E chi racconta e analizza oggi ha un’altra consapevolezza, altrettanto, se non maggiormente, brutale: «L’esperienza di cui siamo portatori noi superstiti dei Lager nazisti è estranea alle nuove generazioni dell’Occidente, e sempre più estranea si va facendo man mano che passano gli anni. Per i giovani degli anni Cinquanta e Sessanta erano cose dei loro padri; se ne parlava in famiglia, i ricordi conservavano ancora la freschezza delle cose viste. Per i giovani degli anni Ottanta, sono cose dei loro nonni: lontane, sfumate, “storiche”. Essi sono assillati dai problemi d’oggi, diversi, urgenti: la minaccia nucleare, l’esplosione demografica, le tecnologie che si rinnovano freneticamente e a cui occorre adattarci... » I <strong>sommersi</strong> e i <strong>salvati</strong>, un libro contro l’oblio, è uscito, come s’è detto, nel 1986. L’11 aprile 1987 Primo Levi si è ucciso nella sua Torino, a sessantotto anni. 8
Prefazione Le prime notizie sui campi d’annientamento nazisti hanno cominciato a diffondersi nell’anno cruciale 1942. Erano notizie vaghe, tuttavia fra loro concordi: delineavano una strage di proporzioni così vaste, di una crudeltà così spinta, di motivazioni così intricate, che il pubblico tendeva a rifiutarle per la loro stessa enormità. È si-gnificativo come questo rifiuto fosse stato previsto con ampio anticipo dagli stessi colpevoli; molti sopravvissuti (tra gli altri, Simon Wiesenthal nelle ultime pagine di Gli assassini sono fra noi, Garzanti, Milano 1970) ricordano che i militi delle SS si divertivano ad ammonire cinicamente i prigionieri: «In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perché noi distruggeremo le prove insieme con voi. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi, che negheremo tutto, e non a voi. La storia dei Lager, saremo noi a dettarla». Curiosamente, questo stesso pensiero (« se anche raccontassimo, non saremmo creduti») affiorava in forma di sogno notturno dalla disperazione dei prigionieri. Quasi tutti i reduci, a voce o nelle loro memorie scritte, ricordano un sogno che ricorreva spesso nelle notti di prigionia, vario nei particolari ma unico nella sostanza: di essere tornati a casa, di raccontare con passione e sollievo le loro sofferenze passate rivolgendosi ad una persona cara, e di non essere creduti, anzi, neppure ascoltati. Nella forma più tipica (e più crudele), l’interlo-cutore si voltava e se ne andava in silenzio. É questo un tema su cui ritorneremo, ma fin da adesso è importante sottolineare come entrambe le parti, le vittime e gli oppressori, avessero viva la consapevolezza dell’enormità, e quindi della non credibilità, di quanto avveniva nei Lager: e, possiamo aggiungere qui, non solo nei Lager, ma nei ghetti, nelle retrovie del fronte orientale, nelle stazioni di polizia, negli asili per i minorati mentali. Fortunatamente le cose non sono andate come le vittime temevano e come i nazisti speravano. Anche la più perfetta delle organizzazioni presenta lacune, e la Germania di Hitler, soprattutto negli ultimi mesi prima del crollo, era lontana dall’essere una macchina perfetta. Molte delle prove materiali degli stermini di massa furono soppresse, o si cercò più o meno abilmente di sopprimerle: nell’autunno del 1944 i nazisti fecero saltare le camere a gas e i crematori di Auschwitz, ma le rovine ci sono ancora, e a dispetto delle contorsioni degli epigoni è difficile giustificarne la funzione ricorrendo ad ipotesi fantasiose. Il ghetto di Varsavia, dopo la famosa insurrezione della 9
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