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I sommersi e i salvati

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segnale: per quegli altri, uomini non eravamo più: con noi, come con le vacche<br />

o i muli, non c’era una differenza sostanziale tra l’urlo e il pugno. Perché un<br />

cavallo corra o si fermi, svolti, tiri o smetta di tirare, non occorre venire a patti<br />

con lui o dargli spiegazioni dettagliate; basta un dizionario costituito da una<br />

dozzina di segni variamente assortiti ma univoci, non importa se acustici o<br />

tattili o visivi: trazione delle briglie, punture degli speroni, urla, gesti, schiocchi<br />

di frusta, strombettii delle labbra, pacche sulla schiena, vanno tutti ugualmente<br />

bene. Parlargli sarebbe un’a-zione sciocca, come parlare da soli, o un patetismo<br />

ridicolo: tanto, che cosa capirebbe? Racconta Marsalek, nel suo libro<br />

Mauthausen (La Pietra, Milano 1977) che in questo Lager, ancora più mistilingue<br />

di Auschwitz, il nerbo di gomma si chiamava «der Dolmetscher», l’inter-prete:<br />

quello che si faceva capire da tutti.<br />

Infatti, l’uomo incolto (e i tedeschi di Hitler, e le SS in specie, erano<br />

paurosamente incolti: non erano stati «coltivati», o erano stati coltivati male)<br />

non sa distinguere nettamente fra chi non capisce la sua lingua e chi non<br />

capisce tout court. Ai giovani nazisti era stato martellato in testa che esisteva al<br />

mondo una sola civiltà, quella tedesca; tutte le altre, presenti o passate, erano<br />

accettabili solo in quanto contenessero in sé qualche elemento germanico.<br />

Perciò, chi non capiva né parlava il tedesco era per definizione un barbaro; se<br />

si ostinava a cer-care di esprimersi nella sua lingua, anzi, nella sua non-lingua,<br />

bisognava farlo tacere a botte e rimetterlo al suo posto, a tirare, portare e<br />

spingere, poiché non era un Mensch, un essere umano. Mi torna alla memoria<br />

un episodio eloquente. Nel cantiere, il Kapò novellino di una squadra costituita<br />

in prevalenza di italiani, francesi e greci non s’era accorto che alle sue spalle si<br />

era avvicinato uno dei più temuti sorveglianti delle SS. Si volse di scatto, si<br />

mise sull’attenti tutto smarrito, ed enunciò la Meldung prescritta: «Kommando<br />

83, quaranta-due uomini». Nel suo turbamento, aveva proprio detto<br />

«zweiundvierzig Mann», «uomini». Il milite lo corresse in tono burbero e<br />

paterno: non si dice così, si dice «zweiundvierzig Häftlinge», quarantadue<br />

prigionieri. Era un Kapò giovane, e perciò perdonabile, ma doveva imparare il<br />

mestiere, le convenienze sociali e le distanze gerarchiche.<br />

Questo «non essere parlati a» aveva effetti rapidi e devastanti. A chi non ti<br />

parla, o ti si indirizza con urli che ti sembrano inarticolati, non osi rivolgere la<br />

parola. Se hai la fortuna di trovare accanto a te qualcuno con cui hai una lingua<br />

comune, buon per te, potrai scambiare le tue impressioni, consigliarti con lui,<br />

sfogarti; se non trovi nessuno, la lingua ti si secca in pochi giorni, e con la<br />

lingua il pensiero.<br />

Inoltre, sul piano dell’immediato, non capisci gli ordini ed i divieti, non decifri<br />

le prescrizioni, alcune futili e derisorie, altre fondamentali. Ti trovi insomma<br />

nel vuoto, e comprendi a tue spese che la comunicazione genera<br />

l’informazione, e che senza informazione non si vive. La maggior parte dei<br />

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