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concesso a riconoscimento della sua dogmatica e congenita superiorità; ma è<br />
degno di meditazione il fatto che tutti, il maestro e gli allievi, siano usciti<br />
progressivamente dalla realtà a mano a mano che la loro morale si andava<br />
scollando da quella morale, comune a tutti i tempi ed a tutte le civiltà, che è<br />
parte della nostra eredità umana, ed a cui da ultimo bisogna pur dare<br />
riconoscimento.<br />
La razionalità cessa, e i discepoli hanno ampiamente superato (e tradito!) il<br />
maestro, proprio nella pratica della crudeltà inutile. Il verbo di Nietzsche mi<br />
ripugna profondamente; stento a trovarvi un’affermazione che non coincida<br />
con il contrario di quanto mi piace pensare; mi infastidisce il suo tono<br />
oracolare; ma mi pare che non vi compaia mai il desiderio della sofferenza<br />
altrui. L’indifferenza sì, quasi in ogni pagina, ma mai la Schadenfreude, la gioia<br />
per il danno del prossimo, né tanto meno la gioia del far deliberatamente<br />
soffrire. Il dolore del volgo, degli Ungestalten, degli informi, dei non-nati-nobili,<br />
è un prezzo da pagare per l’avvento del regno degli eletti; è un male minore,<br />
comunque sempre un male; non è desiderabile in sé. Ben diversi erano il verbo<br />
e la prassi hitleriani.<br />
Molte delle inutili violenze naziste appartengono oramai alla storia: si pensi ai<br />
massacri «sproporzionati» delle Fosse Ardeatine, di Oradour, Lidice, Boves,<br />
Marzabotto e troppi altri, in cui il limite della rappresaglia, già intrinsecamente<br />
disumano, è stato enormemente sorpassato; ma altre minori, singole,<br />
rimangono scritte in caratteri indelebili nella memoria di ognuno di noi ex<br />
deportati, dettagli del grande quadro.<br />
Quasi sempre, all’inizio della sequenza del ricordo, sta il treno che ha segnato<br />
la partenza verso l’ignoto: non solo per ragioni cronologiche, ma anche per la<br />
crudeltà gratuita con cui venivano impiegati ad uno scopo inconsueto quegli<br />
(altrimenti innocui) convogli di comuni carri merci.<br />
Non c’è diario o racconto, fra i molti nostri, in cui non compaia il treno, il<br />
vagone piombato, trasformato da veicolo commerciale in prigione ambulante o<br />
addirittura in strumento di morte. É sempre stipato, ma pare di intravedere un<br />
rozzo calcolo nel numero di persone che, caso per caso, vi venivano<br />
compresse: da cinquanta a centoventi, a seconda della lunghezza del viaggio e<br />
del livello gerarchico che il sistema nazista assegnava al «materiale umano»<br />
trasportato. I convogli in partenza dall’Italia contenevano «solo» 50-60 persone<br />
per vagone (ebrei, politici, partigiani, povera gente rastrellata per le strade,<br />
militari catturati dopo lo sfacelo dell’8 settembre 1943): può essere che si sia<br />
tenuto conto delle distanze, o forse anche dell’impressione che queste tradotte<br />
potevano esercitare su eventuali testimoni presenti lungo il percorso.<br />
All’estremo opposto stavano i trasporti dall’Europa orientale: gli slavi,<br />
specialmente se ebrei, erano merce più vile, anzi, priva di qualsiasi valore;<br />
dovevano comunque morire, non importa se durante il viaggio o dopo. I<br />
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