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tuttora attiva fin verso il 1975: costruiva crematori per uso civile, e non aveva<br />
ritenuto opportuno apportare mutamenti alla sua ragione sociale). É difficile<br />
pensare che il personale di queste imprese non si rendesse conto del significato<br />
espresso dalla qualità o dalla quantità delle merci e degli impianti che venivano<br />
commissionati dai comandi SS. Lo stesso discorso si può fare, ed è stato fatto,<br />
per quanto riguarda la fornitura del veleno che fu impiegato nelle camere a gas<br />
di Auschwitz: il prodotto, sostanzialmente acido cianidrico, era usato già da<br />
molti anni per la disinfestazione delle stive, ma il brusco aumento delle<br />
ordinazioni a partire dal 1942 non poteva passare inosservato. Doveva far<br />
nascere dubbi, e certamente li fece nascere, ma essi furono soffocati dalla<br />
paura, dal desiderio di guadagno, dalla cecità e stupidità volontaria a cui<br />
abbiamo accennato, ed in alcuni casi (proba-bilmente pochi) dalla fanatica<br />
obbedienza nazista.<br />
È naturale ed ovvio che il materiale più consistente per la ricostruzione della<br />
verità sui campi sia costituito dalle memorie dei superstiti. Al di là della pietà e<br />
dell’indignazione che suscitano, esse vanno lette con occhio critico. Per una<br />
conoscenza dei Lager, i Lager stessi non erano sempre un buon osservatorio:<br />
nelle condizioni di-sumane a cui erano assoggettati, era raro che i prigionieri<br />
potessero acquisire una visione d’insieme del loro universo. Poteva accadere,<br />
soprattutto per coloro che non capivano il tedesco, che i prigionieri non<br />
sapessero neppure in quale punto d’Europa si trovasse il Lager in cui stavano,<br />
ed in cui erano arrivati dopo un viaggio massacrante e tortuoso in vagoni<br />
sigillati. Non conoscevano l’esistenza di altri Lager, magari a pochi chilometri<br />
di distanza. Non sapevano per chi lavoravano. Non comprendevano il<br />
significato di certi improvvisi mutamenti di condi-zione e dei trasferimenti in<br />
massa. Circondato dalla morte, spesso il depor-tato non era in grado di<br />
valutare la misura della strage che si svolgeva sotto i suoi occhi. Il compagno<br />
che oggi aveva lavorato al suo fianco, domani non c’era più: poteva essere nella<br />
baracca accanto, o cancellato dal mondo; non c’era modo di saperlo. Si sentiva<br />
insomma dominato da un enorme edificio di violenza e di minaccia, ma non<br />
poteva costruirsene una rappresentazione perché i suoi occhi erano legati al<br />
suolo dal bisogno di tutti i minuti.<br />
Da questa carenza sono state condizionate le testimonianze, verbali o scritte,<br />
dei prigionieri «normali», dei non privilegiati, di quelli cioè che costituivano il<br />
nerbo dei campi, e che sono scampati alla morte solo per una combinazione di<br />
eventi improbabili. Erano maggioranza in Lager, ma esigua minoranza tra i<br />
sopravvissuti: fra questi, sono molto più numerosi coloro che in prigionia<br />
hanno fruito di un qualche privilegio. A distanza di anni, si può oggi bene<br />
affermare che la storia dei Lager è stata scritta quasi esclusivamente da chi,<br />
come io stesso, non ne ha scandagliato il fondo. Chi lo ha fatto non è tornato,<br />
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