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I sommersi e i salvati

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Ho tentato di farlo una volta sola. Elias, il nano robusto di cui ho parlato in Se<br />

questo è un uomo e in Lilìt, quello che, secondo ogni apparenza, «in Lager era<br />

felice», non rammento per quale motivo mi aveva preso per i polsi e mi stava<br />

insultando e spingendo contro un muro. Come Améry, provai un soprassalto<br />

di orgoglio; conscio di tradire me stesso, e di trasgredire ad una norma<br />

trasmessami da innumerevoli antenati alieni dalla violenza, cercai di difendermi<br />

e gli assestai un calcio nella tibia con lo zoccolo di legno. Elias ruggì, non per il<br />

dolore ma per la sua dignità lesa. Fulmineo, mi incrociò le braccia sul petto e<br />

mi abbatté a terra con tutto il suo peso; poi mi serrò la gola, sorvegliando<br />

attentamente il mio viso con i suoi occhi che ricordo benissimo, a una spanna<br />

dai miei, fissi, di un azzurro pallido di porcellana. Strise finché vide<br />

approssimarsi i segni dell’incoscienza; poi, senza una parola, mi lasciò e se ne<br />

andò.<br />

Dopo questa conferma, preferisco, nei limiti del possibile, delegare punizioni,<br />

vendette e ritorsioni alle leggi del mio paese. É una scelta obbligata: so quanto i<br />

meccanismi relativi funzionino male, ma io sono quale sono stato costruito dal<br />

mio passato, e non mi è più possibile cambiarmi. Se anch’io mi fossi visto<br />

crollare il mondo addosso; se fossi stato condannato all’esilio ed alla perdita<br />

dell’identità nazionale; se anch’io fossi stato torturato fino a svenire ed oltre,<br />

avrei forse imparato a rendere il colpo, e nutrirei come Améry quei<br />

«risentimenti» a cui egli ha dedicato un lungo saggio pieno d’angoscia.<br />

Questi gli evidenti svantaggi della cultura ad Auschwitz. Ma non c’erano<br />

proprio vantaggi? Sarei ingrato alla modesta (e «datata») cultura liceale ed<br />

universitaria che mi è toccata in sorte se lo negassi; né lo nega Améry. La<br />

cultura poteva servire: non sovente, non dappertutto, non a tutti, ma qualche<br />

volta, in qualche occasione rara, preziosa come una pietra preziosa, serviva<br />

pure, e ci si sentiva come sollevati dal suolo; col pericolo di ricadervi di peso,<br />

facendosi tanto più male quanto più alta e più lunga era stata la esaltazione.<br />

Améry racconta, ad esempio, di un suo amico che a Dachau studiava<br />

Maimonide: ma l’amico era infermiere nell’ambulatorio, e a Dachau, che pure<br />

era un Lager durissimo, c’era nientemeno che una biblioteca, mentre ad<br />

Auschwitz il solo poter dare un’occhiata ad un giornale era un evento inaudito<br />

e pericoloso. Racconta anche di aver tentato una sera, nella marcia di ritorno<br />

dal lavoro, in mezzo al fango polacco, di ritrovare in certi versi di Hölderlin il<br />

messaggio poetico che in altri tempi lo aveva scosso, e di non esserci riuscito: i<br />

versi erano lì, gli suonavano all’orecchio, ma non gli dicevano più nulla; mentre<br />

in un altro momento (tipicamente, in infermeria, dopo aver consumato una<br />

zuppa fuori razione, e cioè in una tregua della fame) si era entusiasmato fino<br />

all’ebbrezza rievocando la figura di Joachim Ziemssen, l’ufficiale ammalato a<br />

morte, ma ligio al dovere, della Montagna incantata di Thomas Mann.<br />

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