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I sommersi e i salvati

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pagine sul laboratorio della Buna: era dunque questo il modo in<br />

cui voi prigionieri vedevate noi liberi!<br />

Poco oltre, racconta di un prigioniero russo che in autunno le portava il<br />

carbone in cantina. Parlargli era proibito: lei gli infilava in tasca cibo e sigarette,<br />

e lui, per ringraziare, gridava: «Heil Hitler!» Non le era proibito invece (che<br />

labirinto di gerarchie e di divieti differenziali doveva essere la Germania di<br />

allora! anche le «lettere di tedeschi», e le sue in specie, dicono più di quanto<br />

non paia) parlare con una giovane operaia «volontaria» francese: lei la prelevava<br />

dal suo campo, se la portava a casa, la conduceva perfino a qualche concerto.<br />

La ragazza, in campo, non poteva lavarsi bene, e aveva i pidocchi. Hety non<br />

osava dirglielo, provava disagio, e si vergognava del suo disagio.<br />

A questa sua prima lettera ho risposto che il mio libro aveva bensì destato<br />

risonanza in Germania, ma proprio fra i tedeschi che avevano meno bisogno di<br />

leggerlo: mi avevano scritto lettere di pentimento gli innocenti, non i colpevoli.<br />

Questi, come è comprensibile, tacevano.<br />

Nelle sue lettere successive, a poco a poco, nel suo modo indiretto, Hety (la<br />

chiamerò così per semplicità, sebbene al «tu» non siamo mai arrivati) mi ha<br />

fornito un ritratto di se stessa. Suo padre, pedagogista di professione, era un<br />

attivista socialdemocratico fin dal 1919; nel ‘33, l’anno in cui Hitler salì al<br />

potere, perse subito l’impiego, si susseguirono perquisizioni e difficoltà<br />

economiche, la famiglia si dovette trasferire in un alloggio più piccolo. Nel ‘35<br />

Hety fu espulsa dal liceo perché aveva rifiutato di entrare nell’orga-nizzazione<br />

giovanile hitleriana. Sposò nel ‘38 un ingegnere della IG Farben (di qui il suo<br />

interesse per «il laboratorio di Buna»!) da cui ebbe subito due figli. Dopo<br />

l’attentato a Hitler del 20 luglio 1944, suo padre fu deportato a Dachau, ed il<br />

matrimonio entrò in crisi perché il marito, pur non essendo iscritto al partito,<br />

non tollerava che Hety mettesse in pericolo se stessa, lui e i figli per «fare<br />

quello che andava fatto», cioè per portare ogni settimana un po’ di cibo ai<br />

cancelli del campo in cui il padre era prigioniero:<br />

…a lui sembrava che i nostri sforzi fossero assolutamente<br />

insensati. Tenemmo una volta un consiglio di famiglia per<br />

vedere se ci fossero possibilità di dare un aiuto a mio padre, e se<br />

si quali; ma lui disse soltanto: «Mettetevi il cuore in pace: non lo<br />

vedrete più».<br />

Invece, a guerra finita il padre tornò, ma era ridotto ad uno spettro (morì pochi<br />

anni dopo). Hety, assai legata a lui, si senti in dovere di proseguire l’attività nel<br />

rinnovato partito socialdemocratico; il marito non era d’accordo, vi fu una lite,<br />

e lui chiese ed ottenne il divorzio. La sua seconda moglie era una profuga dalla<br />

Prussia Orientale che, per via dei due figli, mantenne discreti rapporti con<br />

Hety. Le disse una volta, a proposito del padre, di Dachau e dei Lager:<br />

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