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anni, essa sarà ricordata come il fatto centrale, come la macchia di questo<br />
secolo.<br />
Per contro, il trascorrere del tempo sta provocando altri effetti storicamente<br />
negativi. La maggior parte dei testimoni, di difesa e di accusa, sono ormai<br />
scomparsi, e quelli che rimangono, e che ancora (superando i loro rimorsi, o<br />
rispettivamente le loro ferite) acconsen-tono a testimoniare, dispongono di<br />
ricordi sempre più sfuocati e stilizzati; spesso, a loro insaputa, influenzati da<br />
notizie che essi hanno appreso più tardi, da letture o da racconti altrui. In<br />
alcuni casi, naturalmente, la smemoratezza è simulata, ma i molti anni trascorsi<br />
la rendono credibile, anche in giudizio: i «non so» o «non sapevo», detti oggi da<br />
molti tedeschi, non scandalizzano più, mentre scandalizzavano, o avrebbero<br />
dovuto scandalizzare, quando i fatti erano recenti.<br />
Di un’altra stilizzazione siamo responsabili noi stessi, noi reduci, o più<br />
precisamente quelli fra noi che hanno accettato di vivere la loro condizione di<br />
reduci nel modo più semplice e meno critico. Non è detto che le cerimonie e le<br />
celebrazioni, i monumenti e le bandiere, siano sempre e dappertutto da<br />
deplorare. Una certa dose di retorica è forse indispensabile affinché il ricordo<br />
duri. Che i sepolcri, «l’urne de’ forti», accendano gli animi a egregie cose, o<br />
almeno conservino memoria delle imprese compiute, era vero ai tempi del<br />
Foscolo ed è vero ancor oggi; ma bisogna stare in guardia dalle semplificazioni<br />
eccessive. Ogni vittima è da piangere, ed ogni reduce è da aiutare e<br />
commiserare, ma non tutti i loro comportamenti sono da proporre ad<br />
esempio. L’interno dei Lager era un microcosmo intricato e stratificato; la<br />
«zona grigia» di cui parlerò più oltre, quella dei prigionieri che in qualche<br />
misura, magari a fin di bene, hanno collaborato con l’autorità, non era sottile,<br />
anzi costituiva un fenomeno di fondamentale importanza per lo storico, lo<br />
psicologo ed il sociologo. Non c’è prigioniero che non lo ricordi, e che non<br />
ricordi il suo stupore di allora: le prime minacce, i primi insulti, i primi colpi<br />
non venivano dalle SS, ma da altri prigionieri, da «colleghi», da quei misteriosi<br />
personaggi che pure vestivano la stessa tunica a zebra che loro, i nuovi arrivati,<br />
avevano appena indossata.<br />
Questo libro intende contribuire a chiarire alcuni aspetti del fenomeno Lager<br />
che ancora appaiono oscuri. Si propone anche un fine più ambizioso; vorrebbe<br />
rispondere alla domanda più urgente, alla domanda che angoscia tutti coloro<br />
che hanno avuto occasione di leggere i nostri racconti: quanto del mondo<br />
concentrazionario è morto e non ritornerà più, come la schiavitù ed il codice<br />
dei duelli? quanto è tornato o sta tornando? che cosa può fare ognuno di noi,<br />
perché in questo mondo gravido di minacce, almeno questa minaccia venga<br />
vanificata?<br />
Non ho avuto intenzione, né sarei stato capace, di fare opera di storico, cioè di<br />
esaminare esaustivamente le fonti. Mi sono limitato quasi esclusivamente ai<br />
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