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I sommersi e i salvati

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natura, o assuefatti all’isolamento già nella loro vita «civile», non davano segno<br />

di patirne; ma la maggior parte dei prigionieri che avevano superato la fase<br />

critica dell’ini-ziazione cercavano di difendersi, ciascuno a suo modo: chi<br />

mendi-cando brandelli d’informazione, chi propalando senza discernimento<br />

notizie trionfali o disastrose, vere o false o inventate, chi aguzzando occhi ed<br />

orecchi a cogliere ed a cercare di interpretare tutti i segni offerti dagli uomini,<br />

dalla terra e dal cielo. Ma alla scarsa comunicazione interna si sommava la<br />

scarsa comunicazione col mondo esterno. In alcuni Lager l’isolamento era<br />

totale; il mio, Monowitz-Auschwitz, sotto questo aspetto poteva considerarsi<br />

privilegiato. Arrivavano, quasi ogni settimana, prigionieri «nuovi» da tutti i<br />

paesi dell’Europa occupata, e portavano notizie recenti, spesso come testimoni<br />

oculari; a dispetto dei divieti, e del pericolo di essere denunciati alla Gestapo,<br />

nell’enorme cantiere parlavamo con operai polacchi e tedeschi, a volte perfino<br />

con prigionieri di guerra inglesi; trovavamo nei bidoni delle immondizie<br />

giornali vecchi di qualche giorno, e li leggevamo avidamente. Un mio<br />

compagno di lavoro intraprendente, bilingue in quanto alsaziano, e giornalista<br />

di professione, si vantava addirittura di essersi abbonato al «Völlischer<br />

Beobachter», il più autorevole quotidiano della Germania di allora: che cosa<br />

c’era di più semplice? Aveva pregato un operaio tedesco, fidato, di abbonarsi,<br />

ed aveva rilevato l’abbonamento cedendogli un dente d’oro. Ogni mattina,<br />

nella lunga attesa dell’appello, ci radunava intorno a sé e ci faceva un accurato<br />

riassunto delle notizie del giorno.<br />

Il 7 giugno 1944 vedemmo andare al lavoro i prigionieri inglesi, e c’era in loro<br />

qualcosa di diverso: marciavano bene inquadrati, impettiti, sorridenti, marziali,<br />

con un passo talmente alacre che la sentinella tedesca che li scortava, un<br />

territoriale non più giovane, stentava a tenergli dietro. Ci salutarono col segno<br />

V della vittoria. Sapemmo il giorno dopo che da una loro radio clandestina<br />

avevano appreso la notizia dello sbarco alleato in Normandia, e fu un gran<br />

giorno anche per noi: la libertà sembrava a portata di mano. Ma nella maggior<br />

parte dei campi le cose stavano assai peggio. I nuovi arrivati provenivano da<br />

altri Lager o da ghetti a loro volta tagliati fuori dal mondo, e quindi portavano<br />

solo le orrende notizie locali. Non si lavorava, come noi, a contatto con<br />

lavoratori liberi di dieci o dodici paesi diversi, ma in aziende agricole, o in<br />

piccole officine, o in cave di pietra o sabbia, o addirittura in miniera: e nei<br />

Lager-miniera le condizioni erano le stesse che conducevano a morte gli<br />

schiavi di guerra dei romani e gli indios asserviti dagli spagnoli; talmente<br />

mortifere che nessuno è ritornato per descriverle. Le notizie «dal mondo»,<br />

come si diceva, arrivavano saltuarie e vaghe. Ci si sentiva dimenticati, come i<br />

condannati che venivano lasciati morire nelle ou-bliettes del medioevo.<br />

Agli ebrei, nemici per antonomasia, impuri, seminatori di impurezza, distruttori<br />

del mondo, era vietata la comunicazione più preziosa, quella col paese<br />

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