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Ricette tipiche del territorio piemontese - Piemonte Agri

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A nostro avviso, benché il nostro studio non possa ovviamente ambire a<br />

cristallizzare una dimensione – quella <strong>del</strong> tipico – che, come detto in premessa, è<br />

per sua natura in divenire e ideale più che oggettiva, il risultato finale è un quadro<br />

illustrativo molto significativo <strong>del</strong> panorama gastronomico locale <strong>del</strong> <strong>Piemonte</strong> e<br />

<strong>del</strong> suo divenire storico.<br />

Nota sulle fonti per la storia dei piatti tipici <strong>del</strong> <strong>territorio</strong>. In questo<br />

documento, focalizzato sulla problematicità storica <strong>del</strong>le ricette <strong>tipiche</strong>, una<br />

discussione finale meritano le fonti scritte a disposizione, e che sono state<br />

utilizzate per il nostro studio. Prenderemo il <strong>territorio</strong> di Vercelli come esempio<br />

<strong>del</strong>le traiettorie <strong>del</strong>ineate dalle varie fonti per i piatti tipici ­ identificazioni,<br />

selezioni, omissioni, scomparse e riapparizioni. Le dinamiche evidenziate,<br />

tuttavia, sono sostanzialmente valide per tutte le altre aree <strong>del</strong> <strong>territorio</strong><br />

<strong>piemontese</strong>. (Rielaboro questa parte dall’introduzione <strong>del</strong> mio capitolo, “La<br />

cucina e i rapporti tra città e <strong>territorio</strong>, 1820­1960”, in Edoardo Tortarolo, a cura<br />

di, Storia di Vercelli, Torino, UTET, 2011).<br />

Come ha spiegato Piero Meldini, le cucine regionali italiane così come le<br />

conosciamo oggi si sono formate a partire dalla fine <strong>del</strong> Settecento in virtù<br />

<strong>del</strong>l’incrocio tra le nuove idee di gastronomia provenienti dalla Francia, che<br />

enfatizzavano una maggior riconoscibilità dei singoli ingredienti e che ne<br />

premiavano la freschezza e la naturalità all’interno di piatti seppur sempre molto<br />

elaborati, e l’emergere di un approccio borghese alla cucina, ispirato alla cucina<br />

professionale dei cuochi dei ristoranti (anch’essi una nuova istituzione borghese)<br />

e attento non solo al gusto ma anche alla razionalizzazione e all’economicità<br />

<strong>del</strong>le ricette (Piero Meldini, “L’emergere <strong>del</strong>le cucine regionali: l’Italia”, in Jean­<br />

Louis Flandrin e Massimo Montanari, a cura di, Storia <strong>del</strong>l’alimentazione, Roma,<br />

Laterza, 1997, pp. 658­664). Questo passaggio, registrato dal Pellegrino Artusi di<br />

La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene (prima edizione 1891), portò per la<br />

prima volta alla rielaborazione, cittadina e tendenzialmente borghese, di alcune<br />

preparazioni <strong>del</strong>la cucina festiva (per definizione eccezionale) <strong>del</strong>le classi<br />

subalterne contadine. Le cucine regionali italiane contemporanee sono quindi<br />

necessariamente un frutto ottocentesco, non solo perché prodotti fondamentali<br />

per la loro economia come il riso, il granoturco, la patata, il pomodoro, il<br />

peperone, il peperoncino e la stessa pasta secca non assunsero largo uso che<br />

verso la fine <strong>del</strong>l’Ottocento, ma perché la loro formalizzazione avvenne<br />

soprattutto nel contesto <strong>del</strong>lo scambio di classe e di città­campagna segnato<br />

dall’emergere <strong>del</strong>la nuova borghesia nazionale. Pochissimo si sapeva e<br />

pochissimo c’era da sapere prima di allora di una cucina popolare votata alla<br />

mera sopravvivenza e determinata dalla continua incombente paura <strong>del</strong>la fame –<br />

donde l’enfasi nella dieta contadina sui cereali, conservabili nel lungo periodo, e<br />

l’ingegnosità <strong>del</strong>le tecniche di conservazione di carne e latte da cui nascevano i<br />

preziosi salumi e formaggi. La mappatura e la classificazione tassonomica dei<br />

piatti e dei prodotti tipici regionali “ottocenteschi” si sono quindi sviluppate nel<br />

Novecento, servendo via via all’agenda dei progetti di costruzione nazionale – in<br />

particolare quello fascista – votati alla promozione <strong>del</strong> folklore locale come<br />

momento partecipativo <strong>del</strong>le masse rurali e <strong>del</strong>le aree periferiche <strong>del</strong> paese ai<br />

destini nazionali; di promozione turistica dei territori nel dopoguerra <strong>del</strong> boom

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