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del Lager, e sul suo personaggio tipico, il «mussulmano», l’uomo stremato, il<br />
cui intelletto è moribondo o morto.<br />
La cultura poteva dunque servire, anche se solo in qualche caso marginale, e<br />
per brevi periodi; poteva abbellire qualche ora, stabilire un legame fugace con<br />
un compagno, mantenere viva e sana la mente. Certo non era utile ad<br />
orientarsi né a capire: su questo, la mia espe-rienza di straniero coincide con<br />
quella del tedesco Améry. La ragione, l’arte, la poesia, non aiutano a decifrare il<br />
luogo da cui esse sono state bandite. Nella vita quotidiana di «laggiù», fatta di<br />
noia trapunta di orrore, era salutare dimenticarle, allo stesso modo come era<br />
salutare imparare a dimenticare la casa e la famiglia; non intendo parlare di un<br />
oblio definitivo, di cui del resto nessuno è capace, ma di una relegazione in<br />
quel solaio della memoria dove si accumula il materiale che ingombra, e che<br />
per la vita di tutti i giorni non serve più.<br />
A questa operazione erano più proclivi gli incolti dei colti. Si adattavano prima<br />
a quel «non cercar di capire» che era il primo detto sapienziale da impararsi in<br />
Lager; cercar di capire, là, sul posto, era uno sforzo inutile, anche per i molti<br />
prigionieri che venivano da altri Lager, o che, come Améry, conoscevano la<br />
storia, la logica e la morale, ed inoltre avevano provato la prigionia e la tortura:<br />
uno spreco di energie che sarebbe stato più utile investire nella lotta quotidiana<br />
contro la fame e la fatica. Logica e morale impedivano di accettare una realtà<br />
illogica ed immorale: ne risultava un rifiuto della realtà che di regola conduceva<br />
rapidamente l’uomo colto alla disperazione; ma le varietà dell’animale-uomo<br />
sono innumerevoli, ed ho visto e descritto uomini dalla cultura raffinata, specie<br />
se giovani, farne getto, semplificarsi, imbarbarirsi e sopravvivere.<br />
L’uomo semplice, abituato a non porsi domande, era al riparo dall’inutile<br />
tormento del chiedersi perché; inoltre, spesso possedeva un mestiere o una<br />
manualità che facilitavano il suo inserimento. Sarebbe difficile darne un elenco<br />
completo, anche perché variava da Lager a Lager e da momento a momento. A<br />
titolo di curiosità: ad Auschwitz, nel dicembre 1944, con i russi alle porte, i<br />
bombardamenti quotidiani e il gelo che spaccava le condutture, fu istituito un<br />
Buchhalter-Kommando, una Squadra Contabili; fu chiamato a farne parte anche<br />
quello Steinlauf che ho descritto nel terzo capitolo di Se questo è un uomo, il che<br />
non bastò a salvarlo dalla morte. Questo, beninteso, era un caso limite, da<br />
inquadrarsi nella follia generale del tramonto del Terzo Reich; ma era normale,<br />
e comprensibile, che trovassero un buon posto i sarti, i ciabattini, i meccanici, i<br />
muratori: questi, anzi, erano troppo scarsi; proprio a Monowitz fu istituita (non<br />
certo a scopo umanitario) una scuola d’arte muraria, per i prigionieri d’età<br />
inferiore ai diciott’anni.<br />
Anche il filosofo, dice Améry, poteva arrivare all’accettazione, ma per una<br />
strada più lunga. Poteva accadergli di infrangere la barriera del senso comune,<br />
che gli vietava di tenere per buona una realtà troppo feroce; poteva infine<br />
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