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I sommersi e i salvati

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poterli ancora rinchiudere in Lager meno minacciati dai fronti avanzanti, e di<br />

sfruttarne le ultime capacità lavorative, e nell’altra speranza meno assurda che il<br />

tormento di quelle bibliche marce ne riducesse il numero. Ed infatti il numero<br />

fu spaventosamente ridotto, ma qualcuno ha pure avuto la fortuna e la forza di<br />

sopravvivere, ed è rimasto per testimoniare.<br />

É meno noto e meno studiato il fatto che molti portatori di segreti si<br />

trovavano anche dall’altra parte, dalla parte degli oppressori, benché molti<br />

sapessero poco, e pochi sapessero tutto. Nessuno riuscirà mai a stabilire con<br />

precisione quanti, nell’apparato nazista, non potessero non sapere delle spaventose<br />

atrocità che venivano commesse; quanti sapessero qualcosa, ma fossero in<br />

grado di fingere d’ignorare; quanti ancora avessero avuto la possibilità di sapere<br />

tutto, ma abbiano scelto la via più prudente di tenere occhi ed orecchi (e<br />

soprattutto la bocca) ben chiusi. Comunque sia, poiché non si può supporre<br />

che la maggioranza dei tedeschi accettasse a cuor leggero la strage, è certo che<br />

la mancata diffusione della verità sui Lager costituisce una delle maggiori colpe<br />

collettive del popolo tedesco, e la più aperta dimostrazione della viltà a cui il<br />

terrore hitleriano lo aveva ridotto: una viltà entrata nel costume, e così<br />

profonda da trattenere i mariti dal raccontare alle mogli, i genitori ai figli; senza<br />

la quale, ai maggiori eccessi non si sarebbe giunti, e l’Eu-ropa ed il mondo oggi<br />

sarebbero diversi.<br />

Senza dubbio, coloro che conoscevano l’orribile verità per esserne (o esserne<br />

stati) responsabili avevano forti ragioni per tacere; ma, in quanto depositari del<br />

segreto, anche tacendo non avevano sempre la vita sicura. Lo dimostra il caso<br />

di Stangl e degli altri macellai di Treblinka, che dopo l’insurrezione e lo<br />

smantellamento di quel Lager furono trasferiti in una delle zone partigiane più<br />

pericolose.<br />

L’ignoranza voluta e la paura hanno fatto tacere anche molti potenziali<br />

testimoni «civili» delle infamie dei Lager. Specialmente negli ultimi anni di<br />

guerra, i Lager costituivano un sistema esteso, complesso, e profondamente<br />

compenetrato con la vita quotidiana del paese; si è parlato con ragione di<br />

«univers concentrationnaire», ma non era un universo chiuso. Società<br />

industriali grandi e piccole, aziende agricole, fabbriche di armamenti, traevano<br />

profitto dalla mano d’opera pressoché gratuita fornita dai campi. Alcune<br />

sfruttavano i prigionieri senza pietà, accettando il principio disumano (ed<br />

anche stupido) delle SS, secondo cui un prigioniero ne valeva un altro, e se<br />

moriva di fatica poteva essere immediatamente sostituito; altre, poche,<br />

cercavano cautamente di alleviarne le pene. Altre industrie, o magari le stesse,<br />

ricavavano profitti dalle forniture ai Lager medesimi: legname, materiali per<br />

costruzione, il tessuto per l’uniforme a righe dei prigionieri, i vegetali essiccati<br />

per la zuppa, eccetera. Gli stessi forni crematori multipli erano stati progettati,<br />

costruiti, montati e collaudati da una ditta tede-sca, la Topf di Wiesbaden (era<br />

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