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settimana nella stessa baracca, e che non mi ha dimenticato perché gli italiani<br />
erano così pochi da costituire quasi una rarità; inoltre, perché in Lager, negli<br />
ultimi due mesi, io esercitavo sostanzialmente la mia professione, quella del<br />
chimico: e questa era una rarità anche maggiore.<br />
Questo mio saggio vorrebbe essere, allo stesso tempo, un sunto, una parafrasi,<br />
una discussione ed una critica di un suo saggio amaro e gelido, che ha due titoli<br />
(L‘intellettuale ad Auschwitz e Ai confini dello spirito). È tratto da un volume che da<br />
molti anni vorrei vedere tradotto in italiano: anch’esso ha due titoli, Al di là<br />
della colpa e dell’espiazione e Tentativo di superamento di un sopraffatto (Jenseits von<br />
Schuld und Sühne, Szczesny, Mùnchen 1966).<br />
Come si vede dal primo titolo, il tema del saggio di Améry è circoscritto con<br />
precisione. Améry è stato in varie prigioni naziste, ed inoltre, dopo Auschwitz,<br />
ha soggiornato brevemente a Buchenwald ed a Bergen-Belsen, ma le sue<br />
osservazioni, per buoni motivi, si limitano ad Auschwitz: i confini dello spirito,<br />
il non-immaginabile, erano là. Essere un intellettuale era ad Auschwitz un<br />
vantaggio o uno svantaggio?<br />
Occorre naturalmente definire che cosa si intenda per intellettuale. La<br />
definizione che Améry propone è tipica e discutibile:<br />
certo non intendo alludere a chiunque eserciti una delle<br />
cosìddette professioni intellettuali: l’aver avuto un buon livello<br />
d’istruzione è forse una condizione necessaria, ma non<br />
sufficiente. Ognuno di noi conosce avvocati, medici, ingegneri,<br />
probabilmente anche filologi, che sono certamente intelligenti,<br />
magari anche eccellenti nel loro ramo, ma che non possono<br />
essere definiti intellettuali. Un intellettuale, come io vorrei fosse<br />
qui inteso, è un uomo che vive entro un sistema di riferimento<br />
che è spirituale nel senso più vasto. Il campo delle sue<br />
associazioni è essenzialmente umanistico o filosofico. Ha una<br />
co-scienza estetica bene sviluppata. Per tendenza e per<br />
attitudine, è attirato dal pensiero astratto (...) Se gli si parla di<br />
«società», non intende il termine nel senso mondano, ma in<br />
quello sociologico. Il fenomeno fisico che conduce a un corto<br />
circuito non gli interessa, ma la sa lunga su Neidhart von<br />
Reuenthal, poeta cortese del mondo contadino.<br />
La definizione mi sembra inutilmente restrittiva: più che una definizione, è<br />
un’autodescrizione, e dal contesto in cui è inserita non escluderei un’ombra di<br />
ironia: in effetti, conoscere von Reuenthal, come certamente Améry lo<br />
conosceva, ad Auschwitz serviva poco. A me pare più opportuno che nel<br />
termine «intellettuale» vengano compresi, ad esempio, anche il matematico o il<br />
naturalista o il filosofo della scienza; inoltre, va notato che in paesi diversi esso<br />
assume colorazioni diverse. Ma non c’è motivo di sottilizzare; viviamo infine in<br />
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