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I sommersi e i salvati

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giapponesi si affanna a costruire per loro un audacissimo ponte in legno, e si<br />

scandalizza quando si accorge che i guastatori inglesi lo hanno minato. Come si<br />

vede, l’amore per il lavoro ben fatto è una virtù fortemente ambigua. Ha<br />

animato Michelangelo fino ai suoi ultimi giorni, ma anche Stangl, il<br />

diligentissìmo carnefice di Treblinka, replica con stizza alla sua intervistatrice:<br />

«Tutto ciò che facevo di mia libera volontà dovevo farlo il meglio che potevo.<br />

Sono fatto così». Della stessa virtù va fiero Rudolf Höss, il comandante di<br />

Auschwitz, quando racconta il travaglio creativo che lo condusse ad inventare<br />

le camere a gas.<br />

Vorrei ancora accennare, come esempio estremo di violenza ad un tempo<br />

stupida e simbolica, all’empio uso che è stato fatto (non saltuariamente, ma<br />

con metodo) del corpo umano come di un oggetto, di una cosa di nessuno, di<br />

cui si poteva disporre in modo arbitrario.<br />

Sugli esperimenti medici condotti a Dachau, ad Auschwitz, a Ravensbrück ed<br />

altrove, molto è già stato scritto, ed alcuni dei responsabili, che non tutti erano<br />

medici ma spesso si improvvisavano tali, sono anche stati puniti (non Josef<br />

Mengele, il maggiore ed il peggiore di tutti). La gamma di questi esperimenti si<br />

estendeva da controlli di nuovi medicamenti su prigionieri inconsapevoli, fino<br />

a torture insensate e scientificamente inutili, come quelle svolte a Dachau, per<br />

ordine di Himmler e per conto della Luftwaffe. Qui, gli individui prescelti,<br />

talvolta previamente sovralimentati per ricondurli alla normalità fisiologica,<br />

venivano sottoposti a lunghi soggiorni in acqua gelida, o introdotti in camere<br />

di decompressione in cui si simulava la rarefazione dell’aria a 20.000 metri<br />

(quota che gli aerei dell’epoca erano ben lontani dal raggiungere!) per stabilire a<br />

quale altitudine il sangue umano incomincia a bollire: un dato, questo, che si<br />

può ottenere in qualsiasi laboratorio, con minima spesa e senza vittime, o<br />

addirittura dedurre da comuni tabelle. Mi pare significativo ricordare questi<br />

abomini in un’epoca in cui, con ragione, viene messo in discussione entro quali<br />

limiti sia lecito condurre esperimenti scientifici dolorosi sugli animali da<br />

laboratorio. Questa crudeltà tipica e senza scopo apparente, ma altamente<br />

simbolica, si estendeva, appunto perché simbolica, alle spoglie umane dopo la<br />

morte: a quelle spoglie che ogni civiltà, a partire dalla più lontana preistoria, ha<br />

rispettato, onorato e talvolta temuto. Il trattamento a cui venivano sottoposte<br />

nei Lager voleva esprimere che non si trattava di resti umani, ma di materia<br />

bruta, indifferente, buona nel migliore dei casi per qualche impiego industriale.<br />

Desta orrore e raccapriccio, dopo decenni, la vetrina del museo di Auschwitz<br />

dove sono esposte alla rinfusa, a tonnellate, le capigliature recise alle donne<br />

destinate al gas o al Lager: il tempo le ha scolorite e macerate, ma continuano a<br />

mormorare al visitatore la loro muta accusa. I tedeschi non avevano fatto in<br />

tempo a farle proseguire per la loro destinazione: questa merce insolita veniva<br />

acquistata da alcune industrie tessili tedesche che la usavano per la confezione<br />

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