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I sommersi e i salvati

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questa condizione di pri-vilegio, né agli ovvi vantaggi del lavorare al coperto,<br />

senza fatica fisica e senza Kapòs maneschi: alludo ad un altro vantaggio. Credo<br />

di poter contestare «per fatto personale» l’affermazione di Améry, che esclude<br />

gli scienziati, ed a maggior ragione i tecnici, dal novero degli intellettuali: questi,<br />

per lui, sarebbero da reclutarsi esclusivamente nel campo delle lettere e della<br />

filosofia. Leonardo da Vinci, che si definiva «omo sanza lettere», non era un<br />

intellettuale?<br />

Insieme col bagaglio di nozioni pratiche, avevo ricavato dagli studi, e mi ero<br />

portato dietro in Lager, un mal definito patrimonio di abitudini mentali che<br />

derivano dalla chimica e dai suoi dintorni, ma che trovano applicazioni più<br />

vaste. Se io agisco in un certo modo, come reagirà la sostanza che ho tra le<br />

mani, o il mio interlocutore umano? Perché essa, o lui, o lei, manifesta o<br />

interrompe o cambia un determinato comportamento? Posso anticipare cosa<br />

avverrà intorno a me fra un minuto, o domani, o fra un mese? Se sì, quali sono<br />

i segni che contano, quali quelli da trascurarsi? Posso prevedere il colpo, sapere<br />

da che parte verrà, pararlo, sfuggirlo?<br />

Ma soprattutto, e più specificamente: ho contratto dal mio mestiere<br />

un’abitudine che può essere variamente giudicata, e definita a piacere umana o<br />

disumana, quella di non rimanere mai indifferente ai personaggi che il caso mi<br />

porta davanti. Sono esseri umani, ma anche «campioni», esemplari in busta<br />

chiusa, da riconoscere, analizzare e pesare. Ora, il campionario che Auschwitz<br />

mi aveva squadernato davanti era abbondante, vario e strano; fatto di amici, di<br />

neutri e di nemici, comunque cibo per la mia curiosità, che alcuni, allora e<br />

dopo, hanno giudicato distaccata. Un cibo che certamente ha contribuito a<br />

mantenere viva una parte di me, e che in seguito mi ha fornito materia per<br />

pensare e per costruire libri. Come ho detto, non so se ero un intellettuale<br />

laggiù: forse lo ero a lampi, quando la pressione si allentava; se lo sono<br />

diventato dopo, l’esperienza attinta mi ha certo dato un aiuto. Lo so, questo<br />

atteggiamento «naturalistico» non viene solo né necessariamente dalla chimica,<br />

ma per me è venuto dalla chimica. D’altra parte, non sembri cinico affermarlo:<br />

per me, come per Lidia Rolfi e per molti altri superstiti «fortunati», il Lager è<br />

stata una Università; ci ha insegnato a guardarci intorno ed a misurare gli<br />

uomini.<br />

Sotto questo aspetto, la mia visione del mondo è stata diversa da, e<br />

complementare con, quella del mio compagno ed antagonista Améry. Dai suoi<br />

scritti traspare un interesse diverso: quello del combattente politico per il<br />

morbo che appestava l’Europa e minacciava (ed ancora minaccia) il mondo;<br />

quello del filosofo per lo Spirito, che ad Auschwitz era vacante; quello del<br />

dotto sminuito, a cui le forze della storia hanno tolto la patria e l’identità.<br />

Infatti, il suo sguardo è rivolto verso l’alto, e si sofferma raramente sul volgo<br />

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