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I sommersi e i salvati

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Non avertene a male se io non sopporto di leggere o di ascoltare<br />

queste tue cose. Quando abbiamo dovuto scappare, è stato<br />

tremendo; e la cosa peggiore è stata che abbiamo dovuto<br />

prendere la strada per cui erano stati evacuati prima i prigionieri<br />

di Auschwitz. La via era fra due siepi di morti. Vorrei<br />

dimenticare quelle immagini e non posso: continuo a sognarle.<br />

Il padre era appena ritornato quando Thomas Mann, alla radio, parlò di<br />

Auschwitz, del gas e dei crematori.<br />

Ascoltammo tutti con turbamento e tacemmo a lungo.<br />

Papà andava su e giù, taciturno, imbronciato, finché io gli chiesi:<br />

«Ma ti pare possibile, che si avveleni la gente col gas, la si<br />

bruci, che si utilizzino i loro capelli, la pelle, i denti? » E lui, che<br />

pure veniva da Dachau, rispose: «No, non è pensabile. Un<br />

Thomas Mann non dovrebbe dar fede a questi orrori». Eppure<br />

era tutto vero: poche settimane dopo ne abbiamo avuto le prove<br />

e ce ne siamo convinti.<br />

In un’altra sua lunga lettera mi aveva descritto la loro vita nella « emigrazione<br />

interna»:<br />

Mia madre aveva una carissima amica ebrea. Era vedova e<br />

viveva sola, i figli erano emigrati, ma lei non si risolveva a<br />

lasciare la Germania. Anche noi eravamo dei perseguitati, ma<br />

«politici»: per noi era diverso, ed abbiamo avuto fortuna<br />

nonostante i molti pericoli. Non dimenticherò la sera in cui<br />

quella donna venne da noi, al buio, per dirci: «Vi prego, non<br />

venite più a cercarmi, e scusatemi se io non vengo da voi.<br />

Capite, vi metterei in pericolo...» Naturalmente abbiamo<br />

continuato a visitarla, finché non fu deportata a Theresienstadt.<br />

Non l’abbiamo più rivista, e per lei non abbiamo «fatto» niente:<br />

che cosa avremmo potuto fare? Eppure il pensiero che non si<br />

potesse fare nulla ci tormenta ancora: La prego, cerchi di<br />

comprendere.<br />

Mi ha raccontato di aver assistito nel 1967 al processo per l’Eutanasia. Uno<br />

degli imputati, un medico, aveva dichiarato in giudizio che gli era stato<br />

ordinato di iniettare personalmente il veleno ai malati mentali, e che lui aveva<br />

rifiutato per coscienza professionale; per contro, manovrare il rubinetto del gas<br />

gli era sembrato poco gradevole, ma insomma tollerabile. Tornata a casa, Hety<br />

trova la donna delle pulizie, una vedova di guerra, intenta al suo lavoro, e il<br />

figlio che sta cucinando. Tutti e tre si siedono a tavola, e lei racconta al figlio<br />

quanto ha visto e sentito al processo. Ad un tratto,<br />

la donna ha posato la forchetta ed è intervenuta<br />

aggressivamente: «A cosa servono tutti questi processi che<br />

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