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I sommersi e i salvati

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lo faccio cancellare, e questo mi stupisce: perché dovrei? Non siamo molti nel<br />

mondo a portare questa testimonianza.<br />

Occorre fare violenza (utile?) su se stessi per indursi a parlare del destino dei<br />

più indifesi. Cerco, ancora una volta, di seguire una logica non mia. Per un<br />

nazista ortodosso doveva essere ovvio, netto, chiaro che tutti gli ebrei<br />

dovessero essere uccisi: era un dogma, un postulato. Anche i bambini, certo:<br />

anche e specialmente le donne incinte, perché non nascessero futuri nemici.<br />

Ma perché, nelle loro razzie furiose, in tutte le città e i villaggi del loro impero<br />

sterminato, violare le porte dei morenti? Perché affannarsi a trascinarli sui loro<br />

treni, per portarli a morire lontano, dopo un viaggio insensato, in Polonia, sulla<br />

soglia delle camere a gas? Nel mio convoglio c’erano due novantenni<br />

moribonde, prelevate dall’infermeria di Fòssoli: una morì in viaggio, assistita<br />

invano dalle figlie. Non sarebbe stato più semplice, più «economico», lasciarle<br />

morire, o magari ucciderle, nei loro letti, anzi-ché inserire la loro agonia<br />

nell’agonia collettiva della tradotta? Veramente si è indotti a pensare che, nel<br />

Terzo Reich, la scelta migliore, la scelta imposta dall’alto, fosse quella che<br />

comportava la massima afflizione, il massimo spreco di sofferenza fisica e<br />

morale. Il «nemico» non doveva soltanto morire, ma morire nel tormento.<br />

Sul lavoro nei Lager si è scritto molto; io stesso l’ho descritto a suo tempo. Il<br />

lavoro non retribuito, cioè schiavistico, era uno dei tre scopi del sistema<br />

concentrazionario; gli altri due erano l’eliminazione degli avversari politici e lo<br />

sterminio delle cosiddette razze inferiori. Sia detto per inciso: il regime<br />

concentrazionario sovietico differiva da quello nazista essenzialmente per la<br />

mancanza del terzo termine e per il prevalere del primo.<br />

Nei primi Lager, quasi coevi con la conquista del potere da parte di Hitler, il<br />

lavoro era puramente persecutorio, praticamente inutile ai fini produttivi:<br />

mandare gente denutrita a spalare torba o a spaccare pietre serviva solo a<br />

scopo terroristico. Del resto, per la retorica nazista e fascista, erede in questo<br />

della retorica borghese, «il lavoro nobilita», e quindi gli ignobili avversari del<br />

regime non sono degni di lavorare nel senso usuale del termine. Il loro lavoro<br />

dev’essere afflittivo: non deve lasciare spazio alla professionalità, dev’essere<br />

quello delle bestie da soma, tirare, spingere, portare pesi, piegare la schiena<br />

sulla terra. Violenza inutile anche questa: utile forse solo a stroncare le<br />

resistenze attuali ed a punire le resistenze passate. Le donne di Ravensbrück<br />

raccontano di interminabili giornate trascorse durante il periodo di quarantena<br />

(e cioè prima dell’inquadramento nelle squadre di lavoro in fabbrica) a spalare<br />

la sabbia delle dune: a cerchio, sotto il sole di luglio, ogni deportata doveva<br />

spostare la sabbia dal suo mucchio a quello della vicina di destra, in un<br />

girotondo senza scopo e senza fine, poiché la sabbia tornava da dove era<br />

venuta.<br />

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