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fanno adesso? Cosa potevano farci, i nostri poveri soldati, se gli<br />
davano quegli ordini? Quando mio marito è venuto in licenza<br />
dalla Polonia, mi ha raccontato: “Non abbiamo fatto quasi<br />
niente altro che fucilare ebrei: sempre fucilare ebrei. A furia di<br />
sparare, il braccio mi faceva male”. Ma che cosa poteva fare, se<br />
gli avevano dato quegli ordini? » (...) L’ho licenziata, reprimendo<br />
la tentazione di congratularmi con lei per il suo povero marito<br />
caduto in guerra... Ecco, vede, qui in Germania viviamo ancor<br />
oggi in mezzo a persone di questo genere.<br />
Hety ha lavorato per molti anni presso il Ministero della Cultura del Land<br />
Hessen (Assia): era una funzionaria diligente ma irruente, autrice di recensioni<br />
polemiche, organizzatrice «appassionata» di convegni ed incontri con i giovani,<br />
altrettanto appassionata alle vittorie e sconfitte del suo partito. Dopo il<br />
pensionamento, avvenuto nel 1978, la sua vita culturale si è ancora arricchita:<br />
mi ha scritto di viaggi, di letture, di stages linguistici.<br />
Soprattutto, e per tutta la sua vita, è stata avida, addirittura famelica, di incontri<br />
umani: quello, duraturo e fecondo, con me, è stato solo uno dei tanti. «Il mio<br />
destino mi spinge verso gli uomini con un destino», mi ha scritto una volta: ma<br />
non era il destino a spingerla, era una vocazione. Li cercava, li trovava, li<br />
metteva in contatto fra loro, curiosissima dei loro incontri o scontri. É stata lei<br />
a dare a me l’indirizzo di Jean Améry e il mio a lui, ma ad una condizione: che<br />
entrambi le mandassimo le veline delle lettere che ci saremmo scambiate (lo<br />
abbiamo fatto). Ha avuto una parte importante anche nel rimettermi sulle<br />
tracce di quel dottor Müller, chimico ad Auschwitz, e poi mio fornitore di<br />
prodotti chimici e penitente, di cui ho parlato nel capitolo Vanadio del Sistema<br />
periodico: era stato collega del suo ex marito. Anche del «dossier Müller» ha<br />
chiesto, a buon diritto, le veline; ha poi scritto lettere intelligenti a lui su di me<br />
ed a me su di lui, incrociando doverosamente le «copie per conoscenza ».<br />
In una sola occasione abbiamo (o almeno, io ho) percepito una divergenza.<br />
Nel 1966 era stato rilasciato Albert Speer dal carcere interalleato di Spandau.<br />
Come è noto, era stato l'«architetto di corte» di Hitler, ma nel 1943 era stato<br />
nominato ministro dell’industria di guerra; in quanto tale, era in buona parte<br />
responsabile dell’organizzazione delle fabbriche in cui noi morivamo di fatica e<br />
di fame. A Norimberga era stato il solo fra gli imputati a dichiararsi colpevole,<br />
anche per le cose che non aveva saputo; anzi, appunto per non aver voluto<br />
saperle. Fu condannato a vent’anni di reclusione, che impiegò a scrivere le sue<br />
memorie carcerarie, pubblicate in Germania nel 1975. Hety dapprima esitò, poi<br />
le lesse, e ne fu profondamente turbata. Chiese a Speer un colloquio, che durò<br />
due ore; gli lasciò il libro di Langbein su Auschwitz ed una copia di Se questo è<br />
un uomo, dicendo-gli che era tenuto a leggerli. Lui le diede una copia dei suoi<br />
Diari di Spandau (Mondadori, Milano 1976) perché Hety me la spedisse.<br />
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