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I sommersi e i salvati

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W. G. è nato nel 1935 a Brema; è storico e sociologo, militante nel partito<br />

socialdemocratico:<br />

alla fine della guerra ero ancora un bambino; non mi posso<br />

addossare alcuna parte di colpa per i delitti spaventosi commessi<br />

dai tedeschi; eppure ne provo vergogna. Odio i criminali che<br />

fecero soffrire Lei ed i Suoi compagni, e odio i loro complici,<br />

molti dei quali sono ancora in vita. Lei scrive di non saper<br />

comprendere i tedeschi. Se intende alludere ai carnefici ed ai loro<br />

aiutanti, allora anch’io non riesco a comprenderli: ma spero che<br />

avrò la forza di combatterli, se si presentassero di nuovo alla<br />

ribalta della storia. Ho parlato di «vergogna»: intendevo esprimere<br />

questo sentimento, che quanto a quel tempo è stato perpetrato<br />

per mano tedesca, non avrebbe mai dovuto avvenire, né mai<br />

avrebbe dovuto essere approvato da altri tedeschi.<br />

Con H. L., bavarese, studentessa, le cose si sono complicate. Mi ha scritto una<br />

prima volta nel 1962; la sua lettera era singolarmente viva, sciolta dalla<br />

tetraggine plumbea che caratterizza quasi tutte le altre, anche le meglio<br />

intenzionate. Riteneva che io mi aspettassi «una eco» soprattutto dalle persone<br />

importanti, ufficiali, non da una ragazza, ma «si sente chiamata in causa, come<br />

erede e complice». É soddisfatta dell’educazione che riceve a scuola, e di<br />

quanto le è stato insegnato sulla storia recente del suo paese, ma non è sicura<br />

«che un giorno la mancanza di misura che è propria ai tedeschi non prorompa<br />

nuovamente, sotto altra veste e diretta ad altri scopi». Deplora che i suoi<br />

coetanei rifiutino la politica «come qualcosa di sporco». É insorta in modo<br />

«violento ed incomposto» contro un prete che sparlava degli ebrei, e contro la<br />

sua insegnante di russo, una russa, che attribuiva agli ebrei la colpa della<br />

rivoluzione di ottobre, e considerava la strage hitleriana come una giusta<br />

punizione. In quei momenti, ha provato «una indicibile vergogna di<br />

appartenere al più barbarico dei popoli». «Pure al di fuori di ogni misticismo o<br />

superstizione», è convinta «che noi tedeschi non sfuggiremo alla giusta<br />

punizione per quanto abbiamo commesso». Si sente in qualche modo<br />

autorizzata, anzi tenuta, ad affermare «che noi, figli di una generazione carica di<br />

colpa, ne siamo pienamente consapevoli, e cercheremo di alleviare gli orrori e i<br />

dolori di ieri per evitare che si ripetano domani».<br />

Poiché mi è sembrata una interlocutrice intelligente, spregiudicata e «nuova», le<br />

ho scritto chiedendole notizie più precise sulla situazione della Germania di<br />

allora (era l’epoca di Adenauer); quanto al suo timore di una «giusta punizione<br />

» collettiva, ho cercato di convincerla che una punizione, se è collettiva, non<br />

può essere giusta, e viceversa. Mi ha spedito a volta di corriere una cartolina, in<br />

cui mi diceva che le mie domande richiedevano un certo lavoro di ricerca;<br />

avessi pazienza, mi avrebbe risposto in modo esauriente appena possibile.<br />

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