrio dell’ambiente naturale. L’aumento<br />
incontrollato dell’urbanizzazione ha fatto si che interi quartieri sorgessero nelle immediate<br />
vicinanze dei corsi d’acqua o in territori a rischio idrogeologico.<br />
Quando piogge di intensità particolarmente elevata o di lunga durata hanno riempito le<br />
antiche vie di deflusso ora edificate, questo ha causato gravi danni alle opere. Ne sono<br />
testimonianza l’area industriale di Massafra che sorge nelle vicinanze di una serie di canali<br />
naturali, i centri abitati di Palagiano e di Lido Azzurro che sorge dove anni fa c’era una<br />
grandissima area paludosa.<br />
Ci sono altri due aspetti non meno importanti da considerare: l’abusivismo e il tessuto<br />
urbano discontinuo; molte aree periferiche sono state realizzate lontane dal centro urbano<br />
42
e molte altre della fascia costiera sono state edificate eludendo le prescrizioni dei piani.<br />
Questi due caratteri vanno di pari passo.<br />
Esempi eclatanti del primo caso sono stati il quartiere Paolo VI e l’eccessiva espansione<br />
dell’abitato di Statte. Il risultato di queste azioni è stata l’insinuazione dell’urbanizzazione<br />
nel sistema di lame e gravine della provincia con la conseguente perdita del tessuto<br />
naturale e l’aumento dei costi sociali in termini di trasporti pubblici e privati e di<br />
inquinamento.<br />
Nel secondo caso i danni sono stati anche maggiori: le costruzioni realizzate in<br />
corrispondenza di aree agricole, ad esempio, hanno causato danni anche all’equilibrio<br />
idrogeologico.<br />
4.3.1. Industria<br />
La zona della rete dove sono concentrate la gran parte delle attività industriali è<br />
sicuramente quella compresa tra le gravine Leucaspide e Mazzaracchio di Statte. Qui<br />
infatti si intrecciano le attività del siderurgico con quelle estrattive e portuali. L’insieme di<br />
questi insediamenti ha creato un blocco che ha tagliato i collegamenti tra il sistema delle<br />
lame e delle gravine con il mare. In prospettiva futura si pone il problema della bonifica<br />
della zona industriale, soprattutto degli impianti dell’Ilva e delle cave; in particolare, in<br />
quest’ultimo caso, le attività si svolgono a ridosso delle gravine e pongono un grosso<br />
punto interrogativo sulle possibilità di uno sviluppo attraverso la riqualificazione<br />
ambientale.<br />
4.3.2. Infrastrutture<br />
Anche le reti stradali e ferroviarie contribuiscono in maniera non indifferente ad aumentare<br />
le pressioni sull’ambiente. Come abbiamo visto, la rete ecologica della provincia, oltre ad<br />
estendersi ad arco nella parte della murgia, è costituita di numerosi corridoi di lame e<br />
gravine che arrivano sino alla fascia costiera. Le maggiori arterie stradali e ferroviarie,<br />
tagliando perpendicolarmente i segni della rete, le rendono critiche dal punto di vista<br />
idrogeologico. Due casi emblematici sono: gli attraversamenti della gravina Leucaspide e<br />
del fiume Lato.<br />
43
4.3.3. Agricoltura<br />
Anche l’agricoltura ha reso più complessa e problematica la situazione della rete<br />
ecologica.<br />
Come le aree urbane e quelle industriali, anche i sistemi colturali si sono incuneati nella<br />
rete disgregandola. A farne le spese sono state soprattutto le aree gravinali.<br />
La superficie delle aziende agricole a conduzione esclusivamente familiare nell’area delle<br />
gravine è considerevole rispetto alla superficie totale. Il fatto che in questi anni l’attività<br />
agricola sia andata perdendo sempre più il<br />
suolo ruolo cardine nella economia locale, può essere attribuito al fatto che, mancando<br />
delle grosse aziende o delle cooperative forti, i singoli produttori alla lunga non abbiano<br />
retto alla concorrenza del mercato.<br />
Al contrario, il corridoio che collega Statte e <strong>Taranto</strong>, è stato sottoposto oltre che ad una<br />
frammentazione dalle attività agricole, soprattutto ad una pressione da parte dei centri<br />
urbani e industriali molto maggiori. Paradossalmente appare più semplice un intervento di<br />
riconnessione nell’area di Statte e <strong>Taranto</strong> rispetto a quella dei comuni<br />
occidentali. I nodi della rete presenti nella parte occidentale sono molto difficili da collegare<br />
proprio perché sarebbe quasi impossibile dare una continuità anche dal punto di vista<br />
delle coltivazioni e creare dei corridoi. La minore superficie agricola utilizzata tra Statte e<br />
<strong>Taranto</strong> permette di poter meglio riconnettere i consistenti serbatoi di naturalità ancora<br />
esistenti soprattutto attraverso il corridoio che porta dalla gravina Mazzaracchio a Statte.<br />
4.4. Possibili riconnessoni dei sistemi insediativi con la rete<br />
La rete della provincia si divide in tre livelli:<br />
1. la murgia, in cui la continuità ambientale è una cosa ancora tangibile;<br />
2. l’arco delle gravine, di cui sono visibili i nodi a Ginosa, Laterza, Massafra, Statte e<br />
nell’immediato entroterra del Mar Piccolo;<br />
3. le pinete della costa occidentale.<br />
44
Fig.4 – Riconnessioni della rete ecologica<br />
Le azioni da intraprendere in un contesto molto complesso come quello che è stato<br />
descritto sono due:<br />
- protezione ;<br />
- riconnessione.<br />
La prima iniziativa, deve essere delle amministrazioni locali atta a proteggere i caratteri<br />
forti delle rete ecologica ancora presenti descritti nel punto 1). Questo obiettivo può essere<br />
raggiunto attraverso delle norme ad hoc che affianchino quello che già di buono è stato<br />
fatto con l’istituzione del Parco delle Gravine. In effetti, la perimetrazione del parco è stata<br />
molto più restrittiva rispetto alle varie ipotesi che sono state fatte nel corso degli anni a<br />
causa dell’opposizione di alcuni portatori di interesse. Questo non ha perciò tutelato la<br />
continuità ambientale.<br />
Per realizzare la riconnessione delle zone più frammentate dall’agricoltura, una strada<br />
praticabile potrebbe essere quella degli sgravi fiscali. Il primo obiettivo degli enti locali<br />
dovrebbe mirare al miglioramento delle condizioni ambientali e della sicurezza dal punto di<br />
vista idrogeologico: per ricucire gli strappi creati alla rete, soprattutto in aree strategiche<br />
come quelle dei bacini idrografici occupate pericolosamente dalle colture, potrebbero<br />
realizzarsi opere di riqualificazione. All’azienda che desse il benestare dell’uso di una<br />
45
percentuale del suo suolo (in proporzione all’estensione dell’intera superficie agricola) per<br />
opere di riqualificazione, si applicherebbero delle agevolazioni fiscali. In questo modo,<br />
tutte le proprietà, parteciperebbero alle opere di difesa dando in gestione una piccola parte<br />
di suolo, diminuirebbero le imposte per il mancato utilizzo e profitto su quelle superfici e<br />
l’intera comunità potrebbe godere dei benefici di un territorio più sicuro e protetto.<br />
Come è stato detto in precedenza, la realtà insediativa di Statte e <strong>Taranto</strong> è ben diversa e<br />
più complessa da quella dei comuni occidentali.<br />
Per questo motivo, si elencano le problematiche del territorio nella seguente matrice.<br />
Criteri<br />
Corridoio gravina di Statte - <strong>Taranto</strong> - mare<br />
Interesse<br />
naturale<br />
culturale<br />
economico<br />
industriale<br />
presenza di numerose aree boschive e gravinali visitabili<br />
presenza di insediamenti rupestri, dolmen e numerose masserie<br />
aree retroportuali<br />
Degrado<br />
urbano<br />
Degrado<br />
ambientale<br />
sociale assenza, della rete di drenaggio urbano e di servizi particolarmente nelle zone 167<br />
frammentazione<br />
urbana<br />
inquinamento aria<br />
abusivismo e mancato rispetto del PRG<br />
emissioni siderurgico e discariche<br />
inquinamento acque scarichi in gravina<br />
inquinamento suolo cave<br />
PAI<br />
Area ad alta pericolositàidraulica in Gravina Triglie e nella zona sud del centro<br />
abitato<br />
Interferenze<br />
allo<br />
sviluppo<br />
rischio idraulico<br />
vincoli ambientali<br />
altri vincoli<br />
intersezioni con statali 100 e 106 e linee ferroviarie per Bari e R. Calabria<br />
Parco delle Gravine e PUTT nella zona retroportuale<br />
assenti<br />
Interventi<br />
PUTT<br />
Bonifica<br />
LIFE<br />
Masserie Accetta e Tudisco,gravine Leucaspide e Mazzaracchio, Lido Azzurro,<br />
Mar Piccolo<br />
Gravina Leucaspide<br />
assente<br />
Parco delle Gravine Gravine Leucaspide e Mazzaracchio<br />
positivo attenzione negativo<br />
46
5. Focus sul corridoio Statte-<strong>Taranto</strong><br />
5.1. Premessa<br />
Le analisi svolte sino a questo momento non possono dare un quadro esaustivo della<br />
situazione. I dati approssimativi, frammentati e spesso del tutto mancanti, come si è<br />
segnalato più volte, non forniscono sempre un’informazione completa. Al fine di ampliare il<br />
più possibile il campo ‘visivo’ sulle criticità e sulle possibilità di ricomposizione dei lembi<br />
naturali di questa porzione di rete, si è reso necessario ricorrere ad analisi qualitative:<br />
sono stati compiuti diversi sopralluoghi volti a costruire un rilievo dello stato attuale, e<br />
effettuate interviste a tecnici comunali, esperti di diversi settori disciplinari e a cittadini che,<br />
per passione o sensibilità, hanno a cuore il destino della gravina. Ciò che segue, cioè<br />
l’individuazione di criticità e potenzialità, è una sintesi progettuale di questo lavoro<br />
documentario.<br />
Prima di procedere è però necessario dare una definizione di zone di criticità e<br />
potenzialità. In generale, possiamo considerare una zona di criticità ambientale una<br />
specifica entità territoriale nella quale fattori ambientali, socioeconomici e di gestione non<br />
sono in equilibrio tra loro o non sono sostenibili per quel determinato ambiente. Le zone di<br />
criticità ambientale sono ambiti territoriali in cui uno o più fattori di alterazione (impatti)<br />
richiedono un intervento fortemente contestualizzato in quella specifica dimensione<br />
territoriale e caratterizzati da un alto livello d’integrazione tra le diverse politiche ambientali<br />
e/o tra le politiche ambientali e le altre politiche pubbliche (economiche, territoriali e per la<br />
salute) (Piano Regionale di Azione Ambientale della Toscana 2004-2006).<br />
Ovviamente la criticità ambientale più preoccupante deriva dall’inquinamento atmosferico<br />
generato dalle attività industriali. Pur non nominandolo in tutto il seguito della tesi,<br />
l’inquinamento è sempre sottinteso in quanto questo tema richiederebbe un trattamento<br />
specifico che va oltre lo scopo di questa tesi.<br />
A differenza delle criticità, le potenzialità sono degli ambiti in cui si possono chiaramente<br />
individuare delle tracce forti di naturalità ma che necessitano di interventi che possano<br />
riqualificarle, preservarle nel futuro e riconnetterle tra loro.<br />
47
5.2. Criticità e potenzialità<br />
5.2.1. Individuazione delle zone di criticità<br />
In questa sezione verranno elencate le aree critiche del corridoio che, seguendo la gravina<br />
Leucaspide, conduce sino alla foce del Tara e quindi al Mar Grande.<br />
Fig.1 – Criticità della Gravina Leucaspide<br />
5.2.1.1. Sviluppo urbano: l’espansione degli insediamenti residenziali a Statte<br />
Dai sopralluoghi effettuati si è constatato come nel corso degli anni il centro di Statte si sia<br />
espanso sempre più mettendo in pericolo anche la gravina. Le zone residenziali oggi<br />
sorgono molto vicino alla fascia di rispetto recintata. La preoccupazione deriva dal fatto<br />
che la perimetrazione del parco non comprende una zona di “transizione” nei pressi della<br />
gravina e che il documento di pianificazione urbana ancora vigente è il PRG di <strong>Taranto</strong>,<br />
mentre il nuovo PUG è fermo a causa del commissariamento del comune. In assenza di<br />
48
piani per il governo del territorio l’espansione del centro urbano avanza senza alcuna<br />
regola fino a lambire la zona protetta.<br />
Legenda -Zone centrali - Fasce di rispetto<br />
Fig.2 – Stralcio della perimetrazione definitiva del Parco Regionale della Terra delle Gravine inerente il<br />
comue di Statte.<br />
5.2.1.2. Trattamento dei reflui urbani di Statte<br />
Altra problematica molto delicata riguarda la rete fognante, di drenaggio urbano ed il<br />
depuratore. Il comune di Statte, infatti è ancora sprovvisto di una rete di drenaggio urbano.<br />
Dalle interviste effettuate negli uffici comunali è emerso che da poco sono disponibili i<br />
fondi per la realizzarne una parte, ma il comune è ancora fermo alla fase di progettazione.<br />
Negli stessi fondi sono compresi i lavori di ripristino del vecchio depuratore. Il comune<br />
disponeva di un depuratore realizzato in data antecedente all’approvazione del PUTT (non<br />
è stato possibile avere informazioni sulla la data precisa di edificazione del depuratore ).<br />
L’impianto sorge all’interno della zona vincolata. A detta dei tecnici comunali, in quella<br />
occasione non fu effettuata alcuna valutazione di impatto ambientale.<br />
49
Fig.3 – Il PUTT nel territorio di Statte e nella pineta di Lido Azzurro<br />
Sempre secondo i tecnici comunali e i rappresentanti dell’associazione Speleo (che<br />
effettua studi sulle gravine ed organizza visite guidate) l’impianto esistente, effettuava solo<br />
la grigliatura ed un trattamento di depurazione primario e, successivamente, sversava i<br />
reflui in gravina da uno scarico posto a parecchi metri dal fondo. Oggi l’impianto si<br />
presenta in stato di abbandono con strutture divelte. Con i lavori programmati, il<br />
depuratore dovrebbe essere adeguato alle norme vigenti ma tratterebbe le sole acque<br />
della rete di drenaggio urbano. In questa ottica l’acqua proveniente dalla fogna nera<br />
continuerebbe ad essere trattata dal depuratore di <strong>Taranto</strong>-Bellavista.<br />
50
5.2.1.3. La linea ferroviaria <strong>Taranto</strong>-Bari<br />
Tra i punti critici come già detto in questo lavoro ci sono le intersezioni della rete con le vie<br />
di comunicazione. Il caso della linea ferroviaria <strong>Taranto</strong>-Bari ne è certo un esempio<br />
importante. Al momento del sopralluogo, la zona sottostante il ponte della linea era<br />
sottoposta ai lavori di manutenzione delle opere di difesa idraulica a seguito dei fenomeni<br />
alluvionali dei mesi scorsi. Questa è stata la dimostrazione tangibile di un passato in cui è<br />
stato scarso l’interesse per la difesa dell’equilibrio idrogeologico del territorio. Ha sorpreso<br />
come gli effetti dell’alluvione si siano fatti sentire anche a notevole distanza di Massafra o<br />
dell’attraversamento della SS.106 sul fiume Lato in cui i danni erano stati ingenti.<br />
Fig.4 –L’’attraversamento ferroviario della linea <strong>Taranto</strong>-Bari<br />
51
5.2.1.4. L’area industriale<br />
L’intero corridoio in esame è soggetto passivo di una aggressione industriale che perdura<br />
da decenni. La problematica è molto più complessa di quella che può sembrare<br />
dall’esterno. Le cause dell’inquinamento non sono connesse solo al siderurgico ma anche<br />
alla presenza di diverse cave, discariche ed insediamenti di industrie di smaltimento di<br />
rifiuti radioattivi.<br />
Fig.5 - Zona industriale<br />
Siti ex Cemerad ed ex Matra<br />
Dalle interviste effettuate ai cittadini di Statte, si è venuti a conoscenza dell’esistenza di<br />
due insediamenti industriali, ora dismessi, specializzati nel trattamento di rifiuti nocivi e<br />
radioattivi. La fase di bonifica è cominciata, ma è recente la notizia del rinvenimento di<br />
fusti di rifiuti in cattivo stato di conservazione.<br />
Cave<br />
52
Percorrendo la strada che congiunge Statte al quartiere Tamburi si incontrano molte cave.<br />
Tra di esse ci sono quella della Italcave, della Calcestruzzi e dell’Ilva. Particolarmente<br />
interessante è il caso di quest’ultima che è situata ai margini della gravina. Il sito viene<br />
utilizzato per estrarre materiale calcareo da utilizzare per la produzione dell’acciaio e come<br />
deposito materiali del siderurgico.<br />
Discariche<br />
Alcune vecchie cave, in uso fino a pochi anni fa e ora dimesse, sono state trasformate in<br />
discarica. Una di esse è situata molto vicino alla gravina e ai campi coltivati dal versate del<br />
comune di Massafra e le altre sono destinate allo stoccaggio dei rifiuti dell’Ilva, ma il caso<br />
che ha fatto più scalpore è stato sicuramente quello che è passato nell’ultimo periodo sulle<br />
cronache locali. Nella zona delle cave sulla strada per i Tamburi sorge una discarica che<br />
da tempo accettava rifiuti speciali provenienti dalla Campania. Dalle interviste i cittadini<br />
hanno descritto lo stato di disagio dovuto ai cattivi odori provenienti dal sito soprattutto<br />
nelle ore notturne. La protesta dei cittadini è sfociata spontaneamente in un sit-in davanti<br />
alla discarica. In seguito ai controlli richiesti, si è accertato che la discarica aveva tutte le<br />
autorizzazioni del caso ma la popolazione è rimasta colpita da quello che ancora succede<br />
nelle vicinanze delle proprie case senza che possano sapere e fare nulla. Sono tutt’ora in<br />
corso dei ricorsi alle autorità.<br />
ILVA Laminati piani<br />
Oltre ai cattivi odori che i cittadini intervistati sentivano nell’ultimo periodo per la questione<br />
della discarica non venivano citati quelli provenienti dall’ILVA non perché non si sentono<br />
ma perché ormai la popolazione è abituata.<br />
Come hanno confermato anche gli abitanti intervistati a Paolo VI l’aria malsana<br />
proveniente dal siderurgico arriva al rione Tamburi, a Paolo VI o a Statte in base alla<br />
direzione in cui spira il vento. Certo la situazione di Statte è migliore rispetto a quella del<br />
rione Tamburi poiché il paese è situato dalla parte opposta rispetto ai criticatissimi parchi<br />
minerali, ma, anche qui i danni ambientali sono evidenti nell’incidenza delle patologie alle<br />
vie respiratorie e nello stato di salute delle piante nella zona prossima al siderurgico.<br />
53
Fig.6 – La zona industriale vista da Statte<br />
Fig.7 – Il parcheggio dello stabilimento ILVA Laminati Piani S.P.A.<br />
54
Fig.8 –Dissesto della SS.106 sulla Confluenza Tara-Stornara e palude del fiume Tara<br />
5.2.1.5. Attraversamento della SS. 106 sul canale dello Stornara e Tara.<br />
Un altro punto molto critico della rete è quello dell’attraversamento del ponte sul canale<br />
dello Stornara e Tara. Proprio in questo punto le acque dello Stornara si uniscono a quelle<br />
del Tara e la portata complessiva aumenta notevolmente.<br />
Fig.9 - Confluenza Tara-Stornara<br />
55
A monte ci sono delle chiuse che però non sembrano in buono stato d’uso. In<br />
corrispondenza della strada, inoltre, da anni mancano opere di difesa che tentino di<br />
risolvere il problema delle piene del fiume. In tempi recenti, le azioni si sono limitate solo a<br />
fissare delle gabbionate che puntualmente cedono. Il risultato sono gli allagamenti sempre<br />
più frequenti del tratto di strada soprastante. Dall’intervista fatta al professor Mastrorilli è<br />
maturata la proposta di individuare una vasca di laminazione a margine del Tara per<br />
contenere le piene. La zona è paludosa e quindi ben si presta ad essere ricettore delle<br />
acque.<br />
Fig.10 – Chiusa del fiume Tara<br />
5.2.1.6. Attraversamento della linea ferroviaria <strong>Taranto</strong>-Reggio Calabria sul fiume<br />
Tara<br />
Uno degli ultimi ostacoli che il fiume Tara deve superare prima di sfociare in mare è la<br />
linea ferroviaria jonica. A causa delle piogge e della depressione dei terreni, durante il<br />
sopralluogo i campi in prossimità del ponte sulla linea ferroviaria jonica erano allagati.<br />
In questo caso vale la pena mettere in evidenza che l’impatto ambientale, rispetto agli altri<br />
casi sembra minore. La situazione va letta in chiave futura. Con il pronosticato aumento<br />
del traffico nel porto, naturalmente si renderà necessario un adeguamento della linea così<br />
come è stato fatto per la <strong>Taranto</strong>-Bari. Questo potrebbe portare nocumento all’equilibrio<br />
56
instabile di un ambiente che anch’esso comincia a risentire della scarsa manutenzione<br />
delle opere di bonifica in seguito a delle annate molto piovose.<br />
Fig.11 – Ponte della linea ferroviaria <strong>Taranto</strong>-Reggio Calabria e stazione abbandonata di Cagioni<br />
5.2.1.7. Lido Azzurro, la foce del fiume Tara e l’insediamento portuale<br />
Il nucleo abitato di Lido Azzurro dipende amministrativamente dal comune di <strong>Taranto</strong> ma,<br />
data la lontananza, paga dazio in termini di scarsità di servizi quali quelli fognari; su questo<br />
problema il comune per sta provvedendo da qualche tempo. L’area originariamente era<br />
paludosa come l’intera zona della costa occidentale dove ora sorgono i centri di<br />
Castellaneta Marina e Ginosa Marina. Durante il ventennio fascista, con le grandi opere di<br />
bonifica, si iniziò a pompare le acque stagnanti per creare terreni agricoli nell’entroterra e<br />
pinete sulla fascia costiera. In questi anni fu istituito il Consorzio di bonifica dello Stornara<br />
e Tara. Le ville che sorgono all’interno della pineta di Lido Azzurro nascono come<br />
abitazioni abusive, come quelle delle altre località balneari della costa. L’esempio<br />
57
eclatante è costituito da un albergo di nuova apertura ottenuto dalla ristrutturazione di un<br />
edificio preesistente, realizzato a pochi metri dal mare come si può notare dalla figura 11.<br />
Oggi, la questione dell’abusivismo ha lasciato il passo a questioni ancora più preoccupanti<br />
come la deviazione del fiume Tara e la costruzione del molo del porto che hanno<br />
deturpato uno dei punti più belli della costa.<br />
Fig.12 - L’abusivismo a Lido Azzurro e la “nuova” foce del Tara<br />
La foce del Tara, in origine era situata dove ora si trova il molo del porto. Anni fa, il<br />
percorso del fiume venne deviato accorciandolo proprio per permetterne l’insediamento.<br />
Venne anche realizzata una traversa sifonata per la creazione di una piccola oasi adatta<br />
alla vegetazione ma, il mescolamento delle acque dolci con quelle salate del mare che si<br />
insinua non hanno dato i frutti sperati. Dal colloquio avuto con il professor Mastrorilli<br />
sembra invece che si siano avuti degli effetti all’inizio imprevisti, ovvero che il molo<br />
intercetti parte della sabbia trasportata dal mare causando un deposito sulla spiaggia di<br />
Lido Azzurro ed una regressione sulla costa orientale.<br />
58
Fig.13 –Foce del Tara<br />
La foce del fiume Tara ora trova sulla sponda a sud il porto ed in corrispondenza della<br />
TCT (<strong>Taranto</strong> Container Terminal) e sulla sponda a nord la spiaggia di Lido Azzurro<br />
coperta dalla folta pineta che da lì prende inizio e continua nella parte di costa fino a<br />
Metaponto.<br />
Il molo del porto, oltre ad essere una zona problematica per ciò che abbiamo visto, lo è<br />
anche in chiave futura. Secondo un addetto che è stato intervistato, successivamente<br />
all’aumento degli scambi nel porto di <strong>Taranto</strong>, in parecchie aree nell’immediato entroterra<br />
nei comuni di <strong>Taranto</strong>, Statte, Massafra, Castellaneta e Ginosa, potrebbero insediarsi<br />
aziende dell’indotto. Questo porterebbe una serie di problematiche da affrontare.<br />
In primo luogo bisognerebbe cambiare l’uso del suolo che in quella zona è agricolo.<br />
Questo determinerebbe un aumento del traffico con il necessario adeguamento delle<br />
infrastrutture ferroviarie come già detto nel caso della jonica e delle strade magari con il<br />
tanto atteso raccordo autostradale a <strong>Taranto</strong>.<br />
In secondo luogo, con l’urbanizzazione di altro suolo, diventerebbe ancora meno<br />
controllabile l’equilibrio di un suolo già paludoso. A maggior ragione in questo caso<br />
bisognerebbe ripensare a tutta l’opera di canalizzazione che si trova nella zona.<br />
59
Nel caso particolare di Statte, l’area in questione, secondo la vecchia zonizzazione, era<br />
destinata all’autoporto che doveva servire già trenta anni fa allo smistamento delle merci.<br />
Oggi invece ne rimarrebbe inutilizzata una piccola parte, poiché la restante ricade nella<br />
perimetrazione definitiva del Parco della Terra delle Gravine. Bisognerebbe studiare delle<br />
strategie per conciliare, due sistemi completamente diversi.<br />
Fig.14 – Quartiere Paolo VI e SS.172<br />
5.2.1.8. La SS. 172<br />
Nello studio del corridoio che parte dalla gravina Mazzaracchio e termina sulle rive del Mar<br />
Piccolo, l’unico ostacolo rilevato è costituito dalla statale 172 che collega <strong>Taranto</strong> a<br />
Martina Franca. Anche se l’infrastruttura è molto grande, l’impatto con il territorio viene<br />
molto mitigato dal fatto che da entrambi i lati è costeggiata da macchia mediterranea.<br />
5.2.1.9. Quartiere Paolo VI<br />
60
Il quartiere Paolo VI condivide con Statte i motivi della sua espansione. Entrambi<br />
dovevano essere quartieri dormitorio per i lavoratori del siderurgico. Di conseguenza, la<br />
vicinanza alla zona industriale, ha segnato la loro esistenza. Se Statte ha una<br />
concentrazione industriale molto maggiore rispetto a Paolo VI, il quartiere ha anche<br />
problemi dal punto di vista del degrado sociale. Sono molto estese le zone in cui la<br />
popolazione patisce le ristrettezze economiche. Il centro urbano, disposto in maniera<br />
dispersiva, non contribuisce a creare una “vita di quartiere”. Gli abitanti intervistati hanno<br />
sottolineato come alcune zone siano sprovviste servizi e quindi, anche per fare le<br />
provviste quotidiane, bisogna ricorrere all’automobile. Nella zona più vecchia ci sono<br />
alcuni negozi ma di certo questo non si può considerare un centro di aggregazione per la<br />
popolazione.<br />
5.2.2. Zone di potenzialità<br />
Le potenzialità di riqualificazione di una buona percentuale della rete tra Statte e <strong>Taranto</strong>,<br />
risiede sia nelle gravine che costeggiano l’abitato di<br />
Statte, che in quel percorso che parte dalla gravina Mazzaracchio, ultima area centrale<br />
nella perimetrazione del parco delle gravine, ed arriva a Mar Piccolo attraversando il<br />
quartiere Paolo VI.<br />
61
Fig.15 - Le gravine del Triglio e Leucaspide<br />
5.2.2.1. Gravina del Triglio<br />
La Gravina del Triglio divide i territori dei comuni di Statte e Crispiano. La zona, oltre ad<br />
essere una grande “riserva verde” per i centri limitrofi, è<br />
molto importante dal punto di vista archeologico per i suoi insediamenti rupestri e per<br />
l’acquedotto romano.<br />
L'Acquedotto del Triglio è alimentato dalle omonime sorgenti che scaturiscono dal Monte<br />
Crispiano in zona Vallenza presso il Comune di Statte, a 120 metri sul livello del mare ed è<br />
costituito da un sistema di gallerie sotterranee artificiali scavate in un banco roccioso.<br />
Le gallerie sono alimentate da sei sorgenti alcune di esse fossili.<br />
Queste acque sono drenate, attraverso raccordi, in un collettore principale e vengono<br />
convogliate, in una galleria principale che passa sotto la collina Montetermiti, attraversa<br />
Statte in Via Delle Sorgenti, passa nei pressi dell'attuale Casa Comunale, quindi<br />
raggiunge la fontana vecchia e prosegue in direzione di <strong>Taranto</strong> fino ad emergere sotto la<br />
62
masseria La Riccia proseguendo, incanalata in tubi di terracotta poggiati sugli archi, fino<br />
all’entrata del rione Tamburi di <strong>Taranto</strong>.<br />
Le colonne in tufo che emergono in corrispondenza della zona sotterranea dell'acquedotto<br />
e che distano circa 30/40 metri l'uno dall'altro, sono pozzetti di areazione impiegati sia per<br />
l'estrazione dei materiali cavati sia per la pulizia di detriti che tendono ad ostruire le<br />
gallerie.<br />
Dai rilievi ed esplorazioni effettuate dal Gruppo Speleo Statte, si stima che la lunghezza<br />
totale dell'acquedotto sotterraneo si aggiri sui 18km. Fin quando a <strong>Taranto</strong> non arrivò<br />
l’acquedotto, la popolazione usava l’acqua di quello romano che arrivava sino a Piazza<br />
Fontana nella Città Vecchia. Il rumore dell’acqua che scorreva sugli archi assomigliava a<br />
quello dei tamburi e proprio per questo motivo la zona veniva chiamata Tamburi. Da qui le<br />
origini del nome dell’omonimo rione.<br />
L’insediamento rupestre più importante è quello dei monaci basiliani risalente al XIII<br />
secolo.<br />
5.2.2.2. Gravina Leucaspide<br />
La Gravina del Leucaspide, con la Gravina Mazzaracchio, è l’ultima di una serie di<br />
spaccature del terreno carsico che, partendo da una quota di 100 metri s.l.m., formano un<br />
anfiteatro che degrada sulla pianura tarantina affacciandosi sul mare. Le gravine sono<br />
state formate da movimenti tettonici ancora non del tutto chiari e da corsi d’acqua<br />
sotterranei. Tali corsi d’acqua vengono alla luce nei tratti in cui la conformazione geologica<br />
del terreno è più resistente alla sua azione. La sezione della gravina in questo tratto è<br />
costituita da calcare d’Altamura sovrastato per dieci metri da uno strato di calcareniti che<br />
più risentono dell’azione erosiva delle acque.<br />
La Gravina del Leucaspide prende vita dall’unione delle gravine dell’Amastuola a nordovest<br />
rispetto al centro urbano di Statte e quella di Triglie a monte dell’abitato. La gravina<br />
è percorsa da un corso d’acqua che ha portata dipendente esclusivamente dagli eventi<br />
meteorici e che a valle darà vita allo Stornara.<br />
Il territorio della gravina è di notevole importanza oltre che per la sua valenza dal punto di<br />
vista naturale anche per le notevoli testimonianze di civiltà che le ha abitate già più di 2000<br />
anni fa. I ritrovamenti archeologici parlano di comunità di uomini preistorici, pastori e<br />
agricoltori che abitavano la zona. In epoca romana, le sorgenti utilizzate già dalle civiltà<br />
63
precedenti, furono utilizzate per la costruzione di acquedotti di cui ancora si conservano<br />
memorie sulla strada che collega Statte al quartiere Tamburi e in città. Altro aspetto poco<br />
conosciuto è quello degli insediamenti rupestri come le chiese ipogee. Oggi questo tratto<br />
di gravina fa parte del Parco Regionale della Terra delle Gravine appena istituito.<br />
Dal versante della gravina prospiciente il centro abitato, l’accesso è libero e da poco sono<br />
stati creati dei percorsi per visitarne alcuni tratti. La zona è<br />
di certo poco sorvegliata e così non è raro trovare nelle vicinanze resti di auto, materiali da<br />
costruzione abbandonati o siringhe.<br />
Fig.16 – Potenzialità turistiche dei dolmen e delle masserie del territorio di Statte<br />
5.2.2.3. I dolmen<br />
Tra i vari dolmen del comune di Statte, quello più grande sorge nei pressi della masseria<br />
Leucaspide detto "Dolmen di S.Giovanni della Masseria" nel sottobosco a poca distanza<br />
della gravina. E' costituito da quattro grandi lastroni posti di taglio nel terreno e coperto da<br />
una grande lastra.<br />
64
Per dimensioni e per l'interessante materiale rinvenuto questo Dolmen è, dopo quello di<br />
Bisceglie, il più importante della Puglia.<br />
L'altro Dolmen tuttora visibile, dista circa tre chilometri dall'altro, fu trovato nella pineta<br />
della masseria Accetta Piccola ed è posto quasi sul ciglio Ovest della Gravina di<br />
Leucaspide a poco più di un chilometro da Statte. Questo dolmen ha un fascino particolare<br />
che gli deriva dalla sua morfologia e dalla sua posizione: si trova infatti quasi sull'orlo della<br />
gravina immerso nella pineta. I membri dell’associazione Turismo Giovanile e Sociale che<br />
operano a <strong>Taranto</strong>, intervistati per riflettere sul potenziale turistico del territorio hanno<br />
confermato che l’area è poco curata e per nulla pubblicizzata dagli enti locali.<br />
5.2.2.4. Le masserie<br />
Nel periodo Normanno, quasi tutto il territorio di Statte era sottoposto a vincolo demaniale,<br />
e veniva affittato nel periodo estivo dalla tesoreria del regno per uso pascolativo ai<br />
possessori di greggi di località montane specie lucane, mentre ai signori di <strong>Taranto</strong> era<br />
concesso solo recintarne una piccola parte per il pascolo dei propri greggi. Cominciarono<br />
a sorgere delle recinzioni abusive o difese, che impedivano di fatto il pascolo su parte del<br />
territorio. All'interno di queste difese sorsero case agricole e civili ad uso dei signori e dei<br />
loro coloni. Così nacquero le masserie. Il territorio ne ha molti esempi. Molte sono ancora<br />
attive, altre sono diventate rinomate strutture ricettive, ma parecchie altre ancora sono in<br />
stato di abbandono.<br />
65
Fig.17 – La gravina Mazzaracchio di Statte<br />
5.2.2.5 La Gravina Mazzaracchio<br />
La gravina Mazzaracchio è l’ultima “macchia” prevista dalla perimetrazione definitiva del<br />
parco delle gravine. La sua particolarità non si trova tanto nelle sue caratteristiche naturali,<br />
poiché meno”pregiata” rispetto a quello del Triglio e di Leucaspide, quanto alla presenza di<br />
numerose masserie (come la masseria Tudisco in figura 17) e aziende agricole. Inoltre, la<br />
gravina è il punto di partenza del corridoi ecologico che termina al Mar Piccolo<br />
attraversando il quartiere Paolo VI.<br />
5.2.2.6. Il Parco del Mirto nel Quartiere Paolo VI<br />
Come hanno dichiarato i cittadini di Paolo VI intervistati, il quartiere risente molto della<br />
vicinanza all’ILVA, ma allo stesso tempo non ha i problemi di traffico caratteristici della<br />
città. Risulta troppo grande e mal servito. Manca un centro di aggregazione anche se da<br />
qualche anno è fruibile il Parco de Mirto. Il quartiere ha parecchie zone verdi, ma nessuna<br />
attrezzata. In origine, anche il Parco del Mirto era una di queste. Il presidente del comitato<br />
66
ProAm (Progetto Ambiente) durante l’intervista riferiva che l’area in questione era usata<br />
come discarica a cielo aperto. Col passare del tempo, un gruppo di persone, che erano<br />
solite passeggiare nelle vicinanze iniziò a curare l’area. In seguito a degli studi condotti da<br />
esperti, sono state scoperte una piccola sorgente sotterranea che per poche decine di<br />
metri viene alla luce e numerose piante rare tra cui un mirto di oltre duecento anni. Oggi, a<br />
seguito dell’interessamento dell’amministrazione comunale, l’area è stata ampliata a 10<br />
ettari comprendendo una ex pista ciclabile in disuso. Il parco in seguito verrà attrezzato<br />
con punti di ristoro e vigilanza. I progetti futuri sono quelli di creare altre aree attrezzate in<br />
corrispondenza dei nidi di gazze che sono frequenti nella zona.<br />
Fig.18 – Il Parco del Mirto<br />
5.2.2.7. Il Mar Piccolo<br />
Il corridoio ecologico trova la sua fine naturale sulle rive del Mar Piccolo. L’immediato<br />
entroterra è caratterizzato da coltivazioni estensive e ulivi e masserie. La zona è<br />
affascinante dal punto di vista panoramico e vede un’ulteriore sua ricchezza in alcuni<br />
edifici oggi in via di ristrutturazione situati in corrispondenza del secondo seno: la masseria<br />
S.Pietro e il Convento dei Battendieri.<br />
67
La masseria S.Pietro, risale al periodo romanico, lo testimonia l’antica cappella annessa.<br />
Nel corso dei secoli la struttura ha cambiato più volte la sua destinazione d’uso, da<br />
carcere, a caserma a deposito. Nei sotterranei<br />
sono stati scoperti degli acquedotti romani e un capitello in ottimo stato di conservazione. I<br />
lavori in corso, finanziati da privati, sono mirati ad ampliare la struttura con metodologia<br />
costruttiva fedele a quella originale (senza cemento armato!) e a realizzare una struttura<br />
turistica.<br />
Proprio sulle rive del secondo seno, in corrispondenza della venuta alla luce del torrente<br />
Cervaro, sorge il convento dei Battendieri, così chiamato poiché i monaci che vi abitavano<br />
”battevano la lana” per le comunità residenti nella zona. La struttura che fino a pochi anni<br />
fa era deturpata da scarichi di ogni tipo, oggi, a seguito di investimenti privati è diventato<br />
un circolo in cui si svolgono diverse attività tra cui quella balneare.<br />
Fig.19 - Mar Piccolo - Masseria S.Pietro e convento dei Battendieri<br />
Proseguendo la Circummarpiccolo in direzione del centro urbano di <strong>Taranto</strong>, si giunge al<br />
canale D’Ajedda e all’oasi del WWF della Palude La Vela.<br />
68
Dal 1993 la palude è divenuta rifugio del WWF, che ne cura la gestione e la conservazione<br />
ambientale.La palude “La Vela” è un’area paludosa situata a 7-8 km da <strong>Taranto</strong>. La<br />
superficie generale dell'area compresa nell'Oasi di Protezione Palude La Vela, istituita con<br />
Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 424 del 29.06.1990, ammonta a<br />
complessivi 242 ettari. Il cuore dell'Oasi, la palude in senso stretto, invece, copre<br />
un'estensione di circa sette ettari; questa comprende un'area paludosa ed una pineta<br />
costituita da Pino d’Aleppo (Pinus halepensis). Quest’ultima, denominata la pineta “di<br />
Fucarino”, fu piantata dagli inglesi (per motivi militari) negli anni 60.<br />
Fig.20 - Mar Piccolo –Mitilicoltura e canale D’Ajedda<br />
La vegetazione è quella caratteristica delle zone paludose, ma Il motivo principale per cui<br />
la Palude La Vela è stata dichiarata oasi di protezione è la sua avifauna. Durante molti<br />
anni di avvistamento e di attente documentazioni si è potuto stilare una lista degli uccelli<br />
che si è avuto l'occasione di incontrare in tale ambiente anche in relazione al periodo<br />
dell'anno: cormorani, cormorani, falchi di palude, alzavole, marzaiole, chiurli, svassi,<br />
volpoche, fenicotteri, gru e cicogne nere.<br />
69
Fig.21 – Palude La Vela<br />
Fig.22 – Palude La Vela<br />
Fig.17 – Collocazione della Palude La Vela, del torrente Cervaro e della masseria S.Pietro<br />
70
5.3. Riepilogo<br />
71
A margine della discussione sulle criticità e delle potenzialità del corridoio in questione<br />
possiamo riepilogare tutto con il seguente schema.<br />
Legenda: Nuclei zone da riconnettere aree urbanizzate aree in pericolo direzioni delle azioni mirate alla<br />
riconnessione<br />
Fig.19 - Schema di riepilogo sulla situazione del corridoio<br />
Nelle zone colorate di rosso sono rappresentate le aree antropizzate che hanno di fatto<br />
frammentato la rete com’è stato spiegato in precedenza. A margine di questa zona ormai<br />
compromessa ci sono le gravine e la l’intera fascia alle spalle della pineta da preservare<br />
dall’aggressione di una ulteriore urbanizzazione o industrializzazione (in blu). Al contrario<br />
invece, bisogna cercare delle soluzioni affinché queste zone possano riconnettersi tra loro<br />
e allo zoccolo duro della rete (frecce celesti) costituito dalla pineta (in verde) sulla costa e<br />
dai boschi a nord di Statte.<br />
5.4. Proposte<br />
72
Le proposte a margine del lavoro sono il risultato della riflessione svolta anche con gli<br />
intervistati.<br />
Gli obiettivi che ci si dovrebbe proporre sono:<br />
1. riconnettere la rete attraverso un corridoio trasversale Statte-Paolo VI alla gravina<br />
Leucaspide;<br />
2. bonificare le aree inquinate e degli insediamenti dismessi;<br />
3. migliorare l’assetto idrogeologico;<br />
4. recuperare le cave;<br />
5. proteggere le aree tutelate e le zone limitrofe;<br />
6. predisporre strumenti efficaci di pianificazione per gli insediamenti portuali;<br />
7. bonificare e delocalizzare il depuratore di Statte;<br />
8. rilanciare il turismo.<br />
Queste proposte potrebbero attuarsi attraverso azioni quali:<br />
1. nel corridoio che collega Statte e Paolo VI realizzare, partendo dalle attività in esso<br />
già presenti, un parco agricolo per il tempo libero pensato per favorire la<br />
riconnessione degli elementi naturali, oggi tra loro ancora debolmente legati, dove<br />
sostenere coltivazioni di qualità e avviare attività all’aperto;<br />
2. monitoraggio continuo sui siti a più alto impatto ambientale e progetti di bonifica con<br />
partecipazione dei privati che vogliono creare nuovi insediamenti industriali nella<br />
zona;<br />
3. realizzazione di una vasca di laminazione per la raccolta delle acque durante eventi<br />
di piena in corrispondenza della SS.106;<br />
4. creazione di parchi o centri di aggregazione protetti in luogo delle cave dismesse<br />
(come già è stato fatto per il teatro Leucaspide a Statte al posto di una antica cava);<br />
5. impedire l’aggressione agricola di nuove aree naturali e legiferare a sostegno delle<br />
aree del Parco delle Gravine posizionati vicino alle aree più critiche dal punto di<br />
vista ambientale;<br />
6. pianificare lo sviluppo retroportuale e chiedere ai nuovi investitori partecipazione<br />
economica alle opere di bonifica del territorio per le concessioni;<br />
7. delocalizzazione del depuratore in un sito in cui l’impatto ambientale sia minore e i<br />
reflui possano essere riutilizzati;<br />
8. creazione di itinerari turistici che possano coinvolgere l’intera rete ecologica<br />
provinciale, partendo dai luoghi più conosciuti quali le gravine di Massafra, l’oasi di<br />
73
Laterza e il quartiere delle ceramiche di Grottaglie con quelli ancora “da scoprire” di<br />
Statte e del Mar Piccolo.<br />
5.5. Il progetto<br />
Partendo dall’analisi fin qui svolta, emerge come il recupero della gravina richieda politiche<br />
complesse e ingenti risorse e nonostante ciò, rimaranno ampie zone di questo territorio<br />
irrecuperabili almeno nell’immediato futuro. Tuttavia piccoli passi verso il recupero<br />
possono compiersi. Da una lettura incrociata tra mappe delle zone di criticità e potenzialità<br />
si evince che è proprio il depuratore uno di quei piccoli passi. Infatti, per come detto, esso<br />
sarà recuperato alla depurazione delle acque di drenaggio urbano il cui uso per usi agricoli<br />
appare, data la sua localizzazione, problematico, mentre esistono gia a nord-est di<br />
<strong>Taranto</strong> verso Paolo VI attività agricole biologiche la cui diffusione potrebbe essere<br />
sostenuta proprio da un impianto di questo tipo.<br />
Questa tesi propone dunque un progetto di un parco agricolo/corridoio che riconnetta le<br />
gravine di Leucaspide e Mazzaracchio al centro abitato di Paolo VI. Come accennato in<br />
precedenza, nei cunei non urbanizzati, si potrebbe realizzare un parco agricolo dove dare<br />
vita a coltivazioni biologiche e per il tempo libero adeguatamente progettato per favorire il<br />
ricongiungimento degli elementi ambientali. Questo progetto si articola in poche proposte<br />
tra loro integrate: bonificare l’attuale sito del depuratore e ricucire la frattura della<br />
continuità ambientale da esso creata. Le risorse potrebbero in parte recuperarsi dai fondi<br />
disponibili per recuperare il depuratore esistente e in parte richiedendo sulla base del<br />
principio “chi inquina paga” di destinare una quota degli oneri pagati dalle aziende che si<br />
insediano nella area distripark (ciò è già avvenuto nel caso del porto di Rotterdam) alla<br />
bonifica dell’area del depuratore.<br />
74
REGIONE PUGLIA<br />
Assessorato Formazione Professionale<br />
ENTE SCUOLA EDILE TARANTO<br />
<strong>Corso</strong> di formazione<br />
“TECNICO DELL’AMBIENTE”<br />
LA GESTIONE DEI RIFIUTI<br />
Di:<br />
Scardicchio Christian<br />
Fedullo Alessandro<br />
Arcadio Francesca<br />
Raffaele Cristiano Maria<br />
Sergio Umberto<br />
75
Premessa<br />
………………………...................Cassonetti, campane per la raccolta differenziata,<br />
discariche, inceneritori, recupero, riciclaggio, riutilizzo; tutti termini con cui ogni giorno<br />
abbiamo a che fare e che dovremmo conoscere approfonditamente. Spesso, al contrario,<br />
abbandoniamo il sacchetto dei rifiuti senza pensare che ciò che abbiamo lasciato<br />
possiamo “stranamente” ritrovarcelo nella vita di tutti i giorni! E' senz'altro vero che,<br />
all'aumentare del tenore di vita, aumentano anche i rifiuti prodotti.<br />
Storicamente il problema rifiuti nasce in Italia con il boom economico degli anni '60-'70 e la<br />
conseguente gestione è stata una continua ed affannosa rincorsa.<br />
1. Cosa sono i rifiuti.<br />
I rifiuti sono principalmente il prodotto dell’attività industriale e umana. E’ solo da un<br />
secolo o giù di lì che l’accumularsi di prodotti industriali non voluti ha portato a considerare<br />
76
i rifiuti come un problema grave che è ulteriormente peggiorato con l’incremento della<br />
popolazione e l’aumento del benessere.<br />
Possiamo classificare i rifiuti in tre classi principali:<br />
1. Rifiuti derivanti (direttamente o indirettamente) dai combustibili fossili: gas<br />
nell’atmosfera (biossido di carbonio, metano, particolato, ecc.) solidi come plastica,<br />
carta, metalli, inerti, ecc.<br />
2. Rifiuti derivanti dal metabolismo umano o dall’attività dell’industria alimentare:<br />
liquami, avanzi vegetali e animali, oli, ecc.<br />
3. Rifiuti nucleari (detti anche “scorie”)<br />
In particolare possiamo distinguere:<br />
1) Rifiuti gassosi. Si tratta principalmente di prodotti della combustione dei combustibili<br />
fossili e dei loro derivati. Questi rifiuti possono arrecare danni immensi e hanno il doppio<br />
svantaggio di non essere controllabili e di essere spesso invisibili e non percepibili<br />
dall’uomo. Esempi sono dati da:<br />
- Biossido di carbonio (CO2), prodotto inevitabile della combustione degli idrocarburi.<br />
- Prodotti della combustione incompleta. Radicali organici, diossina, particolato e altri<br />
prodotti.<br />
2) Rifiuti liquidi. Costituiti da sottoprodotti industriali e prodotti del metabolismo umano e<br />
animale.<br />
- Prodotti della lavorazione degli idrocarburi. Solventi, sgrassanti, lubrificanti, insetticidi,<br />
eccetera. Entrano nella biosfera in quantità e finiscono con l’accumularsi nei corsi<br />
d’acqua e nelle falde acquifere raggiungendo in ultimo il mare.<br />
- Soluzioni di metalli pesanti. Risultanti dell’industria estrattiva e manufatturiera. Quasi<br />
tutti i metalli pesanti sono potenti veleni metabolici e si accumulano progressivamente<br />
nei corpi umani e animali causando danni per il momento difficili a stimare ma che<br />
potrebbero essere molto gravi.<br />
77
- Fertilizzanti. (fosfati, nitrati e altro) Prodotti in quantità immense dall’industria chimica e<br />
estrattiva, queste sostanze vengono dilavate dalle pioggie e si accumulano nei mari.<br />
3) Rifiuti solidi. Il fatto stesso di essere solidi li rende visibili e quindi percepiti come un<br />
problema ben maggiore di quello che in effetti sono. Si parla spesso della necessità di<br />
“ridurre il volume” dei rifiuti solidi.<br />
- Rifuti solidi inorganici o inerti: carta, plastica, tessuti, ceramiche, residui di<br />
costruzione. Tutti questi rifiuti derivano o direttamente dai combustibili fossili<br />
(plastica) o indirettamente (carta, inerti, ecc.)<br />
- Rifiuti solidi biologici. Deiezioni organiche umane e animali, rifiuti di cibo, biomassa<br />
agricola di scarto. Danno un problema di volumi, in aggiunta sono soggetti alla<br />
degradazione batterica per cui possono dare cattivi odori e, occasionalmente,<br />
produrre liquami.<br />
- 3.1 In base alla provenienza i rifiuti solidi si distinguono in Rifiuti solidi Urbani e<br />
Rifiuti Speciali ed in base alle caratteristiche in Rifiuti pericolosi (Rup) e non pericolosi<br />
2. Cosa fare dei rifiuti.<br />
L’atteggiamento degli esseri umani nei riguardi dei rifiuti da loro stessi prodotti è spesso<br />
uno di completo “rifiuto.”<br />
Alla luce di quanto fin qui esposto, proseguiremo con l’inquadramento della situazione<br />
“rifiuti” nel nostro Paese con una particolare attenzione a quello che avviene attualmente<br />
nella nostra Regione. Oggi, in Italia la produzione annua complessiva di rifiuti raggiunge<br />
31,5 milioni di tonnellate; ciò vuol dire che ogni cittadino, compresi i neonati, produce 1,5<br />
kg di rifiuti al giorno (dato 2006). Di questi, solo il 22,7%, (pari a 7067 t nel 2004) e il<br />
24,3% , (pari a 7697 t nel 2005) hanno seguito la strada del riciclaggio. Dalle cifre appena<br />
enunciate si osserva come gli scarti e gli avanzi riciclabili sono 1/3 di tutti i rifiuti che<br />
produciamo, eppure il 90% dei rifiuti complessivi finisce in discarica, che rimane la forma<br />
di smaltimento più diffusa con una media tra le più alte in Europa.<br />
78
3. LA GESTIONE DEI RIFIUTI<br />
Per gestione dei rifiuti si intende l'insieme delle politiche volte a gestire l'intero processo<br />
dei rifiuti, dalla loro produzione fino alla loro sorte finale, e coinvolgono quindi: la raccolta,<br />
il trasporto, il trattamento (riciclaggio o smaltimento) e anche il riutilizzo dei materiali di<br />
scarto, solitamente prodotti dall'attività umana, nel tentativo di ridurre i loro effetti sulla<br />
salute dell'uomo e sull'ambiente. La strategia adottata dall'Unione Europea e recepita in<br />
Italia con il DL Ronchi del '97 (sostituito con il DL 152/06 Parte IV) affronta la questione dei<br />
rifiuti delineando priorità di azioni all'interno di una logica di gestione integrata del<br />
problema.<br />
Le soluzioni per la gestione dei rifiuti sono:<br />
• riduzione (prevenzione)<br />
• riuso<br />
• riciclaggio<br />
• incenerimento (o termovalorizzazione)<br />
• smaltimento in discarica<br />
I sistemi più efficaci per la gestione dei rifiuti sono quelli basati sulla riduzione dei rifiuti e<br />
sul loro riuso (tecnicamente definito reimpiego), in cui una volta terminato l'utilizzo di un<br />
oggetto esso non va ad aumentare la mole dei rifiuti, ma dopo un semplice processo di<br />
pulizia viene utilizzato nuovamente senza che i materiali di cui è composto subiscano<br />
trasformazioni. L'esempio tipico è quello delle bottiglie in vetro come contenitori di latte ed<br />
acqua, che invece di essere frantumate possono essere riempite nuovamente senza<br />
passare per costosi (soprattutto da un punto di vista ambientale) processi di<br />
trasformazione. La mancanza per molti stati di politiche di sostegno del riuso con incentivi<br />
e disincentivi, fanno sì che al giorno d'oggi la gran parte dei contenitori, delle confezioni e<br />
degli imballaggi sia invece ancora costituita da plastica e carta e non possa quindi essere<br />
riutilizzata. La scelta delle imprese è ovviamente una scelta economica che cade<br />
inevitabilmente su questi prodotti dal costo finanziario ridotto, anche se dall'elevato<br />
impatto ambientale. Pertanto, se il primo livello di attenzione è rivolto alla necessità di<br />
prevenire la formazione dei rifiuti e di ridurne la pericolosità, il passaggio successivo<br />
riguarda l'esigenza di riutilizzare i prodotti (es. bottiglie) e, se non è possibile il riuso,<br />
riciclare i materiali (es. riciclaggio della carta). Infine, solo per quanto riguarda il materiale<br />
79
che non è stato possibile riutilizzare e poi riciclare (come ad esempio il polistirene, i<br />
tovaglioli di carta) e il sottovaglio (ovvero la frazione in piccoli pezzi indistinguibili e quindi<br />
non riciclabili di rifiuti, che rappresenta circa il 15% del totale), si pongono le due soluzioni<br />
dell'incenerimento con recupero energetico o lo smaltimento in discarica. Dunque anche in<br />
una situazione ideale di completo riciclo e recupero vi sarà una buona percentuale di rifiuti<br />
residui da smaltire in discarica o da incenerire per eliminarli e recuperare l'energia. Da un<br />
punto di vista ideale il ricorso alle discariche (in primis) ed all'incenerimento indifferenziato<br />
dovrebbe essere limitato al minimo indispensabile. Purtroppo la carenza di efficaci<br />
politiche integrate di riduzione, riciclo e riuso fanno dello smaltimento in discarica ancora la<br />
soluzione primaria applicata.<br />
Il trattamento dei rifiuti consiste nell'insieme di tecniche volte ad assicurare che i rifiuti,<br />
qualunque sia la loro sorte, abbiano il minimo impatto sull'ambiente. Scopo della maggior<br />
parte dei processi di trattamento a freddo dei rifiuti residui (ossia i rifiuti che rimangono<br />
dopo aver attuato le migliori pratiche per la raccolta differenziata) è di ridurre il volume del<br />
materiale in vista dello smaltimento finale e di stabilizzare i rifiuti.<br />
4. Riciclaggio dei rifiuti<br />
Per riciclaggio dei rifiuti si intende tutto l'insieme di strategie volte a recuperare i rifiuti per<br />
riutilizzarli evitando di smaltirli in altro modo. La crescita dei consumi e l'urbanizzazione<br />
degli ultimi decenni hanno da un lato aumentato la produzione dei rifiuti e dall'altro ridotto<br />
le zone disabitate in cui trattare o depositare i rifiuti. La società moderna oggi si trova<br />
quindi costretta gestire una grande quantità di rifiuti in spazi sempre più limitati. Una<br />
situazione in cui si alimenta anche il traffico e lo smaltimento illegale dei rifiuti. L'uso delle<br />
discariche rimanda al futuro il problema e non si presta come unica soluzione permanente,<br />
inoltre, rischia di creare grandi concentrazioni di rifiuti tossici con inevitabili conseguenze<br />
sull'ambiente e la salute pubblica.<br />
Il riciclo è una strada sicuramente più complessa della logica di smaltimento in discarica o<br />
negli inceneritori. Si deve comunque premettere che il sistema del riciclaggio non esclude<br />
la presenza delle discariche o dei termovalorizzatori bensì ne limita il ricorso. Con il<br />
concetto di sistema di riciclaggio si intende un approccio che deve necessariamente<br />
operare sull'intero processo produttivo e non soltanto sulla fase finale di smaltimento dei<br />
rifiuti; questo comporta:<br />
80
a) per la produzione dei beni, l'uso di materiali biodegradabili che facilitano lo smaltimento<br />
"naturale" della materia nel momento in cui il prodotto si trasforma in rifiuto<br />
b) l'uso di materiali riciclabili come il vetro, i metalli o polimeri selezionati, evitando anche i<br />
materiali accoppiati, più difficili (se non impossibili) da riciclare<br />
c) la "raccolta differenziata" dei rifiuti, per facilitare il riciclaggio dei materiali, passaggio<br />
fondamentale del processo.<br />
In questo modo la separazione dei materiali riduce i costi di ritrattamento. Per realizzare<br />
una raccolta differenziata efficace è di grande importanza la fase di differenziazione<br />
attuata dai singoli utenti. Il riciclaggio apre un nuovo mercato in cui nuove piccole e medie<br />
imprese recuperano i materiali riciclabili per rivenderli come materia prima o semilavorati<br />
alle imprese produttrici dei beni. Un mercato che si traduce pertanto in nuova<br />
occupazione.<br />
Il riciclaggio è stato spesso criticato per:<br />
• i costi ambientali del processo della trasformazione dei rifiuti<br />
• il basso rendimento nella quantità delle materie prime ottenute<br />
• la bassa qualità dei prodotti finali<br />
Un'ulteriore critica è stata che per come è stato pubblicizzato tra la popolazione, ha diffuso<br />
l'idea che esso giustifica condotte consumistiche.<br />
Le materie prime che possono essere riciclate sono:<br />
• legno<br />
• vetro<br />
• carta e cartone<br />
• i tessuti<br />
• gli pneumatici<br />
• l'alluminio<br />
• l'acciaio<br />
• alcune materie plastiche<br />
81
5. Normativa sui rifiuti<br />
5.1 Livello nazionale<br />
Il D.P.R. 10/09/1982 n° 915 recante “Attuazione del le Direttive CEE n°75/442 relativa ai<br />
rifiuti, n°76/403, relativa allo smaltimento dei po liclorodifenili e dei policlorotrifenili, n°<br />
78/319 relativa ai rifiuti tossici e nocivi costituisce il primo intervento organico della<br />
disciplina dello smaltimento dei rifiuti. Il decreto recepisce un concetto fondamentale della<br />
normativa comunitaria in materia di tutela dell’ambiente, indicato con la soluzione “chi<br />
inquina paga”, sancito nell’articolo 15 della Direttiva 75/442/ CEE, alla stregua del quale i<br />
costi dello smaltimento dei rifiuti devono ricadere sul produttore o sul detentore degli<br />
stessi. Il Decreto Ronchi ha recepito in toto i principi comunitari in materia di rifiuto, di<br />
riutilizzo e, abrogando il D.P.R. 915/1982, ha mirato alla prevenzione della produzione dei<br />
rifiuti, al loro massimo recupero e riutilizzo in ulteriori cicli produttivi ed allo smaltimento<br />
protetto. Già il D.Lgs. 22/1997 definiva come rifiuto “ qualsiasi sostanza od oggetto che<br />
rientra nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi.”. Ora questa<br />
disposizione, di cui l’abrogato art. 14 del D.L.138/2002, convertito, aveva fornito<br />
interpretazione autentica, è contenuta nell’art. 183 del D.Lgs. 152/2006. Tra i contenuti<br />
forniti dall’art. 183 del Codice dell’Ambiente una novità è rappresentata dalla definizioni di<br />
sottoprodotti, per cui si intendono” i prodotti dell’attività dell’impresa che, pur non<br />
costituendo l’oggetto dell’attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo<br />
industriale dell’impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impegno o al consumo”.<br />
Vengono di seguito riportati gli articoli della Legge Finanziaria del 2007, riguardanti il<br />
settore dei rifiuti. In particolare sono affrontati temi inerenti gli obblighi dei gestori di rifiuti,<br />
raggiungimento dei limiti per la raccolta differenziata.<br />
(Obbligo per i gestori del servizio di smaltimento dei rifiuti di comunicare ogni anno<br />
all'Agenzia delle entrate i dati acquisiti rilevanti ai fini delle imposte sui redditi)<br />
Art. 106. I soggetti che gestiscono, anche in regime di concessione, il servizio di<br />
smaltimento dei rifiuti urbani comunicano annualmente per via telematica all'Agenzia delle<br />
entrate, relativamente agli immobili insistenti sul territorio comunale per i quali il servizio e'<br />
istituito, i dati acquisiti nell'ambito dell'attivita' di gestione che abbiano rilevanza ai fini delle<br />
imposte sui redditi.<br />
(Individuazione obiettivi percentuali minimi di raccolta differenziata dei rifiuti ed eventuale<br />
nomina di un commissario ad acta)<br />
82
Art. 1108. Al fine di realizzare rilevanti risparmi di spesa ed una piu' efficace utilizzazione<br />
delle risorse finanziarie destinate alla gestione dei rifiuti solidi urbani, la regione, previa<br />
diffida, provvede tramite un commissario ad acta a garantire il governo della gestione dei<br />
rifiuti a livello di ambito territoriale ottimale con riferimento a quegli ambiti territoriali ottimali<br />
all'interno dei quali non sia assicurata una raccolta differenziata dei rifiuti urbani pari alle<br />
seguenti percentuali minime<br />
a) almeno il quaranta per cento entro il 31 dicembre 2007;<br />
b) almeno il cinquanta per cento entro il 31 dicembre 2009;<br />
c) almeno il sessanta per cento entro il 31 dicembre 2011.<br />
(Rinvio a decreto per individuazione percentuale minima di raccolta differenziata per gli<br />
anni successivi al 2011)<br />
Art. 1109. Per gli anni successivi al 2011, la percentuale minima di raccolta differenziata<br />
da assicurare per i fini di cui al comma 1108 e' stabilita con decreto del Ministero<br />
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per<br />
i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, in vista di<br />
una progressiva riduzione della quantita' di rifiuti inviati in discarica e nella prospettiva di<br />
rendere concretamente realizzabile l'obiettivo "Rifiuti zero".<br />
(Destinazione di risorse per la realizzazione di un sistema integrato per il controllo e la<br />
tracciabilita' dei rifiuti)<br />
Art. 1116. Per l'anno 2007 una quota non inferiore a 5 milioni di euro delle risorse del<br />
Fondo unico investimenti per la difesa del suolo e tutela ambientale del Ministero<br />
dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, iscritte a bilancio ai sensi dell'articolo<br />
1, comma 1, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, e' riservata in sede di riparto alla<br />
realizzazione di un sistema integrato per il controllo e la tracciabilita' dei rifiuti, in funzione<br />
della sicurezza nazionale ed in rapporto all'esigenza di prevenzione e repressione dei<br />
gravi fenomeni di criminalita' organizzata nell'ambito dello smaltimento illecito dei rifiuti.<br />
5.1.1 Il Parlamento Europeo sconfessa il Testo Unico..<br />
Il 15 febbraio 2007 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione su una strategia<br />
tematica per il riciclaggio dei rifiuti, che sembra scritta apposta per sconfessare le<br />
“invenzioni” italiane contenute nel testo unico ambientale n° 152 /2006. Infatti,<br />
contrariamente a quanto detto dal Testo Unico, la gerarchia comunitaria ha sempre posto<br />
il riciclaggio ed il recupero come materia in posizione prevalente rispetto al recupero<br />
83
energetico, sottolineando l’ importanza centrale della gerarchia dei rifiuti che stabilisce le<br />
seguenti priorità d’ azione in ordine decrescente: prevenzione-riutilizzo-riciclaggio<br />
materiale-recupero (energia)- smaltimento, finalizzate a ridurre le ripercussioni sulla salute<br />
e sull’ambiente. Resta da capire perché il governo italiano con la famigerata 152/06 ha<br />
tentato di negare tale gerarchia. Ovviamente, questa furbizia italiana aveva come scopo<br />
quello di favorire l’uso del termovalorizzatore e cioè con l’incenerimento con recupero di<br />
energia, ben più che del riutilizzo o del riciclaggio materiale dei rifiuti. Tanto da inserire<br />
addirittura la “termovalorizzazione” dei rifiuti tra le fonti di energia rinnovabile. Oggi il<br />
Parlamento europeo ribadisce che, a livello comunitario, le opzioni salienti sono proprio il<br />
recupero ed il riciclaggio dei rifiuti.<br />
5.2 Livello regionale.<br />
In materia di rifiuti la Regione prevede differenti azioni finalizzate alla loro riduzione in<br />
termini di quantità e pericolosità, tramite l’incremento della raccolta differenziata e il<br />
recupero. A tale scopo, adotta una regolamentazione della gestione dei rifiuti articolata<br />
attraverso un sistema integrato di competenze, nel quale la discarica risulta essere l’ultima<br />
fase del processo.<br />
Alle Regioni è stato attribuito, gia dal decreto Ronchi ed ora dall’art. 196 del D.Lgs.<br />
152/2006, il potere di regolamentare, in ottemperanza ai principi ed alle direttive delle<br />
norme nazionali, tutte le attività inerenti alla gestione dei rifiuti. Lo strumento principale e<br />
generale di coordinamento di tutte le attività regionali di smaltimento è previsto dall’art<br />
.24, comma 1, lett. g) del D.Legs del 18 Agosto 2000, n° 267, recante il testo unico delle<br />
leggi sull’ordinamento degli enti locali, che attribuisce alle Regioni il potere di definire<br />
ambiti sovracomunali per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali, attraverso<br />
forme associative e di cooperazione, previa intesa con gli enti locali interessati. I fini cui la<br />
regolamentazione regionale di piano deve principalmente mirare sono legati alla riduzione<br />
della quantità, del volume e della pericolosità dei rifiuti. Del piano regionale, fanno parte in<br />
maniera integrante, i piani di bonifica attraverso i quali le regioni devono pianificare i vari<br />
interventi di recupero ambientale seguendo un articolato sistema di priorità, agganciato ai<br />
criteri di valutazione del rischio elaborati da i vari enti (ARPA). Al Presidente della<br />
Regione è attribuito il potere di emanare provvedimenti amministrativi quali ordinanze per<br />
fronteggiare situazioni urgenti di particolare degrado.<br />
84
5.3 Livello provinciale<br />
Anche le Province esercitano funzioni di fondamentale importanza nella gestione del ciclo<br />
dei rifiuti, sia in virtù dell’ Art.19 del D.Lgs. 267/2000 che assegna agli enti territoriali<br />
intermedi la organizzazione dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale; sia in virtù<br />
dell’art. 197 del D.Lgs 152/2006, che elenca una serie di peculiari poteri inerenti la<br />
gestione degli stessi. Le Province, sono tenute ad elaborare ed adottare il piano territoriale<br />
di coordinamento dove gli enti intermedi regolano l’assetto del loro territorio. In ultimo, la<br />
Provincia coordina le scelte effettuate dalle autorità comunali nell’ambito della gestioni dei<br />
rifiuti. Anche il Presidente della Provincia è titolare del potere di emanare, nelle materie di<br />
competenza dell’ente intermedio, ordinanze tangibili ed urgenti con le stesse modalità visti<br />
per il Presidente della Giunta Regionale. Con la fine dell’emergenza e del<br />
commissariamento, dal 1 Aprile 2007, le competenze in materia di rifiuti passeranno, dal<br />
Presidente della Regione Nichi Vendola, alle Province di competenza.<br />
5.4 Livello comunale<br />
I comuni hanno compiti importantissimi inerenti la gestione , raccolta e trasporto dei rifiuti<br />
urbani e dei rifiuti assimilati, seguendo i principi dell’efficienza, dell’efficacia e della<br />
economicità. Lo strumento operativo di cui il Comune si deve dotare per ottemperare ai<br />
compiti istituzionali assegnati dalla legge è costituito dal regolamento, i cui contenuti<br />
fondamentali, a norma dell’articolo 198 sono contenuti nel Codice Ambientale. Altro<br />
fondamentale compito attribuito ai comuni è dato dall’esprimere il proprio parere<br />
sull’approvazione dei progetti di bonifica dei siti inquinati rilasciata dalla Regione.<br />
6. Valutazione dei metodi pratici.<br />
Alla luce di quanto detto sopra, vediamo ora di dare una valutazione di massima dei<br />
metodi che vengono usati in pratica per rimuovere i rifiuti solidi dalla vista e dall’olfatto dei<br />
cittadini. Si procederà in ordine approssimato di efficacia, partendo dal pessimo per<br />
arrivare, se possibile, all’ottimo.<br />
85
6.1 Inceneritori.<br />
Gli inceneritori bruciano i rifiuti solidi urbani, ovvero principalmente carta, plastica e<br />
biomassa. Le ultime generazioni possono anche generare elettricità, per questo sono<br />
chiamati da alcuni “termovalorizzatori”. La capacità di produrre elettricità e,<br />
occasionalmente, calore per il riscaldamento domestico, è comunque un’aggiunta recente<br />
a un metodo che è nato principalmente per ridurre il volume dei rifiuti solidi. Si teme molto<br />
l’inquinamento gassoso prodotto dagli inceneritori, ma questo può essere tenuto sotto<br />
controllo con vari accorgimenti, anche se esistono problemi insolubili con le particelle<br />
molto fini. Gli svantaggi dell’inceneritore sono sostanzialmente due: il primo che è costoso,<br />
il secondo che non risolve nessun vero problema. Inoltre, l’inceneritore si trova a<br />
competere con il riciclaggio per le stesse cose: plastica e carta e rischia di trovarsi senza<br />
combustibile qualora si sia instaurato localmente un buon sistema di riciclaggio<br />
Il termine "termovalorizzatore" è tuttavia criticato, in quanto il riuso ed il riciclo sono<br />
nettamente più "valorizzanti" dell'incenerimento: per esemplificare, si risparmia molta più<br />
energia riutilizzando e riciclando una bottiglia di plastica di quanta energia non si ricavi<br />
dalla sua combustione, perché quest' ultima permette di recuperare solo una minima parte<br />
dell'energia e delle materie prime consumate per produrla; d'altro canto – anche in una<br />
situazione ideale di alti valori di riciclo e recupero – è necessario smaltire, eventualmente<br />
anche mediante incenerimento, i rifiuti residui dell'intero processo di gestione dei rifiuti.<br />
Sono inoltre da considerare le emissioni più o meno tossiche che si ottengono con<br />
l'incenerimento, e che invece con il riciclo ed il riuso sono minori anche se difficilmente<br />
valutabili.<br />
6.1.1 Tecnologie di incenerimento<br />
Gli inceneritori più diffusi in Italia ed in Europa sono "a griglie". Il funzionamento di un<br />
termovalorizzatore di questo tipo può essere suddiviso in sette fasi fondamentali:<br />
Arrivo dei rifiuti — Provenienti dagli impianti di selezione opportunamente dislocati sul<br />
territorio (ma anche direttamente dalla raccolta del rifiuto tal quale), i rifiuti sono conservati<br />
in un'area dell'impianto dotato di sistema di aspirazione, per evitare il disperdersi di cattivi<br />
odori. La tecnologia di produzione della frazione combustibile (CDR) e sua<br />
86
termovalorizzazione sfrutta la preventiva disidratazione biologica dei rifiuti seguita dalla<br />
separazione degli inerti (metalli, minerali, ecc.) dalla frazione combustibile, che può essere<br />
termovalorizzata producendo energia elettrica con resa nettamente migliore rispetto<br />
all'incenerimento classico e con una sensibile diminuzione di impatto ambientale.<br />
Combustione — Il forno è, solitamente, dotato di una o più griglie mobili per permettere il<br />
continuo movimento dei rifiuti durante la combustione. Una corrente d'aria forzata viene<br />
inserita nel forno per apportare la necessaria quantità di ossigeno che permetta la migliore<br />
combustione, mantenendo cosí alta la temperatura (fino a 1000 °C e più). Per mantenere<br />
tali temperature, qualora il potere calorifico del combustibile sia troppo basso, talvolta<br />
viene immesso del gas metano in una quantità variabile fra i 4 e 19 m³ per tonnellata di<br />
rifiuti per mantenere questa temperatura.<br />
Produzione del vapore — La forte emissione di calore prodotta dalla combustione di<br />
metano e rifiuti porta a vaporizzare l'acqua in circolazione nella caldaia posta a valle, per<br />
la produzione di vapore.<br />
Produzione di energia elettrica — Il vapore generato mette in movimento una turbina che,<br />
accoppiata ad un motoriduttore ed alternatore, trasforma l'energia termica in energia<br />
elettrica.<br />
Estrazione delle scorie — Le componenti dei rifiuti che resistono alla combustione (circa il<br />
10% del volume totale ed il 30% in peso, rispetto al rifiuto in ingresso) vengono raccolte in<br />
una vasca piena d'acqua posta a valle dell'ultima griglia. Le scorie, raffreddate in questo<br />
modo, sono quindi estratte e smaltite in discariche speciali. Separando preventivamente<br />
gli inerti dalla frazione combustibile si ottiene un abbattimento della produzione di scorie.<br />
Trattamento dei fumi — Dopo la combustione i fumi caldi passano in un sistema multistadio<br />
di filtraggio, per l'abbattimento del contenuto di agenti inquinanti sia chimici che<br />
solidi. Dopo il trattamento e il raffreddamento i fumi vengono rilasciati in atmosfera a circa<br />
140° C.<br />
Smaltimento ceneri — Le ceneri residue della combustione (circa il 30% in peso ed il 10%<br />
in volume del materiale immesso nell'inceneritore) sono normalmente classificate come<br />
rifiuti speciali non pericolosi, mentre le polveri fini (circa il 4% del peso del rifiuto in<br />
ingresso) intercettate dai sistemi di filtrazione sono normalmente classificate come rifiuti<br />
speciali pericolosi. Entrambe sono normalmente smaltite in discariche per rifiuti speciali; ci<br />
sono recenti esperienze di riuso delle ceneri pesanti.<br />
87
6.1.2 Recupero energetico<br />
Gli inceneritori a recupero energetico permettono di ricavare energia per produrre corrente<br />
elettrica e calore. Scaldando del vapore, si alimentano delle turbine che producono<br />
elettricità, ma i rifiuti non sono un buon combustibile per la produzione di elettricità, perché<br />
avendo un basso potere calorifico lavorano a temperature molto inferiori rispetto alle<br />
centrali a combustibili fossili, producendo quindi vapore a pressione relativamente bassa e<br />
conseguentemente poca elettricità: spesso viene pertanto bruciato anche gas metano.<br />
Un'importante tecnologia che può essere abbinata agli inceneritori è il teleriscaldamento,<br />
che grazie al recupero del calore prodotto, permette di aumentare notevolmente il<br />
rendimento energetico del termovalorizzatore. Va rilevato però che solo una piccola<br />
minoranza degli attuali termovalorizzatori è collegata a sistemi di teleriscaldamento.<br />
L'efficienza energetica di un termovalorizzatore è variabile tra il 19 e il 27% se si recupera<br />
solo l'energia elettrica, ma aumenta molto col recupero del calore. Ad esempio, nel caso<br />
dell'inceneritore di Brescia si ha un rendimento del 26% in produzione elettrica e del 58%<br />
in calore recuperato, per un totale dell'84%. Bisogna però considerare che non sempre il<br />
calore recuperato può essere effettivamente utilizzato (ad esempio, in estate potrebbe non<br />
essere sfruttato).<br />
6.2 Discariche.<br />
Poche cose sono malignate e diffamate come la discariche. In effetti, le vecchie discariche<br />
a cielo aperto erano un disastro per gli ecosistemi: oltre a essere puzzolenti potevano<br />
inquinare le falde acquifere per la perdita di percolato. Inoltre, tendevano ad incendiarsi<br />
spontaneamente (“autocombustione”) generando ulteriori fumi e cattivi odori. Le discariche<br />
moderne, viceversa, non hanno nessuno di questi problemi. La possibilità di diffusione del<br />
percolato è eliminata per mezzo di un letto argilloso. Il percolato si recupera e si tratta per<br />
via biologica; i cattivi odori sono ridottissimi e la raccolta del metano prodotto per<br />
fermentazione biologica produce elettricità senza incrementare la concentrazione di CO2<br />
nell’atmosfera (a differenza degli inceneritori). Dopo che la sua fase di vita è terminata, la<br />
discarica viene ricoperta di terra sulla quale si può far crescere un bosco o un giardino.<br />
Dal 2005, le discariche non potranno piu’ ricevere rifiuti organici, ma questo cambia poco<br />
alla situazione. Gli studi degli ultimi anni hanno dimostrato come le discariche siano<br />
efficaci sistemi di sequestrazione, dove plastica, carta e biomassa rimangono<br />
88
essenzialmente intatti e in un ambiente inerte e quindi non causano l’immissione di gas<br />
serra nell’atmosfera.<br />
6.3 Riciclaggio industriale.<br />
La varietà dei prodotti generati dall’industria è tale che un riciclaggio “a valle” ovvero<br />
partendo dai rifiuti solidi urbani più o meno differenziati è sempre molto complessa, difficile<br />
e costosa. Tuttavia, negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi in questo senso,<br />
soprattutto nel riciclaggio della plastica che è oggi spesso autosufficiente dal punto di vista<br />
economico. Uno dei problemi, qui, è la concorrenza con gli inceneritori. L’altro problema è<br />
che, comunque, il sistema industriale non è un ciclo completamente chiuso, per cui il<br />
riciclaggio è possibile solo un certo numero di volte (non si può riciclare ulteriormente la<br />
carta riciclata) e comunque richiede energia che, a sua volta, genera rifiuti in forma di<br />
CO2. Gli studi di ciclo di vita dei vari sistemi dimostrano, comunque, che il riciclaggio è<br />
nettamente migliore dell’incenerimento in termini di CO2 generato.<br />
6.4 Riciclaggio biologico.<br />
I materiali di scarto organici (liquami deiezioni, biomassa agricola, eccetera) possono<br />
essere, e spesso sono, trattati con metodi naturali tipo depurazione, compostaggio,<br />
fermentazione, digestione batterica e altri. Tutti questi sistemi sono molto efficaci e<br />
comunque non fanno che accelerare in modo controllato processi naturali che<br />
avverrebbero comunque nella biosfera. Il problema è che in questo modo si può soltanto<br />
trattare la frazione biologica/organica dei rifiuti. Il resto sfugge.<br />
6.5 Raccolta differenziata, campagne di educazione, legislazione.<br />
Si tratta di metodi destinati a ridurre la produzione di rifiuti alla fonte e, in generale, di<br />
sensibilizzare il cittadino al problema. Si cerca di far passare il concetto che ci dobbiamo<br />
prendere cura dei rifiuti che produciamo.<br />
La raccolta differenziata svolge un ruolo prioritario nel sistema di gestione integrata dei<br />
rifiuti in quanto consente, da un lato, di ridurre il flusso dei rifiuti da avviare allo<br />
smaltimento e, dall’altro, di condizionare in maniera positiva l’intero sistema di gestione.<br />
Essa consente:<br />
89
la valorizzazione delle componenti merceologiche dei rifiuti sin dalla fase della raccolta;<br />
la riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti da avviare allo smaltimento<br />
indifferenziato, individuando tecnologie più adatte alla gestione e minimizzando l'impatto<br />
ambientale dei processi di trattamento e smaltimento;<br />
il recupero di materiali e di energia nella fase di trattamento finale;<br />
la promozione di comportamenti più corretti da parte dei cittadini, con conseguenti cambiamenti<br />
dei consumi, a beneficio delle politiche di prevenzione e riduzione.<br />
In base all’esperienza che si è venuta consolidando, il sistema dovrebbe sempre più<br />
privilegiare raccolte domiciliari, affiancate a raccolte stradali, ed ampliare il campo di<br />
applicazione a raccolte più complesse (come quella della frazione organica putrescibile) o<br />
ad aggregazioni di differenti materiali (raccolta multimateriale o raccolta combinata).<br />
Per il conseguimento di tali obiettivi è, tuttavia, indispensabile che la raccolta differenziata<br />
venga realizzata secondo logiche di integrazione rispetto all'intero ciclo dei rifiuti, e che ad<br />
essa corrispondano la dotazione di efficienti impianti di recupero ed una sempre maggiore<br />
diffusione dell'utilizzo dei rifiuti recuperati. La costruzione di un sistema integrato deve<br />
prevedere, evidentemente, la realizzazione di un struttura maggiormente flessibile ed<br />
articolata; ciò non significa, necessariamente, che la stessa sia più costosa.<br />
La definizione di una metodologia di calcolo omogenea e standardizzata, utilizzabile a<br />
livello nazionale, rappresenta un fattore indispensabile per poter eseguire un confronto di<br />
dati provenienti da fonti diverse e per poter pervenire ad una quantificazione della quota di<br />
raccolta differenziata ai fini della verifica del conseguimento degli obiettivi di cui al D.Lgs<br />
22/97.<br />
7. RAPPORTO APAT SUI RIFIUTI 2006<br />
Il Rapporto Rifiuti, frutto del lavoro dell’APAT e del sistema Agenziale nel suo complesso,<br />
si propone come importante strumento di comunicazione dell’informazione con l’obiettivo<br />
di:<br />
- supportare il legislatore<br />
- garantire la base informativa indispensabile per la pianificazione delle politiche<br />
ambientali, a livello regionale e nazionale<br />
90
- supportare ed orientare l’attività di controllo anche attraverso l’individuazione di quei<br />
comparti “problematici” in relazione alla quantità e qualità dei rifiuti o per i quali risulta<br />
complesso seguire i flussi di destinazione degli stessi<br />
- garantire l’acquisizione dei dati necessari per ottemperare agli obblighi di comunicazione<br />
nei confronti dell’Unione Europea.<br />
Gli studi di settore consentono, inoltre, di superare incertezze nell’interpretazione delle<br />
norme in materia di individuazione dei rifiuti rispetto alle materie prime secondarie e di<br />
quantificare queste ultime, fornendo utili elementi per una valutazione delle disponibilità ed<br />
opportunità di riutilizzo. Il Rapporto Rifiuti 2006 analizza la produzione e la gestione dei<br />
rifiuti urbani e speciali, il sistema di produzione degli imballaggi e di gestione dei rifiuti di<br />
imballaggio; effettua il monitoraggio dell’applicazione sperimentale della tariffa e l’analisi<br />
economica dei costi di gestione del ciclo integrato dei rifiuti urbani. Le informazioni si<br />
riferiscono all’anno 2005 per i rifiuti urbani e all’anno 2004 per i rifiuti speciali.<br />
7.1 Il quadro risultante fotografa un sistema di luci ed ombre<br />
Permangono evidenti difficoltà nell’avviare azioni efficaci per quanto riguarda la<br />
prevenzione della produzione dei rifiuti e nel dare concreta attuazione alle indicazioni<br />
contenute nel VI Programma d’Azione per l’ambiente e nella recente Strategia tematica<br />
per la prevenzione ed il riciclo.<br />
La produzione dei rifiuti urbani fa, purtroppo, registrare un ulteriore aumento nel 2005,<br />
raggiungendo 31,7 milioni di tonnellate, con un incremento di ben 1,6 milioni di tonnellate<br />
rispetto al 2003 (+5,5%), ed un pro capite di circa 539 kg/abitante per anno (6 kg/abitante<br />
per anno in più rispetto al 2004 e 15 kg/abitante per anno in più rispetto al 2003).<br />
Il confronto con gli indicatori socio economici evidenzia un incremento più sostenuto della<br />
produzione dei rifiuti rispetto al PIL ed ai consumi delle famiglie. In particolare, il prodotto<br />
interno lordo cresce, dal 2003 al 2005, dell’1% e le spese delle famiglie dello 0,6%, a<br />
fronte di un incremento percentuale della produzione di rifiuti urbani pari, come<br />
precedentemente riportato, al 5,5%. E’, dunque, evidente il disallineamento tra crescita<br />
economica e produzione dei rifiuti a conferma del fallimento delle politiche di prevenzione.<br />
Una risposta positiva è data dall’incremento della raccolta differenziata che, nel 2005, si<br />
colloca al 24,3% della produzione totale dei rifiuti urbani. Tale valore risulta, tuttavia,<br />
ancora sensibilmente inferiore rispetto al target del 35%, originariamente previsto per il<br />
91
2003 dal D.Lgs. 22/97 e successivamente posticipato al 31 dicembre 2006 dal D.Lgs.<br />
152/2006. Difficilmente il gap di oltre 10 punti percentuali potrà essere colmato nell’arco di<br />
un anno considerando, anche, che con la finanziaria 2007, il Governo ha fissato il<br />
raggiungimento dell’obiettivo di almeno il 40% entro il 31 dicembre 2007. La situazione<br />
appare, comunque, decisamente diversificata passando da una macroarea geografica<br />
all’altra; infatti, mentre il Nord, con un tasso di raccolta pari al 38,1%, supera ampiamente<br />
l’obiettivo del 35% (tale target era già stato conseguito nel 2004), il Centro ed il Sud, con<br />
percentuali rispettivamente pari al 19,4% ed all’8,7%, risultano ancora decisamente lontani<br />
da tale obiettivo.<br />
Nel Nord si è, dunque, ormai consolidato un sistema di raccolta differenziata dei rifiuti, in<br />
particolare delle frazioni organiche, in linea con le altre nazioni europee. I dati del Sud<br />
evidenziano, invece, che le perduranti emergenze richiedono di essere affrontate con la<br />
dovuta energia; in particolare, è necessario intervenire, soprattutto, per quanto riguarda<br />
l’attivazione della raccolta differenziata della frazione umida, che risulta addirittura assente<br />
in molti contesti che vivono l’emergenza rifiuti.<br />
7.2 Le fonti dei dati<br />
Nel presente capitolo vengono illustrati i dati inerenti la produzione e la gestione dei rifiuti<br />
nei Paesi dell’Unione Europea, quelli relativi agli Stati che sono in procinto o sono<br />
candidati ad entrare nella UE (Romania, Bulgaria, Croazia e Turchia) ed i dati attinenti a<br />
tre Paesi, Norvegia, Svizzera e Islanda, che hanno sottoscritto accordi commerciali con<br />
l’Unione Europea. I dati relativi alla produzione ed alla raccolta differenziata dei rifiuti<br />
urbani sono stati ottenuti adottando la medesima procedura utilizzata in occasione della<br />
predisposizione delle precedenti edizioni del Rapporto Rifiuti, ossia mediante la<br />
predisposizione e l’invio di appositi questionari ai soggetti pubblici e privati che, a vario<br />
titolo, raccolgono informazioni in materia di gestione dei rifiuti. In particolare, le<br />
informazioni sono state richieste alle Agenzie Regionali e Provinciali per la protezione<br />
dell’ambiente, alle regioni, alle province, agli Osservatori provinciali sui Rifiuti, ai<br />
Commissari per le emergenze rifiuti, al CONAI ed ai relativi consorzi di filiera (acciaio,<br />
alluminio, carta, legno, plastica, vetro) ed, in alcuni casi, alle Aziende municipalizzate di<br />
gestione dei servizi di igiene urbana. Va, tuttavia, evidenziato che, nonostante l’utilizzo di<br />
una metodologia ritenuta dall’APAT ormai consolidata, si è rilevato, salvo rare eccezioni,<br />
92
un ulteriore rallentamento del flusso di informazioni rispetto a quello già evidenziato nel<br />
2005 e i dati pervenuti sono risultati spesso incompleti. In alcuni casi si è, addirittura,<br />
riscontrata una assenza totale di informazione.<br />
Per sopperire a tali carenze si è dovuto far, quindi, ricorso, in più casi, alla banca dati MUD<br />
2006 (dati 2005) che, sebbene disponibile solo in forma provvisoria, ovvero largamente<br />
incompleta, ha consentito, comunque, di desumere i dati di produzione e di raccolta<br />
differenziata per molti comuni su cui non era stato possibile ottenere alcuna informazione<br />
per altra via.<br />
Va rilevato che le dichiarazioni del modello unico ambientale 2006 dovevano essere<br />
presentate, alle Camere di Commercio da parte dei soggetti obbligati, entro il 30 aprile<br />
2006; i tempi tecnici necessari per l’implementazione e la bonifica della banca dati<br />
informatica consentiranno, pertanto, di ottenere le informazioni, nella loro forma completa,<br />
solo nei primi mesi del 2007. La mancanza di altre fonti di informazione ha, tuttavia, reso<br />
indispensabile il ricorso ad una versione inevitabilmente parziale e non bonificata della<br />
banca dati MUD, messa a disposizione da Unioncamere, al fine di poter reperire il<br />
massimo numero di informazioni e portare, quindi, a termine l’elaborazione dei dati. Le<br />
informazioni desunte dalla banca dati MUD sono state, in particolar modo, utilizzate per la<br />
quantificazione della produzione e della raccolta differenziata delle province di Catanzaro,<br />
Reggio Calabria e Crotone, in quanto il Commissario per l’emergenza rifiuti ha reso<br />
disponibili i dati della Calabria solo in forma aggregata, e per le province di Latina, Rieti,<br />
Ragusa e Trapani per le quali non era stato possibile ottenere alcun tipo di informazione<br />
per altra via.<br />
Il MUD è stato, inoltre, utilizzato per la determinazione della quota relativa<br />
all’indifferenziato ed agli ingombranti destinati allo smaltimento per i comuni delle province<br />
di Frosinone, Lecce, <strong>Taranto</strong> e Foggia.<br />
7.3 Produzione e raccolta differenziata dei rifiuti urbani<br />
La produzione dei rifiuti urbani ha fatto registrare, nel periodo 2001-2005, una crescita<br />
complessiva di poco inferiore all’8% con un incremento particolarmente marcato nel<br />
triennio 2003-2005. In tale periodo si assiste, infatti, ad una crescita pari al 5,5% circa a<br />
fronte di un aumento decisamente più contenuto, +2,1%, riscontrato tra il 2001 ed il 2003.<br />
La produzione totale, nel 2005, si attesta, pertanto, a circa 31,7 milioni di tonnellate, quasi<br />
530 mila tonnellate in più rispetto al 2004 ed 1,6 milioni di tonnellate in più rispettoal 2003.<br />
93
La crescita appare particolarmente marcata nelle regioni centrali dove la produzione ha<br />
fatto registrare un aumento percentuale, tra il 2001 ed il 2005, di poco inferiore al 10,3%<br />
contro un incremento dell’ordine dell’8,4% per il Sud e del 6% circa per il Nord.<br />
In queste ultime due macroaree la crescita appare, inoltre, più contenuta nell’ultimo anno<br />
rispetto agli incrementi decisamente più consistenti mostrati tra il 2003 ed il 2004. Al Nord,<br />
infatti, la produzione di rifiuti urbani aumenta tra il 2004 ed il 2005 dell’1,3% a fronte di una<br />
crescita superiore al 3,3% tra il 2003 ed il 2004. Al Sud l’incremento percentuale si attesta,<br />
invece, all’1,2% a fronte di una crescita, tra il 2003 ed il 2004, superiore al 3,1%. In valore<br />
assoluto, la produzione cresce nell’ultimo anno di 177 mila tonnellate al Nord, 227 mila<br />
tonnellate al Centro e 124 mila tonnellate al Sud.<br />
Nel complesso, come suggeriscono gli andamenti riportati in figura 2.3, il trend di crescita<br />
delle regioni settentrionali appare più contenuto rispetto a quelli relativi al sud ed al centro<br />
del Paese. In quest’ ultima macroarea, nello specifico, si evidenzia un rialzo<br />
particolarmente consistente della produzione a partire dal 2004, che potrebbe dipendere<br />
dalla crescente tendenza ad assimilare, nell’ambito dei circuiti di raccolta differenziata dei<br />
diversi comuni, sempre più tipologie di rifiuti speciali ai rifiuti urbani.<br />
Dal 2004 in poi si registra, infatti, un incremento più sostenuto della produzione dei rifiuti<br />
rispetto al PIL ed alle spese delle famiglie. In particolare, il prodotto interno lordo cresce,<br />
dal 2003 al 2005, dell’1% e le spese delle famiglie dello 0,6%, a fronte di un incremento<br />
percentuale della produzione di rifiuti urbani pari, come già precedentemente accennato,<br />
al 5,5% (Figura 2.5). L’andamento della produzione degli RU appare, dunque, non in linea,<br />
con entrambi gli indicatori socio-economici ed in particolar modo con le spese delle<br />
famiglie; ciò potrebbe dipendere dal fatto che nell’ammontare complessivo dei rifiuti urbani<br />
siano incluse anche diverse tipologie di rifiuti non provenienti dal circuito domestico e,<br />
quindi, non direttamente legate ai consumi della popolazione residente.<br />
Il dato, comunque, evidenzia l’assenza di efficaci politiche di prevenzione come, invece,<br />
richiesto dall’Unione Europea nei suoi atti strategici e regolamentari (si vedano, ad<br />
esempio, VI Programma d’azione, Strategia tematica per la prevenzione ed il riciclo,<br />
proposta di recisione della direttiva quadro sui rifiuti). Di qui, la necessità di interventi<br />
concreti che si collochino sempre più alla fonte, agendo sulla progettazione dei prodotti,<br />
sui cicli di produzione, sulla promozione di consumi sostenibili. È evidente che i valori di<br />
produzione assoluta sono fortemente influenzati dalla differente densità abitativa che<br />
caratterizza le tre macroaree geografiche; al fine di svincolare il dato di produzione dei<br />
rifiuti dal livello di popolazione residente si deve, pertanto, ricorrere all’analisi dei dati<br />
94
elativi al pro capite. In questo caso, i maggiori valori di produzione si riscontrano per il<br />
Centro, con circa 633 kg di rifiuti per abitante per anno, ed i valori più bassi per il Sud, che<br />
nel 2005 si attesta a 496 kg/abitante per anno, valore evidentemente correlabile con la<br />
minore crescita economica di tale macroarea.<br />
Il Nord, dal canto suo, si colloca a circa 533 kg/abitante per anno, valore prossimo alla<br />
media nazionale di 539 kg/abitante per anno. Rispetto al dato di produzione assoluta<br />
l’incremento percentuale del valore di produzione pro capite risulta, a livello nazionale,<br />
sensibilmente più ridotto. La crescita tra il 2003 ed il 2005 si attesta, infatti, al 2,9% circa<br />
con incrementi decisamente contenuti per quanto riguarda il Nord. Torino ha un numero di<br />
abitanti pari a circa 900 mila unità,Napoli intorno ad 1 milione, Milano circa 3 milioni<br />
mentre Roma conta una popolazione residente superiore ai 2,5 milioni di abitanti.<br />
La produzione complessiva di rifiuti urbani delle 24 città metropolitane con popolazione<br />
superiore ai 150.000 abitanti è aumentata, tra il 2002 ed il 2005, del 3% circa (1,9% tra il<br />
2004 ed il 2005), evidenziando un tasso medio di crescita ben inferiore rispetto al 6,1%<br />
rilevato a livello nazionale .Le città che nel quadriennio 2002-2005 si caratterizzano per i<br />
maggiori incrementi di produzione sono, nell’ordine, Roma (+11,2%), Parma (+8,2%),<br />
Torino (+7,6%), Foggia (+7,1%) e Reggio Calabria (+7%). Una crescita superiore al 5% si<br />
rileva per le città di Venezia (+5,5%), Prato e Cagliari (+5,2%), mentre incrementi<br />
compresi tra il 4 ed il 5% si registrano per i comuni di Bari e Modena.<br />
Una riduzione complessiva abbastanza consistente si rileva, inoltre, per la città di<br />
Brescia(-7,3%), anche in questo caso in seguito ad una rilevante riduzione nel biennio<br />
2003-2004 (20.000 tonnellate circa) e per <strong>Taranto</strong> (-5,7%). Per le alte città, infine, si<br />
rilevano lievi incrementi o una sostanziale stabilità. Va, peraltro, segnalato che le<br />
variazioni più significative sono dovute, in massima parte, ad un progressivo<br />
miglioramento, nel corso degli anni, del sistema di contabilità dei rifiuti. Pur evidenziando,<br />
come precedentemente rilevato, una crescita percentuale complessiva della produzione di<br />
rifiuti urbani al di sotto della media del Paese, le 24 città metropolitane si caratterizzano,<br />
tuttavia, per valori di produzione pro capite, generalmente, superiori rispetto alla media<br />
nazionale ed alle medie dei rispettivi contesti territoriali di appartenenza. Il pro capite<br />
medio delle 24 città si attesta, infatti, nel 2005, a circa 615 kg/abitante per anno, 76<br />
kg/abitante per anno in più rispetto al valore azionale. Va, d’altronde, considerato che la<br />
produzione di rifiuti di diversi centri urbani, si vedano, in particolar modo, le cosiddette città<br />
d’arte, è, inevitabilmente, influenzata dagli afflussi turistici.<br />
95
Nell’anno 2005 i maggiori valori di produzione pro capite si rilevano per Catania (806<br />
kg/abitante per anno), Prato (773 kg/abitante per anno), Venezia (715 kg/abitante per<br />
anno) e Firenze (711 kg/abitante per anno), mentre i valori più bassi per le città di Genova<br />
(496 kg/abitante per anno), Foggia (490 kg/abitante per anno), Trieste (485 kg/abitante per<br />
anno) e Messina (417 kg/abitante per anno). Nella seguente tabella sono state riportate le<br />
produzioni dei rifiuti urbani prodotti nelle città metropolitane.<br />
Oltre a ciò nel successivo grafico e nella tabella ad esso successiva vengono mostrati:<br />
l’andamento della raccolta differenziata pro-capite nelle differenti Regioni e la percentuale<br />
della raccolta differenziata nelle principali città italiane.<br />
96
Si rileva, infine, che l’industria per la fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici,<br />
elettrici, elettronici ed ottici, contribuisce con circa 236 mila tonnellate, equivalenti al 5%<br />
del totale dei rifiuti pericolosi prodotti dal settore.<br />
97
L’analisi dell’andamento dei dati nel triennio 2002-2004 nei diversi settori economici<br />
evidenzia riguardo ai rifiuti non pericolosi, un aumento significativo nei settori NACE 27<br />
(metallurgia) e NACE 90 (trattamento di rifiuti e depurazione acque di scarico).<br />
L’incremento relativo all’attività NACE 27, è causato da un notevole aumento di<br />
produzione da parte dell’ILVA di <strong>Taranto</strong>, che da sola produce oltre 1,5 milioni di tonnellate<br />
di rifiuti appartenenti alla macrocategoria del codice CER 10.<br />
L’incremento relativo all’attività NACE 90, invece, si localizza al Nord, nelle regioni<br />
Piemonte, Lombardia e Veneto, e riguarda, in particolare i rifiuti appartenenti alla<br />
macrocategoria del codice CER 19. Il dato si giustifica tenendo conto della localizzazione<br />
degli impianti. Analogamente, per i rifiuti speciali pericolosi, l’incremento registrato<br />
98
iguarda le attività dei settori NACE 27 (metallurgia) e NACE 90 (trattamento di rifiuti e<br />
depurazione acque di scarico).<br />
Un notevole contributo è fornito anche dall’industria di produzione di metalli e leghe e<br />
prodotti in metallo, con una produzione di rifiuti pericolosi di oltre1 milione di tonnellate,<br />
pari al 34,7%.<br />
Si rileva, infine, che l’industria per la fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici,<br />
elettrici, elettronici ed ottici contribuisce con circa 236 mila tonnellate, equivalenti al 5% del<br />
totale dei rifiuti pericolosi prodotti dal settore.<br />
L’analisi dell’andamento dei dati nel triennio 2002-2004 nei diversi settori economici (come<br />
si evince dai grafici riportati in seguito) evidenzia riguardo ai rifiuti non pericolosi un<br />
aumento significativo nei settori NACE 27 (metallurgia) e NACE 90 (trattamento di rifiuti e<br />
depurazione acque di scarico).<br />
99
100
8 LA SITUAZIONE NELLA PROVINCIA DI TARANTO<br />
La nostra provincia è attualmente suddivisa in due ATO (Ambiti Territoriali Ottimali),<br />
L’organizzazione territoriale per la gestione del ciclo dei rifiuti urbani nella provincia di<br />
<strong>Taranto</strong> prevede l’articolazione in n. 2 ambiti territoriali ottimali (bacini di utenza), a seguito<br />
della aggregazione dei comuni del bacino TA/2, previsto dalla precedente<br />
programmazione regionale, a quelli del bacino TA/1. La titolarità dei servizi per i rifiuti<br />
urbani è assegnata, a regime, per ciascun ambito territoriale, all’Autorità per la gestione<br />
dei rifiuti urbani.<br />
BACINO TA/1 Arco Jonico Occidentale e Centrale<br />
N. Comuni: 12 Produzione rifiuti: 530 t/g<br />
Castellaneta, Crispiano, Ginosa, Laterza, Martina Franca, Massafra, Montemesola,<br />
Mottola, Palagianello, Palagiano, Statte, <strong>Taranto</strong><br />
BACINO TA/2 Arco jonico Centrale è stato inglobato nell’ATO 1<br />
101
BACINO TA/3 Arco Jonico Orientale<br />
N. Comuni: 17 Produzione rifiuti: 284 t/g<br />
Avetrana, Carosino, Faggiano, Fragagnano, Grottaglie, Leporano, Lizzano, Manduria,<br />
Maruggio, Monteiasi, Monteparano, Pulsano, Roccaforzata, San Giorgio Jonico, San<br />
Marzano di San Giuseppe, Sava, Torricella<br />
Al momento non sono disponibili dati completi relativi alla produzione dei rifiuti e alla<br />
raccolta differenziata nella nostra Provincia.<br />
Per quanto riguarda il sistema impiantistico con l’introduzione degli impianti privati di<br />
compostaggio della frazione umida la situazione è la seguente<br />
DITTA e/ comune Località Condizioni e trattamento<br />
Progeva Srl Laterza 30000 tn annue – in funzione<br />
Eden94 Manduria 30000 tn annue – in funzione<br />
Comune di <strong>Taranto</strong> Statte Mai entrato in funzione<br />
Comune di Castellaneta Castellaneta Mai entrato in funzione<br />
Aseco srl Ginosa Ha fermato il conferimento<br />
9. I RIMEDI:<br />
Le soluzioni per far fronte alle grosse problematiche riguardo ai rifiuti è:<br />
• Divulgazione trasversale dell’informazione nelle scuole elementari e scuole medie<br />
inferiori e superiori (ripristino dell’insegnamento dell’Educazione Civica).<br />
• Incremento della raccolta differenziata.<br />
Un aspetto che merita senz’altro menzione, alla luce delle considerazioni sulla tendenza<br />
costante all’incremento della produzione di rifiuti finora riscontrata nei Paesi europei, è<br />
relativo alle iniziative pilota volte alla prevenzione, ovvero alla riduzione dei rifiuti alla fonte.<br />
La problematica<br />
102
appresentata dall’aumento delle quantità di rifiuti non può, infatti, essere arginata<br />
solamente tramite una gestione più efficiente ed un maggiore tasso di riciclo; emerge, in<br />
maniera sempre più netta, l’esigenza di analizzare e gestire il problema rifiuti come una<br />
componente dei flussi totali di materia che attraversano la società, inserendo la gestione<br />
dei rifiuti all’interno di una strategia integrata di sviluppo sostenibile, che abbia, tra le<br />
priorità, la riduzione dell’utilizzo delle risorse, il minore consumo di energia e la<br />
minimizzazione delle emissioni alla fonte. In generale, la gestione dei rifiuti deve avere<br />
come obiettivo principale l’uso razionale e sostenibile delle risorse ed essere impostata<br />
seguendo un rigoroso ordine gerarchico di priorità:<br />
riduzione della produzione e soprattutto della pericolosità dei rifiuti;<br />
sostituzione delle sostanze pericolose per l’ambiente contenute nei prodotti<br />
con altre meno pericolose;<br />
riutilizzo e valorizzazione dei rifiuti sotto forma di materia, anche attraverso<br />
l’incremento della raccolta differenziata, che consente di ottenere frazioni<br />
merceologiche omogenee con un miglior grado di purezza e quindi più<br />
facilmente collocabili sul mercato del recupero;<br />
valorizzazione energetica del rifiuto residuo dotato di buon potere calorifico;<br />
smaltimento in condizioni di sicurezza dei soli rifiuti che non hanno altra<br />
possibilità di recupero o trattamento.<br />
i rifiuti vengano trattati in siti il più vicino possibile al luogo di produzione al fine<br />
di ridurre gli impatti determinati dal loro trasporto.<br />
Nel contesto della gestione integrata dei rifiuti la discarica, non avendo alcuna funzione di<br />
valorizzazione delle risorse, e comportando un rischio per l’ambiente, rappresenta,<br />
pertanto, l’opzione per i rifiuti ultimi non più suscettibili di essere riusati o trattati nelle<br />
condizioni tecniche ed economiche del momento e deve avvenire con modalità tali da<br />
ridurre al minimo le conseguenze negative per la salute e l’ambiente.<br />
La prevenzione della produzione deve essere considerata una priorità per qualsiasi<br />
politica di gestione dei rifiuti in modo da ridurne il volume prodotto e i pericoli connessi alla<br />
loro gestione. Il raggiungimento degli obiettivi può essere attuato facendo ricorso ad una<br />
serie di strumenti puntualmente individuati. In primo luogo gli strumenti di regolazione,<br />
ossia ampie norme comunitarie per i rifiuti che rispettino il principio della sussidiarietà e<br />
103
che siano in grado di assicurare una forte protezione ambientale e garantire il libero<br />
mercato.<br />
Anche l’individuazione di specifici obiettivi per il riciclaggio ed il recupero (vedi direttiva<br />
94/62/CE sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio) rappresenta uno strumento valido di<br />
azione che va, comunque, supportato da informazioni affidabili ed aggiornate al fine di<br />
garantire da un lato obiettivi adeguati, dall’altro il monitoraggio degli stessi allo scopo di<br />
introdurre, se necessario, eventuali misure correttive. In generale risulta di fondamentale<br />
importanza l’adozione a livello comunitario, nazionale, regionale, provinciale e soprattutto<br />
comunale, di un sistema affidabile per la raccolta dei dati concernenti la produzione e la<br />
gestione dei rifiuti.<br />
Un ruolo importante spetta agli strumenti economici quali misure fiscali, incentivi finanziari.<br />
Tali strumenti possono essere usati per incentivare la prevenzione, per scoraggiare<br />
pratiche di smaltimento non compatibili con elevati livelli di tutela dell’ambiente, per<br />
riequilibrare i costi di smaltimento, ancora troppo bassi, con quelli relativi alle attività di<br />
riciclaggio e recupero.<br />
Gli strumenti economici sono stati spesso utilizzati in diversi Paesi dell’Unione al fine di<br />
indirizzare gli schemi di produzione ed il comportamento dei consumatori verso modelli di<br />
consumo “ecocompatibili”, un esempio è fornito dalle cosiddette “ecotasse” sui prodotti<br />
non riutilizzabili né recuperabili che possono giocare un ruolo importante nell’orientare le<br />
preferenze dei consumatori. In generale, considerevoli risultati in termini di riduzione della<br />
produzione dei rifiuti si possono ottenere laddove i consumatori sono incoraggiati a<br />
comprare prodotti che inquinano meno o che vengono da materiale recuperato o che<br />
possono essi stessi essere riusati e riciclati.<br />
Occorre focalizzare l’attenzione sulla necessità di intervenire in maniera più incisiva sulla<br />
prevenzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti. La prevenzione è chiaramente<br />
associata ad un uso sostenibile delle risorse del pianeta.<br />
Con l’aumentare della ricchezza e della produttività, cresce anche la domanda di prodotti<br />
che, tra l’altro, hanno cicli di vita sempre più brevi; tale situazione determina un aumento<br />
della quantità di rifiuti derivanti dai prodotti ormai fuori uso e dai relativi cicli di estrazione e<br />
di fabbricazione. Parallelamente, molti prodotti diventano sempre più complessi, essendo<br />
costituiti da più materiali e sostanze con maggiori rischi per la salute e per l’ambiente<br />
legati alla gestione degli stessi una volta divenuti rifiuti. Se gli attuali modelli di consumo<br />
non subiranno modifiche sarà inevitabile una crescita consistente di rifiuti, in molti casi<br />
anche pericolosi. L’obiettivo principale consiste nello scindere l’aspetto della produzione<br />
104
dei rifiuti da quello della crescita economica ed ottenere così una sensibile riduzione<br />
complessiva della quantità di rifiuti prodotti puntando a migliorare le iniziative di<br />
prevenzione, ad aumentare l’efficienza delle risorse e a passare a modelli di consumo più<br />
sostenibili.<br />
Gli interventi per prevenire la produzione di rifiuti sono innanzitutto interventi “alla fonte”;<br />
tale approccio comporta, da un lato, la ricerca di soluzioni per ampliare la durata di vita dei<br />
prodotti per utilizzare meno risorse e passare a processi di produzione più puliti e,<br />
dall’altro, la capacità di influenzare le scelte e la domanda dei consumatori perché si<br />
favoriscano prodotti e servizi che generino meno rifiuti. Sarà necessario individuare le<br />
sostanze pericolose nei vari flussi di rifiuti e favorire la loro sostituzione con sostanze<br />
meno pericolose ovvero progettare prodotti alternativi, ove ciò sia possibile e, ove non lo<br />
fosse, cercare di garantire l’esistenza di sistemi a ciclo chiuso, nei quali il produttore abbia<br />
la responsabilità di garantire la raccolta, il trattamento e il riciclaggio dei rifiuti secondo<br />
modalità che minimizzino i rischi e l’impatto sull’ambiente.<br />
10. CONCLUSIONI<br />
Non ci sono vere e proprie soluzioni a un problema di squilibrio di fondo dei cicli biologici<br />
planetari causato dall’introduzione massiccia di idrocarburi fossili nell’ecosfera. Su tempi<br />
brevi, dobbiamo contentarci di palliativi, cercando di evitare i danni peggiori. Possiamo<br />
stabilire una “piattaforma politica” di base che potrebbe concentrarsi su:<br />
1. Promozione del riciclaggio come antitetico agli inceneritori. Questo vuol dire non<br />
solo raccolta differenziata ma anche sostegno economico concreto alle ditte e<br />
alle aziende che sviluppano e utilizzano tecnologie di riciclaggio.<br />
2. Cauta rivalutazione delle discariche moderne come implementazione della<br />
“strategia del gatto” ovvero sequestrazione della plastica e altre sostanze non<br />
biodegradabili o poco biodegradabili fuori della biosfera.<br />
3. Incoraggiamento della riduzione alla fonte, soprattutto incoraggiando “cicli<br />
chiusi” industriali” per via legislativa (vedi anche la legislazione IPPC<br />
prevenzione e controllo integrati dell’inquinamento) dell’Unione Europea.<br />
105
A lungo termine, il problema si risolverà soltanto se elimineremo la dipendenza della<br />
società industriale dalle fonti fossili. La promozione delle energie rinnovabili (sole, vento,<br />
idro, biomassa) è il modo migliore per liberarci anche dalla piaga dei rifiuti.<br />
106
REGIONE PUGLIA<br />
Assessorato Formazione Professionale<br />
ENTE SCUOLA EDILE TARANTO<br />
<strong>Corso</strong> di formazione<br />
“TECNICO DELL’AMBIENTE”<br />
LA MOBILITA’ URBANA<br />
Di:<br />
Terzino Alessandra<br />
Lattarulo Maria Rosaria<br />
Sardella Stefania<br />
107
Introduzione<br />
Risulta sempre più difficile gestire, nelle aree urbane, la crescente domanda di mobilità sia<br />
di persone sia di cose: più cresce la sensibilità ai temi ambientali, anche a proposito della<br />
migliore e più diffusa conoscenza delle ricadute negative dell’eccesso di traffico nelle<br />
nostre città, più risulta difficile offrire ai cittadini convincenti alternative all’uso improprio del<br />
mezzo privato.<br />
Infatti, cresce continuamente l’uso individuale del mezzo di trasporto che contribuisce ad<br />
aumentare il livello di congestione, di inquinamento atmosferico e acustico, con il rischio<br />
serio di sinistri stradali.<br />
Questo avviene anche perché è mancata nelle città una politica di pianificazione del<br />
territorio che tenga conto delle dinamiche della mobilità.<br />
Sempre più frequentemente i nuovi insediamenti abitativi sono collocati nelle periferie<br />
cittadine, senza che le infrastrutture e i trasporti pubblici siano adeguatamente<br />
implementati; infatti, non è raro che l’implementazione della rete di trasporto pubblico si<br />
riduca ad un semplice prolungamento delle linee già esistenti.<br />
La carenza di risorse pubbliche nel settore dei trasporti, la complessità e talvolta<br />
l’ambiguità delle Leggi di settore, finiscono con il restringere l’offerta del sistema di<br />
Trasporto Pubblico Locale, determinando il disordine nella mobilità.<br />
La componente trasporto non è mai stata considerata come elemento da ottimizzare<br />
nell’ambito della pianificazione territoriale e la semplice equazione “più trasporto pubblico<br />
uguale meno mezzi privati” sconta oggi, più che mai, le difficoltà sopra ricordate;<br />
l’insensibilità del Governo Nazionale a questi temi determina, di fatto, nel nostro Paese<br />
una condizione di arretratezza, tanto più che l’assenza di politiche di sostegno nel settore<br />
della mobilità sostenibile sempre da parte del Governo Nazionale che ha cessato di<br />
finanziare attraverso i competenti Ministeri politiche attive in questo settore.<br />
In questo desolante panorama, i mezzi pubblici hanno perso molta della loro attrattività.<br />
108
1. LA GESTIONE DELLA MOBILITÀ URBANA<br />
La gestione della mobilità urbana include un insieme variegato di attività che comprendono<br />
la pianificazione e regolazione dei flussi di traffico sulle reti di trasporto pubblico e privato,<br />
la progettazione e successiva regolazione di modalità di trasporto innovative rispetto a<br />
quello di linea e di strumenti volti a scoraggiare la mobilità privata.<br />
Si tratta di aspetti molto ampi ed eterogenei, che comportano la necessità di un utilizzo<br />
coordinato di molteplici strumenti e la ricerca di possibili sinergie tra i diversi ambiti di<br />
intervento delle amministrazioni comunali (urbanistica, trasporto pubblico locale, ambiente,<br />
attività produttive).<br />
Per questa sua natura, la mobilità non si configura come un servizio pubblico, anche se<br />
la sua gestione influisce sull'efficacia dei servizi pubblici stessi (ed in particolare sulla<br />
disponibilità e qualità del trasporto pubblico) e sulla qualità di vita dei cittadini.<br />
Le abitudini di spostamento in Italia risultano ancora radicate nell'uso di mezzi privati e,<br />
in particolare, nell'uso individuale dell'automobile.<br />
Al fine di limitare l'elevato numero di spostamenti mediante mezzi privati individuali,<br />
dalla seconda metà degli anni Novanta, molti Comuni italiani hanno affiancato alle<br />
politiche della mobilità “positive”, ossia volte esclusivamente ad incentivare l'utilizzo dei<br />
mezzi pubblici, le cosiddette politiche “negative” (o di restrizione) che, al contrario delle<br />
prime, incidono sulla mobilità scoraggiando e regolando l'uso dei mezzi privati.<br />
Oltre agli strumenti di natura dissuasiva, la politica della mobilità si avvale di strumenti<br />
d’organizzazione e gestione della domanda di mobilità finalizzati alla riduzione dell'impatto<br />
ambientale e dei consumi energetici derivanti dal traffico. L'adozione di tali politiche rientra<br />
nell'applicazione di misure di carattere amministrativo, economico, operativo e tecnologico<br />
finalizzate a conseguire l'uso più efficiente delle infrastrutture, dei modi e dei servizi di<br />
trasporto esistenti.<br />
1.1. AGENDA 21<br />
L’Agenda 21, il documento finale della Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e<br />
Sviluppo del 1992, ha indicato alcuni obiettivi prioritari in questo campo:<br />
ridurre la domanda di trasporto;<br />
sviluppare i trasporti pubblici;<br />
promuovere i trasporti non motorizzati;<br />
109
integrare le politiche di mobilità sostenibile in tutti i campi della pianificazione;<br />
favorire lo scambio e la promozione congiunta di esperienze di mobilità sostenibile<br />
tra diversi paesi e comunità;<br />
cambiare la struttura dei consumi e della produzione nelle nostre società.<br />
In ambito europeo, gli Enti locali coinvolti nell’attuazione dell’A21L si sono impegnati<br />
sottoscrivendo la Carta di Aalborg, a lavorare per una mobilità sostenibile.<br />
Gli Enti hanno adottato gli Aalborg Commitments per dare una dimensione pragmatica<br />
e strategica a questi principi e in tale documento si impegnano a:<br />
1. ridurre la necessità del trasporto motorizzato privato;<br />
2. incrementare la quota di spostamenti effettuati tramite i mezzi pubblici, a piedi<br />
o in bicicletta;<br />
3. promuovere valide alternative all’uso dei veicoli a motore privati;<br />
4. sviluppare un piano di mobilità urbana integrato e sostenibile;<br />
5. ridurre l’impatto del trasporto sull’ambiente e la salute pubblica 5 .<br />
Trattandosi di un problema che ha la sua massima incidenza a livello urbano, è<br />
necessario che la sua gestione sia affidata in prevalenza agli Enti locali decentrati, che<br />
sono in stretto contatto con i loro cittadini e che collaborano, allo stesso tempo, con i<br />
governi nazionali. Per questo motivo, il principale strumento d’azione locale per la<br />
sostenibilità, l’Agenda 21 locale, può e deve essere usato anche per la gestione dei<br />
problemi di mobilità urbana.<br />
I processi di Agenda 21 sono considerati una sorta di “competenza” dell’Assessorato<br />
all’Ambiente e ciò ha comportato una connotazione amministrativa sicura del processo,<br />
ma ha anche ostacolato l’integrazione delle azioni collegate all’Agenda 21 nelle politiche<br />
settoriali; tuttavia, in tempi più recenti, si sta affermando un diverso modello di gestione di<br />
Agenda 21, che la affida ad un ufficio appositamente costituito.<br />
L'istituzione di un ufficio con funzioni di staff, di supporto tecnico agli altri settori<br />
dell’Amministrazione, permette di ottenere una maggiore capacità di rispondere<br />
positivamente agli stimoli del processo e in questo caso l’ufficio compie anche un’attività di<br />
coordinamento nei confronti degli altri settori dell’Amministrazione che partecipano al<br />
processo.<br />
Una delle caratteristiche principali del processo di Agenda 21 dovrebbe essere quella di<br />
favorire un approccio intersettoriale alle politiche di sostenibilità.<br />
110
Al di là della creazione di una struttura appositamente dedicata alla gestione del<br />
processo, le esperienze più avanzate mostrano come il coinvolgimento degli altri settori<br />
dell’Amministrazione sia un sicuro fattore di successo.<br />
Le modalità di collaborazione variano nelle singole realtà, andando da quella<br />
continuativa per tutto il processo, anche attraverso l’inserimento di propri rappresentanti<br />
all’interno dell’ufficio A21L, alla partecipazione al Forum, alla condivisione delle<br />
responsabilità per l’attuazione del Piano d’Azione.<br />
La campagna d’informazione legata all’avvio dell’Agenda 21 locale è un momento<br />
importante, perché costituisce il primo passo per rendere la cittadinanza consapevole del<br />
processo in atto, pertanto non solo ha finalità informative, ma serve soprattutto a<br />
sollecitare la partecipazione della popolazione.<br />
Le caratteristiche per una comunicazione diretta allo sviluppo sostenibile sono:<br />
- sia preventiva e continua, integrata e trasversale e che comunichi non una lettura<br />
semplificata dei problemi ma l’insieme complesso di cause ed effetti;<br />
- la differenziazione dei linguaggi in funzione dei destinatari, conciliando il rigore<br />
scientifico con l’approccio divulgativo;<br />
- la diffusione di buone pratiche;<br />
- il suo basso impatto ambientale.<br />
Quanto alle modalità, nelle esperienze analizzate sono stati utilizzati una vasta gamma<br />
di strumenti, quali ad esempio:<br />
creazione di un sito web;<br />
organizzazione di presentazioni pubbliche;<br />
incontri con le scuole;<br />
creazione di uno sportello informativo;<br />
organizzazione di workshop;<br />
indagini presso la cittadinanza;<br />
campagne d’informazione su stampa e televisione locali, diffusione opuscoli.<br />
Si tratta in larga parte di strumenti tradizionali di una campagna informativa.<br />
Gli strumenti più efficaci, anche ai fini della partecipazione, sono proprio quelli che<br />
permettono di ricevere un feedback, come gli sportelli A21 o le indagini tra la popolazione.<br />
Accanto alla campagna informativa rivolta alla popolazione, se ne può svolgere un’altra,<br />
determinante, rivolta all’interno dell’Amministrazione: gli strumenti da utilizzare sono<br />
soprattutto seminari e brevi manuali divulgativi, rivolti a consiglieri comunali e tecnici.<br />
111
L’Agenda 21 locale presuppone l’attivazione di un Forum, centro del processo<br />
partecipativo, che è il luogo dell’incontro tra l’Amministrazione e i cittadini interessati.<br />
In quasi tutti i casi si parte da lettere d’invito agli interlocutori rientranti nelle categorie<br />
individuate e si tratta delle normali categorie degli stakeholder degli Enti locali, integrate da<br />
quelle portate dalla teoria dello sviluppo sostenibile: donne, giovani e bambini,<br />
organizzazioni non governative, sindacati, imprese, comunità scientifica, agricoltori e<br />
autorità locali.<br />
Nei Forum è molto diffusa la presenza di organizzazioni non governative, sindacati,<br />
imprese, agricoltori, è invece più rara la presenza di esponenti della comunità scientifica<br />
(Enti di ricerca, Università) e di rappresentanti di Enti locali diversi da quello che ha<br />
promosso il processo.<br />
Le funzioni del Forum sono l’elaborazione di una visione condivisa della sostenibilità, la<br />
consultazione per l’elaborazione di politiche, piani e progetti dell’Ente locale, la<br />
preparazione di un Piano d’Azione Ambientale.<br />
Un ruolo importante nel rendere l’Italia uno dei paesi europei più fertili per l’attivazione<br />
di questi processi è stato giocato dal Coordinamento Agende 21 locali italiane che,<br />
riunendo più di 250 tra Regioni, Province, Comuni, Comunità montane, Enti parco ecc,<br />
costituisce il principale network per lo scambio e l’approfondimento delle esperienze<br />
nazionali ed internazionali più innovative e per la sensibilizzazione, l’informazione e la<br />
formazione degli Enti locali sull’argomento.<br />
1.2. DECRETO 27 MARZO 1998<br />
DEL MINISTERO DELL'AMBIENTE<br />
Il Decreto sulla mobilità urbana è stato emesso il 27 Marzo 1998 (pubblicato in G.U.<br />
il 3 Agosto 1998), dopo una lunga fase di elaborazione.<br />
Il Ministero dell’Ambiente è il promotore dell’iniziativa, ma il Decreto coinvolge anche i<br />
Ministeri: dei Trasporti, della Sanità e dei Lavori Pubblici.<br />
Il decreto interministeriale regolamenta i cosiddetti “servizi alternativi per la mobilità”,<br />
attribuendo alcune competenze agli enti locali e imponendo obblighi alle imprese private e<br />
pubbliche, sopra una certa soglia dimensionale.<br />
Tale decreto si pone nell’esigenza di attuare iniziative d’intervento nei confronti degli<br />
impegni assunti nella conferenza di Kyoto, in materia di prevenzione e controllo<br />
dell'inquinamento atmosferico, attribuendo alle Regioni il compito di stilare il piano<br />
112
egionale per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria, al fine di adottare delle<br />
misure adeguate per la prevenzione e la riduzione delle emissioni inquinanti.<br />
A tal fine bisogna adottare il piano degli spostamenti casa-lavoro del personale<br />
dipendente delle imprese ed enti pubblici (PSCL), piano finalizzato alla riduzione dell'uso<br />
del mezzo di trasporto privato individuale e ad una migliore organizzazione degli orari per<br />
limitare la congestione del traffico.<br />
Infatti, il decreto istituisce nei Comuni, presso l'ufficio tecnico del traffico, una struttura di<br />
supporto e di coordinamento tra responsabili della mobilità aziendale (Mobility Manager)<br />
che mantiene i collegamenti con le amministrazioni comunali e le aziende di trasporto, allo<br />
scopo di progettare e adottare misure in grado di incidere sulla modifica dei<br />
comportamenti che privilegiano l'uso individuale dei mezzi di trasporto. Queste ultime<br />
misure devono, tra le altre cose, prevedere forme d’incentivo per l'uso collettivo delle<br />
autovetture (car-pooling e taxi collettivo) e per l'organizzazione di servizi di multiproprietà<br />
delle stesse (car-sharing).<br />
Il decreto interministeriale prevede inoltre che gli enti locali s'impegnino per il rinnovo<br />
graduale dei mezzi adibiti all'erogazione di servizi pubblici e a garantire che una quota<br />
fissa dei nuovi mezzi sia costituita da veicoli elettrici, ibridi, o con alimentazione a gas<br />
naturale, a GPL, con carburanti alternativi con pari livello di emissioni, dotati di dispositivo<br />
per l'abbattimento delle emissioni inquinanti.<br />
1.3. PIANO URBANO DEL TRAFFICO<br />
(PUT)<br />
Il Nuovo Codice della Strada con l’art. 36 introduce l’obbligo per tutti i Comuni con più di<br />
30.000 abitanti - e più in generale tutti i comuni che presentano problemi di mobilità – di<br />
dotarsi del PUT (Piani Urbani del Traffico), uno strumento con validità limitata a due anni,<br />
finalizzato al migliore utilizzo delle infrastrutture esistenti e di quelle programmate a breve<br />
periodo.<br />
Oltre al codice della strada, il Ministero dei Trasporti ha emanato in seguito le ‘Direttive<br />
per la redazione dei piani urbani del traffico (G.U. del 24 giugno 1995) e stabiliscono tre<br />
livelli di elaborazione dei PUT:<br />
1. il Piano Generale del Traffico Urbano (PGTU), che si riferisce all’intero centro abitato<br />
(il PUT previsto inizialmente dal Codice della Strada);<br />
113
2. i Piani Particolareggiati del Traffico Urbano, che riguardano porzioni specifiche del<br />
territorio comunale e che, di conseguenza, intervengono ad un maggior livello di dettaglio;<br />
3. i Piani Esecutivi del Traffico Urbano, da intendersi come progetti esecutivi dei Piani<br />
Particolareggiati.<br />
Allo strumento ‘PUT’ si assegna quattro importanti obiettivi, finalizzati:<br />
al miglioramento delle condizioni della circolazione;<br />
il miglioramento della sicurezza stradale;<br />
la riduzione degli inquinanti acustico e atmosferico;<br />
il risparmio energetico.<br />
Obiettivi raggiungibili intervenendo con strumenti di moderazione del traffico (zone a<br />
traffico limitato, isole ambientali, la classificazione funzionale delle strade, si veda il<br />
seguito del riferimento alle direttive), ma anche con l’introduzione di corsie protette per la<br />
circolazione dei mezzi pubblici<br />
Il Piano Urbano del Traffico, per sua definizione non si prefigge lo scopo di dare la<br />
soluzione ottimale in assoluto ai problemi di mobilità di un centro abitato.<br />
Esso limita volontariamente il proprio campo d'azione alle soluzioni possibili con le<br />
infrastrutture viarie e di mezzi di trasporto esistenti e che perciò hanno un tempo<br />
d’attuazione limitato di 2-3 anni.<br />
Tuttavia, il carattere innovativo del PUT deve, però fare i conti con la realtà di una<br />
duplice carenza culturale tipicamente italiana: scarseggiano i comuni che hanno<br />
adempiuto agli obblighi di legge approvando il PUT, chi lo ha approvato raramente ha<br />
colto l’occasione per utilizzare il piano per sostenere in modo robusto la via alla mobilità<br />
sostenibile.<br />
Nel 2000, dopo 8 anni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Codice della Strada,<br />
solo 210 comuni, uno su quattro, degli 841 obbligati hanno adottato i Piani urbani (PUT);<br />
se concentriamo la verifica sui maggiori centri urbani italiani, il dato migliora leggermente.<br />
È questo il risultato della ricerca condotta dall’Osservatorio dell’Aci, dove su 28 città<br />
esaminate, 17 hanno almeno adottato il PUT.<br />
Il Ministero dell’Ambiente è intervenuto più volte a sostegno di questo strumento,<br />
essenzialmente con provvedimenti finanziari: un provvedimento che va in questa direzione<br />
è ad esempio la legge 93/01 “Disposizioni in campo ambientale” “art. 5. Su richiesta dei<br />
comuni interessati, il Ministero dell’ambiente, (…) può, nei limiti delle disponibilità di<br />
bilancio, promuovere iniziative di supporto alle misure finalizzate a ridurre l’inquinamento<br />
nell’ambito dei piani del traffico”.<br />
114
Altri provvedimenti utili sono stati i decreti ministeriali di sostegno finanziario alla<br />
redazione dei PUT, come ad esempio quelli che cofinanziavano gli enti locali fino al 50%<br />
dell’importo previsto (e in ogni caso non oltre 100 milioni).<br />
1.4. PIANO URBANO DI MOBILITÀ<br />
(PUM)<br />
Il PUM è il “progetto del sistema di trasporto” di una determinata area; esso comprende,<br />
oltre alle opere già esistenti, un insieme di investimenti e di innovazioni organizzativogestionali<br />
da attuarsi per fasi in un arco temporale non superiore a 10 anni. Gli<br />
investimenti per il trasporto collettivo possono riferirsi ad infrastrutture, impianti, tecnologie<br />
e veicoli, mentre per il trasporto privato solo ad infrastrutture, impianti e tecnologie; le<br />
innovazioni organizzativo-gestionali sono conseguenti agli investimenti previsti.<br />
Il PUM è nettamente differente dal PUT, ma è con esso interagente.<br />
Il primo è un piano strategico di medio-lungo termine con il quale si affrontano problemi<br />
di mobilità la cui soluzione richiede “investimenti” e quindi risorse finanziarie e tempi<br />
tecnici di realizzazione: gli obiettivi, in pratica, sono perseguiti “non a risorse infrastrutturali<br />
inalterate”. Il PUT, invece, essendo un piano tattico di breve periodo, assume “risorse<br />
infrastrutturali inalterate” e organizza al meglio l’esistente; esso è, quindi, sostanzialmente<br />
un piano di gestione.<br />
È con l’art. 22 della Legge 340/00 che disciplina le procedure attuative del Piano: “Al<br />
fine di soddisfare i fabbisogni di mobilità della popolazione, assicurare l’abbattimento dei<br />
livelli di inquinamento atmosferico ed acustico, la riduzione dei consumi energetici,<br />
l’aumento dei livelli di sicurezza del trasporto e della circolazione stradale, la<br />
minimizzazione dell’uso individuale dell’automobile privata e la moderazione del traffico,<br />
l’incremento della capacità di trasporto, l’aumento della percentuale di cittadini trasportati<br />
dai sistemi collettivi anche con soluzioni di car pooling e car sharing e la riduzione dei<br />
fenomeni di congestione nelle aree urbane, sono istituiti appositi piani urbani di mobilità<br />
(PUM) intesi come progetti del sistema della mobilità comprendenti l’insieme organico<br />
degli interventi sulle infrastrutture di trasporto pubblico e stradali, sui parcheggi<br />
d’interscambio, sulle tecnologie, sul parco veicoli, sul governo della domanda di trasporto<br />
attraverso la struttura dei Mobility Manager, i sistemi di controllo e regolazione del traffico,<br />
l’informazione all’utenza, la logistica e le tecnologie destinate alla riorganizzazione della<br />
distribuzione delle merci nelle città.<br />
115
I soggetti target: “Sono abilitati a presentare richiesta di cofinanziamento allo Stato in<br />
misura non superiore al 60 per cento dei costi complessivi d’investimento, per l’attuazione<br />
degli interventi previsti dal PUM, i singoli comuni o aggregazioni di comuni limitrofi con<br />
popolazione superiore a 100.000 abitanti, le province aggreganti i comuni limitrofi con<br />
popolazione complessiva superiore a 100.000 abitanti, d’intesa con i comuni interessati, e<br />
le regioni, nel caso delle aree metropolitane di tipo policentrico e diffuso, d’intesa con i<br />
comuni interessati”.<br />
1.5. Normative inerenti alla Mobilità<br />
Decreto ministero delle infrastrutture e dei trasporti 24 marzo 2003.<br />
Erogazione dei contributi previsti dall'art. 54, comma 1, della legge 23 dicembre 1999,<br />
n. 488 (legge finanziaria 2000), a favore delle regioni a statuto ordinario, per la<br />
sostituzione di autobus destinati al trasporto pubblico locale in servizio da oltre quindici<br />
anni, nonché all'acquisto di mezzi di trasporto pubblico di persone, a trazione elettrica, da<br />
utilizzare all'interno dei centri storici e delle isole pedonali, e di altri mezzi di trasporto<br />
pubblico di persone, terrestri e lagunari ed impianti a fune.<br />
Decreto ministero delle infrastrutture e dei trasporti 3 marzo 2003.<br />
Erogazione dei contributi previsti dall'art. 144, comma 1, della legge 23 dicembre 2000,<br />
n. 388 (legge finanziaria 2001), a favore delle regioni a statuto ordinario, quale concorso<br />
dello Stato per l'acquisto e la sostituzione di autobus destinati al trasporto pubblico locale<br />
in esercizio da oltre quindici anni, nonché all'acquisto di mezzi di trasporto pubblico di<br />
persone, a trazione elettrica, da utilizzare all'interno dei centri storici e delle isole pedonali,<br />
e di altri mezzi di trasporto pubblico di persone, terrestri e lagunari e di impianti a fune<br />
adibiti al trasporto di persone.<br />
Decreto ministero delle infrastrutture e dei trasporti 20 febbraio 2003.<br />
Erogazione dei contributi previsti dall'art. 2, comma 5, della legge 18 giugno 1998, n.<br />
194 a favore delle regioni a statuto ordinario, quale concorso dello Stato per la<br />
sostituzione di autobus destinati al trasporto pubblico locale in servizio da oltre 15 anni,<br />
nonché all'acquisto di mezzi di trasporto pubblico di persone, a trazione elettrica, da<br />
utilizzare all'interno dei centri storici e delle isole pedonali, e di altri mezzi di trasporto<br />
pubblico di persone, terrestri e lagunari ed impianti a fune.<br />
Decreto ministero dell’ambiente e tutela del territorio 12 novembre 2002.<br />
116
Ammissione a cofinanziamento dei comuni ai sensi del D. 22 dicembre 2000, recante:<br />
"Finanziamento ai comuni per la realizzazione di politiche radicali ed interventi integrati per<br />
la mobilità sostenibile nelle aree urbane".<br />
Decreto ministero dell’ambiente e tutela del territorio 21 dicembre 2001.<br />
Programma di diffusione delle fonti energetiche rinnovabili, efficienza energetica e<br />
mobilità sostenibile nelle aree naturali protette.<br />
Decreto ministero dell’ambiente e tutela del territorio 25 luglio 2001.<br />
Campagna “Giornate ecologiche 2001”.<br />
Decreto ministero dell’ambiente e tutela del territorio 5 aprile 2001.<br />
Contributi diretti ai cittadini per l’acquisto di veicoli elettrici, a metano e GPL e per<br />
l’installazione di impianti a metano e GPL.<br />
Decreto ministero dell’ambiente e tutela del territorio 5 febbraio 2001.<br />
Campagna domeniche ecologiche 2001.<br />
Decreto ministero dell’ambiente e tutela del territorio 22 dicembre 2000.<br />
Finanziamento ai Comuni per la realizzazione di politiche radicali ed interventi integrati<br />
per la mobilità sostenibile nelle aree urbane.<br />
Decreto ministero dell’ambiente e tutela del territorio 21 dicembre 2000.<br />
Programmi radicali per la mobilità sostenibile.<br />
Decreto ministero dell’ambiente e tutela del territorio 20 dicembre 2000.<br />
Incentivazione dei programmi proposti dai mobility manager aziendali.<br />
Decreto ministero dell’ambiente e tutela del territorio 20 dicembre 2000.<br />
Incentivi per la conversione a metano e GPL di autoveicoli non catalizzati.<br />
Decreto ministero dell’ambiente e tutela del territorio 20 dicembre 2000.<br />
Promozione car sharing 2001.<br />
Decreto ministero dell’ambiente e tutela del territorio 21 gennaio 2000.<br />
Mobilità sostenibile.<br />
Legge 19 ottobre 1998, n. 366.<br />
Norme per il finanziamento della mobilità ciclistica (GU n. 248 del 23-10-1998)<br />
Normativa europea<br />
direttiva 2003/30/ce del parlamento europeo e del consiglio dell'8 maggio 2003<br />
Promozione dell'uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti.<br />
117
1.6. IL MOBILITY MANAGEMENT<br />
Nell’accezione comunemente affermata in ambito europeo, il Mobility Management è un<br />
approccio fondamentalmente orientato alla gestione della domanda di mobilità, che<br />
sviluppa e implementa strategie volte ad assicurare la mobilità delle persone e il trasporto<br />
delle merci in modo efficiente, con riguardo a scopi sociali, ambientali e di risparmio<br />
energetico. Esso si pone l’obiettivo di ridurre il numero di auto circolanti a favore di mezzi<br />
di trasporto alternativi, migliorando così l’accessibilità dei centri urbani e diminuendo il<br />
grado di concentrazione di sostanze inquinanti.<br />
Il mobility management risulta essere un’attività centrale rispetto ai problemi di mobilità<br />
urbana, sia per le Pubbliche Amministrazioni, sia per le Aziende.<br />
A fronte degli strumenti a disposizione sono poi identificati target precisi, che possono<br />
essere genericamente ricondotti alle forme di mobilità conosciute, oppure a gruppi<br />
particolari di utenza.<br />
Le misure proprie del mobility management sono definite “software” cioè non prevedono<br />
la realizzazione di nuove infrastrutture, ma si concentrano su iniziative di persuasione,<br />
concessione e restrizione.<br />
118
1.6.1. Strategie di persuasione<br />
Le strategie di persuasione identificano piani di informazione e comunicazione volti a<br />
creare la coscienza del problema e si pongono l’obiettivo di modificare le abitudini<br />
quotidiane; è un traguardo ambito, ma esperienze simili applicate in altri settori,<br />
dimostrano che nel medio termine è possibile raggiungere ottimi risultati.<br />
1.6.2. Strategie di concessione<br />
Le strategie di concessione consistono in nuovi servizi per i cittadini, caratterizzati da<br />
alto valore aggiunto di mobilità urbana e di valori ecologici rappresentati; in questa<br />
categoria possiamo racchiudere anche le iniziative volte a promuovere e migliorare i<br />
sistemi attualmente disponibili e l’intermodalità degli spostamenti.<br />
1.6.3. Strategie di restrizione<br />
Le strategie di restrizione rappresentano misure già attuate anche in passato come le<br />
zone a traffico limitato.<br />
Nel Mobility Management possiamo inserire anche tutte le iniziative che disincentivano<br />
l’utilizzo dell’auto privata con singoli conducenti.<br />
È evidente che un approccio e una metodologia di dimensioni così vaste richiede, per<br />
poter avere successo, il coinvolgimento e la cooperazione di tutti i soggetti interessati<br />
(privati, aziende, Pubbliche Amministrazioni). Lo sforzo comune deve dirigersi verso<br />
l’ottimizzazione dei singoli ruoli così da creare sinergie tra i diversi operatori. Le tecniche di<br />
Mobility Management iniziano ad affermarsi agli inizi degli anni 90 negli Stati Uniti e in<br />
alcuni Paesi europei, quali il Belgio, la Gran Bretagna, l’Olanda e la Svizzera.<br />
1.7. Il Mobility Manager di Area<br />
L’interlocutore di riferimento del Mobility Manager aziendale è il Mobility Manager di<br />
Area, il quale, di nomina comunale, definisce e coordina gli interventi attuati nell’area di<br />
competenza.<br />
Questi elabora le strategie orientate alla gestione della mobilità casa-lavoro nel suo<br />
complesso, introducendo, quindi, il Mobility Management e sviluppando lo schema<br />
generale; inoltre, promuove le misure implementate ed utilizza schemi di coinvolgimento e<br />
119
partecipazione dei cittadini, dei lavoratori e dei datori di lavoro utili per individuare e gestire<br />
le opzioni alternative.<br />
In definitiva il Mobility Manager di Area ha un’importante funzione di coordinamento, e<br />
funge da intermediario tra tutte le differenti parti coinvolte. Il Mobility Manager di Area si<br />
concentra sullo studio dei comportamenti degli utenti e sulla domanda di trasporto a livello<br />
aggregato, in modo da individuare e dimensionare le possibili azioni applicabili in ciascuna<br />
impresa, migliorando la mobilità dei lavoratori stessi; aumentando l’uso del trasporto<br />
collettivo e dei “modi sostenibili”, riducendo i livelli d’inquinamento, dando centralità alle<br />
politiche di governo della domanda di mobilità.<br />
È compito del Mobility Manager d’Area promuovere misure di incentivazione all’uso del<br />
trasporto pubblico, della modalità delle altre eventuali opzioni disponibili, raggiungendo<br />
obiettivi prefissati. Esso gioca un ruolo chiave per l’apertura dei tavoli di concertazione tra i<br />
vari soggetti; mira a ridurre il numero di auto circolanti a favore di mezzi di trasporto<br />
alternativi attraverso l’informazione, la comunicazione, il coordinamento e<br />
l’organizzazione.<br />
I suoi principali obiettivi possono essere così sintetizzati:<br />
assicurare il soddisfacimento dei bisogni di mobilità delle persone e di trasporto delle<br />
merci con il rispetto degli obiettivi di riduzione dei consumi energetici e dei costi<br />
ambientali, sociali ed economici;<br />
migliorare l’accessibilità dei centri urbani con particolare riguardo ai modi di<br />
spostamento “sostenibili”, quali il trasporto collettivo, il trasporto ciclo-pedonale e<br />
quello intermodale;<br />
ridurre il numero, la lunghezza e i bisogni degli spostamenti individuali con il veicolo<br />
privato;<br />
influenzare i comportamenti di individui, imprese e istituzioni nel soddisfare i loro<br />
bisogni di spostamento, attraverso l’uso efficiente ed integrato dei mezzi e dei sistemi<br />
di trasporto ambientalmente sostenibili;<br />
migliorare l’integrazione tra i modi di trasporto e facilitare l’interconnessione delle reti<br />
di trasporto esistenti, anche attraverso lo sviluppo di specifici sistemi informativi e di<br />
comunicazione;<br />
Per facilitare il lavoro del Mobility Manager di Area l’ENEA, nell’ambito dell’Accordo di<br />
Programma con il Ministero dell’Ambiente, ha realizzato un software di gestione del<br />
Mobility Management a livello di Area, denominato MoMaDB, che permette di monitorare<br />
lo stato di implementazione del Mobility Management sul territorio di competenza; il<br />
120
software consente di gestire differenti banche dati: banca dati delle aziende, banca dati<br />
delle misure, banca dati degli indicatori.<br />
Il Mobility Manager di Area può fare affidamento su un elenco di misure e di indicatori di<br />
default contenute in MoMaDB, od aggiungere nuove tipologie di misure e nuovi indicatori<br />
di prestazione dei piani, arricchendo di volta in la banca dati.<br />
Semplici operazioni di ricerca consentono di seguire costantemente lo stato di<br />
implementazione del Mobility Management delle aziende interessate, i contatti avviati tra il<br />
Mobility Manager di Area e quelli aziendali, nonché di valutare i tipi di misure di maggior<br />
successo e i contributi ottenibili da ognuna di esse.<br />
1.8. Il Mobility Manager Aziendale<br />
Il Mobility Manager aziendale ha il difficile compito di mediare le esigenze dei dipendenti<br />
con quelle dell’azienda, al fine di presentare delle proposte appetibili e convincenti anche<br />
in un’ottica comunale di orientamento socio-economico; questo sforzo progettuale e<br />
organizzativo deve dare come risultato un piano complessivo che consenta di migliorare la<br />
mobilità dei singoli dipendenti, ottenendo benefici per ognuna delle categorie interessate:<br />
• per i singoli dipendenti coinvolti in termini di tempo, costo diretto e comfort del<br />
trasporto;<br />
• per l’azienda in termini economici e/o di produttività;<br />
• per la collettività in termini di minori costi sociali.<br />
121
Il Mobility Manager aziendale è supportato nell’attività dal Mobility Manager di Area e,<br />
possibilmente, da un semplice software di standardizzazione delle banche dati, che fa<br />
riferimento a specifiche schede informative.<br />
Con i dati assunti, il Mobility Manager aziendale effettua le analisi preliminari sull’offerta<br />
di trasporto, relativamente alle fasce orarie di interesse del personale aziendale, effettua<br />
delle valutazioni specifiche, in sinergia con i relativi responsabili di settore, sull’assetto<br />
strutturale e sulla disponibilità aziendale a supportare le iniziative di competenza del<br />
Mobility Manager aziendale:<br />
• esistenza e caratteristiche di servizi di trasporto dedicati al personale aziendale;<br />
• esistenza di eventuali servizi di trasporto collettivo privato dedicati al personale;<br />
• offerta di parcheggio nei piazzali aziendali;<br />
• risorse aziendali da utilizzare per le attività del Mobility Manager Aziendale.<br />
• esistenza di un piano per garantire ai dipendenti il rientro a casa in caso di emergenza.<br />
1.8.1. Il Piano degli Spostamenti Casa-Lavoro<br />
Il Piano degli spostamenti casa-lavoro è lo strumento di sviluppo, implementazione e<br />
controllo di un insieme ottimale di misure utili per la razionalizzazione degli spostamenti<br />
casa-lavoro del personale dipendente, che include servizi e attività di Mobility<br />
Management. È lo strumento di base a livello aziendale avente l’obiettivo di ridurre la<br />
dipendenza dall’auto privata, ma può anche essere concepito come un piano per un<br />
determinato quartiere o per un certo gruppo target dell’intera città, oppure per una zona<br />
industriale o commerciale, assumendo valenza di piano per la gestione della domanda di<br />
mobilità.<br />
Perché possa avere successo un Piano degli spostamenti casa-lavoro richiede sforzi di<br />
coordinamento e consultazione con tutti i soggetti coinvolti (imprenditori, dipendenti,<br />
aziende di trasporto, autorità locali, sindacati, cittadini) così che le misure adottate abbiano<br />
il più ampio consenso possibile.<br />
Compito del Mobility Manager aziendale è quello di evidenziare il bilancio positivo tra le<br />
risorse impegnate per l’adozione delle misure previste dal Piano degli spostamenti casalavoro<br />
ed i benefici conseguibili a tutti i livelli: singolo dipendente, in termini di tempo, costi<br />
e comfort; azienda, in termini economici e/o di produttività; collettività, in termini di minori<br />
costi sociali.<br />
122
Evidenziare i vantaggi anche a livello del singolo dipendente costituisce un elemento<br />
chiave da spendere nel corso della campagna informativa, per esplicitare il beneficio<br />
dell’iniziativa e stimolare la collaborazione e l’adesione dei dipendenti.<br />
I vantaggi per il dipendente<br />
• Minori costi del trasporto<br />
• Riduzione dei tempi di spostamento<br />
• Possibilità di premi economici<br />
• Riduzione del rischio di incidenti<br />
• Maggiore regolarità nei tempi di spostamento<br />
• Minore stress psicofisico da traffico<br />
• Socializzazione tra colleghi<br />
I vantaggi per l’azienda<br />
• Migliore accessibilità all’azienda (da considerare come un valore aggiunto)<br />
• Riduzione dei costi e dei problemi legati ai servizi di parcheggio<br />
• Riduzione dei costi per i rimborsi accordati sui trasporti<br />
• Riduzione dello stress per i dipendenti e conseguente aumento della produttività<br />
• Riduzione dei costi dei trasporti organizzati o pagati dall’azienda<br />
• Conferimento di un’immagine aziendale aperta ai problemi dell’ambiente<br />
• Promozione di una filosofia aziendale basata sulla cooperazione<br />
I vantaggi per la collettività<br />
• Riduzione dell’inquinamento atmosferico<br />
• Benefici in termini di sicurezza<br />
• Riduzione della congestione stradale<br />
• Riduzione dei tempi di trasporto<br />
È necessario anche un impegno per evidenziare i vantaggi per l’azienda, in prima<br />
istanza per sollecitare i vertici aziendali affinché condividano gli obiettivi e, quindi, affinché<br />
sostengano finanziariamente la realizzazione delle proposte del Mobility Manager<br />
aziendale<br />
Per migliorare l’accessibilità al luogo di lavoro, sono stati individuati degli strumenti, che<br />
promuovono modi di trasporto alternativi: car sharing, car pooling, trasporto pubblico,<br />
123
veicoli a due ruote (biciclette, scooter elettrici), politiche delle aree parcheggio disponibili,<br />
incentivi per i dipendenti.<br />
1.8.2. Interventi sul Trasporto Pubblico<br />
Il mezzo di trasporto collettivo è la prima delle alternative proponibili<br />
e l’analisi delle criticità attuali della rete di trasporto pubblico non può<br />
prescindere da un confronto con il mezzo privato e dall’individuazione<br />
delle cause che spesso portano alla scelta del secondo da parte di una<br />
notevole quota dell’utenza potenziale.<br />
Il Mobility Manager può proporre diverse soluzioni per migliorare l’accessibilità al<br />
sistema del trasporto pubblico collettivo, da valutare di concerto con i diversi enti gestori:<br />
migliore definizione degli orari e delle frequenze delle corse; informazione chiara ai<br />
dipendenti; riduzione della lunghezza dei percorsi pedonali mediante l’avvicinamento delle<br />
fermate e l’eventuale modifica dei percorsi delle linee di trasporto pubblico di superficie.<br />
Gli aspetti soggettivi, legati spesso a retaggi culturali che vedono il trasporto pubblico<br />
urbano come una forma “povera” e poco prestigiosa di mobilità, possono essere affrontati<br />
attraverso l’uso di indonee campagne di comunicazione: una politica di marketing,<br />
convincente ed adeguata, potrebbe risultare uno strumento di successo.<br />
Di particolare rilevo possono essere gli incentivi economici per i dipendenti, quali il<br />
contributo alle spese di viaggio dei dipendenti attraverso il rimborso totale o parziale del<br />
biglietto o dell’abbonamento; in questo modo l’azienda può proporre di acquistare un<br />
elevato numero di abbonamenti, anche in consorzio con altre aziende, e quindi cederli ai<br />
dipendenti sotto forma di benefit o rateizzazioni agevolate.<br />
1.8.3. Interventi sul Trasporto Aziendale<br />
Non sempre la rete di trasporto pubblico può garantire in forma adeguata le esigenze di<br />
spostamento; quindi l’introduzione, da parte delle aziende, di servizi integrativi riservati ai<br />
propri dipendenti può risultare una soluzione interessante.<br />
In genere tali servizi integrativi (già offerti da alcune aziende di grosse dimensioni)<br />
possono essere svolti mediante minibus o autobus gran turismo presi a noleggio, o più<br />
raramente mediante veicoli gestiti in proprio consentendo alcuni vantaggi: il servizio può<br />
124
essere meglio conformato alle specifiche esigenze del personale; i minibus e gli autobus<br />
gran turismo<br />
hanno un livello di comfort maggiore rispetto a quelli di un autobus urbano standard e<br />
rappresentano quindi un mezzo di trasporto in grado di sottrarre al mezzo privato<br />
un’utenza più sensibile a questi aspetti.<br />
Per quanto riguarda la scelta dei mezzi esiste il problema del coefficiente di<br />
riempimento che, se non garantito, potrebbe far cadere sensibilmente i presupposti di<br />
economicità: in talune realtà, potrebbe essere utile una fase di concertazione tra i Mobility<br />
Manager di diverse aziende localizzate in una stessa area, che porti ad una proposta di<br />
servizi interaziendali capace di abbattere i costi.<br />
1.8.4. Car Sharing<br />
Sono state fornite numerose definizioni del car sharing:<br />
• Uso collettivo di un parco di autoveicoli;<br />
• Noleggio a breve termine;<br />
• Alternativa flessibile e vantaggiosa al possesso di un’auto (le<br />
esperienze straniere indicano una soglia di convenienza per una<br />
percorrenza annua di 12.000/15.000 km);<br />
• Sistema di trasporto pubblico/privato.<br />
In linea generale possiamo definire car sharing l’utilizzo di un parco di autoveicoli da<br />
parte di privati (o aziende) che pagano un corrispettivo in proporzione alla percorrenza ed<br />
al tempo di utilizzo del mezzo.<br />
Le auto vengono prenotate presso una centrale operativa, mentre la società (o altra<br />
figura giuridica) che gestisce il servizio si occupa di tutti gli aspetti di manutenzione<br />
ordinaria e straordinaria della flotta (parco auto).<br />
Il Car Sharing non è semplicemente un nuovo servizio di mobilità, ma è uno strumento<br />
che presume un profondo cambiamento culturale nei confronti dell'automobile e, più in<br />
generale, nelle scelte di mobilità: l'automobile è intesa non come bene, ma come servizio,<br />
concetto estremamente vantaggioso per la collettività, difatti, si verificherà un aumento<br />
della competizione tra diverse modalità di movimento e conseguenti risparmio energetico<br />
e contenimento delle emissioni.<br />
È notevole il vantaggio, da parte dell’utente:<br />
125
isparmio di tempo: l'utente non deve far altro che utilizzare il mezzo quando ne<br />
ha necessità, eliminando anche la ricerca di un parcheggio dopo l'uso (le piazzole di<br />
sosta, infatti, sono riservate e gratuite);<br />
eliminazione di manutenzione, riparazioni, pratiche burocratiche (tasse,<br />
assicurazione, ecc.), pulizia sono adempiute direttamente dalla società di Car Sharing<br />
(la visibilità delle vetture stimola le società che gestiscono i servizi ad avere veicoli<br />
sempre in buono stato, molto più di quanto non farebbe un singolo proprietario);<br />
risparmio economico, sia per i privati sia per le aziende; i costi fissi di gestione dei<br />
veicoli sono suddivisi tra più utenti, con tariffe proporzionali all'uso.<br />
Ciò permette:<br />
scelta della vettura più adatta alle finalità del singolo spostamento;<br />
accesso al servizio in diverse città.<br />
possibili agevolazioni e concessioni, quali ad esempio la riduzione delle tariffe<br />
per la sosta o il libero accesso alle ZTL della città.<br />
Le fasi attuative di questo progetto si realizzano mediante:<br />
Finanziamenti europei ottenuti ed alla partnership con le aziende<br />
automobilistiche, per la fornitura di auto elettriche o comunque ad impatto ambientale<br />
ridotto, si riesce ad avviare il progetto;<br />
Campagna di informazione mirata, fatta con semplici manifesti sui bus e sulle<br />
pensiline, con questionario da presentare agli utenti, per conoscere le loro necessità di<br />
mobilità al fine di comporre un equilibrato campione di utenti.<br />
L'assenza di una quota di iscrizione, sia di ingresso sia annuale, ha incentivato<br />
l'iscrizione, senza che questa comportasse la convinzione di un utilizzo effettivo.<br />
1.8.5. Car pooling<br />
Il car pooling è un sistema di trasporto collettivo effettuato con mezzo privato ed<br />
organizzato dai lavoratori di aziende situate nella medesima zona o su una medesima<br />
linea di spostamento. Tramite questo sistema, utilizzando un solo mezzo di trasporto<br />
privato e combinando i percorsi comuni, vengono creati gruppi di persone, non inferiore a<br />
tre unità, disposte ad organizzarsi, negli spostamenti sistematici; in più, una centrale<br />
operativa, dotata di software specifico, gestisce la banca dati e organizza i gruppi di auto.<br />
126
Il progetto è aperto sia ai possessori che ai non possessori di auto: i primi si impegnano<br />
a dare la disponibilità ad ospitare sulla propria vettura, per uno o<br />
più viaggi, più persone.<br />
I secondi potranno aderire al progetto solo a seguito dell'accettazione di un apposito<br />
codice di comportamento.<br />
Le funzioni di organizzazione e gestione di questo sistema sono affidate a soggetti/enti<br />
deputati a:<br />
formalizzare le adesioni e informare tempestivamente i componenti dei singoli<br />
equipaggi della combinazione loro proposta;<br />
prestare assistenza necessaria al regolare svolgimento dei viaggi;<br />
impostare criteri di monitoraggio dell'andamento complessivo della<br />
sperimentazione, esaminando funzionalità del sistema, accettazione e gradimento del<br />
servizio, attrattività dei singoli incentivi proposti, convenienza economica a livello<br />
individuale e a livello collettivo.<br />
Il Codice di Comportamento si basa su alcune regole di condotta: interesse alla<br />
salvaguardia dell'ambiente urbano; il miglioramento della vita dei cittadini;<br />
comportamento responsabile e solidale nei confronti dei compagni di viaggio, degli altri<br />
utenti della strada e delle istituzioni che collaborano al buon funzionamento del servizio.<br />
127
La Pubblica Amministrazione, da parte sua, deve promuovere attivamente il car pooling,<br />
incentivando i cittadini attraverso facilitazioni di vario genere (corsie preferenziali,<br />
parcheggi gratuiti, ecc…).<br />
È difficile coinvolgere grosse percentuali di cittadini nel car pooling, però gli effetti<br />
positivi derivanti dallo sviluppo di questo sistema di trasporto sono notevoli: un auto<br />
collettiva può sostituire fino a 5 auto circolanti.<br />
1.8.6. Taxi collettivo<br />
Il trasporto a domanda si tratta di una modalità di trasporto innovativa che utilizza mezzi<br />
pubblici dalla capienza massima di all’incirca 10-12 utenti, ad un costo inferiore al taxi e<br />
ovviamente superiore a quello dell’autobus.<br />
Il servizio offerto, flessibile, non necessariamente coincide con tracciati già esistenti di<br />
linee di autobus, ma può personalizzarsi secondo le necessità degli utenti grazie all’utilizzo<br />
di strumenti telematici che consentono di utilizzare in tempo reale i mezzi a disposizione,<br />
offrendo addirittura servizi “porta a porta” (cioè andando a prelevare l’utente quasi sotto<br />
casa secondo alcuni percorsi flessibili, come un normale taxi), assieme a fermate collettive<br />
di salita e discesa di tipo tradizionale.<br />
Con questa struttura è così possibile servire aree urbane disperse, dove risulterebbe<br />
antieconomica la tradizionale linea extraurbana, e fornire un supporto sociale alle<br />
categorie deboli che obbligano il gestore alla raccolta dell’utente presso casa (ad esempio<br />
in caso di persone anziane).<br />
Esistono varie tipologie di taxi collettivo:<br />
- Taxibus, ovvero un veicolo da 6-9 posti che effettua lo stesso percorso di un autobus<br />
di linea, possibilmente lungo itinerari protetti (con possibilità di sorpasso) raccogliendo e<br />
depositando i passeggeri a richiesta, anche non in corrispondenza delle fermate: è più<br />
comodo, più veloce, ma in genere parte quando ha raggiunto un certo numero di<br />
passeggeri (3-5) e costa più caro del normale autobus di linea;<br />
- Servizio complementare per zone a domanda debole o ore di morbida. Servizio<br />
personalizzato con pulmino (6-9 posti) o vettura monovolume (5-6 posti) che integra il<br />
trasporto di massa su zone e in orari che non conviene servire con mezzi di grandi<br />
dimensioni. Presenta diverse possibili soluzioni:<br />
a. alle fermate periferiche della metropolitana, durante le ore notturne: raccoglie<br />
i passeggeri in uscita e li porta a domicilio. Sostituisce pullman di linea, e per<br />
128
questo è molto conveniente. Eventualmente, potrebbe essere prenotato dalle<br />
metropolitane, installando agli ingressi delle tastiere che segnalano che si intende<br />
uscire alla tale fermata. Può essere attivato anche solo in corrispondenza a una<br />
sola corsa: per esempio, l’ultima.<br />
b. alle fermate periferiche della metropolitana o di alcune linee di superficie a<br />
grande utilizzo, nelle zone a domanda molto debole, anche nelle ore diurne.<br />
Sostituisce, con un servizio personalizzato, mezzi di grande dimensione che<br />
resterebbero inutilizzati. Come il precedente, ma con percorso fisso servendo<br />
fermate aggiuntive su chiamata. Richiede un sistema di colonnine per la<br />
prenotazione installato alle fermate opzionali ed, eventualmente, un sistema<br />
telematico di localizzazione dei veicoli e un sistema di display a messaggio variabile<br />
per indicare i tempi di attesa;<br />
Gli utenti potenziali possono essere:<br />
o Disabili. Costituiscono una base potenziale per ogni possibile sviluppo del servizio,<br />
in quanto la domanda di mobilità che esprimono è in continua crescita ed è coperta in<br />
tutto o in parte da appositi stanziamenti delle autorità locali.<br />
o Persone non patentate, o che non hanno auto propria, e devono essere<br />
accompagnate da terzi.<br />
o Donne che si muovono sole, soprattutto nelle ore notturne. Per soddisfare questo<br />
tipo di domanda, che ha un’enorme peso nel garantire condizioni di sicurezza nelle<br />
città è stato istituito in alcune città un servizio di taxi cosiddetto "rosa" i cui costi<br />
vengono in parte coperti dalle autorità locali in base a convenzioni stipulate con le<br />
associazioni dei taxista.<br />
o Turisti senza auto propria o in difficoltà nel districarsi nel traffico delle città.<br />
o Persone le cui attività professionali e funzioni aziendali alimentano la mobilità<br />
per motivi di lavoro.<br />
1.8.7. Promozione e incentivi all’uso della bicicletta<br />
La bicicletta si propone quale mezzo di trasporto integrativo non<br />
inquinante particolarmente indicato nei brevi tragitti urbani, per il quale<br />
occorre creare maggiori garanzie in termini di sicurezza e comfort. Uno<br />
dei più consistenti ostacoli alla diffusione dell'uso della bicicletta in<br />
città, infatti, è determinato dalla pericolosità del conflitto con il traffico<br />
129
veicolare.<br />
L’uso della bicicletta può svolgere un ruolo fondamentale nel miglioramento della<br />
mobilità: per percorsi urbani entro cinque chilometri la bicicletta rimane infatti il mezzo più<br />
rapido, ma anche il più flessibile poiché consente di variare a proprio piacimento il<br />
percorso e di fermarsi ovunque.<br />
In generale la propensione da parte degli utenti ad utilizzare mezzi di trasporto<br />
alternativi al veicolo privato a motore aumenta a condizione di un corrispondente<br />
miglioramento dell’offerta. Per ciò che concerne la bicicletta in particolare risulta che i<br />
problemi maggiori sono imputati alla sicurezza stradale e alla mancanza di aree riservate<br />
allo spostamento ciclo-pedonale.<br />
Compito del Mobility manager di Area è pertanto quello di creare le condizioni esterne<br />
tali da consentire al Mobility Manager Aziendale di avanzare proposte per l’incentivazione<br />
dell’uso della bicicletta.<br />
Il Mobility Manager Aziendale può migliorare le dotazione e i servizi aumentando o<br />
realizzando ricoveri dedicati e sicuri per le biciclette, come anche strutture idonee quali<br />
armadietti, spogliatoi, docce. Può inoltre fornire gratuitamente le biciclette sotto forma di<br />
benefit o garantire la manutenzione delle stesse.<br />
1.8.8. Interventi interni all’azienda<br />
La concentrazione del traffico verso gli stessi luoghi e negli stessi<br />
orari, in entrata e/o in uscita, è senza alcun dubbio la causa principale<br />
della congestione oraria e dei “picchi” nelle cosiddette ore di punta. Il<br />
Mobility Manager può avanzare proposte relative alla rimodulazione<br />
dell’orario di lavoro all’interno della propria azienda (orari flessibili, orari<br />
alternati) in modo da ridurre la concentrazione dei flussi, oppure dislocare diversamente<br />
nello spazio il personale, qualora ciò fosse possibile nell’ambito dell’organizzazione della<br />
produzione.<br />
Naturalmente la compatibilità di tali proposte va verificata nei riguardi delle esigenze dei<br />
lavoratori e del ciclo produttivo dell’azienda, acquisendo l’assenso sia della dirigenza<br />
societaria, sia delle organizzazioni sindacali.<br />
Una significativa possibilità di riduzione degli spostamenti è realizzabile attraverso i<br />
moderni sistemi informatici, che consentono l’esecuzione di determinati lavori senza<br />
recarsi in azienda. Il telelavoro ha, infatti, un impatto diretto sugli spostamenti: il<br />
130
telelavoratore può svolgere a casa la sua attività, eliminando o riducendo gli spostamenti<br />
casa-lavoro. Una soluzione intermedia, mirata ad ottimizzare l’uso delle risorse<br />
telematiche, ma anche ad attenuare uno degli aspetti negativi del telelavoro (l’isolamento<br />
dai colleghi e l’attenuazione dei rapporti sociali), è quello dell’uso delle cosiddette “piazze<br />
telematiche”: si tratta di strutture di dimensioni anche limitate, facilmente realizzabili,<br />
all’interno del quale possono essere concentrati i servizi necessari per lo svolgimento del<br />
telelavoro. Le “piazze telematiche” potrebbero essere distribuite nelle aree di maggior<br />
concentrazione di residenze di dipendenti, ed eventualmente condivise con altre aziende<br />
con necessità simili.<br />
Tra le motivazioni che spingono spesso il dipendente a recarsi al lavoro con il mezzo<br />
individuale emerge la garanzia di poter rientrare a casa in caso di emergenza. Un<br />
semplice programma di garanzia di rientro offerto ai dipendenti con veicoli aziendali o a<br />
noleggio può contribuire a convincere quella quota parte di dipendenti sensibili a tale<br />
necessità.<br />
1.8.9. Forme di disincentivazione all'uso dell'automobile<br />
Parallelamente all'incentivazione all'uso dei modi alternativi<br />
più sostenibili descritti nei paragrafi precedenti, il Mobility<br />
Manager studia forme di disincentivazione all'uso delle<br />
automobili da parte di utenti singoli.<br />
E’ importante considerare che una ricca dotazione di posti per la sosta di automobili<br />
offerti gratuitamente ai dipendenti, e spesso anche ai visitatori, è di fatto un invito all'uso<br />
dell'automobile. Vale la pena di ricordare che anche in ambito urbano la disponibilità di<br />
sosta è un bene generalmente limitato, e sulla base di tale considerazione molte<br />
Amministrazioni hanno già intensificato una politica di tariffazione che promette<br />
indubbiamente buoni risultati oltre che per l’introito, anche per la limitazione del traffico.<br />
L’offerta illimitata (o quasi) di parcheggi aziendali è dunque un incentivo ad usare<br />
l’automobile; la pretesa della gratuità di un bene comunque non del tutto illimitato è<br />
difficilmente sostenibile specialmente se ciò pregiudica interessi generali. Offrire<br />
gratuitamente un posto auto è un pò come regalare del carburante e può costituire una<br />
forma di disparità di trattamento verso i dipendenti che non usano l'automobile per recarsi<br />
al lavoro, ai quali, se si volesse applicare una logica congruente, e cioè premiante,<br />
131
l'azienda dovrebbe come minimo rimborsare il costo dell'abbonamento al trasporto<br />
pubblico o regalare la bicicletta a chi ne facesse richiesta.<br />
Ma per compensare tale disparità di trattamento potrebbe essere più pertinente<br />
applicare una tariffazione delle aree di sosta interne di proprietà dell'azienda, tariffazione<br />
che potrebbe essere impiegata per coprire in parte le spese necessarie per<br />
l'organizzazione della mobilità aziendale. L'importo su base mensile di una tariffa di sosta<br />
in aree di proprietà dell'azienda non dovrebbe essere elevato, sempre minore del costo<br />
del parcheggio su strada e comunque potrebbe essere paragonata ad esempio al costo<br />
dell'abbonamento mensile per la rete di trasporto pubblico urbano.<br />
Nessuno dei provvedimenti di disincentivazione deve assumere un carattere<br />
penalizzante, e perché ciò sia possibile è importante fornire sempre alternative appetibili al<br />
mezzo privato.<br />
I provvedimenti di tariffazione della sosta aziendale possono risultare impopolari,<br />
almeno nella fase iniziale, in quanto è abbastanza probabile che vi siano delle reazioni<br />
negative nel momento in cui si chiede un contributo, anche minimo, per fornire ciò che nel<br />
tempo è ormai percepito come un diritto acquisito.<br />
I passi da seguire per implementare gradualmente una politica di tariffazione della sosta<br />
potrebbero essere i seguenti:<br />
• valutare i costi effettivamente sostenuti dall’azienda per offrire la sosta ai suoi<br />
dipendenti, in termini sia di costi in conto capitale sia di spese per la vigilanza e la<br />
manutenzione;<br />
• chiarire la necessità di una politica di tariffazione della sosta sia alla dirigenza<br />
aziendale, sia ai dipendenti (soprattutto attraverso le loro rappresentanze sindacali),<br />
chiarendo che si tratta di uno strumento per facilitare l’uso di mezzi collettivi altrettanto<br />
comodi, eliminando la discriminazione nei confronti dei dipendenti che non usano gli spazi<br />
per la sosta;<br />
• studiare un percorso graduale di introduzione della tariffazione: ad esempio,<br />
ricorrendo a trattenute di lieve entità sulle retribuzioni, da applicare solo dopo aumenti<br />
dovuti a variazioni contrattuali. Una soluzione del genere, in quanto graduale, potrebbe<br />
essere meno traumatica nei confronto dei lavoratori;<br />
• promuovere sempre e comunque delle alternative all’uso dell’automobile privata;<br />
• studiare forme di incentivazione per coloro i quali usano in modo più razionale i propri<br />
autoveicoli. La tariffazione della sosta potrebbe essere di molto ridotta, o anche<br />
132
preferibilmente non applicata, per gli autoveicoli utilizzati per il “car-pooling”, o per il “carsharing”.<br />
1.9. Il Mobility Management in Italia<br />
Spesso, in Italia, l’approccio alla mobilità è caratterizzato da una cultura generica e da<br />
un atteggiamento superficiale nei confronti dei complessi problemi del trasporto. La<br />
mobilità, al contrario, richiede, una visione globale del fenomeno, che consenta di valutare<br />
ogni singola iniziativa che si intende assumere nella logica della valutazione economica<br />
dei costi e benefici, ed in quella della capacità di comunicare l’impatto sulla collettività,<br />
avendo sempre di fronte la finalità sociale che comunque permea il sistema del trasporto<br />
collettivo nel più vasto ambito della mobilità delle persone. Ecco perché la ricerca sul<br />
mobility management in Italia rappresenta un momento importante dal punto di vista della<br />
politica della mobilità; esso è una figura chiave nell’analisi dei flussi comportamentali della<br />
mobilità dei cittadini, è un elemento di raccordo importante tra il mondo del lavoro e quello<br />
dei decisori e degli operatori della mobilità collettiva.<br />
Per troppo tempo in Italia il trasporto collettivo non ha potuto contare su una effettiva<br />
analisi dei bisogni mutevoli della collettività ed i servizi sono stati assicurati secondo<br />
schemi vecchi, spesso insufficienti, altre volte ridondanti rispetto alla domanda di mobilità<br />
stessa. Questo è il motivo per cui le istituzioni e le associazioni promotrici contribuiscono<br />
alla diffusione dello studio, nel convincimento che lo stesso possa rappresentare un utile<br />
contributo per l’obiettivo comune che istituzioni, regolatori ed operatori si prefiggono: la<br />
mobilità sostenibile.<br />
Analizzando il quadro complessivo che si è venuto a delineare attraverso l’analisi dei<br />
dati raccolti con strumenti sia diretti che indiretti, si è potuto acquisire ulteriori informazioni<br />
sul fenomeno studiato, emergendo da ciò una realtà del Mobility Management italiano<br />
definibile in fermento.<br />
Dall’osservazione complessiva del materiale raccolto, emerge che, pur essendo una<br />
realtà giovane quella del Mobility Management in Italia, (il 60% dei Mobility Manager<br />
d’Area ad oggi nominati ha iniziato la propria attività tra il 2001 e il marzo 2003), si è<br />
sviluppata un forte dinamismo intorno alla tematica della mobilità sostenibile. Tale<br />
conclusione è confortata sia dai risultati dei questionari, sia dalle note rientrate assieme ad<br />
essi, in cui venivano evidenziate dai rispondenti le attività in itinere e/o la realizzazione di<br />
attività affini, e sia, infine, dall’osservazione di diversi casi di iniziative di Mobility<br />
Management individuati su internet.<br />
133
Dai dati si è potuto stimare che complessivamente in Italia sono stati nominati 551<br />
Mobility Manager, tuttavia a tale numero vanno aggiunti i diversi “responsabili della<br />
mobilità” che, pur non avendo ricevuto ancora la nomina ufficiale, svolgono di fatto l’attività<br />
propria del mobility manager.<br />
Alla luce dell’insieme dei dati acquisiti è possibile quantificare le Aree che hanno già<br />
predisposto Piani di spostamento in circa 174; a tale dato vanno tuttavia aggiunte quelle<br />
che hanno progettato, nel futuro prossimo, la loro realizzazione e attuazione.<br />
Complessivamente i piani di spostamento predisposti, individuati sul territorio nazionale<br />
nel corso della ricerca, sono circa 106, di cui:<br />
• 84 di tipo casa-lavoro<br />
• 12 di tipo casa-scuola<br />
• 10 per poli ospedalieri, aree commerciali e fieristiche.<br />
Dei 106 piani predisposti ne sono stati attuati il 41% (pari a 43 piani spostamento); 39<br />
sono stati quelli di tipo casa-lavoro, 2 di tipo casa-scuola e 2 quelli per poli ospedalieri.<br />
Si è potuto osservare che la percentuale dei piani attuati dovrebbe aumentare in un<br />
futuro prossimo, in quanto diverse Aree stanno ultimando la predisposizione per poi<br />
passare alla fase attuativa, mentre altre hanno individuato le aree di intervento, le linee di<br />
lavoro e gli strumenti per poterli predisporre.<br />
Inoltre si è potuto osservare che il Mobility Management italiano si è sostanziato non<br />
solo nella predisposizione di piani coinvolgenti il tragitto casa-lavoro, ma sta allargando<br />
sempre di più la propria attenzione anche verso altri “poli” di attrazione, quali scuole, aree<br />
fieristiche, aree commerciali e poli ospedalieri; ciò può essere letto come sintomo della<br />
volontà di diffondere, sensibilizzare ed educare alla mobilità sostenibile.<br />
2. SITUAZIONE LOCALE<br />
Per quanto riguarda l’Inquinamento Atmosferico nel nostro territorio sono state<br />
previste varie iniziative tra cui:<br />
• attuazione del "Piano del traffico" con la previsione di numerosi interventi atti a<br />
ridurre il traffico veicolare nelle aree più critiche del centro urbano mediante:<br />
- realizzazione dei c.d. semafori intelligenti;<br />
- acquisto ed utilizzo di autobus a basso impatto ambientale;<br />
- utilizzo da parte della flotta AMAT di gasolio bianco in grado di abbattere per oltre il<br />
20% le emissioni;<br />
134
- acquisizione ai laboratori di proprietà comunale di spettrometro ad assorbimento<br />
atomico che consente una migliore valutazione degli inquinanti presenti in<br />
atmosfera nonché la conoscenza della loro origine;<br />
- realizzazione di un sistema di controllo di tutti i mezzi AMAT attraverso un sistema<br />
satellitare, in grado di coordinare e gestire al meglio il sistema pubblico di trasporto;<br />
- acquisizione nel sistema di rilevamento comunale di strumentazione aggiuntiva in<br />
grado di realizzare una mappatura ed un campionamento del territorio circa il<br />
parametro benzene e la determinazione dei metalli pesanti.<br />
• l'Ordinanza sul Bollino Blu, per la regolamentazione e il controllo programmato degli<br />
scarichi automobilistici.<br />
• Adesione a:<br />
Progetto Metano: Sviluppo dell'utilizzo del metano per autotrazione nelle aree urbane<br />
e metropolitane. Il metano è un carburante molto meno inquinante della benzina e del<br />
gasolio responsabili dell'inquinamento da micropolveri. Questa iniziativa rientra nel più<br />
ampio programma di interventi tesi a promuovere la mobilità sostenibile in ambito urbano;<br />
Car sharing: soluzione di mobilità che permette di disporre (tramite prenotazione) di un<br />
veicolo da utilizzare all'occorrenza, di uso collettivo. È motivato da regioni economiche,<br />
permettendo di ridurre i costi fissi di gestione dell'auto, e da ragioni di rispetto<br />
dell'ambiente. Costa molto meno di un auto di proprietà e può sopperire a spostamenti<br />
non soddisfatti dal trasporto pubblico e più onerosi usando il taxi o il noleggio per lo stesso<br />
numero di spostamenti.<br />
Agenda 21: Riconoscimento di un ruolo decisivo all'Ente Locale per attuare le politiche<br />
di sviluppo sostenibile in materia di ambiente, economia e società;<br />
2.1. Progetto TARAS 2020<br />
L’Agenda 21 locale si basa sull’attivazione e gestione di un processo partecipato che<br />
prevede il coinvolgimento attivo dell’amministrazione e di rappresentanti dei vari attori<br />
locali (settore produttivo, associazioni di categoria o del volontariato, circoscrizioni, circoli,<br />
organizzazioni sindacali, ordini professionali, media, università e centri di ricerca, etc) per<br />
l’elaborazione e attuazione di un Piano di Azione locale per lo sviluppo sostenibile.<br />
L'agenda 21 locale sarà finalizzata all'elaborazione delle linee guida del Piano d'azione<br />
locale sostenibile, condiviso e partecipato, orientato allo sviluppo socio-economico e al<br />
miglioramento della qualità ambientale, attraverso la definizione di una conoscenza<br />
135
integrata dei problemi e delle soluzioni in campo e la costruzione di una visione locale<br />
condivisa sul futuro della comunità contribuendo a avviare un processo di empowerment e<br />
coevoluzione degli attori coinvolti.<br />
Il progetto TARAS 2020 (<strong>Taranto</strong> Ambiente e Risorse per Azioni Sostenibili 2020),<br />
intende raggiungere il principale obiettivo strategico di avviare un processo a<br />
partecipazione multi-settoriale e di sistema per identificare obiettivi e azioni condivise di<br />
sviluppo, di protezione e recupero degli ecosistemi e di tutela della salute pubblica in<br />
direzione della governance ambientale.<br />
Gli obiettivi specifici di TARAS 2020 sono:<br />
1. Sensibilizzare, coinvolgere e responsabilizzare tutti i portatori di interesse<br />
(partecipazione attiva);<br />
2. Sensibilizzare, informare e coinvolgere i cittadini e gli amministratori (partecipazione<br />
intersettoriale e di sistema);<br />
3. Realizzare una conoscenza integrata e partecipata del territorio sulla base di<br />
indicatori condivisi e accessibili (Rapporto sullo Stato <strong>dell'Ambiente</strong>);<br />
4. Coordinare e mettere a sistema in direzione di processi sinergici di sviluppo, tutela<br />
dell'ambiente e della salute sulla base di una visione condivisa (Vision 2020).<br />
Per realizzare gli obiettivi specifici si intende agire attraverso un programma di <strong>Ricerca</strong>-<br />
Azione che prevede due linee d'azione: conoscitiva e partecipata istruttiva.<br />
Nell'ambito delle attività dell'Assessorato sono state avviate alcune azioni relative allo<br />
sportello ambientale, al sito internet ed azioni di pianificazione per ridurre gli effetti negativi<br />
delle attività antropiche sulle matrici ambientali; tra queste la Qualità dell'aria (Piano<br />
Urbano del Traffico Progetti per la mobilità sostenibile (idrovie, piste ciclabili con biciclette<br />
disponibili, parcheggi di scambio, bus elettrici e a gasolio bianco GECAM)).<br />
136
2.2. PIC Urban II<br />
Nella Delibera di adozione del Complemento di Programmazione del Programma<br />
Operativo della Regione Puglia 2000 – 2006, il Quadro Comunitario di Sostegno, Ob. 1<br />
2000 – 2006, disegna per il Mezzogiorno una strategia “di rottura” con il passato attraverso<br />
l’azione concertata delle politiche europee di coesione economica e sociale e delle<br />
politiche nazionali e regionali complementari.<br />
Il PIC Urban II della città di <strong>Taranto</strong> ha tenuto conto disegnando l’impianto degli assi e<br />
delle misure specifiche di quelle che erano le indicazioni verso cui si sono mossi gli altri<br />
strumenti di programmazione.<br />
Un taglio specifico di programmazione di scala urbana, coerente con gli indirizzi della<br />
Commissione Europea per Urban, è stato accentuato al fine di rafforzare l’incidenza<br />
urbana degli interventi in termini sia di impatto fisico che di impatto in tema di benefici<br />
trasferiti.<br />
Bruxelles, 17 gennaio 2002<br />
Programma Urban II: L'Unione europea contribuisce con 15,1 milioni di Euro alla<br />
riqualificazione urbana di <strong>Taranto</strong> (Italia)<br />
Michel Barnier, commissario europeo per la politica regionale, ha comunicato che la<br />
Commissione europea ha approvato un programma di riqualificazione urbana di<br />
<strong>Taranto</strong> (Italia). Con questo programma di iniziativa comunitaria URBAN verranno stanziati<br />
15,1 milioni di € dell'Unione europea per il periodo 2000- 2006.<br />
Questo finanziamento europeo ha attratto altri investimenti per 16,6 milioni di €, sempre<br />
del settore pubblico, e 7 milioni di € del settore privato, giungendo così ad un totale delle<br />
risorse pari a 38,7 milioni di €.<br />
Le priorità saranno costituite dalla formazione, da miglioramenti dell'ambiente naturale e<br />
del contesto imprenditoriale nonché da varie misure atte a promuovere l'inserimento di<br />
gruppi svantaggiati, soprattutto nel mercato del lavoro.<br />
… Il programma è incentrato sulle seguenti priorità. …<br />
Sistemi di trasporto pubblico integrati ed ecocompatibili: I progetti riguardano lo sviluppo<br />
dei trasporti pubblici, la creazione di corridoi ecologici, piste ciclabili e pedonali, mobilità<br />
marittima o sviluppo della zona del porto (contributo comunitario: 1 milione di €).<br />
URBAN<br />
137
L'obiettivo dell'iniziativa comunitaria URBAN è "la riqualificazione economica e sociale<br />
delle città e delle periferie in crisi, per la promozione di uno sviluppo urbano<br />
ecocompatibile". Il secondo ciclo di URBAN ("URBAN II") si estenderà sul periodo 2000-<br />
2006 con il sovvenzionamento di progetti riguardanti 70 aree urbane in degrado in tutta<br />
l'Unione europea. Il finanziamento totale a carico dell'Unione sarà di 728,3 milioni di €, il<br />
che attrarrà una cifra almeno altrettanto cospicua dai settori sia pubblico che privato.<br />
La dotazione totale URBAN per l'Italia ammonta a 114,8 milioni di € e i programmi<br />
presentati riguardano Torino, Milano, Genova, Carrara, Pescara, Caserta, <strong>Taranto</strong>, Mola di<br />
Bari, Crotone e Misterbianco.<br />
Una caratteristica particolare di URBAN II consiste nella creazione di modelli innovativi<br />
di riqualificazione urbana; un'altra caratteristica è la forte accentuazione sulla<br />
partecipazione e la collaborazione con le varie istanze locali.<br />
Sarà inoltre previsto uno scambio di informazioni e di esperienze sullo sviluppo urbano<br />
ecocompatibile nell'intera Unione europea.<br />
URBAN II è sovvenzionato dal Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). Questi<br />
finanziamenti sono destinati ad iniziative riguardanti il rinnovo di edifici e di spazi pubblici,<br />
iniziative di occupazione locale, il miglioramento di sistemi di istruzione e di formazione per<br />
gruppi svantaggiati, l'approntamento di sistemi di trasporto pubblico rispettosi<br />
dell'ambiente, l'introduzione di sistemi di gestione dell'energia con maggior rendimento e<br />
l'impiego di forme di energia rinnovabili, il potenziamento delle capacità create dalle<br />
tecnologie della società dell'informazione.<br />
I programmi adottati dalla Commissione sono inizialmente proposti da un partenariato<br />
costituito da gruppi locali e comunitari. Questi programmi vengono attuati nel periodo<br />
2000-2006 e in tutte le fasi dell'intero processo vi partecipano istanze locali.<br />
<strong>Taranto</strong> si colloca geograficamente al centro del Mediterraneo in una delle aree<br />
Obiettivo 1, presentando condizioni strutturali di ritardo economico, rispetto al resto<br />
d’Europa.<br />
138
2.2.1. Asse III – Qualificazione della mobilità<br />
Le grandi città vivono il tema della mobilità urbana con forte disagio, nel caso in esame<br />
il problema è acuito dalla stessa conformazione cittadina e dal posizionamento dell’isola<br />
“ponte” della città vecchia interessata sia da parte dal traffico locale che, soprattutto, da<br />
quello di attraversamento. Le caratteristiche dell’area, inoltre, la rendono particolarmente<br />
vulnerabile sia nel caso di potenziamento delle componenti generatrici di traffico sia nel<br />
caso di interventi di neutralizzazione.<br />
I fattori di criticità che caratterizzano l’area esaminata riguardano:<br />
- l’inadeguatezza del servizio di trasporto pubblico;<br />
- la carenza di parcheggi e di aree per la sosta;<br />
- la mancanza di percorsi specializzati per le diverse modalità di traffico (pedonale,<br />
ciclabile, ecc.)<br />
- la cultura dominante dell’uso dell’autovettura rispetto ad altri sistemi di trasporto;<br />
- la carenza di infrastrutture, anche di tipo nautico, per la mobilità turistica.<br />
Per fare fronte ai richiamati disagi è necessario intervenire sia mediante iniziative che<br />
agiscano sul versante dell’offerta rispetto alle infrastrutture di base e per la qualificazione e<br />
potenziamento dei servizi connessi che anche attraverso la domanda tramite iniziative di<br />
sensibilizzazione ed informazione.<br />
Per la tematica della sosta l’Amministrazione cittadina ha iniziato a provvedere mediante<br />
la configurazione iniziale di un sistema di sosta in impianti interrati capaci di<br />
un’accoglienza complessiva per circa 900 autovetture.<br />
Sono state pertanto individuate due macro misure in grado di intervenire per porre<br />
rimedio alle criticità evidenziate, ed in particolare:<br />
- sviluppo del sistema dei trasporti e delle infrastrutture e reti di servizi connessi;<br />
- realizzazione di itinerari pedonali e ciclabili sicuri, corridoi ambientali e sviluppo della<br />
mobilità marittima e della portualità turistica.<br />
Attraverso le richiamate misure si intendono perseguire obiettivi relativi a:<br />
- rafforzamento e miglioramento della rete dei trasporti a livello locale e dei servizi;<br />
- miglioramento della qualità ambientale e corretta fruizione delle risorse esistenti,<br />
attraverso la creazione di infrastrutture e servizi per il turismo anche nautico;<br />
- miglioramento qualità della vita e dell’accessibilità e fruizione del centro urbano.<br />
139
Le misure dell’Asse non dispongono al momento di una adeguata quantificazione in<br />
quanto sono in corso di verifica le scelte progettuali più idonei da utilizzare nella<br />
configurazione specifica.<br />
Misura 3.1<br />
Titolo: Sviluppo del sistema dei trasporti e infrastrutture e reti di servizi connessi.<br />
Descrizione:<br />
Come è già stato evidenziato in altre parti del documento, la città di <strong>Taranto</strong> ha<br />
alcune strozzature viabilistiche generate dall’attraversamento della città vecchia.<br />
Il percorso alternativo avviene attraverso il ponte di punta Penne, un’opera che ha<br />
consentito un notevole decongestionamento del traffico veicolare diretto verso l’area<br />
di viale Magna Grecia e di Talsano e San Vito, ma non ha potuto rimuovere il<br />
problema generato dalla domanda di attraversamento tra il quartiere Tamburi e il<br />
quartiere Borgo.<br />
Sino a pochi mesi fa la concentrazione degli uffici comunali era proprio nel quartiere<br />
Borgo ed oggi la maggior parte è stata trasferita nelle vicinanze di Viale Magna<br />
Grecia, ciò ha consentito di favorire un decongestionamento, ma allo stato occorre<br />
intervenire con azioni più puntuali e mirate.<br />
Un problema generalmente avvertito è quello legato alla sosta considerata anche la<br />
volontà dell’Amministrazione di potenziare gli interventi di pedonalizzazione del<br />
centro urbano. Mancano sistemi di informazione sullo stato del traffico e sull’utilizzo<br />
del ponte girevole e vanno potenziate le infrastrutture di servizio.<br />
Finalità generali:<br />
Riorganizzare e razionalizzare i collegamenti fra le varie aree urbane al fine di<br />
fluidificare e decongestionare la mobilità.<br />
Azioni specifiche:<br />
- Riorganizzazione e miglioramento della rete dei trasporti a livello locale e dei servizi<br />
connessi.<br />
- Interventi di carattere informativo mediante cartelloni di messaggistica variabile.<br />
Dotazione indicativa della misura:<br />
Alla misura è attribuito un peso di ripartizione percentuale delle risorse pari a circa il<br />
20,0% rispetto all’asse specifico.<br />
Risultati attesi:<br />
- Miglioramento della velocità commerciale in Km./ora<br />
140
Destinatari: Comune di <strong>Taranto</strong><br />
Regime di aiuti:<br />
Nessun aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 87.1 del Trattato CE sarà accordato in<br />
base a questa misura<br />
Misura 3.2<br />
Titolo: Realizzazione di itinerari pedonali e ciclabili sicuri, corridoi ambientali e sviluppo<br />
della mobilità marittima e della portualità turistica.<br />
Descrizione: Interventi per accrescere e migliorare la mobilità cittadina e<br />
l’infrastrutturazione destinata a finalità turistiche.<br />
La qualificazione turistica di una città è strettamente connessa alla apertura e facilità<br />
di accesso al sistema urbano nel suo complesso.<br />
La città di <strong>Taranto</strong>, in particolare, è un giacimento di tesori archeologici,<br />
monumentali, architettonici ed artistici diffusi sul territorio.<br />
Per consentire la fruizione di questo tesoro, di cui la città dispone, è necessario<br />
intervenire con la creazione di una rete di itinerari sicuri sia pedonali che ciclabili che<br />
connettano gli elementi cittadini di maggiore valore e pregio.<br />
Finalità generali: Accrescere l’offerta di servizi finalizzati alla fruibilità ed al miglioramento<br />
della qualità della vita in ambito cittadino anche al fine di promuovere nuova<br />
attrattività dei flussi turistici. Miglioramento della qualità dell’ambiente e corretta<br />
fruizione delle risorse esistenti, anche attraverso la promozione del Turismo nautico.<br />
Azioni specifiche:<br />
- Creazione di itinerari pedonali e ciclabili;<br />
- Creazione di corridoi di qualificazione ambientale;<br />
- Sviluppo delle infrastrutture a supporto della mobilità e della portualità turistica.<br />
Dotazione indicativa della misura:<br />
Alla misura è attribuito un peso di ripartizione percentuale delle risorse pari a circa il<br />
80,0% rispetto all’asse specifico. Nel complemento di programmazione verranno<br />
individuate le risorse specifiche della misura.<br />
Risultati attesi:<br />
- Km. di itinerari pedonali e ciclabili.<br />
Destinatari:<br />
Comune di <strong>Taranto</strong>.<br />
141
Regime di aiuti:<br />
Nessun aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 87.1 del Trattato CE sarà accordato in<br />
base a questa misura.<br />
Quadro di sintesi di ripartizione di massima delle dotazioni delle misure<br />
Asse<br />
Titolo<br />
Valore in<br />
Misura<br />
euro<br />
III Qualificazione della mobilità 3.814.000<br />
3.1 Sviluppo del sistema dei trasporti e delle<br />
infrastrutture e reti di servizi connessi<br />
3.2 Realizzazione di itinerari pedonali e ciclabili sicuri, di<br />
corridoi ambientali e sviluppo della mobilità marittima<br />
e della portualità turistica<br />
Peso<br />
in %<br />
20,0%<br />
80,0%<br />
2.2.2. Piano Finanziario<br />
Il piano finanziario risulta coerente con l’impostazione generale del programma, con le<br />
strategie e con gli obiettivi individuati.<br />
Gli assi non hanno un’equa distribuzione tra di loro:<br />
L’Asse III – è destinatario del 9,8% delle risorse del programma. È chiaro che<br />
sul fronte della mobilità è poca cosa la disponibilità offerta, vero è anche che<br />
l’Amministrazione sta provvedendo con risorse autonome, anche sull’area<br />
bersaglio, a svolgere importanti interventi di tale natura.<br />
Le risorse<br />
142
disponibili, anche in questo caso, appaiono commisurate, ad interventi<br />
direttamente coerenti con il programma.<br />
La soglia minima di partecipazione finanziaria privata al programma appare idonea e<br />
commisurata all’insieme degli interventi specificamente dedicati.<br />
Analizzando la distribuzione per tipologia di interventi interasse si evidenzia, infatti, quanto<br />
segue:<br />
Alle azioni di intervento sul patrimonio immobiliare degradato è dedicato il 39,8%<br />
delle risorse complessive del programma.<br />
Alle azioni rivolte alla promozione imprenditoriale è dedicato il 19,8% delle<br />
risorse complessive del programma.<br />
Alle azioni specifiche di formazione è dedicato il 3,3% del programma.<br />
Al miglioramento e ampliamento del verde pubblico ed al recupero e<br />
valorizzazione di aree pubbliche è dedicato il 20,6% del programma.<br />
La distribuzione evidenziata appare coerente con le politiche di intervento che si<br />
intendono attivare sull’area bersaglio e sembrano idonee ad assicurare un’efficace<br />
visibilità al modello di approccio configurato.<br />
È evidente che in questa fase non è chiaro l’impatto socioeconomico derivabile dalla<br />
puntuale definizione delle scelte localizzative degli interventi.<br />
È auspicabile, vista anche la dimensione dell’area bersaglio (circa 500 ettari) che gli<br />
interventi siano capaci di creare un’efficace visibilità replicativa (concentrazione delle<br />
risorse) a fianco di un’equa ripartizione di effetti sul territorio complessivo.<br />
I collegamenti tra indicatori obiettivi e risultati del PIC, alla luce delle indicazioni del<br />
piano finanziario, evidenziano un livello generale di coerenza.<br />
2.3. AZIENDA PER LA MOBILITÀ NELL’AREA DI TARANTO<br />
AMAT<br />
L'Azienda per la Mobilità nell’Area di <strong>Taranto</strong> S.p.A., società per azioni dal 12 gennaio<br />
2001, garantisce il servizio di trasporto pubblico su un’area di 323 chilometri quadrati,<br />
che comprende l’intera città di <strong>Taranto</strong> ed i comuni di Statte e Leporano, con una<br />
popolazione residente di circa 225 mila abitanti, che danno luogo a ben 44.720<br />
spostamenti al giorno.<br />
Complessivamente, nelle due diverse sedi (sede sociale e ufficio vendite) lavorano<br />
quotidianamente 523 persone (forza media 2005).<br />
143
2.3.1. Storia della Mobilità Urbana di <strong>Taranto</strong><br />
La storia della Mobilità nell’area di <strong>Taranto</strong> iniziò prima dell'invenzione dell'automobile.<br />
Era il 1885 quando, a seguito della costruzione dell'Arsenale Militare,<br />
si rese necessaria l'istituzione di un servizio di trasporto pubblico:<br />
erano molti i lavoratori che dalla province di Lecce e di Brindisi si<br />
trasferivano nella nostra città, ed in quegli anni i mezzi di trasporto<br />
privati erano un lusso per pochi: perfino le biciclette erano rarissime. I<br />
primi omnibus a cavalli destinati ai trasporti pubblici appartenevano<br />
alla ditta di Michelino Cacace. Per poter transitare sul Ponte Girevole,<br />
la ditta Cacace dovette ricevere particolari autorizzazioni dall'allora<br />
regia Marina.<br />
Tra la fine dell'Ottocento ed i primi anni del Novecento il servizio<br />
passò in mano ad altri piccoli imprenditori locali.<br />
Il concetto di mobilità andava evolvendosi, grazie alle innovazioni<br />
portate dalla rivoluzione industriale: le carrozze furono sostituite dai<br />
primi tram alimentati ad energia elettrica, e le vie della città furono<br />
preparate per essere percorse da questi nuovi mezzi: <strong>Corso</strong> Vittorio Emanuele fu<br />
allargato per consentire la posa dei binari; la struttura fu rinforzata con la costruzione di<br />
pilastri a mare, struttura utilizzata ancora oggi, progettata nel 1918 dall’ingegner Vallecchi.<br />
Nel 1918 venne costruita e registrata a Londra la Società "the <strong>Taranto</strong> Tramways and<br />
Elettric Supply Cp.Ltd", che in Italia prese il nome di Società Tramvie Elettricità <strong>Taranto</strong><br />
(STET). Una volta portate a termine le trattative con la regia marina per il transito dei<br />
mezzi sul ponte, il 6 luglio del 1920 iniziarono i lavori e la lodo direzione fu affidata<br />
all'ing.Alfieri.<br />
A dimostrazione della qualità dei lavori, la struttura del <strong>Corso</strong> Vittorio Emanuele che<br />
percorriamo oggi è quella che fu costruita in quegli anni.<br />
Furono acquistate nuove vetture e, il 15 febbraio 1922 avvenne l'inaugurazione ufficiale<br />
di due linee: la linea 1, che congiungeva la stazione all'Arsenale, e la linea 2, che fino al<br />
quartiere Solito.<br />
144
Purtroppo, dopo qualche anno la società fu sciolta a causa dei problemi finanziari e la<br />
sopravvivenza dell'azienda in quei periodi difficili fu dovuta alla Rappresentanza dell'Italia,<br />
all'Ing.Vallecchi e al barone Pantaleo.<br />
Alla fine degli anni Trenta, in Italia iniziava nuovamente a respirare aria di guerra e<br />
l'Azienda fu sequestrata e messa in liquidazione dal governo fascista, in quanto faceva<br />
sempre capo a degli imprenditori inglesi; il servizio continuò comunque ad essere<br />
esercitato durante il periodo bellico, perché era necessario che i lavoratori si recassero<br />
all'Arsenale.<br />
Dopo l'armistizio, l'Azienda passò alle dipendenze del "Property Control" (Controllo<br />
Proprietà Alleata) e solo nel’48 i tranvieri di <strong>Taranto</strong> costituirono una cooperativa per azioni<br />
a responsabilità limitata, la "Società Tramvie e Autobus <strong>Taranto</strong>" s.r.l.<br />
L'impianto tranviario fu cambiato radicalmente: furono acquistati i primi autobus e si<br />
decise di eliminare il tratto tramviario della linea 1 e della linea 2, così dal '50, su tale linea<br />
gli autobus sostituirono i tram.<br />
Il servizio di trasporto pubblico urbano fu affidato alla STAT, che successivamente<br />
divenne AMAT e negli anni Sessanta l'Azienda operò in una realtà economica florida e<br />
promettente, con lo stabilimento siderurgico che trainava tutta l'economia della città.<br />
Importantissimo fu il suo ruolo negli Anni 70, con le crisi petrolifere (1973 e 1979) e la forte<br />
inflazione: per limitare l'uso delle autovetture private, su delibera comunale fu disposto<br />
l'uso gratuito del mezzo pubblico per tutta la cittadinanza.<br />
Nonostante il periodo di crisi sociale, l'AMAT aumentò e migliorò il servizio sotto tutti i<br />
punti di vista. Dal 1974 fu possibile acquistare i biglietti anche a terra: iniziò così a<br />
scomparire la figura del bigliettaio. Furono costruite pensiline a ogni fermata, e presso tutti<br />
i capolinea vennero ubicati gabbiotti di servizio per il personale viaggiante. E siamo giunti<br />
così ai giorni nostri, con la trasformazione in Società per Azioni (12/01/2001), con vetture<br />
di ultima generazione alimentate a gasolio con basso tenore di zolfo, o ad energia<br />
elettrica, con l'istituzione del servizio idrovie: l'AMAT è un'Azienda che opera<br />
concretamente alla gestione del trasporto urbano. Anche se durante la storia si è dovuto<br />
far fronte a tante difficoltà, i servizi dell'Azienda si sono ampliati per venire incontro ad ogni<br />
tipo di necessità dell'utenza.<br />
L' AMAT S.P.A è l'Azienda che gestisce il servizio di trasporto pubblico in tutto il<br />
territorio comunale tarantino, nel pieno rispetto dell'ambiente ed operando nell'ottica di un<br />
miglioramento continuativo della qualità.<br />
145
Permette ogni giorno a migliaia di utenti di raggiungere i punti nevralgici della città,<br />
mettendo a disposizione varie tipologie di mezzi, dagli autobus all'idrovia. Grazie alla<br />
pubblicità dinamica sui mezzi pubblici, AMAT è anche un'alternativa ai tradizionali mezzi di<br />
comunicazione e promozione.<br />
2.3.2. Carta della mobilità 2006<br />
La Carta della Mobilità è lo strumento con il quale AMAT s.p.a. mantiene un rapporto<br />
diretto e trasparente con l’utenza al fine di definire prima, e migliorare poi, il livello di<br />
qualità dei propri servizi, rappresentando un’occasione di dialogo con la clientela, che<br />
viene informata sui servizi e sugli impegni che l’azienda stabilisce per il loro espletamento.<br />
Nella Carta, infatti, i cittadini trovano indicati i valori di qualità garantiti per i servizi di<br />
mobilità pianificati e gestiti dall’AMAT, con gli obiettivi che l’Azienda definisce per il loro<br />
ulteriore miglioramento negli anni a venire.<br />
Nella Carta sono anche descritte le modalità di ascolto e assistenza che AMAT<br />
mantiene attive verso i propri clienti, dai contatti telefonici quotidiani alla definizione degli<br />
strumenti per la tutela del consumatore, fra i quali le procedure di reclamo.<br />
Nell’adottare la propria Carta dei servizi, L’AMAT S.p.A. assume, con un patto scritto,<br />
precisi impegni e doveri verso i Cittadini, i quali, a loro volta, chiedono che vengano<br />
adeguatamente rispettate le proprie esigenze.<br />
Il diritto alla mobilità, alla cui tutela è finalizzata la Carta della Mobilità, è sancito dall’art.<br />
16 della Carta Costituzionale e dall’art. 8 del Trattato di Maastrich, che ha contribuito a<br />
proiettare la mobilità dalla dimensione locale a quella europea, valorizzandone il ruolo nel<br />
contesto del vivere e dello sviluppo sociale; inoltre, la Commissione Europea, in<br />
applicazione delle direttive contenute nel Libro Verde, si pone come ulteriore obiettivo<br />
quello dello sviluppo di reti integrate di trasporto atte a favorire l’uso del mezzo pubblico ed<br />
a ridurre la dipendenza dal veicolo privato.<br />
L’AMAT S.p.A. intende offrire alla propria Utenza un servizio di qualità e, per meglio<br />
capire cosa si intende per Qualità, è opportuno conoscerne il significato e le sue tre<br />
dimensioni:<br />
Qualità attesa, ovvero il livello di servizio che il Cliente si attende;<br />
Qualità fornita, ovvero il livello di servizio effettivamente erogato;<br />
Qualità percepita, ovvero il tipo di servizio che il Cliente verifica di fatto nel normale<br />
esercizio e che fornisce la misura del livello di soddisfazione corrente.<br />
146
I principi cardine della Carta della Mobilità sono:<br />
∼<br />
∼<br />
∼<br />
∼<br />
∼<br />
il principio di eguaglianza, parità di trattamento e partecipazione;<br />
i sistemi di misurazione delle prestazioni aziendali, che a loro volta devono<br />
comprendere anche gli indicatori di qualità del servizio;<br />
l’informazione degli utenti;<br />
l’obbligo di rispetto e di cortesia nei rapporti con gli utenti tramite l’istituzione degli<br />
U.R.P. (Uffici per le Relazioni con il Pubblico);<br />
la possibilità di reclamo da parte dell’utente, riguardo la violazione degli impegni<br />
assunti.<br />
La rete dei servizi<br />
L'Azienda gestisce linee di trasporto su gomma mediante autobus alimentati<br />
prevalentemente a gasolio tradizionale (a basso tenore di zolfo). Fanno parte del parco<br />
aziendale anche 18 autobus alimentati a metano e tre autobus elettrici.<br />
L'area servita è costituita dai tre comuni di <strong>Taranto</strong>, Statte e Leporano.<br />
Il servizio di trasporto erogato, articolato su 21 linee, con una estensione di rete di 502<br />
km, ha consentito nel 2005 la produzione di 8.821.847 vett. x km in servizio di linea e può<br />
attualmente contare su un parco veicoli di 175 autobus.<br />
La velocità commerciale è stata pari a 17 Km/h e la frequenza programmata dei<br />
passaggi delle linee alle fermate è variabile nel corso della giornata e raggiunge, in media<br />
per alcune linee e nelle ore di punta, i 9 minuti.<br />
L'estensione del servizio ad aree di nuova urbanizzazione e l’intensificazione in quelle<br />
dove maggiore è la domanda di trasporto sono sempre uno degli obiettivi aziendali.<br />
Le scelte saranno confortate, oltre che dagli indirizzi programmatici<br />
dell'Amministrazione Comunale inseriti nel Piano Urbano del Traffico, anche dai contatti<br />
sempre più frequenti che l'Azienda intende intrattenere con le circoscrizioni, con le<br />
associazioni di Utenti, con le realtà economico-sociali esistenti sul territorio.<br />
La rete dei servizi è accessibile da 880 punti di capolinea o fermata, che sono<br />
attualmente in corso di sistemazione ed aggiornamento sia da un punto di vista strutturale<br />
(installazione e riparazione paline), sia in ordine alla grafica dei percorsi.<br />
Sono stati installati quadri porta-orari relativi al passaggio delle corse alle fermate.<br />
Al 31/12/2005 le fermate dotate di pensilina di protezione erano in numero di 195, ma si<br />
prevede di installarne altre 35 nel corso del 2006.<br />
Viaggiare senza barriere<br />
147
Allo scopo di permettere a tutti un più agevole utilizzo dei mezzi della rete di trasporto<br />
pubblico, con particolare riguardo ai cittadini disabili, l’AMAT negli ultimi tre anni ha<br />
acquistato 84 nuovi autobus, di cui 82 dotati di pedana mobile<br />
Agevolazioni tariffarie in favore di categorie protette<br />
L’AMAT fu la prima Azienda in Puglia, nel 2000, a sottoscrivere e ad applicare un<br />
Accordo tra le associazioni di categoria delle aziende di trasporto pubblico, le associazioni<br />
delle categorie protette e la Regione Puglia per l’attuazione dell’art. 32 della legge<br />
regionale n° 13/1999 (ora sostituito dall’art. 30 d ella legge regionale n°18/2002); è stata<br />
così concessa la totale gratuità del trasporto pubblico, su tutte le linee gestite dall’AMAT,<br />
alle seguenti categorie di cittadini:<br />
a) i privi di vista per cecità assoluta o con residuo visivo non superiore ad un decimo in<br />
entrambi gli occhi con eventuale correzione e loro eventuale accompagnatore, se ne è<br />
riconosciuto il diritto;<br />
b) gli invalidi di guerra, civili di guerra e per servizio, iscritti alla prima, seconda e terza<br />
categoria della tabella A) allegata alla legge 18 marzo 1968, n. 113 e successive<br />
modificazioni, e loro eventuale accompagnatore;<br />
c) gli invalidi civili e i portatori di handicap certificati dall'autorità competente, ai quali<br />
sia stata accertata una invalidità in misura non inferiore all'80 per cento e loro eventuale<br />
accompagnatore se ne è riconosciuto il diritto, nonché gli invalidi del lavoro certificati<br />
dall'autorità competente, ai quali è stata accertata una invalidità in misura non inferiore al<br />
70 per cento.<br />
Coerentemente con gli indirizzi previsti dalla Direttiva, l’AMAT S.p.A. si impegna ad<br />
erogare i propri servizi di trasporto nel rispetto dei seguenti principi:<br />
- eguaglianza ed imparzialità:<br />
Garantire l'accessibilità ai servizi ed alle infrastrutture senza distinzione di sesso, razza,<br />
lingua, religione ed opinione.<br />
Migliorare l'accessibilità ai servizi e alle infrastrutture delle persone anziane e di quelle<br />
disabili attraverso la progressiva adozione di iniziative adeguate in rapporto alla capacità<br />
economica dell'Azienda.<br />
Garantire un trattamento uguale, a parità di condizioni del servizio prestato, sia fra le<br />
diverse aree geografiche di utenza, sia fra le diverse categorie o fasce di utenti; il principio<br />
deve essere compatibile con forme di tariffe differenziate praticabili in base a criteri<br />
obiettivi e noti.<br />
148
- continuità:<br />
Garantire un'erogazione dei servizi continua e regolare, secondo quanto stabilito dai<br />
programmi autorizzati dagli Enti concedenti e resi noti (fatta eccezione per le interruzioni<br />
dovute a causa di forza maggiore, caso fortuito o del terzo, stato di necessità indipendenti<br />
dalla volontà dell'Azienda e, in ogni caso, conformi alla normativa regolatrice di settore).<br />
Definire e comunicare preventivamente, nel rispetto della normativa vigente, i servizi<br />
minimi in caso di sciopero; questo adempimento può essere condizionato dai<br />
comportamenti di parti terze rispetto all'Azienda.<br />
- partecipazione:<br />
Istituire un rapporto di scambio informativo tra l'Azienda e gli utenti/clienti sulle<br />
problematiche dei servizi erogati, attraverso l'analisi dei suggerimenti e delle osservazioni<br />
formulate dagli Utenti-Clienti e il metodo del confronto tra organismi di rappresentanza<br />
organizzata (Associazioni delle Aziende, Associazioni dei Consumatori).<br />
- efficienza ed efficacia:<br />
Adottare, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto degli standard prefissati, le<br />
misure necessarie a produrre ed erogare servizi di trasporto improntati al continuo<br />
miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia degli stessi.<br />
- libertà di scelta:<br />
Assumere, per la parte di propria competenza, iniziative per facilitare la libertà di scelta<br />
tra più soluzioni modali.<br />
Il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30 dicembre 1998 ha definito i<br />
fattori fondamentali che caratterizzano la qualità di ciascun aspetto del viaggio (sicurezza<br />
del viaggio, regolarità del servizio e puntualità dei mezzi, pulizia e condizioni igieniche dei<br />
mezzi, comfort del viaggio, etc.) e, nell'ambito di ciascuno di essi, gli specifici indicatori di<br />
qualità che rappresentano i livelli delle prestazioni del servizio erogato.<br />
Ad ogni indicatore, in riferimento alla realtà aziendale in atto, corrisponde:<br />
- una specifica unità di misura dei risultati;<br />
- gli standard corrispondenti a ciascun indicatore di qualità;<br />
- una modalità di rilevazione dei risultati.<br />
Monitoraggio<br />
Sulla base dei fattori e degli indicatori di qualità del servizio indicati dalla Direttiva,<br />
l’AMAT si impegna a verificarne periodicamente la rispondenza rispetto agli standard<br />
149
ilevati per valutare il grado di soddisfazione dell'Utente-Cliente con diverse modalità e<br />
attraverso i seguenti strumenti:<br />
- analisi degli standard relativi agli indicatori aziendali di qualità;<br />
- segnalazioni di reclamo ricevute dall'Azienda;<br />
- sondaggi ed indagini periodiche tra i propri utenti sulla qualità attesa e percepita del<br />
servizio.<br />
Obiettivo dei monitoraggi e delle indagini non è soltanto quello di misurare il livello di<br />
soddisfazione dei clienti, ma anche di:<br />
- rilevare costantemente l'emergere di nuove attese, aspettative ed esigenze;<br />
- segmentare i clienti per progettare in modo mirato i servizi di trasporto;<br />
- capire quali siano le componenti della qualità che più direttamente ne influenzano la<br />
soddisfazione;<br />
- fare una valutazione preventiva per la corretta allocazione delle risorse degli<br />
investimenti in qualità, orientandone le priorità di impiego verso gli aspetti del servizio<br />
valutati dai clienti come più problematici.<br />
2.3.3. Indagine Customer Satisfaction<br />
Nell’Ottobre del 2006 l'AMAT ha intervistato la propria clientela per valutarne il grado di<br />
soddisfazione rispetto ai servizi ricevuti, per recepire suggerimenti tesi al miglioramento<br />
del servizio di trasporto urbano e suburbano e, soprattutto, per rilevare quali siano gli<br />
eventuali aspetti di maggior insoddisfazione. Il tutto al fine di adottare i correttivi necessari<br />
e adeguati alle aspettative della clientela e richiesti dalla Certificazione di Qualità, secondo<br />
la normativa UNI EN ISO 9001:2000.<br />
L’indagine consisteva nella compilazione anonima di un breve questionario nel quale,<br />
dopo aver riportato alcuni dati caratteristici necessari per la classificazione della clientela<br />
(età, professione, sesso, ecc...), bisognava rispondere a 10 domande sui principali aspetti<br />
dei servizi erogati (puntualità, sicurezza, cortesia del personale, ecc...). I risultati di tale<br />
indagine sono stati riportati nella carta della mobilità 2006.<br />
2.3.3.1. Fattori, Indicatori di qualità e Standard<br />
Fattori di Qualità<br />
I fattori di qualità sono gli elementi dai quali dipende la qualità del servizio erogato.<br />
150
Indicatori di qualità<br />
Gli indicatori di qualità sono i parametri qualitativi e quantitativi che consentono di<br />
valutare lo stato, la struttura e la congruità del servizio erogato.<br />
Standard di qualità<br />
La Carta della Mobilità stabilisce degli standard di prestazione, ovvero dei parametri<br />
obiettivi di tipo qualitativo che consentono di misurare e migliorare la rispondenza del<br />
servizio ai bisogni del cittadino.<br />
Gli standard di qualità sono condizionati, molto spesso in modo determinante, dal<br />
viaggiatore che interviene attivamente nelle diverse fasi dell’erogazione del servizio.<br />
La gran parte dei numerosi parametri ed indicatori sono stati calcolati a livello aziendale<br />
per misurare gli attuali standard di qualità generali per i vari fattori base; i valori assunti si<br />
riferiscono alle rilevazioni aziendali del 2005.<br />
Fattori di qualità:<br />
1) Sicurezza del viaggio<br />
2) Regolarità del servizio<br />
3) Pulizia dei mezzi e degli impianti<br />
4) Comfort del viaggio<br />
5) Servizi per disabili<br />
6) Informazioni alla Clientela<br />
7) Aspetti relazionali e di comunicazione<br />
8) Livello del servizio commerciale<br />
9) Attenzione all’ambiente<br />
La sicurezza dell’Utente in vettura, intesa come assenza dei rischi per lo stesso, é<br />
rappresentata da diversi fattori: il tipo di veicolo impiegato, la capacità e la prudenza del<br />
151
personale di guida, le operazioni di manutenzione preventiva effettuate sistematicamente<br />
su ciascun autobus, la presenza sul mezzo di apparati di radio comunicazione che<br />
consentono di richiedere l’intervento della forza pubblica tutte le volte che ciò sia<br />
necessario.<br />
L’azienda provvede alle necessarie coperture assicurative ed il Cliente-Utente ha diritto<br />
al risarcimento per danni fisici sofferti in occasione di infortuni cagionati involontariamente<br />
dalla circolazione degli automezzi aziendali.<br />
Gli aspetti connessi con la sicurezza dei trasportati o dei terzi, sono valutati con i<br />
seguenti indici:<br />
- Numero dei sinistri passivi rapportato ai Km annui di servizio;<br />
- Età media dei mezzi.<br />
Sulla regolarità del servizio, da un punto di vista di garanzia e puntualità del servizio<br />
offerto, incidono diversi fattori: alcuni interni, quali l’organizzazione e la produttività<br />
aziendale, altri indipendenti dal funzionamento dell’azienda quali, ad esempio, le<br />
caratteristiche della viabilità e del traffico, nonché l’esercizio dei diritti costituzionalmente<br />
garantiti quali lo sciopero e il diritto di manifestazione.<br />
Fermo restando l’impegno degli operatori aziendali a programmare e ad erogare un<br />
servizio efficiente ed efficace, è bene evidenziare che sono gli enti preposti al governo del<br />
territorio che possono dare un sostanziale contributo alla regolarità del servizio, attraverso<br />
il miglioramento delle condizioni del traffico ed il perseguimento nella politica tesa a<br />
favorire l’uso del mezzo pubblico.<br />
152
L’Azienda si impegna a mantenere i mezzi in condizioni igieniche adeguate, adottando<br />
e garantendo programmi di pulizia sistematica degli stessi, intesa sia come pulizia<br />
effettiva, sia come quella percepita dall'utente.<br />
Per quanto riguarda la prima, il rilevamento può essere fatto con riferimento al numero<br />
di bus quotidianamente lavati internamente ed esternamente (dato medio).<br />
Per quanto riguarda la pulizia percepita dall'utente, i criteri di valutazione sono numerosi<br />
e soggettivi, sicché l'unica possibilità per misurare il gradimento è il sondaggio di opinione,<br />
da effettuarsi mediante un questionario che consenta di focalizzare gli eventuali motivi di<br />
disapprovazione e le possibilità di intervento da parte dell'Azienda.<br />
Il parziale rinnovo del parco autobus è stata l’occasione per migliorarne l’accessibilità e<br />
il comfort generale di marcia e gli autobus acquistati sono tecnologicamente<br />
all’avanguardia e sono provvisti di tutti i dispositivi per rendere il trasporto il più possibile<br />
confortevole e sicuro.<br />
153
L’età media del parco (6 anni) è di gran lunga migliore della media nazionale (11<br />
anni) e nei prossimi anni gli sforzi dell’Azienda saranno protesi verso il progressivo rinnovo<br />
di tutto il parco, con l’obiettivo finale di ridurne ulteriormente l’età media.<br />
In tale solco si inserisce l’acquisto di n° 51 nuov i autobus, di cui 16 con alimentazione a<br />
gas metano, tutti di nuovissima generazione e provvisti di pianale ribassato e dispositivo<br />
per l’accesso delle carrozzelle per disabili.<br />
L’Azienda, pur essendo inserita in un contesto economico non più protetto (ricordiamo,<br />
tra l’altro, la sua trasformazione in società per azioni), non distoglie mai il suo sguardo dai<br />
Cittadini che hanno delle esigenze in più da soddisfare.<br />
Le nuove postazioni dei capilinea, ubicate in Via Consiglio, in Via Lago di Garda<br />
(Salinella) e in Via C. Colombo (Porto Mercantile), sono tutte dotate di sala d’attesa<br />
accessibile mediante scivolo per disabili.<br />
L’Azienda per la Mobilità nell’Area di <strong>Taranto</strong> S.p.A. si impegna a diffondere una<br />
informazione qualificata, puntuale e capillare all’Utente.<br />
L’Azienda ha attualmente un sistema di informazione al pubblico articolato in varie<br />
forme:<br />
1) pubblicazioni;<br />
2) servizio informazioni telefoniche;<br />
3) sito internet.<br />
154
Per quanto riguarda l’informazione sui mutamenti contingenti del servizio, l’Utenza<br />
viene informata sugli scioperi attraverso quotidiani e televisioni locali; nella medesima<br />
maniera l’Utenza viene informata delle variazioni di percorso e di orari, nonché di<br />
deviazioni dovute ad esempio a lavori stradali, manifestazioni ecc.<br />
Il personale di guida ed ispettivo, nello svolgimento dei compiti ad esso assegnati,<br />
indossa la divisa aziendale ed è tenuto a trattare gli Utenti con rispetto e cortesia,<br />
agevolandoli nell’esercizio dei loro diritti e fornendo loro tutte le informazioni richieste.<br />
Il personale è tenuto in ogni caso ad utilizzare un linguaggio chiaro e comprensibile, ed<br />
a mantenere comportamenti tali da stabilire un rapporto di fiducia e di collaborazione tra<br />
Azienda ed Utenti.<br />
155
L’AMAT è da tempo impegnata a migliorare sempre più l’aspetto commerciale<br />
dell’attività, rendendo il più agevole possibile il momento dell’acquisto o del rinnovo dei<br />
titoli di viaggio.<br />
Da diversi anni, ormai, l’AMAT ha sposato la politica di incrementare i punti vendita dei<br />
biglietti, offrendo a tutti gli Operatori commerciali la possibilità di diventare rivenditori di<br />
biglietti, con una semplice istanza, senza particolari formalità e senza alcuna necessità di<br />
rispetto di distanze minime tra un rivenditore e l’altro.<br />
Ciò ha prodotto una diffusione molto capillare dei punti di acquisto, in tutti i quartieri<br />
della Città e in alcuni comuni vicini.<br />
Già da alcuni anni, inoltre, è possibile acquistare il biglietto direttamente dal conducente<br />
del bus, su tutte le linee ed in tutti gli orari della giornata, anche se la vendita di tali biglietti<br />
è soggetta ad un sovrapprezzo e che essa può avvenire esclusivamente ad autobus fermo<br />
ed in corrispondenza delle fermate autorizzate.<br />
Il servizio di vendita a bordo, pur essendo offerto durante l’intero orario di servizio, è<br />
principalmente mirato a migliorare la reperibilità dei biglietti negli orari di chiusura degli<br />
esercizi commerciali convenzionati per la rivendita di biglietti.<br />
Relativamente agli abbonamenti, l’Azienda ha, sin dal 1997, adottato un sistema di<br />
tessere a microchip contact-less, che consente di avere, tra l’altro, una serie di utilissime<br />
informazioni sui flussi di viaggiatori e sulla distribuzione degli stessi in relazione alle linee<br />
ed agli orari.<br />
Per fare uso dei servizi AMAT l’Utente deve essere munito di idoneo documento di<br />
viaggio, i quali si articolano in biglietti ed abbonamenti.<br />
156
Biglietti<br />
Per far fronte alle varie esigenze della clientela sono previste varie tipologie di titoli di<br />
viaggio:<br />
- BiO – Biglietto Ordinario: valido per una sola corsa in ambito urbano (non<br />
utilizzabile per le tratte delle linee suburbane 4, 14, 16 situate oltre il confine<br />
comunale di taranto);<br />
- BiT – Biglietto a Tempo: valido per 90 minuti dalla prima obliterazione su tutte le<br />
linee in ambito urbano (non utilizzabile per le tratte delle linee suburbane 4, 14, 16<br />
situate oltre il confine comunale di taranto);<br />
- BiS – Biglietto Suburbano: valido per una sola corsa. Obbligatorio per le tratte delle<br />
linee 4 (Statte), 14 e 16 (Leporano) situate oltre il confine di <strong>Taranto</strong>;<br />
- BiV – Biglietto acquistato in Vetture: valido per una sola corsa su tutte le linee;<br />
- BUS 1 – Biglietto Urbano soluzione 1 giorno: su tutte le linee, per tutta la giornata<br />
nella quale viene effettuata l’obliterazione;<br />
- BUS 3 – Biglietto Urbano soluzione 3 giorno: su tutte le linee, per 3 giorni,<br />
compreso quella in cui viene effettuata la prima obliterazione;<br />
- BUS 7 – Biglietto Urbano soluzione 7 giorno: su tutte le linee, per 7 giorni,<br />
compreso quella in cui viene effettuata la prima obliterazione.<br />
Abbonamenti<br />
Tutti gli abbonamenti dell'AMAT sono validi per circolare in tutte le ore di svolgimento<br />
del servizio e su tutte le linee gestite, senza alcuna limitazione.<br />
Gli abbonamenti dell'AMAT sono suddivisi in mensili ed annuali.<br />
- Libera circolazione personale<br />
- Lavoratori dipendenti<br />
- Giovani di età inferiore a 21 anni e studenti universitari<br />
- Studenti universitari iscritti ad una facoltà in <strong>Taranto</strong><br />
- Disoccupati e cassintergrati<br />
- Casalinghe<br />
- Utenti di età superiore a 65 anni<br />
- Pensionati al minimo I.N.P.S.<br />
- Utenti con invalidità a partire dal 34%<br />
- Militari volontari in ferma breve (VFB1) – solo mensile<br />
- Abbonamento integrato (biglietto) – solo mensile<br />
157
Dal 1°gennaio 2003 sono state avviate 2 distinte in iziative tariffarie che proseguiranno<br />
per tutto l’anno 2006, rivolte ai nuclei familiari che acquistano più abbonamenti mensili,<br />
con sconti per gli abbonamenti multipli che superano, in alcuni casi, il 65% della normale<br />
tariffa.<br />
2.3.4. Attenzione per l’ambiente<br />
Nell'ambito del rinnovo del parco autobus, su 84 nuovi autobus acquistati, 18 sono<br />
dotati di propulsore a metano, 3 sono alimentati elettricamente ed i restanti 63 sono ad<br />
emissioni ridotte e rispondono agli standard Euro3.<br />
Anche il parco autovetture in uso alla Presidenza, alle Direzioni, agli Uffici<br />
Amministrativi ed agli Uffici Tecnici è stato rinnovato con l'immissione di n° 7 autovetture<br />
con motorizzazione Euro3 ed Euro4.<br />
I vantaggi sul versante dell'inquinamento sono quelli di abbattere l'ossido di azoto,<br />
responsabile delle piogge acide; il monossido di carbonio; il particolato PM10; il particolato<br />
nocivo (fumo nero) che è causa di malattie dell'apparato respiratorio (asma) ed ha effetti<br />
cancerogeni ed, infine, dell'anidride carbonica, responsabile dell'effetto serra.<br />
158
2.3.5. BUSCA (BUs Satellite Control and Assistance)<br />
BUSCA è un sistema integrato per il monitoraggio, la gestione e il controllo di mezzi<br />
mobili attraverso tecnologie GPS, GIS, Internet e Wireless, permettendo di monitorare,<br />
gestire e ottimizzare il parco circolante delle aziende (pubbliche e private) ed i problemi di<br />
gestione delle emergenze, di ottimizzazione e di pianificazione delle risorse, di<br />
divulgazione delle informazioni verso gli utenti finali.<br />
BUSCA è stato adottato dall’AMAT (Azienda per la Mobilità dell’Area di <strong>Taranto</strong>) quale<br />
sistema di telecontrollo della flotta e si inserisce all’interno di un processo di<br />
informatizzazione e di attenzione per l’info-mobilità che l’azienda da tempo ha intrapreso<br />
nell’ottica di migliorare la propria efficienza e, nel complesso, fornire un servizio pubblico in<br />
linea con gli standard qualitativi richiesti dall’utenza e conforme a quanto stabilito nella<br />
propria “Carta della Mobilità”.<br />
L’inserimento del sistema BUSCA all’interno delle procedure dell’AMAT è stato<br />
realizzato in modo progressivo. Inizialmente si è effettuata l’installazione del Centro di<br />
gestione e l’allestimento di 20 automezzi, successivamente esteso a tutti i 144 mezzi del<br />
parco circolante, con installazione a bordo di display; in un secondo tempo sarà reso<br />
valido anche sui mezzi navali. Il sistema BUSCA consente all’AMAT di:<br />
• monitorare in tempo reale la posizione degli automezzi circolanti;<br />
• divulgare le informazioni ai cittadini;<br />
• ricercare le “sofferenze” della rete;<br />
• ottimizzare la gestione degli automezzi.<br />
L’integrazione della capacità di posizionamento e di comunicazione in un’unità<br />
intelligente, da installare sui mezzi, garantisce la conoscenza in tempo reale dello stato del<br />
servizio attraverso il monitoraggio della posizione, della loro velocità e di una serie di<br />
parametri operativi di interesse per il gestore.<br />
I principali parametri che possono essere monitorati sono:<br />
• dislocazione dei mezzi sul territorio;<br />
• stato dei mezzi (operativi, in manutenzione, ecc…);<br />
• ritardi/anticipi sulle tabelle di marcia;<br />
• segnalazioni di eventi imprevisti (quali incidenti e blocchi stradali);<br />
• gestione di richieste di aiuto e soccorso.<br />
159
Questi parametri raccolti in tempo reale consentono sia analisi statistiche a posteriori<br />
(ex post) che una predizione efficace (ex ante) dello stato del servizio, fornendo ai gestori<br />
del servizio uno strumento per creare valore aggiunto al proprio prodotto/servizio.<br />
2.3.6. I servizi informativi all’utenza<br />
Un servizio avanzato di trasporto urbano deve servire una utenza numerosa nel modo<br />
più efficiente possibile al fine di incentivare e rendere efficace l'uso del mezzo pubblico per<br />
gli spostamenti urbani, con tutte le conseguenti ricadute positive in termini di congestione<br />
del traffico e di qualità dell'aria.<br />
La qualità del servizio percepito dall’utente è correlato sia alla reale qualità del servizio<br />
erogato sia alla capacità di disporre informazioni sul servizio stesso e per tale motivo, la<br />
previsione in tempo reale del tempo di arrivo dei mezzi alle fermate e la comunicazione<br />
con l’utenza è stato considerato elemento vitale del sistema.<br />
L'adozione di canali informativi differenziati, mirati a diversi segmenti di utenza,<br />
consente di coprire al meglio il panorama degli utenti.<br />
Si sono quindi previsti quattro canali informativi:<br />
• display luminosi posti alle fermate che visualizzano in modo ciclico i tempi di arrivo dei<br />
mezzi;<br />
• sistema telefonico automatico di risposta vocale;<br />
• sistema informativo accessibile via protocollo WAP;<br />
• sito Internet.<br />
Ad un progressivo incremento della complessità dell'interazione richiesta all’utente da<br />
questi canali di comunicazione corrisponde un incremento del contenuto informativo.<br />
Display<br />
È considerato lo strumento di informazione di base e non prevede alcun livello di<br />
interazione da parte dell’utente. L’utente apprendere essenzialmente l'orario di arrivo dei<br />
mezzi alla fermata; in casi particolari possono essere visualizzati anche messaggi di<br />
servizio. L’AMAT ha installato 30 paline dotate di display luminoso presso le principali<br />
fermate.<br />
Risponditore vocale<br />
160
Questo canale informativo richiede l'utilizzo di un qualsiasi telefono, purché dotato di<br />
segnalazione multifrequenza e in questo caso l'utente può chiamare sia da telefono fisso<br />
che da telefono cellulare. Una procedura guidata attraverso semplici domande guida<br />
l'utente nella selezione della linea e fermata di proprio interesse e fornisce il tempo stimato<br />
di attesa del primo bus in arrivo e di quello immediatamente successivo. Questo sistema<br />
risulta particolarmente idoneo per:<br />
• utenti che deve recarsi alla fermata e sono interessati a sapere il tempo ancora<br />
disponibile per raggiungere la fermata prima del transito del bus;<br />
• utenti in attesa alle fermate interessato a conoscere il tempo di attesa.<br />
Questo canale informativo risulta particolarmente efficace in quanto consente di<br />
apprendere per qualsiasi linea e fermata il tempo di arrivo di due autobus successivi senza<br />
richiedere la presenza fisica presso una fermata.<br />
WAP<br />
Questo canale informativo consente di accedere agli stessi contenuti informativi del<br />
canale precedente potenzialmente in modo più efficiente e rapido, e quindi in definitiva<br />
anche più economico, stante la maggiore velocità dell'interazione testuale mediante<br />
protocollo WAP (Wireless Application Protocol).<br />
Internet<br />
Attraverso il sito dell’AMAT vengono fornite tutte le informazioni relative al servizio fino<br />
alla rappresentazione su mappa del servizio; ovviamente l’acceso a questo canale<br />
informativo avviene attraverso un Personal Computer collegato ad Internet e permette di<br />
interagire con il sistema per la selezione delle fermate e delle linee in modalità grafica,<br />
senza dover sottostare ad una conversazione guidata.<br />
2.3.7. Servizio Idrovie<br />
L’AMAT S.p.A. gestisce un servizio di trasporto marittimo di persone mediante motonavi<br />
che, ad orari prestabiliti, collegano gli scali di Piazzale Democrate e isola di San Pietro.<br />
161
Il servizio, attivo dal Luglio dell'anno 2003, collega piazzale Democrate a Capo San<br />
Vito, passando dal Mar Piccolo e dal Canale Navigabile.<br />
Nel periodo estivo la motonave Clodia effettua, oltre alle normali<br />
corse giornaliere, integrate da un servizio di autobus navetta, anche un<br />
giro serale, mentre nel periodo invernale, non effettua corse, ma resta<br />
a disposizione delle scolaresche per far osservare agli studenti la città<br />
da un'angolazione fino ad oggi riservata a pochi.<br />
A decorrere dal 8 maggio 2004 è stata immessa in esercizio la<br />
motonave Adria, motonave con caratteristiche tecniche analoghe a<br />
quelle della Clodia. L'ampliamento della flotta si è reso necessario in<br />
previsione dell'avvio dei servizi di collegamento tra la città e l'isola di<br />
San Pietro, iniziativa resa possibile grazie alle intese in tal senso<br />
raggiunte tra l'Azienda e le autorità della Marina Militare.<br />
162
Articoli tratti dal Periodico AMAT informa<br />
163
164
165
3. RISOLUZIONI<br />
Nelle prossime settimane assisteremo inermi all’insorgere di episodi acuti di<br />
inquinamento che, come regolarmente avviene, gli italiani dimenticheranno facilmente e<br />
che, invece, si ripresenteranno puntuali.<br />
E’ vero, siamo dentro un’emergenza, lo saremo ancora, e lo eravamo anche negli anni<br />
passati, quando non erano misurati benzene e polveri sottili e l’attenzione era rivolta verso<br />
altri inquinanti, meno pericolosi, come il monossido di carbonio; almeno tre quarti<br />
dell’inquinamento dell’aria urbana, e quasi tutto l’inquinamento acustico, sono dovuti ai<br />
trasporti, ma il problema non è però solo questo.<br />
Parlare di mobilità e soprattutto di mobilità sostenibile è diventato, in questi ultimi tempi,<br />
l’argomento preferito per una gran quantità di “esperti” e non solo: 58 milioni di italiani che<br />
pensano in 58 milioni di modi diversi cosa sia la mobilità sostenibile e come dovrebbe<br />
essere organizzata.<br />
Tanto più che esiste anche un vizio di natura culturale, chiamato individualismo e<br />
scetticismo verso tutto ciò che è collettivo, che fa sì che 3\4 degli spostamenti urbani delle<br />
persone siano realizzati con auto private, in media con 1,2 passeggeri a bordo.<br />
Ragionando in termini di costi, è ovvio infatti che il singolo proprietario di un’auto,<br />
subito pensa a quanto gli costa comprare e mantenere la propria auto; è bene chiarire da<br />
subito che possedere e usare una vettura costa in media circa “7 milioni all’anno,<br />
oscillando fino ad un massimo di 10 milioni e mezzo, a seconda dei chilometri percorsi.<br />
C’è infatti un secondo costo da considerare, ancora più latente, che non è a carico<br />
dell’automobilista, ma che è supportato dall’intera collettività: questo fardello prende il<br />
nome di “costi esterni” e consiste in una sommatoria di diversi effetti generati dallo<br />
strapotere dell’auto, effetti come l’inquinamento dell’aria nelle città, il rumore del traffico, i<br />
morti e i feriti negli incidenti, la congestione. Si tratta di costi che non vengono monetizzati<br />
dall’utente, in questo caso l’automobilista.<br />
I costi esterni stimati ammontano a 231.560 milioni di euro, pari a circa il 10% del PIL<br />
Italiano. In più, in termini di tempo, è stato calcolato che nel 1997 ciascun abitante di una<br />
città con oltre 500.000 abitanti ha perso circa 177 ore per motivi imputabili ai rallentamenti<br />
o ai blocchi.<br />
Circa le misure di carattere tecnologico, necessarie ma non sufficienti, c’è qualche<br />
considerazione da fare. Il filtro catalitico è oggi una necessità, ma con qualche<br />
166
precisazione: va adeguatamente mantenuto, è efficace per il benzene, ma non lo è per il<br />
particolato sottile.<br />
Lo stesso catalizzatore funziona se è caldo (oltre 300°C) e la maggioranza dei tragitti<br />
urbani è così breve da averlo freddo e inefficace per frazioni alte del percorso.<br />
Targhe alterne, blocchi parziali o totali della circolazione, sono le misure tipiche di una<br />
logica emergenziale, messe in campo nelle nostre città per contrastare l’inquinamento<br />
atmosferico da PM10 e che non stanno portando i risultati sperati.<br />
Per il monossido di carbonio drastici interventi temporanei di limitazione della<br />
circolazione consentono l’abbassamento, se pur limitato nel tempo, dei livelli di<br />
concentrazione; ciò non vale per il PM10.<br />
I dati di inquinamento di una qualunque domenica, il giorno della settimana tipicamente<br />
con il minor numero di veicoli in circolazione, con condizioni meteorologiche sfavorevoli,<br />
riportano che i valori di PM10 si riducono di appena il 15-20%, spesso neppure del 10%; i<br />
risultati dimostrano, infatti, che quasi sempre si sono registrati superamenti del livello di 50<br />
microgrammi per metro cubo.<br />
Il rinnovo del parco ha consentito negli anni la riduzione dei livelli di CO, al punto che<br />
oggi tale inquinante non desta più preoccupazione; per il PM10 non si hanno misure di<br />
confronto oltre pochi anni, tuttavia gli interventi sui veicoli e sui carburanti non sembrano<br />
da soli sufficienti a riportare i livelli di concentrazione entro i limiti.<br />
Per i carburanti, poteri fortissimi impediscono sostanziali modifiche nella loro<br />
formulazione, che oggi è molto lontana dall’ottimo ecologico; il Diesel, tenuto conto anche<br />
dell’effetto serra, è una motorizzazione più ecologica del motore alimentato a benzina<br />
“verde”; ma altre soluzioni sono proponibili: il gas anzitutto, sia il metano sia il GPL, e<br />
l’idrogeno, ma in tempi medio-lunghi.<br />
Infatti, a breve termine grandi potenzialità sono offerte dal GPL, capace di assurgere a<br />
carburante di riferimento per la conversione degli autoveicoli e delle flotte esistenti.<br />
A livello nazionale si dovrebbe mirare ad una politica d’incentivazione per il passaggio<br />
al GPL, così come a livello locale e nell'ambito dei piani di risanamento ambientale<br />
possono trovarsi ulteriori meccanismi di promozione e incentivazione.<br />
I piani di incentivazione alla conversione riguardano tutte le auto, anche quelle<br />
catalitiche, senza distinzione d'anno d'immatricolazione.<br />
167
Lo scenario nazionale porta a interessanti riduzioni, soprattutto per benzene e PM10,<br />
mentre lo scenario urbano amplifica il potenziale di miglioramento della qualità dell'aria nei<br />
grandi centri urbani, con effetti decisamente maggiori in ragione di una più elevata<br />
percentuale di veicoli con funzionamento "a freddo".<br />
I costi per lo Stato, tra incentivi e crediti di imposta, sarebbero ampiamente recuperati<br />
dalle entrate ricavate dalle imposte dirette e dall'IVA dovute per la vendita dei nuovi veicoli<br />
e per l'installazione degli impianti, mentre i benefici ambientali porterebbero un risparmio di<br />
circa 400 milioni di euro.<br />
Affrontare i problemi connessi alla mobilità per ricercare soluzioni che siano compatibili<br />
con l’ambiente costringe ad adottare una logica di sistema, tanto nel considerare il<br />
problema, quanto nel pensare le strategie utili a perseguire questo importante obiettivo.<br />
In questo quadro concettuale e strategico ben si colloca ed acquista un significato<br />
assolutamente non periferico l’intendimento di operare perché si diffonda l’uso della<br />
bicicletta anche in contesti che vadano al di la del tempo libero e della ricreazione.<br />
Una più larga diffusione dell’uso della bicicletta è allora qualcosa di più di quello che<br />
può sembrare ad un primo esame. Un più esteso ricorso ad essa, anche per gli<br />
spostamenti in città, può contribuire ad abbassare il livello dei gas di scarico presenti<br />
168
nell’aria delle grandi città e i consumi di petrolio; può aiutare nel diversificare i flussi di<br />
mobilità ed alleggerire il carico dei servizi di trasporto pubblico “necessari”, quelli legati al<br />
lavoro, allo studio alla produzione.<br />
Con una sua diffusione più ampia una necessità diventa virtù: la bicicletta, infatti,<br />
costituisce indiscutibilmente un portale d’ingresso per l’affermarsi di nuovi stili di vita e se<br />
definiamo questi come l’insieme dei comportamenti individuali, delle personali abitudini,<br />
della relazione con se stessi e con il mondo, con facilità si intravedono le importanti<br />
ricadute di questo concetto nella definizione di servizio sociale ma anche nell’elaborazione<br />
di strategie attuative.<br />
La bicicletta, per la natura stessa del mezzo, può essere un formidabile strumento di<br />
cambiamento delle abitudini di vita.<br />
Tra i molti effetti di questo cambiamento uno evidentemente si colloca con facilità<br />
proprio sul piano della mobilità sostenibile. La bicicletta promuove uno stile di vita attivo,<br />
meno richiedente ai servizi di solidarietà sociale e di sostegno sanitario ma anche, direi,<br />
culturalmente aperto, più ricettivo. Promuovere l’uso della bicicletta significa comunque<br />
poter scoprire un nuovo piacere, il tempo stesso dello spostamento diventa tempo di vita,<br />
una nuova opportunità di pratica motoria e, perché no, sportiva.<br />
Realizzare tutto questo non è questione economica ma culturale. Anche qui la bicicletta<br />
conferma se stessa, come strumento semplice e facile da utilizzare, ma assai generoso di<br />
possibilità, di emozioni, di vita. Non si tratta dunque di pensare ad interventi costosi, a<br />
grandi istallazioni, a robusti investimenti né di pensare a costose e faticose campagne di<br />
sensibilizzazione. Si tratta, semplicemente, di rendere agibile una buona disposizione<br />
generalmente espressa dai cittadini: poter usare la bicicletta avendo le necessarie<br />
condizioni di sicurezza. Si tratta allora di pensare piste ciclabili ma anche, ancor più<br />
semplicemente, percorsi assistiti, facilitazioni per chi voglia usufruire di tale mezzo, anche<br />
attraverso particolari progetti comunali.<br />
Un tipico esempio, metterebbe a disposizione un parco di bici, collocati in vari settori<br />
della città e l’utente, mediate la sottoscrizione di un modulo, l’accettazione di un<br />
regolamento, ed il versamento di una cauzione, riceve una chiave numerata che resterà a<br />
lui abbinata e registrata in un database fino alla restituzione definitiva.<br />
Con detta chiave è possibile prelevare una biciclette da qualsiasi rastrelliera, con il<br />
dispositivo della rastrelliera, al momento dello sganciamento della bicicletta, trattiene la<br />
chiave, bloccandola sul pannello; dopo l’utilizzo, l’utente dovrà ricollocarla nel medesimo<br />
punto in cui è stata prelevata e solo nel momento del riaggancio potrà estrarre la sua<br />
169
chiave dalla serratura; le biciclette sono dotate di cavetto antifurto e concepite per ridurre<br />
al minimo le rotture e gli interventi di manutenzione.<br />
La bicicletta, in tempi di super modernizzazione si sta prendendo una rivincita: tanto è<br />
antica quanto è attuale nella comodità, nel design, nella tecnologia ed utile in quanto<br />
pulita, ecologica e… facile da parcheggiare.<br />
Altre possibili soluzioni<br />
Rifinanziamento del Decreto per la promozione dei carburanti alternativi GPL<br />
e Metano e per la promozione del mobility management;<br />
Defiscalizzazione delle spese sostenute dalle imprese per le attività di<br />
mobility management e detrazione dalle tasse dell’abbonamento per il Trasporto<br />
Pubblico Locale;<br />
Abbassamento a 100 dipendenti della soglia prevista dal Decreto Ronchi per<br />
la nomina del mobility manager e la redazione del Piano Spostamenti Casa -<br />
Lavoro e reiterazione dell’obbligo anche per poli commerciali, zone artigianali e<br />
industriali;<br />
Istituzione di un “Fondo Incentivazione Buone Pratiche” attraverso il recupero<br />
di fondi dalla tassa sul carburante;<br />
Maggiore responsabilità nella pianificazione urbana per mezzo di una<br />
normativa che preveda la destinazione di parte degli oneri di urbanizzazione a<br />
favore di piste ciclabili/trasporto collettivo per le nuove aree residenziali;<br />
Inserimento della nomina del mobility manager e la redazione del Piano<br />
Spostamenti Casa - Lavoro come requisiti per le certificazioni di sostenibilità<br />
ambientale (ISO 14000 ed Emas) e come capitolo nei bilanci di responsabilità<br />
sociale di impresa;<br />
Introduzione di una tassa di scopo sulla pubblicità delle auto finalizzata alla<br />
realizzazione di percorsi ciclabili urbani e/o alla pubblicità di forme di mobilità dolce.<br />
170
4. CONCLUSIONI<br />
La mobilità sostenibile è una di quelle sfide che nascono come necessità ma assumono<br />
poi anche il carattere di opportunità, per l’intera collettività e non solo per chi opera o è<br />
chiamato a dare risposte in quello specifico settore.<br />
È una di quelle sfide che richiede l’impegno di tutti e che per questo stesso motivo può<br />
trovare grande utilità nell’azione congiunta, sinergica di molti attori.<br />
Induce, dunque, una visione ecologica, la sola chiave di lettura capace, da un lato, di<br />
cogliere la complessità di ogni fenomeno e la stretta interdipendenza tra di essi e,<br />
dall’altro, di convogliare sulla soluzione del problema risorse delle quali diversamente non<br />
si coglierebbe l’utilità.<br />
Non ci limitiamo, dunque, ad aggredire le questioni nel loro punto di emersione, ma<br />
operiamo sugli elementi che concorrono a determinare l’evenienza che ci troviamo ad<br />
affrontare.<br />
Riassumendo, non esiste la soluzione toccasana, ma un complesso di almeno quattro<br />
soluzioni strategiche, da dosare in base alle specificità locali.<br />
1. Miglioramento di veicoli e motorizzazioni, legato al progresso tecnico,<br />
e che avviene quasi automaticamente, per investimenti delle case produttrici.<br />
2. Riformulazione dei combustibili, con le difficoltà dette sopra.<br />
3. Applicazione delle moderne tecnologie, informatiche, strumentali,<br />
telematiche, per gestire il traffico.<br />
4. Riduzione della domanda di trasporto privato: bisogna ridurre<br />
drasticamente, col bastone e colla carota, il numero di veicoli privati che intasano<br />
i centri urbani e il trasporto pubblico è uno strumento fondamentale. Non si può<br />
negare che l’immagine del trasporto pubblico, visto come il “trasporto dei poveri”,<br />
percepita dal cittadino medio, sia afflitta da un forte gap di qualità a favore<br />
dell’auto privata. Occorre investire, e solo la collettività può farlo, perché il<br />
trasporto pubblico sia innovato, nei veicoli e nella gestione, sia ecologico,<br />
efficiente, sicuro, efficace.<br />
Altri accorgimenti possono aiutare la sua promozione: servizi e tariffazione integrati e<br />
aree di sosta/scambio attrezzate, che facilitino l’intermodalità.<br />
Di certo, il Mobility Management rappresenta il più importante tentativo, condotto su<br />
base europea, di spostare quote di mobilità dal mezzo privato a quello collettivo. E’<br />
importante perché agisce sulla domanda, vero problema, anziché sull’offerta, ed è<br />
171
importante perché si concentra soprattutto sugli spostamenti sistematici, maggior causa di<br />
congestione nelle ore di punta.<br />
Non ci possiamo aspettare da questo programma la soluzione di gran parte dei<br />
problemi della mobilità urbana, ma dobbiamo notare che si tratta di un approccio diverso<br />
da quelli tecnologici, alla lunga poco risolutivi, praticati finora.<br />
172
REGIONE PUGLIA<br />
Assessorato Formazione Professionale<br />
ENTE SCUOLA EDILE TARANTO<br />
<strong>Corso</strong> di formazione<br />
“TECNICO DELL’AMBIENTE”<br />
EMISSIONI ATMOSFERICHE ED IMPIANTI<br />
A RISCHIO DEL POLO TARANTO<br />
Di:<br />
Nisi Mariangela<br />
Quero Fabio<br />
Battista Ciro Daniele<br />
173
CAPITOLO I: GENERALITA’ SULL’ATMOSFERA<br />
1) L’ATMOSFERA. COMPOSIZIONE E STRATIFICAZIONE<br />
Al di sopra delle masse continentali e degli oceani si estende un involucro gassoso,<br />
l’atmosfera, la cui composizione è strettamente legata alla presenza della vita sul nostro<br />
pianeta. L’atmosfera è costituita da strati concentrici, separati da fasce di discontinuità<br />
(pause). Partendo dall’esterno, i diversi strati assumono le denominazioni di termosfera,<br />
mesosfera, stratosfera e troposfera. La termosfera o ionosfera, situata oltre 80 km di<br />
quota, è quasi vuota, poiché contiene solamente qualche centinaio di atomi e molecole per<br />
ml. Qui le particelle di gas sono ionizzate o dissociate, ma lo strato è elettricamente<br />
neutro, dato che gli ioni negativi e positivi sono presenti in egual numero. Essa è molto<br />
calda (alcune centinaia di gradi Celsius), ma è così rarefatta che il calore non ha alcun<br />
effetto sul clima della Terra. Questo strato è separato da quello sottostante dalla<br />
nesopausa. Si ha poi la mesosfera, che raggiunge un'altezza di 45-50 km; qui la luce<br />
solare non filtrata scinde le molecole dell'aria: la CO 2 è scissa in atomi di ossigeno e CO,<br />
l'H 2 O in atomi di idrogeno e ioni OH, l'O 2 in atomi di ossigeno.<br />
La strato pausa separa questo strato dalla stratosfera.<br />
174
Dal punto di vista chimico la stratosfera è caratterizzata dalla formazione e<br />
dall'accumulo di ozono. Questo gas si concentra a circa 30 km dalla superficie terrestre, e<br />
qui dà luogo alla formazione di una fascia particolare, l'ozonosfera, che assorbe i raggi<br />
ultravioletti prodotti dal Sole, evitando così che raggiungano la Terra provocando danni<br />
negli organismi viventi.<br />
L'ozono, O 3 , è prodotto dall'azione degli stessi raggi ultravioletti: essi spezzano le<br />
molecole di O 2 e gli atomi di ossigeno liberi si uniscono alle molecole rimaste (O 2 +<br />
O→O 3 ). Seguono la tropopausa e, subito al di sotto di questa, lo strato più basso, la<br />
troposfera, con uno spessore variabile tra 8 km (all'altezza dei poli) e 16 km (sopra la<br />
fascia tropicale). Questo strato dell'atmosfera ospita gli organismi viventi e vede svolgersi<br />
al suo interno i diversi fenomeni climatici e meteorologici. La troposfera infatti<br />
caratterizzata da intensi moti dell'aria e dalla presenza di gran parte delle nuvole. Molti gas<br />
prodotti dall'inquinamento sono concentrati vicino alla superficie terrestre, mentre altri<br />
come O 2 , CO 2 , CH 4 sono distribuiti in modo più uniforme nella troposfera. La radiazione<br />
solare è la fonte principale di energia che arriva alla Terra.<br />
La composizione dell'atmosfera è un fattore determinante nel riscaldamento della<br />
superficie terrestre, in quanto sia alcuni gas (CO 2 , CH 4 , H 2 O) sia le nuvole e le polveri<br />
presenti svolgono un ruolo fondamentale nell'assorbimento della radiazione infrarossa a<br />
onda lunga. Vicino alla superficie terrestre l'atmosfera è formata da N 2 (78%), O 2 (21%),<br />
CO 2 (0,03%) e da piccole (o piccolissime) quantità di molti altri gas. La densità degli<br />
organismi viventi presenti nell'aria è assai ridotta, anche se questa, essendo a stretto<br />
contatto con la superficie terrestre, risente molto dell'azione dell'uomo ed è soggetta a<br />
diversi tipi di inquinamento. Anche l’andamento della temperatura nell’atmosfera è un<br />
parametro molto importante: le variazioni nei diversi strati sono illustrate nella Figura 1.<br />
175
Figura 1 – Suddivisione verticale dell’atmosfera, basata principalmente sulle variazioni<br />
della temperatura in funzione dell’altezza.<br />
1.2) LA QUALITA’ DELL’ARIA<br />
Il problema della qualità dell’atmosfera è stato sempre affrontato come un problema di<br />
carattere locale di aree urbane e industriali. Negli ultimi trent’anni esso ha subito<br />
un’evoluzione, dovuta anche alle maggiori conoscenze relative alle alterazioni ambientali<br />
provocate dalle attività umane. Infatti la composizione dell’atmosfera sta cambiando e<br />
gravi sono le conseguenze di questi mutamenti. La portata del problema si è perciò<br />
amplificata, fino ad assumere rilevanza globale.<br />
1.3) INQUINAMENTO SU SCALA PLANETARIA<br />
La crescita della popolazione mondiale e la conseguente maggiore richiesta di energia,<br />
cibo e acqua sono alla base dei tre maggiori problemi planetari relativi all’atmosfera, cioè:<br />
- l’impoverimento dell’ozono stratosferico;<br />
- l’aumento dell’effetto serra;<br />
- le piogge acide.<br />
I danni ambientali che possono derivarne sono enormi, per cui è molto importante che<br />
vengono individuate forme di cooperazione internazionale in grado di contrastare tali<br />
fenomeni.<br />
1.3.1) L’impoverimento dell’ozono stratosferico<br />
Ricerche effettuate negli anni 70 hanno dimostrato che l’uomo può modificare la quantità<br />
complessiva di ozono ed è per questo motivo che, in questi ultimi anni, sono stati<br />
intensificati gli studi. Dagli studi fatti nell’ottobre del 1985 si è notata una diminuzione<br />
complessiva della colonna di O 3 , infatti, è stato dimostrato che la regione antartica<br />
presenta una situazione particolare, per cui in inverno e in primavera si hanno condizioni<br />
peculiari per l’accentuarsi della diminuzione dello strato di ozono. La dimensione del buco<br />
d’ozono e l’entità dell’impoverimento variano di anno in anno a seconda della temperatura<br />
e del regime del vento polare.<br />
Tutto ciò desta grande preoccupazione, dato che l’ozono è l’unico gas presente<br />
nell’atmosfera capace di evitare che le radiazioni UV più dannose raggiungano la<br />
superficie terrestre, provocando il cancro della pelle. I principali responsabili della<br />
diminuzione di O 3 sono particolari composti del cloro, i Clorofluorocarburi (CFC). Questi<br />
gas arrivano alla stratosfera senza aver subito alcun cambiamento, e solo qui le loro<br />
176
molecole vengono demolite, ad opera dei raggi UV, liberando cloro, che funge da<br />
catalizzatore in una catena di reazioni che portano alla distruzione dell’ozono. La<br />
produzione dei CFC è andata, man mano, aumentando e i più diffusi sono il CFC11, usato<br />
per la fabbricazione di isolanti termici, e il CFC12, utilizzato nei circuiti dei frigoriferi e<br />
conosciuto con il nome commerciale di Freon.<br />
1.3.2) L’aumento dell’effetto serra<br />
La presenza nell’atmosfera di un certo numero di gas fa sì che la maggior parte di questa<br />
energia venga assorbita dall’atmosfera. Tali gas, riducendo il flusso verso lo spazio, si<br />
comportano come i vetri di una serra e determinano il cosiddetto effetto serra. Si ha una<br />
situazione di equilibrio che mantiene la superficie terrestre ad una temperatura<br />
relativamente maggiore rispetto allo spazio circostante. Negli ultimi decenni, però, questo<br />
equilibrio è stato alterato dall’aggiunta nell’atmosfera di gas che aumentano l’effetto serra<br />
e che proprio per questo motivo vengono chiamati gas di serra.<br />
L’aumento dell’effetto serra è dovuto alle attività umane che provocano l’aumento di gas<br />
come il vapore acqueo, il biossido di carbonio (CO 2 ), il metano (CH 4 ), il protossido di azoto<br />
(N 2 O), l’ozono troposferico e i CFC( clorofluorocarburi).<br />
Se l’emissione di questi gas continuerà allo stesso ritmo la temperatura globale aumenterà<br />
di circa 0,3 °C ogni 10 anni. Le conseguenze che qu esto aumento potrebbe avere sulle<br />
variazioni climatiche sono incerte, ma problemi potrebbero esservi per le popolazioni delle<br />
zone costiere a causa di un innalzamento del livello marino.<br />
Strategie possibili di fronte alle conseguenze dell’aumento dell’effetto serra.<br />
Vi sono due tipi di risposte politiche: una di adattamento e una di tipo preventivo, entrambe<br />
necessarie.<br />
L’adattamento consiste nel predisporre le misure e gli strumenti necessari per ridurre o<br />
eliminare gli effetti negativi del cambiamento. Per esempio si potrebbero progettare<br />
sistemi di dighe a protezione delle zone costiere più minacciate dall’aumento del livello del<br />
mare.<br />
Gli Interventi preventivi, invece, consistono nel ridurre l’emissione di gas a effetto serra,<br />
interrompendo i processi che li producono e, contemporaneamente, avviando nuova<br />
forestazione, per contrastare la deforestazione, provocata dai seguenti fattori: la<br />
conversione del suolo all’agricoltura e al pascolo, il taglio del legno per uso combustibile e<br />
i progetti di sviluppo pubblici e privati legati alle industrie del legno, gli incendi boschivi<br />
spesso dolosi.<br />
177
1.3.2) Le piogge acide<br />
Si tratta di precipitazioni atmosferiche che hanno pH minore di 5,6 e sono la principale<br />
conseguenza di un inquinamento transfrontaliero causato dalla circolazione atmosferica<br />
che trasporta gli inquinanti da una regione all’altra. Infatti le fonti che determinano tale<br />
fenomeno si trovano totalmente o in parte in zone a notevole distanza dal luogo in cui<br />
esso si manifesta.<br />
I principali responsabili sono il biossido di zolfo (SO 2 ) e il biossido di azoto (NO 2 ), che<br />
derivano dalle combustioni industriali, soprattutto di carbone e, in minor misura, dalle<br />
combustioni degli autoveicoli.<br />
Tali ossidi interagiscono con l’acqua delle precipitazioni dando origine ad H 2 S0 4 e HNO 3 ,<br />
acidi forti, con abbassamento del pH e formazione della pioggia acida. SO 2 e NO 2<br />
possono, in altri casi, interagire con l’acqua contenuta nelle goccioline di nebbia formando<br />
nebbie acide, che possono stazionare per giorni al di sopra delle aree urbane. Tra le aree<br />
più colpite nel mondo vi sono il Canada nord-orientale, alcuni Stati degli USA, alcune zone<br />
dell'Europa centrale e della Scandinavia. Le conseguenze si sono fatte sentire in modo<br />
particolare sui laghi canadesi, i cui ecosistemi sono stati gravemente danneggiati. La<br />
diminuzione del pH sembra influire, per esempio, sulla schiusa delle uova degli anfibi,<br />
sulle popolazioni di gasteropodi e di pesci .<br />
Inoltre metalli come Al e Hg possono essere solubilizzati nelle acque ed entrare così nella<br />
catena alimentare, contribuendo al fenomeno del bioaccumulo. Al di sotto del pH 4,5,<br />
inoltre, la vita degli organismi lacustri cessa di esistere. Nell'Europa centrale le zone più<br />
danneggiate sono la Foresta Nera (nel 1982 si stimava che un terzo dei boschi della<br />
Repubblica Federale Tedesca fosse stato colpito da questo fenomeno), che risente delle<br />
emissioni provenienti dal bacino della Ruhr, e la Scandinavia, colpita dagli inquinamenti<br />
provenienti dalla Gran Bretagna e dall'Europa continentale. In queste regioni si sono<br />
registrati notevoli danni con scomparsa di moltissimi km 2 di foresta.<br />
Oltre che sugli ecosistemi acquatici le piogge acide hanno infatti effetti nocivi sui vegetali<br />
provocando in essi disfunzioni nella reazione clorofilliana e minore resistenza all'attacco<br />
dei parassiti e alle condizioni meteorologiche sfavorevoli. L'acidità delle pioggia ha anche<br />
effetti dannosi sul suolo, in quanto l'abbassamento del pH rende solubili metalli come l'Al,<br />
tossico per le piante, e meno disponibili metalli fondamentali come per esempio Ca, Mg, K.<br />
Vengono inoltre sconvolti gli equilibri microbici del terreno, con danni agli azotofissatori e<br />
alle micorrize. Anche l'attività della microfauna può essere compromessa (Figura 2).<br />
178
Non vanno trascurati, inoltre, i danni che le precipitazioni acide recano ai monumenti e alle<br />
opere dell'uomo in Italia il fenomeno delle piogge acide é stato riscontrato principalmente<br />
in Piemonte e in Lombardia al Nord, nel Lazio e nella Toscana aI Centro; per quanto<br />
riguarda quest'ultima regione sembra che le piogge acide siano il principale fattore che<br />
può spiegare la moria delle piante di Abete nella Foresta di Vallombrosa.<br />
Figura 2 – L’effetto delle piogge acide: una parte di foresta a Hanskuhnenburg (Bassa<br />
Sassonia) nel 1972 (a sinistra) e nel 1983 (a destra).<br />
1.4) I PROBLEMI SU SCALA LOCALE: L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO<br />
Nella legislazione italiana la prima definizione di inquinamento atmosferico compare nel<br />
D.P.R. 203/88: "L'introduzione da parte dell'uomo nell'atmosfera, direttamente o<br />
indirettamente , di sostanze o di energia con effetti nocivi tali da mettere in pericolo la<br />
salute dell'uomo, danneggiare le risorse biologiche e gli ecosistemi, deteriorare i beni<br />
materiali e nuocere ai valori ricreativi e ad altri usi legittimi dell'ambiente".<br />
Si possono avere due tipi di inquinamento:<br />
acuto (provocato da emissioni per brevi periodi di sostanze inquinanti a elevata<br />
concentrazione);<br />
cronico (provocato da emissioni per lunghi periodi di sostanze inquinanti a bassa<br />
concentrazione).<br />
Le emissioni sono riferite alle quantità totali di sostanze rilasciate da un impianto. Queste<br />
emissioni, tramite processi di dispersione, trasformazione e deposizione, modificano lo<br />
strato di atmosfera.<br />
179
Le concentrazioni in aria sono il risultato di questi processi e danno perciò la misura<br />
dell’entità delle alterazioni prodotte dalle emissioni.<br />
Le fonti di inquinamento più comuni sono:<br />
Le attività industriali;<br />
Il traffico veicolare e aereo;<br />
I processi di combustione per la produzione di calore;<br />
L’incenerimento di rifiuti solidi;<br />
Le attività nucleari (polveri e gas radioattivi);<br />
Lo spargimento di pesticidi e fertilizzanti;<br />
La combustione di rifiuti solidi;<br />
Alcuni eventi naturali, come le eruzioni vulcaniche, gli incendi e le decomposizioni.<br />
CAPITOLO II: INQUINANTI ATMOSFERICI PRINCIPALI. CLASSIFICAZIONE E<br />
CARATTERISTICHE<br />
Gli inquinanti atmosferici si suddividono in:<br />
• PRIMARI, cioè emessi tali quali dalle fonti primarie di inquinamento; a seconda<br />
della quantità e dimensioni sono ulteriormente suddivisi in macro e microinquinanti;<br />
MACRO: CO, CO 2 , NO, SO 2 , HC (idrocarburi, tra i quali BENZENE), particelle<br />
sospese;<br />
MICRO: metalli pesanti (Cr, Cd, Co, Pb, Fe, Mn, ...), composti del Cloro Fluoro<br />
e organici;<br />
• SECONDARI, cioè quelli prodotti dalla ricombinazione dei primari, in particolare<br />
quelli presenti nelle deposizioni umide e secche, come NO 2 , NO 2 - , NO 3 - , SO 4 2- , Cl - ,<br />
NH 4 + , O 3 ...<br />
2) MONOSSIDO DI CARBONIO (CO)<br />
E’ un gas inodore, insapore e incolore, solubile in acqua. Nell’ambiente esterno le sue<br />
concentrazioni sono molto variabili e raggiungono i valori più alti in corrispondenza delle<br />
zone ad alto traffico automobilistico o nelle aree industriali. Pertanto, l’ossido di carbonio è<br />
un inquinante tipicamente urbano, e la sua concentrazione nell’aria è determinata<br />
180
soprattutto dalla qualità del gas emesso sa parte delle autovetture, dal grado di rimozione<br />
da parte del terreno e dal grado di dispersione nelle alte sfere dell’atmosfera.<br />
Poiché il CO ha un tempo medio di persistenza nell’aria (inferiore a tre anni) l’emissioni<br />
complessive di tale inquinante sarebbero sufficienti a raddoppiare ogni 4-5 anni la<br />
concentrazione nell’atmosfera. Poiché ciò non si verifica, si ipotizzano meccanismi di<br />
rimozione o di conversione.<br />
Il CO si forma nella combustione di combustibili fossili a base di carbonio secondo tre<br />
processi: combustione incompleta di carbonio o di composti contenenti carbonio, reazione<br />
ad elevata temperatura tra CO 2 e composti contenenti carbonio, dissociazione ad elevata<br />
temperatura di CO 2 in CO e O.<br />
Il monossido di carbonio deriva prevalentemente:<br />
- dai mezzi di trasporto (91,4%) le cui emissioni dipendendone da vari fattori, come<br />
rapporto aria-combustibile, temperatura dell’acqua di raffreddamento del motore,<br />
caratteristiche tecniche della camera di combustione, stato di usura del motore;<br />
- dai processi di produzione di ghisa e acciaio (2,76%);<br />
- dalle raffinerie di petrolio;<br />
- dalla combustione di carbone, olio combustibile e legno e dall’incenerimento dei<br />
rifiuti;<br />
- dalle industrie del legno e della carta;<br />
- da forni per la rigenerazione della calce dal carbonato di calce;<br />
- dalle attività vulcaniche, da incendi spontanei ed emissioni naturali di gas.<br />
Il principale effetto tossico del CO consiste nella riduzione della capacità del sangue di<br />
trasportare ossigeno. Infatti, avviene una reazione fra il CO e l’emoglobina (Hb) che porta<br />
alla formazione di carbossiemoglobina (COHb) al posto della ossiemoglobina (O 2 Hb) con<br />
conseguente riduzione del trasporto dell’ossigeno dai polmoni alle cellule del corpo.<br />
Le principali conseguenze sono essenzialmente a carico dell’apparto cardiovascolare, del<br />
sistema nervoso e del feto. Inalazioni di aria ad alta concentrazione di CO (superiore a<br />
500 ppm) possono portare alla morte.<br />
Per la misura dell’ossido di carbonio presente nell’atmosfera (D.P.C.M. 28 marzo 1983)<br />
viene impiegato come metodo di riferimento un sistema automatico di misura<br />
(spettrofotometro IR non dispersivo) fondato sull’assorbimento da parte del CO di<br />
radiazioni infrarosse intorno a 4600 nm. La variazione di intensità della radiazione è<br />
proporzionale alla concentrazione dell’ossido di carbonio.<br />
181
2.1) OSSIDI DI AZOTO (NOx)<br />
Gli ossidi di azoto che destano più preoccupazione sono NO e NO 2 . Questi composti si<br />
formano in seguito alla reazione tra O 2 e N 2 che avviene solo ad elevate temperature (oltre<br />
i 1210 °C) e porta alla formazione di NO. Questo pe r successiva ossidazione che ha luogo<br />
anche a basse temperature si trasforma in NO 2 .<br />
Gli NOx in atmosfera sono molto reattivi e, in particolare, una parte dell’NO converte in<br />
NO 2 per ossidazione. Esso può partecipare a reazioni fitochimiche in atmosfera. Un<br />
possibile processo è descritto di seguito:<br />
1. l’NO 2 assorbe energia sotto forma di luce UV;<br />
2. l’energia assorbita scinde le molecole di NO 2 in NO e O atomico molto reattivo;<br />
3. gli atomo di ossigeno reagiscono con l’ossigeno molecolare presente in atmosfera<br />
per produrre O 3 ;<br />
4. l’ozono reagisce con l’NO, soprattutto nelle ore notturne, per dare NO 2 e O 2<br />
chiudendo in questo modo il ciclo.<br />
Gli ossidi di azoto derivano da:<br />
- emissioni di origine naturale;<br />
- emissioni da traffico autoveicolare;<br />
- emissioni da attività industriali, in particolari da centrali termoelettriche e da processi di<br />
combustione: si ha la maggior produzione di ossidi di azoto utilizzando metano rispetto a<br />
GPL, alla benzina, al gasolio, agli oli densi dato che la combustione avviene a<br />
temperature maggiori;<br />
- processi di combustione derivanti da sigarette, fornelli a gas, stufe, e scaldabangni.<br />
Gli effetti tossici sull’uomo si manifestano a livello dell’apparato respiratorio, generando<br />
tracheiti, bronchiti croniche ed asma.<br />
Per la determinazione degli ossidi di azoto si ricorre ad un metodo basato sulla<br />
chemiluminescenza (D.P.R. 24 maggio 1988).<br />
2.2) OSSIDI DI ZOLFO (SOx)<br />
Sono composti incolore, di odore pungente, si producono dalla combustione di ogni<br />
materiale contenente zolfo. Le specie più rilevanti ai fini dell’inquinamento atmosferico<br />
da zolfo sono il diossido di zolfo o anidride solforosa (SO 2 ) e il triossido di zolfo o<br />
anidride solforica (SO 3 ). Una volta in atmosfera sia SO 2 che SO 3 vanno incontro a<br />
trasformazione che hanno come risultato ultimo la formazione di acido solforico (H 2 SO 4 ).<br />
182
Gli ossidi di zolfo sono, pertanto, i maggiori responsabili, insieme a quelli di azoto, dei<br />
fenomeni di acidificazione delle piogge.<br />
Questi composti derivano da:<br />
- emissioni da fonti naturali, soprattutto da attività vulcaniche;<br />
- impianti di combustione di combustibili fossili a base di carbonio, come centrali<br />
elettriche, fonderie, raffinerie di petrolio, impianti per la produzione di acido<br />
solforico e per la conversione del carbon fossile in coke;<br />
- emissioni da attività dell’industria metallurgica;<br />
- impianti di riscaldamento domestico.<br />
Il diossido di zolfo è molto solubile in acqua per cui provoca irritazioni al tratto superiore<br />
dell’apparato respiratorio e agli occhi.<br />
Il metodo di riferimento per la determinazione degli SOx (D.P.R. 24 maggio 1988) è basato<br />
sulla chemilumunescenza.<br />
2.3) IDROCARBURI (HC)<br />
Gli idrocarburi sono composti chimici formati da atomi di carbonio e idrogeno. In base alla<br />
struttura molecolare essi si possono distinguere in alifatici, aromatici e policiclici.<br />
Tra gli idrocarburi alifatici, un ruolo di particolare importanza è rivestito dal CH 4 (metano)<br />
per la sua attività serra. Figura 3 – Anello benzenico<br />
Tra gli idrocarburi aromatici, un ruolo sempre più importante è rivestito dal<br />
benzene, un liquido idrofobo ed incolore, la cui concentrazione in atmosfera<br />
si sta elevando molto probabilmente a causa della sua presenza nelle<br />
benzine verdi. La molecola del benzene ha una struttura planare, in cui tutti i legami C-C<br />
hanno la stessa lunghezza, intermedia tra quella di un legame singolo e quella di un<br />
doppio legame. Questa struttura rende il benzene una molecola molto stabile dal punti di<br />
vista energetico. Il benzene ed altre molecole che possiedono questa particolare stabilità<br />
sono dette sistemi aromatici. Quelli che contengono più di un anello benzenico sono detti<br />
idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Una serie di idrocarburi a basso peso molecolare, e<br />
conseguente alta volatilità, provenienti anche da reazioni di trasformazione di idrocarburi,<br />
vengono designati con il nome generale di composti organici volatili (COV).<br />
Gli idrocarburi si generano da:<br />
♦ processi di origine naturale: processi biologici di decomposizione della materia<br />
organica e attività geotermiche;<br />
183
♦ emissioni da trasporti secondo due meccanismi principali: evaporazione della<br />
benzina e emissioni non combuste nei gas di scarico;<br />
♦ processi industriali di produzione, lavorazione e trasporto di prodotti contenenti<br />
idrocarburi;<br />
♦ emissioni derivanti dall’evaporazione di solventi organici.<br />
Gli IPA si originano da:<br />
• emissioni da autoveicoli;<br />
• emissioni da grossi impianti di combustione, in particolare quelli alimentati con<br />
carbone e gli impianti di incenerimento;<br />
• fumo di sigaretta;<br />
• diverse modalità di preparazione degli alimenti (carne, pesce, vegetali e frutta): la<br />
grigliatura, l’affumicatura, la torrefazione e la tostatura sono i trattamenti “a maggior<br />
rischio”.<br />
Il benzene proviene da:<br />
- emissioni dei veicoli a motore;<br />
- emissioni prodotte durante la lavorazione, lo stoccaggio e la distribuzione dei<br />
prodotti petroliferi;<br />
- fumo di sigaretta.<br />
Dal punto di vista sanitario gli idrocarburi alifatici non rappresentano una particolare fonte<br />
di rischio per la salute umana vista la loro scarsa reattività e bassa concentrazione<br />
nell’atmosfera (poco più di 1500 µg/m 3 ). Gli idrocarburi aromatici, invece, presentano<br />
un’azione irritante sulle mucose respiratorie già a concentrazioni intorno alle decine di<br />
µg/m 3 . Ben più grave è il problema degli effetti cronici sulla salute derivante<br />
dall’assorbimento di idrocarburi policiclici soprattutto quelli aromatici. Questi sono veicolati<br />
da particelle sospese con diametro intorno a 1 µm e raggiungono direttamente gli alveoli<br />
polmonari e, dopo un contatto diretto e prolungato, facilitano l’azione cancerogena,<br />
potenziata dall’eventuale presenza di piombo.<br />
Per quanto riguarda la determinazione degli idrocarburi volatili escluso il metano (COVNM)<br />
viene impiegato un rivelatore a ionizzazione di fiamma (D.P.C.M. del 28 marzo 1983); per<br />
il benzene in atmosfera, il metodo di riferimento automatico-strumentale è basato sulla<br />
gascromatografia interfacciata dallo spettrometro di massa (D.M. del 25 novembre 1994);<br />
per gli IPA si presenta un metodo strumentale (D.M. 25 novembre 1994) basato sulla<br />
gascromatografia FID (spettrometria di massa).<br />
184
2.4) PARTICELLE SOLIDE TOTALI (PST)<br />
Il particolato consiste in un miscuglio di particelle solide e liquide di diametro compreso tra<br />
100 e 0.1 µm. Le particelle più grandi di 10 µm sono generalmente polveri o ceneri volatili<br />
derivanti da processi industriali o erosivi. Intorno ai 5 µm si hanno particelle che originano i<br />
fumi e le nebbie e per diametri inferiori a 1 µm si hanno gli aerosoli, miscele di piccole<br />
particelle solide e liquide volatili, che costituiscono un serio problema di inquinamento<br />
atmosferico. La frazione di particelle con diametro inferiore a 10 µm viene indicata come<br />
PM10. Le sostanze chimiche che possono essere presenti in atmosfera come articolato<br />
sono molto numerose ed hanno proprietà differenti. Quelle più interessanti al fine di<br />
valutare il comportamento di queste sostanze in atmosfera sono:<br />
♦ le dimensioni delle particelle: dalle dimensioni dipende il tempo di permanenza delle<br />
particelle in atmosfera, che può variare da pochi secondi a molti mesi;<br />
♦ la capacità delle particelle di agire da centro di assorbimento secondo tre meccanismi:<br />
la molecola incidente può essere fisicamente attratta ed aderire alla particella<br />
(adsorbimento); può avvenire un’interazione chimica tra le due molecole (assorbimento<br />
chimico); la molecola incidente può dissolversi nella particella (absorbimento).<br />
♦ le proprietà ottiche.<br />
Il particolato proviene da:<br />
- emissioni da processi industriali: eruzioni vulcaniche, azione del vento sulla<br />
polvere e sul terreno;<br />
- emissioni dall’industria delle costruzioni (particelle in polvere), fonderie e<br />
cementifici (ceneri e polveri volatili);<br />
- emissioni da processi di combustione incompleta (fumi);<br />
- emissioni da centrali termoelettriche;<br />
- emissioni da processi industriali metallurgici;<br />
- emissioni da traffico urbano attraverso la lenta polverizzazione della gomma<br />
dei pneumatici.<br />
Il sistema maggiormente attaccato dal particolato è quello respiratorio ed il fattore di<br />
maggior rilievo per lo studio degli effetti è la dimensione in quanto da essa dipende la<br />
capacità di penetrazione nelle vie respiratorie. Si può ritenere che le particelle con<br />
diametro superiore a 5 µm siano fermate e depositate nel naso e nella gola, mentre quelle<br />
con diametro compreso tra 0.5 e 5 µm raggiungono i bronchioli. Il pericolo maggiore è<br />
185
appresentato da quelle particelle che riescono a raggiungere gli alveoli polmonari dando<br />
luogo ad un possibile assorbimento nel sangue con conseguente intossicazione.<br />
Oggi la situazione risulta ancor più aggravata dalla presenza in atmosfera di<br />
nanoparticelle, cioè particelle formate da aggregati atomici o molecolari con un diametro<br />
compreso tra 2 e 200 nm. Come regola generale, più una particella è piccola, più è<br />
aggressiva, ma questa aggressività non si accresce in maniera analogica con il diminuire<br />
delle dimensioni. La cosa risulta evidente se si prendono in considerazione le PM2,5, vale<br />
a dire il particolato sospeso in atmosfera il cui diametro aerodinamico medio 3 è uguale o<br />
inferiore a 2,5 micron. Un incremento nella concentrazione atmosferica di questo materiale<br />
comporta un incremento parallelo nella mortalità cardiogena. Le origini delle nanoparticelle<br />
sono pressoché identiche a quelle del particolato, ma i grandi responsabili del problema<br />
sono i procedimenti ad alta temperatura che oggi sono diventati comuni, soprattutto<br />
nell’industria. Dunque, i motori a scoppio, le fonderie, i cementifici, gl’inceneritori e i<br />
termovalorizzatori, le esplosioni in genere, e giù fino ad operazioni apparentemente più<br />
innocue come quelle di saldatura. Se le temperature sono elevate, molte sostanze<br />
volatilizzano per poi ricondensarsi sotto forma di quelle particelle che abbiamo descritto e<br />
che, stante la loro massa piccolissima, si comportano alla stregua di un gas, restando<br />
sospese in aria anche per mesi.<br />
In presenza d’insediamenti industriali o d’impianti a caldo per il trattamento dei rifiuti, di<br />
norma si eseguono indagini sulla qualità dell’aria allo scopo di individuare inquinanti come<br />
ossidi di carbonio e ossidi d’azoto, o composti come gli organoalogeni (per esempio, le<br />
diossine), che si formano in condizioni di combustione incompleta; inoltre, metalli pesanti<br />
che vengono liberati nell’aria spesso in forma ionica, per poi raggrupparsi in particelle<br />
solide che non di rado, se la temperatura è sufficientemente alta, formano leghe del tutto<br />
casuali. E sono proprio queste particelle ad essere responsabili delle nanopatologie.<br />
Esse sono le malattie provocate da micro e,soprattutto, nanoparticelle inorganiche che in<br />
qualche modo riescono a penetrare nell’organismo, umano o animale che sia, attraverso<br />
l’inalazione oppure la pelle. Recenti studi hanno mostrato che particelle di dimensione fino<br />
ad 1 micron di diametro possono penetrare tanto a fondo nella pelle da raggiungere il<br />
sistema linfatico. L’allarme riguarda i cosmetici ed è stato lanciato dall’Agenzia di<br />
protezione ambientale americana (EPA) la quale afferma che questi additivi, tra i quali<br />
ricordiamo l’ossido di titanio (il pigmento bianco usato nelle vernici e come rivestimento di<br />
alcune medicine), comunemente utilizzati nelle creme solari (per la loro proprietà di<br />
assorbire i raggi ultravioletti), nei dentifrici e in altri cosmetici, a contatto con tessuti estratti<br />
186
dal cervello di cavie avrebbero prodotto il rilascio di sostanze velenose per l'organismo. Un<br />
fenomeno che a lungo andare potrebbe portare a patologie degenerative come il<br />
Parkinson o l'Alzheimer. Nonostante i risultati siano considerati significativi dalla comunità<br />
scientifica, è presto per lanciare l'allarme: non si sa ancora infatti se ed eventualmente in<br />
che modo le nanoparticelle di titanio siano in grado di raggiungere il cervello se spalmate<br />
sulla pelle.<br />
Per la determinazione del particolato atmosferico si ricorre a due metodi (D.P.R. 24<br />
maggio 1988): il primo basato sull’analisi gravimetrica, che è utilizzato per il controllo dei<br />
livelli di attenzione e di allarme e anche dei valori limite; il secondo,che rivela l’indice di<br />
fumo nero sulla base di misure di riflettanza,viene utilizzato per il controllo dei valori guida.<br />
2.5) ALTRI INQUINQNTI DI INTERESSE PRIORITARIO<br />
L’articolo n°5 del D.M. 15 aprile 1994 individua al tri inquinanti di interesse prioritario su cui<br />
attivare campagne specialistiche di misura da parte delle autorità competenti. Tali<br />
inquinanti, precisati nell’allegato n°2 del suddett o decreto, sono in aggiunta ai già citati in<br />
precedenza, anche:<br />
• particolato PM10, piombo, cadmio, nichel, composti acidi, benzene<br />
• perossiacetilnitrato (PAN)<br />
• formaldeide<br />
• policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani<br />
Composti acidi, PAN e formaldeide<br />
Tutti questi composti derivano essenzialmente dalla trasformazione di idrocarburi alifatici<br />
(alcani o alcheni) in presenza di ossido di carbonio, ozono e ossidi di azoto, attraverso un<br />
complesso ciclo di reazioni innescate dalla luce in presenza di radicali OH, che vanno<br />
sotto il nome di smog fotochimico.<br />
COMPOSTI ACIDI<br />
CH 3 CH=CHCH 3 + O 3 → CH 3 CHO + H 3 COOCH<br />
H 3 COOCH + O 2 → H 3 CCOO• + HO 2 •<br />
H 3 CCOO• → H 3 C• + CO 2<br />
PAN<br />
CH 3 CHO + R• → CH 3 CO• + RH<br />
CH 3 CO• + O 2 → CH 3 COO 2 •<br />
CH 3 COO2• + NO 2 → CH 3 COO 2 NO 2<br />
H 3 C• + NO + O 2 → H 3 CO• + NO 2<br />
H 3 CO• + O2 → H 2 CO + HO 2 • FORMALDEIDE<br />
CH 2 O + NO 2 → HCOOH + NO<br />
Figura 4 – Esempi di reazioni fotochimiche<br />
187
Il PAN anche a bassissime concentrazioni (ng/m 3 ) risulta essere un potente iritante degli<br />
occhi per l’uomo ed un veleno per le piante.<br />
Policlorodibenzodiossine e policlorodibenzofurani<br />
Le policlorodibenzodiossine sono prodotti formati per condensazione di due anioni<br />
triclorofenossilici. La tetrachlorodibenzoparadiossina conosciuta comunemente con il<br />
nome di diossina è ritenuta la più tossica di questa classe di composti. Quantità anche<br />
elevate di diossina possono essere prodotte durante la combustione di aromatici clorurati<br />
o non, ovvero di eteri, o bruciando il legno trattato con alcuni conservanti isomeri del<br />
triclorofenolo e del tetraclorofenolo. Queste sostanze si formano a 250-400°C anche nella<br />
combustione dei residui solidi urbani. Esse possono essere distrutte termicamente a 800-<br />
1000°C. Per questo motivo i moderni inceneritori so no dotati di una camera di postcombustione<br />
nella quale si ha, cataliticamente o non, distruzione delle diossine.<br />
Cl O<br />
Cl<br />
Cl<br />
O<br />
Cl<br />
I dibenzofurani possono formarsi per riscaldamento dei policlorobenzoli (PCB) in presenza<br />
di ossigeno.<br />
Cl<br />
Cl<br />
O<br />
Cl<br />
Cl<br />
Figura 6 - 2,3,7,8-Tetrachlorodibenzofuran<br />
(TCDB)<br />
La tossicità delle diossine e dei benzofurani, come d’altronde quella dei PCB che pure<br />
presentano tossicità minore, dipende dal numero di atomi di cloro in anello e dalla loro<br />
posizione. Le diossine più tossiche possiedono 3 o 4 atomi di cloro in posizione β. Il<br />
composto più è il 2,3,7,8-Tetrachlorodibenzofurano che ha 4 atomi di cloro in posizione β.<br />
Nell’uomo i dibenzofurani, le diossine ed i PCB si accumulano nei tessuti adiposi e non<br />
vengono eliminati con facilità.<br />
188
CAPITOLO III: NORMATIVE AMBIENTALI E DESCRIZIONE DEGLI IMPAINTI A<br />
RISCHIO DEL TERRITORIO TARANTINO<br />
3) SCOPO DELLA RICERCA<br />
La finalità del presente lavoro consiste nell’individuare i possibili inquinanti atmosferici<br />
provenienti da alcuni impianti industriali dislocati sul territorio tarantino; inoltre, nel<br />
confrontare le quantità con i loro rispettivi valori limite, definiti dalla normativa vigente,<br />
inquadrare lo stato ecotossicologico delle aree urbane.<br />
3.1) CENNI SULLA LEGISLAZIONE RELATIVA ALL’INQUINAMENTO ATMOSFERICO<br />
Allo stato attuale i capisaldi della legislazione nazionale in materia di inquinamento<br />
atmosferico sono la Legge 615 del 13/7/1996, detta anche “Legge antismog”, il D.P.C.M.<br />
28/3/1983 ed il D.P.R. n. 203 del 24/5/1988.<br />
La Legge 615 del Testo Unico ha un’importanza storica, poiché prima di essa non esisteva<br />
una specifica disciplina legislativa, ma si ricorreva agli articoli 216 e 217 del Testo Unico<br />
delle leggi sanitarie e ad alcune disposizioni del Testo Unico di pubblica sicurezza. Tale<br />
legge, che ha sollevato critiche e dubbi, si è limitata a prevedere strumenti di controllo,<br />
trascurando efficaci strategie di prevenzione e repressione dell’inquinamento atmosferico.<br />
Maggiore importanza rivestono attualmente il D.P.C.M. 28/3/1983 e, soprattutto, il D.P.R.<br />
n. 203 del 24/5/1988, che costituisce l’attuazione della direttiva CEE in materia di qualità<br />
dell’aria e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali.<br />
Dalla suddetta legislazione appare chiaro che le strategie di controllo comprendono il<br />
controllo delle emissioni ed il controllo della qualità dell’aria.<br />
Il controllo delle emissioni si effettua sottoponendo a disciplina tutti gli impianti che<br />
possono dar luogo ad emissioni in atmosfera a stabilendo le caratteristiche merceologiche<br />
dei combustibili ed il loro impiego (art. 1 D.P.R. 203/88). La riduzione delle emissioni può<br />
essere realizzata sia utilizzando cicli tecnologici non inquinanti (o il meno inquinanti<br />
possibile), sia impiegando sistemi di contenimento delle emissioni (impianti di<br />
abbattimento). Si comprende, quindi come un criterio fondamentale fissato dalla legge sia<br />
quello dell’applicazione delle migliori tecnologie disponibili (BAT) per il contenimento e/o la<br />
riduzione dell’inquinamento atmosferico (art. 2 del D.P.R. 203/88).<br />
Il D.P.R. 203/88 stabilisce, inoltre, rispettivamente i limiti massimi di accettabilità delle<br />
concentrazioni (concentrazione = quantità di sostanza, gas o particelle, presente in un m 3<br />
189
di aria; viene espressa in mg/m 3 o g/m 3 di aria) degli inquinanti ed i valori limite e guida di<br />
qualità dell’aria.<br />
I valori limite di qualità dell’aria sono i limiti massimi di accettabilità delle concentrazioni e i<br />
limiti massimi di esposizione relativi a inquinanti nell’ambiente esterno.<br />
I valori guida di qualità dell’aria sono i limiti di concentrazioni e i limiti di esposizione a<br />
inquinanti nell’ambiente esterno destinati:<br />
a) alla prevenzione a lungo termine in materia di salute e di protezione dell’ambiente;<br />
b) a costruire parametri di riferimento per l’istituzione di zone specifiche di protezione<br />
ambientale per le quali è necessaria una particolare tutela della qualità dell’aria.<br />
La legge delega, poi, alle Regioni la facoltà di fissare i limiti più restrittivi per zone<br />
particolari e la formulazione di piani di risanamento territoriale per le aree individuate come<br />
inquinate. Tabella 1 di riferimento<br />
Allegato I del D.P.R. 203/88<br />
VALORI LIMITE DI QUALITÀ DELL’ARIA<br />
Inquinante<br />
Biossido di zolfo<br />
SO 2<br />
Biossido di zolfo<br />
SO 2<br />
Biossido di zolfo<br />
SO 2<br />
Biossido di Azoto<br />
NO 2<br />
Valore guida<br />
Mediana delle concentrazioni medie di 24 ore nell’arco di 1 anno:<br />
80 µg/m³<br />
98° percentile delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate<br />
nell’arco di 1 anno: 250 µg/m³ (*)<br />
Mediana delle concentrazioni medie di 24 ore rilevate durante<br />
l’inverno: 130 µg/m³<br />
98° percentile delle concentrazioni medie di 1 ora rilevate durante<br />
l’anno: 200 µg/m³<br />
Periodo di<br />
riferimento<br />
1° aprile – 31 marzo<br />
1° aprile – 31 marzo<br />
1° ottobre – 31<br />
marzo<br />
1° gennaio – 31<br />
dicembre<br />
(*) Si devono prendere tutte le misure atte ad evitare il superamento di questo valore per più di tre giorni consecutivi; inoltre si deve cercare di<br />
prevenire e ridurre detti superamenti.<br />
Nota 1<br />
Per il riconoscimento della validità del calcolo del 98° percentile, è necessario che il 75° dei valori possibili sia disponibile<br />
ed uniformemente ripartito, se possibile, sull’interno anno considerato per il luogo di misurazione preso in esame.<br />
Se per certi luoghi, i valori misurati non fossero disponibili per un periodo superiore a 10 giorni, lo si dovrà precisare<br />
nell’indicare il recintile calcolato.<br />
Il calcolo del 98° percentile in base ai valori ril evati durante l’anno va eseguito a partire dai valori effettivamente misurati.<br />
I valori misurati vengono arrotondati al µg/m³ più vicino. Tutti i valori sono riportati in un elenco compilato in ordine<br />
crescente per ogni luogo:<br />
Il 98° percentile è il valore dell’elemento di ordi ne K per il quale K viene calcolato, mediante la seguente formula:<br />
K = (q x N)<br />
dove q è uguale a 0,98 per il 98° percentile e a 0, 50 per il 50° percentile, N essendo il numero dei v alori effettivamente<br />
misurati.<br />
Il valore di (q x N) viene arrotondato al numero intero più vicino.<br />
Qualora gli strumenti di misura non permettono ancora di fornire valori discreti ma forniscono solo classi di valori<br />
superiori a 1 µg/m³, si utilizzerà per il calcolo del percentile una interpolazione, a condizione che la formula di<br />
interpolazione sia accettata dalla Commissione delle C.E. e che le classi di valori non siano superiori a 10 µg/m³.<br />
Questa deroga temporanea è valida solo per gli strumenti attualmente installati, per una durata non superiore alla durata<br />
di vita delle attrezzature in questione, ed è in ogni caso limitata al 31 marzo 1995.<br />
190
Nota 2.<br />
1. La misurazione delle concentrazioni di biossido di azoto nell’ambiente ha lo scopo di valutare nel modo più<br />
caratteristico possibile il rischio individuale per quanto concerne l’esposizione al di là del valore limite; i punti di<br />
misurazione dovrebbero pertanto essere scelti, possibilmente, tra i luoghi in cui tale rischio può essere il più elevato.<br />
A tal fine vanno presi in considerazione due casi distinti:<br />
1.1. Le aree prevalentemente soggette all’inquinamento dovuto agli autoveicoli e quindi limitate alle vicinanze di strade<br />
con intesa circolazione;<br />
1.2. Le aree più estese in cui gli scarichi provenienti da fonti fisse contribuiscono a loro volta in maniera sostanziale<br />
all’inquinamento<br />
2. Nel caso 1.1. i punti di misurazione dovrebbero venire scelti:<br />
• in modo da coprire gli esempi del principali tipi di aree prevalentemente influenzate dall’inquinamento dovuto<br />
agli autoveicoli, soprattutto le strade, anguste, con intensa circolazione e i principali incroci;<br />
• in modo da essere, per quanto possibile, quelli in cui le concentrazioni di biossido di azoto, quali sono<br />
specificate al punto 1, sono considerate tara le più elevate.<br />
3. Nel fissare il numero di stazioni da installare per quanto riguarda le aree determinate al punto 1.2. si deve tenere<br />
conto:<br />
• dell’estensione dell’area inquinata;<br />
• dell’eterogeneità della distribuzione dell’inquinamento nello spazio.<br />
La scelta dei luoghi non dovrebbe escludere le strade anguste con intensa circolazione e i principali incroci quali sono<br />
definiti al punto 2, qualora vi sia un rischio di superamento del valore limite dovuto ad un inquinamento sostanziale<br />
proveniente da fonti fisse di combustione.<br />
4. La lettura finale degli strumenti deve rendere possibile il calcolo della media oraria.<br />
Tabella 2 di riferimento<br />
Allegato II del D.P.R. 203/88<br />
VALORI GUIDA DI QUALITÀ DELL'ARIA<br />
Inquinante<br />
Biossido di zolfo SO 2<br />
Biossido di zolfo SO 2<br />
Biossido di Azoto NO 2<br />
Biossido di Azoto NO 2<br />
Particelle sospese (misurate<br />
con il metodo dei fumi neri)<br />
Particelle sospese (misurate<br />
con il metodo dei fumi neri)<br />
Valore guida<br />
Media aritmetica delle concentrazioni medie di 24 ore<br />
rilevate nell'arco di 1 anno: da 40 a 60 µg/m³<br />
Valore medio delle 24 ore: da 100 a 150 µg/m³<br />
50° percentile delle concentrazioni medie di 1 ora<br />
rilevate durante l'anno: 50 µg/m³<br />
98° percentile delle concentrazioni medie di 1 ora<br />
rilevate durante l'anno: 135 µg/m³<br />
Media aritmetica delle concentrazioni medie di 24 ore<br />
rilevate nell'arco di 1 anno: da 40 a 60 µg fumo nero<br />
equivalente/m³<br />
Valore medio delle 24 ore: da 100 a 150 µg fumo nero<br />
equivalente/m³<br />
Periodo di<br />
riferimento<br />
1° aprile - 31 marzo<br />
dalle 00 alle 24 di<br />
ciascun giorno<br />
1° gennaio - 31<br />
dicembre<br />
1° gennaio - 31<br />
dicembre<br />
1° aprile - 31 marzo<br />
dalle 00 alle 24 di<br />
ciascun giorno<br />
Anche per i valori guida valgono le note 1 e 2 dell'allegato I.<br />
E’ chiaro che la verifica del rispetto di tali limiti si effettua attraverso il controllo della qualità<br />
dell’aria. Questo si attua principalmente attraverso il monitoraggio, vale a dire l’esecuzione<br />
di misure continuative in modo da poter conoscere la permanenza nel tempo di una<br />
191
determinata concentrazione di inquinante. Si possono usare metodi manuali o automatici;<br />
questi ultimi, che si stanno diffondendo sempre più con le centraline di monitoraggio<br />
presenti in molte città, effettuano l’analisi continua ad intervalli di tempo prefissati (ad<br />
esempio ogni minuto); con questi valori si determina poi la media sugli intervalli di tempo<br />
fissati dagli standard di legge (1 ora o 24 ore). Le misure così condotte, 365 giorni<br />
all’anno, 24 ore su 24, permettono una descrizione completa della qualità dell’aria nel<br />
punto in cui sono stati prelevati i campioni.<br />
Attualmente questo decreto è stato abrogato e sostituito dal D. Lgs. 152/06.<br />
3.2) TARANTO ED IL POLO INDUSTRIALE “A RISCHIO”<br />
L’uomo è da sempre soggetto a potenziali situazioni di rischio, che possono derivare da<br />
cause naturali (eruzioni di vulcani, terremoti, etc.) o da cause umane come l’eccessiva<br />
antropizzazione, l’urbanizzazione e l’industrializzazione di aree non idonee. Il rischio<br />
industriale a differenza di quello legato agli eventi naturali, è associato alle attività umane<br />
che comportano la presenza sul territorio di impianti produttivi, infrastrutture e reti<br />
tecnologiche che possono costituire fonti di pericolo per l’uomo e per l’ambiente. La<br />
pressione sull’ambiente esercitata dalle industrie è influenzata dalla struttura economicoproduttiva<br />
del contesto di riferimento, sia dal punto di vista della concentrazione delle<br />
imprese localizzate ne territorio, sia e soprattutto, dalla tipologia dei processi produttivi e<br />
dalle sostanze pericolose in essi utilizzati o presenti nei siti industriali. Per fornire un<br />
quadro completo della pressione esercitata dal settore industriale, sarebbe opportuno<br />
valutare l’incidenza di tutti i settori produttivi sull’ambiente ed in particolare di quelli che<br />
comportano maggiori rischi per l’ambiente e che possono causare i maggiori danni e/o in<br />
taluni casi gravi incidenti.<br />
La Puglia è caratterizzata dalla presenza di due vaste aree industriali a ridosso della città<br />
di Brindisi e di <strong>Taranto</strong> che sono state dichiarate ad elevato rischio di crisi ambientale.<br />
All’interno di queste due grandi aree ricadono gli importanti insediamenti industriali del<br />
polo chimico ed energetico di Brindisi e quelli del polo siderurgico di <strong>Taranto</strong>. L’elevato<br />
rischio di crisi ambientale delle due aree della Puglia è determinato dall’elevato livello di<br />
emissioni industriali alle quali si aggiungono quelle del traffico e del riscaldamento tipiche<br />
dei centri urbani, dalla presenza di aziende a rischio di incidenti rilevanti, dallo stato di<br />
emergenza ambientale in materia di acqua e rifiuti e dai rilevanti flussi commerciali<br />
afferenti ai rispettivi porti commerciali.<br />
192
In particolare, l’area ad elevato rischio di crisi ambientale di <strong>Taranto</strong> è caratterizzata dalla<br />
presenza di vari stabilimenti a rischio di incidente, dalla presenza di uno dei principali poli<br />
industriali della cantieristica nazionale navale civile e militare nonché dalla presenza delle<br />
attività del porto commerciale.<br />
Nell’ambito del Piano di Risanamento del territorio di <strong>Taranto</strong> sono stati individuati<br />
insediamenti industriali di rilevanti dimensioni con forte impatto socioeconomico ed<br />
ambientale.<br />
Gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante dell’area di <strong>Taranto</strong> sono:<br />
i depositi di gas liquefatti (ENI Spa);<br />
i depositi di oli minerali (ENI spa; BASILE PETROLI Spa);<br />
la raffineria di petrolio e di gas (ENI Spa);<br />
le centrali termoelettriche (ISE Srl; ENIPOWER Spa; EDISON Spa);<br />
lo stabilimento siderurgico, le acciaierie e gli impianti metallurgici (ILVA Spa);<br />
il cementificio (CEMENTIR Spa);<br />
lo stabilimento per la produzione di prodotti ceramici (SANAC Spa);<br />
La società ENI opera nelle attività di approvvigionamento, trasporto, rigassificazione,<br />
distribuzione e vendita del gas naturale. Lo stabilimento occupa una superficie totale di<br />
circa 37000 m 2 . Il trasporto del gas, dai luoghi di produzione a quelli di consumo, avviene<br />
tramite gasdotti e per tragitti più lunghi, attraverso navi metaniere. I metanodotti, interrati o<br />
adagiati sui fondali marini, comprendono un complesso di condotte, stazioni di pompaggio,<br />
di controllo e di sicurezza.<br />
Per trasportare il gas con navi metaniere, è necessario sottoporlo ad un processo di<br />
liquefazione, con temperature molto basse (-160°) e mantenerlo liquido a pressioni<br />
leggermente superiori a quella atmosferica. Sotto questa forma, il gas riduce fino a 600<br />
volte il suo volume ed è trasportabile in grandi quantità. Nei terminali di arrivo il gas<br />
liquido viene rigassificato prima di essere immesso nella rete di distribuzione.<br />
Inoltre Eni è il primo operatore nel settore della raffinazione in Italia collocando uno dei<br />
suoi stabilimenti presso la Raffineria Eni Refining & Marketing di <strong>Taranto</strong> che si estende<br />
per una superficie complessiva di circa 300 ha. Le attività svolte riguardano la raffineria<br />
hydroskimming, la conversione termica dei rifiuti e l’idroconversione dei rifiuti. Nella<br />
distribuzione di prodotti petroliferi è leader con il marchio Agip nel mercato italiano e vanta<br />
importanti posizioni in vari Paesi del resto d’Europa.<br />
193
ENIPOWER è la società del Gruppo Eni responsabile dello sviluppo del business della<br />
generazione e commercializzazione di energia elettrica. Lo stabilimento è composto da 4<br />
caldaie, un impianto turbogas e 4 turbine a vapore ed è fortemente integrata con la realtà<br />
industriale locale, alla quale fornisce vapore tecnologico ed energia elettrica.<br />
L’energia elettrica prodotta è in parte utilizzata dalla raffineria e in parte ceduta alla rete di<br />
trasmissione nazionale.<br />
EDISON è la società ad introdurre per prima in Italia la tecnologia del ciclo combinato. Alto<br />
rendimento (superiore al 56% rispetto al 37% di una centrale tradizionale) e impatto<br />
ambientale limitato rispetto alle centrali termiche tradizionali, caratterizzano questa<br />
tecnologia che, grazie all’alimentazione a gas naturale consente di rendere trascurabili le<br />
emissioni di polveri e di ossidi di zolfo, mentre la produzione di ossidi di azoto viene<br />
fortemente contenuta impiegando tecnologie di combustione del tipo DLN (Dry Low NOx).<br />
L’impiego del gas naturale, in sostituzione di altri combustibili fossili, consente poi di<br />
ridurre notevolmente le emissioni CO 2 .<br />
L’ILVA, attiva dal 1964, è lo stabilimento siderurgico per la produzione di acciaio in nastri<br />
(zincati e non), in tubi e lamiere per un totale di 7-8 ton/anno. L’area del complesso<br />
industriale si estende su una superficie di circa 1000 ha, dei quali circa 9930000 m 2 sono<br />
occupati dalle attività industriali ILVA-ILT e loro pertinenze e da circa 52200 m 2 sono<br />
occupati dalle attività industriali SANAC.<br />
L’ILVA è caratterizzata da potenziali sorgenti come:<br />
Impianti produttivi:<br />
- Area parchi minerali: stoccaggio minerali di ferro e carbon fossile;<br />
- Area di agglomerazione: utilizzo e rilascio nel suolo di minerali di ferro e coke;<br />
- Area delle cokerie: possibili rilasci di catrame, metalli pesanti in polvere, oli, cianuri,<br />
fenoli, BTEX (Benzene, Toluene, Etilbenzene e Xileni );<br />
- Area degli altiforni: rilascio di coke e minerali;<br />
- Area dell’acciaieria: rilascio di polveri metalli pesanti;<br />
- Area della laminazione: rilasci di oli, metalli pesanti, sostanze sgrassanti;<br />
- Area tubifici, treno lamiere, impianti di rivestimento tubi: oli e soluzioni oleose,<br />
grassi, fluidi lubrificanti, metalli pesanti, vernici, solventi, liquidi di fissaggio;<br />
- Area delle utilities (fabbrica ossigeno, produzione e distribuzione di energia<br />
elettrica): rilascio tubazioni di approvvigionamento.<br />
Area di stoccaggio:<br />
- Serbatoi interrati e fuori terra: stoccaggio prodotti chimici;<br />
194
- Discariche rifiuti ILVA:<br />
o Discarica ex-Cava Cementir: fanghi siderurgici, amianto compatto;<br />
o Discarica ex-Cava Due Mari: scorie siderurgiche, scavi, demolizioni,<br />
refrattari, polveri, polietilene, gomma, lana di roccia,ecc.<br />
o Discarica Nuove Vasche: vernici, amianto friabile, surnatanti canali, ecc.<br />
o Discarica in area Cava Mater Gratiae;<br />
o Discarica In Mater Gratiae: loppe, scorie di acciaieria, polveri, inerti e<br />
scarti di manutenzione. Ha cessato l’esercizio nel 1987.<br />
- Aree di stoccaggio rifiuti presso gli impianti;<br />
- Stoccaggio prodotti chimici.<br />
Linee fognarie:<br />
- Acque civili;<br />
- Acque industriali;<br />
- Acque di raffreddamento;<br />
- Acque meteoriche.<br />
Cabine elettriche:<br />
- Presenza di trasformatori contenenti PCB.<br />
Pozzi di stabilimento: all’interno delle aree di proprietà ILVA sono presenti 29 Pozzi per<br />
l’approvvigionamento.<br />
Lo stabilimento CEMENTIR sorto contemporaneamente all'adiacente Centro Siderurgico<br />
ILVA di cui utilizza le loppe d'alto forno, è entrato in esercizio nel 1964.<br />
Prevede la fabbricazione di gesso, asfalto, calcestruzzo, cemento, fibre di vetro, mattoni,<br />
piastrelle o prodotti ceramici (industria dei prodotti minerali che comporta processi di<br />
combustione); ha fornito i suoi prodotti per la realizzazione di opere portuali e idrauliche;<br />
dighe, centrali nucleari e impianti di depurazione; strade, ponti e gallerie; aeroporti e<br />
ferrovie; centrali elettriche e impianti industriali. La cementeria è direttamente raccordata<br />
mediante un nastro trasportatore di grande capacità, alla banchina, dotata di impianto di<br />
caricamento natante per la spedizione di cemento via mare.<br />
La società SANAC, attiva dal 1965, prevede la fabbricazione di mattoni refrattari a base di<br />
dolomie e magnesite, in particolare di gesso, asfalto, calcestruzzo, cemento, fibre di vetro,<br />
mattoni, piastrelle o prodotti ceramici (industria dei prodotti minerali che comporta processi<br />
di combustione). Gli impianti produttivi prevedono un potenziale rilascio di oli e soluzioni<br />
oleose, grassi, fluidi lubrificanti, metalli pesanti, vernici e solventi. Le aree di stoccaggio<br />
195
prevedono i serbatoi interrati e fuori terra: sostanze e prodotti chimici; aree stoccaggio<br />
rifiuti presso gli impianti; aree stoccaggio prodotti chimici.<br />
Accanto a questi sono presenti numerose industrie manifatturiere di medie e piccole<br />
dimensioni, discariche di rifiuti pericolosi come quelli provenienti da produzioni<br />
siderurgiche e cave di calcaree ed altre aziende dell’indotto industriale. L’area a rischio<br />
comprende i comuni di <strong>Taranto</strong>, Crispiano, Massafra, Montemesola e Statte, con una<br />
popolazione complessiva di 265.052 per un’estensione di circa 561 Km 2 .<br />
3.3) MONITORAGGIO DELLA QUALITA’ DELL’ARIA<br />
3.3.1) RETI DI MONITORAGGIO GESTITE DALL’APAT (Agenzia per la Protezione<br />
dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici)<br />
L'esistenza di una grave situazione di inquinamento atmosferico interessante, anche se<br />
con diverse accentuazioni fra l'area immediatamente a ridosso delle grandi imprese e la<br />
parte restante, tutto il territorio comunale è un dato assolutamente incontrovertibile. Le<br />
emissioni in atmosfera costituiscono un fattore di impatto ambientale di notevolissima<br />
entità, dovuto in gran parte alle dimensioni dei complessi produttivi ed anche alla tipologia<br />
dei più importanti processi del ciclo di lavorazione, ivi compresi anche gli impianti di<br />
servizio, fra cui le centrali per la produzione di energia.<br />
L'EPER (European Pollutant Emission Register) è il Registro europeo delle emissioni<br />
inquinanti istituito dalla Decisione della Commissione del 17 luglio 2000. La Decisione<br />
EPER si basa sull'Articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 96/61/CE del Consiglio sulla<br />
prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento.<br />
Secondo quanto stabilito dalla Decisione EPER, gli Stati membri devono presentare ogni<br />
tre anni una relazione sulle emissioni nell'atmosfera e nelle acque prodotte dai complessi<br />
industriali. Tale relazione comprende 50 sostanze inquinanti di cui devono essere forniti i<br />
dati sulle emissioni qualora queste superino i valori soglia specificati nell'Allegato A1 della<br />
Decisione EPER.<br />
L’APAT effettua un monitoraggio annuale degli inquinanti atmosferici, aderendo al<br />
Registro europeo EPER. Pertanto si è ritenuto opportuno pubblicare solo l’ultimo risultato<br />
della ricerca effettuata da tale Agenzia.<br />
196
Tabella 3 – Elenco delle principali società industriali del polo tarantino<br />
Tabella 4 – Emissioni provenienti dallo stabilimento “CEMENTIR”<br />
Tabella 5 - Emissioni provenienti dalla centrale termoelettrica di <strong>Taranto</strong> “EDISON”<br />
Tabella 6 - Emissioni provenienti dalla raffineria di <strong>Taranto</strong> “ENI, Divisione REFINING &<br />
197
MARKETING”<br />
Tabella 7 - Emissioni provenienti dallo stabilimento di <strong>Taranto</strong> “ENIPOWER”<br />
198
Tabella 8 - Emissioni provenienti dallo stabilimento di <strong>Taranto</strong> “ILVA”<br />
Tabella 9 – Emissioni provenienti dallo stabilimento di <strong>Taranto</strong> “SANAC”<br />
199
I valori soglia definiti nelle seguenti tabelle sono riferiti al D.M. del 23 novembre 2001.<br />
Il Decreto, conformemente a quanto disposto dalla Commissione Europea, prevede che<br />
entro il 30 aprile di ogni anno, tutti i gestori dei complessi IPPC (Integrated Pollution<br />
Prevention and Control, la direttiva che tratta la riduzione dell'inquinamento dai vari punti<br />
di emissione nell'intera Unione Europea) le cui emissioni in aria (ed in acqua) superano i<br />
valori soglia indicati rispettivamente nelle tabelle 1.6.2 e 1.6.3 dell’allegato I, comunichino<br />
alle Autorità Competente e all’APAT i dati sulle emissioni relativi all’anno precedente. In<br />
caso di inosservanza degli obblighi previsti in materia di comunicazione dei dati sulle<br />
emissioni in aria ed acqua non sono previste sanzioni.<br />
Nelle tabella dell’allegato I sono riportate sottoliste specifiche, che indicano per ciascuna<br />
categoria di attività, i principali inquinanti, rispettivamente in aria (e in acqua).<br />
Le informazioni dichiarate andranno a costituire l’Inventario nazionale INES (Inventario<br />
Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) e il Registro EPER (European Pollutant<br />
Emission Register).<br />
Si noti come i valori relativi alle emissioni siano tutti di gran lunga superiori ai valori soglia<br />
sanciti dalla normativa vigente. I punti di emissione critici in ILVA sono le centrali<br />
termoelettriche e gli impianti di produzione ghisa (con particolare riferimento all'area della<br />
cokeria) per quanto riguarda il biossido di zolfo e il biossido di azoto, mentre per quanto<br />
riguarda le polveri convogliate soprattutto gli impianti di agglomerazione. Anche per la<br />
raffineria AGIP e per la CEMENTIR, i maggiori contributi (SO 2 e NOx) provengono dagli<br />
impianti di combustione primaria e dagli impianti di produzione energia. Altrettanto<br />
importanti, anche se più difficilmente quantizzabili sono le emissioni di tipo diffuso,<br />
principalmente polveri, provenienti dalle lavorazioni per la preparazione degli agglomerati<br />
e dalla loro movimentazione, nonché dai parchi di stoccaggio dei prodotti, da operazioni<br />
nelle zone di travaso - pontili e pensiline - e dalle aree di stoccaggio dei prodotti petroliferi.<br />
In particolare concreto è il rischio di emissioni diffuse di vapori di idrocarburi nell'atmosfera<br />
a causa di difettoso funzionamento delle coperture cosiddette a tetto galleggiante dei<br />
serbatoi che contengono i prodotti più leggeri come le benzine ed i distillati.<br />
Possiamo quindi affermare con decisione che esiste ed è tangibile l’impatto ambientale<br />
che queste industrie creano sul territorio tarantino, tanto da dover allarmare l’opinione<br />
pubblica, specie di coloro che abitano in prossimità degli impianti.<br />
200
Tabella 10 - Riferimento all’Allegato del D.M. del 23 novembre 2001 nel quale sono<br />
precisati i valori soglia per ogni tipologia di inquinante<br />
INQUINANTI<br />
Valore<br />
soglia<br />
Unità di<br />
misura<br />
1 - Convenzionali e gas serra (11)<br />
1. Metano (CH4) 100 t/a<br />
2. Monossido di Carbonio (CO) 500 t/a<br />
3. Biossido di Carbonio (CO2) 100.000 t/a<br />
4. Idrofluoricarburi (HFC) 100 Kg/a<br />
5. Protossido di azoto (N2O) 10 t/a<br />
6. Ammoniaca (NH3) 10 t/a<br />
7. Composti organici volatili non metanici<br />
(COVNM) 100 t/a<br />
8. Ossidi di azoto (Nox) 100 t/a<br />
9. Polifluorocarburi (PFC) 100 Kg/a<br />
10. Esafluoruro di solfo (SF6) 50 Kg/a<br />
11. Ossidi di solfo (SOx) 150 t/a<br />
2 - Metalli e composti (9)<br />
12. Arsenico (As) e composti 20 Kg/a<br />
13. Cadmio (Cd) e composti 10 Kg/a<br />
14. Cromo (Cr) e composti 100 Kg/a<br />
15. Rame (Cu) e composti 100 Kg/a<br />
16. Mercurio (Hg) e composti 10 Kg/a<br />
17. Nichel (Ni) e composti 50 Kg/a<br />
18. Piombo (Pb) e composti 200 Kg/a<br />
19. Zinco (Zn) e composti 200 Kg/a<br />
20. Selenio (Se) e composti Kg/a<br />
3 - Sostanze organiche clorurate (13)<br />
21. Dicloroetano-1,2 (DCE) 1000 Kg/a<br />
22. Diclorometano (DCM) 1000 Kg/a<br />
23. Esaclorobenzene (HCB) 10 Kg/a<br />
24. Esaclorocicloesano (HCH) 10 Kg/a<br />
25. Policlorodibenzodiossine e<br />
Policlorobenzofurani (PCDD + PCDF) 1 g/a<br />
26. Pentaclorofenolo (PCP) 10 Kg/a<br />
27. Tetracloroetilene (PER) 2000 Kg/a<br />
28. Tetraclorometano (TCM) 100 Kg/a<br />
29. Triclorobenzeni (TCB) 10 Kg/a<br />
30.Tricloroetano-1-1,1 (TCE) 100 Kg/a<br />
31. Tricloroetilene (TRI) 2000 Kg/a<br />
32. Triclorometano 500 Kg/a<br />
33. Policlorobifenili (PCB) Kg/a<br />
4 - Altri composti organici (2)<br />
34. Benzene (C6H6) 1000 Kg/a<br />
35. Idrocarburi policiclici aromatici (IPA) 50 Kg/a<br />
5 - Altri composti (5)<br />
36. Cloro e composti inorganici 10 t/a<br />
37. Fluoro e composti organici 5000 Kg/a<br />
38. Acido cianidrico 200 Kg/a<br />
39. PM 50 t/a<br />
40. PM 10 50 t/a<br />
Emissione<br />
Procedura<br />
di<br />
determinazi<br />
one M/C/S<br />
Tipologia di<br />
emissione P<br />
o P+D<br />
201
3.3.2) RETI DI MONITORAGGIO GESTITE DALL’ARPA (Agenzia Regionale per la<br />
Protezione Ambientale)<br />
La presente parte della relazione riporta i valori di concentrazione al suolo nel mese di<br />
dicembre 2006 registrati per gli inquinanti SO 2 , NO 2 , CO, ozono, benzene e PM10, in tutte<br />
le stazioni presenti sul territorio tarantino, gestite dall’ARPA Puglia e appartenenti alle<br />
seguenti Reti di Monitoraggio della Qualità dell’Aria:<br />
- Rete Regionale della Qualità dell’aria (RRQA), costituita da 25 stazioni situate a<br />
Grottaglie, Manduria e Martina Franca;<br />
- Rete della Provincia di <strong>Taranto</strong> comprendente 3 stazioni situate a Grottaglie, Manduria<br />
e Martina Franca;<br />
- Rete Sistema Integrato per il Monitoraggio Ambientale e la Gestione del rischio<br />
industriale e delle Emergenze (SIMAGE), costituita da 8 centraline, di cui 4 nella<br />
provincia di Brindisi e 4 in quella di <strong>Taranto</strong>.<br />
Per gli inquinanti SO 2 , NO 2 , CO, benzene e PM10 le attività di validazione, elaborazione<br />
dei dati e valutazione dei risultati sono eseguite secondo quanto prevede il D.M. 60/02.<br />
Per l’ozono, la normativa di riferimento è il D. Lgs. 183/04.<br />
Tabella 10 – Reti di Monitoraggio della Qualità dell’Aria nella Regione Puglia gestite<br />
dall’ARPA.<br />
202
PM10<br />
Nel mese di dicembre 2006 si sono rilevati sporadici superamenti in alcune centraline di<br />
cui si riportano i dati nella tabella seguente.<br />
Si segnala il basso rendimento strumentale nella stazione di Via Archimede (solo 3 giorni<br />
di dati) causa rottura apparato di campionamento. Nonostante ciò in questa centralina si è<br />
registrato un superamento.<br />
Si evidenzia infine che il conteggio definitivo per l’anno 2006, del numero di superamenti a<br />
partire dal 1 gennaio, risulta pari a 78 giorni (contro un valore di riferimento normativo pari<br />
a 35 giorni/anno) nella stazione di Via Archimede a <strong>Taranto</strong>.<br />
Tabella 11 - Superamenti per il PM10 nel mese di dicembre 2006.<br />
203
Grafico 1 - PM10: concentrazione media giornaliera (µg/m 3 ) nelle stazioni della Provincia<br />
di <strong>Taranto</strong><br />
204
NO 2<br />
Tenendo conto del valore limite aumentato del margine di tolleranza per il 2006 (pari a 240<br />
µg/m 3 ) si sono registrati alcuni superamenti del valore limite orario nella stazione di Via<br />
Machiavelli a <strong>Taranto</strong>, nei seguenti giorni: 6-13-14-23 dicembre. Considerando il valore<br />
limite definitivo di 200 µg/m 3 , che entrerà in vigore il 1 gennaio 2010, risultano superamenti<br />
anche nei giorni 3, 4 e 5 dicembre.<br />
Nella tabella seguente si riportano i valori registrati ed il numero di ore di superamento del<br />
solo valore limite in vigore per il 2006. Si evidenzia un superamento di 1 ora della soglia di<br />
allarme (400 µg/m 3 ) il giorno 13 dicembre (la normativa definisce tale superamento su un<br />
evento misurato su 3 consecutive – All. II del DM 60/02).<br />
Tabella 12 – Superamenti per l’NO 2 nel mese di dicembre 2006<br />
Grafico 2 - Sono riportati in blu i superamenti del valore limite vigente per il 2006 e, a<br />
scopo indicativo, in rosso i superamenti del limite orario di 200 µg/m 3 .<br />
205
Grafico 3 - NO 2 : Concentrazione massima giornaliera della Media Oraria (µg/m 3 ) nelle<br />
altre stazioni della Provincia di <strong>Taranto</strong>.<br />
206
207
Grafico 4 - CO: Valore massimo giornaliero della media mobile di 8 ore (µg/m 3 ).<br />
208
Grafico 5 - Benzene: Concentrazione media giornaliera (µg/m 3 ).<br />
Il D.M. 60/02 (allegato X) stabilisce che la raccolta minima di dati di SO 2 , NO x , PM10,<br />
benzene e CO necessaria per raggiungere gli obiettivi per la valutazione della qualità<br />
dell’aria, per misurazioni in continuo, debba essere del 90% del periodo di tempo di<br />
riferimento (ora, giorno, anno), escludendo le perdite dei dati dovute alla calibrazione o<br />
alla normale manutenzione degli strumenti.<br />
Il D. Lgs. 183/04 (allegato VII) stabilisce che, per l’ozono, la raccolta minima di dati<br />
necessaria per raggiungere gli obiettivi per la valutazione della qualità dell’aria, per<br />
misurazioni di continuo, debba essere almeno del 75% nel periodo invernale e almeno del<br />
90% nel periodo estivo.<br />
La tabella che segue riporta la percentuale di dati orari validi registrati dagli analizzatori<br />
RRQA, dalla Rete della Provincia di <strong>Taranto</strong> e dalla Rete Simage, posti nelle stazioni fisse<br />
localizzate nel territorio provinciale di <strong>Taranto</strong>, sottolineando che si tratta di<br />
un’informazione indicativa del livello di efficienza della strumentazione, non essendo<br />
questo dato, calcolato su base mensile, raffrontabile con alcun parametro normativo.<br />
209
Nella seguente tabella, in grassetto si evidenziano gli analizzatori per i quali si sono<br />
rilevate le percentuali di dati validi inferiori a quanto indicato dalla normativa in vigore. Per i<br />
malfunzionamenti strumentali la perdita di un numero più o meno elevato di dati dipende<br />
dal tempo che intercorre tra la segnalazione del malfunzionamento e l’intervento di<br />
riparazione da parte del Project Automation, società responsabile della manutenzione.<br />
Tabella 13 - Percentuali di validità dei dati – RRQA, Rete SIMAGE e Rete della Provincia<br />
di <strong>Taranto</strong> – Mese di DICEMBRE 2006<br />
i<br />
210
Da questa analisi si può constatare che in termini di superamenti, sulla base della<br />
normativa vigente (60/02, allegato X), che sancisce che nelle città non vi possono essere<br />
più di 35 giorni l’anno di “sfioramento” della soglia del PM10, la centralina che ha rilevato<br />
dati estremamente preoccupanti è quella di via Archimede (piuttosto vicina all’Ilva), situata<br />
nel quartiere Tamburi di <strong>Taranto</strong>. Questa centralina ha registrato ben 78 superamenti del<br />
limite di legge, calcolati a partire dal 1 gennaio 2006 e per tutto l’anno a differenza di<br />
quella di via Machiavelli che, invece, ha rilevato dati discordanti e discontinui e solo 6<br />
superamenti di NO 2 . Tuttavia, i 78 superamenti registrati in via Archimede potevano<br />
essere ben di più, in quanto per due mesi il monitoraggio ha cessato di funzionare per<br />
circa 49 giorni. Se si fa una stima con una proiezione matematica, si arriva alla<br />
conclusione che, se il monitoraggio fosse durato per 365 giorni, gli sfioramenti sarebbero<br />
stati ben 91. La legge ne prevede massimo 35 annui!<br />
Appare chiaro che un aumento della concentrazione del PM10 riferito al valore di<br />
superamento, in questa area urbana, derivi principalmente dallo stabilimento siderurgico<br />
ILVA.<br />
Facendo una rapida carrellata sulle emissioni degli altri inquinanti, si notano che i valori<br />
risultano al di sotto della concentrazione media giornaliera espressa in µg/m3, ma quasi al<br />
limite della percentuale di validità registrata dalle autorità competenti nelle vie distribuite<br />
sul territorio tarantino.<br />
3.4) RIFERIMENTO NORMATIVO SANZIONATORIO<br />
Per quanto riguarda l’aspetto sanzionatorio relativo ad una scarsa e rischiosa gestione<br />
dell’impianto, mirata ad evitare un aumento anche temporaneo delle emissioni, e/o ad una<br />
mancata comunicazione tra il gestore e le autorità competenti, si è ritenuto necessario fare<br />
riferimento al nuovo Testo Unico dell’Ambiente, il D. Lgs. 152/06: “Norme in materia<br />
ambientale”. In esso, ad ogni contestazione normativa (informazione del reato ipotizzato al<br />
soggetto) corrisponde una sanzione amministrativa e/o penale (vedi Tabella 14).<br />
211
contestazione<br />
Norma<br />
contestata<br />
Norma violata<br />
altra<br />
norma<br />
sanzione<br />
amministrativa<br />
sanzione<br />
penale<br />
inizia a installare o<br />
esercisce un impianto<br />
e o esercita una<br />
attività in assenza<br />
della prescritta<br />
autorizzazione ovvero<br />
continua l'esercizio<br />
dell’impianto o<br />
dell’attività con<br />
l’autorizzazione<br />
scaduta, decaduta,<br />
sospesa, revocata o<br />
dopo l'ordine di<br />
chiusura dell'impianto<br />
o di cessazione<br />
dell’attività<br />
art 279<br />
comma 1<br />
o dell'ammenda da<br />
duecentocinquantott<br />
o euro a<br />
milletrentadue euro.<br />
arresto<br />
da due<br />
mesi a<br />
due<br />
anni<br />
Chi sottopone un<br />
impianto a modifica<br />
sostanziale senza<br />
l’autorizzazione<br />
prevista<br />
art 279<br />
comma 1<br />
269, comma 8<br />
o dell’ammenda<br />
fino a<br />
milletrentadue<br />
euro<br />
arresto<br />
fino a<br />
sei mesi<br />
chi sottopone un<br />
impianto ad una<br />
modifica non<br />
sostanziale senza<br />
effettuare la<br />
comunicazione<br />
art 279<br />
comma 1<br />
269, comma 8<br />
ammenda fino a<br />
mille euro<br />
Nell'esercizio di un<br />
impianto o di una<br />
attività, viola i valori<br />
limite di emissione o<br />
le prescrizioni stabiliti<br />
dall'autorizzazione<br />
art 279<br />
comma 2<br />
dall’Allegato I<br />
alla parte quinta<br />
art. 271<br />
autorità<br />
competente<br />
o con l'ammenda<br />
fino a<br />
milletrentadue<br />
euro.<br />
arresto fino<br />
ad un anno<br />
se il superamento dei<br />
valori limite di<br />
emissione determina<br />
anche il superamento<br />
dei valori limite di<br />
qualità dell'aria<br />
previsti dalla vigente<br />
normativa.<br />
art 279<br />
comma 5<br />
arresto fino<br />
ad un anno<br />
mette in esercizio un<br />
impianto o inizia ad<br />
esercitare un’attività<br />
senza averne dato la<br />
preventiva<br />
comunicazione<br />
prescritta<br />
art 279<br />
comma 3<br />
269, comma 5 o<br />
comma 15<br />
272, comma 1<br />
o con l'ammenda<br />
fino a<br />
milletrentadue<br />
euro.<br />
arresto fino<br />
ad un anno<br />
non comunica<br />
all’autorità<br />
competente i dati<br />
relativi alle emissioni<br />
art 279<br />
comma 4<br />
269, comma 5<br />
o con l'ammenda<br />
fino a<br />
milletrentadue<br />
euro<br />
arresto fino<br />
a sei mesi<br />
nei casi previsti, non<br />
adotta tutte le misure<br />
necessarie ad evitare<br />
un aumento anche<br />
art 279<br />
comma 6<br />
281<br />
o dell'ammenda<br />
fino a<br />
milletrentadue<br />
euro.<br />
arresto fino<br />
ad un anno<br />
212
temporaneo delle<br />
emissioni<br />
Per la violazione delle<br />
prescrizioni<br />
All’irrogazione di tale<br />
sanzione provvede. La<br />
sospensione delle<br />
autorizzazioni in<br />
essere è sempre<br />
disposta in caso di<br />
recidiva.<br />
276<br />
277<br />
All’irrogazio<br />
ne<br />
provvede, ai<br />
sensi degli<br />
articoli 17 e<br />
seguenti<br />
della legge<br />
24<br />
novembre<br />
1981, n.<br />
689, la<br />
regione o la<br />
diversa<br />
autorità<br />
indicata<br />
dalla legge<br />
regionale.<br />
sanzione<br />
quindicimilaquattr<br />
ocentonovantatre<br />
euro a<br />
centocinquantaqu<br />
attromilanovecent<br />
otrentasette euro.<br />
La sospensione delle autorizzazioni in essere è sempre disposta in caso di recidiva.<br />
Tabella 14 – Riferimento sanzionatorio alla 152/06<br />
Per esempio l’art. 269, comma 5, stabilisce il periodo che deve intercorrere tra la messa<br />
in esercizio e la messa in regime dell’impianto. La messa in esercizio deve essere<br />
comunicata all’autorità competente con un anticipo di almeno 15 giorni. L’autorizzazione<br />
stabilisce la data entro cui devono essere comunicati all’autorità competente i dati relativi<br />
alle emissioni effettuate in un periodo continuativo di marcia controllata di durata non<br />
inferiore a dieci giorni, decorrenti dalla messa a regime, e la durata di tale periodo, nonché<br />
il numero dei campionamenti da realizzare. Il comma 8 del suddetto articolo prevede che<br />
Il gestore che intende sottoporre un impianto ad una modifica, che comporti una<br />
variazione di quanto indicato nel progetto o nella relazione tecnica di cui al comma 2 o<br />
nell’autorizzazione di cui al comma 3 o nell’autorizzazione rilasciata ai sensi del decreto<br />
del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, o nei documenti previsti<br />
dall’articolo 12 di tale decreto, anche relativa alle modalità di esercizio o ai combustibili<br />
utilizzati, ne dà comunicazione all’autorità competente o, se la modifica è sostanziale,<br />
presenta una domanda di aggiornamento ai sensi del presente articolo. Se la modifica per<br />
cui è stata data comunicazione è sostanziale, l’autorità competente ordina al gestore di<br />
presentare una domanda di aggiornamento dell’autorizzazione, alla quale si applicano le<br />
disposizioni del presente articolo. Se la modifica non è sostanziale, l’autorità competente<br />
provvede, ove necessario, ad aggiornare l’autorizzazione in atto. Se l’autorità competente<br />
non si esprime entro sessanta giorni, il gestore può procedere all’esecuzione della<br />
modifica non sostanziale comunicata, fatto salvo il potere dell’autorità competente di<br />
provvedere anche successivamente, nel termine di sei mesi dalla ricezione della<br />
213
comunicazione. Per modifica sostanziale si intende quella che comporta un aumento o<br />
una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità<br />
tecnica delle stesse. Il presente comma si applica anche a chi intende sottoporre a<br />
modifica una attività autorizzata ai sensi dei commi 10, 11, 12 e 13. E’ fatto salvo quanto<br />
previsto dall’articolo 275, comma 11. Secondo il comma 15, in alternativa, l’autorità<br />
competente può prevedere, con proprio provvedimento generale, che i gestori degli<br />
impianti di cui al comma 14 comunichino alla stessa, in via preventiva, la data di messa in<br />
esercizio dell’impianto o di avvio dell’attività.<br />
L’art. 271 (valori limite di emissioni e prescrizione) prevede i seguenti commi:<br />
1. L’Allegato I alla parte quinta del presente decreto stabilisce i valori limite di emissione,<br />
con l’indicazione di un valore massimo e di un valore minimo, e le prescrizioni per<br />
l’esercizio degli impianti anteriori al 1988 e di tutti gli impianti di cui all’articolo 269, comma<br />
14, eccettuati quelli di cui alla lettera d). I valori limite di emissione e le prescrizioni stabiliti<br />
nell’Allegato I si applicano agli impianti nuovi e agli impianti anteriori al 2006<br />
esclusivamente nei casi espressamente previsti da tale Allegato. L’Allegato V alla parte<br />
quinta del presente decreto stabilisce apposite prescrizioni per le emissioni di polveri<br />
provenienti da attività di produzione, manipolazione, trasporto, carico, scarico o stoccaggio<br />
di materiali polverulenti e per le emissioni in forma di gas o vapore derivanti da attività di<br />
lavorazione, trasporto, travaso e stoccaggio di sostanze organiche liquide.<br />
2. Con apposito decreto, adottato ai sensi dell’articolo 281, comma 5, si provvede ad<br />
integrare l’Allegato I alla parte quinta del presente decreto con la fissazione di valori limite<br />
e prescrizioni per l’esercizio degli impianti nuovi e di quelli anteriori al 2006. Con tale<br />
decreto si provvede altresì all’aggiornamento del medesimo Allegato I. Fino all’adozione di<br />
tale decreto si applicano, per gli impianti anteriori al 1988 ed al 2006, i metodi<br />
precedentemente in uso e, per gli impianti nuovi, i metodi stabiliti dall’autorità competente<br />
sulla base delle pertinenti norme tecniche CEN o, ove queste non siano disponibili, delle<br />
pertinenti norme tecniche ISO, oppure, ove anche queste ultime non siano disponibili,<br />
sulla base delle pertinenti norme tecniche nazionali o internazionali.<br />
3. La regione o la provincia autonoma può stabilire, con legge o con provvedimento<br />
generale, sulla base delle migliori tecniche disponibili, valori limite di emissione compresi<br />
tra i valori minimi e massimi fissati dall’Allegato I alla parte quinta del presente decreto. La<br />
regione o la provincia autonoma può inoltre stabilire, ai fini della valutazione dell'entità<br />
della diluizione delle emissioni, portate caratteristiche di specifiche tipologie di impianti.<br />
214
4. I piani e i programmi previsti dall’articolo 8 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351,<br />
e dall’articolo 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183, possono stabilire valori<br />
limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio<br />
dell’impianto, più severi di quelli fissati dall’Allegato I alla parte quinta del presente decreto<br />
e dalla normativa di cui al comma 3 purché ciò risulti necessario al conseguimento del<br />
valore limite e dei valori bersaglio di qualità dell’aria. Fino all’emanazione di tali piani e<br />
programmi, continuano ad applicarsi i valori limite di emissione e le prescrizioni contenuti<br />
nei piani adottati ai sensi dell’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24<br />
maggio 1988, n. 203.<br />
5. I piani e i programmi di cui al comma 4 possono stabilire valori limite di emissione e<br />
prescrizioni per gli impianti nuovi o anteriori al 2006 anche prima dell’adozione del decreto<br />
di cui al comma 2.<br />
6. Per ciascuno degli impianti per cui é presentata la domanda di cui all’articolo 269,<br />
l’autorizzazione stabilisce i valori limite di emissione e le prescrizioni sulla base dei valori e<br />
delle prescrizioni fissati dall’Allegato I alla parte quinta del presente decreto, dalla<br />
normativa di cui al comma 3 e dai piani e programmi relativi alla qualità dell’aria. Le<br />
prescrizioni finalizzate ad assicurare il contenimento delle emissioni diffuse sono stabilite<br />
sulla base delle migliori tecniche disponibili e sulla base delle pertinenti disposizioni degli<br />
Allegati I e V alla parte quinta del presente decreto. Per le sostanze per cui non sono<br />
fissati valori di emissione, l’autorizzazione stabilisce appositi valori limite con riferimento a<br />
quelli previsti per sostanze simili sotto il profilo chimico e aventi effetti analoghi sulla salute<br />
e sull’ambiente.<br />
7. Nel caso in cui la normativa di cui al comma 3 e i piani e programmi relativi alla qualità<br />
dell’aria non stabiliscano valori limite di emissione, non deve comunque essere superato,<br />
nell’autorizzazione, il valore massimo stabilito dall’Allegato I alla parte quinta del presente<br />
decreto.<br />
8. Per gli impianti nuovi o per gli impianti anteriori al 2006, fino all’adozione del decreto di<br />
cui al comma 2, l’autorizzazione stabilisce i valori limite di emissione e le prescrizioni sulla<br />
base dei valori e delle prescrizioni fissati nei piani e programmi di cui al comma 5 e sulla<br />
base delle migliori tecniche disponibili. Nell’autorizzazione non devono comunque essere<br />
superati i valori minimi di emissione che l’Allegato I fissa per gli impianti anteriori al 1988.<br />
Le prescrizioni finalizzate ad assicurare il contenimento delle emissioni diffuse sono<br />
stabilite sulla base delle migliori tecniche disponibili e dell’Allegato V alla parte quinta del<br />
presente decreto. Si applica l’ultimo periodo del comma 6.<br />
215
9. Fermo restando quanto previsto dal comma 8, l’autorizzazione può stabilire valori limite<br />
di emissione più severi di quelli fissati dall’Allegato I alla parte quinta del presente decreto,<br />
dalla normativa di cui al comma 3 e dai piani e programmi relativi alla qualità dell’aria:<br />
a) in sede di rinnovo, sulla base delle migliori tecniche disponibili, anche tenuto conto del<br />
rapporto tra i costi e i benefici complessivi;<br />
b) per zone di particolare pregio naturalistico, individuate all’interno dei piani e dei<br />
programmi adottati ai sensi degli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n.<br />
351, o dell’articolo 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004,<br />
n. 183, o dell’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n.<br />
203.<br />
10. Nel caso previsto dall’articolo 270, comma 6, l'autorizzazione può prevedere che i<br />
valori limite di emissione si riferiscano alla media ponderata delle emissioni di sostanze<br />
inquinanti uguali o appartenenti alla stessa classe ed aventi caratteristiche chimiche<br />
omogenee, provenienti dai diversi punti di emissione dell’impianto. Il flusso di massa<br />
complessivo dell’impianto non può essere superiore a quello che si avrebbe se i valori<br />
limite di emissione si applicassero ai singoli punti di emissione.<br />
11. I valori limite di emissione e il tenore volumetrico dell’ossigeno di riferimento si<br />
riferiscono al volume di effluente gassoso rapportato alle condizioni normali, previa<br />
detrazione, salvo quanto diversamente indicato nell’Allegato I alla parte quinta del<br />
presente decreto, del tenore volumetrico di vapore acqueo.<br />
12. Salvo quanto diversamente indicato nell’Allegato I alla parte quinta del presente<br />
decreto, il tenore volumetrico dell’ossigeno di riferimento è quello derivante dal processo.<br />
Se nell’emissione il tenore volumetrico di ossigeno è diverso da quello di riferimento, le<br />
concentrazioni misurate devono essere corrette mediante la seguente formula:<br />
dove:<br />
EM = concentrazione misurata<br />
E = concentrazione O 2<br />
M = tenore di ossigeno misurato<br />
O 2 = tenore di ossigeno di riferimento<br />
13. I valori limite di emissione si riferiscono alla quantità di emissione diluita nella misura<br />
che risulta inevitabile dal punto di vista tecnologico e dell'esercizio. In caso di ulteriore<br />
216
diluizione dell’emissione le concentrazioni misurate devono essere corrette mediante la<br />
seguente formula:<br />
dove:<br />
PM = portata misurata<br />
EM = concentrazione misurata<br />
P = portata di effluente gassoso diluita nella misura che risulta inevitabile dal punto di vista<br />
tecnologico e dell'esercizio<br />
E = concentrazione riferita alla P<br />
14. Salvo quanto diversamente stabilito dalla parte quinta del presente decreto, i valori<br />
limite di emissione si applicano ai periodi di normale funzionamento dell’impianto, intesi<br />
come i periodi in cui l’impianto è in funzione con esclusione dei periodi di avviamento e di<br />
arresto e dei periodi in cui si verificano guasti tali da non permettere il rispetto dei valori<br />
stessi. L'autorizzazione può stabilire<br />
specifiche prescrizioni per tali periodi di avviamento e di arresto e per l’eventualità di tali<br />
guasti ed individuare gli ulteriori periodi transitori nei quali non si applicano i valori limite di<br />
emissione. Se si verifica un guasto tale da non permettere il rispetto di valori limite di<br />
emissione, l'autorità competente deve essere informata entro le otto ore successive e può<br />
disporre la riduzione o la cessazione delle attività o altre prescrizioni, fermo restando<br />
l’obbligo del gestore di procedere al ripristino funzionale dell'impianto nel più breve tempo<br />
possibile. Il gestore è comunque tenuto ad adottare tutte le precauzioni opportune per<br />
ridurre al minimo le emissioni durante le fasi di avviamento e di arresto. Sono fatte salve le<br />
diverse disposizioni contenute nella parte quinta del presente decreto per specifiche<br />
tipologie di impianti. Non costituiscono in ogni caso periodi di avviamento o di arresto i<br />
periodi di oscillazione che si verificano regolarmente nello svolgimento della funzione<br />
dell’impianto.<br />
15. Per i grandi impianti di combustione di cui all’articolo 273 e per gli impianti di cui<br />
all’articolo 275, il presente articolo si applica con riferimento ai valori limite di emissione ivi<br />
previsti.<br />
16. Per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale i valori limite e le<br />
prescrizioni di cui al presente articolo si applicano ai fini del rilascio di tale autorizzazione,<br />
fermo restando il potere dell’autorità competente di stabilire valori limite e prescrizioni più<br />
severi.<br />
217
17. L’Allegato VI alla parte quinta del presente decreto stabilisce i criteri per la valutazione<br />
della conformità dei valori misurati ai valori limite di emissione. Con apposito decreto ai<br />
sensi dell’articolo 281, comma 5, si provvede ad integrare il suddetto Allegato VI,<br />
prevedendo appositi metodi di campionamento e di analisi delle emissioni nonché<br />
modalità atte a garantire la qualità dei sistemi di monitoraggio in continuo delle emissioni.<br />
Fino all’adozione di tale decreto si applicano, per gli impianti anteriori al 1988 ed al 2006, i<br />
metodi precedentemente in uso e, per gli impianti nuovi, i metodi stabiliti dall’autorità<br />
competente sulla base delle pertinenti norme tecniche CEN o, ove queste non siano<br />
disponibili, delle pertinenti norme tecniche ISO, oppure, ove anche queste ultime non<br />
siano disponibili, sulla base delle pertinenti norme tecniche nazionali o internazionali.<br />
L’art. 272 (impianti e attività in deroga), al comma 1, stabilisce che l’autorità competente<br />
può prevedere, che i gestori degli impianti e delle attività elencati nella parte I dell’Allegato<br />
IV alla parte quinta del presente decreto comunichino alla stessa di ricadere in tale elenco<br />
nonché, in via preventiva, la data di messa in esercizio dell’impianto o di avvio dell’attività,<br />
salvo diversa disposizione dello stesso Allegato. Il suddetto elenco, riferito ad impianti o<br />
attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento<br />
atmosferico, può essere aggiornato ed intergrato secondo quanto disposto dall’articolo<br />
281, comma 5, anche su proposta delle regioni, delle province autonome e delle<br />
associazioni rappresentative di categorie produttive.<br />
L’art. 276 (controllo delle emissioni di COV derivanti dal deposito della benzina e dalla sua<br />
distribuzione dai terminali agli impianti di distribuzione) considera i seguenti commi:<br />
devono essere rispettate ai fini del controllo delle emissioni di COV relativamente:<br />
a) agli impianti di deposito presso i terminali;<br />
b) agli impianti di caricamento di benzina presso i terminali;<br />
c) agli impianti adibiti al deposito temporaneo di vapori presso i terminali;<br />
d) alle cisterne mobili e ai veicoli cisterna;<br />
e) agli impianti di deposito presso gli impianti di distribuzione dei carburanti;<br />
f) alle attrezzature per le operazioni di trasferimento della benzina presso gli impianti di<br />
distribuzione e presso terminali in cui è consentito il deposito temporaneo di vapori.<br />
2. Per impianti di deposito ai sensi del presente articolo si intendono i serbatoi fissi adibiti<br />
allo stoccaggio di benzina. Per tali impianti di deposito situati presso i terminali le pertinenti<br />
prescrizioni dell’Allegato VII alla parte quinta del presente decreto costituiscono le misure<br />
che i gestori devono adottare ai sensi dell’articolo 269, comma 16. Con apposito<br />
provvedimento l’autorità competente può disporre deroghe a tali prescrizioni,<br />
218
elativamente agli obblighi di rivestimento, ove necessario ai fini della tutela di aree di<br />
particolare pregio sotto il profilo paesaggistico.<br />
3. Per impianti di distribuzione, ai sensi del presente articolo, si intendono gli impianti in cui<br />
la benzina viene erogata ai serbatoi di tutti i veicoli a motore da impianti di deposito.<br />
4. Nei terminali all’interno dei quali è movimentata una quantità di benzina inferiore a<br />
10.000 tonnellate/anno e la cui costruzione è stata autorizzata prima del 3 dicembre 1997,<br />
ai sensi della normativa vigente al momento dell’autorizzazione, gli impianti di caricamento<br />
si adeguano alle disposizioni della parte II, paragrafo 2, dell’Allegato VII alla parte quinta<br />
del presente decreto entro il 17 maggio 2010. Fino alla data di adeguamento deve essere<br />
garantita l'agibilità delle operazioni di caricamento anche per i veicoli-cisterna con<br />
caricamento dall'alto. Per quantità movimentata si intende la quantità totale annua<br />
massima di benzina caricata in cisterne mobili dagli impianti di deposito del terminale nei<br />
tre anni precedenti il 17 maggio 2000.<br />
5. Le prescrizioni di cui alla parte II, punto 3.2, dell’Allegato VII alla parte quinta del<br />
presente decreto si applicano ai veicoli cisterna collaudati dopo il 17 novembre 2000 e si<br />
estendono agli altri veicoli cisterna a partire dal 17 maggio 2010. Tali prescrizioni non si<br />
applicano ai veicoli cisterna a scomparti tarati, collaudati dopo il 1°gennaio 1990 e<br />
attrezzati con un dispositivo che garantisca la completa tenuta di vapori durante la fase di<br />
caricamento. A tali veicoli cisterna a scomparti tarati deve essere consentita l'agibilità delle<br />
operazioni di caricamento presso gli impianti di deposito dei terminali.<br />
L’art. 277 (recupero di COV prodotti durante le operazioni di rifornimento degli autoveicoli<br />
presso gli impianti di distribuzione carburanti) comprende i seguenti commi:<br />
1. I distributori degli impianti di distribuzione dei carburanti devono essere attrezzati con<br />
sistemi di recupero dei vapori di benzina che si producono durante le operazioni di<br />
rifornimento degli autoveicoli. Gli impianti di distribuzione e i sistemi di recupero dei vapori<br />
devono essere conformi alle pertinenti prescrizioni dell’Allegato VIII alla parte quinta del<br />
presente decreto, relative ai requisiti di<br />
2. Ai fini del presente articolo si intende per:<br />
a) impianti di distribuzione: ogni impianto in cui la benzina viene erogata ai serbatoi degli<br />
autoveicoli da impianti di deposito;<br />
b) impianti di deposito: i serbatoi fissi adibiti allo stoccaggio di benzina presso gli impianti<br />
di distribuzione;<br />
c) distributore: ogni apparecchio finalizzato all'erogazione di benzina; il distributore deve<br />
essere dotato di idonea pompa di erogazione in grado di aspirare dagli impianti di deposito<br />
219
o, in alternativa, essere collegato a un sistema di pompaggio centralizzato; se inserito in<br />
un impianto di distribuzione di carburanti in rapporto con il pubblico, il distributore deve<br />
essere inoltre dotato di un idoneo dispositivo per l'indicazione ed il calcolo delle quantità di<br />
benzina erogate;<br />
d) sistema di recupero dei vapori: l’insieme dei dispositivi atti a prevenire l'emissione in<br />
atmosfera di COV durante i rifornimenti di benzina di autoveicoli. Tale insieme di dispositivi<br />
comprende pistole di erogazione predisposte per il recupero dei vapori, tubazioni flessibili<br />
coassiali o gemellate, ripartitori per la separazione della linea dei vapori dalla linea di<br />
erogazione del carburante, collegamenti interni ai distributori, linee interrate per il<br />
passaggio dei vapori verso i serbatoi, e tutte le apparecchiature e i dispositivi atti a<br />
garantire il funzionamento degli impianti in condizioni di sicurezza ed efficienza.<br />
3. I dispositivi componenti i sistemi di recupero dei vapori devono essere omologati dal<br />
Ministero dell’interno, a cui il costruttore presenta apposita istanza corredata della<br />
documentazione necessaria ad identificare i dispositivi e dalla certificazione di cui al<br />
paragrafo 2, punto 2.3, dell’Allegato VIII alla parte quinta del presente decreto. Ai fini del<br />
rilascio dell’omologazione, il Ministero dell'interno verifica la rispondenza dei dispositivi ai<br />
requisiti di efficienza di cui al comma 1 ed ai requisiti di sicurezza antincendio di cui al<br />
decreto ministeriale 31 luglio 1934. In caso di mancata pronuncia l’omologazione si<br />
intende negata.<br />
4. I dispositivi componenti i sistemi di recupero dei vapori che sono stati omologati delle<br />
competenti autorità di altri Paesi appartenenti all'Unione europea possono essere utilizzati<br />
per attrezzare i distributori degli impianti di distribuzione, previo riconoscimento da parte<br />
del Ministero dell’interno, a cui il costruttore presenta apposita istanza, corredata dalla<br />
documentazione necessaria ad identificare i dispositivi, dalle certificazioni di prova<br />
rilasciate dalle competenti autorità estere e da una traduzione giurata in lingua italiana di<br />
tali documenti e certificazioni. Ai fini del riconoscimento, il Ministero dell'interno verifica i<br />
documenti e le certificazioni trasmessi e la rispondenza dei dispositivi ai requisiti di<br />
sicurezza antincendio di cui al decreto ministeriale 31 luglio 1934. In caso di mancata<br />
pronuncia il riconoscimento si intende negato.<br />
5. Durante le operazioni di rifornimento degli autoveicoli i gestori degli impianti di<br />
distribuzione devono mantenere in funzione i sistemi di recupero dei vapori di cui al<br />
comma 1.<br />
220
L’art. 279 (sanzioni) evidenzia i seguenti commi:<br />
1. Chi inizia a installare o esercire un impianto e chi esercita una attività in assenza della<br />
prescritta autorizzazione ovvero continua l’esercizio dell’impianto o dell’attività con<br />
l’autorizzazione scaduta, decaduta, sospesa, revocata o dopo l’ordine di chiusura<br />
dell’impianto o di cessazione dell’attività è punito con la pena dell’arresto da due mesi a<br />
due anni o dell’ammenda da duecentocinquantotto euro a milletrentadue euro. Chi<br />
sottopone un impianto a modifica sostanziale senza l’autorizzazione prevista dall’articolo<br />
269, comma 8, è punito con la pena dell’arresto fino a sei mesi o dell’ammenda fino a<br />
milletrentadue euro; chi sottopone un impianto ad una modifica non sostanziale senza<br />
effettuare la comunicazione prevista dal citato articolo 269, comma 8, è punito con la pena<br />
dell’ammenda fino a milletrentadue euro.<br />
2. Chi, nell'esercizio di un impianto o di una attività, viola i valori limite di emissione o le<br />
prescrizioni stabiliti dall'autorizzazione, dall'Allegato I alla parte quinta del presente<br />
decreto, dai piani e dai programmi o dalla normativa di cui all'articolo 271 o le prescrizioni<br />
altrimenti imposte dall'autorità competente ai sensi del presente titolo e' punito con<br />
l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda fino a milletrentadue euro.<br />
3. Chi mette in esercizio un impianto o inizia ad esercitare un'attività senza averne dato la<br />
preventiva comunicazione prescritta ai sensi dell'articolo 269, comma 5 o comma 15, o ai<br />
sensi dell'articolo 272, comma 1, e' punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda<br />
fino a milletrentadue euro.<br />
4. Chi non comunica all'autorità competente i dati relativi alle emissioni ai sensi<br />
dell'articolo 269, comma 5, e' punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a<br />
milletrentadue euro.<br />
5. Nei casi previsti dal comma 2 si applica sempre la pena dell'arresto fino ad un anno se il<br />
superamento dei valori limite di emissione determina anche il superamento dei valori limite<br />
di qualità dell'aria previsti dalla vigente normativa.<br />
6. Chi, nei casi previsti dall'articolo 281, comma 1, non adotta tutte le misure necessarie<br />
ad evitare un aumento anche temporaneo delle emissioni e' punito con la pena dell'arresto<br />
fino ad un anno o dell'ammenda fino a milletrentadue euro.<br />
7. Per la violazione delle prescrizioni dell'articolo 276, nel caso in cui la stessa non sia<br />
soggetta alle sanzioni previste dai commi da 1 a 6, e per la violazione delle prescrizioni<br />
dell'articolo 277 si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da<br />
quindicimilaquattrocentonovantatre euro a centocinquantaquattromilanovecentotrentasette<br />
euro. All'irrogazione di tale sanzione provvede, ai sensi degli articoli 17 e seguenti della<br />
221
legge 24 novembre 1981, n. 689, la regione o la diversa autorità indicata dalla legge<br />
regionale. La sospensione delle autorizzazioni in essere e' sempre disposta in caso di<br />
recidiva.<br />
L’art. 281 (disposizioni transitorie e finali) riguarda i seguenti commi:<br />
1. I gestori degli impianti autorizzati, anche in via provvisoria o in forma tacita, ai sensi del<br />
decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, ad esclusione di quelli<br />
dotati di autorizzazione generale che sono sottoposti alla disciplina di cui all’articolo 272,<br />
comma 3, devono presentare una domanda di autorizzazione ai sensi dell’articolo 269<br />
entro i termini di seguito indicati. Le regioni e le province autonome adottano, nel rispetto<br />
di tali termini, appositi calendari per la presentazione delle domande; in caso di mancata<br />
adozione dei calendari, la domanda di autorizzazione deve essere comunque presentata<br />
nei termini stabiliti dal presente comma. La mancata presentazione della domanda nei<br />
termini, inclusi quelli fissati dai calendari, comporta la decadenza della precedente<br />
autorizzazione. Se la domanda è presentata nei termini, l’esercizio degli impianti può<br />
essere proseguito fino alla pronuncia dell’autorità competente; in caso di mancata<br />
pronuncia entro i termini previsti dall’articolo 269, comma 3, l’esercizio può essere<br />
proseguito fino alla scadenza del termine previsto per la pronuncia del Ministro<br />
dell’ambiente e della tutela del territorio a cui sia stato richiesto di provvedere ai sensi<br />
dello stesso articolo. In caso di impianti autorizzati in via provvisoria o in forma tacita, il<br />
gestore deve adottare, fino alla pronuncia dell’autorità competente, tutte le misure<br />
necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo delle emissioni. La domanda di<br />
autorizzazione di cui al presente comma deve essere presentata entro i seguenti termini:<br />
a) tra la data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto ed il 31 dicembre<br />
2010, per impianti anteriori al 1988;<br />
b) tra il 1° gennaio 2011 ed il 31 dicembre 2014, p er impianti anteriori al 2006 che siano<br />
stati autorizzati in data anteriore al 1°gennaio 20 00;<br />
c) tra il 1° gennaio 2015 ed il 31 dicembre 2018, p er impianti anteriori al 2006 che siano<br />
stati autorizzati in data successiva al 31 dicembre 1999.<br />
2. I gestori degli impianti e delle attività in esercizio alla data di entrata in vigore della parte<br />
quinta del presente decreto che ricadono nel campo di applicazione del presente titolo e<br />
che non ricadevano nel campo di applicazione del decreto del Presidente della Repubblica<br />
24 maggio 1988, n. 203, si adeguano alle disposizioni del presente titolo entro tre anni da<br />
tale data e, nel caso in cui siano soggetti all’autorizzazione alle emissioni, presentano la<br />
relativa domanda, ai sensi dell’articolo 269 ovvero ai sensi dell’articolo 272, commi 2 e 3,<br />
222
almeno diciotto mesi prima del termine di adeguamento. In caso di mancata presentazione<br />
della domanda entro il termine previsto, l’impianto o l’attività si considerano in esercizio<br />
senza autorizzazione alle emissioni. Se la domanda è presentata nel termine previsto,<br />
l’esercizio può essere proseguito fino alla pronuncia dell’autorità competente; in caso di<br />
mancata pronuncia entro i termini previsti dall’articolo 269, comma 3, l’esercizio può<br />
essere proseguito fino alla scadenza del termine previsto per la pronuncia del Ministro<br />
dell’ambiente e della tutela del territorio a cui sia stato richiesto di provvedere ai sensi<br />
dello stesso articolo. Per gli impianti l’autorizzazione stabilisce i valori limite e le<br />
prescrizioni:<br />
a) ai sensi dell’articolo 271, commi 6 e 9, se l’impianto è stato realizzato prima del 1988 in<br />
conformità alla normativa all’epoca vigente;<br />
b) ai sensi dell’articolo 271, commi 8 e 9, se l’impianto deve essere realizzato ai sensi<br />
dell’articolo 269, commi 10 o 12, o è stato realizzato tra il 1988 e l’entrata in vigore della<br />
parte quinta del presente decreto in conformità alla normativa all’epoca vigente.<br />
3. Per gli impianti in esercizio alla data di entrata in vigore della parte quinta del presente<br />
decreto che ricadono nel campo di applicazione del presente titolo e che ricadevano nel<br />
campo di applicazione della legge 13 luglio 1966, n. 615, del decreto del Presidente della<br />
Repubblica 22 dicembre 1970, n. 1391, o del titolo II del decreto del Presidente del<br />
Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002, l’autorità competente adotta le autorizzazioni generali<br />
di cui all’articolo 272, comma 2, entro quindici mesi da tale data. In caso di mancata<br />
adozione dell’autorizzazione generale, nel termine prescritto, la stessa è rilasciata con<br />
apposito decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e i gestori degli<br />
impianti interessati comunicano la propria adesione all’autorità competente; è fatto salvo il<br />
potere di tale autorità di adottare successivamente nuove autorizzazioni di carattere<br />
generale, ai sensi dell’articolo 272, l’adesione alle quali comporta, per il soggetto<br />
interessato, la decadenza di quella adottata dal Ministro dell’ambiente e della tutela del<br />
territorio.<br />
4. I gestori degli impianti e delle attività che ricadevano negli allegati 1 e 2 del decreto del<br />
Presidente della Repubblica del 25 luglio 1991 e che, per effetto della parte quinta del<br />
presente decreto, sono tenuti ad ottenere una specifica autorizzazione alle emissioni<br />
presentano la relativa richiesta entro quindici mesi dall’entrata in vigore della parte quinta<br />
del presente decreto; in tal caso, se l’impianto è soggetto all’articolo 275, l’autorità<br />
competente rilascia l’autorizzazione sulla base dei progetti presentati ai sensi del comma 8<br />
dello stesso articolo, con decorrenza dei termini previsti nell’articolo 269, comma 3, dalla<br />
223
data di entrata in vigore della parte quinta del presente decreto. In caso di mancata<br />
presentazione della domanda entro il termine previsto, l’impianto o l’attività si considerano<br />
in esercizio senza autorizzazione alle emissioni. Se la domanda è presentata nel termine<br />
previsto, l’esercizio di tali impianti o attività può essere proseguito fino alla pronuncia<br />
dell’autorità competente; in caso di mancata pronuncia entro i termini previsti dall’articolo<br />
269, comma 3, l’esercizio può essere proseguito fino alla scadenza del termine previsto<br />
per la pronuncia del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio a cui sia stato<br />
richiesto di provvedere ai sensi dello stesso articolo.<br />
5. All’integrazione e alla modifica degli allegati alla parte quinta del presente decreto<br />
provvede il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con le modalità di cui<br />
all’articolo 3, comma 2, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro delle attività<br />
produttive, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28<br />
agosto 1997, n. 281. All’adozione di tali atti si procede altresì di concerto con il Ministro<br />
delle politiche agricole e forestali, relativamente alle emissioni provenienti da attività<br />
agricole, e di concerto con i Ministri dell’interno, delle infrastrutture e dei trasporti e<br />
dell’economia e delle finanze, relativamente alla modifica degli allegati VII e VIII alla parte<br />
quinta del presente decreto. L’Allegato I e l’Allegato VI alla parte quinta del presente<br />
decreto sono integrati e modificati per la prima volta entro un anno dall’entrata in vigore<br />
della parte quinta del decreto medesimo.<br />
6. Alla modifica ed integrazione degli Allegati alla parte quinta del presente decreto, al fine<br />
di dare attuazione alle direttive comunitarie per le parti in cui le stesse comportino<br />
modifiche delle modalità esecutive e delle caratteristiche di ordine tecnico stabilite dalle<br />
norme vigenti, si provvede ai sensi dell’articolo 13 della legge 4 febbraio 2005, n. 11.<br />
7. Le domande di autorizzazione, i provvedimenti adottati dall’autorità competente e i<br />
risultati delle attività di controllo, ai sensi del presente titolo, nonché gli elenchi delle attività<br />
autorizzate in possesso dell'autorità competente sono messi a disposizione del pubblico ai<br />
sensi di quanto previsto dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195.<br />
8. Lo Stato, le regioni, le province autonome e le province organizzano i rispettivi inventari<br />
delle fonti di emissioni. I criteri per l’elaborazione di tali inventari sono stabiliti con decreto<br />
del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il Ministro delle<br />
attività produttive e con il Ministro della salute.<br />
9. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, di concerto con il<br />
Ministro dell’economia e delle finanze, è istituita, senza oneri a carico della finanza<br />
pubblica, una commissione per la raccolta, l’elaborazione e la diffusione, tra le autorità<br />
224
competenti, dei dati e delle informazioni rilevanti ai fini dell’applicazione della parte quinta<br />
del presente decreto e per la valutazione delle migliori tecniche disponibili di cui all’articolo<br />
268, comma 1, lettera aa). La commissione è composta da un rappresentante nominato<br />
dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, con funzioni di presidente, un<br />
rappresentante nominato dal Ministro delle attività produttive, un rappresentante nominato<br />
dal Ministro della salute e cinque rappresentanti nominati dalla Conferenza unificata di cui<br />
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Alle riunioni della Commissione<br />
possono partecipare uno o più rappresentanti di ciascuna regione o provincia autonoma. Il<br />
decreto istitutivo disciplina anche le modalità di funzionamento della commissione, inclusa<br />
la periodicità delle riunioni, e le modalità di partecipazione di soggetti diversi dai<br />
componenti. Ai componenti della commissione e agli altri soggetti che partecipano alle<br />
riunioni della stessa non spetta la corresponsione di compensi, indennità, emolumenti a<br />
qualsiasi titolo riconosciuti o rimborsi spese.<br />
10. Fatti salvi i poteri stabiliti dall’articolo 271 in sede di adozione dei piani e dei programmi<br />
ivi previsti e di rilascio dell’autorizzazione, in presenza di particolari situazioni di rischio<br />
sanitario o di zone che richiedano una particolare tutela ambientale, le regioni e le<br />
province autonome, con provvedimento generale, previa intesa con il Ministro<br />
dell’ambiente e della tutela del territorio e con il Ministro della salute, per quanto di<br />
competenza, possono stabilire valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le<br />
condizioni di costruzione o di esercizio degli impianti, più severi di quelli fissati dagli<br />
allegati al presente titolo, purché ciò risulti necessario al conseguimento del valori limite e<br />
dei valori bersaglio di qualità dell’aria.<br />
3.5) PROBLEMATICHE EPIDEMIOLOGICHE<br />
Fonti naturali ed antropogeniche sono responsabili dell’immissione nell’aria atmosferica di<br />
un elevato numero di inquinanti potenzialmente nocivi per la salute umana.<br />
Pur se inquinanti di interesse tossicologico possono derivare da fonti naturali (come<br />
emissioni vulcaniche, erosione del suolo ed evaporazione da corpi idrici), al giorno d’oggi<br />
l’attenzione si rivolge però all’inquinamento atmosferico di origine antropogenica, che<br />
deriva principalmente da fonti di combustione fisse o mobili.<br />
La valutazione del rischio per quanto riguarda la cancerogenicità nell’uomo di agenti fisicochimici<br />
si avvale di approcci metodologici diversi tra cui, per primi, gli studi epidemiologici.<br />
E’ disponibile una vasta letteratura riguardante i rapporti tra inquinamento atmosferico e<br />
225
cancro nell’uomo. In particolare sono stati svolti studi di epidemiologia descrittiva di tipo<br />
geografico che hanno preso in considerazione la diversa mortalità per tumori in aree<br />
urbane, rurali oppure industrializzate. I confronti tra aree urbane e corrispondenti aree<br />
rurali hanno dimostrato il più delle volte differenze di mortalità per cancro polmonare, il<br />
che ha suggerito l’esistenza di un generico “fattore urbano” responsabile di un maggior<br />
rischio in ambiente urbano. Studi di epidemiologia analitica e soprattutto studi “casocontrollo”<br />
hanno permesso di acquisire informazioni più attendibili sul tipo di esposizione e<br />
sui possibili fattori confondenti, evidenziando un aumento del rischio relativo in soggetti<br />
che vivevano in aree urbane rispetto ad aree rurali.<br />
Non vi è dubbio quindi che l’aria outdoor può contenere numerosi inquinanti primari e<br />
secondari, appartenenti ad una notevole varietà di categorie chimiche, che risultano<br />
mutageni e cancerogeni in modelli sperimentali e che, in alcuni casi, appaiono<br />
cancerogeni anche nell’uomo in seguito ad esposizioni occupazionali. Tuttavia nella<br />
valutazione del rischio entrano in gioco problemi legati alla interazione tra componenti di<br />
miscele complesse e alla tipologia di esposizione (alte e basse dosi). Gli studi<br />
epidemiologici suggeriscono nel loro complesso che vi può essere un aumentato rischio di<br />
tumore per il cancro del polmone in soggetti che vivono in ambienti urbani o perlomeno<br />
vicini ad industrie fortemente inquinanti: la difficoltà è nel discriminare tale esposizione da<br />
fattori confondenti come il fumo di tabacco (attivo e passivo) ed esposizioni occupazionali.<br />
Nei primi anni 90 cominciano a comparire sulla stampa nazionale notizie dell’aumento<br />
della mortalità per patologia neoplastica dell’apparato Respiratorio nella popolazione della<br />
città di <strong>Taranto</strong>. All’origine la Delibera del Ministero dell’Ambiente con cui <strong>Taranto</strong> viene<br />
inserita tra le città ad elevato rischio ambientale (si veda il D.P.R. 23 aprile 1998<br />
"Approvazione del piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia<br />
di <strong>Taranto</strong>").<br />
E’ del 1993, la ricerca “Mortalità per Carcinoma Polmonare a <strong>Taranto</strong>, città sede di polo<br />
siderurgico”, pubblicato su Folia Oncologica,1993,143,143-151. Lo studio retrospettivo<br />
evidenzia come il rischio di ammalare di cancro del polmone per la popolazione della città<br />
risultava elevato nei soggetti fumatori e tale rischio risultava accresciuto nei soggetti<br />
residenti nelle aree urbane poste a ridosso dell’area industriale e occupati nella stessa.<br />
Nel 1995, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel “Rapporto Salute e Ambiente”<br />
redatto per il Ministero dell’Ambiente, include <strong>Taranto</strong> tra le Aree ad elevato Rischio di<br />
crisi ambientale. Nello specifico, l’esame dei dati di mortalità del periodo 1984-1991 rileva<br />
226
nell’area considerata (<strong>Taranto</strong>, Crispiano, Massafra e Montemesola) una mortalità per<br />
neoplasia del Polmone, della Vescica, del Fegato più elevata rispetto ai dati nazionali.<br />
In particolare nel capoluogo emerge un rilevante aumento dei Tumori della Pleura e dei<br />
Linfomi non Hodgkin. Lo studio dell’OMS si conclude con la considerazione che il quadro<br />
di mortalità rilevato nel Comune di <strong>Taranto</strong> suggerisce la presenza di fattori di inquinanti<br />
ambientali diffusi, in particolare amianto, ed una rilevante esposizione della popolazione<br />
maschile ad agenti di rischio di origine occupazionale.<br />
Nel corso del 1995, con l’attuazione nella Regione Puglia dei D.Lgs. 502/92 e 503/93,<br />
vengono costituite le Aziende Sanitarie Locali e in esse i Dipartimenti di Prevenzione.<br />
Fin d’allora, il Dipartimento di Prevenzione della ASL TA/1 orienta parte delle proprie<br />
risorse professionali allo studio dei fenomeni collegabili al rapporto Ambiente-Salute<br />
nell’area di <strong>Taranto</strong>.<br />
Viene dato impulso alla raccolta in loco delle schede di morte per avere dati recenti sulla<br />
mortalità, in attesa che siano pubblicati quelli ISTAT normalmente disponibili con un ritardo<br />
di 4-5 anni e viene pubblicato con cadenza annuale il Bollettino Epidemiologico della ASL<br />
TA/1 ove vengono analizzati i dati censiti.<br />
Nel primo numero del Maggio 1997, vengono confrontati i dati di mortalità della Città di<br />
<strong>Taranto</strong> relativi agli anni 1971, 1981, 1991, 1996 e si rileva un aumento della mortalità per<br />
neoplasie del polmone, del fegato, dell’intestino e della prostata, oltre che di linfomi e<br />
leucemie.<br />
Nel corso dello stesso anno, il Ministero della Sanità pubblica la ”Relazione sullo stato<br />
sanitario del Paese” in cui sono contenuti i dati nazionali e per aree (Nord, Centro e Sud)<br />
di mortalità per tutte le cause.<br />
Emerge come la mortalità per Neoplasia rispetto alle altre cause di morte sia a <strong>Taranto</strong><br />
sotto la media nazionale ma ben sopra il valore medio per l’area Sud (nel capoluogo la<br />
mortalità per neoplasia rappresenta il 25% della mortalità per tutte le cause).<br />
Nello specifico la mortalità per neoplasia polmonare vede <strong>Taranto</strong> al di sopra della media<br />
nazionale: nella città ionica, il 40% dei decessi per neoplasia è dovuto al tumore del<br />
polmone.<br />
Significativo nella stessa tabella risulta a <strong>Taranto</strong>, pur nella limitatezza dei casi,<br />
l’incremento della mortalità per neoplasia polmonare anche nelle donne : cioè laddove è<br />
certamente bassa la percentuale di donne impiegate direttamente in occupazioni a rischio,<br />
sembra assumere sempre maggiore importanza l’esposizione puramente ambientale ai<br />
fattori di rischio.<br />
227
Alla luce delle peculiari caratteristiche industriali della città, il Dipartimento di Prevenzione<br />
ha nel contempo rilevato le cause di morbilità, valutando l’incidenza delle malattie<br />
professionali asbesto correlate (asbestosi, mesoteliomi ) attraverso le denunce di Malattie<br />
Professionali dei Medici competenti e le Certificazioni INAIL relative trasmesse al Servizio<br />
di prevenzione negli Ambienti di Lavoro .<br />
Nel periodo considerato (1994 – 1997) sono state individuati 47 casi di mesoteliomi e 50<br />
casi di asbestosi.<br />
In tutti questi casi la correlazione tra malattia ed esposizione professionale è stata<br />
riconosciuta dall’INAIL e per ognuno di essi è stata definita la storia lavorativa ed in<br />
particolare la Ditta o le Ditte presso cui si era verificata l’esposizione all’amianto.<br />
La presenza di cluster di casi di asbestosi e mesoteliomi per lavoratori dipendenti ILVA,<br />
Arsenale, Fincantieri permette di ritenere certa in tali ambienti di lavoro la pregressa<br />
presenza di amianto con esposizione significativa dei lavoratori alle fibre d’amianto tale da<br />
produrre patologie con insorgenza di tipo stocastico (mesoteliomi) o di tipo dose-correlate<br />
(asbestosi). Le mansioni relative ed i reparti di appartenenza risultano variabili lasciando<br />
intravedere una trasversalità di impiego dell’amianto che coinvolgeva gran parte dei<br />
lavoratori e dei reparti.<br />
Nel corso del 1999, la rilevazione dei dati di mortalità è proseguita inserita nell’ambito delle<br />
attività dell’Osservatorio Epidemiologico Regionale, coordinate dall’Istituto di Igiene<br />
dell’Università di Bari. In particolare, l’utilizzo di un software specifico ha permesso<br />
finalmente la registrazione delle schede di morte di tutti i 29 Comuni della Provincia di<br />
<strong>Taranto</strong>. In tal modo sarà possibile nel breve periodo valutare l’esistenza o meno di<br />
differenze significative tra i dati di mortalità dell’area urbana-industrializzata del Capoluogo<br />
ed il resto della Provincia.<br />
L’analisi dei primi dati ottenuti, pubblicati nel III numero del Bollettino Epidemiologico<br />
(Dicembre 1999-Gennaio 2000), pur non disponendo di serie storiche per i singoli<br />
Comuni della Provincia, permette, comunque, di rilevare nella Città capoluogo un aumento<br />
della mortalità sia per le neoplasie in toto che per le neoplasie polmonari.<br />
228
CAPITOLO IV: CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE<br />
Il tema ambientale, oggi, è divenuto centrale nella vita della città, nel destino dei cittadini,<br />
nelle scelte politiche ed in quelle istituzionali. Il peso che oggi si dà alla tematica<br />
ambientale è significativo perché vi è una maggiore sensibilità che si traduce in petizioni,<br />
marce, cortei che denotano attenzione ai temi dell’ambiente che fino a 10-15 anni fa non<br />
esisteva. Conseguenza ovvia è la produzione in termini di orientamento delle scelte<br />
politiche, delle azioni e dei progetti da parte degli enti locali e delle pubbliche<br />
amministrazioni.<br />
Attualmente i progetti presentati dall’ILVA e dall’AGIP hanno l’obiettivo di migliorare<br />
l’approvvigionamento di energia, ridurre i costi di consumo e l’impatto ambientale.<br />
L’ENI ha posto l’obiettivo di aumentare la capacità della raffineria di <strong>Taranto</strong> che produce<br />
benzine, distillati, petrolio, gasolio e prodotti derivanti dal processo di raffinazione, da 6.5<br />
ad 11 milioni di tonnellate attraverso la costruzione di nuovi impianti, di due oleodotti che<br />
collegano la raffineria al centro logistico di Napoli e a quello petrolchimico di Brindisi e di<br />
una nuova centrale alimentata a gas metano e gas di raffineria, che sostituisce la vecchia<br />
ad olio combustibile.<br />
Nel caso dell’ILVA, la Regione sarebbe propensa a dare il via libera alla costruzione della<br />
nuova centrale a patto che ne dismetta una delle vecchie, senza avere aumenti ed<br />
esuberi, ma solamente la sostituzione con un impianto migliore ed ecologicamente più<br />
compatibile.<br />
Si tratta, quindi, di un terreno sensibile dovuto alla presenza di industrie che inquinano,<br />
dell’impatto in termini di malattie professionali legate all’apparato respiratorio con un tasso<br />
di mortalità elevato imposto dall’aria che respiriamo.<br />
Dai dati epidemiologici riscontrati è lecito desumere che nell’ultimo trentennio la mortalità<br />
nella popolazione residente a <strong>Taranto</strong> è in costante aumento anche a causa delle<br />
neoplasie in generale e di quelle del polmone in particolare.<br />
Su quale e quanto sia il contributo dell’inquinamento atmosferico urbano nella<br />
cancerogenesi polmonare e quale ruolo svolga l’esposizione a specifici inquinanti<br />
ambientali di produzione industrial, sono concentrati gli attuali sforzi organizzativi e di<br />
ricerca del Dipartimento di Prevenzione della ASL TA/1.<br />
L’approccio che bisognerebbe avere verso i temi ambientali è che da un lato è<br />
impensabile poter tornare indietro in termini di livello di benessere e qualità della vita,<br />
dall’altro è necessario capire i progetti attraverso il rigore dell’analisi scientifica e tecnica.<br />
229
Il potere istituzionale ha il dovere di approcciarsi con interesse a tutte le proposte che<br />
possono potenzialmente portare sviluppo nel territorio italiano, ma ancor più in quello<br />
tarantino. Pertanto, si dovrebbe ragionare sui fatti, esaminando intensamente i progetti,<br />
dotarsi delle competenze tecniche, scientifiche, ambientali e di un grande interesse verso<br />
l’ascolto, il dialogo, allo scopo di preservare l’impatto ambientale senza aggravarlo.<br />
Per esempio, è giusto ampliare le zone ricche di aree verdi, ma è anche giusto<br />
l’adeguamento del processo produttivo alle BAT (Better Avaiable Technology), cioè oltre a<br />
diminuire l’impatto delle polveri, si migliorano i meccanismi di produzione per ridurre le<br />
problematiche ambientali; effettuare la rimozione di amianto, la copertura dei nastri<br />
trasportatori provenienti dal porto e diretti verso i parchi minerari, quest’ultimi essere<br />
irrorati e ricoperti da sottili film, e procedere con la bonifica dell’apirolio.<br />
In definitiva, l’emissione di sostanze inquinanti nell’atmosfera può essere ridotta evitando<br />
di immettere nei processi di trasformazione materiali contenenti sostanze nocive,<br />
rimuovendo le sostanze inquinanti dopo che si sono formate, alterando i processi in modo<br />
da evitare che tali sostanze si formino o facendo in modo che vengano prodotte solo in<br />
misura limitata. Il livello degli inquinanti contenuti nei gas di scarico delle automobili può<br />
essere ridotto facendo in modo che i carburanti vengano bruciati completamente e<br />
dotando i veicoli di marmitte catalitiche capaci di trasformare i gas di scarico in miscele di<br />
sostanze meno inquinanti.<br />
230
REGIONE PUGLIA<br />
Assessorato Formazione Professionale<br />
ENTE SCUOLA EDILE TARANTO<br />
<strong>Corso</strong> di formazione<br />
“TECNICO DELL’AMBIENTE”<br />
SIONI ATOSFERICHE ED IMPIANTI A RISCHIO DEL POLO<br />
TARANTO<br />
Di:<br />
Picaro Giovanni<br />
Dragusano Liliana Desdemon<br />
Michele Notaristefano<br />
Alessandra Mirizzi<br />
PROBLEMATICHE ENERGETICHE<br />
INDICE<br />
231
IL PROBLEMA ENERGETICO<br />
L’energia in tutte le sue forme (fonti<br />
e utilizzi) è uno dei principali<br />
propulsori dello sviluppo economico<br />
moderno.<br />
Provate ad immaginare la nostra<br />
società, nella sua quotidianità,<br />
privata dell’uso dell’energia elettrica:<br />
cominciate con l’eliminare la luce<br />
elettrica, l’uso dei fornelli, il<br />
frigorifero, l’acqua calda, il riscaldamento, il phone, il computer, abolite l’automobile, i treni,<br />
gli aerei, le navi, chiudete tutti i centri commerciali, tutte le fabbriche e giù di lì.<br />
A questo punto provate a fare tutto ciò a cui siete abituati, dal risveglio alla fine della<br />
giornata, così come siete abituati a farlo: è impossibile!!!<br />
Posto dunque che dell’energia non si può assolutamente fare a meno, analizziamone i vari<br />
aspetti considerato che diverse sono le problematiche connesse al settore energetico,<br />
problematiche da cui deriva un’elevata attenzione a livello globale.<br />
Le materie prime che l’uomo utilizza maggiormente per produrre energia (carbone,<br />
petrolio e gas naturale) sono fortemente inquinanti, alterano l’equilibrio ecologico del<br />
pianeta e non sono rinnovabili, d’altro canto la domanda di energia a livello mondiale sta<br />
aumentando a causa della crescita demografica ed economica (soprattutto dei Paesi in<br />
via di sviluppo) e della qualità della vita (maggiormente nei Paesi industrializzati).<br />
Come affrontare queste problematiche Come invertire la rotta<br />
Prendiamo in considerazione, a livello generale, in primo luogo l’offerta di energia<br />
suddivisa per fonti e successivamente i consumi di energia nei vari settori ovvero la<br />
domanda di energia.<br />
ANALISI DELLE RISORSE ENERGETICHE.<br />
Le fonti non rinnovabili comprendono i combustibili fossili solidi, liquidi e gassosi originatisi<br />
per lenta trasformazione di materiali organici, in strati più o meno profondi della crosta<br />
terrestre, e i combustibili fissili, fonte primaria per la produzione di energia nucleare. Ai<br />
primi appartengono carbon fossile, petrolio, gas naturale, ai secondi, l'uranio e il torio.<br />
232
Petrolio e gas naturale non sono equamente ripartiti sulla superficie terrestre; il carbone<br />
invece è più abbondante e diffuso più uniformemente, tanto da poter continuare a<br />
soddisfare il bisogno energetico ancora per qualche secolo. Il problema del carbone è<br />
piuttosto di tipo ecologico: il suo utilizzo comporta il rilascio in atmosfera di grosse quantità<br />
di biossido di carbonio. A parità di peso, infatti, il carbon fossile emette una quantità<br />
maggiore di biossido di carbonio rispetto al petrolio e al gas naturale. Per ciascuno di<br />
questi tre combustibili, a seconda dei giacimenti, esistono tuttavia differenze significative di<br />
qualità: per quanto riguarda il gas naturale, ad esempio, quello estratto dal giacimento che<br />
si trova a Groninga, nei Paesi Bassi, contiene meno dell'1% di biossido di carbonio, quello<br />
del giacimento di Krahnberg, in Germania, ne contiene il 53%, quello di Catania, in Italia, il<br />
49%.<br />
I combustibili fossili, inoltre, non possiedono lo stesso valore energetico: 1 kg di petrolio<br />
produce per combustione 10.000 kilocalorie (kcal), mentre la stessa quantità di carbone<br />
fornisce 7000 kcal e con 1kg di gas naturale si ottengono circa 8000 kcal. È abitudine<br />
comune definire, come unità di misura di confronto fra le varie risorse di energia, la<br />
'tonnellata equivalente di petrolio' (tep): 1 ton di petrolio equivale a 1,5 ton di carbone o a<br />
1000 m3 di gas naturale. Una tep equivale alla produzione di circa 4500 kWh di energia<br />
elettrica. Attualmente, l'utilizzo dei combustibili fossili nel mondo è così ripartito: il 44% del<br />
totale è rappresentato da petrolio, il 31% dal carbone<br />
e il 25% da gas naturale.<br />
Per quanto riguarda il forte impatto ambientale<br />
causato dalla produzione di energia bisogna<br />
annoverare non soltanto le emissioni di gas ad effetto<br />
serra (quasi la totalità delle emissioni di CO2 prodotte<br />
dalle attività umane sono attribuibili al settore<br />
energetico – fonte: “Agenzia europea dell’Ambiente<br />
“2002), bensì anche le scorie prodotte dalle miniere e<br />
dalle centrali nucleari, l’inquinamento dell’acqua<br />
dovuto all’attività estrattiva, le fuoriuscite e scariche di<br />
petrolio e di combustibili liquidi nelle acque marine e nel suolo, l’impatto sull’ecosistema<br />
derivante dalla costruzione e dal funzionamento di dighe di grandi dimensioni.<br />
233
APPROFONDIAMO LO STUDIO SUL PETROLIO.<br />
Il petrolio è un liquido oleoso, più o meno denso, infiammabile, di colore variabile da<br />
giallastro a nero, costituito essenzialmente da una miscela di idrocarburi fossili (sostanze<br />
chimiche organiche, le cui molecole sono formate esclusivamente da atomi di carbonio e<br />
di idrogeno, variamente legati tra loro). Si trova in grandi quantità sotto la superficie<br />
terrestre.<br />
La gran parte dei derivati del petrolio viene utilizzata come carburante per motori a<br />
combustione interna e, in diverse forme, come combustibile per il riscaldamento<br />
domestico, per gli impianti industriali, per la produzione di energia elettrica. I derivati del<br />
petrolio costituiscono anche buona parte delle materie prime impiegate nell'industria delle<br />
materie plastiche e nell'industria chimica in generale, per la produzione di fertilizzanti,<br />
materiali da costruzione, fibre tessili, vernici e coloranti, sostanze e additivi alimentari.<br />
Raffinazione - Una volta estratto, il petrolio viene trattato con sostanze chimiche e calore,<br />
per eliminare l'acqua e le particelle solide in esso contenute, e per separare il gas naturale<br />
residuo; in seguito è immagazzinato in serbatoi di smistamento, da dove viene trasportato<br />
alle raffinerie mediante tubazioni continue (oleodotti), o con navi opportunamente<br />
attrezzate (navi cisterna, o petroliere), o con speciali autoveicoli (autocisterne) e carri<br />
ferroviari (carri cisterna).<br />
La distillazione rappresenta la prima fase della raffinazione del greggio. Il petrolio inizia a<br />
vaporizzare a una temperatura leggermente inferiore ai 100 °C: prima si separano gli<br />
idrocarburi a più basso peso molecolare, mentre per distillare quelli a molecole più grandi<br />
sono necessarie temperature via via crescenti. Il primo materiale che si estrae dal petrolio<br />
greggio è la frazione destinata a diventare benzina, seguita dal gasolio e dal cherosene.<br />
Nelle vecchie raffinerie, il rimanente veniva trattato con soda o potassa caustica e con<br />
acido solforico, e quindi distillato in corrente di vapore, ottenendo oli combustibili e oli<br />
lubrificanti dalla parte superiore della colonna di distillazione, e paraffina solida e asfalto<br />
da quella inferiore.<br />
Produzione e riserve - Alla fine degli anni Novanta nel mondo si producevano circa 9<br />
milioni di tonnellate di petrolio al giorno; l'Arabia Saudita, con il 13,4% del totale, è il<br />
maggiore produttore mondiale, seguita dalla Russia, dagli Stati Uniti, dall'Iran, dalla Cina,<br />
dal Messico, dal Venezuela, dalla Norvegia, dal Regno Unito e dagli Emirati Arabi Uniti. I<br />
principali consumatori di petrolio sono di gran lunga gli Stati Uniti, che consumano quasi il<br />
234
quadruplo del secondo paese in classifica, il Giappone; fanno seguito la Cina, la<br />
Germania, la Russia, la Corea del Sud, la Francia, l’Italia, il Messico e il Brasile. Undici<br />
paesi produttori di petrolio sono raggruppati nell’OPEC (Organization of Petroleum<br />
Exporting Countries).<br />
Le riserve mondiali di greggio, ovvero la quantità di petrolio che gli esperti sono certi di<br />
potere estrarre dal sottosuolo con tecniche redditizie, ammontano a circa 700 miliardi di<br />
barili, di cui 360 miliardi sono situati nel sottosuolo del Medio Oriente.<br />
Secondo le stime degli esperti il petrolio estratto sarà sufficiente a soddisfare i fabbisogni<br />
energetici dell’umanità fino al 2030-2040. Da non dimenticare il forte impatto ambientale<br />
(soprattutto emissioni di CO2 ) causato dalla raffinazione del petrolio e dall’uso dei suoi<br />
derivati usati come combustibili.<br />
Focalizziamo adesso la nostra attenzione sul Carbone:<br />
trattasi di un materiale solido costituito prevalentemente da carbonio, risultato di un lento<br />
processo di trasformazione di resti organici, perlopiù di origine vegetale. Tale processo<br />
consiste in una perdita progressiva di idrogeno e ossigeno all'interno del materiale<br />
originario, e di un conseguente aumento della percentuale di carbonio. Nel caso in cui il<br />
processo si protragga per intere ere geologiche, si parla di carbon fossile.La distillazione<br />
del carbon fossile produce il coke, un combustibile largamente impiegato nell'industria, in<br />
particolar modo nelle centrali termoelettriche a carbone.<br />
I diversi tipi di carbon fossile vengono classificati secondo la loro età, e quindi secondo il<br />
loro contenuto percentuale di carbonio. La torba, che rappresenta il primo stadio della<br />
carbonizzazione, ha un basso contenuto di carbonio e un alto grado di umidità. Il<br />
contenuto di carbonio è maggiore nella lignite, che costituisce lo stadio immediatamente<br />
precedente il carbon fossile vero e proprio, rappresentato dal litantrace, che contiene<br />
ancor più carbonio, e che quindi ha un potere calorifico relativamente alto, e dall'antracite,<br />
che ha il massimo contenuto di carbonio e il potere calorifico maggiore. Se sottoposto a<br />
pressione e calore ulteriori, il carbon fossile può trasformarsi in grafite, che è praticamente<br />
carbonio puro. Altri componenti del carbon fossile sono alcuni idrocarburi volatili, zolfo e<br />
azoto, oltre ai minerali che residuano dalla combustione sotto forma di cenere. Come<br />
sopra accennato la combustione del carbon fossile produce l’emissione di enormi quantità<br />
di diossido di carbonio, ma anche ossidi di zolfo e azoto che contribuiscono alla<br />
formazione di piogge acide, che sono il risultato di una complessa serie di reazioni che<br />
235
coinvolgono sostanze chimiche di varia provenienza, sia naturali sia prodotte da attività<br />
industriali o dai gas di scarico dei mezzi di trasporto con motore a combustione interna.<br />
Parliamo adesso di gas naturale: è una miscela di idrocarburi saturi gassosi che, come il<br />
petrolio, si forma nel sottosuolo per decomposizione di materia organica. La sua<br />
composizione varia notevolmente a seconda del sito di formazione, ma in genere presenta<br />
un’alta percentuale di metano (dal 70 al 95% circa) e percentuali minori di idrocarburi<br />
superiori (etano, butano, propano, pentano) e minime quantità di acqua, azoto, diossido di<br />
carbonio e idrogeno solforato. Prima di essere avviato al consumo viene ridotto a gas<br />
secco, che praticamente contiene solo metano ed etano, con un processo di estrazione<br />
dei gas liquefacibili, propano<br />
e butano, e della cosiddetta<br />
gasolina, una benzina<br />
leggerissima (composta da<br />
butano, pentano, esano,<br />
eptano e ottano), usata come<br />
solvente o in miscela con<br />
benzine pesanti.<br />
Oltre che come combustibile<br />
per uso domestico e<br />
industriale, il gas naturale è<br />
impiegato anche nell’industria<br />
chimica, come materia prima per la produzione di materie plastiche, farmaci e coloranti.<br />
Tra le fonti non rinnovabili ricordiamo anche l’uranio che si trova in numerose rocce, ma in<br />
quantità limitate. Il suo trattamento al fine di ottenere combustibile atto a sostenere i<br />
processi di fissione nucleare è estremamente costoso e potenzialmente pericoloso per<br />
l'ambiente e per l'uomo. Per questo motivo, dopo un breve entusiasmo dilagato intorno<br />
agli anni Settanta, l'energia nucleare non è vista come l'alternativa energetica del<br />
prossimo millennio alle risorse tradizionali.<br />
Il processo di stoccaggio e smaltimento delle scorie nucleari, prodotte ad esempio dalle<br />
centrali di produzione di energia elettrica (nella fotografia, quella francese a Saint-Mauricel'Exil),<br />
costituisce uno dei grandi problemi legati alla produzione di energia nucleare.<br />
Le centrali nucleari sono il primo sito dove le scorie radioattive vengono immagazzinate e<br />
conservate per circa un anno, nelle vasche del reattore (dotate di misure di sicurezza che<br />
236
impediscano l'innescarsi di una reazione a catena); la misura serve a ridurre l'attività<br />
radioattiva prima di manipolare e trasportare le scorie.<br />
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Passiamo adesso in rassegna le FONTI RINNOVABILI, disponibili in quantità non limitate<br />
e aventi un basso impatto ambientale. Le fonti di energia rinnovabile sono state le prime<br />
ad essere sfruttate dall’uomo. Esse sono:<br />
L’energia idraulica (sfruttata nelle centrali idroelettriche)<br />
L’energia solare (trasformabile in calore e in energia elettrica)<br />
L’energia eolica (fornita dal vento)<br />
L’energia geotermica (ovvero il calore della terra)<br />
Le biomasse, il biogas e i biocarburanti (biodiesel e bioetanolo)<br />
L’energia maremotrice (oceani, maree e moto ondoso)<br />
Le fonti di energia rinnovabile hanno, rispetto ai combustibili fossili, il grosso vantaggio di<br />
produrre solo in minima parte emissioni dannose all'uomo e all'ambiente: zolfo, particelle<br />
in sospensione, benzene e composti organici volatili, oltre ai gas (tra cui biossido di<br />
carbonio, metano e ossido di azoto) che contribuiscono all'effetto serra.<br />
Nel corso della conferenza mondiale sul clima del 1997, tenutasi a Kyoto, in Giappone, è<br />
stato firmato un accordo storico per la riduzione delle emissioni dei gas serra, che può<br />
significare un decisivo aumento dello sfruttamento delle fonti rinnovabili. Attualmente<br />
coprono ancora una percentuale troppo piccola del fabbisogno totale di energia primaria,<br />
pari al 20% circa.<br />
Esaminiamo le caratteristiche delle singole fonti di energia rinnovabile.<br />
237
ENERGIA<br />
IDRAULICA<br />
L’energia idraulica è una forma di energia ottenuta mediante la caduta d'acqua attraverso<br />
un dislivello; è una risorsa naturale, disponibile ovunque esista un considerevole flusso<br />
costante d'acqua. Attualmente lo sfruttamento dell'energia idraulica richiede costruzioni<br />
estese che includono bacini artificiali. La produzione di energia idroelettrica richiede un<br />
grande investimento di capitali, e non è pertanto economicamente conveniente in regioni<br />
che dispongono di carbon fossile o di petrolio a prezzo relativamente basso; tuttavia, non<br />
va sottovalutato che il costo del combustibile necessario per alimentare un impianto<br />
termoelettrico è maggiore del costo di funzionamento di un impianto idroelettrico. Inoltre, le<br />
crescenti preoccupazioni ambientali, che stanno focalizzando l'attenzione sulle fonti di<br />
energia rinnovabili, hanno recentemente fatto aumentare l'interesse per questo tipo di<br />
energia.<br />
È bene precisare, però, che la costruzione e il funzionamento di impianti idroelettrici non<br />
produce emissioni atmosferiche a differenza delle centrali termoelettriche alimentate a<br />
carbone e a gas naturale, ma ha comunque conseguenze sull’ecosistema in quanto può<br />
provocare un crollo drastico delle risorse ittiche.<br />
Vediamo come funziona un impianto idroelettrico.<br />
238
Attraverso condotte forzate, controllate da valvole che regolano la velocità del flusso<br />
secondo la domanda d'energia, l'acqua entra nelle turbine e ne esce passando attraverso<br />
il canale di scarico. I generatori sono montati direttamente sotto le turbine, su alberi<br />
verticali. Il tipo di turbina dipende dalla pressione dell'acqua, ovvero dall'entità del<br />
dislivello: per alti dislivelli si usano turbine Francis, per dislivelli relativamente bassi si<br />
preferiscono invece turbine Kaplan.<br />
L'energia idraulica rappresenta approssimativamente un quarto dell'energia totale prodotta<br />
nel mondo e negli ultimi anni sta considerevolmente aumentando d'importanza; in molti<br />
paesi, quali ad esempio Norvegia, Repubblica democratica del Congo e Brasile,<br />
rappresenta la fonte dominante di energia elettrica. L'impianto di Itaipú sul Rio Paraná, tra<br />
Brasile e Paraguay, ufficialmente inaugurato nel 1982, ha la più grande capacità del<br />
mondo (12.600 megawatt a pieno regime).<br />
In alcuni paesi sono stati costruiti impianti idroelettrici di piccole dimensioni, con capacità<br />
comprese tra un kilowatt e un megawatt. In molti distretti della Cina, ad esempio, piccole<br />
centrali di questo tipo costituiscono la fonte principale di energia.<br />
Energia solare<br />
L’energia solare è l’energia raggiante prodotta nel Sole per effetto di reazioni nucleari e<br />
trasmessa alla Terra sotto forma di radiazione elettromagnetica.<br />
L'energia solare, accumulata nell'atmosfera terrestre, negli oceani e negli organismi<br />
vegetali, è l'indispensabile condizione per il mantenimento dei processi vitali e dei<br />
fenomeni fisici che hanno luogo sulla Terra. Per citare solo alcuni esempi, è il motore del<br />
processo di fotosintesi che consente lo sviluppo della vita vegetale, del ciclo idrologico cui<br />
sono associate le precipitazioni e della circolazione dei venti. Per sottolineare il valore<br />
dell'energia solare come fonte di energia utilizzabile, basti pensare che senza di essa non<br />
si sarebbe verificata la formazione di biomasse, e quindi dei combustibili fossili come<br />
carbone, petrolio, gas naturale, né potrebbe crescere alcun tipo di legno, da sempre<br />
utilizzato come fonte di energia. Le biomasse possono inoltre essere utilizzate per la<br />
produzione di metano o di alcol, attraverso processi di fermentazione o distillazione.<br />
Per sfruttare la radiazione solare si ricorre a impianti a pannelli solari, o collettori solari.<br />
L'energia così ottenuta può essere usata sotto forma di calore per riscaldare un gas o un<br />
fluido, oppure può essere convertita direttamente in elettricità sfruttando l'effetto<br />
fotovoltaico e le proprietà fisiche di particolari materiali.<br />
239
Un pannello solare è composto essenzialmente da una superficie metallica che si riscalda<br />
per effetto della radiazione solare; il calore viene poi ceduto a un liquido termovettore che<br />
circola in una serpentina e successivamente trasferito al sistema utilizzatore, ad esempio<br />
l'acqua dell'impianto di riscaldamento domestico. In particolare i collettori a pannello sono<br />
in grado di riscaldare i fluidi di trasporto fino a circa 80 °C, con rendimento compreso tra il<br />
40 e l'80%. Questi dispositivi sono particolarmente adatti per il riscaldamento domestico: di<br />
solito i collettori vengono installati sui tetti e orientati opportunamente in relazione alla<br />
posizione geografica del luogo.<br />
Oltre ai pannelli, i sistemi di riscaldamento a energia solare devono comprendere pompe<br />
idrauliche, sensori di temperatura, controlli automatici e sistemi di immagazzinamento del<br />
calore. Il fluido di trasporto del calore può essere costituito da aria, acqua o altri liquidi;<br />
come serbatoio di calore si può impiegare una cisterna d'acqua ben isolata termicamente.<br />
Per particolari applicazioni industriali sono necessari collettori più complessi e costosi che,<br />
focalizzando i raggi solari incidenti in un'area ristretta, permettano di raggiungere<br />
temperature di diverse centinaia o addirittura migliaia di gradi Celsius. Per migliorarne<br />
l'efficienza, i concentratori sono comandati da dispositivi elettromeccanici per<br />
l'inseguimento del tragitto del Sole durante l'arco del giorno.<br />
La produzione centralizzata di energia elettrica da energia solare è attualmente in fase di<br />
sviluppo. Un progetto di centrale prevede che una schiera di riflettori mantenuti<br />
costantemente orientati verso il Sole focalizzi i raggi su una caldaia ad acqua, montata su<br />
una torre. Il vapore così generato può essere usato in un ciclo convenzionale di<br />
generazione elettrica.<br />
In Italia è stata recentemente allestita, a Priolo Gargallo (Siracusa), una centrale solare ad<br />
alta temperatura concepita e voluta dal premio Nobel e presidente dell’ENEA Carlo<br />
Rubbia. È costituita da un’ampia superficie di specchi parabolici capaci di inseguire il Sole<br />
nella sua parabola diurna e da un sistema “chimico” di immagazzinamento del calore<br />
raccolto, rappresentato da una miscela di sali. L’energia solare catturata dagli specchi<br />
viene accumulata nella miscela e utilizzata per produrre il vapore ad alta temperatura (550<br />
°C) che alimenta le turbine. La tecnologia, denomin ata “Archimede”, potrebbe in futuro<br />
costituire un filone interessante nel campo delle fonti rinnovabili.<br />
240
I pannelli fotovoltaici sono costituiti da celle solari, realizzate con sottili lamelle di silicio<br />
cristallino, arseniuro di gallio o altri materiali semiconduttori che convertono la radiazione<br />
solare direttamente in elettricità con rendimento superiore al 30%. Oggi sono allo studio<br />
celle solari flessibili, che potranno essere adattate a edifici di qualsiasi forma. I nuovi<br />
pannelli, infatti, non presenteranno più il tradizionale strato rigido di silicio, ma uno strato di<br />
silicio in forma di minuscole sferette (del diametro di 1 mm ciascuna) contenute da due<br />
fogli sottili di alluminio sigillati con plastica; il dettaglio interessante è che tali sferette sono<br />
realizzate a partire dai materiali di scarto dell’industria della microelettronica.<br />
La natura intermittente della radiazione solare nell'arco del giorno e dell'anno rende<br />
indispensabile l'uso di dispositivi di accumulazione dell'energia prodotta in esubero<br />
durante le ore o i periodi favorevoli, in modo che essa possa essere resa disponibile, ad<br />
esempio, durante la notte. Oltre alla semplice acqua, si possono impiegare apparecchi più<br />
compatti che si basano sulle proprietà di cambiamento di fase di particolari miscele saline.<br />
Anche le batterie possono essere usate per serbare l'energia elettrica in eccesso prodotta<br />
dal vento o da dispositivi fotovoltaici .<br />
ENERGIA EOLICA<br />
L'energia eolica è il prodotto della conversione<br />
dell'energia cinetica del vento in elettrica. Prima tra<br />
tutte le energie rinnovabili per il rapporto<br />
costo/produzione è stata anche la prima fonte<br />
energetica rinnovabile usata dall'uomo.<br />
241
La macchina oggi utilizzata per la produzione di energia eolica è detta aerogeneratore.<br />
Gli aerogeneratori eolici che sempre più spesso vediamo nelle nostre campagne o<br />
montagne sono composti da diversi componenti.<br />
Incominciamo col dire che la loro altezza oscilla tra i 40-60 metri per catturare meglio<br />
l'energia del vento senza ostacoli. E' un aspetto importante in quanto l'altezza li rende<br />
particolarmente visibili e impattanti sul paesaggio circostante. La torre è assicurata al<br />
terreno da fondamenta in cemento armato che la proteggono dalle oscillazioni e dalle<br />
vibrazioni.<br />
Le pale del rotore sono generalmente fabbricate in fibra di vetro e possono ruotare ad una<br />
velocità anche di 200 km/h spinte solo dal vento. Gli aerogeneratori di nuova generazione<br />
montano uno standard di 3 pale ma non sono esclusi prodotti meno costosi a 1-2 pale ma<br />
anche meno efficaci. Il moto del rotore viene trasformato in energia elettrica dal generatore<br />
mediante lo stesso principio delle dinamo montate sulle biciclette. La potenza dell'energia<br />
elettrica è misurata in kilowatt (kW)<br />
La velocità delle pale è controllata da un "sistema di controllo" che svolge principalmente<br />
due funzioni:<br />
moltiplica i giri per rendere il movimento delle pale almeno sufficiente per generare energia<br />
elettrica ("moltiplicatore di giri");<br />
frena o blocca i giri delle pale in caso di sovraccarico e quando la forza del vento supera<br />
un determinato fattore critico ("sistema frenante");<br />
242
Per assicurare il massimo rendimento la navicella può rotare il rotore di 180° adeguandolo<br />
alla direzione del vento.<br />
Gli aerogeneratori eolici possono avere diverse potenze, mediamente da 500 kW (0,5<br />
MW) fino a 3 MW. Sono potenze enormemente più grandi rispetto al passato, venti anni fa<br />
la potenza di un aerogeneratore raggiungeva al massimo i 25 kW.<br />
In poche parole oggi un solo aerogeneratore da 1,5 MW equivale a ben 60 aerogeneratori<br />
da 25 kW degli anni '80. Un vantaggio enorme che premia la continua ricerca tecnologica<br />
nel settore.<br />
Il semplice rapporto aritmetico ci torna utile al solo scopo di rendere evidente il progresso<br />
della ricerca. In realtà il miglioramento nella potenza eolica è maggiore alla sua semplice<br />
somma. I nuovi aerogeneratori sono molto più grandi di quelli degli anni '80 e consentono<br />
pertanto un vantaggio nell'economia di scala della produzione d'energia elettrica che li<br />
rende equiparabili anche a 100 vecchi aerogeneratori.<br />
La produzione di energia elettrica dipende dalla velocità del vento. Al variare della velocità<br />
del vento, misurata in m/s, l'aerogeneratore produrrà una diversa potenza di energia<br />
elettrica. Il legame tra la velocità del vento e la potenza elettrica erogata si rappresenta<br />
mediante il grafico della curva di potenza.<br />
Esistono due soglie, una minima e una massima, affinché l'aerogeneratore eolico produca<br />
energia elettrica:<br />
Al di sotto di una determinata velocità minima del vento, detta cut in, l'aerogeneratore non<br />
eroga energia elettrica e il rotore resta fermo. Questa soglia minima è generalmente posta<br />
ad una velocità del vento di 3 metri al secondo. Ad ogni modo la soglia minima di cut in<br />
dipende dalle caratteristiche dell'aerogeneratore, dalle sue dimensioni e dalla tecnologia<br />
utilizzata.<br />
Esiste anche una soglia massima, detta cut out, oltre il quale il rotore dell'aerogeneratore<br />
smette di girare per evitare danni alla turbina. La potenza del vento superiore a 25 metri al<br />
secondo è tipicamente un buon confine di cut out. Oltre queste velocità l'aerogeneratore<br />
non produce energia elettrica.<br />
Quanto produce un aerogeneratore eolico Dal Rapporto Energia Alternative di<br />
Legambiente 2004 riportiamo il seguente esempio: un aerogeneratore di 1300 kW eroga la<br />
243
piena potenza elettrica (1300 kW) per velocità del vento comprese tra 12 e 24 metri al<br />
secondo. Per calcolare la produzione teorica di energia elettrica dell'aerogeneratore andrà<br />
rilevata la velocità media del vento della zona in cui sarà costruito l'aerogeneratore. Per<br />
velocità medie del vento di 4,5 metri al secondo l'aerogeneratore produrrà circa 1,2 GWh.<br />
Per velocità di 9 metri al secondo l'aerogeneratore produrrà più del doppio, circa 5,3 GWh.<br />
IMPIANTI EOLICI<br />
Il numero degli aerogeneratori è in funzione diretta con le esigenze dell'utenza. Gli impianti<br />
si distinguono in:<br />
impianti isolati<br />
pochi aerogeneratori<br />
impianti in cluster ("Wind Farm")<br />
aerogeneratori collegati ad una rete locale<br />
impianti combinati ed integrati<br />
Il rapporto tra energia prodotta e superficie di territorio occupato è molto basso per<br />
l'energia eolica (cd bassa densità energetica). Spesso si ricorre alle "wind farm" per<br />
compensare questo aspetto, ovvero si aumenta il numero degli aerogeneratori installati.<br />
Ma col crescere del numero degli aerogeneratori l'impatto sul paesaggio muta<br />
radicalmente. Da un quadro quasi poetico di 2-3 aerogeneratori si passa inevitabilmente<br />
ad uno scenario completamente diverso e negativo. Il ricorso alle wind farm (o parchi<br />
eolici) deve quindi essere attentamente valutato in base alla reale "risorsa eolica<br />
sfruttabile" del posto.<br />
Gli aerogeneratori sono raggruppati mediante tecniche di clustering ben definite e tuttora<br />
in continuo aggiornamento. Inizialmente gli aerogeneratori eolici furono disposti in senso<br />
romboidale (USA) per poi sperimentare anche diverse soluzioni:<br />
su un'unica fila (pochi aerogeneratori)<br />
su file parallele<br />
su file incrociate tra loro<br />
su combinazioni delle precedenti disposizioni<br />
su disposizione apparentemente casuale (laddove la morfologia del terreno è<br />
particolarmente complessa)<br />
La diffusione dell'energia eolica consentirà il perfezionamento delle tecniche di<br />
disposizione degli aerogeneratori per renderli sempre più ottimali ed efficaci al contesto<br />
244
morfologico del territorio. Sarà comunque importante far sì che nella disposizione si tenga<br />
in conto anche dell'impatto sul paesaggio. Soprattutto nei casi delle grandi wind farm.<br />
Dal punto di vista delle dimensioni, ormai sul mercato l’offerta di aerogeneratori è molto<br />
varia: si va da piccole potenze per utenze isolate (5-100 Kw con un diametro del rotore<br />
che va da 3 a 20 metri) a grandi macchine con potenze associate fino a 5 Mw e un<br />
diametro del rotore di 124 metri. L’evoluzione tecnologica ha permesso di aumentare le<br />
potenze associate contenendo comunque le dimensioni. La possibilità di sfruttare l’energia<br />
eolica è vincolata dalle caratteristiche del sito in cui si intende installare l’aerogeneratore.<br />
È ovvio che la valutazione della ventosità media è il parametro fondamentale da<br />
considerare, ma l’esistenza di strade adeguate e la vicinanza a linee elettriche devono<br />
essere tenute presenti poiché hanno implicazioni dirette con la redditività dell’impianto.<br />
Nel mondo le potenze installate nei vari continenti cominciano ad avere valori significativi:<br />
in Europa a fine 2000 erano installati circa 13000 Mw; in America 2800 Mw; in Asia 1500<br />
Mw e nel resto del mondo circa 150 Mw. Gli impianti eolici producono energia pulita<br />
eppure bisogna ricordare che causano la morte di migliaia di uccelli. Pensiamo alle 4000<br />
turbine eoliche installate nel passo di San Gorgonio in California (USA) che producono<br />
abbastanza elettricità da alimentare un’intera città di un milione di abitanti. Ogni anno,<br />
però, i generatori eolici statunitensi uccidono tra i 10.000 e i 40.000 pennuti. Ma il bilancio<br />
non è così negativo rispetto alle vetrate degli edifici che ogni anno negli USA fanno strage<br />
di almeno 98 milioni di uccelli.<br />
Il tempo di installazione di un impianto è molto breve: fatti i rilievi sul campo per misurare<br />
la velocità del vento e la potenza elettrica producibile, si tratta di trasportare le pale eoliche<br />
e fermarle nel terreno. Il tempo di progettazione e installazione di altre centrali<br />
(idroelettriche, termoelettriche…) è superiore ai 4 anni.<br />
245
ENERGIA GEOTERMICA<br />
Forma di energia termica estraibile da serbatoi sotterranei di<br />
acqua calda di origine naturale, considerata una delle fonti<br />
disponibili di energia alternativa o integrativa. La presenza di<br />
acqua calda nel sottosuolo si deve alla combinazione di due<br />
effetti: il naturale aumento di temperatura (gradiente geotermico)<br />
che si rileva all’aumentare della profondità, pari a circa 3 °C ogni<br />
100 m, e l’eventuale presenza, nelle zone predisposte, di calore di<br />
origine vulcanica, che può portare il gradiente a 10 °C ogni 100 m.<br />
In queste zone, la temperatura delle acque sotterranee raggiunge livelli che permettono lo<br />
sfruttamento dell’energia geotermica per la produzione di energia elettrica.<br />
All’inizio degli anni Settanta, la possibilità di generare energia elettrica sfruttando il calore<br />
interno della Terra sembrava uno dei metodi più promettenti fra le cosiddette fonti<br />
energetiche alternative. In Italia esistevano impianti fin dall’inizio del secolo: con gli<br />
impianti di Larderello, in Toscana, nel 1904 l’Italia era stata il primo paese ad avviare un<br />
programma di sfruttamento dell’energia geotermica. Relativamente a tale fonte rinnovabile<br />
fa scuola la produzione energetica dell’Islanda che per oltre il 72% proviene da centrali<br />
elettriche geotermiche. L’isola è situata in corrispondenza di una faglia, o spaccatura della<br />
crosta terrestre, che consente al calore sotterraneo di fuoriuscire sotto forma di vapore. Gli<br />
impianti geotermici convertono in elettricità il vapore che sgorga dalle numerose sorgenti<br />
calde del Paese, utilizzandolo anche per scaldare l’acqua, che è poi distribuita a case e<br />
industrie. L’Islanda dispone di 14 impianti geotermici ad alta temperatura, il più grande dei<br />
quali, a sud, nell’area del ghiacciaio di Turfa, ha un potenziale di energia geotermica<br />
erogata da 1,5 miliardi di watt. si realizzi un serbatoio ideale di energia geotermica, nel<br />
sottosuolo debbono verificarsi alcune particolari condizioni: anzitutto la presenza, a<br />
profondità non eccessiva, di un’adeguata sorgente di calore, come ad esempio una<br />
camera magmatica in via di raffreddamento. La seconda condizione è data dalla presenza<br />
di acqua all’interno di formazioni rocciose permeabili a diretto contatto con la fonte di<br />
calore: l’acqua è infatti l’indispensabile mezzo intermediario necessario per convogliare il<br />
calore in superficie. Terza condizione è la presenza di un 'coperchio' di rocce impermeabili<br />
che sigilli il sistema, in modo da impedire la dispersione del calore, favorendone<br />
l’accumulo all’interno del giacimento stesso. Attingendo alle acque del giacimento<br />
geotermico per mezzo di pozzi, si ha un’erogazione violenta in superficie di vapore<br />
246
surriscaldato che può essere impiegato direttamente per azionare turbine di generatori<br />
elettrici. Sono questi i cosiddetti sistemi geotermici ad alta temperatura (detti anche ad<br />
alta entalpia): le temperature che in essi si possono raggiungere sono assai elevate.<br />
Esistono anche sistemi geotermici a media o bassa temperatura (inferiore a 160°C).<br />
Questi non possono essere sfruttati direttamente per la produzione di energia elettrica;<br />
tuttavia il fluido geotermico naturale serve a far evaporare un fluido secondario a basso<br />
punto di ebollizione che a sua volta aziona i generatori. In questi casi, però, i rendimenti<br />
finora raggiunti sono stati piuttosto bassi. Le acque calde sotterranee possono comunque<br />
essere sfruttate per una serie di altri usi diversi dalla produzione di elettricità. Il più ovvio di<br />
essi è la distribuzione diretta per il riscaldamento di alloggi o di serre di coltivazione. In<br />
Francia, nella regione di Parigi, si sono ottenuti i migliori risultati di questo tipo, con una<br />
rete di riscaldamento per oltre 20.000 alloggi.<br />
LE BIOMASSE, IL BIOGAS E I BIOCARBURANTI (BIODIESEL E BIOETANOLO)<br />
In campo energetico, per biomassa si intende qualunque materiale organico di origine<br />
vegetale che possa essere utilizzato come combustibile in caldaie termiche o trasformato<br />
in altre sostanze attraverso reazioni diverse: in primo luogo legname, ma anche scarti<br />
agricoli, oggi perlopiù destinati alle discariche. In essa si trova immagazzinata l’energia<br />
solare, trasformata in composti organici altamente energetici dalla fotosintesi. Le biomasse<br />
costituiscono una fonte alternativa rinnovabile destinata a essere sfruttata in misura<br />
crescente, tanto da arrivare a garantire, secondo le stime attuali, circa il 40% del<br />
fabbisogno energetico mondiale intorno al 2050.<br />
Attualmente esistono centrali termoelettriche alimentate dalla combustione diretta di rifiuti<br />
o di metano ottenuto dalla decomposizione di rifiuti. Altre centrali utilizzano come<br />
combustibile sia il materiale di scarto proveniente da procedimenti agricoli, sia legna<br />
ottenuta dal taglio di piantagioni appositamente coltivate..<br />
Per Biogas si intende quel gas che si ottiene da residui vegetali o animali non fossili<br />
sottoposti a processi di fermentazione operati da specifici batteri. La composizione del<br />
biogas rivela una buona quota di metano (CH4), pari a circa il 50%, e di anidride carbonica<br />
(CO2), pari a circa il 45%; la quota rimanente (5%) è costituita da vapore acqueo (H2O) e<br />
da tracce di acido solfidrico (H2S).<br />
In natura la liberazione di biogas si verifica spontaneamente dove si formano accumuli di<br />
materia organica, ma vi è scarsità o completa assenza di ossigeno: è tipicamente il caso di<br />
247
paludi e lagune, sui cui fondali si stratificano i resti di vegetali e animali morti e si avviano<br />
processi di decomposizione. Il biogas si libera anche da cumuli di letame e materiali<br />
vegetali ricoperti da teli di materie plastiche per creare un ambiente il più possibile<br />
anaerobio (pratica seguita in alcune aziende agricole), e all’interno di discariche<br />
controllate, usando in tal caso, come substrato della fermentazione, rifiuti organici (come<br />
scarti di cucina, residui delle potature di giardini e così via).<br />
Si può produrre biogas introducendo i materiali organici in appositi impianti detti<br />
“digestori”, contenenti i batteri e un substrato nutritivo a base di carboidrati, proteine e<br />
lipidi. Dato che il processo richiede una temperatura costante (50-75 °C), parte del biogas<br />
liberato è utilizzata per mantenerne il valore all’interno del digestore.<br />
Il biogas può essere usato come biocombustibile per la produzione di energia elettrica<br />
oppure meccanica (si parla di “energia dalla biomassa”). Nel primo caso, il biogas deve<br />
essere raffinato e depurato fino alla completa eliminazione di residui; il prodotto che si<br />
ottiene è costituito da solo metano, e può finalmente essere impiegato come carburante<br />
per autotrazione. Nel secondo caso, invece, il biogas può essere utilizzato previo un<br />
processo di depurazione meno accurato.<br />
L’energia dalla biomassa che si ottiene dal biogas, che ha un potere calorifico pari a circa<br />
metà di quello del gas naturale, può essere considerata di tipo rinnovabile, poiché le fonti<br />
da cui proviene sono virtualmente illimitate.<br />
La ricerca più avveniristica nel settore delle biomasse si dirige verso la coltivazione su<br />
vasta scala di piante contenenti latice ad alta percentuale di idrocarburi (euforbiacee) e<br />
verso la comprensione del meccanismo che regola l’efficienza del processo di fotosintesi<br />
clorofilliana. Tale processo si verifica nelle piante con un’efficienza molto limitata (inferiore<br />
all’1%), mentre teoricamente potrebbe raggiungere e superare il 25%. Capire se esiste un<br />
modo per condizionare questo processo, aumentando il rendimento della conversione<br />
della radiazione solare in biomassa, potrebbe essere una delle soluzioni del futuro per<br />
risolvere il problema energetico.<br />
Il bioetanolo è un alcol ottenuto tramite processo fermentazione dei prodotti agricoli ricchi<br />
di carboidrati e zuccheri quali i cereali (mais, sorgo, frumento, orzo), le colture zuccherine<br />
(canna da zucchero, bietola), frutta, vinacce e patate. Può essere utilizzato come<br />
biocarburante al posto della benzina. Entro il 30% il bioetanolo viene miscelato con la<br />
benzina tradizionale senza particolari accorgimenti tecnici al motore. In Brasile è utilizzato<br />
come sostituto della benzina dal 30-40% del parco circolante.<br />
248
Il bioetanolo può anche essere estratto dalle biomasse di tipo cellulosico e dai<br />
sottoprodotti delle coltivazioni ma al prezzo di un costo di produzione maggiore. Le<br />
principali materie prime finora utilizzate per la sua produzione restano pertanto i cereali, la<br />
canna da zucchero e le barbabietole. Ogni 100 kg di cereali fermentati si ottengono circa<br />
30 kg di etanolo.<br />
Come tutti i biocarburanti anche il bioetanolo consente la sostituzione dei carburanti<br />
tradizionali (benzina) e riduce la dipendenza dall'import di petrolio. In ogni caso non ci<br />
sono soltanto aspetti positivi. Per uno sviluppo di massa i biocarburanti come l'etanolo<br />
sono necessarie agevolazioni fiscali per consentire il decollo del mercato e una pari<br />
competitività iniziale rispetto alle benzine. Una diffusione su scala del bioetanolo comporta<br />
però la riduzione delle entrate fiscali provenienti dalle accise sui carburanti tradizionali su<br />
cui molti governi fanno affidamento per coprire spese pubbliche di ogni tipo. Altri effetti da<br />
tenere in conto riguardano l'impatto sull'agricoltura nazionale. Come ben sappiamo ogni<br />
paese ha un sistema agricolo peculiare e diverso dagli altri.<br />
La scelta tra i biocarburanti e la benzina non è quindi di natura tecnologica o ecologista<br />
bensì di natura prettamente politica.<br />
COMBUSTIBILE DERIVATO DAI RIFIUTI (CDR)<br />
Il Combustibile derivato dai rifiuti o CDR è un materiale eterogeneo che si ottiene dopo un<br />
processo di selezione dei rifiuti solidi urbani, e composto prevalentemente da materie<br />
plastiche (circa 17% del peso totale), cartone e carta (circa 67%), residui di tessuti (circa<br />
10%), gomma, residui di legno e pellame (circa 5%), scarti metallici e vetrosi (circa 1%).<br />
Il materiale viene compattato e avvolto in pellicole speciali di materiale plastico; si<br />
ottengono in tal modo i cosiddetti “ecopallets” (dalla forma di grossi cilindri) che vengono<br />
convogliati verso impianti di incenerimento con sistemi di recupero energetico, per essere<br />
usati come combustibile.<br />
Il potere calorifico del combustibile derivato dai rifiuti è paragonabile a quello fornito dal<br />
legname, ossia circa 4.000 kcal per chilogrammo di CDR. Il valore deriva soprattutto da<br />
carta e cartone, che hanno buone proprietà combustibili.<br />
249
ENERGIA MAREMOTRICE (OCEANI, MAREE E MOTO ONDOSO)<br />
Anche le acque degli oceani costituiscono un’enorme riserva di energia. Il sistema di<br />
sfruttamento di questa forma di energia si basa sulla differenza di temperatura fra le calde<br />
acque superficiali, esposte all’irraggiamento solare, e quelle fredde del fondo. L’acqua<br />
calda è utilizzata per trasformare un fluido in vapore, il quale a sua volta aziona una<br />
turbina per produrre elettricità. Il vapore viene successivamente fatto passare in un<br />
condensatore, alimentato con l’acqua fredda degli strati marini più profondi. Questo<br />
sistema di produzione di elettricità viene definito OTEC (Ocean Thermal Energy<br />
Conversion). Esistono due diversi metodi OTEC: uno è detto a ciclo chiuso, perché utilizza<br />
come fluido intermedio un liquido a basso punto di ebollizione, freon o ammoniaca, che<br />
viene riutilizzato continuamente; l’altro è detto a ciclo aperto, perché l’acqua stessa viene<br />
utilizzata per produrre vapore e, dopo ciascun ciclo, viene ricondotta allo stato liquido e<br />
scaricata in mare.<br />
Se si costruisse una rete di centrali OTEC capace di convertire in energia elettrica anche<br />
solo lo 0,1% dell’energia termica immagazzinata nei mari, si riuscirebbero a produrre 14<br />
milioni di megawatt, pari a circa 20 volte la potenza elettrica attualmente generata negli<br />
Stati Uniti.<br />
Fino a oggi, gli impianti OTEC realizzati sono stati del tipo a ciclo chiuso, e tutti a scopo<br />
sperimentale. Ciò malgrado, gli impianti a ciclo aperto sembrano più vantaggiosi, sia<br />
perché le acque fredde di scarico possono venire riutilizzate per diversi scopi (colture<br />
marine su vasta scala, o refrigerazione e condizionamento degli edifici), sia perché non<br />
comportano alcun rischio di inquinamento, impiegando solo acqua nel ciclo di lavoro.<br />
Le maggiori difficoltà connesse alla realizzazione di un sistema OTEC riguardano la<br />
costruzione delle grosse condotte necessarie per il trasporto dell’acqua fredda, che<br />
dovrebbero avere un diametro di circa due metri e una lunghezza intorno ai due chilometri.<br />
Agli inizi degli anni Ottanta, il National Energy Laboratory dello Stato delle Hawaii, negli<br />
Stati Uniti, considerato il centro più importante per questo tipo di sperimentazione, ha<br />
posato un tubo della lunghezza di 1,5 chilometri, benché di soli 30 cm di diametro.<br />
Attualmente il centro è impegnato nella realizzazione di una tubatura della medesima<br />
lunghezza, ma con un diametro tre volte superiore, e nella ricerca dei materiali più adatti a<br />
costruire questo tipo di condotte, confrontando vetroresine, cemento armato, elastomeri,<br />
acciaio e materiali compositi.<br />
250
Oltre che per le enormi quantità di calore immagazzinate, gli oceani sono potenziali fonti di<br />
energia rinnovabile anche per l’energia sviluppata dal flusso delle maree. Esistono oggi<br />
diversi impianti nel mondo che sfruttano le maree per azionare le turbine di centrali<br />
elettriche. La maggior parte di essi è stata installata in vicinanza delle coste, dove la<br />
differenza tra alta e bassa marea può raggiungere i 10 m. Uno dei più grandi impianti di<br />
questo tipo si trova in Francia, alla foce del fiume Rance; la centrale produce 600 milioni di<br />
kWh all’anno, vale a dire il fabbisogno annuo di energia di una città di circa 300.000<br />
abitanti. Recentemente, inoltre, è stata inaugurata la prima centrale in mare aperto, al<br />
largo delle coste del Devon (Inghilterra): è costituita da un’unica turbina con pale da 11 m<br />
che, con una velocità di rotazione di circa 20 giri al minuto, producono 300 kWh.<br />
L’IDROGENO<br />
L'idrogeno è l'elemento più leggero e abbondante dell'universo. È tuttavia assai raro sulla<br />
Terra allo stato elementare, a causa della sua estrema volatilità. Per poterne disporre in<br />
quantità industrialmente utili occorre pertanto estrarlo dai composti che lo contengono in<br />
abbondanza (ad esempio dall’acqua, dai combustibili fossili, da sostanze minerali e da<br />
organismi vegetali) utilizzando una fonte di energia esterna. Per questo motivo l’idrogeno,<br />
al pari dell’elettricità, deve essere considerato un vettore energetico, piuttosto che una<br />
fonte energetica primaria. L'interesse per il suo impiego come combustibile, tanto per<br />
applicazioni industriali quanto per l’autotrazione, deriva dal fatto che l'inquinamento<br />
prodotto dall’idrogeno è quasi nullo. Se usato in sistemi a combustione produce, infatti,<br />
soltanto vapore acqueo e tracce di ossidi di azoto; mentre produce solo vapore acqueo, se<br />
viene utilizzato con sistemi elettrochimici (celle a combustibile).<br />
Le tecnologie di produzione dell'idrogeno a partire dai combustibili fossili (in particolare dal<br />
carbone) sono mature e ampiamente utilizzate, anche se vanno ottimizzate da un punto di<br />
vista economico, energetico e di impatto ambientale. Dei circa 500 miliardi di m3 di<br />
idrogeno prodotti annualmente a livello mondiale, circa 190 miliardi rappresentano un<br />
sottoprodotto dell'industria chimica, mentre la maggior frazione deriva da combustibili<br />
fossili (gas naturale, idrocarburi pesanti e carbone) attraverso processi di reforming, di<br />
ossidazione parziale, di pirolisi e di gassificazione.<br />
La produzione dell’idrogeno dai combustibili fossili ha tuttavia l'inconveniente di dar luogo<br />
alla emissione, come prodotto di scarto, di grandi quantità di CO2, gas notoriamente ad<br />
effetto serra. Tuttavia proprio la produzione dell’idrogeno dal carbone e l’idrogeno<br />
251
generato come sottoprodotto nell’industria chimica appaiono oggi le uniche strade<br />
praticabili per avviare una filiera produttiva di dimensioni tali da raggiungere le necessarie<br />
economie di scala.<br />
L'estrazione diretta di idrogeno dall'acqua ha, al momento, un unico processo industriale<br />
consolidato: l'elettrolisi. In questo caso si dà luogo a un processo di produzione e<br />
consumo ambientalmente sostenibile, ma è necessaria una corrispondente quantità di<br />
energia elettrica pulita in grado di alimentare il processo di elettrolisi. Il problema è<br />
pertanto quello dei costi: con l'elettrolisi dell'acqua, infatti, si può ottenere idrogeno<br />
praticamente puro, ma a un prezzo che può diventare economicamente accettabile in una<br />
prospettiva ancora lontana, allorquando le innovazioni tecnologiche potranno consentire di<br />
utilizzare per il processo energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili (o da nucleare) a<br />
costi molto bassi.<br />
Altri aspetti da valutare con attenzione sono inoltre quelli legati alla difficoltà di trasporto e<br />
stoccaggio , sia per la bassa densità energetica, sia perché l’idrogeno è esplosivo,<br />
infiammabile ed estremamente volatile.<br />
Lo sviluppo dell'idrogeno come vettore energetico è pertanto una opzione di estremo<br />
interesse per contribuire a risolvere i problemi energetici del pianeta, ma richiede<br />
miglioramenti sostanziali nelle tecnologie esistenti e la ricerca di tecnologie innovative per<br />
renderne l'impiego economico e affidabile nelle varie fasi della catena tecnologica<br />
(produzione, trasporto, stoccaggio, utilizzo finale). Si tratta di una sfida non semplice, che<br />
si sta oggi affrontando con numerose tecnologie allo studio.<br />
EFFICIENZA ENERGETICA<br />
Tutte le risorse di energia fin qui esaminate (idrogeno escluso) sono fonti di energia<br />
primaria, che, nella maggior parte dei casi, viene poi convertita in energia secondaria: da<br />
queste fonti infatti si ricava elettricità, benzina per automobili, carburante per aeroplani,<br />
cherosene e gasolio per illuminazione e per riscaldamento, carbone di legna ecc. La<br />
conversione richiede impianti e tecnologie complessi: raffinerie di petrolio, centrali<br />
termoelettriche alimentate a carbone o a gas, centrali nucleari, celle fotovoltaiche ecc. A<br />
questa fase segue la distribuzione della forma finale (dell'elettricità attraverso la rete di<br />
distribuzione, della benzina in autocisterne) e l'applicazione dell'energia a un apparecchio<br />
utilizzatore (una cucina a gas, una lampadina, un forno, un'automobile, un aeroplano) per<br />
fornire il servizio energetico richiesto (riscaldare, illuminare, muoversi ecc.). La<br />
252
trasformazione finale dell'energia da parte dell'apparecchio utilizzatore viene chiamata<br />
conversione in energia utile. Ciascuna fase di questo lungo percorso ha un'efficienza<br />
limitata, spesso piuttosto bassa, e provoca la perdita di una parte di energia, tanto<br />
preziosa e difficile da ottenere; aumentare l'efficienza della conversione e dell'uso<br />
dell'energia, e il livello di rendimento di apparecchi elettrici ed elettronici, equivarrebbe a<br />
'scoprire' una nuova risorsa di energia. Secondo varie stime, l'efficienza di utilizzo<br />
dell'energia primaria sarebbe ben al di sotto del 10% e, pertanto, i potenziali miglioramenti<br />
futuri potrebbero avere un impatto significativo sulla domanda mondiale di energia. In<br />
questa direzione si stanno impegnando numerosi gruppi di scienziati francesi e<br />
statunitensi, e i maggiori produttori di apparecchi elettronici per l'informatica e di<br />
elettrodomestici.<br />
RISERVE ENERGETICHE<br />
La stima delle scorte energetiche richiede conoscenze geologiche e tecnologiche, nonché<br />
la capacità di compiere previsioni economiche. La crescente incertezza sull'abbondanza<br />
delle fonti e l'incremento dei costi sono i due parametri fondamentali che determineranno,<br />
nei decenni futuri, la capacità delle nazioni di approvvigionarsi di energia. Le risorse<br />
identificate come recuperabili, tecnicamente ed economicamente, con tecnologie attuali e<br />
a prezzi correnti vengono chiamate 'riserve accertate'. Queste valutazioni vengono<br />
solitamente effettuate da parte delle compagnie energetiche, per meglio orientare i loro<br />
investimenti, e come tali non sempre sono totalmente oggettive. Talvolta si suppone che le<br />
riserve accertate siano le uniche risorse esistenti. In realtà, anche altre risorse con<br />
caratteristiche geologiche ed economiche incerte fanno parte delle risorse di base.<br />
253
RISPARMIO ENERGETICO ED ECO-BUILDING<br />
Per risparmio energetico intendiamo una<br />
strategia di riduzione del consumo di energia a uso<br />
domestico e industriale da attuare soprattutto nei<br />
paesi industrializzati.<br />
Circa la metà dell'energia consumata nell'Europa<br />
occidentale è utilizzata negli edifici. Attualmente,<br />
impiegando tecnologie già sperimentate, si<br />
potrebbero ottenere riduzioni dei consumi fino al<br />
20%: è stato inoltre calcolato che gli investimenti<br />
iniziali per conseguire questo risparmio verrebbero<br />
compensati in meno di cinque anni.<br />
Ricordiamoci che una casa o un qualsiasi altro<br />
fabbricato realizzato senza nessun accorgimento<br />
dal punto di vista energetico oltre a causare un maggiore inquinamento produce anche un<br />
aggravio di spese per la persona che lo abita.<br />
Infatti un edificio mal isolato o che non ha nessun dispositivo di produzione di energia<br />
alternativa inevitabilmente produrrà delle spese in più per le tasche del cittadino. Pertanto<br />
è interesse del consumatore, ad esempio l' acquirente di un immobile, sapere se l' edificio<br />
produce o meno un risparmio energetico.<br />
Dovrebbe essere incoraggiata l'adozione di particolari accorgimenti di progettazione,<br />
soprattutto riguardo all'isolamento termico e all'illuminazione. L'introduzione di sistemi<br />
computerizzati di controllo energetico e l'installazione di dispositivi più efficienti per<br />
riscaldare, raffreddare e cucinare sarebbero il necessario complemento ai miglioramenti<br />
progettuali.<br />
254
Osserviamo, per meglio comprendere la questione, la seguente fotografia all’infrarosso di<br />
una abitazione.<br />
È possibile osservare quali sono le zone più esposte alla dispersione del calore. Le aree<br />
nere sono quelle che lo trattengono meglio, mentre quelle bianche, che qui corrispondono<br />
alle finestre, sono responsabili delle massime perdite di energia termica.<br />
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Il miglioramento del rendimento energetico nell'industria di solito richiede un notevole<br />
investimento di capitali, e ciò entra spesso in competizione con l'acquisto di nuove<br />
apparecchiature per incrementare la produzione e dunque i guadagni. Gli investimenti per<br />
il risparmio energetico hanno tempi di ritorno molto lunghi e per questo passano quasi<br />
sempre in secondo piano nelle priorità di gestione di un’impresa.<br />
Esistono però anche piccole modifiche degli impianti, con interventi poco costosi, che già<br />
potrebbero contribuire in maniera consistente al risparmio di energia. Il rendimento di<br />
caldaie e forni, ad esempio, potrebbe essere notevolmente migliorato grazie a un'attenta<br />
regolazione e controllo dell'afflusso d'aria durante la combustione, e il recupero<br />
dell'energia termica, attraverso scambiatori e pompe di calore, richiede investimenti<br />
relativamente contenuti.<br />
255
L’EUROPA E LA QUESTIONE DELL’ENERGIA<br />
L’80% circa dell’energia consumata nell’UE deriva dai combustibili fossili (petrolio, gas<br />
naturale e carbone), così come rilevabile dal seguente grafico:<br />
UNIONE EUROPEA - Contributo percentuale alla<br />
produzione di energia per risorse impiegate<br />
18%<br />
6%<br />
rinnovabili<br />
petrolio<br />
15%<br />
38%<br />
gas<br />
nucleare<br />
23%<br />
combustibili<br />
Di questa percentuale, una parte considerevole, in costante aumento, proviene da paesi<br />
terzi. La dipendenza dalle importazioni di petrolio e di gas, che attualmente è del 50%,<br />
potrebbe salire all’80% di qui al 2030. L’UE diventerebbe così ancora più sensibile alle<br />
riduzioni degli approvvigionamenti o all’aumento dei prezzi. Deve peraltro ridurre il<br />
consumo di combustibili fossili per invertire la tendenza al riscaldamento globale. Occorre<br />
inoltre migliorare le infrastrutture energetiche dell'UE: nei prossimi venti anni dovrebbero<br />
essere necessari 1.000 miliardi.<br />
La via da seguire è costituita da una combinazione di:<br />
risparmio energetico, grazie a un uso più razionale dell’energia,<br />
fonti alternative (soprattutto rinnovabili all’interno dell’UE),<br />
un uso più efficiente degli impianti di cogenerazione a gas, che producono anche vapore<br />
ed energia termica,<br />
un maggiore ricorso alla biomassa da materia organica per la produzione di energia e ai<br />
biocarburanti nel settore dei trasporti,<br />
256
una migliore integrazione dei mercati energetici dell'UE, e della politica energetica dell'UE<br />
con altre politiche, come l’agricoltura e il commercio, e<br />
il rafforzamento della cooperazione internazionale: se riuscirà ad adottare un approccio<br />
comune all'energia e ad articolarlo con una sola voce, l'UE potrà guidare il dibattito<br />
internazionale in materia.<br />
LE IMPORTAZIONI RIMANGONO ESSENZIALI<br />
Per una sicurezza dell’approvvigionamento a lungo termine, è fondamentale non<br />
dipendere eccessivamente da un numero ristretto di paesi ovvero compensare tale<br />
dipendenza istituendo un’intensa cooperazione in fatto di investimenti e di trasferimento di<br />
tecnologia con paesi come la Russia, importante fonte di combustibili fossili e,<br />
potenzialmente, di energia elettrica, e con i paesi del Golfo.<br />
L’UE, la Bulgaria, la Romania e sette paesi dell’Europa sud-orientale hanno creato<br />
un’unica comunità energetica che riunisce 34 paesi cosicché, nel tempo, le norme in<br />
materia di mercati dell’energia saranno le stesse in tutta l’area. L’UE beneficerà in<br />
particolare di una maggiore sicurezza di approvvigionamento del gas e dell’elettricità che<br />
transitano attraverso questi paesi. Applicando le norme comunitarie, i mercati energetici<br />
dei paesi terzi diventeranno più efficienti e i consumatori beneficeranno di mercati più<br />
competitivi e di aiuti mirati a vantaggio di chi ne ha più bisogno.<br />
Modificare il mix di combustibili<br />
Tutto questo non è tuttavia sufficiente. In definitiva l’UE deve diventare un’economia a<br />
basse emissioni di carbonio, che riduca l’impiego di combustibili fossili nell’industria, nei<br />
trasporti e a livello domestico e ricorra a fonti energetiche rinnovabili per produrre<br />
elettricità, per il riscaldamento e l’aria condizionata e per l’alimentazione dei mezzi di<br />
trasporto, in particolare le automobili. Ciò presuppone un passaggio ambizioso all’energia<br />
eolica (soprattutto in mare), solare e idraulica, alla biomassa e ai biocarburanti ottenuti da<br />
materia organica. La tappa successiva potrebbe essere quella di diventare un’economia<br />
basata sull’idrogeno.<br />
Ricordiamo a tal proposito che L’Unione Europea, con la Direttiva 2001/77/CE<br />
“Promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili”, pone, come traguardo, il<br />
soddisfacimento, entro il 2010 di una quota pari al 12% del consumo interno lordo di<br />
energia e al 22% di quelle dell’energia elettrica, attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili.<br />
257
TUTELARE L’AMBIENTE<br />
Per arrestare il surriscaldamento del pianeta sono stati introdotti dei limiti alle quantità di<br />
biossido di carbonio (CO2) che l’industria dell’UE può immettere nell’atmosfera. Il sistema<br />
prevede l'assegnazione di quote di emissione alle imprese. In caso di superamento della<br />
quota, un'impresa può acquistare concessioni da altre le cui emissioni sono inferiori alla<br />
rispettiva quota. In questo modo si incoraggia un uso più efficiente dell’energia, si riduce<br />
l’inquinamento e si mantengono gli impegni sottoscritti dall’UE nell’ambito del protocollo di<br />
Kyoto sui cambiamenti climatici.<br />
La Commissione europea ha proposto di estendere queste disposizioni alle compagnie<br />
aeree. L’aumento delle emissioni prodotte dagli aerei rischia di annullare oltre un quarto<br />
della riduzione delle emissioni totali di gas serra prevista per il 2012.<br />
Risparmiare energia grazie a un uso più razionale<br />
Per abbattere il consumo di combustibili fossili l’UE si è impegnata a ricavare il 15%<br />
dell’energia di cui ha bisogno da fonti rinnovabili entro il 2015, e prevede di<br />
risparmiare l’1% annuo del consumo finale di energia per nove anni a partire dal 2007<br />
estendendo l’impiego di lampadine, impianti di riscaldamento, di produzione dell’acqua<br />
calda, di ventilazione e di trasporto efficienti sotto il profilo energetico ed economicamente<br />
efficaci.<br />
DIAGNOSI E CERTIFICAZIONE ENERGETICA DEI FABBRICATI<br />
- LA DIRETTIVA 2002/91/CE –<br />
Cos’è effettivamente la Direttiva 2002/91/CE<br />
Obiettivo principale della Direttiva è quello di spingere gli Stati membri a dotarsi degli<br />
strumenti Normativi e Legislativi per “Promuovere il miglioramento del rendimento<br />
energetico degli edifici della Comunità europea”.<br />
All’interno quindi di un contenitore generale ogni singolo Stato, tenendo conto delle<br />
specifiche condizioni ambientali, climatiche e delle norme preesistenti, svilupperà proprie<br />
procedure di regolamentazione. Altrettanto importante sarà l’aspetto economico in quanto<br />
tutti i provvedimenti adottati su questo tema dovranno essere coerenti con i “costi” da<br />
affrontare ed in questo senso le Commissioni Parlamentari italiane si sono espresse<br />
258
esplicitamente nei confronti della “bozza” (atto nr.500) presentata dal Governo a fine<br />
Maggio 2005.<br />
Le disposizioni previste dalla direttiva riguardano:<br />
il calcolo integrato dell’energia del sistema edificio/impianto;<br />
i requisiti minimi in materia di rendimento energetico degli edifici di nuova costruzione e<br />
nella ristrutturazione di edifici di grande superficie;<br />
la certificazione energetica degli edifici;<br />
l’ispezione periodica delle caldaie e dei sistemi di condizionamento con potenza frigorifera<br />
> 12 kW<br />
Il calcolo del rendimento energetico degli edifici sarà eseguito con metodologie anche<br />
diverse fra regione e regione, ma comunque tali da prendere in considerazione i seguenti<br />
aspetti:<br />
la coibentazione, l’esposizione, il clima;<br />
il tipo di impianto di riscaldamento, condizionamento e illuminazione artificiale(per il solo<br />
terziario);<br />
l’impiego di fonti di energia rinnovabili e le caratteristiche architettoniche dell'edificio.<br />
Per i metodi di calcolo, a livello europeo sono già in corso lavori normativi in ambito Cen<br />
per la armonizzazione del calcolo del fabbisogno invernale eper il calcolo del fabbisogno<br />
estivo, (è già disponibile la versione prEN standard Uni-Cen per il calcolo-ISO-DIS<br />
EN13790-2005) che però sarà pubblicata ufficialmente non prima di un paio di anni.<br />
Il trasporto su strada consuma molto carburante. A ciò si aggiunge il fatto che gli ingorghi<br />
e il pendolarismo portano ad uno spreco di combustibile e i gas di scarico dei veicoli sono<br />
una fonte di inquinamento; per questo è di fondamentale importanza fare un uso più<br />
efficiente dei trasporti (grazie a una gestione del traffico e a un’urbanistica migliori) e<br />
passare più rapidamente ad un uso più massiccio dei trasporti pubblici e dei biocarburanti.<br />
L’UE si è fissata un obiettivo per i biocarburanti, che entro il 2015 dovranno coprire l’8%<br />
del consumo totale di energia.<br />
L’UE ha inoltre approvato norme sul rendimento energetico e obblighi di certificazione per<br />
gli edifici, ha introdotto l’ispezione obbligatoria e periodica delle caldaie e dei sistemi di<br />
condizionamento dell’aria e ha adottato una serie di norme per gli apparecchi che<br />
259
consumano energia, come gli elettrodomestici - tutti provvedimenti che aiutano a<br />
risparmiare energia.<br />
direttiva europea sulle prestazioni energetiche degli edifici (EU 2002/91), già recepito<br />
dallo stato italiano con il Decreto legislativo 192/05.<br />
A livello europeo e nazionale si sente spesso parlare di “conto energia”. Ma cos’è il “conto<br />
energia” È il nome comune assunto dal programma europeo di incentivazione in conto<br />
esercizio della produzione di elettricità da fonte solare mediante impianti fotovoltaici<br />
permanentemente connessi alla rete elettrica.<br />
Un uso intelligente dell’energia<br />
La tecnologia svolgerà un ruolo chiave ai fini di un uso più razionale dell’energia. I<br />
programmi quadro di ricerca e sviluppo tecnologico dell’UE finanziano un gran numero di<br />
progetti di ricerca in campo energetico e l’Agenzia esecutiva per l’energia intelligente<br />
dell’UE investirà 730 milioni di euro nell’ambito del programma “Energia intelligente per<br />
l’Europa” nel periodo 2007-2013 per sostenere la ricerca in materia di risparmio<br />
energetico, efficienza energetica, energie rinnovabili e per gli aspetti della politica dei<br />
trasporti che riguardano l’energia nell’UE, in Bulgaria, Romania, Croazia, Liechtenstein,<br />
Islanda e Norvegia.<br />
Il mercato unico dell'energia<br />
Un mercato dell’energia competitivo contribuisce all’uso razionale dell’energia. In<br />
passato, i mercati nazionali del gas e dell’energia elettrica erano due “isole” distinte<br />
nell’UE, in cui l’approvvigionamento e la distribuzione costituivano monopoli. Oggi i<br />
mercati sono liberalizzati e le frontiere nazionali nel settore dell’energia stanno<br />
scomparendo.<br />
L’UE favorisce la concorrenza finanziando la connessione di reti isolate e migliorando le<br />
interconnessioni transfrontaliere all’interno dell’UE e con i paesi fornitori. Dal canto loro,<br />
grazie alle regole del mercato unico dell’energia, tutti i fornitori hanno la garanzia di<br />
accedere alla rete di distribuzione e alle reti di gasdotti e oleodotti degli altri paesi dell’UE<br />
e di avere oneri di accesso equi.<br />
Tutte le imprese e molti consumatori sono già liberi di scegliere il loro fornitore di gas ed<br />
elettricità. Tutti gli altri consumatori lo saranno dalla metà del 2007. L’ulteriore<br />
liberalizzazione è associata ad una maggiore protezione. Sono previste infatti misure di<br />
salvaguardia che tutelano i consumatori dalle interruzioni di corrente o dal rischio di<br />
restare senza riscaldamento. Queste misure evitano che il taglio dei costi da parte dei<br />
260
fornitori presenti sul mercato si traduca in investimenti insufficienti, che i consumatori a<br />
basso reddito o che vivono in zone isolate siano considerati troppo piccoli o troppo distanti<br />
perché ci si preoccupi di loro e garantiscono che, se un fornitore si ritira dal mercato, vi sia<br />
sempre qualcuno pronto a subentrare immediatamente.<br />
L’EOLICO nell’ UNIONE EUROPEA<br />
Quali paesi sono più attivi nell'energia eolica L'Italia si colloca al quarto posto nella UE<br />
per potenza installata di energia eolica. Il dato non è positivo poiché il nostro paese si<br />
presenta molto vicino al gruppo dei paesi con bassa energia eolica installata e molto<br />
lontano dalle performance di Germania, Spagna e Danimarca. Basti pensare che la<br />
Spagna ha installato nuovi impianti eolici nel solo 2003 per oltre il doppio dell'intera<br />
potenza eolica italiana.<br />
Ecco la situazione a fine 2003:<br />
La crescita dell'eolico in Europa.<br />
La potenza eolica UE a 15 è in crescita nel 2003 di ben 5.871 Megawatt trainata<br />
soprattutto dai paesi con maggiore esperienza eolica, Germania e Spagna. I tre paesi<br />
leader coprono l'84% dell'intero settore eolico. In particolare sembrano restii ad investire<br />
nell'eolico gli UK e la Francia, anche se le recenti nuove installazioni del 2003 sembrano<br />
comunque dare un segnale positivo in questi paesi.<br />
Entro il 2010 l'European Wind Energy Association prevede una potenza installata di<br />
75.000 Mw (di cui 10.000 da piattaforme off-shore). L'eolico coprirà nel 2010 ben l'11% del<br />
consumo totale europeo di energia ed il 50% della produzione da fonti di energia<br />
261
innovabile.<br />
L'Italia si colloca al quarto posto con 904 MW installati ma il distacco con i primi tre è<br />
evidente. Nel 2003 il nostro paese ha installato nuovi impianti per 116 Mw per una crescita<br />
del 15% (inferiore alla crescita media europea).<br />
L’ITALIA E LA QUESTIONE DELL’ENERGIA<br />
Partiamo dalla considerazione che per ottenere i risultati stabiliti nella Direttiva 2001/77/CE<br />
vengono indicati dall’Unione Europea degli obiettivi differenziati per ogni singolo Stato<br />
membro e l’Italia si è prefissata di raggiungere, entro il 2010, una quota di energia ottenuta<br />
da fonti rinnovabili pari al 22% della produzione elettrica nazionale.<br />
Fonti di approvvigionamento<br />
L'Italia, come sistema fisico nazionale comprendente le proprie centrali e le proprie<br />
stazioni di pompaggio ha consumato nel 2005 circa 352.800 GWh (Gigawattora) di<br />
energia elettrica, con un incremento dell'1.11% rispetto all'anno precedente. Tale dato è il<br />
cosiddetto "consumo nazionale lordo" e indica l´energia di cui ha bisogno il Paese "tutto"<br />
per far "funzionare" qualsiasi impianto o mezzo che abbisogni di energia elettrica. Tale<br />
dato è ricavato come somma dei valori indicati ai morsetti dei generatori elettrici di ogni<br />
singolo impianto di produzione. Tale misura è effettuata prima di un eventuale detrazione<br />
di energia per alimentare le stazioni di pompaggio.<br />
Se si escludono i cosiddetti "autoconsumi" delle centrali e l'energia elettrica per<br />
immagazzinare energia durante la notte attraverso le stazioni di pompaggio, abbiamo un<br />
"consumo nazionale netto" o "richiesta nazionale", che nel 2005 è stato di 330.000 GWh<br />
circa.<br />
L'Italia ha quindi bisogno mediamente di 40,3 Gigawatt di potenza elettrica lorda<br />
istantanea (37,7 Gigawatt di potenza elettrica netta istantanea). Tali valori oscillano tra la<br />
notte e il giorno da 28 a 50 Gigawatt, con punte minime e massime rispettivamente di 21 e<br />
56 Gigawatt. Il dato di "consumo nazionale lordo" contiene una percentuale pari al 13,9%<br />
di energia importata dall'estero (ovvero, al netto delle esigue esportazioni, circa 49.000<br />
GWh annui nel 2005).<br />
262
Il fabbisogno nazionale di energia elettrica viene coperto per il 71,7% attraverso centrali<br />
termoelettriche che bruciano principalmente combustibili fossili in gran parte importati<br />
dall'estero (piccole percentuali - inferiori al 2% - fanno riferimento a biomassa, rifiuti<br />
industriali o civili e combustibile nazionale). Un altro 14,3% viene ottenuto da fonti<br />
rinnovabili (idroelettrica, geotermica, eolica e fotovoltaica) per un totale di energia elettrica<br />
prodotta dall'Italia di circa 303000 GWh annui (2004). La rimanente parte per coprire il<br />
fabbisogno nazionale é importata direttamente all'estero nella percentuale già citata del<br />
13,9% .<br />
Energie non rinnovabili<br />
L'Italia non dispone di consistenti riserve di combustibili fossili e quindi la quasi totalità<br />
della materia prima utilizzata viene importata dall'estero.<br />
Secondo le statistiche di Terna, società che dal 2005 gestisce la rete di trasmissione<br />
nazionale, la maggior parte delle centrali termoelettriche italiane sono alimentate a gas<br />
naturale (59,2% del totale termoelettrico nel 2005), carbone (17,3%) e derivati petroliferi<br />
(14,2%). Percentuali minori (circa il 2,3%) fanno riferimento a gas derivati (gas di<br />
acciaieria, di altoforno, di cokeria, di raffineria) e a un generico paniere di "altri<br />
combustibili" (circa il 7%) in cui sono comprese diverse fonti combustibili "minori", sia<br />
fossili che rinnovabili (biomassa, rifiuti, coke di petrolio, Orimulsion, bitume e altri).<br />
È da notare come le percentuali relative ai tre principali combustibili siano cambiate<br />
radicalmente in pochissimi anni (1996-2005); solo nel 1996, gas naturale, carbone e<br />
petrolio "pesavano" rispettivamente il 25%, l'11% e il 59%. Si può notare come, accanto ad<br />
un discreto aumento dell'utilizzo del carbone, ci sia stata una radicale inversione<br />
dell'importanza relativa tra petrolio e gas naturale, il cui utilizzo è cresciuto fortemente sia<br />
in termini assoluti che percentuali [2]. Oggi gran parte delle centrali termoelettriche<br />
vengono concepite in maniera di poter utilizzare più combustibili, in maniera da poter<br />
variare in tempi relativamente rapidi la fonte combustibile.<br />
Tale politica è conseguita da considerazioni circa il costo, la volatilità dei prezzi e la<br />
provenienza da regioni politicamente instabili del petrolio; non deve inoltre essere<br />
trascurato il minor impatto ambientale del gas rispetto al petrolio, soprattutto alla luce dei<br />
dettami del Protocollo di Kyoto.<br />
Attualmente l'Italia figura tra i maggiori importatori mondiali di gas naturale, proveniente<br />
principalmente dalla Russia e dall'Algeria; un ulteriore gasdotto sottomarino (Greenstream)<br />
dovrebbe in futuro far crescere sensibilmente la quota di gas importata dalla Libia.<br />
263
Nonostante ciò, l'Italia rimane ancora oggi tra i paesi europei maggiormente dipendenti dal<br />
petrolio per la produzione di energia elettrica.<br />
Energie rinnovabili<br />
La maggior parte dell'energia elettrica prodotta in Italia con fonti rinnovabili deriva dalle<br />
fonti rinnovabili cosiddette "classiche". Le centrali idroelettriche (localizzate principalmente<br />
nell'arco alpino e in alcune zone appenniniche) producono il 12,2% del fabbisogno<br />
energetico; le centrali geotermoelettriche (Toscana) producono l'1,5% della potenza<br />
elettrica mentre le "nuove" fonti rinnovabili come l'eolico (con parchi eolici diffusi<br />
principalmente in Sardegna e nell'Appennino meridionale), sebbene in crescita, producono<br />
ancora circa lo 0,7% della potenza elettrica richiesta. Percentuali ancora minori vengono<br />
prodotte con il solare in impianti connessi in rete o isolati (circa 31 GWh nel 2005, pari a<br />
meno dello 0,01% del totale, considerando anche il contributo del programma "Tetti<br />
fotovoltaici" [3]).<br />
Infine, negli ultimi anni è diventata sempre più importante la quota di energia elettrica<br />
generata in centrali termoelettriche o termovalorizzatori dalla combustione di biomasse,<br />
rifiuti industriali o urbani. Tale fonte (sicuramente "rinnovabile" anche se non "pulita", e<br />
generalmente compresa nel computo generale delle "termoelettriche"), è quella che ha<br />
avuto i ratei di crescita più alti negli ultimi anni, passando da una produzione quasi nulla<br />
nel 1992, fino a superare la quota geotermoelettrica nel 2004, per giungere all'1,7% del<br />
fabbisogno energetico.<br />
In conclusione, considerando tutti i contributi, la quota "rinnovabile" italiana giunge fino al<br />
16,4% della produzione totale nazionale e al 15,1% dell'energia elettrica richiesta [4].<br />
Importazione<br />
L'Italia è il secondo paese al mondo per importazione di energia elettrica [5]. L'Italia<br />
importa una quantità di potenza elettrica media che può andare da un minimo di meno di<br />
4000 megawatt (fase notturna, mese di agosto) fino ad un massimo di circa 7500<br />
megawatt (fase diurna, mesi invernali), per un totale di circa 40000 GWh all'anno.<br />
L'importazione non è sempre proporzionale alla richiesta, cosicché il fabbisogno<br />
energetico italiano viene sostenuto da corrente prodotta all'estero per un'aliquota che può<br />
oscillare tra meno del 10% in fase diurna fino a punte massime del 25% durante la notte.<br />
Tale importazione avviene da quasi tutti i paesi confinanti, anche se l'aliquota maggiore è<br />
quella proveniente dalla Francia e, a seguire, dalla Svizzera.<br />
Buona parte di questa energia (in particolare gran parte di quella "francese") viene<br />
prodotta con centrali nucleari. In effetti l'importazione notturna è percentualmente molto<br />
264
più importante di quella diurna proprio a causa della natura della produzione elettrica con<br />
questo tipo di centrali; queste infatti funzionano al meglio in regime costante e quindi<br />
l'energia prodotta durante la notte viene praticamente "svenduta" a basso costo. Ciò<br />
consente di fermare in Italia durante la notte le centrali meno efficienti e di attivare le<br />
stazioni di pompaggio idriche che poi possono "rilasciare" nuovamente energia durante il<br />
giorno. Questo meccanismo ha reso "conveniente" l'importazione di energia dall'estero, da<br />
cui il grande sviluppo del commercio di energia negli ultimi anni.<br />
Problematiche<br />
Costo<br />
Il risultato del "mix" di fonti italiane è che comunque la corrente elettrica in Italia costa circa<br />
il 40% in più che nel resto d'Europa. Costa ad esempio il doppio di quella prodotta in<br />
Francia (con una forte componente di energia nucleare) e quasi triplo di quella prodotta in<br />
Svezia (in gran parte idroelettrico). Un costo così elevato è dovuto ad un mix di centrali<br />
elettriche ancora sbilanciato verso l'utilizzo di risorse pregiate e costose (come il petrolio) o<br />
comunque di provenienza estera (come il gas naturale), nonché alla resistenza verso l'uso<br />
di fonti considerate (pur se con diverse sfumature) ad alto impatto ambientale come il<br />
nucleare, il carbone o la termovalorizzazione.<br />
Bisogna comunque notare che il costo dipende fortemente dal consumo annuale per<br />
contratto: per consumi fino a 1800 Kwh l'Italia risulta infatti uno dei Paesi più economici al<br />
mondo, mentre le tariffe più elevate si riscontrano per consumi oltre i 3540 kwh. Questo<br />
sistema ha il fine di incentivare i bassi consumi.<br />
Dipendenza<br />
Considerando sia i combustibili che l'energia elettrica importata, l'Italia dipende dall'estero<br />
per quasi l'84% della propria energia (in senso generale, non solo elettrica). Questo<br />
genera un settore produttivo instabile, soggetto in particolare a forti variazioni del costo per<br />
chilowatt a causa delle variazioni del costo del combustibile (petrolio e gas naturale).<br />
Ovviamente ciò è un notevole pericolo per il Paese; un'improvvisa penuria del<br />
combustibile o un improvviso aumento dei prezzi potrebbe rendere problematica la<br />
produzione di energia elettrica paralizzando il Paese.<br />
Storia della produzione di energia elettrica in Italia<br />
Gli inizi<br />
265
I primi impianti di generazione elettrica italiani (sul finire del XIX secolo) furono centrali<br />
termoelettriche a carbone situate all'interno delle grandi città. La prima centrale in assoluto<br />
fu costruita appunto a Milano.<br />
In seguito, lo sviluppo della rete di trasmissione nazionale permise lo sfruttamento del<br />
grande bacino idroelettrico costituito dalle Alpi, e grazie all'energia idroelettrica (unica<br />
fonte nazionale e a buon mercato) fu possibile un primo timido sviluppo industriale italiano.<br />
Le caratteristiche della risorsa idroelettrica diedero anche per un certo periodo l'illusione<br />
che l'Italia potesse essere indefinitamente autosufficiente dal punto di vista energetico<br />
(sovente anche con eccessi retorici sul "carbone bianco delle Alpi").<br />
Inoltre, nel 1904, veniva costruita a Larderello la prima centrale geotermoelettrica del<br />
mondo. Tale fonte continua a dare il suo contributo anche oggi, sebbene, a causa della<br />
limitatezza delle aree interessate, tale contributo non abbia mai superato l'8% della<br />
richiesta nazionale.<br />
Dopo la Seconda guerra mondiale apparve chiaro che la risorsa idroelettrica non poteva<br />
più tenere il passo con le richieste dell'industrializzazione e quindi l'Italia dovette sempre<br />
più affidarsi a nuove centrali termoelettriche.<br />
Il potenziale idroelettrico fu quasi completamente sfruttato negli anni cinquanta finché,<br />
anche a causa di enormi disastri ambientali (come la strage del Vajont), non fu del tutto<br />
abbandonata la costruzione di nuove centrali di questo tipo.<br />
LA NAZIONALIZZAZIONE E LA CRISI PETROLIFERA<br />
Fin dall'inizio della sua storia, la produzione dell'energia elettrica in Italia era sempre stata<br />
affidata all'impresa privata (ove si escludano alcuni tentativi parziali di controllo statale nel<br />
periodo fascista); il 27 novembre 1962 la Camera approvava il disegno di legge sulla<br />
nazionalizzazione del sistema elettrico e l'istituzione dell'ENEL (Ente Nazionale per<br />
l'Energia Elettrica), cui venivano demandate "tutte le attività di produzione, importazione<br />
ed esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell'energia elettrica da<br />
qualsiasi fonte prodotta". In base a ciò anche produttori "storici" (come "SIP" - Società<br />
Idroelettrica Piemonte, "Edison", "SADE", SME) dovevano vendere le loro attività al nuovo<br />
soggetto; venivano esclusi dal provvedimento solo gli autoproduttori e le aziende<br />
municipalizzate cui rimasero comunque quote marginali del mercato. In definitiva, l'ENEL<br />
si trovò ad assorbire le attività di oltre 1000 aziende elettriche.<br />
266
La scelta della nazionalizzazione (all'alba della cosiddetta "stagione del centro-sinistra")<br />
sembrava allora essere l'unica possibilità di soddisfare la crescente domanda di energia,<br />
in un contesto di sviluppo uniforme ed armonico dell'intero Paese.<br />
Il nuovo periodo che si stava aprendo per l'ENEL e per il Paese sarebbe stato<br />
caratterizzato da grandi trasformazioni sia per quanto riguarda la rete di trasmissione che<br />
la produzione di energia; basti pensare che negli anni sessanta la produzione di energia<br />
elettrica italiana cresceva a un ritmo di circa l'8% annuo, contro lo scarso 2% attuale.<br />
Questa crescita avvenne in gran parte grazie allo sviluppo della fonte termoelettrica,<br />
facilitato dai bassi prezzi del petrolio tipici di quel decennio.<br />
Tale tendenza venne bruscamente interrotta dalle crisi petrolifere del 1973 e del 1979;<br />
negli anni settanta e ottanta, accanto a una temporanea contrazione della produzione<br />
causata dalla crisi economica conseguente allo "shock petrolifero", si ebbe un primo<br />
tentativo di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico; in tale ambito si<br />
collocano sia una leggera ripresa dell'utilizzo del carbone, sia la crescita dell'acquisto di<br />
energia dall'estero.<br />
Ma negli anni settanta la vera e propria "scommessa" fu quella nei confronti dell'energia<br />
nucleare: è del 1975 il varo del primo piano energetico nazionale che prevedeva, tra l'altro,<br />
un forte sviluppo di tale fonte.<br />
L'Italia aveva cominciato lo sfruttamento della fonte nucleare già dai primi anni '60 (nel<br />
1966 l'Italia figurò addirittura come il terzo produttore al mondo, dopo USA e Regno Unito)<br />
ma fu sul finire degli anni '70 che venne effettuata una decisa svolta in questa direzione:<br />
alle vecchie centrali del Garigliano e Trino Vercellese si affiancarono (o si cominciarono a<br />
costruire) Caorso, Montalto di Castro e la seconda centrale di Trino (per quest'ultima fu<br />
solo individuato e terraformato il sito, poi impiegato per la costruzione di un impianto a<br />
ciclo combinato da 700 MW, entrato in funzione nel 1997).<br />
Tuttavia, nel 1987, dopo la forte impressione creata nell'opinione pubblica dal disastro<br />
nucleare in Unione Sovietica (Disastro di Chernobyl), l'Italia, con votazione tramite<br />
referendum, abbandonava di fatto lo sviluppo della fonte nucleare, chiudendo o<br />
riconvertendo le centrali esistenti.<br />
Il presente<br />
Lo scenario del mercato dell'energia è cambiato nuovamente agli inizi degli anni '90: nel<br />
1992 l'ENEL diventa una società per azioni, anche se con il Ministero del Tesoro come<br />
unico azionista; poi, il 19 febbraio 1999 viene approvato il decreto legislativo di<br />
liberalizzazione del mercato elettrico, anche detto decreto Bersani, che recepisce una<br />
267
direttiva europea in tal senso. Lo scopo è quello di favorire il contenimento dei prezzi<br />
dell'energia in un regime di concorrenza.<br />
Nuovi soggetti possono tornare ad operare nel campo della produzione di energia<br />
elettrica; le attivita di ENEL che devono essere dismesse sono divise tra tre società (dette<br />
"GenCo": Eurogen, Elettrogen ed Interpower) che vengono messe sul mercato.<br />
Dal punto di vista dell'approvvigionamento, l'aumento della richiesta di energia dell'ultimo<br />
decennio, nonché le sempre maggiori incertezze economiche e geopolitiche legate<br />
all'utilizzo del petrolio hanno costretto i produttori ad intensificare gli sforzi nella ricerca di<br />
diversificazione delle fonti. A seguito di valutazioni economiche dettate dal costo delle<br />
materie petrolifere, costi sociali nell'uso del carbone (il cui utilizzo pure è in leggera<br />
crescita) e dall'abbandono del nucleare, le soluzioni adottate sono state essenzialmente<br />
due:<br />
la sostituzione al petrolio del gas naturale come combustibile delle centrali termoelettriche,<br />
considerato un combustibile con oscillazioni di prezzo inferiori a quelle del petrolio,<br />
maggiore disponibilità e provenienza da aree meno instabili politicamente;<br />
è stata ulteriormente perseguita la politica di importazione di energia dall'estero, in<br />
particolare dalla Francia e dalla Svizzera (nazioni che tra l'altro non hanno abbandonato la<br />
risorsa nucleare), ovviamente accentuando di fatto la dipendenza energetica italiana<br />
dall'estero.<br />
Negli ultimi tempi, la forte riduzione dei costi dell'energia eolica ha acceso qualche timida<br />
aspettativa su questo fronte, sebbene comunque il contributo di questa fonte al momento<br />
non superi l'1% dell'energia richiesta. Altre soluzione adottate o studiate in questi tempi<br />
vedono l'utilizzo di centrali termoelettriche a biomassa o rifiuti industriali o urbani<br />
(termovalorizzatori), nonché lo sviluppo di centrali solari o fotovoltaiche.<br />
Considerazioni per il futuro<br />
Nell'immediato futuro sicuramente vedremo confermate alcune delle tendenze già evidenti<br />
oggi, come, in particolare, una sempre maggiore apertura e concorrenza nel mercato<br />
dell'energia, il sempre più diffuso utilizzo del gas naturale come combustibile delle centrali<br />
termoelettriche, nonché una crescita percentuale (di entità non facilmente stimabile)<br />
dell'energia prodotta tramite combustione di biomassa e rifiuti e attraverso centrali eoliche<br />
o solari.<br />
Nonostante ciò non si può prevedere che tali tendenze portino benefici risolutivi dal punto<br />
di vista del costo dell'energia né da quello della dipendenza estera (sia come combustibili<br />
che come energia prodotta).<br />
268
Ridurre tale dipendenza è ad oggi in effetti quasi impossibile, in quanto il Paese non<br />
dispone di consistenti riserve di combustibile di nessun tipo. Le fonti energetiche<br />
rinnovabili di tipo "classico" (energia idroelettrica e geotermoelettrica) sono state già quasi<br />
completamente sfruttate dove ritenuto conveniente e quindi sensibili miglioramenti in<br />
questo campo non sono pensabili.<br />
Le fonti energetiche rinnovabili "nuove" (in particolare eolico e solare), nonostante i<br />
cospicui investimenti (tra il 1981 e il 2002 lo Stato italiano ha finanziato le fonti rinnovabili e<br />
assimilate con 51,1 miliardi di euro) e le pur favorevoli previsioni di crescita, sono ancora<br />
molto lontane dal fornire contributi percentualmente apprezzabili; permangono inoltre<br />
alcune perplessità riguardo problematiche quali "l'aleatorietà" ( o "non programmabilità")<br />
dell'approvvigionamento realizzato, nonché (per il fotovoltaico) riguardo costi ancora non<br />
competitivi.<br />
Poiché attualmente l'orientamento del Paese non sembra indicare un cambio di opinione a<br />
favore del nucleare, né d'altra parte si può immaginare una grande diffusione delle centrali<br />
termoelettriche a carbone (politica che si scontrerebbe con gli obbiettivi posti all'Italia dal<br />
protocollo di Kyoto), è da ritenere che probabilmente in futuro si proseguirà e verrà<br />
ulteriormente incentivata la politica di acquisto di energia elettrica dall'estero. È da notare<br />
che ciò potrebbe implicare la costruzione di nuovi elettrodotti di confine e adeguamenti di<br />
rete, con problematiche ambientali connesse agli effetti dell'elettrosmog nelle zone di<br />
passaggio.<br />
Ulteriori benefici potrebbero giungere da eventuali politiche mirate all'incentivazione<br />
dell'efficienza energetica e del risparmio energetico. I modi e l'efficacia di tali politiche<br />
sono attualmente oggetto di dibattito in ambito scientifico e politico.<br />
In particolare sussistono margini di miglioramento significativi riguardo l'efficienza delle<br />
centrali termoelettriche, con politiche di dismissione o ristrutturazione delle centrali con i<br />
rendimenti più bassi e maggiore diffusione delle centrali a ciclo combinato o con<br />
teleriscaldamento.<br />
Permangono infine molte speranze riguardo la fusione nucleare controllata, sebbene tali<br />
aspettative risultino oggi, sul breve periodo, parzialmente disilluse. Mentre nel 1985 si<br />
stimava di poter installare la prima centrale elettrica a fusione nucleare nel 2015,<br />
attualmente gli scienziati del progetto ITER hanno spostato quella data al 2040. Inoltre allo<br />
stato attuale della ricerca si é ancora in dubbio circa la fattibilitá stessa della messa in<br />
opera di un reattore commerciale a fusione per la produzione di energia elettrica con<br />
rendimenti continuativi accettabili. Si può notare comunque come l'Italia, nell´ipotesi<br />
269
ottimistica sulla fusione, potrebbe sfruttare l'assenza attuale dell'opzione nucleare a<br />
fissione per bypassare l'onerosa fase di decommissioning o conversione dei reattori. Tale<br />
fase di transizione dovrà probabilmente essere fronteggiata da paesi oggi altamente<br />
nuclearizzati come la Francia e gli Stati Uniti nell'ipotesi che tale alternativa si riveli<br />
vincente.<br />
Anche altre fonti energetiche molto interessanti, come le centrali solari orbitali o lo<br />
sfruttamento delle onde marine, prospettano date più o meno simili per la loro prima<br />
installazione.<br />
270
Continuiamo ad analizzare la situazione energetica italiana delineando quella che è la rete<br />
nazionale del gas, del petrolio e dell’energia elettrica.<br />
Come arriva il gas in Italia<br />
Il sistema nazionale del gas è alimentato per circa<br />
l'80% da gas di importazione convogliato verso il<br />
territorio italiano attraverso un sistema internazionale di<br />
gasdotti ad alta pressione, dello sviluppo di oltre 4.300<br />
chilometri.<br />
Le principali strutture coinvolte sono: il TAG (Trans<br />
Austria Gasleitung) per il gas russo; il TENP (Trans Europa Naturgas Pipeline) e<br />
Transitgas per il gas dall’Europa settentrionale; Greenstream, TTPC e TMPC per il gas<br />
nordafricano.<br />
Il gasdotto TAG, con una estensione di 1.018 chilometri e una capacità di 81 milioni di<br />
metri cubi/giorno, importa gas russo. Il TENP (968 chilometri) importa gas olandese, con<br />
una capacità di transito di 44 milioni di metri cubi/giorno. Il gasdotto Transitgas importa<br />
gas olandese e gas norvegese. Ha uno sviluppo complessivo di 291 chilometri e una<br />
capacità di transito di 61 milioni di metri cubi/giorno. Il Greenstream è il gasdotto<br />
sottomarino dedicato al trasporto del gas libico al terminale di ricevimento di Gela<br />
(Western Libyan Gas Project). Ha una capacità di 24,4 milioni di metri cubi/giorno ed è il<br />
più lungo gasdotto sottomarino (520 km) costruito nel Mar Mediterraneo.<br />
Il Transmed trasporta in Italia il gas naturale proveniente dal campo Hassi R’ Mel in<br />
Algeria; con una estensione di 2.500 chilometri attraversa la Tunisia, il Mediterraneo, la<br />
Sicilia e lo stretto di Messina per risalire l’intera penisola sino alla Val Padana.<br />
L'attraversamento del territorio tunisino è gestito dal sistema di trasporto TTPC (Trans<br />
Tunisian Pipeline Company). Dalla costa Mediterranea, a Cap Bon, quest'ultimo si collega<br />
al gasdotto sottomarino della TMPC (Transmediterranean Pipeline Company) che<br />
consente al gas algerino di raggiungere la Sicilia.<br />
Il consumo del gas In Italia<br />
La domanda di gas naturale nel 2004 è stata di circa 80,3 miliardi di metri cubi, con una<br />
crescita di circa il 3,8% dovuta all’incremento dei consumi nel settore termoelettrico<br />
(+8,9%), per l’entrata in esercizio di alcune centrali a ciclo combinato e ai maggiori<br />
consumi di gas naturale nel settore industriale (+3,4%).I volumi di gas immessi nella Rete<br />
271
Nazionale Gasdotti nel 2004 sono stati pari a 80,4 miliardi di metri cubi con un incremento<br />
di 4 miliardi di metri cubi, pari a 5,3%, rispetto all’anno precedente.<br />
La convenienza di trasformare in liquido il gas naturale che in natura è presente in fase<br />
gassosa sta nel fatto che il suo volume si riduce di 600 volte, facilitando e rendendo<br />
economico il trasporto via mare, attraverso apposite navi metaniere in alternativa al<br />
trasporto tramite metanodotto. Questo si rende particolarmente utile quando si presenta la<br />
necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento, soprattutto considerando<br />
l’aumento della distanza fra le regioni di produzione e quelle di consumo, permettendo<br />
l’importazione di gas da quei paesi produttori non collegabili via tubo. In questi anni il GNL<br />
(gas naturale liquefatto) ha assunto un ruolo strategico nell'approvvigionamento in alcuni<br />
paesi ed è destinato ad acquisire un’importanza crescente anche nell’approvvigionamento<br />
dell’Europa mediterranea grazie all’estensione della potenzialità produttiva di alcuni<br />
fornitori come la Nigeria, l’Algeria e l'Egitto. I vantaggi di impianti di questo tipo sono molti<br />
e considerevoli. Innanzitutto non inquinano poiché il metano è un gas innocuo. Quando il<br />
metano ha raggiunto il rigassificatore, ovvero l’impiantoche permette di riportare un fluido<br />
dallo stato liquido a quello gassoso, viene immagazzinato in un contenitore criogenico, e<br />
riportato in forma gassosa e immesso nella rete quando ve n'è il bisogno. I rigassificatori<br />
possono entrare nella catena del freddo producendo energia “criogenica” ossia che<br />
produce il freddo necessario per la surgelazione e la liofilizzazione degli alimenti,<br />
nell’industria microelettronica e nel settore farmaceutico. Non bisogna dimenticare, in<br />
ultimo, la particolare posizione geografica della nostra Penisola: affacciandosi sul Mar<br />
Mediterraneo, infatti, l’Italia può aspirare a diventare una vera e propria porta d’accesso<br />
per il gas naturale in tutta Europa, rispondendo alla comune domanda di energia e<br />
diminuendo la dipendenza dell’Europa alla rete di<br />
gasdotti cui è oggi sottoposta.<br />
Il governo si è impegnato nel 2006 nella<br />
realizzazione di almeno 4 rigassificatori in modo<br />
da ottenere una certa indipendenza energetica<br />
dall'Algeria e dalla Russia, che grazie ai recenti<br />
accordi possono imporre prezzi molto alti all'Italia.<br />
Due ipotesi si contrappongono.<br />
L'Italia può sfruttare la propria posizione centrale<br />
nel mediterraneo e in Europa, nonchè le notevoli connessioni via gasdotto verso il Nord<br />
272
Europa, per proporsi come un Hub energetico, esportando gas verso l'Europa. "L'Italia ha<br />
bisogno di undici rigassificatori di cui almeno quattro dovrebbero essere avviati subito"<br />
(intervista di Antonio Di Pietro ad Adnkronos, 19 agosto 2006)<br />
La linea ambientalista rifiuta di impiegare l'Italia come porta d'accesso per il gas europeo,<br />
e impone di realizzare solo quei 4 rigassificatori che coprano il fabbisogno locale.<br />
PARLIAMO DEL RIGASSIFICATORE DI PANIGAGLIA<br />
In Italia esiste un unico impianto di rigassificazione a Panigaglia vicino a La Spezia<br />
Lo stabilimento è costituito dalle sezioni di ricezione, stoccaggio, rigassificazione, recupero<br />
vapori, correzione del gas finale, sistemi ausiliari e di sicurezza.<br />
La sezione di ricezione è costituita dall’area di attracco delle navi metaniere, dai bracci di<br />
discarica e dalla linea di trasferimento ai serbatoi. La capacità di carico delle metaniere<br />
varia da 25.000 fino a 65.000/70.000 metri cubi. Il GNL viene prelevato dalle metaniere ed<br />
inviato ai serbatoi di stoccaggio tramite una condotta che attraversa il pontile dell’impianto<br />
lungo 500 metri. La sezione di stoccaggio è costituita da due serbatoi di tipo cilindrico<br />
verticale ognuno con una capacità di 50.000 metri cubi, al cui interno sono poste pompe<br />
sommerse per la movimentazione del GNL.<br />
Il gas naturale liquefatto viene stoccato ad una temperatura di –160°C e ad una pressione<br />
leggermente superiore a quella atmosferica. La sezione di rigassificazione è costituita<br />
dalle pompe per la movimentazione e la pressurizzazione del GNL e dai vaporizzatori.<br />
Il GNL estratto dai serbatoi di stoccaggio mediante le pompe sommerse viene<br />
pressurizzato e quindi inviato ai vaporizzatori. La rigassificazione del GNL è ottenuta<br />
mediante riscaldamento con vaporizzatori a fiamma sommersa. Prima di essere immesso<br />
nella rete di distribuzione, il gas viene purificato.<br />
STOCCAGGI<br />
L’impianto di trattamento è l’insieme delle infrastrutture<br />
dedicate a rendere il gas erogato dai giacimenti conforme ai<br />
requisiti di qualità, pressione e temperatura necessari<br />
all’immissione nella rete di trasporto. In particolare, il<br />
trattamento del gas consiste nella separazione preliminare dei<br />
liquidi (acqua ed idrocarburi pesanti) associati al gas e<br />
nell’assorbimento del vapore acqueo presente in saturazione<br />
273
nel gas mediante contatto con glicole all’interno di colonne di disidratazione dedicate.<br />
Gli impianti comprendono inoltre reti di condotte<br />
di collegamento ed altri impianti di superficie (di<br />
processo o ausiliari).<br />
L'Italia attualmente ha dieci progetti approvati o<br />
in corso di valutazione:<br />
Rovigo - Adriatic LNG (8 Gmc/anno), azionisti:<br />
45% ExxonMobil, 45% Qatar Petroleum, 10%<br />
Edison<br />
Brindisi - Brindisi LNG (8 Gmc/anno), azionisti:<br />
British Gas<br />
Livorno - OLT Offshore LNG Toscana (4 Gmc/anno), azionisti: 25,5% Endesa, 25,5%<br />
IRIDE, 29% OLT Energy Toscana-gruppo Belleli, 20% Golar Offshore Toscana Ltd<br />
Rosignano (LI) (8 Gmc/anno), azionisti: 70% Edison, 30% British Petroleum<br />
Grado (GO) (8 Gmc/anno), azionista: Endesa<br />
Zaule (TS) (8 Gmc/anno), azionista: Gas Natural<br />
<strong>Taranto</strong> (8 Gmc/anno), azionista: Gas Natural<br />
Gioia Tauro (RC) (12 Gmc/anno), azionista: CrossGas (60% gruppo Belleli, 40%<br />
Italpetroli)<br />
Porto Empedocle (AG) (8 Gmc/anno), azionista: Nuove Energie (90% Enel)<br />
Priolo Gargallo (SR) (8 Gmc/anno), azionisti: 50% Erg, 50% Shell<br />
Ravenna (RA) Piattaforme petrolifere ENI da riadattare, al largo delle coste.<br />
Tra parentesi: la capacità di rigassificazione (miliardi di mc all'anno).<br />
Come arriva il petrolio in Italia<br />
Il trasporto di petrolio alle raffinerie avviene tramite oleodotti e, per tragitti più lunghi,<br />
attraverso navi petroliere. Gli oleodotti, interrati o adagiati sui fondali marini, comprendono<br />
un complesso di condotte, stazioni di pompaggio, di controllo e di sicurezza. Le<br />
caratteristiche costruttive degli oleodotti, le protezioni delle tubazioni, i dispositivi di<br />
sicurezza per l’interruzione del flusso ed i sistemi di controllo garantiscono elevati livelli di<br />
prevenzione contro le fuoriuscite di prodotto.<br />
Le moderne petroliere sono navi cisterne a compartimenti separati e a doppio scafo:<br />
un’intercapedine di circa 2 metri riveste completamente lo scafo evitando la fuoriuscita in<br />
mare del carico in caso di collisione.<br />
274
LA RETE ELETTRICA<br />
La rete elettrica italiana è lunga complessivamente 22 mila chilometri e comprende linee<br />
elettriche ad alta tensione (tra i 60 e 150 KV), linee a media tensione (tra i 5 e i 25 KV) e<br />
linee a bassa tensione (inferiore a 1000 V, normalmente<br />
400 V), impianti di trasformazione AT/MT (cabine<br />
primarie), trasformatori su pali o cabine elettriche a media<br />
tensione (cabine secondarie), sezionatori ed interruttori,<br />
strumenti di misura. Oggi in Italia l'energia elettrica viene<br />
prodotta principalmente da centrali termoelettriche,<br />
alimentate con idrocarburi, e da centrali idroelettriche, che<br />
sfruttano la forza dell'acqua.<br />
L’ITALIA E L’INCENTIVAZIONE DELLE FONTI RINNOVABILI<br />
Il Decreto Legislativo del 29 Dicembre 2003 n°387 r ecepisce la Direttiva 2001/77/CE e<br />
introduce una serie di misure volte a superare i problemi connessi al mercato delle diverse<br />
fonti di Energia Rinnovabile.<br />
Il sistema di incentivazione della produzione di energia rinnovabile, introdotto dall’art.11<br />
del decreto 79/99, prevede il superamento del vecchio criterio di incentivazione tariffaria<br />
noto come Cip6, per passare ad un meccanismo di mercato basato sui Certificati Verdi,<br />
titoli emessi dal GRTN che attestano la produzione di energia da fonti rinnovabili. La<br />
Legge n. 239 del 23/08/2004 (Legge Marzano) ha ridotto a 50 MWh la taglia del “certificato<br />
verde”, che in precedenza era pari a 100 MWh.<br />
Nel mercato dei Certificati Verdi, la domanda è costituita dall’obbligo per produttori e<br />
importatori di immettere annualmente una "quota" di energia prodotta da fonti rinnovabili<br />
pari al 2% di quanto prodotto e/o importato da fonti convenzionali nell'anno precedente. A<br />
partire dall'anno 2004 e fino al 2006, la quota d'obbligo è incrementata annualmente di<br />
0,35 punti percentuali (art.4 comma 1 del D.Lgs. 387/2003). Gli incrementi della quota<br />
minima d'obbligo per il triennio 2007-2009 e 2010-2012 verranno stabiliti con decreti<br />
emanati dal Ministero delle Attività Produttive. L'offerta, invece, è rappresentata dai<br />
Certificati Verdi emessi a favore degli Operatori con impianti che hanno ottenuto la<br />
qualificazione IAFR dal Gestore della rete, così come dai Certificati Verdi che il GRTN<br />
stesso emette a proprio favore a fronte dell’energia prodotta dagli impianti Cip 6. Per<br />
275
l'anno 2002 il valore della domanda è stato pari a 3,23 TWh, mentre l’offerta è stata di<br />
0,89 TWh. La restante quota della domanda di 2,34 TWh è stata coperta dai Certificati<br />
verdi a disposizione del GRTN. Per l'anno 2003 il valore della domanda è stato pari a 3,47<br />
TWh, mentre l’offerta è stata di 1,49 TWh. La restante quota della domanda di 1,98 TWh è<br />
stata coperta dai Certificati verdi a disposizione del GRTN. Per l'anno 2004 il valore della<br />
domanda è stato pari a 3,89 TWh, mentre l’offerta è stata di 2,89 TWh. La restante quota<br />
della domanda di 1,00 TWh, corrispondente a 20.000 Certificati Verdi della taglia di 50<br />
MWh, è stata coperta dai Certificati verdi a disposizione del GRTN. Il prezzo di riferimento<br />
individuato dal GRTN per i certificati verdi per l’anno 2005 è pari a 108,92 €/MWh ( al netto<br />
dell’IVA del 20 %).<br />
(Testo ripreso dal sito del GRTN).<br />
IL SISTEMA ITALIANO PREVEDE UNA SERIE DI Incentivi nazionali per la<br />
produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.<br />
Sono previsti Contributi in conto capitale per impianti a fonti rinnovabili per la produzione di<br />
energia elettrica e/o termica per le piccole e medie imprese. Il Ministero <strong>dell'Ambiente</strong> e<br />
della Tutela del Territorio e del Mare, congiuntamente con MCC S.p.A. ha emanato il<br />
Bando per le Piccole e Medie Imprese pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16<br />
gennaio 2007, che prevede la corresponsione di contributi in conto capitale per la<br />
realizzazione delle seguenti tipologie di impianti:<br />
- impianto fotovoltaico connesso alla rete di potenza nominale compresa tra 20 e 50 kWp;<br />
- impianto eolico connesso alla rete di potenza nominale compresa tra 20 e 100 kWp;<br />
- impianto solare termico per la produzione di acqua calda sanitaria, per il riscaldamento e<br />
raffrescamento degli ambienti, per la fornitura di calore di processo a bassa temperatura e<br />
per il riscaldamento delle piscine. Sono incentivati gli impianti che impiegano collettori<br />
piani vetrati, sottovuoto e piani non vetrati di superficie lorda compresa tra 50 e 500 m2,<br />
equivalenti a 35 e 350 kW;<br />
- impianto termico a cippato o pellets da biomasse, per la produzione di calore, di potenza<br />
nominale compresa tra 150 e 1000 kW.<br />
Il Bando contiene le modalità ed i relativi termini per la presentazione delle istanze, i limiti<br />
di cofinanziamento relativi alle singole tipologie tecnologiche, la modulistica da utilizzare,<br />
276
le indicazioni utili per la concessione dei contributi nonché le risorse disponibili.<br />
Si precisa che le istanze potranno essere presentate a partire dal quarantesimo giorno<br />
dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.<br />
IL FOTOVOLTAICO IN ITALIA<br />
Principalmente la normativa di riferimento per quanto riguarda l' installazione di pannelli<br />
solari è data da:<br />
- D.Lgs 29/12/2003 n. 387 – Attuazione della Direttiva 2001/77/CE sulla promozione delle<br />
fonti rinnovabili<br />
- DM 28/07/2005 – Criteri per l'incentivazione della produzione di energia elettrica<br />
mediante conversione fotovoltaica della fonte solare (introduzione del conto energia)<br />
- DL 19 agosto 2005, n. 192 - Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento<br />
energetico nell'edilizia<br />
- Delibera AEEG n°188/05 – Definizione del soggetto a ttuatore e delle modalità per<br />
l'erogazione delle tariffe incentivanti degli impianti fotovoltaici, in attuazione dell'articolo 9<br />
del DM 28/07/2005.<br />
- Decreto legislativo 29 Dicembre 2006 n° 311 - Dispo sizioni correttive ed integrative al<br />
decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante attuazione della direttiva 2002/91/CE,<br />
relativa al rendimento energetico nell'edilizia.<br />
Come funziona il conto energia In pratica: non viene elargito un contributo in "conto<br />
capitale" per comprarsi l'impianto, come succedeva in passato, ma viene riconosciuta una<br />
tariffa incentivante ai kWh prodotti dall’impianto fotovoltaico.<br />
La tariffa incentivante, riconosciuta all’energia prodotta per 20 anni, permette un rientro<br />
economico dell’investimento più rapido e premia l'efficienza dell' impianto.<br />
Nuove tariffe sono state fissate nell'ultimo decreto sul "conto energia" ( 19 Febbraio 2007)<br />
La novità più importante di questo ultimo decreto riguarda l'abolizione del tetto di kWh<br />
installabili in un anno, quindi niente piu' limiti annui ma un unico tetto di 1.500 Megawatt di<br />
potenza incentivabile fino al 2012.<br />
277
COSA PREVEDE IL NUOVO DECRETO DEL 19/02/2007 IN MATERIA DI INCENTIVI<br />
PER LE ENERGIE RINNOVABILI E FOTOVOLTAICHE NELLO SPECIFICO.<br />
Con il decreto interministeriale del 19/02/2007, pubblicato il 23/02/2007 parte ufficialmente<br />
il nuovo conto energia per il 2007. Tra le più importanti novità abbiamo:<br />
- semplificazione della procedura di accesso alle tariffe incentivanti e eliminazione della<br />
graduatoria<br />
- aumento della potenza incentivabile sino a 1.200 MW e possibilità di chiedere gli incentivi<br />
anche per impianti entrati in esercizio entro 14 mesi dalla data pubblicata sul sito del GSE<br />
(gestore servizi elettrici) in cui si raggiunge la su citata potenza incentivabile. I mesi<br />
diventano 24 per i soggetti pubblici.<br />
- tariffe differenziate in base al grado di integrazione con la struttura architettonica che<br />
ospita l' impianto.<br />
- maggiorazione delle tariffe per particolari soggetti quali: piccoli comuni, autoproduttori,<br />
scuole e strutture sanitarie pubbliche.<br />
Il nuovo decreto diverrà pienamente operativo a partire dalla data di pubblicazione della<br />
delibera da parte dell' Autorità per l' energia elettrica e il gas prevista entro 60 giorni.<br />
Sarà possibile inoltre richiedere le nuove tariffe incentivanti entro 90 giorni dall' entrata in<br />
vigore della suddetta delibera per tutti gli impianti già entrati in esercizio ma nel periodo<br />
che va dal 1° Ottobre 2005 sino all' entrata in vig ore della delibera stessa. Questo sarà<br />
possibile a determinate condizioni ed in particolare: che gli impianti fotovoltaici siano stati<br />
realizzati nel rispetto dei decreti interministeriali del 28 Luglio 2005 e 6 Febbraio 2006. Tali<br />
impianti inoltre non dovranno aver beneficiato delle tariffe dei medesimi decreti.<br />
COME FUNZIONA IL NUOVO CONTO ENERGIA (2007)<br />
Lo scopo principale è quello di offrire una rendita a chi installa un impianto fotovoltaico e<br />
quindi che produce energia elettrica attraverso i pannelli fotovoltaici. Si prevede un doppio<br />
vantaggio e cioé oltre al contributo incentivante riconosciuto attraverso la vendita dell'<br />
energia elettrica in rete l' utente non pagherà in bolletta il proprio consumo di energia pari<br />
alla quota di energia venduta.<br />
Il conto energia è valido per tutta l' Italia. Gli impianti fotovoltaici che rientrano nella fascia<br />
da 1 a 20 KW non sono considerati industriali e pertanto non sono soggetti a verifica<br />
ambientale a meno che gli impianti stessi non siano ubicati in aree protette. Gli impianti<br />
278
potranno essere realizzati anche in aree agricole senza che sia necessario il cambio di<br />
destinazione d' uso dei siti dove sorgono gli impianti stessi.<br />
COSA PREVEDE IL NUOVO CONTO ENERGIA (2007)<br />
L' obiettivo del nuovo conto energia è quello di installare 3.000 MW di potenza nominale<br />
entro il 2016. Si prevede una tappa intermedia al raggiungimento di 1.200 MW installati.<br />
Dopo questa soglia ci sarà una revisione del sistema.<br />
TARIFFE INCENTIVANTI DEL NUOVO CONTO ENERGIA (2007)<br />
Avranno diritto alle tariffe incentivanti tutti gli impianti entrati in esercizio alla data di<br />
emanazione del provvedimento ed il 31 Dicembre 2008. Dal primo Gennaio 2009 le tariffe<br />
incentivanti subiranno un decremento del 2%. Gli incentivi vanno dai 36 centesimi a 49<br />
centesimi per KW ora a seconda della categoria in cui rientra l' impianto.<br />
Abbiamo raccolto una serie di informazioni relative agli impianti fotovoltaici domestici.<br />
Un impianto fotovoltaico per uso domestico di 3 kW costa circa 21.000 € e richiede una<br />
superficie di circa 30 mq per la sua installazione. Il Decreto Ministeriale 28 luglio 2005 ha<br />
peraltro previsto un contributo statale il cui ammontare, per i primi 10 anni, equivale alle<br />
spese sostenute per l’impianto. La durata complessiva dell’intervento pubblico è<br />
comunque di 20 anni.<br />
Per avere un sistema realizzato a “regola d’arte” è necessario rivolgersi ad un installatore<br />
qualificato. Alcuni fra i principali installatori costituiscono il GIFI (Gruppo delle Imprese<br />
Fotovoltaiche Italiane). L’ENEA nel corso degli ultimi anni ha organizzato corsi per la<br />
formazione di oltre 1000 fra progettisti e installatori di impianti fotovoltaici. Recentemente,<br />
in collaborazione con il Cepas l’ENEA sta predisponendo corsi per la certificazione delle<br />
figure professionali del settore.<br />
Le potenzialità sono enormi. Per esempio, se fossero impiegate le superfici ben esposte di<br />
copertura degli edifici esistenti in Italia (circa 800 km2), si produrrebbe il 40% del<br />
fabbisogno nazionale di elettricità.<br />
279
Cos’è che frena allora lo sviluppo del fotovoltaico<br />
Il costo dell’energia prodotta, che è certamente più elevato rispetto a quello dell’energia<br />
prodotta da fonte fossile.<br />
Nel corso degli ultimi 20 anni il costo degli impianti fotovoltaici si è ridotto di un fattore pari<br />
a circa 4. Oggi però il costo del kWh prodotta da fotovoltaico è ancora doppio rispetto a<br />
quello che si paga con la bolletta elettrica. Pertanto, per essere competitivo è necessario<br />
almeno il dimezzamento dei suoi costi attuali. Stime ragionevoli prevedono che, nelle<br />
regioni meridionali, ciò possa avvenire nell’arco di pochi anni.<br />
I benefici connessi al fotovoltaico sono principalmente di tipo socio-economico. Per<br />
esempio, in Germania, con un programma di forte incentivazione, l’occupazione nel<br />
fotovoltaico ha superato, nel 2005, le 20.000 unità con un fatturato pari a 1,8 miliardi di<br />
euro. In termini ambientali, si deve considerare che la potenza complessiva installata in<br />
Italia è ancora molto contenuta (circa 45 MW) e che, pertanto, la riduzione delle emissioni<br />
è poco significativa rispetto al totale .<br />
Attualmente in Italia è installata una potenza fotovoltaica pari a circa 45 MW. I programmi<br />
di incentivazione prevedono la realizzazione di 1000 MW al 2015 (D.M. 6 febbraio 2006).<br />
La maggior parte dei componenti installati in Italia proviene dal Giappone e dalla<br />
Germania. La notevole crescita dell’industria fotovoltaica in questi paesi è riconducibile<br />
all’attuazione, da oltre dieci anni, di programmi di incentivazione che hanno creato e<br />
garantito un mercato stabile e duraturo. Nonostante ciò, ci sono ancora le condizioni<br />
affinchè la nostra industria occupi uno spazio di rilievo a livello internazionale.<br />
Cosa sta facendo l’ENEA nel settore fotovoltaico<br />
L’ENEA ha un impegnativo programma per lo sviluppo delle seguenti tecnologie<br />
fotovoltaiche:<br />
del silicio cristallino: ottimizzazione dei singoli processi di fabbricazione di celle ad alta<br />
efficienza (nell’ambito di progetti EU); messa a punto di linee pre pilota per celle<br />
commerciali; sviluppo di celle innovative mediante serigrafia e processi laser;<br />
dei film sottili: definizione delle tecniche di deposizione via plasma, sputtering e fase<br />
vapore; ricerca e sviluppo di celle/moduli al silicio amorfo e sue leghe, a eterogiunzione e<br />
280
al silicio microcristallino; sviluppo di tecnologie su supporti flessibili per l’integrazione dei<br />
moduli fotovoltaici in edilizia;<br />
dei sistemi a concentrazione: sviluppo di celle ad alta efficienza; ottimizzazione dei<br />
dispositivi ottici e dei sistemi di inseguimento.<br />
Per quanto riguarda i sistemi, oltre a progettare e realizzare nuove applicazioni, analizza le<br />
prestazioni di impianti integrati negli edifici, di media taglia, di sistemi ibridi e dei primi<br />
prototipi dei sistemi a concentrazione.<br />
IMPIANTI SOLARI TERMICI<br />
In Italia ci si aspetta un’ampia crescita degli impianti solari termici, trainata, come già<br />
accennato, dalla nuova direttiva europea sulle prestazioni energetiche degli edifici (EU<br />
2002/91), già recepito dallo stato italiano con il Decreto legislativo 192/05, recentemente<br />
integrato dal Decreto Legislativo 311/2006.<br />
È bene ricordare che è ancora aperto il bando del Ministero <strong>dell'Ambiente</strong> per gli enti<br />
pubblici e le aziende gas che intendono realizzare gli impianti solari termici. Del fondo<br />
sono ancora disponibili 5milioni 700mila euro e un nuovo bando uscirà a breve<br />
(Febbraio/Marzo 2007).<br />
PROGETTO ARCHIMEDE: PRESTO IL PRIMO IMPIANTO<br />
Sorgerà a Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, il primo impianto al mondo che<br />
integrerà un ciclo combinato a gas con un impianto solare termodinamico. Si tratta del<br />
progetto Archimede, frutto del lavoro del premio Nobel Carlo Rubbia, che sarà realizzato<br />
da Enel ed Enea, sulla base di un accordo firmato il 26 marzo scorso.<br />
Si partirà con la realizzazione di un primo modulo da 5 Megawatt che fornirà energia a<br />
4500 famiglie, consentendo un risparmio di circa 2.400 tonnellate equivalenti di petrolio<br />
all’anno. L’investimento complessivo ammonta invece a oltre 40 milioni di euro e dovrebbe<br />
essere completato entro il 2009.<br />
281
IMPIANTI EOLICI IN ITALIA<br />
Riportiamo un elenco delle località italiane dove sono ubicati gli impianti eolici:<br />
Albanella (SA)<br />
Andretta (AV)<br />
Cortale (CZ), impianto "Serra del Gelo" con 7 aerogeneratori da 850 KW cad.<br />
Val di Sambro (BO)<br />
Pedagaggi/Carlentini (SR)<br />
Siculiana (AG)<br />
Greci (AV)<br />
Varese Ligure (SP)<br />
Porto Torres (SS), presso la centrale di Fiumesanto<br />
Surbo (LE), 36 MW (progetto Lecce 3, attivazione prevista nel marzo 2007)<br />
Fossato di Vico (PG)<br />
Poggio Imperiale (FG), in funzione entro il 2007<br />
È bene considerare, però, che in Italia soltanto il 70% dei progetti eolici viene ultimato. A<br />
lanciare l'allarme è il presidente dell'Anev, l'associazione nazionale dell'energia e del<br />
vento. In Italia non tutto l'autorizzato diventa realizzabile, e non tutto il realizzabile viene<br />
autorizzato. L'energia rinnovabile più competitiva stenta a trovare spazio in Italia dove il<br />
potenziale eolico viene stimato dall'ENEA a 10 mila MW. Gli impianti eolici installati<br />
coprono soltanto la potenza di 2 mila MW, lasciando ampio margine di miglioramento sul<br />
versante sia dell'efficacia sia dell'efficienza. Il vero nemico di questa energia, a nostro<br />
giudizio, non sono però le sparute opposizioni dei movimenti NIMBY ma gli stessi iter<br />
burocratici e normativi che dovrebbero sostenere le energie rinnovabili nel nostro paese. Il<br />
282
dito viene puntato sulla carenza legislativa italiana e sull'incertezza permanente nei casi di<br />
attribuzione delle competenze tra Stato e Regioni che si riflette nel maggior rischio<br />
d'impresa per gli investitori, e quindi nel costo di realizzazione degli impianti. L'assenza di<br />
un indirizzo nazionale, di piani di sviluppo e di aiuti economici, necessari al decollo del<br />
settore, complica il tutto lasciando ogni impianto alle contingenze locali. Le ultime<br />
dichiarazioni dell'ANEV lanciano l'allarme sul futuro dell'energia eolica nel nostro paese.<br />
Le installazioni più recenti sono frutto dell'onda lunga originata tre anni fa. Da allora, però,<br />
troppo poco è stato fatto dal governo e il futuro dell'eolico in Italia sembra essere ancora<br />
un libro bianco ancora da scrivere.<br />
IL MINIEOLICO<br />
La produzione di energia elettrica dal vento può essere realizzata attraverso<br />
aerogeneratori di altezza e potenza ridotte (10-20 metri, e anche meno), in grado di servire<br />
utenze diffuse (aziende agricole, imprese artigianali, utenze domestiche, ecc.) e risultare<br />
integrati in paesaggi agricoli. In Italia questo modello eolico diffuso sta compiendo oggi i<br />
primi passi, ma ha importanti potenzialità proprio per le caratteristiche del territorio italiano<br />
e del vento presenti. Questa tecnologia dovrebbe vivere un forte rilancio nei prossimi mesi<br />
e anni in seguito all’uscita della delibera 28/06 dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas<br />
(AEEG) che consente di allacciare in rete tutti i piccoli impianti a fonti energetiche<br />
rinnovabili (sotto i 20 kW) e di praticare uno scambio alla pari (net metering) tra energia<br />
prodotta e riversata in rete e energia attinta dalla rete in momenti di scarsa produttività del<br />
proprio impianto.<br />
IMPIANTI CHE UTILIZZANO BIOMASSA<br />
Gli impianti da biomassa nei Comuni italiani forniscono un contributo al bilancio energetico<br />
nazionale pari a 1.981 Gwh (dati ENEA 2004) che equivalgono al fabbisogno di 792.000<br />
famiglie.<br />
Di particolare interesse è il sostanziale pareggio delle emissioni di CO2 tra quelle<br />
complessivamente assorbite dalle piante e quelle emesse nell’atmosfera dei suddetti<br />
impianti.<br />
Piuttosto critico è invece il bilancio delle polveri sottili. Da notare l’assenza delle emissioni<br />
di zolfo legato alla problematica delle piogge acide.<br />
283
Promozione dell’uso dei biocarburanti<br />
In Italia il Decreto 30/05/2005 n.128 che recepisce la Direttiva 2003/30/CE del 2003 sulla<br />
promozione dell’uso dei biocarburanti, ha fissato gli obiettivi in:<br />
-1% di biocarburanti entro 31/12/2005<br />
- 2,5% biocarburanti entro 31/12/2010.<br />
“NUOVO PIANO SULL’EFFICIENZA ENERGETICA, SULLE RINNOVABILI E<br />
SULL’ECO INDUSTRIA”<br />
Il Governo ha presentato il 19 febbraio 2007 il "Nuovo piano sull'efficienza energetica,<br />
sulle rinnovabili e sull'eco industria" contenente le misure - presenti e future - con cui<br />
l'esecutivo intende perseguire su più larga scala gli obiettivi in materia di sicurezza ed<br />
ecocompatibilità. Incrementare la domanda di prodotti ecocompatibili (fotovoltaico,<br />
certificati bianchi, certificati verdi, cogenerazione e bioedilizia) e sviluppare una forte<br />
industria nazionale del settore, questi in sintesi i due principali fronti di lavoro in cui il<br />
Governo intende proseguire.<br />
Viene varato così un pacchetto di misure destinate, per usare le parole del presidente del<br />
consiglio Romano Prodi, a produrre "un radicale cambiamento dei comportamenti della<br />
gente". Entusiasta anche il principale promotore del nuovo piano, il ministro per lo sviluppo<br />
economico Pier Luigi Bersani "questo piano ci aiuterà dal lato ambientale ma anche dal<br />
lato economico. Credo che con queste misure un certo incoraggiamento alla crescita<br />
possa avvenire. L'efficienza energetica è una carta importante per l'ambiente, fa bene al<br />
Paese, fa bene alle famiglie che possono risparmiare, fa bene alle attività economiche,<br />
alle industrie..."<br />
Il Piano, che prevede un impegno di 2/ 2,5 miliardi complessivi, è diviso in 6 punti, tra<br />
ammodernamento della produzione e incentivi per l'efficienza energetica, ecco un estratto<br />
(punto per punto) del documento di sintesi presentato dal Governo:<br />
Incentivi per la riqualificazione degli edifici: viene innalzato dal 36 al 55% la detrazione<br />
fiscale per gli interventi che consentono di ridurre le dispersioni termiche; per l'installazione<br />
di pannelli solari e per la sostituzione di vecchie caldaie con nuove ad alta efficienza.<br />
284
Incentivi per la riqualificazione nell'industria: prevista la detrazione fiscale del 20% per<br />
l'acquisto e l'installazione di motori elettrici trifasi in bassa tensione ad elevata efficienza<br />
con potenza compresa tra 5 e 90 kW sia per nuova installazione sia per la sostituzione di<br />
vecchi. Stessa detrazione per l'acquisto e l'installazione di variatori di velocità di motori<br />
elettrici con potenze da 7,5 a 90 kW. Questa misura è di particolare importanza perché<br />
riqualifica i processi produttivi delle imprese abbassandone i consumi energetici. Si<br />
consideri che attualmente i motori elettrici delle industrie, di efficienza molto bassa,<br />
assorbono una quantità di energia elettrica pari ad oltre i 2/3 dei consumi elettrici<br />
industriali nel loro complesso.<br />
Incentivi per la mobilità sostenibile: prevista la riduzione del carico fiscale per il Gpl (-20%)<br />
e incentivi per creare un parco auto ecologico e diminuire l'inquinamento. Ne possono<br />
godere chi sostituisce autovetture Euro 0 ed Euro 1 con altre di categoria Euro 4 ed Euro 5<br />
(che emettano non oltre 140 grammi di CO2 al chilometro) ha diritto ad un bonus di 800<br />
Euro e all'esenzione dalla tassa automobilistica per due anni (che diventano tre anni per<br />
autovetture di cilindrata inferiore a 1300 cc e per i nuclei familiari di almeno sei<br />
componenti). Il cittadino avrà lo sconto di 800 euro sul veicolo acquistato direttamente dal<br />
concessionario al momento dell'acquisto. Sarà poi lo Stato a rimborsare il concessionario.<br />
Nel caso in cui, invece, si converta l'autoveicolo a gas, Gpl o metano si ottiene uno sconto<br />
di 650 euro direttamente dall'installatore entro i 3 anni successivi alla data di<br />
immatricolazione del veicolo. Nel caso di conversione di una macchina ‘euro 0-1' lo sconto<br />
è pari a 350 euro. Previsti sconti anche per la sostituzione di autocarri Euro 0 e Euro 1 con<br />
altri di categoria Euro 4 e Euro 5 (2000 euro), chi acquista autovetture o autocarri a gas,<br />
Gpl, motore elettrico o a idrogeno (bonus da 1500 euro fino a 2000 euro), chi sostituisce<br />
motocicli (cilindrata superiore a 50 centrimetri cubici) Euro 0 con altri di categoria Euro 3 e<br />
chi rottama autovetture Euro 0 ed Euro 1.<br />
Incentivi al sistema agroenergetico: obiettivi di miscelazione obbligatoria di biocarburanti in<br />
crescita fino al 2010; riduzione della tassazione sul biodiesel (accisa -80% rispetto al<br />
gasolio) per 250 mila tonnellate l'anno e sul bioetanolo (accisa - 50% rispetto alla benzina)<br />
per 100 mila tonnellate l'anno; strumenti di sviluppo di filiere produttive dedicate,<br />
dall'agricoltura all'industria di trasformazione, e individuazione di criteri di priorità per<br />
l'utilizzo dei biocarburanti che ne derivano.<br />
Novità per il Fondo Kyoto: 600 milioni di euro per il triennio 2007-2009 (a valere sul Fondo<br />
rotativo, istituito presso la Cassa depositi e Prestiti) sono stati assegnati dalla Finanziaria<br />
2007 in favore di misure di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.<br />
285
Entro il 31 marzo il Ministro <strong>dell'Ambiente</strong> e il Ministro dello Sviluppo economico (sentita la<br />
Conferenza Unificata) individueranno le modalità di erogazione dei finanziamenti a tasso<br />
agevolato per soggetti pubblici e privati da destinare prioritariamente a queste misure.<br />
Il nuovo decreto per l'incentivazione della produzione di energia elettrica dal sole (D.<br />
Lgs.311/2006) offre a famiglie, condomini, soggetti pubblici, imprese grandi e piccole la<br />
possibilità di diventare produttori di energia elettrica pulita e rinnovabile, sia per<br />
l'autoconsumo, sia per la cessione al sistema elettrico. Inoltre, fornisce agli operatori un<br />
quadro certo e di sicuro stimolo per gli investimenti e per l'innovazione tecnologica,<br />
creando le premesse per la costruzione di una filiera italiana dell'energia solare. Questi<br />
risultati vengono perseguiti stabilendo che chi lo desidera può installare il fotovoltaico<br />
accedendo in maniera automatica alla tariffa incentivante che può arrivare a 0,49 euro per<br />
kWh, senza pagare l'energia utilizzata per il proprio fabbisogno.<br />
LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA DEGLI EDIFICI<br />
Abbiamo precedentemente chiarito quanto sia importante il risparmio energetico<br />
realizzabile modificando le abitudini del cittadino, ma soprattutto ricorrendo ai dovuti<br />
accorgimenti nel campo dell’edilizia e degli impianti domestici che sfruttano le varie forme<br />
di energia.<br />
Lo Stato Italiano ha recepito la direttiva 2002/91/CE sulla certificazione energetica degli<br />
edifici, finalizzata, appunto, alla riduzione dei consumi di energia e di inquinamento, con il<br />
D.Lgs. n°192 del 19 Agosto 2005, che è stato recent emente corretto e integrato dal D.Lgs.<br />
311 del 29 Dicembre 2006.<br />
Per Certificazione Energetica degli edifici intendiamo l’insieme delle attività di valutazione<br />
finalizzate al rilascio dell’attestato di prestazione energetica, riportante i consumi<br />
convenzionali del fabbricato e i suggerimenti della prestazione energetica stessa.<br />
La certificazione energetica consente infatti di conoscere i consumi energetici degli<br />
immobili e di avere informazione sulle caratteristiche energetiche dell’immobile, in questo<br />
modo l’acquirente può valutare se gli conviene spendere di più per un prodotto migliore dal<br />
punto della gestione e manutenzione; questo fa si che gli edifici di classe A siano più<br />
ricercati e più valorizzati.<br />
L’obbligo di questa certificazione rappresenta , di fatto, un cambiamento rispetto a quanto<br />
prescritto dalla legge 10/91: se prima l’attività di controllo dei consumi energetici era<br />
demandata ai singoli Comuni che, nella maggior parte dei casi, non avevano le<br />
286
competenze necessarie, ora ha valore la firma del progettista, ma soprattutto il controllo<br />
dell’utente finale che analizzando i consumi al termine delle stagioni di riscaldamento e di<br />
condizionamento, è in grado di verificare la veridicità delle dichiarazioni rilasciate dal<br />
progettista al termine della fase di studio. Il certificato energetico dell’edificio ha una durata<br />
di dieci anni a partire dal suo rilascio e dovrà essere aggiornato nel caso di interventi di<br />
ristrutturazione che possono modificare le prestazioni dichiarate.<br />
Con le recenti modifiche il governo rende obbligatoria la certificazione energetica negli<br />
edifici sia nuovi che esistenti, a differenza del decreto 2005/192 che prevedeva<br />
l’obbligatorietà della certificazione energetica soltanto per le nuove costruzioni e le<br />
ristrutturazioni con determinate caratteristiche tecniche.<br />
Tuttavia fino a quando non vi saranno linee guida ufficiali (così come prevede l' art. 5 del<br />
nuovo decreto) il certificato energetico potrà essere sostituito da un attestato di<br />
qualificazione redatto dal progettista o dal direttore dei lavori.<br />
L’adeguamento alla nuova normativa naturalmente sarà graduale. Dal 1° luglio 2007 il<br />
certificato attestante la capacità di risparmio energetico diventerà necessario anche per gli<br />
edifici esistenti o in fase di costruzione alla data di entrata in vigore del dlgs 192/2005, ma<br />
solo nel momento della compravendita.<br />
Sempre dal 1° luglio 2007 diventa obbligatorio il “ bollino verde” anche per gli edifici<br />
superiori ai 1000 metri quadrati, nel caso di compravendita dell'intero immobile. Dal 1°<br />
luglio 2008 l'obbligo viene esteso anche agli immobili di superficie inferiore ai 1000 metri<br />
quadrati, ma sempre nel caso di compravendita dell'intero immobile. Soltanto dal 1° luglio<br />
2009 l'attestato di efficienza energetica non potrà mancare anche nelle compravendite di<br />
singoli appartamenti.<br />
Il decreto prevede inoltre l' obbligatorietà per i nuovi edifici dell' installazione di impianto<br />
solare termico per riscaldamento dell' acqua ed impianto fotovoltaico la cui potenza sarà<br />
stabilità con decreto successivo.<br />
Uno dei punti di debolezza dei decreti legislativi citati è rappresentato dalla previsione di<br />
vari decreti attuativi, cui si aggiunge la libera iniziativa delle Regioni.<br />
L'uscita delle Linee Guida nazionali è comunque attesa a breve, e consentirà di rendere<br />
operativo il dispositivo anche in assenza di provvedimenti regionali.<br />
Nel frattempo, al fine di rendere attuabili alcune disposizioni della Legge Finanziaria 2007,<br />
è stato emanato dal Ministero dell'Economia e delle Finanze di concerto con il Ministero<br />
287
dello Sviluppo Economico, il Decreto 19 febbraio 2007 (pubblicato sulla GU n. 47 del 26-2-<br />
2007) recante disposizioni in materia di detrazioni per le spese di riqualificazione<br />
energetica del patrimonio edilizio esistente, di cui al comma 349 della legge stessa. Le<br />
detrazioni dall'imposta lorda pari complesivamente al 55%, riguardano tutte le spese<br />
documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2007, per interventi di riqualificazione<br />
energetica degli edifici (commi dal 344 al 349) che conseguono un indice di prestazione<br />
energetica per la climatizzazione invernale inferiore di almeno il 20%, per coperture,<br />
pavimenti e infissi, per l’installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda per<br />
usi domestici e industriali, per la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con<br />
impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di<br />
distribuzione.<br />
Oltre all'asseverazione di un tecnico abilitato è necessaria anche una copia dell'attestato<br />
di certificazione o qualificazione energetica (art. 4).<br />
La Direttiva 2002/91/CE non indica un procedimento unico per la certificazione, lasciando<br />
libertà di scelta ai paesi membri. Ciò, se da un lato permette di tenere conto delle<br />
peculiarità delle diverse aree nella predisposizione delle linee guida, dall'altro rende<br />
difficile trovare quell'uniformità che consentirebbe un confronto a livello comunitario (e<br />
forse anche nazionale) delle prestazioni degli edifici.<br />
A tale proposito, è ormai opinione comune il considerare una certificazione semplificata<br />
che suddivida in classi di efficienza energetica gli immobili (simile a quella utilizzata per gli<br />
elettrodomestici) e che utilizzi un descrittore espresso in kWh/m2 anno come rapporto tra il<br />
fabbisogno annuo di energia e la superficie utile dell'unità immobiliare (per superficie utile<br />
si intende quella netta calpestabile di un edificio come riportata nelle definizioni<br />
dell'allegato A del D. Lgs. 311/06).<br />
Può essere utile segnalare la partecipazione di alcuni paesi europei al progetto<br />
internazionale IMPACT (IMproving energy Performance Assessment and Certification<br />
schemes by Tests) il cui obiettivo è quello di collaudare dei sistemi di certificazione degli<br />
edifici per riuscire a determinare delle utili raccomandazioni nel campo della certificazione.<br />
La pubblicazione delle linee guida nazionali è prevista per la prima metà del 2007 ed allora<br />
sarà possibile dare indicazioni più precise sulle modalità applicative della legge.<br />
288
ESPERIENZE ITALIANE<br />
Si citano di seguito alcune recenti esperienze italiane in tema di certificazione energetica<br />
degli edifici.<br />
Il primo caso riguarda l'iniziativa della provincia autonoma di Bolzano, che ha istituito un<br />
sistema di certificazione energetica di tipo volontario che prevede l'assegnazione del<br />
marchio casaclima. Esso rappresenta il primo sistema di certificazione istituito in Italia,<br />
antecedentemente al D.Lgs. 192/05, che tiene però conto della qualità dell'involucro<br />
edilizio e non considera il tipo di impianto termico.<br />
Con il progetto "CasaClima" della Provincia di Bolzano, sull'esempio della classificazione<br />
degli elettrodomestici, è stato applicato il metodo delle lettere e dei colori per indicare i<br />
bilanci energetici delle abitazioni (ad esempio, A-colore verde, per le case con consumi<br />
inferiori ai 30 kWh/m2/anno). Un documento di identità con tutte le informazioni<br />
energetiche necessarie all'inquilino, utili anche per individuare i punti critici dell'abitazione<br />
nel caso di ulteriori interventi di miglioramento dei consumi. Il comune di Bolzano è il primo<br />
in Italia ad aver introdotto l'obbligo della certificazione (volontaria nel resto della Provincia)<br />
ed ha anche prescritto lo standard energetico per tutto il territorio, cioè almeno lo standard<br />
C (inferiore a 70 kWh/m2/anno).<br />
In seguito all'emanazione del D.Lgs. 192/05 la sola Regione Lombardia ha pubblicato<br />
delle Linee Guida regionali , avvalendosi dei poteri concessi dalla riforma del Titolo V della<br />
Costituzione Italiana. Ad essa si è accompagnata l'istituzione dell'ente di accreditamento<br />
denominato SACERT, Sistema per l'accreditamento degli organismi di certificazione degli<br />
edifici, che vuole fornire un punto di riferimento qualificato proponendo delle procedure di<br />
certificazione e delle metodologie di calcolo trasparenti e aperte ad ogni contributo da<br />
parte di enti ed istituzioni pubbliche e private. Anche se è una iniziativa su base volontaria,<br />
le proposte di SACERT cercano di essere un supporto per un efficace rinnovamento del<br />
mercato edilizio.<br />
289
LA PUGLIA E LA QUESTIONE DELL’ENERGIA<br />
Riportiamo una SINTESI DEL P.E.A.R. (Piano Energetico Ambientale Regionale) della<br />
nostra Regione.<br />
La Regione Puglia ha analizzato il sistema energetico locale basandosi sulla ricostruzione<br />
per il periodo 1990-2004 dei bilanci energetici annuali regionali. Ciò è avvenuto<br />
considerando:<br />
- il lato dell’offerta di energia, soffermandosi sulle risorse locali di fonti primarie sfruttate nel<br />
corso degli anni e sulla produzione di energia elettrica;<br />
- il lato della domanda di energia disaggregando i consumi per settori di attività e per<br />
vettori energetici utilizzati.<br />
PRODUZIONE DI FONTI PRIMARIE<br />
A fine 2004 la produzione interna lorda di fonti primarie in Puglia registrava un livello<br />
simile a quanto registrato nei primi anni novanta, ovvero pari a circa 773 ktep, ma con un<br />
notevole cambiamento della composizione delle fonti primarie come si evince dal<br />
seguente grafico con relativa tabella:<br />
290
1.800<br />
1.600<br />
1.400<br />
1.200<br />
[ktep]<br />
1.000<br />
800<br />
600<br />
400<br />
200<br />
0<br />
1990 1991199219931994<br />
1995 1996 1997 1998 1999 2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
Totale<br />
Gassosi<br />
Liquidi<br />
Rinnovabili<br />
Solidi<br />
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004<br />
Solidi 109 114 110 117 84 132 109 123 110 106 67 0 0 0 0<br />
Rinnovabili 6 5 8 12 13 11 18 33 74 110 189 218 246 238 345<br />
Liquidi 3 2 2 2 2 2 2 1 538 702 543 1 0 0 0<br />
Gassosi 593 628 618 734 821 923 1.068 950 927 817 761 691 601 500 428<br />
Totale 711 749 738 865 920 1.068 1.197 1.107 1.649 1.735 1.560 910 847 738 773<br />
In particolare, si possono evidenziare i seguenti fenomeni:<br />
la produzione di combustibili gassosi è caratterizzata da un sensibile incremento tra il<br />
1990 e il 1996, per poi ridiscendere costantemente. Il dato del 2004 corrisponde a circa<br />
520 Mmc e le stime del 2005 indicano un ulteriore calo di produzione ad un livello di poco<br />
superiore ai 400 Mmc. Tale calo è in linea con l’andamento complessivo nazionale. Al 31<br />
dicembre 2004 sul territorio della Regione Puglia risultavano vigenti 15 concessioni di<br />
coltivazione di idrocarburi per complessivi 1.267 kmq. I pozzi sono presenti<br />
essenzialmente in provincia di Foggia. La produzione pugliese nel 2004 corrispondeva al<br />
22% della produzione nazionale su terraferma ed è la più rilevante dopo quella della<br />
Basilicata;<br />
la produzione di combustibili liquidi è attualmente assente, mentre ha avuto un picco nel<br />
triennio 1998 – 2000, arrivando ad un valore di 700.000 tonnellate all’anno;<br />
291
i combustibili solidi sono da intendersi come fonti derivanti essenzialmente da attività<br />
industriali e sono presenti sotto forma di gas di processo. Si sono mantenuti ad un livello di<br />
circa 100 ktep fino al 2000, per poi scomparire.<br />
le fonti rinnovabili includono essenzialmente le biomasse e le diverse fonti di produzione di<br />
energia elettrica, essenzialmente idroelettrico, eolico e fotovoltaico (in questo caso le fonti<br />
primarie sono valutate a 2200 kcal per kWh prodotto) . Il ruolo di tali fonti è stato in<br />
continua crescita e nel 2005 queste costituiscono ormai la principale fonte di produzione<br />
primaria della Regione. All’inizio degli anni ’90 la produzione di fonti rinnovabili primarie<br />
coincideva essenzialmente con la legna da ardere, mentre la quota destinata alla<br />
produzione di energia elettrica è andata incrementandosi costantemente soprattutto a<br />
partire dal1997.<br />
PRODUZIONE LOCALE DI ENERGIA ELETTRICA<br />
Il territorio della regione Puglia è caratterizzato dalla presenza di numerosi impianti di<br />
produzione di energia elettrica funzionanti sia con fonti fossili che con fonti rinnovabili.<br />
La produzione lorda di energia elettrica al 2004 è stata di 31.230 GWh (nel 2005 la<br />
produzione è stata leggermente superiore: 31.750 GWh), a fronte di una produzione di<br />
circa 13.410 GWh nel 1990.<br />
La suddetta produzione è dovuta ad una potenza installata che è passata dai 2.650 MW<br />
nel 1990 ai 6.100 MW nel 2004 come si evince dal seguente grafico:<br />
35.000<br />
7 .0 0 0<br />
30.000<br />
6 .0 0 0<br />
25.000<br />
5 .0 0 0<br />
[GW h ]<br />
20.000<br />
15.000<br />
4 .0 0 0<br />
3 .0 0 0<br />
[MW ]<br />
10.000<br />
2 .0 0 0<br />
5.000<br />
1 .0 0 0<br />
0<br />
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004<br />
Produz ione (GW h) 13.409 13.319 15.262 14.234 13.174 14.087 15.789 23.321 23.192 22.954 25.358 26.411 29.854 30.994 31.230<br />
Potenz a(MW) 2.649 3.311 4.631 5.248 5.287 5.288 5.796 5.849 5.886 5.952 5.998 5.916 5.922 5.938 6.099<br />
0<br />
292
Nel 2004 la produzione di energia elettrica equivale a quasi due volte il consumo<br />
regionale, mentre nel 1990 il rapporto era di uno a uno.<br />
Il ruolo degli impianti da fonti rinnovabili alla potenza installata complessiva nel 2004 è<br />
stato del 5,5%, a fronte di una produzione pari al 2,6% del totale.<br />
Per il 2004 le potenze e le produzioni delle principali tipologie di impianto sono riassunte<br />
nella tabella seguente.<br />
Impianti Potenza(MW) Potenza(%) Produzione(GWH) Produzione(%)<br />
Fonte fossile 5782 94,8 30426 9,4<br />
Di cui<br />
Operatori 5638 92,4 30281 97,0<br />
mercato<br />
Autoproduttori 144 2,4 145 0,5<br />
Fonte rinnovabile 317 5,2 804 2,6<br />
Di cui<br />
Biomassa 64 1,0 258 0,8<br />
Eolico 252 4,1 545 1,7<br />
Fotovoltaico 0,5 0,0 0,7 0,0<br />
TOTALE 6099 100,0 31230 100,0<br />
Si tenga presente che alcuni degli impianti di produzione elettrica lavorano in<br />
cogenerazione, producendo anche vapore per uso industriale.<br />
Per quanto riguarda le fonti energetiche rinnovabili, l’evoluzione della potenza installata e<br />
della produzione è rappresentata nei grafici seguenti.<br />
293
900<br />
800<br />
700<br />
600<br />
[GWh]<br />
500<br />
400<br />
300<br />
200<br />
100<br />
Totale<br />
0<br />
1990<br />
1992<br />
1994<br />
1996<br />
1998<br />
2000<br />
2002<br />
2004<br />
PV<br />
Biomassa<br />
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004<br />
PV 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1<br />
Idrico 0 0 0 0 0 0 3 3 4 4 4 3 0 0 0<br />
Biomassa 0 0 0 0 0 0 0 0 37 80 121 128 154 150 258<br />
Eolico 0 0 0 0 6 6 12 80 130 136 203 446 483 458 545<br />
Totale 0 0 0 0 6 6 15 83 171 220 327 577 637 608 804<br />
Figura 4 – Potenza elettrica installata di impianti a fonti rinnovabili<br />
350<br />
300<br />
250<br />
[MW]<br />
200<br />
150<br />
100<br />
50<br />
0<br />
1990 1992<br />
1994<br />
1996<br />
1998<br />
2000<br />
2002<br />
2004<br />
Totale<br />
Eolico<br />
Biom as s a<br />
Idrico<br />
PV<br />
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004<br />
PV 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1<br />
Idrico 0 1 1 1 1 2 2 2 2 2 1 1 1 1 0<br />
Biomassa 0 0 0 0 0 0 0 0 9 20 30 32 33 38 64<br />
Eolico 0 0 0 0 3 3 6 31 55 108 138 212 212 220 252<br />
T otale 0 1 1 1 4 5 8 33 66 130 169 245 246 259 317<br />
Figura 5 – Energia elettrica prodotta da impianti a fonti rinnovabili<br />
294
Per quanto riguarda l’eolico, i dati riguardanti il 2005 indicano una potenza installata di 340<br />
MW a cui si può associare una produzione di energia elettrica, per lo stesso anno, pari a<br />
circa 610 GWh (a regime la produzione di tali impianti supererà i 700 GWh).<br />
Nel grafico successivo si riportano le percentuali regionali di produzione da fonti fossili, da<br />
biomassa e da eolico rispetto al totale nazionale.<br />
L’EVOLUZIONE DEI CONSUMI DI ENERGIA<br />
I consumi energetici finali complessivi in Puglia conoscono un trend di crescita<br />
sostanzialmente<br />
costante, con un incremento del 19% (1,3% medio annuo).<br />
Come si vedrà in seguito, l’andamento complessivo risente del forte peso dei consumi nel<br />
settore<br />
industriale che è caratterizzato da una certa stabilità nei consumi. Se si sottrae questo<br />
settore dalla valutazione complessiva, si nota che l’incremento dei consumi a livello<br />
regionale è stato superiore che a livello nazionale (+33% contro +27%). La ripartizione<br />
settoriale dei consumi si caratterizza per una prevalenza del settore industriale, seguito dai<br />
trasporti ed un notevole incremento del settore terziario (oltre 66% nel periodo 1990 e<br />
2004).<br />
100<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
[%]<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004<br />
Fossile Eolico Biomassa Totale<br />
Figura 6 – Quota di produzione elettrica regionale sul totale nazionale per singole fonti<br />
295
Per quanto riguarda la distribuzione dei consumi per tipologia di vettore energetico, si nota<br />
che i combustibili solidi mantengono il primato dei più utilizzati, benché non abbiano subito<br />
variazioni nel periodo analizzato. Cresce invece del 41% il consumo di energia elettrica e<br />
del 35% circa il consumo di gas naturale, olio combustibile e benzina.<br />
Analizzando i consumi energetici per ogni settore possiamo affermare che:<br />
ll settore industriale hanno avuto un incremento dell’8% rispetto al 1990, ed i vettori<br />
energetici dominanti utilizzati sono:<br />
I combustibili solidi (oltre 50% dei consumi complessivi nonostante un calo registrato negli<br />
ultimi anni) e che come quantità rappresenta il 57% del totale nazionale.<br />
L’olio combustibile che ha subito un incremento del 35%.<br />
Il gas naturale con una evoluzione costante.<br />
Energia elettrica con un aumento del 52%, sensibilmente maggiore di quello nazionale<br />
(+24%);<br />
nel settore dei trasporti, (che ha registrato un notevole incremento rispetto al 1990 ( 29%)<br />
affiancando la tendenza nazionale) i vettori più utilizzati sono stati il gasolio (54%),<br />
la benzina (36%), mentre per il gas naturale l’incremento dei consumi è stato molto<br />
sensibile alla fine degli anni ’90, per poi assestarsi nuovamente.<br />
Nel settore residenziale si è registrato un incremento del 29% rispetto al 1990 .<br />
La ripartizione percentuale dei consumi per vettore energetico ha subito una forte<br />
variazione con una riduzione considerevole del gasolio (tre volte meno) e il forte<br />
incremento del gas naturale (+100) mentre il consumo di energia elettrica e stata più<br />
modesta (+19%).<br />
Nel settore terziario è stato registrato l’incremento più significativo nel consumo di energia<br />
complessivo della Regione, pari al 66% nel 2004 rispetto al 1990.<br />
Disaggregando per vettori, si nota come si sia verificato un grande incremento<br />
dell’incidenza dell’energia elettrica (+61%) e del gas naturale (+245%), mentre il consumo<br />
GPL è piuttosto stabile, e quello del gasolio in calo(-56%). Come per il residenziale a<br />
livello complessivo il totale dei vettori per uso termico è caratterizzato da un incremento di<br />
oltre il 70%.<br />
Il settore agricolo e della pesca ha registrato un incremento complessivo del 40% con<br />
l’utilizzo quasi esclusivo del gasolio come vettore energetico (una quota del 90%) che a<br />
avuto un incremento del 43% rispetto al 1990.<br />
296
POLITICA REGIONALE SUL TEMA DELL’ENERGIA<br />
Partendo dalle informazioni contenute nella sintesi del “Bilancio Energetico Regionale”e<br />
ispirandosi alle metodologie operative in materia di politiche, sono state redatte le linee di<br />
indirizzo, i piani e programmi di sviluppo territoriale sostenibile, orientati a coniugare<br />
qualità ambientale, benessere economico, coesione e crescita sociale.<br />
Le linee caratterizzanti la pianificazione energetica e ambientale regionale derivano da<br />
considerazioni riguardanti sia l’aspetto della domanda che l’aspetto dell’offerta di energia e<br />
si incrociano con gli obiettivi/emergenze della politica energetico-ambientale internazionale<br />
e nazionale, nel rispetto degli impegni di Kyoto e con la consapevolezza che l’evoluzione<br />
del sistema energetico va verso livelli sempre più elevati di consumo ed emissione di<br />
sostanze climalteranti.<br />
Sul lato dell’OFFERTA di energia , la Regione si pone l’obiettivo di costruire un mix<br />
energetico differenziato e, nello stesso tempo, compatibile con la necessità di<br />
salvaguardia ambientale.<br />
Azioni previste:<br />
dato che da anni la produzione di energia elettrica è molto superiore alla domanda interna<br />
ci si propone di proseguire nella stessa direzione, ma agendo sugli aspetti ancora da<br />
migliorare: riduzione dell’impatto ambientale e diversificazione delle risorse primarie<br />
utilizzate;<br />
limitare gradualmente l’impiego del carbone incrementando l’impiego del gas naturale e<br />
delle fonti rinnovabili. Nell’impiego del gas naturale, il piano prevede di attrezzare il<br />
territorio regionale con istallazioni che ne consentano l’approvvigionamento, per una<br />
capacità tale da poter soddisfare sia i fabbisogni interni che quelli limitrofi.<br />
Trovare le condizioni idonee per una valorizzazione molto più diffusa sul territorio, delle<br />
fonti rinnovabili.<br />
L’impiego delle fonti rinnovabili contribuirà al soddisfacimento dei fabbisogni relativi agli usi<br />
elettrici, termici e agli usi in autotrazione.<br />
Per quanto riguarda la fonte eolica, si richiama l’importanza dello sviluppo di tale risorsa<br />
come elemento non trascurabile nella definizione del mix energetico regionale, attraverso<br />
un governo che rivaluti il ruolo degli enti locali.<br />
Intervenire sui punti deboli del sistema di trasporto dell’energia.<br />
297
Sul lato della DOMANDA di energia la Regione si pone come obiettivo di superare le fasi<br />
caratterizzate da azioni sporadiche e scoordinate e di passare ad una fase di<br />
standardizzazione di alcune azioni.<br />
Azioni previste:<br />
applicare il concetto delle migliori tecniche e tecnologie disponibili.<br />
In ambito edilizio è necessario enfatizzare l’importanza della variabile energetica<br />
definendo alcuni parametri costruttivi cogenti.<br />
Il settore pubblico va rivalutato come gestore di strutture e impianti su cui si rendono<br />
necessari interventi di riqualificazione energetica.<br />
In ambito industriale è necessario implementare le attività di contabilizzazione energetica<br />
e di auditing per verificare le opportunità di razionalizzazione energetica.<br />
È prioritario valutare le condizioni idonee all’istallazione di sistemi funzionanti in<br />
cogenerazione.<br />
Nell’ambito dei trasporti si definiscono interventi che riguardano sia le caratteristiche<br />
tecniche dei veicoli che le modalità.<br />
In particolare si evidenzia l’importanza dell’impiego dei biocarburanti nei mezzi pubblici o<br />
di servizio pubblico.<br />
La fattibilità di tali obbiettivi dipende dagli strumenti opportuni di attuazione: tradizionali di<br />
settore, (regolamenti edilizi, strumenti di pianificazione urbanistica, di sviluppo rurale, i<br />
piani di trasporto,ecc.) e quelli recentemente introdotti a livello nazionale ed europeo<br />
(decreti sull’efficienza energetica, il recepimento della direttiva europea sull’efficienza<br />
energetica in edilizia, l’istituzione del sistema di emission trading, ecc.)<br />
I soggetti chiamati a contribuire sono sia pubblici (le public company che possono<br />
intervenire anche in ambiti in cui la presenza dei privati non risulterebbe conveniente) che<br />
in particolar modo quelli privati.<br />
Un importante ruolo da attribuire è alle attività di ricerca su fronti più avanzati quali quelle<br />
relative a particolari applicazioni dell’energia solare, o relative all’idrogeno.<br />
ANALISI DELLA DOMANDA DI ENERGIA<br />
Nel settore civile, le linee di tendenza in costante aumento sono due: aumento delle<br />
volumetrie rese disponibili(sia nel settore residenziale che non) , da una parte , e aumento<br />
del confort sia nelle abitazioni già esistenti che in quelle di nuova offerta sul mercato( che<br />
è passato dal 29% nel 1991 a 33% nel 2001 di abitazione per abitante).<br />
298
Dal analisi dei consumi specifici al 2001 sulla base dei valori ISTAT confrontati con i valori<br />
di riferimento D.L. 192/05 denotano una situazione critica, poiché la media dei consumi<br />
specifici si trova al di sopra al dei valori di riferimento.<br />
Azioni:<br />
L’orientamento generale che si intende seguire nel contesto del settore civile si basa sul<br />
concetto delle migliori tecniche tecnologiche disponibili.<br />
Considerando che il patrimonio edilizio esistente è caratterizzato da un esiguo tasso di<br />
turnover degli edifici, con un ciclo di vita che va da 50 a più di 100 anni, il miglioramento<br />
delle prestazioni energetiche degli edifici nel breve e medio termine va orientato agli edifici<br />
di nuova costruzione ma sicuramente anche agli edifici esistenti.<br />
Tra le azioni di maggiore efficacia si pone l’introduzione nell’apparato normativo, in<br />
particolare la parte più attuativa, di norme specifiche che riguardino il contenimento del<br />
fabbisogno energetico negli edifici. Naturalmente agire sugli edifici nuovi risulta più facile,<br />
ma il maggior vantaggio in termini ambientali è ottenibile agendo su edifici già esistenti.<br />
Il Piano identifica come obiettivo minimo quello di non incrementare i consumi energetici<br />
totali collegati alle strutture edilizie, nonostante eventuali previsioni di ampliamento<br />
volumetrico.<br />
La Regione indirizza i Comuni affinché introducano, nei propri strumenti urbanistici e di<br />
regolamentazione, dei valori di riferimento per i consumi specifici degli edifici, in un<br />
sistema di fasce o “profili di qualità edilizia” con un livello minimo a carattere obbligatorio e<br />
dei livelli più restrittivi a carattere volontario, possibilmente incentivati mediante vantaggi<br />
economici e/o fiscali.<br />
A supporto delle azioni di risparmio energetico in edilizia, la Regione sosterrà i comuni<br />
nella definizione e nelle gestione della certificazione energetica degli edifici; si doterà di<br />
una metodologia di registrazione, monitoraggio e verifica riguardante i consumi energetici<br />
del settore.<br />
L’adozione di criteri di maggiore efficienza energetica non è sufficiente, rendendosi<br />
necessarie delle azioni di coinvolgimento di diversi attori locali al fine di informare e<br />
formare, come le associazioni di categoria con le quali sarebbe opportuno formulare dei<br />
contratti di servizio energia standard abbinati al Decreto sul risparmio del 20 luglio 2004,<br />
con precisi obiettivi di risparmio energetico e precise modalità di partecipazione<br />
economica.<br />
Un altro campo d’intervento riguarda gli impianti di riscaldamento, dove un requisito di<br />
base è posto dall’adozione di sistemi centralizzati ad alta efficienza, là dove il livello di<br />
299
efficienza delle caldaie mediamene installate è inferiore rispetto a ciò che la tecnologia<br />
potrebbe consentire.<br />
Affinché ciò sia possibile e diventi uno standard, risulta fondamentale il coinvolgimento di<br />
installatori e manutentori nel portare argomenti convincenti a sostegno dei prodotti<br />
energicamente più efficienti.<br />
La Regione provvederà ad redigere un piano di riqualificazione degli impianti termici<br />
d’accordo con le associazioni di categoria interessate, alla sostituzione degli impianti<br />
individuali a favore degli impianti centralizzati con contabilizzazione individuale dei<br />
consumi. Particolare attenzione sarà prestata alla possibilità di integrazione di impianti<br />
solari termici.<br />
Ai fini del raggiungimento degli obiettivi identificati, la Regione definirà degli accordi<br />
volontari settoriali con le società di servizi energetici a cui viene riconosciuto un ruolo di<br />
particolare importanza nella realizzazione degli interventi di efficientizzazione energetica<br />
anche in virtù del fatto che tali interventi possono essere sostenuti dall’emissione di Titoli<br />
di Efficienza energetica.<br />
Il settore turistico riveste un ruolo interessante come presenza economica, per le strutture<br />
che presentano in genere, condizioni favorevoli all’uso di impianti solari per effetto della<br />
coincidenza temporale tra la massima richiesta di acqua calda sanitaria e la massima<br />
disponibilità di radiazione.<br />
Per qui la Regione intende farsi promotrice di un accordo ce coinvolge le associazioni di<br />
categoria, le Province e i Comuni interessati per avviare l’impiego di fonti rinnovabili.<br />
Oltre a quello turistico, un ambito di forte interesse ai fini della razionalità energetica è<br />
costituito dal settore commerciale. A tale riguardo è generalmente raccomandabile l’uso di<br />
sistemi che utilizzino come sorgente energetica il calore prodotto da una centrale con<br />
generativa. L’uso di gruppi ad assorbimento alimentati ad acqua calda permette infatti di<br />
incrementare la convenienza energetica ed economica dell’intero sistema di produzione,<br />
distribuzione e uso dell’energia.<br />
Per quanto riguarda l’utilizzo delle apparecchiature elettroniche per le quali il tempo di<br />
sostituzione è ragionevolmente rapido, e di conseguenza l’attivazione di opportune<br />
politiche rivolte al risparmio può avere interessanti ricadute, ulteriori azioni sono comunque<br />
necessarie per implementare l’acquisto dei prodotti ad alta efficienza già presenti sul<br />
mercato e per incentivare l’introduzione delle nuove classi A+ e A++.<br />
Si ritiene utile allestire un programma, imperniato sulle realtà commerciali presenti nel<br />
territorio, al quale le ESCO o i distributori di energia possano partecipare per ottemperare<br />
300
ai propri obblighi di legge, anche attraverso l’attivazione di incentivi agli utenti<br />
successivamente recuperabili con il meccanismo di aggiustamento tariffario previsto<br />
dall’Autorità.<br />
Nell’ambito dell’illuminazione esterna, si può affermare che è possibile conseguire un<br />
notevole risparmio energetico ed un ridotto impatto ambientale, essenzialmente attraverso<br />
3 azioni:<br />
sostituzione delle lampade a bassa efficienza luminosa con lampade caratterizzate da<br />
un’efficienza più elevata.<br />
interventi sui corpi illuminanti allo scopo di minimizzare o eliminare ogni forma di<br />
dispersione del flusso luminoso in direzioni diverse da quelle in cui questo è necessario.<br />
adozione di dispositivi atti a razionalizzare i consumi energetici degli impianti (come<br />
regolatori di flusso, interruttori crepuscolari, sistemi di telecontrollo)<br />
Tali adeguamenti degli impianti sono resi, inoltre, necessari dal fatto che l’Unione Europea<br />
ha deliberato la messa la bando delle lampade a vapori di mercurio su tutto il territorio<br />
Comunitario, e che potrà consentire risparmi energetici dell’ordine del 40%.<br />
Nel caso specifico della Puglia, questo significa che i consumi a livello regionale, pari a<br />
426 GWh nel 2004, sono destinati a scendere a 256 GWh/ano, con un risparmio di 170<br />
GWh.<br />
Nel pubblico, anche se generalmente disatteso, il DPR 412/93 in attuazione della Legge<br />
10/91 impone, per gli edifici di proprietà pubblica o di uso pubblico, di soddisfare il<br />
fabbisogno energetico favorendo il ricorso alle fonti rinnovabili, salvo impedimenti di natura<br />
tecnica o economica. Un certo movimento si è verificato negli ultimi anni con l’installazione<br />
di diversi impianti solari termici e fotovoltaici a seguito dei diversi bandi di finanziamento *<br />
Al fine di intraprendere e gestire azioni di efficienza energetica sul patrimonio pubblico, è<br />
necessario configurare, nel breve termine, un ambito di investimento di risorse volto<br />
all’adozione di strumenti informatizzati per l’organizzazione e la gestione dei dati relativi al<br />
patrimonio edilizio, al monitoraggio dei consumi energetici, agli interventi effettuati ed i<br />
risultati raggiunti, ecc.<br />
301
IL SETTORE PRODUTTIVO<br />
Il peso del settore industriale in Puglia si aggira sul 50% del totale dei consumi energetici.<br />
Questo settore è caratterizzato da una realtà imprenditoriale organizzata in distretti<br />
industriali, nella quale si possono individuare diverse linee di azione attinenti la<br />
razionalizzazione energetica:<br />
la riduzione dei consumi specifici di energia nei processi produttivi<br />
l’impiego di fonti energetiche rinnovabili di livello locale<br />
la razionalizzazione dei processi produttivi<br />
la realizzazione di sistemi di produzione energetica in con generazione.<br />
E’ indispensabile creare le condizioni affinché si sviluppi una contabilità energetica anche<br />
all’interno delle piccole imprese che permetterebbe di valutare le possibilità di inserimento<br />
della cogenerazione (la produzione combinata e contemporanea di energia elettrica ed<br />
energia termica).<br />
Lo sviluppo di sistemi di generazione energetica funzionanti in congenerazione risulta<br />
ancor più interessante nel caso di aree di nuova espansione industriale, con le condizioni<br />
di estensione dell’impiego termico agli usi civili.<br />
Analizzando il sistema industriale pugliese si osserva una forte vocazione all’adozione di<br />
sistemi cogenerativi dei settori alimentari, tessile e cartario.<br />
La politica energetica industriale si inserisce e integra in un più ampio contesto di politica<br />
energetica e ambientale di carattere nazionale e europeo, in particolare per quanto<br />
riguarda la cogenerazione:<br />
la Legge 239/04 sul riordino del settore energetico (che prevede l’emissione di Certificati<br />
Verdi per l’energia prodotta), la Direttiva 2004/8/CE sullo sviluppo della cogenerazione, i<br />
Decreti sull’efficienza Energetica del luglio 2004, la Direttiva 2003/87/sull’Emission Trading<br />
(che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni di gas a effetto serra nella<br />
Comunità).<br />
Nella progettazione di impianti produttivi è necessario prendere in considerazione la<br />
tipologia delle tecnologie utilizzate, in modo da minimizzare, compatibilmente con altre<br />
restrizioni di carattere ambientale, l’uso e l’impatto di tutte le fonti energetiche impiegate.<br />
Il settore dei trasporti<br />
Nonostante la forte incidenza del settore produttivo sul bilancio energetico regionale, il<br />
settore dei trasporti è responsabile di circa 27% dei consumi totali, aumentato in modo<br />
costante di circa 30% tra 1990 e 2004.<br />
302
Gli interventi ipotizzabili possono dividersi in due categorie ben distinte:<br />
interventi relativi alle caratteristiche dei convertitori energetici finali(parco veicolare<br />
circolante)<br />
interventi relativi ai modi d’uso di tali convertitori (ripartizione modale, coefficienti di<br />
occupazione, cicli di marcia)<br />
La Regione può valutare l’ipotesi di un azione istituzionale volta all’introduzione di una<br />
forma di “certificazione energetica” degli autoveicoli capace di indirizzare il mercato verso<br />
l’adozione di auto che soddisfano criteri di efficienza energetica.<br />
La tecnologia di trazione oggi utilizzata comincia a presentare una interessante prospettiva<br />
di evoluzione, fondata essenzialmente sulle motorizzazioni ibride (motore diesel + trazione<br />
elettrica).<br />
Le sperimentazioni in corso evidenziano risparmi energetici, in ciclo urbano, dell’ordine del<br />
30%.<br />
Un altro aspetto importante, riguarda l’analisi del parco veicolare di sevizio pubblico :<br />
l’analisi dei percorsi, il monitoraggio dei consumi in funzione dei passeggeri trasportati e<br />
dei chilometri percorsi; analisi che concorrerà alla scelta degli itinerari e dei mezzi di<br />
trasporto da utilizzare.<br />
L’intervento sul piano della domanda comporta necessariamente anche azioni rivolte agli<br />
aspetti comportamentali delle singole persone, che devono essere modificate anche<br />
attraverso opportune campagne di sensibilizzazione, mediante interventi mirati a<br />
migliorare la qualità del servizio pubblico percepito dai potenziali clienti rendendolo più<br />
competitivo rispetto all’uso del mezzo privato.<br />
È fondamentale che anche il Piano regionale dei Trasporti si configurino come “progetti di<br />
sistemi” con il fine di assicurare una rete di trasporto che privilegi le integrazioni tra le varie<br />
modalità favorendo quelle a minor impatto sotto il profilo ambientale.<br />
ANALISI DELL’OFFERTA DI ENERGIA<br />
GAS NATURALE<br />
Nella realtà pugliese, come al livello europeo e quello nazionale, vi è stata una tendenza<br />
ad un maggior utilizzo di gas naturale a sostituzione dei prodotti petroliferi, sia negli usi<br />
diretti che nella produzione di energia elettrica (tutte le nuove centrali termoelettriche<br />
autorizzate sono a gas). È quindi reale la necessità di incrementare le capacità di<br />
approvvigionamento in termini quantitativi e di provenienza, e al contempo, considerando<br />
303
le implicazioni ambientali, sociali e economiche una valutazione complessiva che si ponga<br />
l’obiettivo primario di ridurre i fabbisogni e razionalizzare gli impieghi.<br />
Diverse sono le possibilità presentate, al livello regionale, per favorire i nuovi<br />
approvvigionamenti sia come realizzazione di strutture per la rigassificazione che per i<br />
collegamento via gasdotto (in tal senso, in considerazione della mozione approvata dal<br />
Consiglio Regionale del 4/8/2005, non è praticabile la proposta del sito dalla British LNG<br />
per Brindisi).<br />
Tali ipotesi si inseriscono sia nel quadro dell’indiscutibile ruolo della Puglia di nodo della<br />
distribuzione nell’area del Mediterraneo, sia nel riequilibrio delle fonti fossili, che la<br />
necessità di recuperare così parte delle ingenti risorse energetiche comunque utilizzate<br />
per far pervenire il gas all’utenza finale.<br />
FONTI FOSSILI<br />
Il territorio pugliese è caratterizzato dalla presenza di numerosi impianti di produzione di<br />
energia elettrica, che nel 2004 hanno triplicato la loro produzione rispetto al 1990, ma che<br />
a confronto con il sistema termoelettrico nazionale presenta un’efficienza inferiore, e le<br />
emissioni per kWh generato in Puglia restano al di sopra della media nazionale ( in effetti<br />
le emissioni di CO2 si è raddoppiato negli ultimi dieci anni, da 12.000 kt nel 1990 al 27.000<br />
kt nel 2004).<br />
Alcune elaborazioni effettuate dall’ENEA indicano come le differenze tra potenza installata<br />
e potenza richiesta alla punta alla punta nelle diverse regioni tra 2003 e quanto previsto al<br />
2012, non si stiano riducendo particolarmente.<br />
In considerazione della situazione delineata, per quanto riguarda la produzione di energia<br />
elettrica, la politica energetica regionale si pone i seguenti obiettivi generali:<br />
mantenimento e rafforzamento di una capacità produttiva idonea a soddisfare il<br />
fabbisogno della Regione e di altre aree del Paese nello spirito di solidarietà<br />
riduzione dell’impatto sull’ambiente, sia a livello globale che a livello locale. In particolare,<br />
nel medio periodo, stabilizzazione delle emissioni del CO2 del settore rispetto ai valori del<br />
2004;<br />
diversificazione delle risorse primarie utilizzate nello spirito di sicurezza degli<br />
approvvigionamenti e nella compatibilità di cui all’obiettivo precedente;<br />
sviluppo di un apparato produttivo diffuso e ad alta efficienza energetica<br />
304
Il raggiungimento dei suddetti obiettivi avverrà in fasi successive:<br />
- un cambio di tendenza della ripartizione del contributo delle fonti energetiche come nei<br />
seguenti grafici:<br />
Ripartizione del contributo delle fonti energetiche alla produzione di energia elettrica nel<br />
2004<br />
prodotti petroliferi<br />
16%<br />
gas siderurgici<br />
11%<br />
gas naturale<br />
13%<br />
rinnovabili<br />
3%<br />
carbone<br />
57%<br />
carbone<br />
gas naturale<br />
gas siderurgici<br />
prodotti petroliferi<br />
rinnovabili<br />
rinnovabili<br />
prodotti petroliferi<br />
11%<br />
gas siderurgici 3%<br />
7%<br />
gas naturale<br />
49%<br />
carbone<br />
30%<br />
carbone<br />
gas naturale<br />
gas siderurgici<br />
prodotti petroliferi<br />
rinnovabili<br />
305
Ripartizione del contributo delle fonti energetiche alla produzione di energia elettrica nello<br />
scenario obiettivo di medio periodo.<br />
Rispetto alla composizione attuale è evidente il ruolo crescente del gas naturale, come<br />
pure delle fonti rinnovabili.<br />
Questo scenario tendenziale porta ad una produzione stimata pari a oltre 50.000 GWh,<br />
contro i poco più di 31.000 GWh attuali, a fronte pero di una sostanziale stabilizzazione<br />
delle emissioni di CO2 che in termini specifici passerebbero da circa 870g/kWh attuali a<br />
610 g/kWh.<br />
Lo scenario delineato, benché veda crescere il ruolo delle fonti primarie meno impattanti<br />
da un punto di vista ambientale, configura ancora una situazione di accumulo, più che di<br />
alternativa, in termini di produzione energetica e di emissioni di gas climalteranti, oltre a<br />
non intervenire direttamente su alcune criticità presenti essenzialmente nel polo brindisino.<br />
La riduzione della produzione di energia elettrica rispetto ad uno scenario tendenziale<br />
lascia un elevato margine alla possibilità di soddisfare il fabbisogno interno, come pure<br />
quello di altre zone. La stessa valutazione vale per quanto riguarda la potenza installata,<br />
considerando che si potrà contare su una potenza installata di quasi 7.000 MW a fronte di<br />
una richiesta di punta stimata in 4.000 MW al 2012. tale ipotesi non tiene conto delle fonti<br />
rinnovabili che in Puglia sono essenzialmente non programmabili.<br />
Lo scenario proposto si integra con la generale considerazione attinente le possibilità di<br />
risparmio energetico che il piano si da come obiettivo sul lato della domanda di energia.<br />
L’inversione della tendenza che porta al continuo incremento dei consumi in modo da<br />
giungere dapprima ad una stabilizzazione dei consumi e, quindi, ad una loro graduale<br />
riduzione, è da inserire realisticamente in uno scenario a più lunga scadenza (8-10 anni).<br />
L’avvicinamento a questa tendenza sarà accompagnato da una ulteriore riduzione della<br />
produzione di energia elettrica che favorirà ulteriormente le fonti rinnovabili e l’impiego del<br />
gas naturale a scapito delle fonti più inquinanti.<br />
Parallelamente alla politica rivolta all’incremento di efficienza nella produzione<br />
termoelettrica, allo svecchiamento del parco macchine e alla riduzione degli impatti<br />
sull’ambiente, è necessario fare delle attente valutazioni inerenti la capacità del sistema di<br />
trasporto dell’energia elettrica stessa. Già ora il sistema di trasporto nazionale è<br />
caratterizzato dalla presenza di colli di bottiglia che ha effetti anche sui costi dell’energia<br />
stessa, situazione che al momento non crea problemi all’industria meridionale finchè il<br />
306
prezzo rimarrà unico su tutto il territorio nazionale (PUN) ma che si prevede cambierà,<br />
variando da zona a zona sulla base del prezzo di vendita zonale, e quindi a quel punto<br />
l’inefficienza produttiva e di trasporto del sistema elettrico del Sud Italia si tradurrebbe in<br />
un maggior costo per le aziende meridionali e di conseguenza per lo sviluppo di<br />
quest’area.<br />
LA FONTE SOLARE FOTOVOLTAICA<br />
Il settore del fotovoltaico in Puglia, come nel resto del Paese, ha avuto un impulso a<br />
partire dal 2001, con l’avvio del programma “tetti fotovoltaici”, finalizzato alla realizzazione<br />
di impianti fotovoltaici collegati alla rete elettrica di distribuzione in bassa tensione e<br />
integrati/installati nelle strutture edilizie e relative pertinenze.<br />
Il programma era organizzato in due sottoprogrammi: uno rivolto ai soggetti pubblici, l’altro<br />
indirizzato ai soggetti pubblici e privati.<br />
Per i soggetti privati gli impianti appartengono ad una classe medio piccola (da 1 a 4 kW),<br />
mentre per i soggetti pubblici ad una classe medio grande.<br />
Il cosiddetto “conto energia” è stato introdotto con il decreto del Ministero delle Attività<br />
Produttive del 28 luglio 2005 e riguarda l’incentivazione del fotovoltaico, con tariffe<br />
incentivanti concesse per venti anni.<br />
Gli impianti approvati in Puglia durante la prima graduatoria, il fotovoltaico installato<br />
ammonta a circa 12 MW, con una produzione di circa 15GW.<br />
Il DM 6.2.2006, che integra e modifica DM 28.7.2005, incrementa a 500MW al 2012 il<br />
limite di potenza nominale cumulativa incentivabile, di cui se la Puglia mantenesse la<br />
stessa quota percentuale di potenza approvata, coprirebbe una potenza installata di circa<br />
70 MW fotovotaici.<br />
LA FONTE SOLARE TERMICA<br />
Gli impianti solari termici si stanno diffondendo rapidamente in tutta Europa (14 milioni di<br />
mq installati) e anche in Italia ci si aspetta un’ampia crescita, trainata, fra l’altro, dalla<br />
nuova direttiva europea sulle prestazioni energetiche degli edifici (EU 2002/91), già<br />
recepito dallo stato italiano con il Decreto legislativo 192/05.<br />
Il potenziale del solare termico alle condizioni climatiche di tutta Puglia è decisamente alto.<br />
Questa fonte energetica, presente in maniera ampiamente sfruttabile per la maggior parte<br />
307
dell’anno, potrebbe sostituire una quota consistente di combustibile fossile o di energia<br />
elettrica finale garantendo il medesimo servizio. Visto l’incremento dei consumi residenziali<br />
senza una diversificazione nell’utilizzo dei combustibili, ed approfittando del cambio<br />
tecnologico si creerebbe una condizione ideale per l’integrazione della fonte solare.<br />
Per incentivare l’installazione di impianti solari termici sugli edifici esistenti la Regione<br />
promuoverà, intese con i distributori di energia elettrica e di gas, come pure con Società<br />
di servizi energetici.<br />
Oltre che a livello residenziale, vi sono interessanti applicazioni del solare termico anche a<br />
livello terziario e industriale.<br />
Le possibilità di diffondere il solare termico in settori industriali presenta un forte interesse<br />
nella realtà pugliese, ed i settori che più si adattano sono quello agroalimentare, tessile e<br />
cartario.<br />
Il Piano energetico si pone l’obiettivo di sostenere lo sviluppo del solare termico nel settore<br />
produttivo tramite azioni diversificate:<br />
sostegno alla ricerca per creare know-how locale<br />
organizzazione di bandi di finanziamento rivolti ai proprietari delle aziende<br />
predisposizione dei nuovi impianti industriali con l’obbligo di adottare soluzioni che<br />
facilitino la successiva installazione di impianti solari termici.<br />
Sostegno alle società di servizi energetici che possono rappresentare un potente<br />
catalizzatore per la realizzazione di interventi di solarizzazione delle industrie.<br />
Definizione di campagne di informazione/formazione come misura che stimola la domanda<br />
e l’offerta senza imporre obblighi<br />
FONTE EOLICA<br />
In Puglia la fonte eolica costituisce una realtà consolidata, che in meno di dieci anni ha<br />
registrato un incremento di potenza installata notevole (dai poco più di 200 MW nel 1994<br />
ai 1.700 MW del 2005), distribuita inizialmente nel subappennino Dauno e<br />
successivamente verso le zone più pianeggianti.<br />
Vi è sicuramente una concomitanza tra la distribuzione territoriale e l’evoluzione<br />
tecnologica e dimensionale degli aerogeneratori : da un altezza di 25 m a un’altezza di 70<br />
m. È evidente che ciò moltiplica le potenziali applicazioni, passando da disposizioni in<br />
linea come quelle tipiche di aree di crinale, a disposizioni di superficie ammissibili in aree<br />
pianeggianti o collinari.<br />
308
Dai numeri riportati, è evidente che la risorsa eolica in Puglia non costituisce un elemento<br />
marginale quantitativamente, che potrà contribuire con una quota percentuale di oltre il<br />
10%, pur a fronte di una produzione da fonti fossili estremamente elevata.<br />
D’altra parte, dati i rischi di uno sviluppo incontrollato, come già in corso in alcune aree del<br />
territorio regionale, è altrettanto prioritario identificare dei criteri di indirizzo in modo da<br />
evitare grosse ripercussioni anche sull’accettabilità sociale degli impianti.<br />
Ricordiamo così criteri come:<br />
coinvolgimento ed armonizzazione delle scelte delle Amministrazioni Locali<br />
definizione di una procedura di verifica.<br />
Per quanto riguarda la tecnologia dell’eolico offshore, relativamente nuova , in Italia non<br />
si è ancora affermato un forte interesse, ma la Puglia è una delle aree con buone<br />
possibilità teoriche di sfruttamento, essenzialmente sul versante adriatico, a fronte<br />
comunque di studi approfonditi per confermare le effettive possibilità applicative e di<br />
convenienza economica.<br />
Invece la tecnologia eolica di piccola taglia (minieolico), rappresenta un’opzione matura in<br />
termini economici, commerciali, tecnici e finanziari e può integrare l’attuale modello di<br />
sviluppo energetico di tipo centralizzato in un modello di tipo distribuito, soprattutto per<br />
certe caratteristiche :<br />
presentano ridotte necessità logistiche (vengono realizzati nelle immediate adiacenze<br />
delle reti elettriche e della viabilità rurale)<br />
possono già usufruire degli incentivi derivanti dalla vendita dei certificati verdi<br />
nel 2006 l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ha approvato un provvedimento per la<br />
promozione dell’autoproduzione dell’energia elettrica da piccoli impianti fino a 20 kW, che<br />
prevede un interscambio con la rete elettrica locale<br />
trovano un facile insediamento nelle aree adiacenti le zone di produzione industriale,<br />
artigianale e trasformazione agro-alimentare, o addirittura residenziale<br />
bassa peculiarità e particolari vantaggi introdotti dalla recente normativa nazionale<br />
per gli aspetti autorizzativi, si prevede che , in generale, non sia necessario alcun titolo<br />
abilitativo per gli impianti eolici di potenza inferiore o uguale a 10 kW.<br />
Ricordiamo inoltre l’emanazione del Regolamento regionale n°9 del 23 Giugno 2006<br />
“Regolamento per la realizzazione degli impianti eolici nella Regione Puglia”.<br />
309
FONTI DA BIOMASSA<br />
Tra le diverse fonti rinnovabili, le biomasse di origine agro-forestale rappresentano per la<br />
regione Puglia una delle opzioni più concrete in termini di potenziale energetico e di<br />
sviluppo tecnologico, e che potrebbero contribuire fattivamente al rilancio delle attività<br />
agricole, forestali e zootecniche.<br />
Uno sfruttamento energetico di tali residui, specialmente nel caso in cui vengano poi<br />
utilizzati direttamente dalle aziende stesse è particolarmente vantaggiosa sul piano<br />
economico, richiedendo investimenti relativamente limitati potendo utilizzare la<br />
manodopera delle aziende agricole in periodi tipicamente “morti”.<br />
Per quanto riguarda le effettive prospettive delle coltivazioni bioenergetiche esse sono<br />
ancora, in molti casi, oggetto di sperimentazione, e quindi con risultati ecologici ed<br />
economici ancora da verificare senza i quali risulta difficile individuare le effettive<br />
possibilità e modalità per un loro sfruttamento a scopi energetici.<br />
La dimensione media delle aziende, la loro significativa densità territoriale rappresentano<br />
condizioni decisamente favorevoli al recupero su larga scala dei residui agricoli per scopi<br />
energetici che preveda la realizzazione di pochi impianti di generazione (elettrica, termica<br />
o combinata), eventualmente essere pianificata solo sul lungo termine.<br />
A fianco del settore agro-forestale va anche considerato quello ad esso strettamente<br />
collegato dell’industria agro-alimentare. Esso produce una vasta gamma di residui molti<br />
dei quali di origine vegetale che potrebbe permettere in alcuni casi di superare il non<br />
irrilevante problema del loro smaltimento, operazione piuttosto onerosa.<br />
È obiettivo del piano l’avvio di cosiddette “filiere corte” e cioè sistemi locali organizzati in<br />
cui singole aziende agricole o gruppi di aziende producono, raccolgono e trasformano<br />
biomassa residuale, soprattutto legnosa per l’alimentazione di impianti termici di piccola<br />
media taglia e di tipo diffuso. Tali filiere possono inoltre essere finalizzate alla costituzione<br />
ed organizzazione di centri per la produzione di pellet utilizzabili a scala locale in<br />
dispositivi termici prevalentemente di piccola potenza.<br />
Le colture dedicate per la produzione di biocombustibili sono rappresentate dalle colture<br />
saccarifere<br />
e oleaginose per la produzione di biocombustibili liquidi, come ad esempio quelli sostitutivi<br />
del gasolio e della benzina (biodiesel e bioetanolo).<br />
310
L’utilizzazione energetica del biodiesel può essere rivolta verso due direzioni:<br />
l’autotrazione e il riscaldamento; quella dell’olio vegetale esclusivamente verso il<br />
riscaldamento.<br />
Considerando che l’attuale consumo regionale di gasolio di circa 1.829 ktep/anno, le<br />
quantità di biodisel potenzialmente in gioco corrisponderebbero a circa 106 kton. Le attuali<br />
potenzialità produttive regionali sarebbero in grado di coprire poco meno del 16% di tale<br />
quantitativo, corrispondente ad un consumo evitato di gasolio di 14.300 tonnellate circa.<br />
Invece il consumo regionale di benzina è di circa 867 ktep/anno e le potenzialità produttive<br />
regionali di bioetanolo sarebbero in grado di coprire ben l’80% di tale quantitativo,<br />
corrispondente ad un consumo evitato di benzina di 35.500 tonnellate circa.<br />
In considerazione del potenziale regionale di produzione della materia prima, risulta<br />
prioritaria l’implementazione di filiere regionali di biocombustibili che possano costituire<br />
anche una alternativa all’assetto agricolo. Per la realizzazione di queste filiere, dovranno<br />
essere intraprese opportune iniziative istituzionali finalizzate a definire nuove regole<br />
riguardo alla defiscalizzazione.<br />
Nel settore del riscaldamento, le attuali potenzialità produttive regionali di olio vegetale<br />
sarebbero in grado di coprire poco più del 16% dei consumi regionali di gasolio nel settore<br />
civile, corrispondente ad un consumo evitato di tale vettore di 15.300 tonnellate circa.<br />
LE EMISSIONI DI ANIDRIDE CARBONICA<br />
Per la determinazione delle emissioni di anidride carbonica dovute all’utilizzo delle fonti<br />
energetiche, è necessario moltiplicare i dati di consumo analizzati nei capitoli precedenti<br />
per opportuni coefficienti di emissione specifica corrispondenti ai singoli vettori energetici<br />
utilizzati.<br />
In particolare, per quanto riguarda l’energia elettrica consumata si assume che questa<br />
provenga dal mix di produzione regionale. Si assume inoltre, come ipotesi di scenario<br />
tendenziale, che al parco di produzione presente al 2004 si aggiunga la centrale di<br />
Candela, ci sia il rinnovo del polo energetico di Enipower a Brindisi, si aggiunga una<br />
potenza complessiva di 1200 MW funzionante a gas, oltre che una quota di 2000 MW da<br />
fonti rinnovabili.<br />
Con tali ipotesi, le emissioni per chilowattora evolvono passando da un valore di 679<br />
g/kWh del 1990 e di 691 g/kWh del 2004 a un valore di 548 g/kWh del 2016.<br />
311
La tabella successiva riporta le emissioni di anidride carbonica dei diversi settori, in<br />
analogia a quanto fatto per i consumi energetici.<br />
Emissioni di CO2 (kton) Variazioni (%)<br />
Settore 1990 2004 2016<br />
2004/199 2016/200 2016/199<br />
0 4 0<br />
Residenziale 3.871 4.705 4.820 21,6 2,4 24,5<br />
Terziario 1.698 2.760 2.910 62,6 5,4 71,4<br />
Agricoltura e<br />
pesca 1.303 1.724 2.294 32,4 33,0 76,1<br />
Industria 16.174 18.574 20.243 14,8 9,0 25,2<br />
Trasporti 5.764 7.391 7.993 28,2 8,1 38,7<br />
Totale 28.809 35.155 38.260 22,0 8,8 32,8<br />
Sintesi delle emissioni di anidride carbonica per settore e delle loro variazioni nello<br />
scenario tendenziale<br />
In generale, la riduzione delle emissioni specifiche collegate alla generazione di energia<br />
elettrica comporta un incremento delle emissioni inferiore a quello dei consumi, benché<br />
comunque di notevole entità.<br />
E’ inoltre necessario aggiungere, alle emissioni precedenti, anche le emissioni derivanti<br />
alla produzione complessiva di energia elettrica, al netto dei quantitativi consumati a livello<br />
regionale e già inclusi nella valutazione precedente.<br />
Il risultato complessivo è riassunto nello schema seguente.<br />
Emissioni di CO2 (kton) Variazioni (%)<br />
1990 2004 2016<br />
2004/199 2016/200 2016/199<br />
0 4 0<br />
Totale settori 28.809 35.155 38.260<br />
Export energia<br />
el. 1.057 9.800 16.694<br />
Totale 29.866 44.955 54.954 50,0 22,0 84,0<br />
312
Sintesi delle emissioni complessive di anidride carbonica e delle loro variazioni nello<br />
scenario tendenziale<br />
INCENTIVI PER LA REGIONE PUGLIA<br />
È stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n. 15 del 25/01/07, il bando<br />
diretto alla concessione di contributi per l'installazione di pannelli solari, della Provincia di<br />
Lecce.<br />
Il bando disciplina le procedure dirette alla concessione ed erogazione di un contributo<br />
provinciale in conto capitale a beneficio di soggetti privati per l’installazione di impianti<br />
solari termici per la produzione di calore a bassa temperatura.<br />
Presentazione delle domande dal 9 febbraio c.a. - Fino ad esaurimento fondi.<br />
Fondi stanziati: € 240.000,00<br />
E' stato approvato dalla Giunta regionale pugliese il primo bando regionale sul 'Solare<br />
Fotovoltaico'. I soggetti beneficiari saranno le sole imprese. Lo stanziamento previsto e'<br />
pari a 4.500.000 euro. Le iniziative che saranno incentivate riguardano impianti per la<br />
produzione di energia elettrica, con la preferenza ad impianti di piccole dimensioni, da un<br />
minimo di 5 kw ad un massimo di 20 kw.<br />
313
LA PROVINCIA DI TARANTO E LA QUESTIONE ENERGETICA<br />
Osserviamo i consumi energetici della città di <strong>Taranto</strong> rispetto alle altre province pugliesi<br />
Ripartizione dei consumi a livello provinciale – anno 2004<br />
P u g lia<br />
T a ra n to ; 4 4 ,3<br />
B a ri; 2 4 ,0<br />
L e c c e ; 1 0 ,7<br />
F o g g ia ; 1 0 ,7<br />
B rin d is i; 1 0 ,4<br />
La disaggregazione a livello provinciale dei consumi energetici al 2004 indica chiaramente<br />
la posizione dominante della provincia di <strong>Taranto</strong>, con un livello di consumi pari al 44% del<br />
totale, seguita dalla provincia di Bari con il 24%. Le altre tre province si ripartiscono<br />
abbastanza equamente la rimanente quota.<br />
314
Per quanto concerne il consumo di energia nel settore industriale mettendo a confronto le<br />
varie province emerge che i consumi del siderurgico di <strong>Taranto</strong> portano questa provincia<br />
ad avere una quota complessiva dei consumi a livello industriale di oltre i tre quarti dei<br />
consumi dell’intera regione.<br />
Bari<br />
7%<br />
Brindisi<br />
11%<br />
Foggia<br />
4%<br />
Lecce<br />
2%<br />
<strong>Taranto</strong><br />
76%<br />
315
Nel grafico seguente si riporta la suddivisione dei consumi energetici a livello provinciale<br />
suddivisa per vettori.<br />
2.500<br />
2.000<br />
[ktep]<br />
1.500<br />
1.000<br />
500<br />
0<br />
Energia elettrica Carbone Gas naturale<br />
Olio<br />
combustibile<br />
Gasolio Benzina GPL Legna<br />
Bari 407 0 527 76 746 329 59 6<br />
Brindisi 154 0 129 327 208 87 18 13<br />
Foggia 167 0 251 5 385 119 26 4<br />
Lecce 183 0 126 7 371 217 50 3<br />
<strong>Taranto</strong> 534 2.285 607 159 247 115 20 7<br />
Consumi energetici per vettore a livello provinciale espressi in ktep – anno 2004<br />
Si pone all’evidenza il consumo di carbone nella provincia di <strong>Taranto</strong> dovuto alle necessità<br />
energetiche dell’industria siderurgica, del tutto assente nelle altre province.<br />
Anche il consumo di energia elettrica e di gas naturale risentono molto della presenza<br />
dello stabilimento dell’ILVA e delle Centrali Termoelettriche dell’Edison, entrambe site<br />
sulla via per Statte.<br />
316
cONSUMI DI ENERGIA<br />
Per quanto riguarda il consumo specifico dell’energia elettrica, la città di <strong>Taranto</strong> registra<br />
valori pari a 1086 kWh/abitante, a tal proposito, per meglio valutare questo dato è bene<br />
prendere in considerazione i seguenti valori:<br />
Abitazioni Abitazioni<br />
Popolazione Edifici Abitazioni totali<br />
vuote occupate<br />
<strong>Taranto</strong> 579.806 134.114 279.450 79.098 200.352<br />
Prendiamo in considerazione il fabbisogno termico per il riscaldamento degli edifici e<br />
acqua calda sanitaria, espresso in GWh/a:<br />
Fabbisogno termico (GWh/a)<br />
Riscaldamento ACS Totale<br />
<strong>Taranto</strong> 1.063 290 1.353<br />
Esprimiamo lo stesso valore in ktep/a:<br />
Fabbisogno termico (ktep/a)<br />
Riscaldamento ACS Totale<br />
<strong>Taranto</strong> 91,5 24,9 116,4<br />
CONSORZIO TARANTO ENERGIA (www.tarantoenergia.it)<br />
Su iniziativa dell’Assindustria di <strong>Taranto</strong> si è costituito il consorzio con attività esterna<br />
denominato “Consorzio <strong>Taranto</strong> Energia”.<br />
Il Consorzio può:<br />
svolgere, attraverso un’organizzazione comune, le fasi e le attività relative<br />
all’acquisto/approvvigionamento, alla produzione/autoriproduzione ed alla<br />
ripartizione/distribuzione/vendita/erogazione con qualsiasi mezzo:<br />
317
a.1) di energia elettrica, eolica, solare o altre forme di energia, anche da fonti rinnovabili<br />
ed assimilate;<br />
a.2) di gas metano, prodotti petroliferi o idrocarburi, carbone ed altre materie prime o<br />
prodotti energetici derivati ad uso industriale, siano essi gassosi, liquidi o solidi; nonché al<br />
loro commercio e/o produzione anche con costruzione e/o gestione di impianti e<br />
attrezzature necessari appunto per la distribuzione e produzione delle forme di energia e<br />
prodotti energetici suddetti; attività ausiliarie o connesse alle precedenti; e ciò anche<br />
mediante la stipula di convenzioni di vettoriamento, scambio, cessione, importazione,<br />
esportazione di energia di ogni genere con gli enti produttori e/o distributori, Enti Pubblici<br />
Economici, Enti territoriali ed altri consorzi, anche ai sensi della vigente normativa. Inoltre,<br />
nell’ambito degli obiettivi prioritari sopra indicati, il Consorzio potrà:<br />
intraprendere iniziative di produzione e ampliamento dell’attività su esposta mediante<br />
partecipazione a manifestazioni fieristiche, organizzazione di convegni, meeting e corsi di<br />
formazione e qualificazione professionale, lo svolgimento di azioni pubblicitarie e<br />
l’espletamento di studi e ricerche di mercati;<br />
promuovere la costituzione o comunque partecipare a qualsivoglia forma di aggregazione<br />
con soggetti o enti aventi oggetto analogo, affine o connesso al proprio;<br />
svolgere attività ausiliarie o connesse alle precedenti;<br />
attivare altri servizi o utilità comunque funzionali all’esercizio dell’attività delle imprese<br />
consorziate, ovunque site.<br />
Addentriamoci un po’ meglio nella realtà e nelle iniziative locali analizzando i contenuti del<br />
Convegno “Lo Sviluppo delle Energie Rinnovabili: un’opportunità per la Puglia” tenutasi a<br />
<strong>Taranto</strong> il 19 Maggio 2006.<br />
Erano più di 300 gli spettatori del Convegno “Lo Sviluppo delle Energie Rinnovabili:<br />
un’opportunità per la Puglia”, un’iniziativa che ha visto le istituzioni, le autorità<br />
accademiche, gli esponenti del mondo imprenditoriale e le associazioni confrontarsi in<br />
merito ai vantaggi e le opportunità che le energie rinnovabili rappresentano per il territorio<br />
pugliese.<br />
Il Convegno è stato organizzato dalla Facoltà di Ingegneria di <strong>Taranto</strong> del Politecnico di<br />
Bari e da Vestas con il supporto di Confindustria <strong>Taranto</strong>, L’Associazione Giovani<br />
Ingegneri, L’Ordine degli Architetti e L’Ordine degli Ingegneri della Provincia di <strong>Taranto</strong>.<br />
Ad aprire i lavori è stato Paolo Tabarelli de Fatis, Amministratore Delegato di Vestas Italia,<br />
il quale ha posto subito l’attenzione sulla necessità di incoraggiare le energie rinnovabili in<br />
318
considerazione di uno scenario caratterizzato da un progressivo esaurirsi delle risorse<br />
energetiche, dai cambiamenti climatici dovuti alle crescenti emissioni e concentrazioni di<br />
gas ad effetto serra in atmosfera, l’innarrestabile crescita dei prezzi del petrolio, che sono<br />
più che triplicati dal 2001, un’economia, quella europea, troppo dipendente dalle<br />
importazione estere di combustibili fossili.<br />
Il Presidente della Provincia Gianni Florido ha lanciato come proposta che a <strong>Taranto</strong>, in<br />
collaborazione con Vestas Italia ed il Politecnico di Bari si studi la possibilità di fare un<br />
parco dove l’energia eolica serva a produrre idrogeno. Il progetto prevede di abbassare le<br />
emissioni inquinanti salvaguardando le casse dei grossi gruppi attraverso una politica di<br />
risparmio energetico e di innovazione che sfrutti le fonti rinnovabili.<br />
In aggiunta, la creazione di un vero e proprio polo delle rinnovabili è tra i prossimi obiettivi<br />
del Politecnico e di Vestas, come hanno sottolineato Il Preside di Facoltà Liberti, ed<br />
Antonio Lippolis, Professore di macchine a fluido della Facoltà di Ingegneria di <strong>Taranto</strong> del<br />
Politecnico di Bari. Lippolis ha annunciato poi, per la prima volta in Italia, l’acquisto del<br />
Lidar, uno strumento ad alta precisione per la misurazione del vento, posseduto solo da<br />
pochi altri centri di ricerca nel mondo, ed ottenuto grazie all’aiuto di Vestas, che ormai da<br />
anni supporta l’attività del Politecnico in nome di una valorizzazione delle competenze<br />
locali e attraverso la formazione di neolaureati e laureandi e che ha come vision la<br />
creazione di un polo di eccellenza per le energie rinnovabili.<br />
A supporto del discorso Pietro Chirulli, Vice Presidente della Confindustria di <strong>Taranto</strong> ha<br />
sottolineato la necessità di conferire finanziamenti ed agevolazioni fiscali ad hoc proprio<br />
per sostenere l’attività di ricerca nel territorio pugliese. <strong>Ricerca</strong>, sviluppo, ma altresì<br />
occupazione. Come ha esplicato Tabarelli nella sua successiva presentazione, lo sviluppo<br />
dell’eolico può contribuire in modo decisivo alla creazione di nuovi posti di lavoro in Puglia,<br />
forti di un’industria che produce e che muove un vasto indotto. “Nel 2005 in Italia<br />
l’industria eolica ha installato 452 MW producendo un fatturato di circa 450 milioni di Euro<br />
e impiegando circa 3500 unità”.<br />
Il convegno è stato poi l’occasione per annunciare lo sblocco della moratoria sull’eolico in<br />
Puglia da parte di Michele Losappio, Assessore all’Ecologia della Regione Puglia.<br />
Secondo Losappio, le rinnovabili sono l’elemento istitutivo della politica energetica<br />
pugliese. Ma bisogna trovare una regolamentazione e predisporre un programma per<br />
indicare dove non possono essere realizzati gli impianti.<br />
319
Massimo La Scala, Professore di sistemi elettrici per l’energia al Politecnico di Bari, ha<br />
parlato della generazione distribuita presentando uno studio di fattibilità sviluppato su un<br />
distretto energetico nel quartiere di Bari che integra vicendevolmente l’energia necessaria<br />
per un ospedale, gli uffici, l’illuminazione pubblica ed un impianto di depurazione del<br />
quartiere.<br />
Del mercato, delle innovazioni tecnologiche e delle prospettive future nel campo<br />
dell’eolico ha proferito invece parlare Francesco Paolo Liuzzi, Direttore Generale di Vestas<br />
Italia. Gli aerogeneratori moderni presentano rispetto a prima dei costi di produzione<br />
inferiori per MW prodotto, permettono una resa energetica nettamente migliore, a fronte di<br />
un minor impatto acustico e visivo sull’ambiente. Rispetto alle fonti di energia da<br />
combustibili fossili, l’eolico è inesauribile e largamente disponibile in natura, è una fonte<br />
indipendente totalmente sganciata dalle fluttuazioni di prezzo del petrolio ed è l’unica in<br />
grado di sopperire ad un’imminente crisi energetica. L’eolico inoltre è l’unica fonte<br />
rinnovabile che per maturità e costi può consentire all’Italia di raggiungere l’obiettivo al<br />
2010 del 25% di produzione da fonti rinnovabili della Direttiva Comunitaria 2001/77/CE .<br />
Francesco Salomone di Elettrosannio e Francesco Carbotti di Keinstar hanno infine<br />
esplicato come e perché produrre energia con la tecnologia del fotovoltaico e del solare<br />
termico, mentre Pietro Lecce, Presidente delle Jonica Impianti, ha illustrato gli aspetti<br />
principali della tecnologia del minieolico.<br />
In virtù di quanto detto abbiamo voluto approfondire le nostre conoscenze sulla. Keinstar e<br />
sulla Vestas S.r.l navigando sui relativi siti, e abbiamo raccolto delle informazioni sul<br />
Parco Eolico che sarà installato nel territorio occidentale della provincia di <strong>Taranto</strong>, area<br />
compresa tra Laterza e Castellaneta e sulla tanto discussa questione del rigassificatore.<br />
KEINSTAR ASSOCIATES s.r.l.<br />
Viale Liguria, 95 74100 <strong>Taranto</strong> Tel./Fax : + 39(0)99 331031 - info@keinstar.it<br />
La società, nella forma di società per azioni a responsabilità limitata, si propone di<br />
svolgere ricerche e studi sull’ambiente, sull’energia e sul settore dei trasporti e su<br />
tematiche trasversali delle precedenti; di effettuare attività di consulenza integrata alla<br />
pubblica amministrazione e alle imprese pubbliche e private; di organizzare eventi,<br />
convegni e manifestazioni nel campo del risparmio d’energia e delle fonti di energia<br />
320
innovabile; di elaborare e coordinare progetti di ricerca e sviluppo sia su finanziamenti<br />
regionali sia su finanziamenti nazionali ed europei.<br />
La società, avente un organigramma funzionale che fa capo all’Amministratore Unico,<br />
presenta tre sotto-strutture indipendenti coordinate da altrettanti responsabili:<br />
- la Divisione Tecnologie;<br />
- la Divisione Economia&Finanza;<br />
- la Divisione <strong>Ricerca</strong> e Sviluppo;<br />
- La società si compone di tre soci con valenze diverse:<br />
- un Ingegnere con competenze in ambiente e territorio;<br />
- un responsabile con competenze economiche, di statistica dei mercati e di<br />
progettazione regionale, nazionale ed europea;<br />
- un Economista con competenze di amministrazione/finanza, .<br />
Il cittadino interessato può scaricare i seguenti file dal sito gratuitamente:<br />
I consumi di energia elettrica nella provincia di Bari<br />
I consumi di energia elettrica nella provincia di Brindisi<br />
I consumi di energia elettrica nella provincia di Foggia<br />
I consumi di energia elettrica nella provincia di Lecce<br />
I consumi di energia elettrica nella provincia di <strong>Taranto</strong><br />
Vendite di gasolio a <strong>Taranto</strong><br />
Previsioni della domanda energetica in Puglia al 2010<br />
La Certificazione energetica degli Edifici<br />
Il Conto energia in Puglia nel 2005<br />
È possibile scaricare inoltre le seguenti guide:<br />
Guida al solare fotovoltaico<br />
Guida al solare termico<br />
Guida al risparmio energetico<br />
Guida all’efficienza energetica nelle PMI<br />
Guida ai titoli di efficienza energetica<br />
Guida ai trasporti<br />
321
che riteniamo essere del materiale ottimo per approfondire una tematica così vasta come<br />
si presenta quella energetica.<br />
LA MULTINAZIONALE VESTAS ITALIA S.R.L.<br />
Vestas Italia s.r.l.<br />
Via Ludovico Ariosto 12 74100 <strong>Taranto</strong> Italia<br />
Tel.: +39 0994606111<br />
Fax: +39 0994606301<br />
vesta-italia@vestas.com<br />
Vestas Italia è la Società Italiana del gruppo Vestas, responsabile del mercato italiano per<br />
la vendita, l’installazione, la messa in servizio e la manutenzione di parchi eolici.<br />
Vestas Italia nasce nel cuore nel Mediterraneo, nella città di <strong>Taranto</strong>, a pochi passi dalla<br />
costa ionica, grande bacino di scambi portuali e commerciali.<br />
Vista la sua collocazione strategica nel cuore del Mediterraneo, Vestas Italia controlla<br />
un’area di mercato che comprende ben 29 Paesi: oltre all’Italia, la Grecia, Turchia, sud dei<br />
Balcani, nord Africa e Medio Oriente.<br />
Oltre alle unità di vendita sono, sempre a <strong>Taranto</strong>, 2 unità di produzione, una per la<br />
produzione delle pale, l’altra per la realizzazione delle navicelle, e un’unità di service.<br />
ECCO ALCUNI DATI RELATIVI ALLA STORIA DI VESTAS ITALIA<br />
1997<br />
Nasce a <strong>Taranto</strong> la IWT, Italian Wind Technology, da una Joint-Venture tra Finmeccanica<br />
e Vestas Wind Systems.<br />
1998-1999<br />
In questi anni, si producono i modelli di turbine V42-660kW e V44-600 kW, macchine a<br />
velocità fissa che utilizzano il controllo del passo, e i sistemi OptiTip® e OptiSlip® , che<br />
permettono di migliorare la resa energetica e il controllo delle raffiche di vento.<br />
322
1999<br />
Inizia la produzione della turbina V47-660 kW, la prima, con pale interamente prodotte con<br />
il Prepreg, un materiale rivoluzionario costituito da vetroresina epossidico, usato<br />
solitamente nell’industria aeronautica.<br />
2000<br />
Ormai il modello di turbina V47-660kW è venduto in tutta Italia e ampiamente diffuso.<br />
2001<br />
La Vestas Wind System acquisisce al 100% la proprietà della IWT.<br />
2002<br />
Nasce e si inizia a produrre la turbina V52-850kW, la prima turbina a velocità variabile, e<br />
più avanzata tecnologicamente. E’ dotata del controllo di passo per una regolazione<br />
ottimale della potenza, e del sistema OptiSpeed che permette di ottenere alti livelli di<br />
rendimento energetico massimizzando la silenziosità.<br />
2005<br />
L’Italian Wind Technology cambia denominazione e verrà d’ora in poi chiamata Vestas<br />
Italia.<br />
Qualità e attenzione sono parole chiave alla Vestas. Il sistema di certificazione della<br />
qualità ha come obiettivo che tutti i prodotti fabbricati e forniti corrispondano interamente<br />
alle specifiche Vestas. Questo riguarda tutti gli aspetti della qualità: dal prodotto stesso ai<br />
servizi offerti, alla formazione di tutto il personale. Al fine di continuare ad operare come<br />
affidabile leader del mercato, ricerca la qualità, sia del personale interno che dei<br />
collaboratori esterni.<br />
La politica Vestas prevede di produrre internamente tutti i componenti che se acquistati<br />
esternamente non sarebbero conformi al livello di qualità aziendale. Producendo le parti<br />
principali della turbina internamente, si accresce il grado di flessibilità dei prodotti, si riduce<br />
la dipendenza da fornitori esterni, e si riesce a garantire uno standard di produzione<br />
costante nel tempo.<br />
Vestas ha stabilito inoltre un sistema di controllo per la qualità: si tratta di un gruppo di<br />
persone afferente ai diversi dipartimenti, che effettua un controllo continuo sui prodotti, e<br />
ne valuta i bisogni di miglioramento. Se necessario, si corregge la produzione o il prodotto<br />
già esistente.<br />
Il 6 Dicembre 2005 Vestas Italia ha ottenuto la Certificazione anglosassone OHSAS<br />
18001per la gestione, la salute e la sicurezza dei lavoratori.<br />
323
Vestas Italia, che ha già da tempo conseguito la Certificazione ISO 9001 (1999), e la<br />
Certificazione ISO 14001 (2002), lavora continuamente al miglioramento delle condizioni<br />
professionali ed ambientali, per proteggere il suo capitale più importante: le risorse umane.<br />
Vestas è il leader mondiale nel settore delle tecnologie eoliche e forza trainante per lo<br />
sviluppo dell’industria del vento.<br />
Il core business di Vestas comprende lo sviluppo, la produzione, la vendita e la<br />
manutenzione di sistemi che usano l’energia del vento per generare elettricità.<br />
Vestas: da pioniere a leader del mercato<br />
Vestas inizia a produrre turbine eoliche nel 1979 e sin dal suo inizio, riveste un ruolo<br />
attivo in questa dinamica industria. Nel 1987, Vestas inizia a concentrarsi esclusivamente<br />
sull’energia del vento e da pioniere di questa industria, con uno staff iniziale di circa 60<br />
persone, è diventata un’impresa globale, di altissimo livello tecnologico, con più di 9.500<br />
persone.<br />
La Vision<br />
Vento, petrolio, e gas “Essendo Il migliore e più affidabile fornitore di energia eolica nel<br />
mondo, Vestas porterà il vento ad essere riconosciuto come fonte di energia alla stregua<br />
del petrolio e del gas”.<br />
I Valori<br />
Affidabilità, Attenzione, Capacità di Agire e Sviluppo sono i valori su cui si fonda il lavoro<br />
della Vestas.<br />
Obiettivi<br />
Offrire soluzioni basate sullo stesso standard di qualità, e che generano elettricità a un<br />
prezzo competitivo.<br />
324
INCONTRO CON LA COMUNITÀ MONTANA DELLA MURGIA TARANTINA<br />
Dall’incontro con gli enti locali è emerso che oltre 400 torri eoliche sono in arrivo nel<br />
territorio tra Castellaneta e Laterza che rischiano di fagocitare a beneficio esclusivo di 8<br />
società proponenti tutto il plafond eolico del territorio della Comunità Montana.<br />
Va ricordato che il Regolamento regionale elaborato dall’Assessore regionale all’Ecologia<br />
Losappio (n°9 del 23 giugno 2006) istituiva dei lim iti, salvaguardava le zone a vario titolo<br />
protette e invitava i Comuni ad elaborare i P.R.I.E. (Piani Regolatori Impianti Eolici).<br />
Una soluzione che consente ai Comuni di recuperare autonomia nella gestione del<br />
territorio, ma soprattutto di ottimizzare gli impatti ambientali per la inevitabile migliore<br />
conoscenza socio-ambientale della superficie comunale. Qui emerge il ruolo della<br />
Comunità Montana della Murgia Tarantina alla quale è stato delegato il compito di redigere<br />
il P.R.I.E. La sua adozione porterà di fatto alla realizzazione di grandi impianti.<br />
Per quanto riguarda il Comune di Castellaneta l’accordo di programma sottoscritto dal<br />
Comune tramite la delibera commissariale 89 del 13 dicembre prevede all’articolo 4 il<br />
versamento nelle casse della Comunità di 180.000,00 euro “per gli oneri conferitigli<br />
dall’assegnazione dell’incarico di redigere il P.R.I.E.” L’accordo lascia ampia autonomia ai<br />
Comuni di scegliere le Convenzioni con i soggetti investitori fissando una clausola in cui<br />
sia indicata la somma “una tantum” di 400,00 euro per ogni torre prevista nel proprio<br />
territorio.<br />
Tale somma deve essere destinata alla creazione di un fondo per finanziare la<br />
realizzazione del P.R.I.E. .Quindi i 180.000,00 euro non derivano dalle casse comunali ma<br />
dall’installazione delle torri eoliche. Per quel che concerne le royalties che il comune di<br />
Castellaneta (così come tutti gli altri comuni della Comunità Montana) dovrà pagare alla<br />
Comunità Montana solo una minima parte del 2,5% che incasserà dal gestore della torre e<br />
che l’Ente locale utilizzerà per interventi nel territorio.<br />
Il Regolamento regionale n°16 del 4 ottobre 2006 ob bliga i Comuni interessati da<br />
investimenti eolici a realizzare il piano regolatore degli impianti eolici, prevedendo una<br />
misura premiale per le amministrazioni che si siano accordate per realizzare una<br />
Pianificazione di Area vasta intercomunale.<br />
Con delibera n°54 del 22 dicembre 2006 si è approva to l’accordo di programma tra i<br />
Comuni facenti parte della Comunità Montana della Murgia Tarantina, riguardante la<br />
325
ealizzazione di un piano regolatore per l’installazione di impianti eolici,delegando la<br />
stessa Comunità Montana per la progettazione del P.R.I.E.. Al comune di Palagiano, nelle<br />
more dell’approvazione del piano intercomunale, è arrivata una richiesta da parte della<br />
società So.A.R., per l’autorizzazione a realizzare un parco eolico in quel territorio. Una<br />
convenzione regolerà i rapporti tra il Comune di Palagiano e i potenziali contraenti.<br />
È emersa la necessità di una campagna di informazione per la popolazione del territorio<br />
della Comunità Montana nel quale verranno installati gli impianti eolici.<br />
IL RIGASSIFICATORE A TARANTO<br />
È da tempo che a <strong>Taranto</strong> si sente parlare della probabile installazione di un<br />
rigassificatore. Ma quale impatto ambientale e quali ricadute socio-economiche potrebbe<br />
avere sulla città e sull’intera provincia<br />
Abbiamo tratto alcuni commenti dal sito <strong>Taranto</strong> Sociale.<br />
Abbiamo voluto prendere in considerazione quanto Piero Angela sostiene, nel suo ultimo<br />
libro “La sfida del secolo” a proposito di un possibile incidente ad una nave metaniera.<br />
Piero Angela non lo esclude e spiega: "Una grande nave metaniera, che trasporta 125<br />
mila metri cubi di gas liquefatto a bassissima temperatura, contiene un potenziale<br />
energetico enorme. Se nelle vicinanze della costa, per un incidente, dovesse spezzarsi e<br />
rovesciare in mare il gas liquefatto, potrebbe cominciare una sequenza di eventi<br />
catastrofici".<br />
Piero Angela delinea uno scenario da brividi: "Il gas freddissimo, a contatto con l'acqua di<br />
mare, molto più calda, inizierebbe a ribollire, a evaporare e a formare una pericolosa<br />
nube. Questa nube di metano evaporato rimarrebbe più fredda e più densa dell'aria e<br />
potrebbe viaggiare sfiorando la superficie marina, spinta dal vento, verso la terraferma.<br />
Scaldandosi lentamente la nube comincerebbe a mescolarsi con l'aria. Una miscela fra il 5<br />
e il 15 percento di metano con l'aria è esplosiva. Il resto è facilmente immaginabile".<br />
E qui Piero Angela descrive ciò che la Gas Natural ossia l'azienda che propone il<br />
rigassificatore a <strong>Taranto</strong> non vuole ammettere. Nello Studio di Impatto Ambientale che la<br />
Gas Natural ha commissionato alla Medea non si trova nulla di ciò che scrive Piero<br />
Angela, ossia questo scenario: "Se questa miscela gassosa, invisibile e inodore, investisse<br />
una città, qualsiasi (inevitabile) scintilla farebbe esplodere la gigantesca nube. La potenza<br />
liberata in una o più esplosioni potrebbe avvicinarsi a un megaton: un milione di tonnellate<br />
326
di tritolo, questa volta nell'ordine di potenza distruttiva delle bombe atomiche. Le vittime<br />
immediate potrebbero essere decine di migliaia, mentre le sostanze cancerogene<br />
sviluppate dagli enormi incendi scatenati dall'esplosione, ricadendo su aree vastissime,<br />
sarebbero inalate in "piccole dosi", dando luogo a un numero non calcolabile, ma<br />
sicuramente alto, di morti differite nell'arco di 80 anni".<br />
Come mai non vi è nulla di questo scenario nello Studio di Impatto Ambientale del<br />
rigassificatore<br />
E' semplice: viene scartato a priori.<br />
Piero Angela invece specifica: "Si tratta di uno scenario assolutamente improbabile, ma<br />
non impossibile".<br />
Il fatto che non sia impossibile non autorizza la Gas Natural ad escluderlo a priori, come<br />
invece ha fatto adottando nello Studio di Impatto Ambientale la discutibile metodologia del<br />
"massimo scenario credibile". Se si parla di "massimo scenario credibile" e si definisce<br />
"non credibile" tutto ciò che invece ipotizza Piero Angela come "caso limite" allora si<br />
restringono gli scenari presi in considerazione.<br />
A questo punto occorre essere chiari: con la metodologia adottata dalla Gas Natural<br />
sarebbe escluso a priori anche l'incidente di Chernobyl.<br />
Piero Angela sostiene a questo proposito: "Chernobyl è stato il peggior incidente<br />
teoricamente possibile in una centrale atomica. Lo scenario da incubo per qualsiasi<br />
ingegnere nucleare. Cioè la fusione del nocciolo, lo scoperchiamento del reattore, e la<br />
fuga dei composti radioattivi volatili nell'atmosfera. E' difficile pensare a qualcosa di<br />
peggio".<br />
Pertanto occorre riflettere sul fatto che "il peggior incidente teoricamente possibile" non va<br />
escluso, come invece ha fatto la Gas Natural per il rigassificatore, a vantaggio della<br />
discutibile metodologia del "peggior incidente credibile", che è ben altra cosa in quanto<br />
restringe il caso ad una valutazione soggettiva che esclude ciò che per la Gas Natural<br />
"non è credibile".<br />
Per quanto remoto possa essere tale incidente ipotizzato da Piero Angela, occorre che le<br />
commissioni di Valutazione di Impatto Ambientale non lo escludano. Altrimenti verrebbe<br />
taciuto l'enorme rischio a cui sarebbero sottoposte le popolazioni in caso di installazione di<br />
un rigassificatore nei pressi di un centro industriale o di una zona abitata.<br />
Secondo l'approccio della Regione Puglia alla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) è<br />
possibile realizzare "un impianto di rigassificazione lì dove la procedura di VIA lo<br />
consentirà", come hanno recentemente sostenuto Vendola, Frisullo e Losappio. E' un<br />
327
approccio antiscientifico. Infatti la VIA non deve "consentire" o meno un impianto ma deve<br />
definire il suo livello di rischio. Ormai dopo le dichiarazioni di Piero Angela è evidente a<br />
tutti che il problema non è quello di accertare se è possibile o meno un evento catastrofico<br />
ma è quello di delinearne i contorni probabilistici e le conseguenze oggettive sottoponendo<br />
alla popolazione il quesito: questo rischio lo accettate sul vostro territorio<br />
Non dimentichiamo che <strong>Taranto</strong> è stata definita per legge "città ad alto rischio ambientale"<br />
nel novembre del 2000 ,che il suo porto militare è ufficialmente riconosciuto come "porto a<br />
rischio nucleare" sottoposto al Decreto Legislativo 230/1995 , che è una città che ospita<br />
già un elevato numero di impianti pericolosi e che le attività portuali, con la presenza di<br />
tale impianto, sarebbero paralizzate ogni volta che arrivasse una nave gasiera. Nel porto<br />
di <strong>Taranto</strong> arriverebbero circa 110 navi gasiere l'anno, della stazza di 130.000/140.000<br />
tonnellate. Per ragioni di sicurezza vicino alle navi gasiere non vi può essere la presenza<br />
di nessun tipo di imbarcazione. Pensate alla base navale di <strong>Taranto</strong>...<br />
Alla luce degli scenari gravissimi ipotizzati da Piero Angela occorre una proroga congrua<br />
per approfondire questa gravissima questione che tocca la sicurezza e la vita di tutti i<br />
cittadini.<br />
Ricordiamo l’esistenza nella nostra città del Comitato contro il rigassificatore di <strong>Taranto</strong>.<br />
Abbiamo voluto riportare quanto scrive a riguardo Alessandro Marescotti, sintetizzando in<br />
dieci punti.<br />
1) E' un impianto a rischio di incidente rilevante ed è sottoposto alla Direttiva Seveso.<br />
2) <strong>Taranto</strong> è riconosciuta per legge come area ad elevato rischio di crisi ambientale.<br />
3) Occorre distinguere fra interessi economici e interessi della città, fra politica come<br />
espressione degli appetiti economici e politica come espressione degli interessi della città.<br />
4) Nessuna scelta su questioni che riguardano impianti che comportanto rischi di incidente<br />
rilevante può essere compiuta senza informazione, dibattito e consenso, ossia senza una<br />
vasta consultazione popolare. Non vogliamo decisioni imposte dall'alto contro il volere dei<br />
cittadini o comunque senza il loro consenso.<br />
5) Vogliamo conoscere la Valutazione di Impatto Ambientale.<br />
6) Un rigassificatore può essere accettato in condizioni di elevata sicurezza. L'opposizione<br />
al rigassificatore non è un'opposizione irrazionale di principio ma è una razionale ricerca di<br />
spiegazioni esaurienti, senza le quali un rigassificatore è un azzardo.<br />
7) In particolare occorre sapere perché <strong>Taranto</strong> dovrebbe accettare un impianto che<br />
l'Amministrazione provinciale di Brindisi ha definito "gravemente lesivo delle possibilità di<br />
328
sviluppo del territorio e straordinariamente rischioso in quanto relativo ad un'area del porto<br />
già ad elevato rischio di incidente rilevante per la preesistenza di altri impianti a rischio".<br />
8) Le ragioni di sicurezza non possono venire dopo quelle del profitto.<br />
9) Un traffico di oltre cento navi gasiere (da 130 mila tonnellate) porterebbe alla<br />
progressiva paralisi di un porto che ha un traffico di oltre trecento petroliere che arrivano<br />
ogni anno a <strong>Taranto</strong>, per non parlare del traffico delle navi militari, dei sottomarini, delle<br />
navi dirette agli sporgenti dell'Ilva, delle navi passeggeri e del naviglio da diporto.<br />
10) Un rigassificatore troppo vicino alla città, al porto e all'area industriale è da respingere<br />
per ragioni di sicurezza<br />
Riportiamo le osservazioni del Comitato contro il rigassificatore di <strong>Taranto</strong><br />
Questa è la relazione tecnico-giuridica con cui viene contestata nel merito lo Studio di<br />
Impatto Ambientale<br />
13 luglio 2006<br />
Osservazioni tecniche del "Comitato<br />
contro il rigassificatore di <strong>Taranto</strong>"<br />
allo Studio di Impatto Ambientale<br />
inerente il "PROGETTO<br />
PRELIMINARE TERMINALE DI<br />
RICEZIONE E RIGASSIFICAZIONE<br />
GAS NATURALE LIQUEFATTO<br />
(GNL) TARANTO" proposto dalla<br />
gasNatural Internacional SDG SA.<br />
Le osservazioni possono essere<br />
riassunte nei seguenti punti relativi a<br />
questioni omesse o non del tutto<br />
valutate con la dovuta attenzione nello Studio di Impatto Ambientale:<br />
1. Omissione dell'analisi del porto di <strong>Taranto</strong> quale "porto a rischio nucleare" e mancata<br />
valutazione dei rischi e della compatibilità del traffico di navi metaniere con il transito di<br />
sottomarini a propulsione nucleare, in considerazione del fatto che una collisione fra una<br />
nave metaniera e un sottomarino a propulsione nucleare (e/o dotato di testate atomiche)<br />
potrebbe comportare una gravissima contaminazione radioattiva dell'ambiente e uno<br />
scenario né analizzato né quantificato.<br />
329
2. Omissione del fenomeno di "fumigazione" e sua interazione con la candela di scarico<br />
con correlata omissione dell'ipotesi di una ricaduta dei vapori di boil-off sulla torcia<br />
dell'Agip e conseguente esplosione catastrofica.<br />
3. Sottovalutazione dei rischi connessi<br />
all'effetto domino nell'ambito di un contesto già<br />
a forte rischio come quello di <strong>Taranto</strong>, città già<br />
gravata da nove impianti a rischio di incidente<br />
rilevante sottoposti alla Direttiva Seveso e da<br />
un porto militare ufficialmente riconosciuto<br />
come "porto a rischio nucleare" sottoposto al<br />
Decreto Legislativo 230/1995.<br />
4. Carenza di un'analisi imparziale circa la concreta probabilità di un evento catastrofico,<br />
tanto da non ricorrere alle valutazioni economiche di rischio che solo un "ente terzo" come<br />
un'assicurazione potrebbe fornire in vista di un possibile risarcimento di un incidente<br />
rilevante; a ciò si associa l'assenza di ogni misura di risarcibilità completa in sede civile dei<br />
danni che potrebbero essere provocati dal rigassificatore.<br />
5. Dragaggi e impatto sull'ecosistema marino non adeguatamente valutati nelle loro<br />
ripercussioni.<br />
6. Ricadute negative sul traffico portuale in relazione all'allungamento dei tempi di attesa<br />
delle navi in entrata e in uscita dal porto.<br />
7. Impatto paesaggistico non adeguatamente considerato.<br />
8. Assenza dei requisiti di carattere istituzionale che evidenziano inadeguatezze sui<br />
sistemi di controllo ambientale e inadempienze circa l'applicazione della Direttiva Seveso<br />
sul territorio di <strong>Taranto</strong>.<br />
9. Mancanza della Valutazione Ambientale Strategica: la Valutazione di Impatto<br />
Ambientale avviene in assenza di una necessaria e preliminare valutazione ambientale<br />
strategica come previsto dalla decisione n. 1229/2003/CE del Consiglio e del Parlamento<br />
Europeo.<br />
<strong>Taranto</strong>, area ad elevato rischio ambientale è ancora in attesa di risanamento. Il piano<br />
approvato nel Novembre 1998 si è rivelato del tutto inadeguato avendo recepito, più che le<br />
necessità del territorio, le indicazioni provenienti dalle stesse industrie inquinatrici e da<br />
un'amministrazione comunale retta in successione da due sindaci, andati sotto processo<br />
ed incarcerati con pesanti accuse (presunte tangenti, collegamenti malavitosi, etc).<br />
330
Negli ultimi anni la situazione ambientale del territorio è anche peggiorata. L'Ilva ha<br />
elevato la sua produzione annuale di acciaio prodotta dallo stabilimento da circa 6 milioni<br />
a 9 milioni di tonnellate, con ulteriore aggravio della situazione ambientale del territorio. La<br />
raffineria, a sua volta, è in procinto di elevare le sue capacità produttive in seguito al<br />
trasferimento, tramite oleodotto, del greggio dalla Val d'Agri al suo terminale.<br />
<strong>Taranto</strong>, quindi, tuttora con un territorio compromesso e con altissimi livelli di<br />
inquinamento oltretutto in via di accentuazione, è innanzitutto improponibile in quanto<br />
ancora in attesa di un piano di risanamento ambientale e non può sopportare ulteriori<br />
carichi in termini di inquinamento e/o rischio tecnologico.<br />
Infine non è superfluo osservare che non esiste una "emergenza nazionale" relativa<br />
all'approvvigionamento energetico in nome della quale poter mettere in sordina le<br />
preoccupazioni qui espresse e dare un "via libero" acritico ai rigassificatori. Siamo infatti in<br />
presenza di un surplus di offerta di gas metano tale da aver indotto nel 2003 l'ENI a non<br />
incrementare la portata dei gasdotti e a ostacolare addirittura la concorrenza nell'offerta<br />
tanto da provocare un intervento sanzionatorio in ambito europeo.<br />
331
LA POSIZIONE DELLA GAS NATURAL<br />
Gas Natural è un gruppo multinazionale spagnolo attivo nel settore energetico e dei<br />
servizi, con più di 10 milioni di clienti nel mondo. Il Gruppo aderisce dal 2002 al Global<br />
Compact delle Nazioni Unite che ha per obiettivo principale la promozione dell'adesione a<br />
principi universali nell'ambito dei diritti umani, delle norme a tutela del lavoro e del rispetto<br />
per l'ambiente. Gas Natural SDG figura dal 2002 nell'indice europeo FTSE4GOOD di<br />
responsabilità sociale, in cui sono registrate le società europee maggiormente impegnate<br />
in questo ambito. Principali azionisti di Gas Natural sono La Caixa (32%) e Repsol YPF<br />
(30,8%). (fonte:Gas Natural Italia)<br />
Gas Natural ha trasmesso, il 10 gennaio 2007 alle Autorità competenti la documentazione<br />
integrativa richiesta dal Ministero <strong>dell'Ambiente</strong> nell'ambito della procedura di VIA per il<br />
Terminale GNL di <strong>Taranto</strong>.<br />
La documentazione include il dettaglio delle risposte a tutte le domande poste dal<br />
Ministero <strong>dell'Ambiente</strong>. In essa sono contenute, tra l'altro, avanzate simulazioni per<br />
l'utilizzo dell'acqua di mare e studi sulla sicurezza in merito all'inserimento dell'opera nel<br />
contesto portuale. Tali applicazioni sostengono ed approfondiscono quanto riportato nello<br />
Studio di Impatto Ambientale circa la compatibilità ambientale dell'insediamento proposto<br />
e l'assenza di problematiche legate sia alla realizzazione che all'esercizio dello stesso.<br />
Le integrazioni sono state realizzate anche grazie all'ausilio di aziende internazionali<br />
leader negli specifici settori interessati.<br />
Sono inoltre stati effettuati esperimenti e simulazioni per provare l'assoluta sicurezza di<br />
movimento delle navi metaniere all’interno del porto in qualsiasi situazione climatica.<br />
Con l'integrazione di questa documentazione si giunge al termine di un momento molto<br />
importante per il terminale di rigassificazione di <strong>Taranto</strong>. L'impianto di GNL, oltre ad offrire<br />
importanti ricadute economiche per il territorio, offrirebbe l'opportunità di importanti<br />
sinergie di tipo ambientale con realtà industriali esistenti e la possibilità di realizzare una<br />
industria del freddo in cascata al processo di rigassificazione<br />
332
In particolare con riferimento alle richieste di integrazione la società ha inteso<br />
Aggiornare i rapporti di coerenza dell’intervento in progetto con la pianificazione portuale<br />
ai sensi dell’art. 5 della L. 84/94 (Nuovo Piano Regolatore Portuale del porto di <strong>Taranto</strong>,<br />
pre-adottato in via preliminare dal Comitato Portuale), con particolare riguardo all’area<br />
portuale “fuori rada del Mar Grande”, relativamente alla destinazione d’uso delle aree a<br />
terra e a mare, alle opere marittime previste nel progetto (pontile e piattaforma), al canale<br />
di accesso delle metaniere ed ai relativi dragaggi, ai riempimenti previsti sia nel sito di<br />
progetto che in aree limitrofe. Inoltre con riferimento al canale di accesso delle gasiere,<br />
previsto da Nord-Ovest, si richiede di valutare la fattibilità tecnico-funzionale di soluzioni<br />
alternative di accesso (ad es. da Sud-Ovest), sulla base di proposte preventivamente<br />
esplorate congiuntamente all’Autorità Portuale di <strong>Taranto</strong>, anche al fine di un’eventuale<br />
aggiornamento del Nuovo P.R.P. prima della sua definitiva adozione.<br />
Le valutazioni di coerenza con la pianificazione portuale, dovranno essere supportate da<br />
idonei elaborati tecnici che dovranno caratterizzare sia l’assetto portuale previsto dal<br />
Nuovo P.R.P. nelle aree portuali e retrostanti il porto limitrofe l’area di progetto che le<br />
modalità di inserimento degli interventi in progetto nel più ampio complesso degli<br />
interventi, di riassetto infrastrutturali e funzionali dal medesimo strumento di pianificazione<br />
La società evidenzia quanto segue:<br />
Il nuovo Piano Regolatore Portuale del Porto di <strong>Taranto</strong> pre-adottato in via preliminare dal<br />
Comitato portuale prevede per il settore fuori rada ed in particolare per l’area che si<br />
estende a Levante di Punta Rondinella e confina a Nord con la linea ferroviaria Bari-<br />
<strong>Taranto</strong> e la Statale 106 e a Ponente con lo scarico a mare dello stabilimento siderurgico<br />
(tavola C2-3 studio BSA - Individuazione delle aree funzionali) una destinazione funzionale<br />
denominata IND-pro-tra. In tale area ricade completamente l’insediamento del Terminale<br />
di Rigassificazione.<br />
Come descritto nelle Norme di Attuazione (elaborato TRN-RT-419) il Piano prevede di<br />
insediare nell’area IND-pro-tra attività industriali di produzione e/o di trasformazione del<br />
tipo più vario, in risposta alle esigenze delle strategie di sviluppo industriale locale. Per<br />
quanto riguarda le opere a mare il Piano prevede la realizzazione di una vasca di colmata<br />
e la realizzazione di una banchina o di un pontile al servizio dell’area (di dimensioni a<br />
333
seconda del tipo di insediamento industriale retrostante), con fondali di circa 14 m in<br />
testata, fino a 10 m in radice. Le opere a terra previste comprendono la realizzazione della<br />
viabilità portuale secondaria, raccordata alla Strada dei Moli, l’infrastrutturazione dei<br />
sedimi esistenti e di quelli ricavati dalla vasca di colmata e la realizzazione degli impianti<br />
funzionali alla svolgimento delle attività industriali previste. Le Funzioni caratterizzanti per<br />
l’area prevedono infine attività industriali di produzione e/o di trasformazione, quali:<br />
costruzione manufatti, centri di produzione energia, impianti di trattamento e di<br />
trasformazione chimica e/o fisica, ecc.<br />
Relativamente alle rotte di accesso per l’area portuale fuori rada il PRP (tavola C2-5 studio<br />
BSA – Indicazione dei caratteri plano altimetrici dell’area lato terra e lato mare – Allegato<br />
1.5) prevede per il settore fuori rada la realizzazione sia dell’accesso da nord-ovest che<br />
dell’accesso da sud-est (si prevede infatti il ridimensionamento della diga foranea ed al<br />
contempo due ulteriori dighe frangiflutti) nonché una profondità dei fondali per entrambe le<br />
rotte sufficienti al transito delle gasiere. Per la gestione dei fanghi di risulta dai dragaggi il<br />
PRP nelle Norme di Attuazione (elaborato TRN-RT-419 par. 8.4 – allegato 1.13) ipotizza<br />
diverse soluzioni, in relazione alla loro natura, alla normativa esistente al momento della<br />
loro gestione, dei costi previsti per la loro manipolazione e stoccaggio. Le soluzioni<br />
considerate possibili da definire volta per volta, a fronte delle necessità specifiche tra cui<br />
definire la soluzione ottimale sono:<br />
Costituzione di vasche di colmata.<br />
Conferimento a terra in discariche o in cave dismesse ovvero riprofilamento di parti del<br />
territorio.<br />
Utilizzo e/o commercio del materiale con buone caratteristiche fisiche e geotecniche.<br />
Immissione in mare aperto, in aree marine idonee da individuare, attualmente alternativa<br />
esclusa tranne la dimostrata impossibilità ad accedere a soluzioni diverse.<br />
La scelta della metodologia, la tecnica di dragaggio ed una dettagliata pianificazione della<br />
sua gestione è rimandata all’atto delle decisioni di implementazione delle singole opere od<br />
attività di dragaggio.<br />
La rotta di accesso per le gasiere in progetto (da nord-ovest) ed i conseguenti<br />
dragaggi ricadono ampliamente all’interno di quanto previsto dal P.R.P. in preadozione.<br />
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CONCLUSIONI<br />
Il termine energia deriva dal greco e significa “forza”, una volta attribuita a quella degli<br />
schiavi. Perché la prima forma di energia conosciuta era quella umana delle braccia.<br />
Poi s’è compreso che, prima d’essere una divinità, il sole stesso era la forma di<br />
energia più presente e diffusa. Oggi siamo nel pieno di un assillante discorso sull’energia<br />
perché è cresciuta a dismisura una società energifora. Con il grande rebus, sul quale tutti<br />
riflettono ma pochi propongono qualcosa, su quale fonte energetica sarà veramente<br />
sufficiente e disponibile nel futuro in modo di assicurare la vita delle persone.<br />
Perchè finora, e lo abbiamo visto, siamo costretti a pensare ad um mix di fonti<br />
energetiche.<br />
Che sia il modello sbagliato Forse, è proprio su questo che, in conclusione,<br />
occorrerà riflettere.<br />
Inseguire un modello di sviluppo che non tiene conto delle ragioni della natura, non<br />
solo e’ sbagliato, perché consumando le risorse del pianeta non ne avremo altre a<br />
disposizione e se non si inverte la situazione il mondo collasserà su se stesso, ma è<br />
sbagliato perchè non tiene conto delle nozioni fondamentali merceologiche dell’economia<br />
sulle materie prime e sulle risorse energetiche.<br />
Perchè puntare su risorse non rinnovabili significa non investire sul futuro. Allora più<br />
che parlare di crescita, occorrerà parlare di decrescita, non nel senso di un ritorno al<br />
passato, ma nel senso di un recupero della consapevolezza della sostenibilità ambientale<br />
come regola, ancor prima di essere assunta come valore universale.<br />
Perché è proprio dandoci un rigore morale, prima ancora che civile e penale, che<br />
possiamo iniziare a pensare ad un diverso modo di vivere di quest’umanità.<br />
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