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Processo alla Rete (free version) completo - Guido Scorza

Processo alla Rete (free version) completo - Guido Scorza

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<br />


<br />


<br />

<strong>Processo</strong>
<strong>alla</strong>
<strong>Rete</strong>.
<br />

Blog
Anthology
<br />


<br />


<br />


<br />

<strong>Guido</strong>
<strong>Scorza</strong>
<br />



<br />


<br />


<br />


<br />

A
mia
madre
che
non
c’è
più
e
che

<br />


avrebbe
voluto
sfogliare
queste
pagine.




<br />

3




<br />


<br />

Indice
<br />


<br />


<br />


<br />


<br />


<br />


<br />

Premessa
<br />

Pag.
5
<br />


<br />

1.
La
responsabilità
degli
intermediari.
<br />

Di
Google,
Pirate
bay,
Rapidshare
e
di
altri
demoni.
<br />

Pag.
9
<br />


<br />

2.
Copyright
in
the
Net.
<br />

Un
popolo
di
pirati?
<br />

Pag.
38
<br />


<br />

3.
Copyright
vs.
Privacy
<br />

Niente
privacy,
siete
pirati!
<br />

Pag.
101
<br />


<br />

4.
La
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
in
<strong>Rete</strong>.
<br />

Internet,
<strong>free</strong>
speech
e
web­censura
<br />

Pag.
122
<br />


<br />

5.
L’anonimato
in
Internet.
<br />

Mr.
Nobody
non
ha
diritti!
<br />

Pag.
150
<br />


<br />

6.
Web
privacy.
<br />

Contrappunti
digitali.
<br />

Pag.
166
<br />

4




<br />

Premessa
<br />


<br />


 La
 storia
 antica
 e
 moderna
 è
 ricca
 di
 grandi
 processi
<br />

attraverso
 i
 quali
 gli
 accusatori,
 in
 modo
 consapevole
 o
<br />

inconsapevole,
 cosciente
 o
 incosciente,
 pur
 portando
 formalmente
<br />

<strong>alla</strong>
sbarra
una
persona
o
una
categoria
di
persone
e
dichiarando
di
<br />

voler
 procedere
 per
 una
 specifica
 condotta
 hanno,
 in
 realtà,
<br />

processato
 un’ideologia,
 una
 filosofia,
 un
 approccio
 <strong>alla</strong>
 vita,
 <strong>alla</strong>
<br />

politica,
<strong>alla</strong>
religione
o
al
mercato.
<br />


 Il
processo
a
Socrate,
quello
di
Norimberga,
quelli
a
Freud,
<br />

Giulia
Beccaria,
Yasser
Arafat
e
tanti
altri
processi
giusti
ed
ingiusti,
<br />

condivisibili
 o
 non
 condivisibili,
 hanno
 inesorabilmente
 segnato
 il
<br />

corso
 della
 storia
 e
 l’evoluzione
 sociale,
 religiosa,
 politica
 ed
<br />

economica
di
Città,
Paesi
e
Continenti.
<br />


 La
 storia
 dell’umanità
 non
 sarebbe
 stata
 la
 stessa
 senza
<br />

quei
 processi
 e,
 ex
 post,
 è
 naturalmente
 difficile
 se
 non
 impossibile
<br />

giudicare
se
sarebbe
stata
migliore
o
piuttosto
peggiore.
<br />


 Nelle
 ultime
 settimane,
 scorrendo
 a
 colpi
 di
 mouse
 il
 mio
<br />

blog,
 navigando
 in
 <strong>Rete</strong>
 attraverso
 scritti
 recenti
 e
 meno
 recenti
 a
<br />

proposito
 di
 norme,
 sentenze,
 cause
 promosse
 o
 solo
 minacciate
<br />

nell’universo
del
diritto
dell’Internet

mi
son
reso
conto
–
o,
almeno,
<br />

ho
creduto
di
rendermi
conto
–
che
molti
dei
fatti
di
cui
ho
scritto,
<br />

parlato,
 discusso
 con
 amici
 e
 colleghi
 in
 <strong>Rete</strong>
 e
 fuori
 della
 <strong>Rete</strong>,
<br />

costituiscono,
 forse,
 tessere
 di
 un
 mosaico
 che
 ha
 per
 soggetto
<br />

proprio
un
nuovo
grande
processo
della
storia
moderna:
il
<strong>Processo</strong>
<br />

<strong>alla</strong>
<strong>Rete</strong>
cui
è
dedicato
il
titolo
di
questa
Blog
anthology.
<br />


 Non
 so
 se
 si
 tratti
 di
 un
 processo
 che
 stiamo
<br />

consapevolmente
 celebrando
 o,
 piuttosto,
 del
 quale
 siamo
<br />

involontari
ed
incoscienti
accusatori
ma,
a
voler
leggere
tra
le
righe
<br />

degli
 eventi
 della
 storia
 moderna
 della
 <strong>Rete</strong>,
 non
 è
 difficile
<br />

individuare
nitidamente
il
profilo
di
accusato
ed
accusatori.
<br />


 L’accusato,
o
meglio,
la
grande
accusata,
è
la
<strong>Rete</strong>
non
solo
e
<br />

non
 solo
 e
 non
 tanto
 in
 quanto
 infrastruttura
 globale
 di
<br />

comunicazione
ma,
piuttosto,
in
quanto
sintesi
di
una
nuova
filosofia
<br />

di
vita
che
investe
trasversalmente
la
cultura,
la
politica,
il
mercato
<br />

e
la
società.
<br />


 Gli
accusatori
sono
–
per
dirla
con
le
parole
del
Macchiavelli
<br />

–
 “tutti
 quelli
 che
 delli
 ordini
 vecchi
 fanno
 bene”
 (Il
 Principe,
 N.
<br />

Macchiavelli,
 Capitolo
 VI)
 e,
 quindi,
 temono
 che
 il
 “nuovo”
 possa
<br />

costituire
un
fattore
dirompente
per
quell’assetto
di
mercato
o
per
<br />

quel
contesto
socio­politico,
nel
quale
hanno
costruito
ed
affermato
<br />

la
loro
posizione
di
forza
e
controllo.
<br />


 Si
tratta
di
una
contrapposizione
evidente
tra
il
“vecchio”
ed
<br />

il
 “nuovo”
 che
 investe
 trasversalmente
 la
 materia
 della
 proprietà
<br />

5




<br />

intellettuale,
quella
del
diritto
dell’informazione
ed
all’informazione,
<br />

quella
 della
 privacy
 e
 della
 trasparenza
 nonché,
 più
 in
 generale,
 il
<br />

tema
 dei
 meccanismi
 e
 delle
 dinamiche
 di
 imputazione
 delle
<br />

condotte
nello
spazio
globale.
<br />


 La
 responsabilità
 degli
 intermediari
 della
 comunicazione,
<br />

l’enforcement
 dei
 diritti
 di
 proprietà
 intellettuale,
 il
 difficile
 e
<br />

conflittuale
 rapporto
 tra
 privacy
 e
 copyright
 nella
 società
<br />

dell’informazione,
le
nuove
frontiere
ed
i
crescenti
limiti
della
libertà
<br />

di
 manifestazione
 del
 pensiero
 nel
 cyberspazio,
 il
 tema
 complesso
<br />

ma
ormai
da
affrontare
senza
ulteriori
rinvii
dell’anonimato
in
<strong>Rete</strong>
<br />

e
 quello
 del
 difficile
 equilibrio
 tra
 la
 trasparenza
 ed
 il
 diritto
 <strong>alla</strong>
<br />

privacy
 ed
 <strong>alla</strong>
 riservatezza
 sono
 alcuni
 dei
 profili
 sui
 quali,
 nella
<br />

pagine
 che
 seguono,
 attraverso
 il
 racconto
 di
 fatti
 ed
 episodi
 della
<br />

storia
 recente
 della
 <strong>Rete</strong>,
 si
 confrontano
 tesi
 accusatorie
 e
 teorie
<br />

difensive.
<br />


 Non
aspettatevi
da
questo
libro
risposte
o
soluzioni
perché
<br />

rimarreste
delusi
e,
egualmente,
non
aspettatevi
di
leggere
le
pagine
<br />

di
un
saggio
o
piuttosto
di
un
trattato
perché
si
tratta
solo
di
una
<br />

blog
anthology
che
raccoglie
frammenti
di
pensieri
e
considerazioni
<br />

sul
diritto
della
<strong>Rete</strong>
che
possono,
nella
migliore
delle
ipotesi,
offrire
<br />

e
proporre
suggestioni
o,
piuttosto,
inviti
a
guardare
a
talune
delle
<br />

questioni
 affrontate
 in
 una
 prospettiva
 nuova
 e
 diversa
 rispetto
 a
<br />

quella
d<strong>alla</strong>
quale
le
avete
guardate
sin
qui.
<br />


 Gli
spunti
di
riflessione
e
lo
stimolo
ad
affrontare
taluni
dei
<br />

problemi
del
diritto
della
<strong>Rete</strong>
trattati
nei
post
del
mio
blog
e,
quindi,
<br />

in
 questa
 raccolta
 disordinata
 di
 scritti
 vengono
 dal
 lavoro
 e
 dal
<br />

confronto
 costante
 con
 gli
 amici
 ed
 i
 colleghi
 dell’Istituto
 per
 le
<br />

politiche
dell’Innovazione
ma
anche
dai
commenti
e
dalle
discussioni
<br />

che
 hanno
 seguito
 la
 pubblicazione
 dei
 post
 e
 degli
 articoli
 con
<br />

quanti
hanno,
evidentemente,
a
cuore
il
futuro
della
<strong>Rete</strong>.
<br />


 Un
ringraziamento
al
quale
non
posso
sottrarmi
va
a
Punto
<br />

Informatico
ed
al
suo
Direttore
che
mi
ha
frequentemente
ospitato
<br />

sulle
colonne
del
suo
giornale
ed
invitato
a
partecipare
a
discussioni
<br />

e
 dibattiti
 dei
 quali
 trovate
 frammenti
 nelle
 pagine
 che
 seguono
 e,
<br />

analogo
 ringraziamento,
 per
 le
 stesse
 ragioni,
 non
 posso
 non
<br />

indirizzare
 a
 gli
 amici
 di
 Internet
 Magazine
 che
 sulle
 loro
 pagine
<br />

hanno
spesso
voluto
raccogliere
il
mio
pensiero
e
la
mia
opinione
su
<br />

fatti
 e
 processi
 della
 <strong>Rete</strong>
 e
 nella
 <strong>Rete</strong>,
 dandomi
 così
 occasione
 di
<br />

approfondire
 ed
 incuriosirmi
 a
 circostanze
 che,
 in
 caso
 contrario,
<br />

non
avrei,
forse,
notato.
<br />


 Molti
 altri
 amici
 e
 colleghi,
 negli
 ultimi
 anni,
 hanno
<br />

accettato
di
confrontarsi
con
me
sulle
tematiche
trattate
in
questa
<br />

raccolta
di
scritti,
invitandomi
a
guardare
alle
cose
della
<strong>Rete</strong>
in
una
<br />

prospettiva
 diversa
 o,
 semplicemente,
 da
 un
 diverso
 angolo
 di
<br />

visuale:
quello
deI
giganti
della
<strong>Rete</strong>
–
penso,
tra
i
tanti
che
vorrei
<br />

6




<br />

non
si
offendessero
per
la
mancata
citazione,
a
Pier
Luigi
Dal
Pino
di
<br />

Microsoft,
 a
 Marco
 Pancini
 di
 Google
 o
 a
 Cristian
 Perrella
 di
 My
<br />

Space
–
quello
dei
consumatori
ed
utenti
nel
quale
Marco
Pierani
di
<br />

Altroconsumo
mi
ha
accompagnato
con
ineguagliabile
disponibilità,
<br />

quello
delle
Istituzioni
cui
lo
Stato
ha
attribuito
il
dovere
di
tutelare
<br />

il
 diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy
 dei
 “cittadini
 elettronici”
 –
 penso
 a
 a
 Luigi
<br />

Montuori
 dell’Ufficio
 del
 Garante
 per
 la
 privacy
 che
 si
 è
 sempre
<br />

mostrato
disponibile
al
confronto
ed
al
dialogo
anche
laddove
il
mio
<br />

approccio
 originario
 ai
 problemi
 della
 <strong>Rete</strong>
 si
 presentava
 pià
 ù
<br />

lontano
e
meno
compatibile
con
il
punto
di
vista
del
suo
Ufficio
­.
<br />


 Non
avrei
mai
pensato
di
confrontarmi
con
certe
questioni
<br />

se
 non
 avessi
 conosciuto
 la
 passionale
 genialità
 di
 Leonardo
<br />

Chiariglione,
non
avessi
avuto
l’occasione
di
un
confronto
serrato
e
<br />

costante
 con
 un
 innovatore
 cose
 come
 Stefano
 Quintarelli
 o,
<br />

piuttosto,
mi
fosse
mancata
la
possibilità
di
vedere
da
vicino
quanto
<br />

la
 <strong>Rete</strong>
 oltre
 a
 strumento
 di
 informazione
 possa
 anche
 divenire
<br />

oggetto
di
informazione
confrontandomi
con
Marco
Montemagno.
<br />


 Le
riflessioni
giuridiche
contenute
nelle
pagine
che
seguono,
<br />

il
 metodo
 e
 l’approccio
 ai
 problemi
 è,
 ovviamente,
 merito
 esclusivo
<br />

dei
Maestri
di
diritto
che
ho
incontrato
sul
mio
cammino
e,
quindi,
<br />

dei
 tanti
 studiosi,
 amici
 e
 colleghi
 del
 Cirsfid
 dell’Università
 di
<br />

Bologna,
del
Prof.
Enrico
Pattaro
e
di
Giovanni
Sartor
ma
anche
di
<br />

Giuseppe
 Corasaniti
 che
 mi
 ha
 voluto
 vicino
 in
 un
 ormai
 lungo
<br />

cammino
 di
 divulgazione
 della
 cultura
 informatica
 giuridica
<br />

elaborata
 da
 altri
 Maestri
 di
 stagioni
 più
 lontane
 nel
 tempo
 quali
<br />

Vittorio
Frosini
e
Renato
Borruso.
<br />


 L’Università,
tuttavia,
talvolta
guarda
la
<strong>Rete</strong>
da
lontano
e
<br />

non
 la
 usa
 in
 tutte
 le
 sue
 potenzialità
 e,
 quindi,
 non
 posso
<br />

dimenticare
 la
 preziosa
 occasione
 di
 continuo
 aggiornamento
 ed
<br />

approfondimento
che
mi
è
stata
offerta
dalle
discussioni
di
lista
con
<br />

gli
amici
del
Circolo
dei
giuristi
telematici
e
con
quelli
del
Csig.
<br />


 Sono
 convinto,
 d’altra
 parte,
 che
 avrei
 guardato
 ad
 alcuni
<br />

problemi
 e
 proposto
 soluzioni
 diverse
 se,
 lungo
 il
 mio
 cammino,
<br />

anche
se
solo
di
recente,
non
avessi
incontrato
Juan
Carlos
De
Martin
<br />

e
 non
 fossi
 stato
 stimolato
 all’approfondimento
 di
 talune
 questioni
<br />

d<strong>alla</strong>
ricerca
del
suo
Centro
Studi
Nexa
del
Politecnico
di
Torino.
<br />


 Un
 grazie
 lo
 devo,
 certamente,
 a
 molti
 altri
 che,
 in
 questo
<br />

momento,
probabilmente
non
ricordo
o
perché
ho
condiviso
con
loro
<br />

momenti
 di
 confronto
 intenso
 ma
 non
 costante
 o,
 al
 contrario,
<br />

perché
 sono
 tanto
 entrati
 a
 far
 parte
 del
 mio
 quotidiano
 da
 non
<br />

consentirmi
di
scinderne
idealmente
nomi
ed
identità.
<br />


 Riflettere,
 ragionare,
 tentate
 di
 capire,
 scrivere
 e
<br />

comunicare
 convinzioni
 ed
 opinioni,
 richiede
 prima
 ancora
 che
<br />

conoscenza,
tempo,
serenità
e
passione:
amicizie,
affetti
e
famiglia,
<br />

7




<br />

quindi,
 costituiscono,
 a
 mio
 avviso,
 irrinunciabili
 ingredienti
 di
<br />

qualsiasi
esercizio
culturale.
<br />


 I
 meriti
 dell’opera
 sono,
 dunque,
 diffusi
 mentre,
 come
 di
<br />

consueto,
 ogni
 errore
 concettuale
 ed
 ogni
 refuso
 è
 da
 imputare
<br />

esclusivamente
all’autore.
<br />


 
 
 
 
 
 
 
<br />


 
 
 
 <strong>Guido</strong>
<strong>Scorza</strong>
<br />

8




<br />

9
<br />


<br />


<br />

1.
La
responsabilità
degli
intermediari.
<br />

Di
Google,
Pirate
bay,
Rapidshare
ed
altri
demoni.
<br />


<br />

Non
chiamiamolo
il
“Caso
Google”.
<br />

27
luglio
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=324
<br />


<br />

Il
 fatto 1
 è
 ormai
 noto:
 la
 Procura
 della
 Repubblica
 di
<br />

Milano
 sembra
 intenzionata
 ‐
 le
 notizie
 sono
 ancora
 poche
 e
<br />

frammentarie
 ‐
 a
 contestare
 a
 4
 dirigenti
 di
 Big
 G
 la
 violazione
<br />

della
 disciplina
 sulla
 privacy
 e
 quella
 in
 materia
 di
 diffamazione
<br />

per
non
aver
impedito
a
4
ragazzini
torinesi
di
postare
su
Google
<br />

video
la
"cronaca"
girata
con
un
videofonino
di
una
loro
bravata
in
<br />

danno
di
un
compagno
di
scuola
meno
fortunato
perché
down.
<br />

Come
 già
 accaduto
 nel
 novembre
 del
 2006
 quando
 la
<br />

storia
 venne,
 per
 la
 prima
 volta,
 <strong>alla</strong>
 ribalta
 in
 <strong>Rete</strong>
 e
 ‐
 per
 una
<br />

volta
‐
fuori
d<strong>alla</strong>
<strong>Rete</strong>
non
si
parla
d'altro
e
il
"Caso
Google"
tiene
<br />

banco
in
TV
come
sui
giornali.
<br />

E'
 comprensibile
 perché,
 questa
 volta,
 nell'occhio
 del
<br />

ciclone
ci
è
finito
il
colosso
di
Mountain
View
ma,
la
vicenda,
non
è
<br />

molto
diversa
da
tante
altre
che
si
sono
già
consumate
in
danno
di
<br />

soggetti
meno
noti
rei
soltanto
di
aver
messo
a
disposizione
di
un
<br />

utente
 uno
 strumento
 capace
 di
 consentirgli
 di
 dire
 la
 sua
 al
<br />

mondo
intero.
<br />

E'
per
questo
‐
e
da
qui
il
titolo
di
questo
post
‐
che
io
non
<br />

parlerei
di
un
"Caso
Google".
<br />

L'iniziativa
 dei
 giudici
 milanesi
 trascende
 le
 sorti
 dei
 4
<br />

quattro
dirigenti
di
Google
e
riguarda,
piuttosto,
due
principi
che
<br />

mi
 stanno
 particolarmente
 a
 cuore:
 la
 rete
 come
 strumento
 di
<br />

esercizio
 della
 libertà
 di
 manifestazione
 del
 pensiero
 e
 la
 Net‐<br />

neutrality.
<br />

Due
parole
sotto
entrambi
i
profili:
<br />

























































<br />

1
 Il
 18
 ottobre
 2008,
 David
 Carl
 Drummond,
 presidente
 e
 poi
 Ad
 di
 Google
 Italy;
<br />

George
 De
 Los
 Reyes,
 membro
 del
 Cda
 di
 Google
 Italy
 e
 poi
 Ad;
 Peter
 Fleitcher,
<br />

responsabile
 delle
 strategie
 per
 la
 privacy
 per
 l'Europa;
 Arvind
 Desikan,
<br />

responsabile
 del
 progetto
 Google
 Video
 per
 l'Europa,
 sono,
 successivamente,
 stati
<br />

citati
in
giudizio
ed
accusati
di
concorso
in
diffamazione
e
violazione
della
privacy.
<br />

Il
testo
del
decreto
di
citazione,
pubblicato
da
Il
sole
24
ore.com
è
reperibile
all’URL
<br />

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Norme%20e%20Tributi/2008/11/<br />

google‐diffamazione‐citazione‐giudizio‐minorenne.shtml?uuid=304240e2‐acde‐<br />

11dd‐b5f0‐553f252854bf&DocRulesView=Libero#.





<br />

1.
In
tutti
i
Paesi
del
mondo
si
lotta
da
centinaia
di
anni
per
<br />

garantire
 a
 tutti
 i
 cittadini
 l'esercizio
 della
 libertà
 di
<br />

manifestazione
del
pensiero.
Si
è,
tuttavia,
sin
qui
trattato
di
una
<br />

battaglia
persa
perché
la
limitatezza
delle
possibilità
di
accesso
ai
<br />

media
 mainstream
 hanno
 sempre
 fatto
 sì
 che
 pochi
 potessero
<br />

parlare
e
gli
altri
fossero
costretti
ad
ascoltare.
<br />

Oggi
 è
 diverso:
 grazie
 a
 Internet
 il
 problema
 della
<br />

limitatezza
 delle
 possibilità
 di
 accesso
 ai
 media
 è
 superato
 e
<br />

chiunque
 può,
 in
 pochi
 click,
 far
 sentire
 la
 sua
 voce
 lontano
 ed
 a
<br />

milioni
di
persone.
<br />

Il
 presupposto
 perché
 ciò
 sia
 possibile
 e
 che
 esista
 ‐oltre
<br />

<strong>alla</strong>
 connettività
 diffusa
 in
 ogni
 area
 del
 Paese
 ‐
 un'adeguata
<br />

infrastruttura
 di
 comunicazione
 liberamente
 accessibile
 da
<br />

chiunque
senza
costi
ed
in
modo
immediato.
<br />

Tale
 infrastruttura
 è
 quella
 che
 gli
 UGC,
 ormai
 da
 anni,
<br />

pongono
a
disposizione
dei
propri
utenti.
<br />

Milioni
di
gigabyte,
migliaia
e
migliaia
di
video,
centinaia
e
<br />

centinaia
di
informazioni,
idee
ed
opinioni
che
ogni
ora
prendono
<br />

così
la
strada
del
web
senza
che
nessuno
possa
arrestarne
la
corsa.
<br />

Un
solo
principio
dovrebbe
guidare
questo
nuovo
universo
<br />

dell'informazione:
 chi
 sbaglia
 o,
 comunque,
 viola
 gli
 altrui
 diritti
<br />

deve
pagare.
<br />

Pensarla
diversamente
e
rintracciare
in
capo
a
chi
gestisce
<br />

‐
 sebbene
 non
 per
 pura
 filantropia
 ‐
 quella
 straordinaria
<br />

infrastruttura
 di
 comunicazione
 un
 dovere
 non
 scritto
 e
<br />

tecnicamente
inattuabile
di
controllo
sui
contenuti
immessi
in
<strong>Rete</strong>
<br />

dagli
 utenti,
 semplicemente,
 vuol
 dire,
 non
 comprendere
 il
 senso
<br />

della
 rivoluzione
 in
 atto
 e,
 soprattutto
 ‐
 come
 ha
 già
 fatto
 notare
<br />

Stefano
 Rodotà
 dalle
 colonne
 di
 Repubblica
 ‐
 pretendere
 di
<br />

applicare
regole
vecchie
ad
un
contesto
nuovo.
<br />

2.
 Una
 tecnologia
 come
 già
 ricordava
 Layla
 Pavone
 nel
<br />

2006
 è
 neutra
 rispetto
 <strong>alla</strong>
 liceità
 o
 illiceità
 delle
 condotte
<br />

attraverso
essa
poste
in
essere 2.
<br />

























































<br />

2
 Il
 post
 pubblicato
 da
 Layla
 Pavone
 il
 26
 novembre
 2006
 sul
 suo
 blog:
<br />

http://laylapavone.blogspot.com/

<br />

Google
e
Internet
caccia
alle
streghe
<br />

Siamo
nell'arco
di
48
ore
ripiombati
nel
Medio
Evo.
Si
Signori,
siamo
di
nuovo
nel
<br />

Medio
Evo
dell'informazione
ed
e'
partita
la
caccia
alle
streghe.
<br />

La
 classe
 politica,
 il
 quinto
 potere,
 il
 sistema
 giudiziario
 italiano
 stanno
<br />

dimostrando
 la
 loro
 totale
 inadeguatezza
 nell'occuparsi
 di
 una
 problema
 come
<br />

quello
dell'informazione
via
internet.
<br />

E
la
dimostrazione
di
questa
incapacità
totale
di
gestire
la
situazione
si
e'
palesata
<br />

proprio
 con
 la
 vicenda
 del
 video
 della
 violenza
 sul
 ragazzo
 handicappato,
 dove
<br />

anziché
 analizzare
 il
 problema
 nella
 sua
 evidenza
 dal
 punto
 di
 vista
 sociologico
 e
<br />

psicologico‐ovvero
 perché
 quattro
 adolescenti
 decidono
 di
 picchiare
 un
 loro
<br />

10




<br />

Colpevolizzare
 i
 gestori
 dell'infrastruttura
 di
<br />

comunicazione
 è
 un
 pò
 come
 contestare
 ad
 un
 tassista
 (anzi
 no,
<br />

date
 le
 dimensioni
 del
 fenomeno,
 almeno
 al
 macchinista
 di
 un
<br />

treno
 da
 migliaia
 di
 persone)
 di
 aver
 portato
 sul
 luogo
<br />

dell'omicidio
il
killer
o,
piuttosto
ad
un
postino
di
aver
consegnato
<br />

una
lettera
minatoria…
<br />

Net‐neutrality,
direi
una
parola
da
non
dimenticare
ed
un
<br />

principio
cui
ispirare
lo
sviluppo
della
disciplina
della
materia.
<br />


<br />


<br />


<br />

Chi
vuol
imbavagliare
la
Grande
<strong>Rete</strong>?
<br />

Ottobre
2008

<br />

Internet
Magazine
<br />


<br />

























































<br />

compagno
più
debole
e
indifeso
riprendendo
la
scena
con
cellulare
e
poi
renderla
<br />

pubblica?
‐
ci
si
sta
focalizzando
su
un
altro
versante
che
e'
di
tutt'altra
natura.
<br />

Insomma,
non
so
se
mi
spiego
ma
siamo
davvero
la
paradosso:
si
e'
perso
di
vista
<br />

l'obiettivo,
si
da'
la
colpa
a
Google,
ad
Internet
che
hanno
fatto
la
stessa
funzione
<br />

che
 avrebbe
 potuto
 avere
 un
 qualunque
 altro
 veicolo
 ‐che
 so
 una
 chiavetta
 USB
<br />

recapitata
<strong>alla</strong>
sede
dell'Ansa
attraverso
un
corriere‐
anziché
andare
una
volta
per
<br />

tutte
a
fondo
del
problema
della
generazione
dei
teen‐agers
sempre
più
in
balia
di
<br />

una
società
che
di
tutto
si
occupa
fuorché
di
loro.
<br />

L'establishment
 si
 e'
 rivelato
 in
 tutta
 la
 sua
 incapacità
 di
 rapportarsi
 con
 la
 vita
<br />

reale.
 E
 per
 dare
 l'impressione
 di
 sapersene
 occupare
 ha
 deciso
 di
 emettere
 una
<br />

condanna
nei
confronti
di
Internet
senza
nemmeno
conoscerne
le
funzionalità.
<br />

Come
 dire,
 si
 sta
 colpevolizzando
 il
 vettore
 (il
 corriere,
 se
 si
 fosse
 trattato
 della
<br />

chiavetta
Ubs
inviata
alle
sede
dell'Ansa)
anziché
domandarsi
ed
andare
a
fondo
del
<br />

perché
si
sia
verificato
un
atto
come
quello
della
scuola
di
Torino.
<br />

Aiuto!
Ma
in
che
Paese
viviamo???
<br />

Ma
come
non
preoccuparsi
del
fatto
che
sia
partita
l'ennesima
campagna
TV
anti‐<br />

internet,
 nata
 e
 strumentalizzata
 con
 lo
 "scandalo"
 Google?
 ...Telegiornali
 che
<br />

parlano
tangenzialmente
delle
nefandezze
di
quattro
giovani
disgraziati,
puntando
<br />

il
dito
su
Google
piuttosto
che
approfondire
le
cause
della
"degenerazione"
di
questi
<br />

ragazzi.
<br />

Ma
 come
 si
 fa
 a
 questo
 punto
 a
 non
 assumere
 un
 atteggiamento
 di
 difesa
 della
<br />

libertà
dell'informazione
che
nessun
altro
media
al
di
fuori
di
internet
e'
in
grado
di
<br />

garantire?
<br />

Ma
 come
 non
 dire
 allora
 che
 la
 causa
 di
 questo
 ed
 altri
 raccapriccianti
 episodi
 di
<br />

violenza
siano
in
gran
parte
dovuti
ai
modelli
comportamentali
che
oggi
offre
la
TV
<br />

ai
minori?
<br />

Come
non
denunciare
questa
TV
che
e'
allo
sbando
e
che
ne
se
frega
altamente
di
<br />

rispettare
 le
 fasce
 protette,
 mandando
 on
 air
 programmi
 allucinanti,
 che
<br />

contengono
sesso,
violenze
verbali
e
fisiche,
proposti
qualunque
ora
della
giornata?
<br />

Vorrei
 lanciare
 un
 appello
 a
 tutti
 i
 miei
 colleghi
 ed
 e'
 quello
 di
 creare
<br />

immediatamente
un
Comitato
permanente
per
l'informazione
su
Internet
che
possa
<br />

essere
il
punto
di
riferimento
per
far
conoscere
alle
istituzioni
giudiziarie,
politiche
<br />

e
agli
organi
di
informazione
il
valore
e
le
peculiarità
della
rete.
<br />

Questa
caccia
alle
streghe
non
ha
nessun
fondamento
e
il
Medio
Evo
e'
cosa
di
500
<br />

anni
fa.
Indietro
non
si
può
tornare,
si
può
solo
avanzare.
<br />

11




<br />

L'Italia
 dichiara
 guerra
 ai
 pirati
 anzi,
 ai
 porti
 nei
 quali
<br />

attraccano
anche
Galeoni
pirata.
<br />

Cose
d'altri
tempi
si
potrebbe
pensare
ma
si
sbaglierebbe.
<br />

E',
infatti,
proprio
questo
il
senso
del
provvedimento
con
il
<br />

quale
lo
scorso
primo
agosto
il
GIP
presso
il
Tribunale
di
Bergamo
<br />

ha
 ordinato
 “cautelativamente”
 a
 tutti
 gli
 ISP
 italiani
 di
 interdire
<br />

l'accesso
“
‐
all’indirizzo
www.thepiratebay.org;
‐
ai
relativi
alias
e
<br />

nomi
 di
 dominio
 presenti
 e
 futuri,
 rinvianti
 al
 sito
 medesimo;
‐
<br />

all’indirizzo
 IP
 statico
 83.140.176.146,
 che
 al
 momento
 risulta
<br />

associato
ai
predetti
nomi
di
dominio.
e
ad
ogni
ulteriore
indirizzo
<br />

IP
statico
associato
ai
nomi
stessi
nell’attualità
e
in
futuro.”.
<br />

Ma
cominciamo
dal
principio
ovvero
d<strong>alla</strong>
Baia.
<br />

The
 Pirate
 Bay
 è
 un
 sito
 internet
 attraverso
 il
 quale
 gli
<br />

utenti
 di
 tutto
 il
 mondo
 possono
 ricercare
 files
 torrent
 relativi
 a
<br />

musica,
 video,
 software,
 videogame
 ed
 ogni
 altro
 contenuto
<br />

digitale.
<br />

Si
tratta
di
un
progetto
internazionale
che,
ormai
da
anni,
è
<br />

divenuto
il
punto
di
riferimento
di
un
certo
modo
di
intendere
la
<br />

<strong>Rete</strong>
ed
ha,
proprio
per
questo,
già
in
passato,
formato
oggetto
di
<br />

attenzione
 –
 per
 usare
 un
 eufemismo
 –
 dei
 rappresentanti
 delle
<br />

major
dell'audiovisivo
e
delle
Auitorità
giudiziarie
di
diversi
Paesi.
<br />

Definire
la
Baia
come
un'isola
di
Pirati
nel
senso
deteriore
<br />

del
 termine
 come
 sembra
 fare
 il
 Giudice
 nell'Ordinanza
 con
 la
<br />

quale
ha
ordinato
ai
provider
italiani
–
quasi
che
fossero
la
Guardia
<br />

Costiera
 della
 <strong>Rete</strong>
 –
 di
 interdire
 ai
 naviganti
 battenti
 bandiera
<br />

tricolore
 di
 attraccare
 sulle
 spiagge
 dell'isola
 è,
 francamente,
<br />

riduttivo.
<br />

I
motori
della
Baia
indicizzano
ogni
giorno
milioni
di
files
<br />

torrent
 relativi
 a
 brani
 musicali
 di
 artisti
 emergenti
 che
 reietti
<br />

dalle
major
dell'audiovisivo
o,
piuttosto,
non
avendo
occasione
di
<br />

entrare
in

contatto
con
il
mondo
della
musica
che
conta
scelgono
<br />

la
<strong>Rete</strong>
come
modo
per
farsi
conoscere
o,
piuttosto,
documentari
e
<br />

reportage
che
riportano,
senza
censure
e
reticenze,
ciò
che
accade
<br />

negli
 angoli
 più
 remoti
 del
 Pianeta
 e
 che
 i
 media
 mainstream
<br />

scelgono
 di
 non
 raccontare
 o,
 infine,
 contenuti
 di
 elevato
 valore
<br />

culturale
 ma
 basso
 appeal
 di
 mercato
 e,
 dunque,
 praticamente
<br />

introvabili
sugni
scaffali
dei
mediastore
delle
nostre
città.
<br />

Difficile
 negare
 –
 ed
 è
 bene
 sottolinearlo
 per
 evitare
<br />

fraintendimenti
–
che
il
motore
di
ricerca
della
Baia
indicizzi
anche
<br />

contenuti
 digitali
 protetti
 da
 diritti
 d'autore
 e
 che,
 pertanto,
 in
<br />

questo
senso,
agevoli
il
download
non
autorizzato
di
tali
contenuti
<br />

ma,
 da
 qui
 a
 definire
 “fuori
 legge”
 l'intera
 Baia
 il
 passo
 non
 è
<br />

affatto
breve.
<br />

Miglia
 e
 miglia
 marine
 –
 per
 rimanere
 nella
 metafora
 –
<br />

infatti,
separano
chi
viola
gli
altrui
diritti
d'autore
da
chi
gestisce
<br />

12




<br />

uno
 dei
 tanti
 servizi
 di
 intermediazione
 della
 comunicazione
<br />

caratteristici
dell'architettura
di
<strong>Rete</strong>.
<br />

Una
 cosa
 è
 svaligiare
 un
 appartamento
 dopo
 essersi
 fatti
<br />

una
copia
delle
chiavi
e
cosa
diversa
è
aver
riprodotto
–
tra
decine
<br />

e
 decine
 di
 altri
 esemplari
 di
 chiavi
 –
 anche
 quelle
 poi
 utilizzate
<br />

per
il
furto.
<br />

E'
 per
 questo
 che,
 proprio
 la
 configurabilità
 in
 astratto
 –
<br />

ed
 a
 prescindere,
 dunque,
 d<strong>alla</strong>
 vicenda
 di
 Pirate
 Bay
 –
 di
 una
<br />

responsabilità,
 in
 capo
 al
 gestore
 di
 un
 motore
 di
 ricerca
 di
 files
<br />

torrent,
per
i
contenuti
diffusi
o
scaricati
dai
suoi
utenti
costituisce,
<br />

probabilmente,
l'aspetto
di
maggior
interesse
del
Caso
The
Pirate
<br />

Bay.
<br />

Il
provvedimento
con
il
quale
il
magistrato
di
Bergamo
ha
<br />

“vietato”
 thepiratebay
 ai
 naviganti
 italiani
 è
 un
 provvedimento
<br />

preventivo
con
la
conseguenza
che
esso
è
assunto
sulla
base
di
una
<br />

semplice
 ipotesi
 di
 reato
 che
 potrà
 o
 meno
 risultare
 confermata
<br />

all'esito
di
un
procedimento
che,
nel
nostro
caso,
è
appena
iniziato.
<br />

Il
 reato
 contestato
 ai
 gestori
 di
 thepiratebay
 è
 quello
<br />

previsto
e
punito
dagli
articoli
110
c.p.
e
171
‐
ter,
comma
2,
lettera
<br />

a
bis),
della
Legge
22
aprile
1941
n.
633
per
aver
“in
concorso
tra
<br />

loro
 e
 con
 altri
 attualmente
 ignoti,
 in
 violazione
 dell’articolo
 16
<br />

della
suddetta
legge
(n.d.r.
La
Legge
sul
Diritto
d'autore)
ed
a
fini
<br />

di
 lucro”
 comunicato
 “al
 pubblico
 opere
 dell’ingegno
 protette
 dal
<br />

diritto
 di
 autore,
 in
 particolare
 file
 musicali;
 documenti
 di
 testo,
<br />

riproduzioni
 digitali
 di
 pubblicazioni
 a
 stampa,
 audiolibri,
<br />

immagini,
 opere
 cinematografiche
 e
 televisive,
 programmi
<br />

informatici
 (secondo
 il
 dettagliato
 elenco
 dinamico,
 in
 costante
<br />

aggiornamento,
 pubblicato
 sul
 sito
 medesimo,
 distinto
 per
<br />

tipologie
 di
 file,
 reperibile
 a
 partire
 dall’indirizzo
 web
<br />

http://thepiratebay.org/browse),
 immettendo
 le
 opere
 stesse
<br />

sulla
rete
Internet
attraverso
il
sito
identificato
dai
seguenti
nomi
<br />

di
 dominio
 (tutti
 alias
 del
 medesimo
 sito):
‐
<br />

www.thepiratebay.org:
‐
 www.angloamericanletting.corn;
‐
<br />

www.piratebay.net
‐
 www.piratebay.org
‐
<br />

www.thepiratebay.com
‐
 wwvw.thepiratebay.net;
‐
<br />

www.thepiratebay.org
fatto
commesso
adibendo
il
suddetto
sito
a
<br />

torrent
tracker
e
quindi
rendendo
disponibili,
sulle
corrisponderti
<br />

“pagine
 web”
 codici
 alfanumerici
 complessi
 del
 tipo
 “torrent”,
 in
<br />

grado
di
identificare
univocamente
i
singoli
file
e
di
consentire,
agi
<br />

utenti
 registrati
 sul
 sito,
 di
 scambiare
 tra
 loro
 copie
 integrali
 o
<br />

parziali
 dei
 file
 stessi;
 ravvisandosi
 il
 lucro
 negli
 introiti
 delle
<br />

inserzioni
pubblicitarie
a
pagamento
inserite
sul
sito
stesso,
come
<br />

pure
nella
tariffa
‐
non
inferiore
ad
Euro
cinquemila
‐
applicata
agli
<br />

utenti
 che
 accedono
 al
 sito
 in
 deroga
 alle
 politiche
 di
 utilizzo
<br />

prescritte
dagli
amministratori.”.
<br />

13




<br />

Tale
 reato,
 peraltro
 –
 stando
 a
 quanto
 ipotizzato
<br />

dall'accusa
 –
 sarebbe
 stato
 commesso
 “con
 l’aggravante
 di
 cui
<br />

all’arr.
 61
 n.
 7
 c.p..,
 per
 aver
 cagionato
 ai
 detentori
 del
 diritto
<br />

patrimoniale
di
autore
sulle
suddette
opere
un
danno
patrimoniale
<br />

di
 rilevante
 gravità
 (essendo
 indici
 sintomatici
 della
 ritenuta
<br />

gravità
 sia
 l’elevatissimo
 numero
 di
 opere
 dell’ingegno
<br />

abusivamerne
circolanti
tramite
il
sito
che
il
considerevole
prezzo
<br />

di
 mercato
 del
 software
 reso
 disponibile,
 comprensivo
 sia
 di
<br />

sistemi
operativi
che
di
programmi
informatici
applicativi
per
uso
<br />

professionale)”.
<br />

Il
 Giudice
 per
 le
 indagini
 preliminari,
 nel
 pronunciare
 il
<br />

provvedimento
del
primo
agosto
pur
prendendo
atto
del
fatto
che
i
<br />

server
della
baia
non
ospitano
direttamente
contenuti
protetti
da
<br />

diritto
 d'autore
 ha,
 comunque,
 ritenuto
 che
 la
 funzione
 di
<br />

indicizzazione
 svolta
 dal
 sito
 sia
 “
 strettamente
 strumentale
 <strong>alla</strong>
<br />

consumazione
dello
scambio
di
file
al
di
fuori
delle
fonti
messe
a
<br />

disposizione
 dai
 detentori
 dei
 diritti
 di
 autore
 e
 comunque
 al
 di
<br />

fuori
degli
ordinari
e
leciti
circuiti
commerciali
dei
beni
oggetto
di
<br />

proprietà
intellettuale”.
<br />

Si
 tratta
 di
 una
 conclusione
 che
 non
 convince
 in
 quanto
<br />

essa
rischia
di
condurre
ad
un
profondo
ripensamento
di
uno
dei
<br />

principi
fondamentali
attorno
ai
quali
è
cresciuta
e
si
è
sviluppata
<br />

la
<strong>Rete</strong>:
quello
della
non
resposansabilità
degli
intermediari
della
<br />

comunicazione.
<br />

Una
volta
affermato
il
principio
per
il
quale
i
gestori
di
un
<br />

motore
di
ricerca
di
files
torrent
sono
responsabili
per
l'eventuale
<br />

download
 illegale
 posto
 in
 essere
 dai
 propri
 utenti
 è
 piuttosto
<br />

difficile
 resistere
 <strong>alla</strong>
 tentazione
 di
 imputare
 analoga
<br />

responsabilità
 ai
 titolari
 di
 un
 motore
 di
 ricerca
 per
 eventuali
<br />

contenuti
 illeciti
 –
 anche
 sotto
 profili
 diversi
 d<strong>alla</strong>
 proprietà
<br />

intellettuale
 (pedopornografia,
 notizie
 diffamatorie,
 diffusione
 di
<br />

dati
personali,
insider
trading,
aggiotaggio)
–
indicizzati.
<br />

Difficile,
 d'altra
 parte,
 trovare
 convincenti
 le
 motivazioni
<br />

sulla
 cui
 base
 il
 magistrato
 è
 giunto
 <strong>alla</strong>
 conclusione
 di
 ritenere
<br />

attendibile
l'ipotesi
di
reato
formulata
dall'accusa.
<br />

Scrive,
 infatti,
 il
 Giudice
 nell'Ordinanza
 che
 l’ipotesi
<br />

apparirebbe
 “vieppiù
 fondata
 ‐
 anzi
 del
 tutto
 pacifica
 ‐
 avendo
<br />

riguardo
 agli
 assetti
 ed
 ai
 contenuti
 del
 sito
 in
 esame,
 che
<br />

programmaticamente
 non
 prevede
 alcune
 attenzione
 al
 rispetto
<br />

dei
diritti
di
autore”.
<br />

Ciò,
 secondo
 lo
 stesso
 giudice,
 potrebbe
 evincersi
 “d<strong>alla</strong>
<br />

denominazione,
innanzitutto
‐
sintomatica
di
un
chiaro
e
convinto
<br />

riferimento
alta
“pirateria
informatica”
(
The
Pirate
Bay
La
baia
dei
<br />

pirati)
‐
come
pure
dalle
indicazioni
riportare
sulle
pagine
stesse
<br />

del
 sito,
 dove
 si
 evidenzia,
 tra
 l’altro
 che
 gli
 unici
 contenuti
<br />

14




<br />

destinati
 ad
 essere
 filtrati
 e
 bloccati
 dagli
 amministratori
 di
<br />

sistema
 sono
 quelli
 concretamente
 fastidiosi
 ovvero
 dannosi
 per
<br />

gli
utenti,
vale
e
dire
virus
informatici,
messaggi
in
qualche
modo
<br />

molesti
 (cd.
 “spam”),
 file
 contraffatti
 (cd.
 “fake”
 ‐
 falsi
 ‐
 il
 cui
<br />

contenuto
 non
 risponde
 <strong>alla</strong>
 denominazione),
 con
 esclusione
 di
<br />

ogni
 altro
 file
 e
 quindi
 senza
 alcun
 discrimine
 tra
 contenuti
<br />

legalmente
 detenuti
 e
 diffusi
 e
 contenuti
 che
 al
 contrario
 non
 lo
<br />

sono”.
<br />

Come
 dire
 che
 invitare
 al
 rispetto
 della
 netiquette
 e
<br />

prevedere
 strumenti
 autodisciplinari
 per
 eventuali
 violazioni
 del
<br />

codice
deontologico
della
<strong>Rete</strong>
costituisce
indice
sintomatico
della
<br />

natura
 illecita
 di
 un'iniziativa
 telematica
 o,
 piuttosto
 –
 con
<br />

riferimento
all'attenzione
mostrata
dal
giudice
verso
il
nome
della
<br />

baia
–
che
l'abito
non
fa
il
monaco
ma
fa
il
pirata.
<br />

In
 tale
 contesto,
 prima
 di
 assumere
 decisioni
<br />

“giustizialiste”
che
rischiano,
peraltro
–
come
emerge
dallo
stesso
<br />

tenore
 letterale
 dell'ordinanza
 del
 GIP
 di
 Bergamo
 –
 di
 essere
<br />

fortemente
 intrise
 di
 contenuti
 ideologici
 e,
 soprattutto,
<br />

influenzate
da
considerazioni
linguistiche
o
etimologiche
piuttosto
<br />

che
 giuridiche
 occorre
 tener
 presente
 il
 rischio
 di
 pericolose
<br />

derive
 che
 porterebbero,
 nel
 breve
 periodo,
 ad
 una
 radicale
<br />

trasformazione
della
<strong>Rete</strong>
Italiana.
<br />

Il
 principio
 della
 non
 responsabilità
 –
 salvo
 casi
<br />

eccezionali
 –
 degli
 intermediari
 della
 comunicazione
 è,
 peraltro
<br />

oggi
fissato
a
chiare
lettere
nella
disciplina
europea
sul
commercio
<br />

elettronico
 con
 la
 conseguenza
 che
 il
 “divieto
 di
 attracco”
 sulle
<br />

spiagge
 della
 grande
 Baia
 disposto
 dal
 giudice
 italiano
 rischia
<br />

anche
 di
 minare
 delicati
 equilibri
 tra
 gli
 ordinamenti
 dei
 Paesi
<br />

membri
e
di
“frammentare”
l'Internet
europea.
<br />

Seguendo
 questa
 rotta,
 per
 chiudere
 una
 baia
 “virtuale”
<br />

asseritamente
 “pirata”
 si
 rischia
 di
 dar
 vita
 a
 baie
 reali
 ovvero
 a
<br />

isole
 geograficamente
 confinanti
 nelle
 quali
 regnano
 regole
<br />

giuridiche
diverse
per
cui
per
individuare
files
torrent
attraverso
<br />

thepiratebay
basta
fare
una
gita
nella
Repubblica
di
San
Marino
o,
<br />

piuttosto,
appoggiare
il
portatile
sulle
mura
della
Città
del
Vaticano
<br />

intercettando
la
banda
del
provider
pontificio.
<br />

Decisioni
 di
 questo
 tipo
 segnano
 un
 ritorno
 al
 passato
 e
<br />

ricordano
 quella
 dimensione
 “pre‐globalizzata”
 della
<br />

comunicazione
 che
 Internet
 ha
 relegato
 per
 sempre
 ai
 libri
 di
<br />

storia
ed
alle
carte
nautiche
di
altri
tempi.
<br />

Come
 già
 anticipato,
 tuttavia,
 quella
 del
 primo
 agosto
 è
<br />

solo
un'ordinanza
cautelare
che
benché
idonea,
per
il
momento,
a
<br />

rendere
meno
agevolmente
accessibile
–
in
<strong>Rete</strong>,
ovviamente,
già
<br />

fioccano
i
rimedi
per
accedere
<strong>alla</strong>
Baia
agirando
le
restrizioni
dei
<br />

15




<br />

provider
 italiani
 –
thepiratebay
 non
 stabilisce
 nulla
 di
 definitivo
<br />

sull'effettiva
responsabilità
dei
suoi
gestori.
<br />

Converrà,
pertanto,
rinviare
ogni
ulteriore
commento
alle
<br />

conclusioni
 di
 una
 battaglia
 legale
 che
 –
 anche
 data
 la
 fiera
<br />

reazione
dei
gestori
di
thepiratebay
e
della
comunità
telematica
–
<br />

si
preannuncia
lunga
e
ricca
di
colpi
di
scena.
<br />

C'è,
tuttavia,
un
altro
aspetto
della
vicenda
che
colpisce
e
<br />

solleva
più
di
una
preoccupazione.
<br />

Il
 Giudice
 non
 si
 è
 limitato
 ad
 ordinare
 ai
 provider
<br />

“operanti
in
italia”
di
rendere
inaccessibile
un
certo
sito
internet
o,
<br />

piuttosto,
 un
 determinato
 nome
 di
 dominio
 ma
 è
 andato
 oltre,
<br />

spingendosi
 ad
 ordinare
 agli
 ISP
 di
 disabilitare
 egualmente
<br />

l'accesso
 ad
 ogni
 altro
 nome
 di
 dominio
 che,
 anche
 in
 futuro,
<br />

dovesse
rendere
raggiungibili
le
medesime
risorse.
<br />

Per
 questa
 via,
 tuttavia,
 il
 magistrato
 ha
 finito
 con
<br />

l'imporre
agli
internet
service
provider
un
obbligo
di
sorveglianza
<br />

(quasi)
 generale
 in
 aperto
 contrasto,
 ancora
 una
 volta,
 con
 i
<br />

principi
di
diritto
ormai
affermatisi
nell'Ordinamento
Europeo
che
<br />

escludono
 categoricamente
 la
 sussistenza
 di
 un
 simile
 obbligo
 in
<br />

capo
agli
intermediari
della
comunicazione.
<br />

Scrivo
veleggiando
tra
Saint
Malo,
la
città
corsara
e
Jersey,
<br />

l'isola
dei
pirati
di
Sua
Maestà
e
sarà
forse
per
questo
che
mi
sento
<br />

istintivamente
 portato
 ad
 augurarmi
 che
 la
 grande
 baia
 torni
<br />

presto
accessibile
ai
naviganti
italiani
così
come
lo
è,
in
queste
ore,
<br />

a
 chiunque,
 come
 me,
 abbia
 la
 fortuna
 di
 attraccarvi
 da
 terre
<br />

straniere.
<br />

Non
 sono
 preoccupato
 perché
 la
 chiusura
 della
 Baia
<br />

precluderà
 a
 tanti
 naviganti
 italiani
 di
 scaricare
 sui
 propri
 PC
<br />

musica
e
film
“a
scrocco”
ed
in
barba
agli
altrui
diritti
d'autore.
<br />

E'
 giusto
 così
 e
 non
 credo
 che
 la
 storia
 di
 Robin
 Hood
<br />

possa
 costituire
 un
 valido
 alibi
 per
 infrangere
 impunemente
 le
<br />

leggi
 così
 come
 non
 costituisce
 una
 scusa
 credibile
 per
<br />

l'introduzione
di
nuovi
balzelli.
<br />

Rubare
 è
 reato
 tanto
 che
 si
 lo
 si
 faccia
 in
 danno
 dei
 più
<br />

ricchi
e
che
si
rubi
proprietà
intellettuale
tanto
che
lo
si
faccia
in
<br />

danno
dei
meno
ricchi
e
che
si
rubino
barattoli
di
marmellata.
<br />

Il
punto
–
nella
vicenda
di
thepiratebay
così
come
in
ogni
<br />

altra
vicenda
relativa
a
pretese
responsabilità
di
intermediari
della
<br />

comunicazione
 per
 le
 condotte
 dei
 propri
 utenti
 –
 è
 un
 altro
 e
<br />

concerne
 la
 libertà
 di
 comunicazione
 e
 di
 accesso
 <strong>alla</strong>
 cultura
<br />

digitale
nella
società
dell'informazione.
<br />

In
gioco
non
c'è
la
sopravvivenza
di
thepiratebay
–
chiusa
<br />

una
 baia
 se
 ne
 apre
 un'altra!
 ‐
 ma
 il
 rischio
 di
 veder
 messo
 in
<br />

discussione
un
principio
fondamentale
per
la
sopravvivenza
della
<br />

16




<br />

<strong>Rete</strong>:
quello
secondo
il
quale
solo
chi
rompe
paga
e
non
anche
chi
è
<br />

nel
mezzo
tra
la
fionda
ed
il
vetro.
<br />

Ogni
Paese
è,
ovviamente,
libero
di
stabilire
–
salvo
poi
la
<br />

difficoltà
di
farle,
in
concreto
rispettare
e
di
giustificare
certe
scelte
<br />

dinanzi
 <strong>alla</strong>
 comunità
 internazionale
 –
 le
 regole
 che
 ritiene
 più
<br />

opportune
per
l'esercizio
di
ogni
attività
di
intermediazione
delle
<br />

comunicazioni
elettroniche
ma,
fino
a
quando

il
potere
legislativo
<br />

preferisce
 restare
 un
 passo
 indietro
 e
 lasciare
 che
 la
 tecnologia
<br />

faccia
 il
 suo
 corso,
 l'Autorità
 giudiziaria
 –
 che
 in
 ossequio
 al
<br />

principio
della
separazione
dei
poteri
ha
esclusivamente
il
compito
<br />

di
 far
 rispettare
 le
 leggi
 –
 dovrebbe
 astenersi
 dal
 sostituirsi
 al
<br />

Parlamento
 cercando
 di
 orientare
 con
 provvedimenti
 cautelari
 e
<br />

procedimenti
giudiziari
dall'esito
incerto
lo
sviluppo
della
politica
<br />

dell'innovazione.
<br />

E'
 divenuto,
 infatti,
 ormai
 troppo
 frequente
 il
 ricorso
 ai
<br />

Giudici
e
l'intervento
–
più
o
meno
autonomo
di
questi
ultimi
–
per
<br />

cercare
di
far
cristallizzare
regole
che
il
legislatore
non
ha
voloto
<br />

sin
 qui
 scrivere:
 il
 caso
 Google
 –
 Vividown,
 quello
 Google
 vs.
<br />

Mediaset,
le
decine
di
casi
che
hanno
visto
contrapposti
gli
ISP
ai
<br />

titolari
 dei
 diritti
 d'autore
 e,
 ora,
 il
 caso
 The
 Pirate
 Bay
 sono
<br />

riconducibili
ad
un
teorema
unitario
e
preoccupante
che
vorrebbe
<br />

“spingere”
 l'Autorità
 giudiziaria
 a
 stabilire
 un
 principio,
 sin
 qui,
<br />

irrintracciabile
 nel
 nostro
 ordinamento
 secondo
 il
 quale
 gli
<br />

intermediari
 della
 comunicazione
 –
 quale
 che
 sia
 il
 ruolo
 da
 essi
<br />

svolto
 (ISP,
 access
 provider,
 content
 provider,
 UGC
 o
 motori
 di
<br />

ricerca)
 –
 devono
 controllare
 che
 i
 propri
 servizi
 non
 vengano
<br />

utilizzati
in
violazione
di
altrui
diritti
e
possono
essere
chiamati
a
<br />

rispondere
 sia
 civilmente
 che
 penalmente
 di
 eventuali
 condotte
<br />

illecite
poste
in
essere
per
il
loro
tramite.
<br />

Tale
 teorema,
 tuttavia,
 non
 conduce
 solo
 <strong>alla</strong>
 riscrittura
<br />

delle
Regole
della
comunicazione
telematica
ma
impone,
nel
breve
<br />

periodo,
 anche
 una
 radicale
 riformulazione
 del
 codice
 (in
 questo
<br />

caso
nel
senso
di
bit)
sul
quale
poggia
l'infrastruttura
di
<strong>Rete</strong>.
<br />

La
 proprietà
 intellettuale
 –
 non
 mi
 stancherò
 mai
 di
<br />

ribadirlo
–
va
tutelata
e
chi
saccheggia
gli
altrui
diritti
d'autore
va
<br />

sanzionato
ma
guai
a
pensare
che
travolgere
l'architettura
di
<strong>Rete</strong>
<br />

e
 criminalizzare
 condotte
 giuridicamente
 e
 tecnologicamente
<br />

neutrali
sia
il
modo
migliore
per
farlo.
<br />

Guai,
 soprattutto,
 a
 dimenticare
 che
 i
 diritti
 di
 proprietà
<br />

intellettuale
 non
 sono
 sovra‐ordinati
 rispetto
 ad
 altri
 diritti
<br />

egualmente
 fondamentali
 quale,
 ad
 esempio,
 quello
 di
<br />

manifestazione
 del
 pensiero
 e
 che,
 pertanto,
 per
 tutelare
 il
<br />

portafoglio
 delle
 major
 non
 si
 può
 vietare
 l'attracco
 su
 una
 baia
<br />

attraverso
 la
 quale
 vengono
 diffuse
 anche
 informazioni
 utili
 a
<br />

17




<br />

raggiungere
 contenuti
 liberi
 che
 costituiscono
 l'espressione
 del
<br />

pensiero
o
dell'arte
di
milioni
di
naviganti.
<br />

Il
 problema
 non
 è
 di
 merito
 ma
 di
 metodo:
 le
 violazioni
<br />

della
 proprietà
 intellettuale
 vanno
 punite
 e
 sanzionate
 ma
 non
 a
<br />

costo
di
sacrificare
irrimediabilmente
altri
diritti.
<br />

Agire
diversamente
ed
impostare
l'enforcement
dei
diritti
<br />

di
 proprietà
 intellettuale
 secondo
 lo
 schema
 caro
 a
 Monsieur
<br />

Olivennes
 ed
 al
 Presidente
 Sarkozy
 così
 come
 <strong>alla</strong>
 Procura
 di
<br />

Bergamo
 è
 come
 inibire
 ad
 un
 giornalista
 reo
 di
 un
 illecito
<br />

diffamatorio
di
tornare
a
scrivere
o,
piuttosto,
chiudere
il
giornale
<br />

attraverso
il
quale
la
diffamazione
è
stata
perpetrata,
precludendo,
<br />

così,
 a
 milioni
 di
 cittadini
 l'accesso
 ad
 informazioni
 e
 contenuti
<br />

utili
e
preziosi.
<br />

Il
problema
della
proprietà
intellettuale
in
Internet
è
una
<br />

questione
 culturale
 e,
 come
 tale,
 va
 affrontata
 e
 risolta:
 meno
<br />

divieti
 di
 attracco,
 più
 informazione
 e,
 soprattutto,
 maggiore
<br />

innovazione
 nei
 modelli
 di
 business
 di
 un'industria
 –
<br />

quell'audiovisiva
–
che
ha,
probabilmente,
troppo
a
lungo
preteso
<br />

di
restare
eguale
a
se
stessa
vivendo
di
rendita.
<br />

Perché
 non
 creare
 centinaia
 di
 baie
 legali
 con
 tariffe
 di
<br />

attracco
accessibili
ai
naviganti
e,
soprattutto,
adeguata
libertà
di
<br />

utilizzo
delle
risorse
legalmente
acquistate?
<br />


<br />


<br />

Io
intermedio,
tu
intermedi,
egli
ruba!
<br />

6
ottobre
2008

<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=356
<br />


<br />

Gli
amici
del
Circolo
dei
Giuristi
telematici
hanno
appena
<br />

pubblicato
 le
 motivazioni
 con
 le
quali
 il
 Tribunale
 del
 riesame
 di
<br />

Bergamo
ha
annullato
il
decreto
di
sequestro
di
Thepiratebay 3.
<br />

























































<br />

3
 Provvedimento
 pubblicato
 il
 6
 ottobre
 2008
 sul
 sito
 del
 Circolo
 dei
 Giuristi
<br />

telematici
all’indirizzo:
http://www.giuristitelematici.it
<br />

Repubblica
Italiana
<br />

Tribunale
di
Bergamo
<br />

Sezione
penale
del
dibattimento
in
funzione
di
giudice
del
riesame
<br />

ordinanza
di
accoglimento
di
riesame
avverso
sequestro
preventivo
<br />

‐
art.
324
c.p.p.
‐
<br />

********
<br />

Il
Tribunale
di
Bergamo,
composto
dai
Magistrati:
<br />

dott.
Vittorio
Masia
Presidente
<br />

dott.
Stefano
Storto
Giudice
Rel.
<br />

dott.
Marialuisa
Mazzola
Giudice
<br />

letti
<br />

18



























































<br />


<br />

gli
atti
del
procedimento
in
epigrafe
nei
confronti
di
S.K.P.
Ed
altri
per
il
reato
di
cui
<br />

agli
 artt.
 110
 c.p.
 e
 171
 ter
 co.
 2
 lett
 a
 bis)
 L.
 633/41
 ed
 esaminata
 la
<br />

documentazione;
<br />

udite
<br />

le
parti
all'udienza
in
data
24.9.2008;
<br />

premesso
<br />

che,
 su
 richiesta
 del
 Pubblico
 Ministero,
 in
 data
 1.8.2008
 il
 GIP
 di
 Bergamo
<br />

disponeva
il
sequestro
preventivo
del
sito
web
www.thepiratebay.org,
disponendo
<br />

che
 i
 fornitori
 di
 servizi
 internet
 (Internet
 Service
 Provider)
 e
 segnatamente
 i
<br />

provider
operanti
sul
territorio
dello
Stato
italiano
inibiscano
ai
rispettivi
utenti
–
<br />

anche
 a
 mente
 degli
 artt.
 14
 e
 15
 del
 Decreto
 Legislativo
 n.
 70
 del
 9.4.2003
 –
<br />

l'accesso:
<br />

all'indirizzo
www.thepiratebay.org;
<br />

ai
relativi
alias
e
nomi
di
dominio
presenti
e
futuri,
rinvianti
al
sito
medesimo;
<br />

all'indirizzo
IP
statico
83.140.176.146,
che
al
momento
risulta
associato
ai
predetti
<br />

nomi
 di
 dominio,
 e
 ad
 ogni
 ulteriore
 indirizzo
 IP
 statico
 associato
 ai
 nomi
 stessi
<br />

nell'attualità
ed
in
futuro;
<br />

rilevato
<br />

che
 con
 ricorso
 ex
 art.
 324
 c.p.p.
 e
 successiva
 memoria
 depositata
 il
 giorno
<br />

dell'udienza,
 i
 difensori
 di
 S.K.
 chiedevano
 la
 revoca
 del
 sequestro,
 eccependo
<br />

nullità
 di
 ordine
 processuale;
 difetto
 di
 giurisdizione;
 insussistenza
 del
 fumus
<br />

delicti;
nonché
falsa
applicazione
dell'art.
321
c.p.p.,
degli
artt.
14/17
D.L.vo
70/03
<br />

e
della
direttiva
2000/31/CE;
<br />

ritenuto
<br />

che
 non
 può
 allo
 stato
 revocarsi
 in
 dubbio
 la
 sussistenza
 del
 fumus
 delicti
<br />

(quantomeno
secondo
la
tipicità
dell'art.
171
co.
1
lett.
a
bis)
L.
633/41),
<strong>alla</strong>
luce
di
<br />

quanto
 evidenziato
 d<strong>alla</strong>
 Guardia
 di
 Finanza,
 che
 riferisce
 di
 un
 elevatissimo
<br />

numero
di
contatti
al
sito
in
questione
registrati
sul
territorio
nazionale
(in
termini
<br />

di
alcune
centinaia
di
migliaia);
<br />

che
 tali
 contatti,
 per
 specificità,
 l'evidenza
 e
 l'ampiezza
 dell'offerta
 contenuta
 nel
<br />

sito
 oggetto
 di
 cautela,
 devono
 essere
 ragionevolmente
 ricondotti,
 almeno
 in
 una
<br />

significativa
 parte,
 all'acquisizione
 in
 rete
 di
 beni
 protetti
 dal
 diritto
 di
 autore,
 in
<br />

violazione
delle
norme
a
presidio
dello
stesso;
<br />

che
 in
 proposito
 a
 nulla
 rileva
 il
 fatto
 che
 tali
 beni
 non
 siano
 nella
 diretta
<br />

disponibilità
 degli
 indagati,
 ma
 collocati
 in
 archivi
 contenuti
 in
 apparecchi
<br />

elettronici
di
altri
soggetti,
dal
momento
che
solo
le
informazioni
contenute
nel
sito
<br />

in
questione
(nel
quale
si
trovano
le
chiavi
per
accedere
agli
archivi
di
cui
sopra
e
<br />

attingerne
direttamente
documenti)
consentono
la
realizzazione
di
quei
contatti
in
<br />

numero
esorbitante
cui
fa
riferimento
la
Guardia
di
Finanza;
<br />

che
 in
 tale
 contesto
 risulta
 del
 tutto
 evidente
 come
 gli
 indagati,
 attraverso
 il
 sito
<br />

www.thepiratebay.org,
quantomeno
mettano
a
disposizione
del
pubblico
della
rete
<br />

opere
 dell'ingegno
 protette,
 condotta
 astrattamente
 rispondente
 <strong>alla</strong>
 tipicità
<br />

dell'art.
171
citato;
<br />

che,
riconosciuto
il
fumus
per
come
esposto,
deve
altresì
affermarsi
la
sussistenza
<br />

del
 periculum,
 dovendosi
 in
 proposito
 osservare
 che
 l'elevatissimo
 numero
 di
<br />

connessioni
 rilevate
 induce
 a
 ritenere
 in
 via
 probabilistica
 (valutazione
 del
 tutto
<br />

compatibile
 con
 il
 carattere
 della
 delibazione
 cautelare)
 l'attualità
 della
<br />

commissione
del
delitto
ipotizzato;
<br />

che,
atteso
il
concreto
atteggiarsi
del
fatto
come
sopra
tratteggiato,
all'affermazione
<br />

della
sussistenza
di
fumus
e
periculum,
deve
conseguentemente
affermarsi
anche
la
<br />

sussistenza
della
giurisdizione
italiana;
<br />

considerato
<br />

19




<br />

Il
contenuto
del
provvedimento
è
questione
da
penalisti
e
<br />

la
lascio
a
Daniele 4
ed
agli
altri
colleghi.
<br />

Io
mi
limito
ad
un
paio
di
considerazioni.
<br />

(1)
I
Giudici
del
riesame
hanno,
in
sostanza
stabilito
che
il
<br />

provvedimento
di
questa
estate
andava
annullato
perché
il
diritto
<br />

processuale
penale
non
contempla
provvedimenti
cautelari
atipici
<br />

e
un
ordine
di
inibitoria
è
cosa
diversa
da
un
ordine
di
sequestro.
A
<br />

























































<br />

che
 occorra
 ora
 esaminare
 il
 profilo
 inerente
 <strong>alla</strong>
 falsa
 applicazione
 dell'art.
 321
<br />

c.p.p.,
che,
in
quanto
attinente
al
merito,
ha
natura
assorbente
degli
ulteriori
profili
<br />

eccepiti;
<br />

ritenuto
<br />

che
 le
 misure
 cautelari
 –
 e
 segnatamente
 i
 sequestri,
 secondo
 l'ordinamento
<br />

processuale
penale
–
hanno
carattere
di
numerus
clausus,
non
conoscendo
il
codice
<br />

di
rito
un
istituto
atipico
quale
quello
di
cui
all'art.
700
c.p.c.;
<br />

che
di
conseguenza
non
è
giuridicamente
possibile
emettere
sequestro
preventivo
<br />

al
di
fuori
delle
ipotesi
nominate
per
le
quali
l'istituto
fu
concepito;
<br />

che
 il
 sequestro
 preventivo
 ha
 una
 evidente
 natura
 reale
 (come
 peraltro
 fatto
<br />

palese
dallo
stesso
nomen
iuris
del
genere
al
quale
esso
appartiene),
in
quanto
si
<br />

realizza
 nell'apposizione
 di
 un
 vincolo
 di
 indisponibilità
 sulla
 res,
 che
 sottrae
 il
<br />

bene
<strong>alla</strong>
libera
disponibilità
di
chiunque;
<br />

che
dunque
l'ambito
di
incidenza
del
sequestro
preventivo
deve
essere
ristretto
<strong>alla</strong>
<br />

effettiva
apprensione
della
cosa
oggetto
del
provvedimento;
<br />

considerato
<br />

che
 il
 decreto
 censurato
 ha
 il
 contenuto
 di
 un
 ordine
 imposto
 dall'Autorità
<br />

Giudiziaria
 a
 soggetti
 (allo
 stato)
 estranei
 al
 reato,
 volto
 ad
 inibire,
 mediante
 la
<br />

collaborazione
degli
stessi,
ogni
collegamento
al
sito
in
questione
da
parte
di
terze
<br />

persone;
<br />

che
 tale
 decreto
 (pur
 astrattamente
 in
 linea
 con
 la
 previsione
 degli
 artt.
 14
 e
 ss.
<br />

D.L.vo
 70/03),
 lungi
 dal
 costituire
 materiale
 apprensione
 di
 un
 bene,
 si
 risolve
 in
<br />

verità
in
una
inibitoria
atipica,
che
sposta
l'ambito
di
incidenza
del
provvedimento
<br />

da
 quello
 reale
 –
 come
 detto
 ambito
 proprio
 del
 sequestro
 preventivo
 –
 a
 quello
<br />

obbligatorio,
 in
 quanto
 indirizzato
 a
 soggetti
 indeterminati
 (i
 cd.
 provider),
 cui
 è
<br />

ordinato
 di
 conformare
 la
 propria
 condotta
 (cioé
 di
 non
 fornire
 la
 propria
<br />

prestazione),
 al
 fine
 di
 ottenere
 l'ulteriore
 e
 indiretto
 risultato
 di
 impedire
<br />

connessioni
al
sito
in
questione;
<br />

ritenuto
<br />

che
l'uso
del
tipo
di
cui
all'art.
321
c.p.p.,
quale
inibitoria
di
attività,
non
può
però
<br />

essere
 condiviso,
 in
 quanto
 produce
 l'effetto
 di
 sovvertirne
 natura
 e
 funzione,
 di
<br />

talché
il
sequestro
deve
essere
annullato;
<br />

PQM
<br />

visti
gli
artt.
321,
322
e
324
c.p.p.
<br />

annulla
<br />

il
 decreto
 di
 sequestro
 preventivo
 emesso
 in
 data
 1.8.2008
 dal
 GIP
 di
 questo
<br />

Tribunale.
<br />

Manda
<strong>alla</strong>
cancelleria
per
quanto
di
competenza.
<br />

Così
deciso
in
Bergamo,
il
24
settembre
2008
<br />

F.to
I
Giudici
<br />

Al
Pubblico
Ministero
Giancarlo
Mancusi
<br />

All'avv.
Giovanni
Battista
Gallus
del
Foro
di
Cagliari
anche
per
S.P.K.
<br />

All'avv.
Francesco
Paolo
Micozzi
del
Foro
di
Cagliari
<br />

Al
GIP
dott.ssa
Mascarino
<br />

4
Il
riferimento
è
al
collega
Daniele
Minotti,
blogger
su
www.minotti.net
<br />

20



me
 ‐
 povero
 civilista
 ‐
 sembra
 cosa
 ovvia
 ma…evidentemente
 in
<br />

diritto
penale
non
lo
è
se
il
GIP
del
Tribunale
di
Bergamo
ha,
a
suo
<br />

tempo,
ritenuto
di
poter
ordinare
a
tutti
gli
ISP
italiani
di
rendere
<br />

inaccessibile
un
intero
sito…
<br />

A
 prescindere
 dai
 tecnicismi
 processual
 penalistici,
 sono,
<br />

comunque,
 contento
 del
 provvedimento
 perché
 chiarisce
 un
<br />

principio
 a
 me
 assai
 caro:
 non
 si
 può
 rendere
 inaccessibile
<br />

un'intera
 fonte
 di
 informazione
 solo
 perché
 attraverso
 essa
<br />

vengono
diffuse
ANCHE
informazioni
utili
a
commettere
un
reato
<br />

(ammesso
che
sia
così).
<br />

(2)
 I
 Giudici
 del
 riesame
 indugiano
 a
 lungo
 sulla
<br />

sussistenza,
 nel
 caso
 di
 specie,
 del
 requisito
 del
 fumus
 boni
 iuris,
<br />

espressione
 cara
 ai
 giuristi
 per
 dire,
 in
 buona
 sostanza,
 che
<br />

l'azione
 della
 quale
 il
 provvedimento
 cautelare
 mira
 a
<br />

salvaguardare
l'efficacia,
SEMMBRA
fondata.
<br />

Nel
 nostro
 caso
 i
 Giudici
 del
 riesame
 stanno,
 quindi,
<br />

dicendo
 che
 l'attività
 contestata
 a
 The
 Pirate
 Bay,
 sembra,
<br />

effettivamente,
illecita.
<br />

Ho
 già
 scritto
 che
 non
 è
 mia
 intenzione
 difendere
<br />

Thepiratebay,
 non
 essendo,
 io
 per
 primo
 ‐
 sotto
 un
 profilo
<br />

sostanziale,
 ma
 forse
 sarebbe
 meglio
 dire
 "politico‐sociale"
 ‐
<br />

convinto
della
bontà
dell'iniziativa.
<br />

Il
 punto
 è,
 tuttavia,
 un
 altro:
 i
 principi
 di
 diritto
 sono
<br />

suscettibili
 di
 applicazione
 ripetuta
 nel
 tempo
 a
 fattispecie
<br />

analoghe
ma
contraddistinte
da
contenuti
diversi
ergo
il
principio
<br />

elaborato
 dai
 giudici
 nella
 vicenda
 Thepiratebay
 potrebbe
 essere
<br />

applicato
domani
in
una
vicenda
THEPARADISEBAY.
<br />

E'
per
questo
che
mi
sembra
necessario
avanzare
qualche
<br />

perplessità
su
un
principio
che
i
Giudici
del
riesame
vorrebbero
far
<br />

passare
 per
 pacifico:
 quello
 secondo
 il
 quale
 diffondere
<br />

informazioni
 utili
 al
 raggiungimento
 di
 un'opera
 dell'ingegno
<br />

equivale
a
"mettere
a
disposizione
del
pubblico"
‐
nel
senso
di
cui
<br />

all'art.
171,
lett.
a‐bis)
LDA
‐
l'opera
stessa 5.
<br />

Francamente
non
credo
sia
così.
<br />

Tale
 attività
 è,
 infatti,
 caratteristica
 di
 tutta
 una
 serie
 di
<br />

intermediari
 della
 comunicazione
 che
 svolgono
 un
 ruolo
<br />

























































<br />


<br />

5
 Legge
 n.
 633
 del
 21
 aprile
 1941
 (Legge
 sul
 diritto
 d’autore),
 Art.
 171.
 
 Salvo
<br />

quanto
previsto
dall'art.
171‐bis
e
dall'art.
171‐ter,
è
punito
con
la
multa
da
euro
51
<br />

a
euro
2.065
(185)
chiunque,
senza
averne
diritto,
a
qualsiasi
scopo
e
in
qualsiasi
<br />

forma:
<br />

omissis
<br />

a‐bis)
 mette
 a
 disposizione
 del
 pubblico,
 immettendola
 in
 un
 sistema
 di
 reti
<br />

telematiche,
 mediante
 connessioni
 di
 qualsiasi
 genere,
 un'opera
 dell'ingegno
<br />

protetta,
o
parte
di
essa.
<br />

omissis
<br />

21




<br />

essenziale
 nelle
 dinamiche
 della
 circolazione
 telematica
 dei
<br />

contenuti:
i
motori
di
ricerca,
ad
esempio.
<br />

Se
fosse
vero
quello
che
sostengono
i
Giudici
del
riesame,
<br />

nella
vicenda
thepiratebay,
si
starebbe
rivisitando
profondamente
<br />

la
 disciplina
 europea
 sulla
 non
 responsabilità
 degli
 intermediari
<br />

della
comunicazione.
<br />

Si
tratta
di
un
rischio
al
quale
occorre
guardare
con
grande
<br />

attenzione
senza
"lasciarsi
prender
la
mano"
d<strong>alla</strong>
circostanza
che
<br />

IN
QUESTO
CASO
si
sta
parlando
di
una
baia
di
pirati.
<br />

Sfortunatamente,
tuttavia,
la
tendenza
ad
una
rivisitazione
<br />

di
 quel
 principio
 va
 diffondendosi
 come
 sottolineavo
 già
 l'altro
<br />

giorno
a
proposito
del
provvedimento
tedesco
contro
Rapidshare 6.
<br />


<br />

C’era
 una
 volta
 il
 principio
 della
 non
 responsabilità
 degli
<br />

intermediari…
<br />

3
ottobre
2008

<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=354
<br />


<br />

La
 premessa
 è
 che,
 sfortunatamente,
 non
 so
 leggere
 il
<br />

tedesco
e,
quindi,
non
posso
che
fidarmi
di
quello
che
ho
letto
in
<br />

giro
(Gaia,
peraltro,
è
una
fonte
più
che
affidabile 7) 
 ma
la
recente
<br />

sentenza
resa
dai
giudici
tedeschi
mi
lascia
perplesso 8.
<br />

Secondo
 i
 giudici
 tedeschi,
 infatti,
 rapidshare
 ‐
 sulla
 cui
<br />

qualità
 di
 fornitore
 di
 hosting
 non
 mi
 sembra
 possa
 dubitarsi
 ‐<br />

sarebbe
tenuto
a
vigilare
sui
contenuti
"caricati"
dai
propri
utenti,
<br />

a
 rimuovere
 quelli
 in
 violazione
 del
 diritto
 d'autore
 nonché
 a
<br />

tracciare
gli
IP
degli
uploader.
<br />

Le
 parole,
 le
 sfumature,
 i
 concetti
 in
 diritto
 sono
<br />

importanti
e,
quindi,
non
amo
commentare
una
decisione
che
non
<br />

sono
riuscito
a
leggere
direttamente
ma,
francamente,
la
sentenza
<br />

mi
 sembra
 difficilmente
 conciliabile
 con
 questa
 vecchia
 norma
<br />

della
Direttiva
31/2000/UE:
<br />

Articolo
14
<br />

"Hosting"
<br />

1.
Gli
Stati
membri
provvedono
affinché,
nella
prestazione
<br />

di
 un
 servizio
 della
 società
 dell'informazione
 consistente
 nella
<br />

memorizzazione
 di
 informazioni
 fornite
 da
 un
 destinatario
 del
<br />

























































<br />

6 
 Cfr.
 il
 post
 che
 segue:
 C’era
 una
 volta
 il
 principio
 della
 non
 responsabilità
 degli
<br />

intermediari…
<br />

7 
 Mi
 riferisco
 ad
 un
 articolo
 di
 Gaia
 Bottà,
 pubblicato
 su
 Punto
 Informatico
 il
 3
<br />

ottobre
 2008
 e
 consultabile
 a
 questa
 URL:
 http://punto‐<br />

informatico.it/2425179/PI/News/germania‐rapidshare‐al‐controllo‐<br />

preventivo.aspx
<br />

8 
 Il
 testo,
 in
 tedesco,
 della
 decisione
 è
 reperibile
 qui:
 http://webhosting‐und‐<br />

recht.de/urteile/Oberlandesgericht‐Hamburg‐20080702.html
<br />

22



servizio,
 il
 prestatore
 non
 sia
 responsabile
 delle
 informazioni
<br />

memorizzate
 a
 richiesta
 di
 un
 destinatario
 del
 servizio,
 a
<br />

condizione
che
detto
prestatore:
<br />

a)
non
sia
effettivamente
al
corrente
del
fatto
che
l'attività
<br />

o
 l'informazione
 è
 illecita
 e,
 per
 quanto
 attiene
 ad
 azioni
<br />

risarcitorie,
 non
 sia
 al
 corrente
 di
 fatti
 o
 di
 circostanze
 che
<br />

rendono
manifesta
l'illegalità
dell'attività
o
dell'informazione;
<br />

b)
 non
 appena
 al
 corrente
 di
 tali
 fatti,
 agisca
<br />

immediatamente
per
rimuovere
le
informazioni
o
per
disabilitarne
<br />

l'accesso.
<br />

Non
 mi
 stancherò
 mai
 di
 ripetere
 che
 il
 diritto
 d'autore
<br />

costituisce
 uno
 degli
 indispensabili
 pilastri
 della
 società
<br />

dell'informazione
ma,
ad
un
tempo,
faccio
 fatica
ad
allontanare
il
<br />

sospetto
 che
 in
 nome
 del
 diritto
 d'autore
 si
 stiano
 travolgendo
<br />

principi
fondamentali
del
diritto
suscettibili,
tra
l'altro,
di
produrre
<br />

effetti
ben
al
di
là
dei
confini
della
proprietà
intellettuale.
<br />

Spero
 di
 poter
 leggere
 presto
 la
 sentenza
 e
 tornare
<br />

sull'argomento 9.
<br />


<br />

La
responsabilità
dei
grandi…
<br />

29
ottobre
2008

<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=370
<br />


<br />

Leggo
 su
 Punto
 Informatico,
 in
 un
 bell'articolo
 di
 Gaia 10,
<br />

della
 coraggiosa
 decisione
 annunciata
 da
 Rapidshare
 di
 non
<br />

procedere
a
nessuna
forma
di
filtraggio
sui
contenuti
degli
utenti
e,
<br />

dunque
 ‐
 sebbene
 solo
 parzialmente
 ‐
 di
 non
 dar
 seguito
 <strong>alla</strong>
<br />

decisione
con
la
quale
nelle
scorse
settimane
i
Giudici
tedeschi
gli
<br />

avevano
 rimproverato
 proprio
 di
 non
 
 "controllare
 in
 maniera
<br />

proattiva
il
contenuto
prima
di
pubblicarlo" 11.
<br />

























































<br />


<br />

9 
Sfortunatamente
non
ho
ancora
imparato
il
tedesco
né
trovato
una
traduzione
<br />

della
Sentenza!
<br />

10 
Il
riferimento
è
ad
un
articolo
di
Gaia
Bottà
pubblicato
su
Punto
informatico
il
29
<br />

ottobre
 2008
 e
 consultabile
 a
 questa
 URL:
 http://punto‐<br />

informatico.it/2454553/PI/News/rapidshare‐no‐al‐monitoraggio.aspx
<br />

11 
Pubblico
qui
di
seguito
il
comunicato
con
il
quale
Rapidshare
ha
reso
nota
la
<br />

propria
decisione:

<br />

“RapidShare
will
not
control
Uploads
<br />

October
26,
2008
<br />

160
million
files
have
already
been
uploaded
to
RapidShare.
A
number
that
proves,
<br />

that
the
world
depends
on
moving
important
data
from
A
to
B.
A
number
that
also
<br />

proves,
that
RapidShare
with
its
fast
and
easy
services
also
addresses
users
that
are
<br />

no
computer
nerds.
<br />

RapidShare
is
the
first
technology
worldwide
that
made
sending
big
files
so
easy,
so
<br />

fast
 and
 so
 secure.
 The
 files
 can
 be
 stored
 as
 long
 as
 needed
 and
 can
 be
 recalled
<br />

from
anywhere
in
the
world,
they
are
strictly
confidential
and
can
only
be
accessed
<br />

by
 the
 user
 that
 originally
 loaded
 them
 up,
 or
 alternatively
 can
 be
 distributed
<br />

23




<br />

Innegabile
che
dietro
la
decisione
dei
vertici
di
uno
dei
più
<br />

grandi
 fornitori
 di
 hosting
 del
 mondo
 vi
 sia
 anche
 la
<br />

preoccupazione
 di
 non
 perdere
 i
 propri
 utenti
 che,
 qualora
<br />

Rapidshare
non
li
avesse
rassicurati,
avrebbero
potuto
rinunciare
<br />

ad
avvalersi
dei
servizi
da
questo
messi
a
disposizione
per
evitare
<br />

di
incappare
in
fastidiosi
"filtri"
ed
"intercettazioni".
<br />

Ciò,
 tuttavia,
 non
 toglie
 nulla
 <strong>alla</strong>
 posizione
 assunta
 da
<br />

Rapidshare
 secondo
 cui
 spetta
 ai
 grandi
 "influenzare"
 gli
<br />

orientamenti
di
politica
dell'innovazione.
<br />

Quando
cose
del
genere
capitano
ai
più
piccoli
fornitori
di
<br />

hosting,
infatti,
questi
ultimi
non
hanno
alternativa:
o
si
adeguano,
<br />

o
 chiudono
 o
 chiuderanno
 <strong>alla</strong>
 prima
 occasione
 in
 cui
 un
 titolare
<br />

dei
 diritti
 chiederà
 loro
 un
 risarcimento
 con
 qualche
 zero
 di
<br />

troppo…
<br />

Sono
 i
 grandi,
 invece,
 che
 hanno
 sulle
 spalle
 la
<br />

responsabilità
di
contribuire
‐
senza
con
ciò
candidarsi
a
guidare
<br />

rivoluzioni
 o
 attacchi
 pirati
 ‐
 al
 diffondersi
 di
 orientamenti
 ed
<br />

approcci
 più
 equilibrati
 e
 ponderati
 ai
 problemi
 giuridici
 della
<br />

nuova
Era.
<br />

La
 vicenda
 Rapidshare
 sono
 la
 prova
 del
 fatto
 che
 tra
 la
<br />

teoria
di
certe
moderne
dottrine
antipirateria
e
la
pratica
il
passo
è
<br />

lungo.
<br />

Complimenti
a
Rapidhsare!
Parola
di
un
utente
che
non
ha
<br />

per
niente
voglia
di
sentirsi
dare,
solo
per
questo,
del
pirata!
�
<br />


<br />


<br />


<br />


<br />

…e
se
si
fosse
chiamata
Paradise
Bay?
<br />

























































<br />

among
 thousands
 of
 people
 quickly
 and
 easily.
 With
 a
 couple
 of
 billion
 page
<br />

impressions
per
day
we
know,
that
we
as
a
leader
will
have
to
pave
the
way
for
this
<br />

new
technology.
We
are
aware
of
the
fact
that
we
therefore
have
big
responsibility.
<br />

If,
 for
 example,
 it
 had
 been
 regulated
 by
 law
 to
 control
 all
 copies
 before
 the
 first
<br />

photo
copier
was
invented,
it
is
very
likely
that
these
machines
would
have
never
<br />

hit
the
market.
That's
why
we
are
doing
everything
to
enable
this
new
technology
‐
<br />

which
is
still
very
young,
but
already
inspires
millions
of
people
every
day
‐
to
be
<br />

part
of
our
future
and
make
life
more
comfortable.
<br />

The
 security
 of
 personal
 data
 is
 very
 important
 to
 us,
 especially
 in
 these
 times.
<br />

That's
the
reason
why
we
will
not
spy
out
the
files
that
our
clients
faithfully
upload
<br />

onto
 RapidShare,
 not
 now
 nor
 in
 future.
 We
 are
 against
 upload
 control
 and
<br />

guarantee
you
that
your
files
are
safe
with
us
and
will
not
be
opened
by
anyone
else
<br />

than
 yourself,
 unless
 you
 distribute
 the
 download
 link.
 RapidShare,
 of
 course,
 is
<br />

against
the
distribution
of
illegal
files
and
as
soon
as
we
are
informed
about
illegal
<br />

distribution,
we
delete
these
files
and
put
them
on
a
filter.
But
the
general
control
of
<br />

uploads
is
out
of
the
question
for
us,
because
we
think
that
especially
in
these
times
<br />

data
privacy
comes
first.”.
<br />

24




<br />

15
settembre
2008

<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=343
<br />


<br />

Thepiratebay
 indicizza
 i
 files
 torrent
 delle
 foto
<br />

dell'autopsia
di
due
bambini
morti
e
torna
nell'occhio
del
ciclone
<br />

come
responsabile
della
diffusione
delle
macabre
immagini.
(Fonte
<br />

Punto
Informatico) 12.
<br />

Non
 conosco
 i
 dettagli
 della
 vicenda
 e
 mi
 astengo,
<br />

pertanto,
da
ogni
commento
strettamente
giuridico
sulla
stessa.
<br />

Mi
limito,
tuttavia,
a
rilevare
che
in
rete
circolano
migliaia
<br />

di
immagini
e
video
relative
ad
autopsie
di
ogni
genere
di
cadavere
<br />

(una
 ricerca
 su
 un
 qualsiasi
 search
 engine
 o
 IN
 UN
 UGC
 varrà
 a
<br />

darvene
 conferma)
 e
 che
 i
 canali
 televisivi
 hanno
 ormai
 reso
 le
<br />

autopsie
 compagne
 insostituibili
 di
 pranzi
 e
 di
 cene
 (basti
<br />

guardare
l'epopea
di
CSI,
post
mortem
e
le
decine
di
altre
serie
TV
<br />

di
analogo
contenuto)…segno
evidente
che
il
gusto
del
macabro
è,
<br />

sfortunatamente,
diffuso.
<br />

Si
tratta
di
immagini
la
cui
diffusione
in
alcuni
Paesi
può
<br />

risultare
 contraria
 <strong>alla</strong>
 legge
 specie
 laddove
 la
 vittima
 sia
<br />

riconoscibile
 mentre,
 in
 altri,
 "semplicemente"
 contraria
 <strong>alla</strong>
<br />

morale
comune…ammesso
che
ne
esista
UNA
SOLA…
<br />

Ove
la
diffusione
di
tali
immagini
è
contraria
<strong>alla</strong>
legge,
il
<br />

problema
 torna
 essere
 quello
 di
 sempre:
 chi
 risponde
 dei
<br />

contenuti
 immessi
 in
 <strong>Rete</strong>
 da
 un
 utente?
 L'uGC,
 il
 gestore
 di
 un
<br />

motore
di
ricerca
o,
piuttosto,
l'utente
stesso?
 
<br />

Ove,
invece
‐
come
mi
sembra
di
capire
accade
in
Svezia
‐
<br />

la
diffusione
di
certe
immagini
è
contraria
<strong>alla</strong>
morale,
la
questione
<br />

si
complica
ed
occorre,
a
mio
avviso,
riconoscere
che
decidere
cosa
<br />

è
morale
e
cosa
non
lo
è,
non
è
sempre
semplice
e,
comunque,
non
<br />

può
essere
decisione
demandata
ad
un
UGC,
un
ISP
o
al
titolare
di
<br />

un
motore
di
ricerca…
<br />

Il
rischio,
davvero
dietro
l'angolo,
è
che
per
questa
via
si
<br />

finisca
 con
 il
 restaurare
 forme
 di
 censura
 che
 solo
 Internet
 ha
<br />

saputo
spazzare
lontano.
<br />

E
poi
si
dice
che
l'abito
non
fa
il
monaco,
se
ThePirateBay
<br />

si
 fosse
 chiamata
 TheParadiseBay…sono
 sicuro
 la
 notizia
 non
<br />

avrebbe
fatto
il
giro
del
mondo.
<br />


<br />

Google,
Mediaset
e
quel
risarcimento
milionario
<br />

1°
agosto
2008

<br />

Punto
Informatico
<br />

























































<br />

12 
L’articolo
di
Punto
Informatico
al
quale
mi
riferisco
è
del
15
settembre
2008
ed
è
<br />

reperibile
 a
 questa
 URL:
 http://punto‐informatico.it/2403962/PI/News/the‐<br />

pirate‐bay‐no‐comment.aspx
<br />

25




<br />


<br />

Non
 si
 è
 ancora
 sopito
 il
 clamore
 sollevato
 d<strong>alla</strong>
 notizia
<br />

dell’intenzione
 della
 Procura
 della
 Repubblica
 di
 Milano
 di
<br />

trascinare
 sul
 banco
 degli
 imputati
 4
 top
 manager
 di
 Google
 che
<br />

Big
 G
 torna
 nell’occhio
 del
 ciclone
 per
 effetto
 della
 richiesta
<br />

risarcitoria
multimilionaria
formulata
d<strong>alla</strong>
Mediaset 13.
<br />

La
 tentazione
 è
 quella
 di
 sintetizzare
 gli
 eventi
 con
 una
<br />

battuta:
tutti
contro
Google.
<br />

Ma
si
sbaglierebbe.
<br />

Il
problema
è
un
altro
e
concerne
l’intera
architettura
della
<br />

<strong>Rete</strong>
 Internet
 e,
 in
 particolare,
 il
 ruolo
 degli
 intermediari
 della
<br />

comunicazione:
 di
 quelli
 puntualmente
 “fotografati”
 d<strong>alla</strong>
 vigente
<br />

disciplina
 sul
 commercio
 elettronico
 e
 di
 quelli
 che
 nel
 2000
 –
<br />

allorquando
 si
 è
 posto
 mano
 a
 tale
 direttiva
 –
 ancora
 non
<br />

esistevano
o,
almeno,
non
avevano
assunto
un
ruolo
tanto
centrale
<br />

ed
irrinunciabile
nella
diffusione
dei
contenuti
digitali
in
<strong>Rete</strong>.
<br />

La
 sottile
 linea
 rossa
 che
 unisce
 le
 due
 vicende
 è
<br />

esattamente
questa:
la
qualificazione
giuridica
degli
UGC
e
le
loro
<br />

conseguenti
 eventuali
 responsabilità
 per
 contenuti
 che
 non
<br />

controllano
e
che
gli
utenti
immettono
in
<strong>Rete</strong>
per
effetto
della
loro
<br />

attività.
<br />

Il
 principio
 generale
 sancito
 d<strong>alla</strong>
 disciplina
 europea
 a
<br />

proposito
 della
 responsabilità
 degli
 intermediari
 è,
 come
 è
 noto,
<br />

quello
 dell’assenza
 di
 un
 obbligo
 generale
 di
 sorveglianza
 e
 della
<br />

conseguente
generale
non
responsabilità
degli
intermediari.
<br />

La
ragione
per
la
quale
si
è
pervenuti
a
tale
conclusione
è
<br />

semplice:
 nessuno
 sarebbe
 disponibile
 a
 svolgere
 un’attività
<br />

imprenditoriale
 per
 la
 quale
 corresse
 il
 rischio
 di
 vedersi
<br />

trascinato
 sul
 banco
 degli
 imputati
 per
 una
 responsabilità
 altrui
<br />

senza,
peraltro
–
complici
i
numeri
e
le
dinamiche
caratteristiche
<br />

della
 <strong>Rete</strong>
 –
 aver
 la
 concreta
 possibilità
 di
 intervenire
 sul
 corso
<br />

degli
eventi.
<br />

Il
bivio
dinanzi
al
quale
ci
si
trova,
pertanto,
è
chiaro:
o
si
<br />

riconosce
tale
responsabilità
e
si
cancella
d<strong>alla</strong>
<strong>Rete</strong>
una
delle
più
<br />

caratteristiche
 e
 rivoluzionarie
 modalità
 di
 comunicazione
 e
<br />

condivisione
 dei
 contenuti
 digitali
 o
 la
 si
 esclude
 e
 si
 lascia,
<br />

pertanto,
che
la
<strong>Rete</strong>
segue
la
sua
naturale
evoluzione.
<br />

























































<br />

13 
Questo
è
il
lancio
di
agenzia
con
la
notizia:
<br />

(ANSA)
‐
MILANO,
30
LUG
‐
Mediaset
ha
citato
in
giudizio
YouTube
e
Google
''per
<br />

illecita
diffusione
e
sfruttamento
commerciale
di
file
audio‐video''.
Il
risarcimento
<br />

richiesto
‐
ha
reso
noto
Mediaset
‐
e'
di
almeno
500
milioni
di
euro
per
il
solo
danno
<br />

emergente.
''D<strong>alla</strong>
rilevazione
a
campione
effettuata
da
Mediaset
sono
stati
<br />

individuati
sul
sito
YouTube
4.643
filmati
di
nostra
proprieta',
pari
a
oltre
325
ore
<br />

di
materiale
emesso
senza
possedere
i
diritti'',
ha
specificato
il
Gruppo.
<br />

26




<br />

Quest’ultima
 eventualità,
 peraltro,
 non
 comporta
 come
<br />

necessaria
 conseguenza
 –
 come
 spesso
 si
 lascia
 ritenere
 –
 la
<br />

legittimazione
nello
spazio
telematico
di
ogni
genere
di
violazione
<br />

in
 danno
 della
 privacy,
 dei
 diritti
 di
 proprietà
 intellettuale
 o,
<br />

piuttosto,
dell’onore
e
reputazione
di
una
persona.
<br />

Escludere
 la
 responsabilità
 degli
 UGC
 significa
<br />

semplicemente
 scegliere
 di
 impegnarsi
 nella
 repressione
 delle
<br />

condotte
vietate
concentrandosi
sull’attività
degli
utenti.
<br />

Educazione
 all’utilizzo
 delle
 risorse
 telematiche,
<br />

identificazione
 dei
 responsabili
 delle
 condotte
 on‐line
 e
<br />

autodisciplina
 potrebbero
 essere
 le
 parole
 chiave
 di
 un
 nuovo
 e
<br />

diverso
approccio
<strong>alla</strong>
tutela
dei
diritti
in
<strong>Rete</strong>.
<br />

Ma
 torniamo
 al
 caso
 Mediaset
 vs.
 Google,
 come
 dire
 il
<br />

colosso
 di
 ieri
 dell’informazione
 e
 dell’intrattenimento
 ed
 il
<br />

colosso
di
oggi
e
forse
di
domani.
<br />

C’è
un
aspetto
della
vicenda
–
per
quel
che
poco
che
se
ne
<br />

conosce
dai
giornali
–
che
mi
lascia
perplesso,
forse,
persino
di
più
<br />

dell’azione
 di
 responsabilità:
 si
 tratta
 dell’entità
 della
 richiesta
<br />

risarcitoria
e
delle
motivazioni
sulle
quali
essa
si
fonderebbe.
<br />

L’argomento
meriterebbe
ben
maggiore
approfondimento
<br />

ma,
 mi
 sembra,
 sin
 d’ora
 possibile
 delineare
 un
 paio
 di
 profili
 di
<br />

particolare
rilievo:
<br />

(a)
 la
 messa
 a
 disposizione
 del
 pubblico
 di
 contenuti
 sui
<br />

quali
 Mediaset
 deteneva
 i
 diritti
 d’autore
 costituisce,
<br />

probabilmente,
una
condotta
non
autorizzata
dal
titolare
dei
diritti
<br />

ma,
da
qui
a
sostenere
che
Mediaset
abbia
sofferto
un
danno
tanto
<br />

rilevante
il
passo
è
lungo.
<br />

Chiunque
 conosca
 la
 realtà
 telematica,
 infatti,
 deve
<br />

escludere
 che
 esista
 qualsivoglia
 rapporto
 di
 concorrenzialità
 tra
<br />

la
 diffusione
 telematica
 di
 qualche
 minuto
 di
 un
 programma
<br />

televisivo
e
la
<strong>version</strong>e
integrale
dello
stesso
andata
in
onda
in
TV.
<br />

Difficile,
 pertanto,
 sostenere
 che
 Mediaset
 abbia
 subito
<br />

una
 perdita
 in
 termini
 di
 raccolta
 pubblicitaria
 per
 effetto
 della
<br />

diffusione
 su
 Youtube
 di
 qualche
 migliaio
 di
 spezzoni
 dei
 propri
<br />

programmi
dopo
che,
peraltro,
questi
ultimi
erano,
evidentemente,
<br />

già
stati
trasmessi.
<br />

(b)
Google
mette
a
disposizione
dei
titolari
del
diritto
una
<br />

procedura
semplice
–
e
credo
anche
efficace
–
per
la
rimozione
dei
<br />

contenuti
protetti
da
diritti
di
proprietà
intellettuale.
<br />

E’
 un
 bell’esempio
 –
 forse
 perfettibile
 –
 di
 deontologia
 e
<br />

autodisciplina.
<br />

Non
 sembra
 che
 Mediaset
 abbia
 mai
 chiesto
 a
 Google
 di
<br />

procedere
 <strong>alla</strong>
 rimozione
 dei
 filmati
 di
 cui
 oggi
 contesta
 la
<br />

diffusione
non
autorizzata.
<br />

27




<br />

Nel
codice
civile
c’è
un
bel
principio
di
civiltà
giuridica
che
<br />

dice
 che
 non
 ha
 diritto
 al
 risarcimento
 chi
 pur
 potendo
 non
 ha
<br />

evitato
un
danno
che
usando
l’ordinaria
diligenza
avrebbe
potuto
<br />

evitare.
<br />

Di
più
non
dico
ma…non
credo
sarebbe
stato
difficile
per
<br />

Mediaset
 mandare
 qualche
 mail
 a
 Google
 per
 chiedere
 la
<br />

rimozione
di
qualche
filmato.
<br />

Non
mi
piace
francamente
l’idea
di
chi
rimane
<strong>alla</strong>
finestra
<br />

ad
assistere
ad
asserite
reiterate
violazioni
dei
propri
diritti
e
poi
<br />

presenta
un
conto
così
salato…
<br />


<br />

<strong>Processo</strong>
<strong>alla</strong>
<strong>Rete</strong>.
<br />

2
marzo
2008

<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=264
<br />


<br />

Stefano
 Quintarelli
 in
 un
 suo
 BEL
 post
 di
 ieri
 segnala
 un
<br />

BRUTTO
 (l'aggettivo
 è
 mio)
 articolo
 di
 Paolo
 Panerai
 apparso
 su
<br />

Milano
Finanza
di
qualche
giorno
fa 14.
<br />

























































<br />

14 
 Il
 post
 pubblicato
 da
 Stefano
 Quintarelli
 il
 1°
 marzo
 2008
 sul
 suo
 blog:
<br />

http://blog.quintarelli.it/blog/
<br />

Panerai
contro
Google
<br />

Ringrazio
 Andrea
 ed
 Eugenio
 (autore
 di
 Menostato)
 per
 gli
 spunti
 dietro
 questo
<br />

post.
<br />

Il
dott.
Panerai,
titolare
di
Class
Editori
che
pubblica
Milano
Finanza
ha
scritto
pochi
<br />

giorni
fa
(il
9
febbraio)
un
lungo
editoriale
che
spaziava
su
tre
pagine.
<br />

Ha
 fatto
 un
 discorso
 globale
 su
 rete,
 telecom,
 google,
 copyright
 che,
 a
 me,
<br />

francamente
pare
il
frutto
di
un
ragionamento
non
sufficientemente
approfondito;
<br />

certo,
posso
sempre
sbagliarmi...
<br />

Mi
soffermo
su
un
passaggio,
(sperando
che
altri
gli
rispondano
in
punta
di
diritto):
<br />

quando
sostiene
che
Google
dovrebbe
NON
indicizzare
i
giornali
(google
news)
in
<br />

quanto
protetti
da
copyright,
essendo
questo
un
furto.
<br />

Il
dott.
Panerai
probabilmente
non
usa
mai
Internet,
per
non
rendersi
complice
di
<br />

reato.
Qualunque
scritto
e'
infatti
protetto
da
Copyright

(anche
questo
post)
solo
<br />

per
 il
 fatto
 di
 esistere.
 Se
 capisco
 bene,
 quindi,
 nulla
 potrebbe
 essere
 quindi
<br />

indicizzato
da
un
motore
di
ricerca.
La
conseguenza
e'
che
i
motori
di

ricerca
non
<br />

possono
esistere.
<br />

Senza
 entrare
 in
 tecnicismi
 di
 come
 fare
 a
 non
 essere
 indicizzati
 se
 non
 lo
 
 si
<br />

desidera,
 cosa
 che
 peraltro
 qualcuno
 potrebbe
 anche
 segnalare
 al
 Dott.
 Panerai,
<br />

anche
le
conseguenze
economiche
di
questo
atteggiamento
dovrebbero
sgomentare
<br />

gli
stakeholder
della
casa
editrice,
a
mio
sommesso
parere.
<br />

Che
piaccia
o
no,
l'interfaccia
utente
del
worldwide
web
e'
Google.
Se
una
funzione
<br />

non
e'
disponibile
nell'interfaccia
utente,
questa
funzione
non

esiste.
L'elettronica
<br />

di
 una
 mia
 auto
 aveva
 un
 bel
 display
 con
 possibilità
 di
 ingressi
 video,
 ma
<br />

l'interfaccia
utente
non
offriva
possibilità
di
abilitarli...
<br />

Abbiamo
un
mondo
in
cui
il
cartaceo
e'
in
calo
e
internet
e'
in
aumento.
Se
Google
<br />

eliminasse
 Class
 editori
 dalle
 sue
 indicizzazioni,
 questo
 cesserebbe
 di
 esistere
<br />

nell'unico
spazio
in
crescita
e
esisterebbe
solo
in
uno
spazio
in
rapida
obsolescenza.
<br />

E'
ciò
che
gli
stakeholder
di
Class
si
aspettano
?
Certo,
si
potrebbe
sempre
proibire
<br />

per
legge
la
commutazione
di
pacchetto.
<br />

28




<br />

Pubblico
 qui
 un
 estratto
 dell'articolo
 perché
 altrimenti
 il
<br />

post
 sarebbe
 difficilmente
 intellegibile.
 La
 pubblicazione
 mi
<br />

sembra,
 pertanto,
 giustificata
 <strong>alla</strong>
 stregua
 dell'eccezione
 di
 cui
 al
<br />

primo
comma
dell'art.
70
LDA.
Se
autore
o
editore
la
pensassero
<br />

diversamente,
tuttavia,
non
devono
che
segnalarmelo 15.
<br />

Panerai
 nel
 Suo
 articolo
 scrive,
 in
 buona
 sostanza,
 che
 i
<br />

grandi
 motori
 di
 ricerca
 (Google
 e
 Yahoo)
 avrebbero
 sin
 qui
<br />

accumulato
enormi
ricchezze
rubando
(Panerai
parla
di
FURTO)
i
<br />

contenuti
prodotti
dagli
editori
e
che
sarebbe
arrivato
il
momento
<br />

che
il
legislatore
italiano
ponga
fine
a
questa
"pacchia".
<br />

La
giurisprudenza
belga
‐
scrive
ancora
Panerai
‐
avrebbe
<br />

già
 reiteratamente
 accertato
 l'illegittimità
 del
 servizio
 Google
<br />

News
e,
quella
italiana,
analogamente,
condannato
ripetutamente
<br />

la
Selpress,
società
operante
nel
settore
delle
rassegne
stampa
per
<br />

l'illegittimo
 utilizzo
 degli
 articolo
 della
 stessa
 Class
 Editrice
 e
 di
<br />

altri
editori.
<br />

L'articolo
non
mi
piace
né
nella
forma
né
nei
contenuti.
<br />

Quanto
<strong>alla</strong>
forma
il
Dr.
Panerai
mentre
invoca
l'esigenza
<br />

di
 un
 intervento
 normativo
 per
 far
 ordine
 nella
 materia
 ‐
 dando
<br />

così
atto
del
vuoto
legislativo
esistente
‐
pronuncia
il
suo
pesante
<br />

verdetto
 contro
 le
 dinamiche
 dell'informazione
 in
 <strong>Rete</strong>,
<br />

condannando,
senza
appello,
i
grandi
motori
di
ricerca
per
FURTO.
<br />

Delle
due
l'una:
o
non
servono
regole
nuove
perché
quelle
<br />

attuali
 già
 consentono
 al
 Dr.
 Panerai
 di
 parlare
 di
 FURTO
 o,
<br />

piuttosto,
 servono
 regole
 nuove
 e,
 quindi,
 ad
 oggi
 nessuno
 ha
<br />

























































<br />

Nel
 recente
 passato
 si
 e'
 visto
 come,
 contrariamente
 <strong>alla</strong>
 legge
 che
 non
 ammette
<br />

ignoranza,
parte
importante
della
professione
giornalistica
invece
la
ostenti.
<br />

Oltre
 a
 quei
 noti
 casi,
 secondo
 me,
 anche
 questo
 sfogo
 del
 Dott.
 Panerai
 e'
 un
<br />

segnale
che
Internet
sta
arrivando
<strong>alla</strong>
massa
critica
anche
in
Italia.
Inizia
ad
essere
<br />

un
 fenomeno
 sensibilmente
 percepito
 e
 la
 reazione
 e'
 il
 discredito
 o
 il
 contrasto,
<br />

anziché
l'analisi
e
lo
sviluppo
di
nuove
opportunità.
<br />

Secondo
me
ha
ragione
Beppe
a
ritenere
che
e'
il
sistema
dell'informazione
ad
avere
<br />

paura,
che
e'
sotto
pressione
e
la
rete,
aperta,
lo
costringerà
a
cambiare.
<br />

E
se
e'
vero
che
non
esiste
un
grande
"editore
puro"
e
che
informazione‐industria‐<br />

banche‐politica
sono
fittamente
interrelati
in
una
matrice
che,
in
qualche
modo,
si
<br />

autosostiene,
beh,
allora
e'
il
caso
di
essere
ottimisti.
<br />

Due
passaggi
dell'articolo
in
questione:
<br />





*
 "i
 due
 grandi
 motori
 di
 ricerca
 rivali,
 Yahoo
 e
 Google,
 hanno
 finora
 potuto
<br />

produrre
 forti
 utili
 e
 raggiungere
 capitalizzazioni
 astronomiche
 in
 quanto
 hanno
<br />

potuto
 utilizzare
 impunemente
 e
 a
 costo
 zero
 l’enorme
 materiale
 prodotto
 da
<br />

giornali,
agenzie,
televisioni,
radio,
che
trasferendo
buona
parte
dei
loro
contenuti
<br />

su
internet
hanno
consentito
ai
due
rivali
di
poter
offrire
un
servizio
a
costo
zero
<br />

almeno
per
la
realizzazione
dei
contenuti
stessi."
<br />





*
"Questo
furto
di
materiale
fondamentale
per
creare
pagine
e
pagine
di
notizie,
di
<br />

archivi
e
di
spazi
pubblicitari,
è
già
stato
sanzionato
in
più
cause
in
vari
paesi"
<br />

15 
 Il
 testo
 dell’articolo
 è
 pubblicato
 a
 questa
 URL:
 http://www.guidoscorza.it/wp‐<br />

content/uploads/2008/03/milano‐finanza.pdf
<br />

29




<br />

commesso
 nessun
 FURTO
 ed
 il
 Dr.
 Panerai
 dovrebbe
 essere
 più
<br />

cauto
 nell'utilizzo
 di
 certe
 espressioni
 che
 potrebbero
 ‐
 in
 modo,
<br />

questa
volta,
inequivoco
‐
violare
i
diritti
di
altri
ed
integrare
gravi
<br />

fattispecie
di
reato.
<br />

Sempre
parlando
di
forma,
non
posso
condividere
il
grave
<br />

e
 pesante
 "J'ACCUSE"
 del
 Dr.
 Panerai
 all'indirizzo
 dell'intera
<br />

attività
 di
 due
 tra
 gli
 indiscussi
 protagonisti
 della
 rivoluzione
<br />

telematica
in
atto:
Google
e
Yahoo.
<br />

Non
 si
 tratta
 di
 prendere
 le
 difese
 d'ufficio
 di
 questa
 o
<br />

quella
 società
 ‐
 anche
 perché
 le
 due
 in
 questione
 non
 ne
 hanno
<br />

certamente
 bisogno
 ‐
 ma,
 piuttosto,
 di
 difendere
 le
 nuove
<br />

dinamiche
dell'informazione
in
<strong>Rete</strong>
contro
le
quali
il
Dr.
Panerai
<br />

scaglia
un
autentico
macigno.
<br />

Ho
 scritto,
 ormai,
 decine
 di
 volte
 ‐
 ed
 è,
 d'altra
 parte,
<br />

circostanza
 sotto
 gli
 occhi
 di
 tutti
 ‐
 che
 le
 dinamiche
 della
 <strong>Rete</strong>
<br />

impongono
 un
 ripensamento
 della
 tradizionale
 posizione
 di
<br />

equilibrio
 tra
 diritti
 di
 proprietà
 intellettuale
 ed
 altri
 diritti
<br />

egualmente
importanti
tra
i
quali,
in
primis,
vi
è
certamente
quello
<br />

all'accesso
all'informazione
attraverso
cui,
peraltro,
si
estrinseca
‐
<br />

lungo
una
delle
due
linee
portanti
‐
la
libertà
di
manifestazione
del
<br />

pensiero
 sancita
 all'art.
 21
 della
 nostra
 costituzione
 e
 pietra
<br />

angolare
 della
 democrazia
 come
 è
 già
 stata
 definita
 d<strong>alla</strong>
 Corte
<br />

Costituzionale.
<br />

Questo,
 tuttavia,
 è
 molto
 diverso
 dal
 principio
 che
 il
 Dr.
<br />

Panerai
vorrebbe
fosse
affermato.
<br />

Veniamo
 ora,
 brevemente,
 ai
 contenuti
 dell'articolo
 di
<br />

Milano
 Finanza,
 con
 riserva,
 come
 sempre,
 di
 tornare
<br />

sull'argomento.
<br />

Il
 Tribunale
 di
 Bruxelles,
 in
 effetti,
 l'anno
 scorso,
 si
 è
<br />

pronunciato
 contro
 Google,
 stabilendo
 che
 l'attività
 da
<br />

quest'ultimo
svolta
nell'ambito
dei
servizi
Google
Cache
e
Google
<br />

news
doveva
considerarsi
illecita
in
quanto
in
violazione
dei
diritti
<br />

d'autore
degli
editori
dei
giornali
belgi.
<br />

La
decisione
è,
sostanzialmente
condivisibile
‐
in
punto
di
<br />

diritto
‐
 in
 relazione
 al
 servizio
 "Google
 cache"
 mentre
 riposa
 ‐
 a
<br />

mio
 avviso
 ‐
 su
 un
 grave
 errore
 di
 prospettiva
 in
 relazione
 al
<br />

servizio
 "Google
 News"
 nell'ambito
 del
 quale
 Google
 viene,
<br />

sostanzialmente,
 trattato
 quale
 fornitore
 di
 contenuti
<br />

eteroprodotti
 anziché
 come
 semplice
 fornitore
 di
 servizi
 di
<br />

indicizzazione.
<br />

Sul
punto
si
potrebbero
scrivere
tonnellate
di
bit
ma,
per
il
<br />

momento,
mi
limito
a
pubblicare
il
testo
integrale
della
decisione
<br />

30




<br />

lasciando
a
tutti
(sfortunatamente
i
soli
francofoni)
la
possibilità
di
<br />

formarsi
il
proprio
convincimento 16.
<br />

Quanto,
invece,
all'analogia
tratteggiata
dal
Dr.
Panerai
tra
<br />

i
 servizi
 resi
 disponibili
 dai
 due
 motori
 di
 ricerca
 e
 l'attività
 di
<br />

rassegna
 stampa
 posta
 in
 essere
 d<strong>alla</strong>
 sua
 personale
 rivale
 di
<br />

sempre
 vi
 è,
 semplicemente,
 un
 abisso
 e
 le
 due
 fattispecie
 non
<br />

sono
neppure
lontanamente
confrontabili
in
termini
giuridici.
<br />

La
 Selpress
 riproduce
 integralmente
 e
 trasmette,
 dietro
<br />

pagamento,
 ai
 propri
 clienti
 gli
 articoli
 che
 appaiono
<br />

quotidianamente
sui
giornali
italiani
mentre
Google
News
si
limita
<br />

ad
 indicizzare
 contenuti
 specifici
 permettendo
 all'utente
 di
<br />

raggiungerli
in
modo
semplificato
sul
sito
dell'editore.
<br />

Leggete
la
decisione
della
Suprema
corte
di
Cassazione
cui
<br />

fa
riferimento
Panerai
per
convincervene
voi
stessi 17.
<br />

Sul
 punto,
 pertanto,
 l'articolo
 di
 Milano
 Finanza
 fa
<br />

confusione
e
crea
inutili
ambiguità.
<br />

Capisco,
 perfettamente,
 che
 il
 nuovo
 faccia
 paura
 al
<br />

vecchio
ma…il
nuovo
è
l'unica
chance
per
traghettare
il
Paese
nella
<br />

Società
dell'informazione
e
non
fargli
perdere
il
treno
dell'ultima
<br />

rivoluzione.
<br />


<br />

Querelata
Wikipedia:
cose
d’altri
(brutti)
tempi.
<br />

1°
marzo
2008

<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=261
<br />


<br />

Ieri
l'AGI
ha
battuto
una
notizia
‐
rapidamente
ripresa
da
<br />

tutti
i
principali
quotidiani
on‐line
‐
secondo
la
quale
"Il
sindaco
di
<br />

Firenze
 Leonardo
 Domenici
 e
 l'assessore
 Graziano
 Cioni"
<br />

avrebbero
"dato
mandato
di
querelare
per
diffamazione
e
calunnia
<br />

il
 sito
 internet
 Wikipedia"
 a
 causa
 di
 alcune
 asseritamente
 false
<br />

informazioni
 riportate
 <strong>alla</strong>
 voce
 "Leonardo
 Domenici"
 (la
 voce
<br />

risulta
 ora,
 purtroppo,
 "ripulita"
 dei
 riferimenti
 contestati
 e
<br />

"bloccata"
a
titolo
cautelativo) 18.
<br />

























































<br />

16 
 Il
 testo
 integrale
 della
 Sentenza
 è
 disponibile
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=861
<br />

17 
Il
testo
integrale
della
Sentenza
è
disponibile
a
questa
URL:
<br />

http://www.ricercagiuridica.com/sentenze/index.php?num=2380
<br />

18 
 Questo
 il
 lancio
 di
 agenzia
 dell’AGI
 del
 29
 febbraio
 2008:
 Il
 sindaco
 di
 Firenze
<br />

Leonardo
Domenici
e
l’assessore
Graziano
Cioni
hanno
dato
mandato
di
querelare
<br />

per
 diffamazione
 e
 calunnia
 il
 sito
 internet
 Wikipedia,
 la
 cosiddetta
 “enciclopedia
<br />

libera
on
line”.
<br />

Sul
sito
di
Wikipedia,
<strong>alla</strong>
voce
‘Leonardo
Domenici’,
si
imputano
al
sindaco
e
<strong>alla</strong>
<br />

sua
giunta
alcuni
provvedimenti
e
decisioni
che,
si
legge,
“hanno
suscitato
critiche
<br />

da
 parte
 della
 cittadinanza”
 e
 si
 cita
 in
 particolare
 “l’affidamento
 dei
 parcheggi
<br />

cittadini
 <strong>alla</strong>
 società
 ‘Firenze
 parcheggi’,
 del
 cui
 cda
 fanno
 parte
 le
 mogli
 di
<br />

Domenici
e
dell’assessore
Cioni”.
Una
calunnia
già
circolata
in
passato,
sulla
quale
<br />

31




<br />

A
 quanto
 riferisce
 l'AGI,
 a
 far
 irritare
 il
 primo
 cittadino
<br />

fiorentino
 sarebbero
 stati
 alcuni
 riferimenti
 contenuti
 nella
<br />

propria
 scheda
 biografica
 che
 gli
 avrebbero
 imputato
 alcuni
<br />

provvedimenti
 e
 decisioni
 che,
 avrebbero
 "suscitato
 critiche
 da
<br />

parte
 della
 cittadinanza"
 con
 particolare
 riferimento
<br />

"all'affidamento
 dei
 parcheggi
 cittadini
 <strong>alla</strong>
 società
 "Firenze
<br />

parcheggi"
 del
 cui
 cda
 fanno
 parte
 le
 mogli
 di
 Domenici
 e
<br />

dell'assessore
Cioni".
<br />

Non
 voglio
 entrare
 nel
 merito
 della
 questione:
 non
 mi
<br />

sembra,
tuttavia,
che
i
riferimenti
di
tipo
storico
a
provvedimenti
<br />

che
hanno
suscitato
critiche
abbiano
nulla
di
diffamatorio.
<br />

La
questione
di
maggior
rilievo,
in
ogni
caso,
è
un'altra.
<br />

Nella
 società
 dell'informazione
 ‐
 nella
 quale,
<br />

evidentemente,
 il
 Sindaco
 di
 Firenze
 non
 si
 è
 ancora
 accorto
 di
<br />

vivere
 ‐
 non
 serve
 querelare
 nessuno
 per
 una
 voce
 che
 si
 ritiene
<br />

"diffamatoria"
pubblicata
sulla
più
grande
enciclopedia
del
mondo:
<br />

si
 modifica
 la
 voce
 e
 se
 ne
 spiegano
 le
 ragioni
 fornendo
 link
 e
<br />

documenti
a
supporto
della
propria
posizione.
<br />

Lo
 ha
 scritto
 ‐
 e
 gliene
 va
 dato
 atto
 ‐
 prima
 di
 me
 Pietro
<br />

Folena
sul
suo
blog 19.

<br />

Una
 querela
 per
 diffamazione
 contro
 un'enciclopedia
<br />

aperta
è
cosa
d'altri
tempi…altri
brutti
e
vecchi
tempi.
<br />

Non
lo
dico
io
ma
il
Tribunale
di
Grande
Istanza
di
Parigi
<br />

in
una
bella
decisione
di
qualche
mese
fa 20.

<br />

Se
poi
l'obiettivo
è
censurare
la
libertà
di
manifestazione
<br />

del
 pensiero
 di
 chiunque
 abbia
 una
 posizione
 diversa
 d<strong>alla</strong>
<br />

propria…allora,
evidentemente,
è
un'altra
storia…
<br />


<br />

Cancellate
Maradona!
<br />

Internet
Magazine
<br />

Dicembre
2008
<br />


<br />

I
 fans
 argentini
 di
 Diego
 Armando
 Maradona
 che
 negli
<br />

ultimi
 giorni
 hanno
 cercato
 notizie
 sul
 pibe
 de
 oro
 attraverso
<br />

Google
e
Yahoo
saranno
rimasti
delusi.
<br />

La
 <strong>version</strong>e
 argentina
 di
 Big
 Y,
 infatti,
 restituisce
 quale
<br />

risultato
di
ogni
ricerca
che
contenga
il
nome
dell’idolo
di
milioni
<br />

di
 appassionati
 di
 calcio
 di
 tutto
 il
 mondo
 un
 avviso
 in
 spagnolo
<br />

























































<br />

nel
 2004
 la
 Procura
 della
 Repubblica
 di
 Firenze
 ha
 aperto
 un’inchiesta
 e
 per
 la
<br />

quale
ci
sono
già
stati
una
condanna
e
alcuni
rinvii
a
giudizio.
<br />

19 
 Il
 post
 di
 Pietro
 Folena
 del
 20
 febbraio
 2008
 è
 pubblicato
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.pietrofolena.net/blog/?p=331
<br />

20 
 Il
 testo
 integrale
 della
 decisione
 è
 pubblicato
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=980
<br />

32




<br />

che
 informa
 gli
 utenti
 della
 circostanza
 che
 in
 esecuzione
 di
 un
<br />

ordine
 dell’Autorità
 giudiziaria
 l’indicizzazione
 di
 tutte
 le
 pagine
<br />

contenenti
 un
 riferimento
 all’attuale
 CT
 della
 nazionale
 è
 stata
<br />

sospesa.
<br />

Big
G,
invece,
delude
meno
le
aspettative
dei
propri
utenti
<br />

ma
non
può
dirsi
che
si
mostri
capace
di
soddisfarle
pienamente:
<br />

ogni
 ricerca
 contenente
 “Diego
 Armando
 Maradona”,
 infatti,
<br />

restituisce
un
numero
di
risultati
sensibilmente
inferiore
a
quello
<br />

che
si
otteneva
attraverso
la
stessa
ricerca
solo
qualche
settimana
<br />

fa.
<br />

La
stessa
sorte,
peraltro,
è
toccata,
a
milioni
di
fans
di
oltre
<br />

un
centinaio
di
bellissime
top
models
argentine.
<br />

Anche
 loro,
 a
 caccia
 di
 informazioni,
 video
 ed
 immagini
<br />

che
dessero
corpo
–
un
corpo!
‐
ai
loro
più
segreti
desideri,
sono
<br />

rimasti
 delusi:
 Yahoo
 implacabilmente
 restituisce
 lo
 stesso
<br />

messaggio
 mentre
 Google
 apre
 ai
 propri
 utenti
 le
 porte
 ad
 un
<br />

numero
di
siti
sensibilmente
inferiore
rispetto
a
quello
di
ieri.
<br />

Cosa
sta
accadendo
nel
Paese
del
Tango?
<br />

La
 risposta
 è
 tanto
 semplice
 quanto
 disarmante
 e
<br />

preoccupante
per
il
futuro
della
<strong>Rete</strong>.
<br />

Nei
mesi
scorsi
Diego
Armando
Maradona,
decine
e
decine
<br />

di
Top
models
e
personaggi
famosi
e,
persino,
un
Giudice
argentino
<br />

‐
 María
 Servini
 de
 Cubría
 –
 hanno
 citato
 in
 giudizio
 i
 due
 più
<br />

popolari
 motori
 di
 ricerca
 del
 mondo
 ritenendoli
 responsabili
 di
<br />

contribuire
<strong>alla</strong>
violazione
dei
propri
diritti
al
nome,
all’immagine
<br />

o
 <strong>alla</strong>
 reputazione
 indicizzando
 milioni
 di
 pagine
 nelle
 quali
<br />

sarebbero
 ospitati
 contenuti
 diffamatori
 nei
 loro
 confronti
 o,
<br />

piuttosto,
 pubblicate
 loro
 foto
 senza
 autorizzazione
 o
 in
<br />

associazione
a
materiale
pornografico.
<br />

L’avvocato
 delle
 stars
 ‐
 Martin
 Leguizamon
 Peña
 –
 ha
<br />

chiesto,
 nell’interesse
 dei
 suoi
 assistiti,
 la
 condanna
 di
 Yahoo
 e
<br />

Google
al
pagamento
di
un
risarcimento
del
danno
quantificato
tra
<br />

i
 30
 ed
 i
 121
 mila
 dollari
 per
 ogni
 VIP
 rappresentato
 nonché
 di
<br />

ordinare
 ai
 due
 search
 engines
 di
 sospendere
 immediatamente
<br />

l’indicizzazione
 di
 tutte
 le
 pagine
 internet
 contenenti
 i
 nomi
 dei
<br />

propri
 clienti
 in
 associazione
 a
 contenuti
 suscettibili
 di
 ledere
 i
<br />

loro
diritti.
<br />

I
 giudici
 argentini
 hanno
 accolto
 la
 domanda
 cautelare
<br />

ingiungendo
ai
due
popolari
motori
di
ricerca
di
sospendere
senza
<br />

ritardo
 l’indicizzazione
 di
 tutte
 le
 pagine
 suscettibili
 di
 ledere
 i
<br />

diritti
 dei
 ricorrenti
 mentre
 decideranno
 nei
 prossimi
 mesi
 in
<br />

ordine
<strong>alla</strong>
richiesta
risarcitoria.
<br />

A
 seguito
 del
 provvedimento
 Yahoo
 ritenendo
 troppo
<br />

oneroso
e
di
incerto
risultato
procedere
<strong>alla</strong>
selezione
delle
pagine
<br />

da
 non
 indicizzare
 <strong>alla</strong>
 stregua
 dei
 criteri
 indicati
 nell’Ordinanza
<br />

33




<br />

dei
 Giudici
 ha
 optato
 per
 la
 sospensione
 generalizzata
<br />

dell’indicizzazione
 di
 tutte
 le
 pagine
 contenenti
 i
 nomi
 dei
<br />

ricorrenti
mentre
Google
si
è
dichiarato
disponibile
a
rimuovere
–
<br />

come
 poi
 puntualmente
 accaduto
 –
 solo
 le
 pagine
 di
 contenuto
<br />

illecito
che
gli
fossero
state
individualmente
segnalate.
<br />

Il
provvedimento
ha
cambiato,
in
poche
ore,
il
“volto”
della
<br />

<strong>Rete</strong>
argentina.
<br />

Milioni
 e
 milioni
 di
 pagine
 web
 sono
 state
 rese
<br />

irragiungibili
 senza,
 in
 molti
 casi,
 che
 i
 loro
 autori
 avessero
<br />

qualsivoglia
 responsabilità
 se
 non
 quella
 di
 aver
 utilizzato
 –
<br />

magari
 nel
 raccontare
 fatti
 di
 cronaca
 connessi
 a
 popolari
<br />

personaggi
del
mondo
dello
sport
o
dello
spettacolo
–
i
nomi
dei
<br />

ricorrenti
 nel
 procedimento
 che
 ha
 dato
 origine
 al
 terremoto
 e,
<br />

soprattutto,
senza
che
nessuno
si
sia
preso
la
briga
di
informarli
di
<br />

quanto
stava
per
accadere.
<br />

Analoga
 sorte
 è
 toccata
 ad
 una
 interminabile
 lista
 di
<br />

soggetti
che
dopo
aver
ritenuto
per
una
vita
di
esser
fortunati
nel
<br />

portare
lo
stesso
nome
di
una
star
hanno
dovuto
ricredersi.
<br />

Secondo
 un
 copione
 già
 visto
 negli
 Stati
 Uniti
 d’America
<br />

dopo
 l’11
 settembre
 allorquando
 le
 Autorità
 predisposero
 e
<br />

diffusero
 una
 black
 list
 di
 nominativi
 di
 soggetti
 non
 graditi
 a
<br />

bordo
degli
aeromobili
lasciando
così
a
piedi
decine
di
migliaia
di
<br />

persone
ree
solo
di
portare
lo
stesso
nome
di
qualcuno
indicato
in
<br />

tale
 lista,
 anche
 in
 Argentina,
 in
 queste
 ore,
 blog,
 forum,
 pagine
<br />

personali
 e
 siti
 internet
 relativi
 agli
 omonimi
 delle
 stars
 si
<br />

ritrovano
 incolpevolmente
 oscurati
 e,
 così,
 privati,
 d<strong>alla</strong>
 sera
 <strong>alla</strong>
<br />

mattina
dell’esercizio
di
quello
che
si
è
ormai
affermato
come
un
<br />

nuovo
 diritto
 fondamentale
 dell’uomo
 e
 del
 cittadino:
 il
 diritto
<br />

all’uso
 delle
 tecnologie
 informatiche
 e
 telematiche
 per
 la
<br />

manifestazione
del
proprio
pensiero.
<br />

Ce
 n’è
 già
 abbastanza
 per
 far
 riecheggiare,
 ancora
 una
<br />

volta,
 nel
 web
 un’espressione
 che,
 sfortunatamente,
 ricorre
 con
<br />

frequenza
 sempre
 maggiore
 ed
 in
 maniera
 direttamente
<br />

proporzionale
all’affermazione
di
Internet
quale
nuovo
strumento
<br />

di
circolazione
delle
idee
e
del
sapere:
censura.
<br />

Ma,
 in
 questo
 caso
 –
 come
 d’altra
 parte
 in
 molte
 altre
<br />

ipotesi
di
censura
on‐line
con
le
quali
ci
si
è
confrontati
negli
ultimi
<br />

mesi
–
c’è
di
più.
<br />

L’iniziativa
 di
 Diego
 Armando
 Maradona
 e
 dei
 suoi
 cento
<br />

compagni
 e
 compagne
 di
 avventura,
 nonostante
 il
 successo
<br />

ottenuto
in
Tribunale,
si
è
rivelata
priva
di
qualsivoglia
efficacia
sul
<br />

web
 poiché
 le
 pagine
 web
 censurate
 nel
 Paese
 del
 Tango
 sono
<br />

regolarmente
 indicizzate
 dalle
 <strong>version</strong>i
 straniere
 degli
 stessi
<br />

motori
 di
 ricerca
 non
 avendo
 potuto,
 evidentemente,
 i
 Giudici
<br />

34




<br />

argentini
 spingersi
 ad
 ordinare
 a
 Google
 e
 Yahoo
 di
 restringere
<br />

anche
i
servizi
erogati
in
nazioni
diverse.
<br />

Gli
stessi
utenti
argentini,
pertanto,
possono
serenamente
<br />

continuare
 ad
 accedere
 ai
 contenuti
 “proibiti”
 semplicemente
<br />

utilizzando
 una
 diversa
 nazionalizzazione
 –
 addirittura
 in
<br />

spagnolo
‐
delle
pagine
di
ricerca
dei
due
popolari
motori:
quella
<br />

spagnola
o
quella
messicana
ad
esempio.
<br />

L’ordinamento
 argentino,
 a
 differenza
 di
 quello
<br />

Statunitense
 e
 di
 quello
 europeo,
 non
 ha
 ancora
 preso
 posizione
<br />

sull’annosa
questione
della
responsabilità
degli
intermediari
della
<br />

comunicazione
–
non
solo
i
motori
di
ricerca
ma
anche
gli
ISP,
gli
<br />

UGC
o
i
fornitori
di
hosting
–
in
relazione
ai
contenuti
immessi
in
<br />

<strong>Rete</strong>
 dagli
 utenti
 e,
 molti
 commentatori
 hanno
 attribuito
 a
 tale
<br />

circostanza
l’anacronistico
provvedimento
delle
scorse
settimane.
<br />

Si
 sbaglierebbe,
 tuttavia,
 a
 bollare
 l’episodio
 come
 una
<br />

storia
di
Paesi
lontani.
<br />

La
responsabilità
degli
intermediari,
infatti,
nonostante
la
<br />

disciplina
 della
 materia
 dettata
 in
 Europa
 sin
 dal
 2000
 con
 la
<br />

Direttiva
31
sul
commercio
elettronico
che
ha,
di
fatto,
escluso
la
<br />

configurabilità
 di
 una
 simile
 responsabilità,
 continua
 ad
 essere,
<br />

anche
 nell’Internet
 Europea,
 una
 questione
 di
 grande
 attualità
 e
<br />

lontana
dal
potersi
considerare
definitivamente
risolta.
<br />

Basti
 pensare
 –
 attraversando
 appunto
 l’oceano
 ed
<br />

attraccando
 proprio
 in
 Italia
 –
 <strong>alla</strong>
 recente
 vicenda
 che
 ha
 visto
<br />

coinvolta
la
Baia
Pirata
(Thepiratebay.org),
il
più
grande
motore
di
<br />

ricerca
del
mondo
di
risorse
Torrent.
<br />

Come
 ricorderanno
 i
 lettori
 più
 assidui
 di
 questa
 rivista,
<br />

l’estate
 scorsa
 il
 sito
 è
 stato
 posto
 sotto
 sequestro
 per
 ordine
<br />

dell’autorità
giudiziaria
italiana
in
quanto
i
gestori
del
sito
erano
–
<br />

e
sono
tuttora
considerato
che
il
procedimento
è
ancora
pendente
<br />

–
 accusati
 di
 aver
 contribuito
 <strong>alla</strong>
 violazione
 dei
 diritti
 d’autore
<br />

posta
 in
 essere
 dagli
 utenti
 indicizzando
 files
 torrent
 relativi
 ad
<br />

opere
protette
da
altrui
proprietà
intellettuale.
<br />

La
 questione
 di
 diritto
 è
 sostanzialmente
 la
 stessa
 che
<br />

viene
in
rilievo
nella
vicenda
argentina:
un
motore
di
ricerca
può
<br />

essere
 ritenuto
 responsabile
 delle
 violazioni
 poste
 in
 essere
<br />

attraverso
la
pubblicazione
delle
risorse
che
esso
indicizza?
<br />

Se
 la
 risposta
 <strong>alla</strong>
 domanda
 dovesse
 essere
 positiva
 è
<br />

evidente
 che
 occorrerà
 ripensare
 le
 dinamiche
 della
 <strong>Rete</strong>
 che
<br />

conosciamo.
<br />

Come
 dimostra,
 infatti,
 la
 posizione
 assunta
 da
 Yahoo
 –
<br />

uno
 dei
 due
 più
 grandi
 motori
 di
 ricerca
 del
 mondo
 –
 non
 vi
 è
<br />

nessun
 soggetto,
 per
 quanto
 ricco
 e
 potente,
 disponibile
 ad
<br />

assumersi
 una
 responsabilità
 –
 peraltro
 difficile
 da
 prevedere
 in
<br />

termini
economici
o
di
conseguenze
penali
–
che
sia
disponibile
a
<br />

35




<br />

farsi
 carico
 delle
 violazioni
 poste
 in
 essere
 dai
 propri
 utenti
<br />

attraverso
la
pubblicazione
di
taluni
contenuti.
<br />

Yahoo,
 ricevuta
 la
 notifica
 del
 provvedimento
 ‐
 presa
<br />

coscienza
 del
 fatto
 che
 ben
 difficilmente
 avrebbe
 potuto
<br />

uniformarsi
 puntualmente
 all’ordine
 rivoltogli
 dal
 giudice
 di
<br />

sospendere
 l’indicizzazione
 delle
 pagine
 suscettibili
 di
 violare
 i
<br />

diritti
 del
 pibe
 de
 oro
 e
 degli
 altri
 ricorrenti
 –
 ha
 preso
 l’unica
<br />

scorciatoia
che
aveva
davanti
a
sé:
bloccare
in
modo
generalizzato
<br />

l’indicizzazione
di
milioni
di
pagine
solo
perché
contenenti
talune
<br />

espressioni.
<br />

Questo,
 tuttavia,
 è
 l’atteggiamento
 del
 padrone
<br />

dell’informazione
e
non
di
un
“semplice”
intermediario.
<br />

Nonostante
 il
 diverso
 atteggiamento
 tenuto
 da
 Google
<br />

nella
 vicenda,
 occorre,
 però,
 tener
 presente
 che
 se
 si
 proseguirà
<br />

nella
 diffusa
 convinzione
 di
 ritenere
 gli
 intermediari
 della
<br />

comunicazione
 responsabili
 dei
 contenuti
 immessi
 in
 <strong>Rete</strong>
 dagli
<br />

utenti,
la
scelta
di
Yahoo
rischia
di
divenire
la
regola:
soggetti
con
<br />

le
spalle
più
strette
di
quelle
di
Big
G
come
ce
ne
sono
tanti
in
<strong>Rete</strong>,
<br />

infatti,
dinanzi
al
rischio
di
vedersi
condannare
a
risarcimenti
a
sei
<br />

o
 nove
 zeri
 non
 hanno
 altra
 possibilità
 che
 quella
 di
 sacrificare
 i
<br />

diritti
degli
utenti
a
tutela
del
“censore”
di
turno.
<br />

Anche
 i
 più
 grandi,
 peraltro,
 prima
 o
 poi
 potrebbero
<br />

cedere
–
come
dimostra,
ancora
una
volta,
la
scelta
di
Yahoo
–
<strong>alla</strong>
<br />

tentazione
di
trasformarsi
nel
“braccio
armato”
dei
censori
pur
di
<br />

sottrarsi
 alle
 responsabilità
 che
 in
 caso
 contrario
 ricadrebbero
<br />

sulle
loro
tasche.
<br />

Cosa
 accadrebbe
 se
 Google
 uscisse
 sconfitta
 d<strong>alla</strong>
<br />

anacronistica
 iniziativa
 giudiziaria
 promossa
 nei
 suoi
 confronti
<br />

d<strong>alla</strong>
Mediaset
che
ha
richiesto
la
cifra
astronomica
di
500
milioni
<br />

di
euro
a
fronte
della
diffusione
di
poco
più
di
tremila
frammenti
<br />

delle
proprie
trasmissioni
televisive
e
cosa
accadrebbe
se
lo
stesso
<br />

Google
dovesse
uscire
sconfitto
dal
giudizio
penale
nell’ambito
del
<br />

quale
 la
 Procura
 di
 Milano
 si
 è
 spinta
 a
 configurare
 una
<br />

responsabilità
dei
dirigenti
di
Big
G
per
non
aver
impedito
che
un
<br />

giovane
utente
immettesse
in
<strong>Rete</strong>
la
poco
edificante
sequenza
di
<br />

immagini
del
bambino
down
torinese
ignobilmente
sbeffeggiato
da
<br />

compagni
in
relazione
ai
quali,
evidentemente,
la
famiglia
prima
e
<br />

la
scuola
poi
avevano
fallito
la
propria
missione
di
formazione
ed
<br />

educazione?
<br />

Possiamo
 davvero
 sperare
 che
 in
 tali
 eventualità
 la
 <strong>Rete</strong>
<br />

che
conosciamo
resterebbe
eguale
a
se
stessa?
<br />

Temo
 di
 no
 e
 la
 differenza
 non
 sarebbe
 rappresentata
<br />

come
ingenuamente
si
potrebbe
ipotizzare
solo
d<strong>alla</strong>
scomparsa
di
<br />

Google
 dall’universo
 telematico
 perché
 prima
 del
 gigante
<br />

36




<br />

cadrebbe,
 inesorabilmente,
 l’esercito
 di
 UGC
 ed
 intermediari
 più
<br />

piccoli
sui
quali
riposa
l’infrastruttura
della
<strong>Rete</strong>
che
conosciamo.
<br />


<br />

37




<br />

2.
Copyright
in
the
Net.
<br />

Un
popolo
di
pirati?
<br />

La
proprietà
intellettuale
e
l’acqua
minerale
<br />

Relazione
all’Innovation
Forum
<br />

Milano,
Marzo
2008
<br />


<br />

Il
 nostro
 Paese
 e,
 più
 in
 generale,
 l’Unione
 Europea
<br />

stentano
 ad
 entrare
 nella
 Società
 dell’informazione
 o
 nell’Era
<br />

dell’Accesso,
per
dirla
con
le
parole
di
Jeremy
Rifkin 21.
<br />


 I
 motivi
 che,
 a
 distanza
 di
 oltre
 dieci
 anni
 da
 quando
<br />

Nicholas
 Negroponte
 teorizzava
 il
 passaggio
 dagli
 atomi
 ai
 bit 22,
<br />

continuano
 a
 frenare
 un
 processo
 da
 più
 parti
 descritto
 come
<br />

inarrestabile,
sono
molteplici
e
connessi
a
fattori
diversi
e
difficili
<br />

da
 ricondurre
 ad
 unitatem:
 un
 innegabile
 ritardo
 in
 termini
 di
<br />

diffusione
della
cultura
digitale
con
conseguenti
alte
percentuali
di
<br />

analfabetizzazione
 informatica
 in
 tutti
 i
 Paesi
 dell’Unione,
 una
<br />

scarsa
 e,
 soprattutto,
 irregolare
 diffusione
 della
 banda
 larga
 con
<br />

conseguenti
 gravi
 difficoltà
 di
 accesso
 alle
 risorse
 informatiche
 e
<br />

telematiche
da
parte
di
ampie
fasce
della
popolazione,
un
quadro
<br />

normativo
in
materia
di
commercio
elettronico
e
distribuzione
dei
<br />

contenuti
 digitali
 on‐line
 sviluppatosi
 in
 modo
 confuso
 ed
<br />

irregolare
 e
 caratterizzato
 da
 continue
 tensioni,
 ordini
 e
<br />

contrordini.
<br />

A
 tutto
 ciò
 occorre,
 inoltre,
 aggiungere
 –
 ed
 è
 forse
 la
<br />

ragione
 principale
 di
 tale
 preoccupante
 situazione
 –
 l’evidente
<br />

forte
 resistenza
 da
 parte
 dei
 tradizionali
 intermediari
 nella
<br />

produzione
 e
 distribuzione
 dei
 contenuti
 a
 modificare
 i
 propri
<br />

modelli
di
business
che
hanno
sin
qui
consentito
l’affermazione
ed
<br />

il
 consolidamento
 di
 enormi
 oligopoli
 difficili
 da
 erodere
 o
<br />

abbattere.
<br />


 Major
 dell’audiovisivo,
 interpreti
 e
 rockstar
 di
 grido,
<br />

società
di
intermediazione
dei
diritti
ed
associazioni
di
categoria,
<br />

infatti,
 difendono
 da
 anni
 l’assetto
 di
 mercato
 preesistente
 <strong>alla</strong>
<br />

rivoluzione
digitale
utilizzando
ogni
strada
e
strumento
–
di
natura
<br />

tecnica
 o
 piuttosto
 normativa
 –
 nel
 tentativo
 di
 arginare
<br />

l’affermarsi
 delle
 nuove
 dinamiche
 di
 distribuzione
 dei
 contenuti
<br />

digitali,
confermando
così,
come
ricorda
Lawrence
Lessig 23
il
noto
<br />

brocardo
macchiavellico
secondo
il
quale:

<br />


<br />

























































<br />

21 
J.
RIFKIN,
L’Era
dell’accesso,
Traduzione
di
P.
Canton,
Mondadori,
2003
<br />

22 
N.
NEGROPONTE,
Being
Digital,
Sperling&
Kupfer,
1995
<br />

23 
L.
LESSIG,
The
future
of
ideas,
Vintage,
2002
<br />

38




<br />

“non
 è
 cosa
 più
 difficile
 a
 trattare
 né
 più
 dubbia
 a
 riuscire,
 né
 più
<br />

pericolosa
 a
 maneggiare,
 che
 farsi
 capo
 a
 introdurre
 nuovi
 ordini;
<br />

perché
 lo
 introduttore
 ha
 per
 nimici
 tutti
 quelli
 che
 delli
 ordini
<br />

vecchi
fanno
bene
ed
ha
tepidi
difensori
tutti
quelli
che
delli
ordini
<br />

nuovi
 farebbero
 bene.
 La
 quale
 tepidezza
 nasce
 parte
 per
 paura
<br />

degli
 avversarii,
 che
 hanno
 le
 leggi
 dal
 canto
 loro,
 parte
 d<strong>alla</strong>
<br />

incredulità
degli
uomini;
e
quali
non
credano
in
verità
le
cose
nuove
<br />

se
 non
 ne
 veggano
 nata
 una
 ferma
 esperienza.”.
 (Il
 Principe,
 N.
<br />

Macchiavelli,
Capitolo
VI).
<br />


 
<br />

Si
tratta,
tuttavia,
per
dirla
con
le
parole
del
Cervantes,
di
<br />

una
evidente
battaglia
contro
i
mulini
al
vento:
<br />


<br />


 "Ed
 ecco
 intanto
 scoprirsi
 da
 trenta
 o
 quaranta
 mulini
 da
<br />

vento,
 che
 si
 trovavano
 in
 quella
 campagna;
 e
 tosto
 che
 don
<br />

Chisciotte
li
vide,
disse
al
suo
scudiere:
«La
fortuna
va
guidando
le
<br />

cose
nostre
meglio
che
noi
non
oseremmo
desiderare.
Vedi
là,
amico
<br />

Sancio,
come
si
vengono
manifestando
trenta,
o
poco
più
smisurati
<br />

giganti?
 Io
 penso
 di
 azzuffarmi
 con
 essi,
 e
 levandoli
 di
 vita
<br />

cominciare
 ad
 arricchirmi
 colle
 loro
 spoglie;
 perciocché
 questa
 è
<br />

guerra
 onorata,
 ed
 è
 un
 servire
 Iddio
 il
 togliere
 d<strong>alla</strong>
 faccia
 della
<br />

terra
sì
trista
semente.
—
Dove,
sono
i
giganti?
disse
Sancio
Pancia.
<br />

—
 Quelli
 che
 vedi
 laggiù,
 rispose
 il
 padrone,
 con
 quelle
 braccia
 sì
<br />

lunghe,
che
taluno
d'essi
le
ha
come
di
due
leghe.
—
Guardi
bene
la
<br />

signoria
vostra,
soggiunse
Sancio,
che
quelli
che
colà
si
discoprono
<br />

non
 sono
 altrimenti
 giganti,
 ma
 mulini
 da
 vento,
 e
 quelle
 che
 le
<br />

paiono
braccia
sono
le
pale
delle
ruote,
che
percosse
dal
vento,
fanno
<br />

girare
la
macina
del
mulino.
—
Ben
si
conosce,
disse
don
Chisciotte,
<br />

che
 non
 sei
 pratico
 di
 avventure;
 quelli
 sono
 giganti,
 e
 se
 ne
 temi,
<br />

fatti
in
disparte
e
mettiti
in
orazione
mentre
io
vado
ad
entrar
con
<br />

essi
 in
 fiera
 e
 disugual
 tenzone.»
 Detto
 questo,
 diede
 de'
 sproni
 a
<br />

Ronzinante,
 senza
 badare
 al
 suo
 scudiere,
 il
 quale
 continuava
 ad
<br />

avvertirlo
che
erano
mulini
da
vento
e
non
giganti,
quelli
che
andava
<br />

ad
assaltare.
Ma
tanto
s'era
egli
fitto
in
capo
che
fossero
giganti,
che
<br />

non
 udiva
 più
 le
 parole
 di
 Sancio,
 né
 per
 avvicinarsi
 arrivava
 a
<br />

discernere
 che
 cosa
 fossero
 realmente;
 anzi
 gridava
 a
 gran
 voce:
<br />

«Non
fuggite,
codarde
e
vili
creature,
che
un
solo
è
il
cavaliere
che
<br />

viene
con
voi
a
battaglia.»
In
questo
levossi
un
po'
di
vento
per
cui
le
<br />

grandi
 pale
 delle
 ruote
 cominciarono
 a
 moversi;
 don
 Chisciotte
<br />

soggiunse:
«Potreste
agitar
più
braccia
del
gigante
Briareo,
che
me
<br />

l'avete
pur
da
pagare.»
Ciò
detto,
e
raccomandandosi
di
tutto
cuore
<br />

<strong>alla</strong>
Dulcinea
sua
signora
affinché
lo
assistesse
in
quello
scontro,
ben
<br />

coperto
colla
rotella,
e
posta
la
lancia
in
resta,
galoppando
quanto
<br />

poteva,
investì
il
primo
mulino
in
cui
si
incontrò
e
diede
della
lancia
<br />

in
una
pala..."
(Don
Chichotte,
M.
Cervantes).
<br />

39




<br />

Tale
 attaccamento
 ad
 un
 contesto
 di
 mercato
 ormai
 non
<br />

più
 attuale
 ed
 i
 goffi
 tentativi
 che,
 a
 più
 riprese,
 la
 catena
 dei
<br />

soggetti
 coinvolti
 nella
 gestione
 ed
 intermediazione
 dei
 diritti
<br />

d’autore
 ha
 posto
 e
 continua
 a
 porre
 in
 essere
 si
 rivelano
<br />

puntualmente
 infruttuosi,
 inidonei
 ad
 affrontare
 il
 problema
 e
<br />

suscettibili,
per
contro,
di
determinare
reazioni
di
segno
opposto
a
<br />

quello
auspicato
ma
pari
intensità.
<br />

La
 storia
 di
 Internet
 insegna,
 infatti,
 che
 ad
 ogni
 “giro
 di
<br />

vite”
 del
 legislatore
 volto
 a
 limitare
 le
 c.d.
 libertà
 digitali
 nel
<br />

tentativo
 di
 continuare
 ad
 assicurare
 ai
 titolari
 dei
 diritti
 di
<br />

proprietà
intellettuale
il
controllo
della
distribuzione
dei
contenuti
<br />

digitali,
 il
 popolo
 della
 <strong>Rete</strong>
 –
 entità
 soprannazionale,
 globale,
<br />

anarchica
 e
 acefala
 ‐
 ha
 spontaneamente
 ‐
 bisognerebbe,
 forse,
<br />

dire,
istintivamente
‐
reagito
sfruttando
la
tecnologia
per
superare
<br />

o,
più
semplicemente,
aggirare
l’ostacolo.
<br />

La
dinamica
della
condivisione
centralizzata
dei
contenuti
<br />

digitali
che
ha,
in
passato,
costituito
la
fortuna
di
Napster
ha,
così,
<br />

progressivamente
 ceduto
 il
 passo
 a
 piattaforme
 di
 condivisione
<br />

con
 struttura
 decentralizzata
 quali
 quelle
 <strong>alla</strong>
 base
 delle
 più
<br />

famose
“etichette”
del
Peer
to
Peer
e,
allorquando,
il
legislatore
si
è
<br />

spinto
a
tentare
di
regolamentare
tale
nuova
forma
di
circolazione
<br />

dei
 contenuti,
 il
 Popolo
 della
 <strong>Rete</strong>
 ha
 nuovamente
 reagito
 dando
<br />

vita
 al
 Peer
 to
 mail
 prima
 ed
 <strong>alla</strong>
 condivisione
 non
 più
 dei
<br />

contenuti
 ma
 semplicemente
 delle
 passwords
 per
 l’accesso
 ad
<br />

enormi
 archivi
 digitali
 costruiti
 negli
 anni
 dai
 singoli
 utenti
 e
<br />

custoditi
 negli
 enormi
 archivi
 di
 rapidshare,
 magaupload
 e
 tanti
<br />

altri.
<br />

Attraverso
 una
 linea
 di
 sviluppo
 pressoché
 parallela,
<br />

frattanto,
 in
 <strong>Rete</strong>
 è
 cresciuta
 la
 tendenza
 ad
 operare
 in
 forma
<br />

anonima
nascondendo
la
propria
identità
dietro
a
nick,
software
di
<br />

anonimyzer,
proxy
e
decine
di
altri
“passamontagna
digitali”.
<br />

La
<strong>Rete</strong>
si
è
così
popolata
di
milioni
di
Sig.
Nessuno
o
Mr.
<br />

Nobody
cui
è
difficile
imputare
condotte,
attribuire
responsabilità
<br />

o,
 più
 semplicemente,
 ricondurre
 conseguenze
 giuridiche
 di
<br />

qualsivoglia
natura.
<br />

Il
 desiderio
 di
 accesso
 al
 patrimonio
 culturale
 digitale
 di
<br />

milioni
di
utenti
e
la
loro
esigenza
di
trasformarsi
da
meri
fruitori
<br />

di
opere
dell’ingegno
in
creatori
di
tali
opere,
contestualmente,
è
<br />

stato
 soddisfatto
 attraverso
 gli
 UGC
 –
 User
 Generated
 Content
 –
<br />

fornitori
di
contenuti
digitali
provenienti
direttamente
dagli
utenti
<br />

o,
 in
 qualche
 caso
 –
 in
 effetti
 ancora
 raro
 –
 da
 soggetti
 terzi
 che
<br />

hanno
 deciso
 di
 utilizzare
 tali
 piattaforme
 per
 la
 distribuzione
 di
<br />

prodotti
 culturali
 e/o
 informativi
 realizzati
 con
 modalità
<br />

professionali
ed
imprenditoriali.
<br />

40




<br />

Youtube,
 Flickr,
 Google
 Video
 e
 decine
 di
 altre
 analoghe
<br />

piattaforme
 hanno,
 così,
 iniziato
 a
 rendere
 accessibili
 contenuti
<br />

digitali
 sino
 a
 ieri
 distribuiti
 esclusivamente
 attraverso
 i
 canali
<br />

tradizionali
controllati
dai
titolari
dei
diritti.
<br />

Quello
 attuale
 è,
 dunque,
 un
 contesto
 di
 mercato
<br />

completamente
 trasformato
 e
 ridisegnato
 rispetto
 a
 quello
 che
<br />

solo
dieci
anni
fa
si
proponeva
all’osservazione
dell’interprete,
del
<br />

legislatore
e
più
in
generale
dell’operatore
del
diritto,
ispirando
i
<br />

primi
 interventi
 comunitari
 in
 materia
 di
 diritto
 d’autore
 nella
<br />

società
dell’informazione.
<br />

Nuove
 sono
 le
 condotte
 idonee
 a
 violare
 gli
 altrui
 diritti
<br />

d’autore,
 nuovo
 è
 il
 novero
 di
 quelle
 che
 dovrebbero
 ritenersi
 –
<br />

nonostante
 le
 forti
 resistenze
 che
 sul
 punto
 si
 registrano
 negli
<br />

Ordinamenti
 della
 più
 parte
 dei
 Paesi
 ‐
 le
 “libere
 utilizzazioni”,
<br />

nuovi
 sono
 i
 possibili
 modelli
 di
 business
 cui
 i
 titolari
 dei
 diritti
<br />

potrebbero
 ispirarsi
 nella
 distribuzione
 dei
 contenuti
 digitali
 e
<br />

nuove,
 infine,
 sono
 le
 soluzioni
 tecnico‐giuridiche
 cui
 potrebbe
<br />

farsi
 ricorso
 per
 disciplinare
 i
 rapporti
 tra
 autori,
 produttori,
<br />

distributori
e
consumatori
di
cultura
digitale.
<br />


<br />

L’ingresso
 del
 sistema
 Paese
 nell’era
 dell’accesso
 rende,
<br />

pertanto,
 urgente
 individuare
 nuove
 posizioni
 di
 equilibrio
 nei
<br />

rapporti
 tra
 i
 titolari
 dei
 diritti
 d’autore
 ed
 i
 consumatori
 di
<br />

contenuti
digitali.
<br />

Contrariamente
 a
 quanto
 talvolta
 sostenuto,
 peraltro,
<br />

proprio
la
progressiva
smaterializzazione
del
patrimonio
culturale
<br />

globale
 e
 la
 conseguente
 moltiplicazione
 delle
 possibilità
 e
<br />

modalità
 di
 accesso
 a
 tale
 patrimonio
 da
 parte
 di
 un
 pubblico
 di
<br />

consumatori
 milioni
 di
 volte
 più
 ampio
 rispetto
 a
 quello
 di
 ieri,
<br />

impone
di
guardare
al
diritto
d’autore
nei
Paesi
di
civil
law
ed
al
<br />

copyright
in
quelli
di
common
law
come
l’indiscusso
protagonista
<br />

della
nuova
era.
<br />

Occorre,
dunque,
ridisegnare
il
rapporto
tra
i
contrapposti
<br />

diritti
 ed
 interessi
 senza,
 tuttavia,
 tradire
 spirito
 e
 filosofia
 della
<br />

disciplina
 in
 materia
 di
 proprietà
 intellettuale:
 incentivare
 la
<br />

produzione
culturale,
massimizzare
la
circolazione
delle
creazioni
<br />

intellettuali
e
garantire
un
equo
compenso
a
quanti
contribuiscono
<br />

a
produrre
cultura,
ponendola
a
disposizione
della
collettività.
<br />

In
tale
sforzo
è
importante
–
e
si
tratta
di
un
aspetto
da
più
<br />

parti
perso
di
vista
–
che
il
processo
avvenga
nel
rispetto
degli
altri
<br />

diritti
 fondamentali
 dell’uomo
 di
 dignità
 almeno
 eguale
 se
 non
<br />

superiore
a
quelli
d’autore.
<br />

Penso
al
diritto
all’informazione,
a
quello
all’educazione
ed
<br />

<strong>alla</strong>
ricerca
scientifica
o,
piuttosto,
a
quello
<strong>alla</strong>
privacy.
<br />

41




<br />

Taluni
 recenti
 episodi
 evidenziano,
 per
 contro,
 come
 di
<br />

frequente
 negli
 ultimi
 anni
 si
 sono
 inopinatamente
 collocati
 i
<br />

diritti
 di
 proprietà
 intellettuale
 in
 una
 pozione
 sovra‐ordinata
<br />

rispetto
agli
altri
citati
diritti
in
nome
di
un’epidermica
esigenza
di
<br />

controbilanciare
 l’aggressione
 che
 le
 nuove
 tecnologie
 stavano
<br />

portando
agli
interessi
di
editori,
produttori
ed
autori.
<br />

Esemplificativa
del
momento
di
particolare
tensione
che
si
<br />

registra
in
relazione
all’esigenza
di
contemperare
la
protezione
e
<br />

l’enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
con
il
diritto
<strong>alla</strong>
<br />

privacy
 è
 la
 questione
 che
 ha,
 di
 recente,
 formato
 oggetto
 di
<br />

numerose
 pronunzie
 da
 parte
 della
 Corte
 di
 Giustizia
 UE,
 della
<br />

Corte
 Costituzionale
 tedesca,
 delle
 Autorità
 Garanti
 per
 la
<br />

riservatezza
 italiana
 e
 svizzera
 nonché
 di
 numerosi
 Giudici
<br />

nazionali.

<br />

Si
 tratta,
 peraltro,
 della
 medesima
 questione
 al
 centro
 di
<br />

ampio
dibattito
in
sede
Europea
nell’ambito
dei
lavori
preparatori
<br />

della
Direttiva
UE
c.d.
IPRED
2.
<br />


Tale
 questione
 concerne
 la
 possibilità
 per
 i
 titolari
 dei
<br />

diritti
d’autore
di
investigare
privatamente
su
eventuali
violazioni
<br />

dei
 propri
 diritti,
 acquisendo
 e
 trattando
 enormi
 quantitativi
 di
<br />

dati
personali
degli
utenti.
<br />

Dopo
un
primo
momento
di
apparente
incertezza,
oggi,
la
<br />

Corte
 di
 Giustizia
 dell’Unione
 Europea
 nel
 caso
 Promusicae
 vs.
<br />

Telefonica
de
Espana
SAU,
la
Corte
Costituzionale
tedesca
nonché
i
<br />

Garanti
 per
 la
 privacy
 italiano
 e
 svizzero
 nel
 caso
 Peppermint‐<br />

Logistep,
sembrano
allineate
nel
ritenere
che
l’esigenza
di
tutelare
<br />

i
 diritti
 di
 proprietà
 intellettuale
 non
 giustifichi
 operazioni
 di
<br />

trattamento
 di
 dati
 personali
 di
 massa
 quali
 quelle
 necessarie
 al
<br />

monitoraggio
dell’attività
di
utenti
e
consumatori
nell’ambito
delle
<br />

piattaforme
di
Peer
to
Peer.
<br />

Vi
 è
 poi
 un’altra
 questione
 egualmente
 esemplificativa
<br />

della
 crescente
 contrapposizione
 e
 del
 difficile
 contemperamento
<br />

tra
l’esercizio
dei
diritti
d’autore
nella
società
dell’informazione
ed
<br />

il
rispetto
degli
altri
diritti
fondamentali:
ci
si
riferisce
all’idea
che
<br />

attraversa
 –
 sebbene
 con
 sfumature
 diverse
 –
 l’intera
 Unione
<br />

Europea
 di
 filtrare
 i
 contenuti
 digitali
 protetti
 da
 diritto
 d’autore
<br />

<strong>alla</strong>
fonte
così
da
precludere
agli
utenti
di
accedervi.
<br />


<br />

Si
 tratta
 di
 una
 questione
 particolarmente
 delicata
 in
<br />

quanto
 talune
 declinazioni
 della
 teoria
 del
 filtraggio
 rischiano
 di
<br />

produrre
 gravi
 conseguenze
 sul
 versante
 della
 libertà
 di
<br />

espressione
e
di
condivisione
di
pensieri,
parole
ed
opinioni.
<br />

Le
 tecniche
 di
 filtraggio
 sin
 qui
 sviluppate,
 infatti,
 sono
<br />

caratterizzate
 da
 ineliminabili
 margini
 di
 errore
 sempre
 troppo
<br />

rilevanti
 –
 quale
 che
 sia
 la
 percentuale
 di
 riferimento
 –
 se
 si
<br />

42




<br />

considera
che
la
conseguenza
dell’errore
può
essere
costituita
da
<br />

un’inammissibile
compressione
della
libertà
di
manifestazione
del
<br />

pensiero
del
cittadino.
<br />

Tale
 questione
 è
 stata
 di
 recente
 affrontata
 dai
 Giudici
<br />

belgi
 nel
 caso
 Scarlet
 SA
 vs.
 SABEM
 nell’ambito
 del
 quale
 il
<br />

Tribunale
di
Bruxelles
ha
ordinato,
per
la
prima
volta
in
Europa,
ad
<br />

un
 provider
 di
 dotarsi
 di
 dispositivi
 di
 filtraggio
 al
 fine
 di
<br />

precludere
 ai
 propri
 utenti
 di
 effettuare
 download
 ed
 upload
 di
<br />

contenuti
digitali
protetti
da
diritto
d’autore.
<br />

La
 medesima
 tesi
 dell’esigenza
 di
 coinvolgere
 i
 provider
<br />

nella
 lotta
 <strong>alla</strong>
 pirateria
 audiovisiva
 attraverso
 il
 filtraggio
 dei
<br />

contenuti
 degli
 utenti
 è,
 d’altra
 parte,
 al
 centro
 dell’accordo
 di
<br />

recente
raggiunto
tra
il
Governo
francese,
le
major
dell’audiovisivo
<br />

ed
i
provider
sulla
base
dei
lavori
della
Commissione
Olivennes.
<br />

Lo
stesso
conflitto
tra
tutela
del
diritto
d’autore
e
libertà
di
<br />

manifestazione
 del
 pensiero
 è,
 infine,
 al
 centro
 di
 un
 acceso
<br />

dibattito
in
taluni
Paesi
quale,
ad
esempio,
l’Inghilterra
ove
ci
si
è
<br />

spinti
 a
 presentare
 una
 proposta
 di
 legge
 che,
 se
 approvata,
<br />

farebbe
si
che
a
seguito
di
taluni
“avvertimenti”
per
pretese
–
non
<br />

è
 chiaro
 attraverso
 quale
 meccanismo
 potrebbe
 acquisirsene
 la
<br />

certezza
 –
 violazioni
 del
 diritto
 d’autore,
 i
 providers
 dovrebbero
<br />

recedere
unilateralmente
dal
contratto
di
fornitura
di
connettività,
<br />

privando
così
l’utente
della
possibilità
di
accedere
a
tutte
le
risorse
<br />

telematiche.
<br />

Quello
 che
 stiamo
 vivendo
 è,
 dunque,
 un
 momento
 di
<br />

straordinaria
e
nuova
tensione
tra
contrapposti
diritti
ed
interessi.
<br />

E’
forte
il
rischio
che
la
necessaria
ed
indispensabile
tutela
<br />

dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
dia
vita
<strong>alla</strong>
nascita
di
una
pay
<br />

per
use
society
nella
quale
i
cittadini
perderebbero
tale
loro
veste
<br />

ed
 i
 diritti
 fondamentali
 ad
 essa
 ricollegati,
 per
 essere
 piuttosto
<br />

considerati
“semplici”
utenti
e
consumatori
di
contenuti
digitali.
<br />

Ciò
equivarrebbe
a
confondere
il
fine
con
il
mezzo.
<br />

Il
diritto
d’autore
deve,
infatti,
costituire
un
incentivo
<strong>alla</strong>
<br />

produzione
culturale
e,
quest’ultima,
deve
costituire
lo
strumento
<br />

–
 ma
 non
 il
 fine
 –
 per
 lo
 sviluppo,
 l’attuazione
 e
 la
 piena
<br />

realizzazione
 dell’uomo
 e
 del
 cittadino
 quali
 membri
 di
 una
<br />

collettività
oggi
globale.
<br />


<br />


<br />

La
parabola
dell’acqua
minerale.
<br />

Telejus
<br />

Febbraio
2006
<br />


 
<br />

Ci
 sono,
 a
 mio
 avviso,
 forti
 analogie
 tra
 talune
 questioni
<br />

connesse
 all’imbottigliamento
 ed
 <strong>alla</strong>
 distribuzione
 dell’acqua
<br />

43




<br />

minerale
e
le
più
note
ed
attuali
problematiche
legate
all’accesso
ai
<br />

contenuti
 digitali
 nella
 società
 dell’informazione
 e,
 pertanto,
<br />

soffermarsi
 a
 riflettere
 sulle
 prime
 può
 risultare
 illuminante
<br />

nell’individuazione
di
possibili
soluzioni
in
relazione
alle
seconde.
<br />

In
 questo
 ragionamento
 credo
 convenga
 muovere
<br />

dall’analisi
 degli
 elementi
 prima
 di
 addentrarsi
 nell’esame
 delle
<br />

formule
–
in
questo
caso
giuridiche
–
cui
è
affidato
il
sistema
della
<br />

proprietà
 intellettuale
 e
 –
 ma
 l’argomento
 resterà
 sullo
 sfondo
 –
<br />

quello
dell’imbottigliamento
e
distribuzione
delle
acque
minerali.
<br />

L’acqua
 (h2o)
 costituisce
 il
 70
 %
 del
 corpo
 umano
 ed
<br />

occupa
un’analoga
percentuale
dell’intero
Pianeta.

<br />

“L’acqua
è
il
principio
di
tutte
le
cose”
soleva
ripetere
già
<br />

nel
 VI
 secolo
 a.c.
 Talete;
 non
 è
 dunque
 esagerato
 definirla
 un
<br />

elemento
essenziale
della
stessa
esistenza
umana.
<br />

Egualmente,
 ritengo,
 ci
 si
 possa
 trovare
 d’accordo
 nel
<br />

ritenere
 che
 il
 sapere,
 le
 arti
 della
 letteratura,
 della
 musica,
 della
<br />

cinematografia
 e,
 più
 in
 generale
 ogni
 creazione
 dell’ingegno
<br />

costituiscono
 elementi
 altrettanto
 essenziali
 per
 l’esistenza
 e
<br />

l’evoluzione
 culturale,
 scientifica
 e
 tecnologica
 dell’intera
<br />

popolazione
 della
 terra
 e
 ciò,
 soprattutto,
 mentre
 una
 comunità
<br />

globale
 di
 milioni
 di
 persone
 si
 avvia
 ad
 entrare
 nella
 società
<br />

dell’informazione.
<br />

Una
 prima
 analogia
 è,
 dunque,
 rappresentata
 d<strong>alla</strong>
<br />

centralità
che
i
due
elementi
rivestono
nella
vita
dell’uomo.
<br />

Un’altra
importante
analogia,
non
trascurabile
nell’analisi
<br />

del
 fenomeno,
 è
 rappresentata
 d<strong>alla</strong>
 leggerezza,
 neutralità
 e
<br />

trasparenza
di
entrambi
gli
elementi
(acqua
e
cultura)
che
tuttavia,
<br />

stridono
 con
 la
 loro
 forza
 e
 con
 la
 caratteristica
 irruenza
 con
 la
<br />

quale,
 talvolta
 in
 senso
 positivo
 e
 talaltra
 in
 senso
 negativo,
 si
<br />

presentano.
<br />

Basti
 pensare
 all’effetto
 di
 una
 pioggia
 abbondante
 su
 di
<br />

un
campo
arido
ed
<strong>alla</strong>
accessibilità
da
parte
di
una
comunità
sino
<br />

al
 giorno
 prima
 isolata
 di
 una
 piattaforma
 di
 e‐learning
 o,
<br />

piuttosto,
 alle
 conseguenze
 disastrose
 di
 un
 <strong>alla</strong>gamento
 ed
 a
<br />

quelle
 non
 meno
 devastanti
 della
 diffusione
 di
 certe
 ideologie
 in
<br />

talune
epoche
storiche.
<br />

Acqua
 ed
 idee
 possono
 essere
 più
 o
 meno
 nutrienti
<br />

rispettivamente
per
il
corpo
e
per
lo
spirito,
più
o
meno
gustose
e
<br />

avere
 caratteristiche
 differenti
 in
 relazione
 <strong>alla</strong>
 fonte
 da
 cui
<br />

provengono.
<br />

L’acqua
 come
 le
 idee,
 la
 cultura
 e
 le
 arti
 uniscono
 e
<br />

dividono
i
popoli:
rendono
agevoli
gli
incontri
e
gli
scambi
culturali
<br />

ed
economici
o,
piuttosto
li
precludono
innalzando
insormontabili
<br />

barriere.
<br />

44




<br />

Il
possesso
dell’acqua
esattamente
come
il
possesso
delle
<br />

idee
 –
 e
 più
 in
 generale
 del
 patrimonio
 culturale
 ‐
 determina
 la
<br />

ricchezza
 e
 la
 povertà
 di
 un
 popolo
 e
 dà
 luogo
 ad
 insuperabili
<br />

forme
di
sudditanza
e
supremazia.
<br />

Sin
dalle
origini
della
storia
del
mondo
le
civiltà
più
floride
<br />

sorgevano
 su
 terreni
 fertili
 e
 le
 civiltà
 più
 forti
 e
 destinate
 a
<br />

colonizzare
il
mondo
erano
quelle
più
ricche
di
ingegno,
di
arti
e
di
<br />

cultura
oggi,
diremmo,
di
diritti
di
privativa
industriale
e
di
diritti
<br />

d’autore.
<br />

Sin
qui
per
quanto
riguarda
gli
elementi.
<br />

Analogie,
 vicinanze
 concettuali
 e
 comunanza
 di
<br />

problematiche
 sociali,
 culturali
 e
 giuridiche,
 tuttavia,
 divengono
<br />

ancor
più
evidenti
allorquando
l’acqua,
le
idee
e
la
cultura
vengono
<br />

calate
 nella
 realtà
 socio
 economica
 ed
 esaminate
 in
 una
<br />

prospettiva
dinamica.
<br />

Entrambi
 gli
 elementi
 sono,
 infatti,
 presenti
 nell’universo
<br />

in
 quantità
 enormi
 e,
 tuttavia
 ‐
 in
 apparente
 contrasto
 con
 una
<br />

delle
più
semplici
regole
economiche
secondo
cui
ad
un’alta
offerta
<br />

corrisponde
 uno
 scarso
 valore
 del
 bene
 –
 essi
 costituiscono
 beni
<br />

preziosi
 che
 hanno,
 nel
 tempo
 dato
 vita
 a
 mercati
 che
 valgono
<br />

milioni
di
milioni
di
euro.
<br />


 Acqua
 ed
 idee
 pur
 essendo
 a
 portata
 di
 mano
 di
 tutti
<br />

costituiscono
 appannaggio
 esclusivo
 o
 privilegiato
 di
 pochi
 che,
<br />

per
 primi
 –
 o
 più
 degli
 altri
 –
 hanno
 saputo
 sfruttarle
<br />

economicamente
 imbottigliando
 la
 prima
 e
 confezionando
 le
<br />

seconde
in
colorati
contenitori
fisici
e
mediatici.
<br />


 Oggi
grazie
alle
nuove
tecnologie
(digitali
e
telematiche
nel
<br />

caso
delle
idee,
meccaniche
ed
industriali
nel
caso
dell’acqua)
i
due
<br />

mercati
 sono
 divenuti
 globali:
 l’acqua
 Evian
 prodotta
 sulle
<br />

montagne
 francesi
 arriva
 ogni
 giorno
 sulle
 scrivanie
 dei
 ricchi
 e
<br />

dei
potenti
del
continente
asiatico
così
come
di
quello
americano,
i
<br />

brani
 musicali
 delle
 più
 famose
 rockstar
 statunitensi
 al
 pari
 di
<br />

quelli
 del
 più
 piccolo
 complesso
 emergente
 –
 opportunamente
<br />

“impacchettati”
grazie
<strong>alla</strong>
tecnologia
digitale
ed
ai
nuovi
preziosi
<br />

algoritmi
di
compressione
‐
attraversano
gli
oceani
correndo
lungo
<br />

le
 fibre
 ottiche
 ed
 arrivano
 nel
 c.d.
 “tempo
 reale”
 nelle
 case
 di
<br />

ognuno
di
noi.
<br />

Un
 giro
 in
 un
 ipermercato
 ed
 un
 pomeriggio
 in
 un
<br />

megastore
multimediale
convincono
poi
di
un
ulteriore
elemento
<br />

di
particolare
rilievo:
le
caratteristiche
e
la
sostanza
dell’acqua
così
<br />

come
delle
creazioni
dell’ingegno
umano
hanno,
ormai,
lasciato
il
<br />

passo
 <strong>alla</strong>
 forma
 ed
 ai
 colori
 delle
 confezioni
 che
 le
 contengono
<br />

nonché
 alle
 inarrestabili
 campagne
 pubblicitarie
 e
 di
 marketing
<br />

che
ne
precedono
l’immissione
sul
mercato
e
ne
accompagnano
la
<br />

distribuzione.
<br />

45




<br />

Le
analisi
di
mercato
relative
<strong>alla</strong>
distribuzione
delle
acque
<br />

minerali
 così
 come
 quelle
 relative
 <strong>alla</strong>
 distribuzione
 delle
 opere
<br />

dell’ingegno
rivelano,
inoltre,
un
dato
particolarmente
significativo
<br />

e,
 ad
 un
 tempo,
 preoccupante:
 le
 scelte
 dei
 consumatori
 e
 degli
<br />

utenti
sono
sempre
meno
dettate
da
un’effettiva
preferenza
verso
<br />

il
 prodotto
 e
 sempre
 più
 determinate
 dalle
 caratteristiche
 dei
<br />

contenitori
fisici
e
mediatici
utilizzati
per
la
distribuzione.
<br />

Questi
 contenitori
 rappresentano
 per
 i
 produttori
 e
<br />

distributori
 di
 acqua
 minerale
 e
 per
 le
 major
 dell’industria
<br />

audiovisiva,
voci
di
costo
ben
maggiori
rispetto
al
semplice
valore
<br />

del
bene
e/o
dello
sforzo
intellettuale
necessario
a
creare
un’opera
<br />

dell’ingegno.
<br />

In
 tale
 contesto
 può,
 a
 mio
 avviso,
 inquadrarsi
 l’esame
<br />

dell’impatto
 delle
 nuove
 tecnologie
 digitali
 e
 telematiche
 sul
<br />

mercato
 della
 proprietà
 intellettuale,
 in
 questa
 prospettiva
 può
 e
<br />

deve
ricercarsi
una
spiegazione
al
clima
di
enorme
smarrimento
in
<br />

cui
 è
 venuta
 a
 trovarsi
 l’industria
 audiovisiva
 mondiale
 e,
 ad
 un
<br />

tempo,
 seguendo
 tale
 ragionamento
 può
 forse
 pervenirsi
 ad
<br />

individuare
un
nuovo
equilibrio
ed
assetto
giuridico‐economico
di
<br />

un
settore
–
quello
della
proprietà
intellettuale
‐
da
cui
dipende,
in
<br />

gran
parte,
il
futuro
della
società
dell’informazione.
<br />

L’impatto
delle
nuove
tecnologie
digitali
e
telematiche
sul
<br />

mercato
 della
 proprietà
 intellettuale
 rappresenta,
 infatti,
 un
<br />

fenomeno
 analogo
 a
 quello
 che
 verrebbe
 a
 prodursi
 nel
 mercato
<br />

delle
 acque
 minerali
 qualora,
 domani,
 i
 consumatori
 potessero
<br />

ricevere
 –
 attraverso
 le
 condutture
 idriche
 già
 esistenti
 –
<br />

direttamente
 nelle
 loro
 abitazioni
 l’enorme
 varietà
 di
 acque
<br />

minerali
 provenienti
 da
 tutte
 le
 fonti
 del
 mondo,
 oggi
 distribuite
<br />

nei
 supermercati
 ed
 ipermercati
 nelle
 confezioni
 di
 PET,
 PVC,
<br />

cartone
e,
sempre
più
raramente,
vetro.
<br />

E’
facile
prevedere
che
pochi
continuerebbero
a
recarsi
nei
<br />

supermercati
ed
ipermercati
per
acquistare
le
attuali
confezioni
di
<br />

acqua
 minerale
 accollandosi
 gli
 oneri
 economici
 e
 fisici
 a
 ciò
<br />

connessi,
molti
sarebbero
disponibili
a
pagare
prezzi
–
certamente
<br />

più
bassi
e
contenuti
di
quelli
attuali
–
ai
proprietari
delle
diverse
<br />

fonti
e
sorgenti
e,
taluni,
tenterebbero
di
<strong>alla</strong>cciarsi
abusivamente
<br />

a
questa
o
quella
condotta
per
poter
beneficiare
gratuitamente
di
<br />

una
grande
varietà
di
acque
minerali,
sino
al
giorno
prima
pagate
a
<br />

caro
prezzo
o
non
comprate
affatto.
<br />

Non
diversamente
oggi
–
e
sempre
di
più
domani
in
modo
<br />

direttamente
proporzionale
al
diffondersi
delle
tecnologie
digitali
<br />

e
telematiche
presso
fasce
sempre
più
ampie
della
popolazione
–
<br />

taluni
 (secondo
 recenti
 ricerche
 di
 mercato,
 peraltro,
 non
<br />

pochissimi
 ed
 anzi,
 forse,
 più
 di
 ieri)
 continuano
 a
 recarsi
 nei
<br />

megastore
 multimediali
 per
 acquistare
 a
 costi
 inaccessibili
 ai
 più
<br />

46




<br />

supporti
 originali
 contenti
 opere
 dell’ingegno,
 parecchi
 –
<br />

purtroppo
 non
 ancora
 molti
 –
 “scaricano”
 dal
 web
 –
 attraverso
 i
<br />

pochi
 servizi
 a
 ciò
 destinati
 attualmente
 esistenti
 –
 materiale
<br />

audiovisivo
 in
 formato
 digitale
 reso
 disponibile
 a
 costi
 più
<br />

accessibili
e,
qualcuno
–
in
realtà,
forse,
troppi
–
cerca
soluzioni
più
<br />

o
meno
fantasiose
per
sfruttare
le
tecnologie
digitali
e
telematiche
<br />

per
 accedere
 ad
 un
 enorme
 quantità
 di
 opere
 dell’ingegno
<br />

sottraendosi
 dal
 riconoscimento
 ad
 autori,
 produttori
 e
<br />

distributori
di
qualsivoglia
diritto
o
compenso.
<br />

Quale
soluzione,
dunque,
adottare
per
garantire
a
tutte
le
<br />

parti
 interessate
 di
 beneficiare
 delle
 nuove
 straordinarie
<br />

opportunità
 offerte
 dal
 progresso
 tecnologico
 nel
 rispetto
 dei
<br />

diritti
di
ciascuno?
<br />

La
parabola
dell’acqua
suggerisce
di
accantonare
l’idea
di
<br />

frenare
 il
 progresso
 rifiutandosi
 di
 distribuire
 contenuti
 digitali
<br />

attraverso
 le
 nuove
 piattaforme
 telematiche
 solo
 perché,
 così
<br />

facendo,
si
abbatterebbe
il
rischio
che
qualcuno
vi
si
“<strong>alla</strong>cci”
per
<br />

accedervi
abusivamente
e,
ad
un
tempo
consente
di
escludere
che
<br />

sia
 possibile
 pensare
 di
 arginare
 il
 fenomeno
 della
 circolazione
<br />

telematica
semplicemente
innalzando
“dighe”
o
filtri.
<br />

La
 massa
 di
 bit
 che
 trasporta
 il
 patrimonio
 culturale
<br />

digitale
 globale,
 esattamente
 come
 un
 fiume
 in
 piena
 nel
 quale
<br />

confluiscono
 attraverso
 mille
 canali
 tonnellate
 di
 acqua
<br />

provenienti
da
ogni
più
remota
zona
del
globo,
prima
o
poi,
infatti,
<br />

rischierebbe
di
travolgere
gli
argini.
<br />

Entrambe
tali
preoccupazioni,
d’altra
parte,
sono
al
centro
<br />

della
 recente
 Comunicazione
 della
 commissione
 UE
 sui
 contenuti
<br />

digitali
 e
 formano
 oggetto
 –
 come
 si
 è
 anticipato
 –
 di
 ampio
<br />

dibattito
tanto
in
sede
di
Unione
europea
che
presso
i
Governi
dei
<br />

Paesi
membri.
<br />

Non
è
facile
individuare
o
suggerire
soluzioni
in
relazione
<br />

a
 questioni
 complesse
 non
 solo
 per
 la
 rilevanza
 degli
 interessi
<br />

economici
 e
 sociali
 in
 gioco
 ma
 anche
 e
 soprattutto
 perché
<br />

fortemente
 influenzate
 e
 condizionate
 dal
 progresso
 tecnologico
<br />

che
 ne
 ridisegna,
 senza
 sosta,
 ambiti
 e
 termini,
 facendo
 risultare
<br />

vecchie
e
superate
soluzioni
neppure
attuate.
<br />

Le
 strade
 astrattamente
 percorribili
 sono
 numerose
 e
<br />

nessuna
si
presenta
scevra
da
ostacoli
o
possibili
insidie.
<br />

Una
 delle
 soluzioni
 di
 cui
 ultimamente
 si
 discute
 con
<br />

maggior
insistenza
è
l’dea
di
istituire
un
“pedaggio”
per
chiunque
<br />

voglia
percorrere
le
autostrade
dell’informazione
sul
presupposto
<br />

che
 non
 le
 percorra
 a
 mani
 vuote
 ma
 più
 o
 meno
 carico
 di
<br />

contenuti
digitali
protetti
da
diritti
d’autore.
<br />

In
tale
prospettiva,
di
recente
rilanciata
anche
dall’Unione
<br />

Europea,
gli
Internet
Service
Provider
dovrebbero,
probabilmente,

<br />

47




<br />

essere
 chiamati
 a
 svolgere
 il
 ruolo
 di
 “casellanti”
 e,
 quindi,
<br />

incassare
 il
 pedaggio
 da
 far
 poi
 transitare
 –
 attraverso
 un
<br />

meccanismo
tutt’altro
che
semplice
da
disegnare
–
sulle
società
di
<br />

gestione
 ed
 intermediazione
 dei
 diritti
 d’autore
 e,
 quindi,
 sui
<br />

titolari
di
tali
diritti.
<br />

Sotto
un
profilo
giuridico,
rectius
normativo,
si
tratterebbe
<br />

di
 ripercorrere
 una
 strada
 già
 battuta
 allorquando
 –
 agli
 albori
<br />

della
 rivoluzione
 digitale
 –
 si
 è
 posto
 il
 problema
 di
 garantire
 ai
<br />

titolari
dei
diritti
un
equo
indennizzo
per
le
copie
private
per
uso
<br />

personale
che
–
proprio
grazie
alle
nuove
tecnologie
digitali
–
gli
<br />

utenti
 ed
 i
 consumatori
 avrebbero
 tratto
 dagli
 originali
 in
<br />

circolazione.
<br />

In
 quell’occasione
 la
 soluzione
 fu
 quella
 di
 esigere
 dai
<br />

produttori
dei
supporti
di
archiviazione
una
tassa
sul
presupposto
<br />

che
 i
 supporti
 sarebbero
 stati
 utilizzati,
 in
 una
 certa
 misura,
<br />

proprio
 per
 ospitare
 contenuti
 protetti
 da
 diritti
 d’autore
 in
<br />

relazione
 ai
 quali
 –
 complice
 l’eccezione
 per
 la
 “copia
 privata”
<br />

prevista
 negli
 Ordinamenti
 della
 più
 parte
 dei
 Paesi
 membri
 –
 i
<br />

titolari
non
avrebbero,
altrimenti
mai
percepito
alcun
compenso.
<br />

Tale
soluzione
ha,
tuttavia,
ricevuto
un’attuazione
diversa
<br />

ed
eterogenea
nei
Paesi
dell’Unione
Europea
ed
è
tuttoggi
al
centro
<br />

di
un
acceso
dibattito.
<br />

Estendere
 tale
 approccio
 all’utilizzo
 delle
 risorse
<br />

telematiche
significa,
pertanto,
riproporre
problemi
da
tempo
noti
<br />

agli
addetti
ai
lavori
e,
tuttavia,
mai
compiutamente
risolti.
<br />

La
presunzione
di
utilizzo
di
una
risorsa
–
sia
essa
un
CD
o,
<br />

piuttosto,
 la
 connessione
 a
 Internet
 –
 per
 l’utilizzo
 di
 contenuti
<br />

coperti
 da
 diritto
 d’autore
 e
 gestiti
 attraverso
 le
 dinamiche
<br />

tradizionali,
ad
esempio,
costituisce
innegabilmente
una
forzatura
<br />

che,
in
molti
casi,
non
trova
alcun
riscontro
nella
realtà.
<br />

Esistono,
 ormai,
 milioni
 di
 opere
 dell’ingegno
 rese
<br />

disponibili
 on‐line
 in
 relazione
 alle
 quali
 l’utente
 riconosce
 <strong>alla</strong>
<br />

fonte
 il
 corrispettivo
 richiesto
 o,
 comunque,
 viene
 autorizzato
 al
<br />

loro
utilizzo
a
fronte
dell’assunzione
di
obbligazioni
di
natura
non
<br />

pecuniaria.
<br />

In
tutti
questi
casi
è,
ad
esempio,
evidente
che
esigere
un
<br />

corrispettivo
per
l’utilizzo
delle
risorse
di
connetività
o,
piuttosto,
<br />

di
un
CD
rischia
di
tradursi
nell’esazione
di
un
doppio
compenso
<br />

da
 parte
 del
 consumatore
 e
 nella
 percezione
 di
 un
 doppio
<br />

corrispettivo
da
parte
del
titolare
dei
diritti.
<br />

Esistono,
d’altra
parte,
milioni
di
utenti
che
si
connettono
<br />

<strong>alla</strong>
<strong>Rete</strong>
all’unico
scopo
di
accedere
all’enorme
archivio
di
cultura
<br />

digitale
 libera
 reso
 disponibile
 attraverso
 dinamiche
 o
 modelli
 di
<br />

business
innovativi.
<br />

48




<br />

Si
 pensi
 ai
 quotidiani
 on‐line
 finanziati
 interamente
 d<strong>alla</strong>
<br />

pubblicità,
alle
enciclopedie
elettroniche,
alle
piattaforme
di
social
<br />

web
2.0,
ai
forum
di
discussione
o,
piuttosto,
ai
siti
internet
delle
<br />

pubbliche
amministrazioni.
<br />

In
 tale
 contesto
 –
 come
 peraltro
 accade
 già
 oggi
 in
<br />

relazione
 ai
 supporti
 per
 l’archiviazione
 di
 contenuti
 digitali
 –
 la
<br />

presunzione
 di
 utilizzo
 della
 risorsa
 per
 l’esercizio
 di
 diritti
<br />

d’autore
 non
 risulta
 convincente
 e
 rischia
 di
 sperequare
<br />

l’equilibrio
 che
 dovrebbe,
 invece,
 sussistere
 tra
 sforzo
 creativo,
<br />

messa
a
disposizione
della
collettività
dei
risultati
di
tale
sforzo
e
<br />

propria
remunerazione.
<br />

Per
tale
via
si
potrebbe,
in
buona
sostanza,
arrivare
ad
un
<br />

punto
 in
 cui
 l’equo
 compenso
 per
 l’utilizzo
 delle
 risorse
 di
<br />

connettività
 costituirebbe
 uno
 strumento
 di
 finanziamento
 o
<br />

sostentamento
per
l’industria
culturale
cui
quest’ultima
potrebbe
<br />

accedere
a
prescindere
dai
risultati
effettivamente
prodotti
e
posti
<br />

a
disposizione
della
collettività.
<br />

Ciò
frustrerebbe
irreparabile
spirito
e
ratio
della
disciplina
<br />

sul
diritto
d’autore.
<br />

La
cifra
di
oltre
500
milioni
di
Euro
raccolta
nel
2004
dalle
<br />

società
 di
 intermediazione
 dei
 diritti
 europee
 a
 titolo
 di
 “equo
<br />

compenso”
per
le
utilizzazioni
libere
sembra
rendere
concreta
ed
<br />

attuale
tale
preoccupazione.
<br />

Le
stesse
società
di
gestione
ed
intermediazione
dei
diritti
<br />

operanti
nei
diversi
Paesi
membri,
d’altra
parte,
costituiscono
un
<br />

importante
 aspetto
 da
 tener
 presente
 nell’intervenire
 sulla
<br />

disciplina
della
materia.
<br />

La
 ripartizione
 geografica
 del
 mercato
 della
 proprietà
<br />

intellettuale
tra
più
società
di
intermediazione
dei
diritti
operanti
<br />

in
regime
di
monopolio
nazionale
è,
infatti,
divenuta
anacronistica
<br />

essendosi
ormai
sviluppato
–
grazie
alle
nuove
tecnologie
digitali
e
<br />

telematiche
 –
 un
 mercato
 europeo,
 se
 non
 addirittura
 mondiale,
<br />

dei
contenuti
protetti
da
diritto
d’autore.
<br />

Ad
 un
 tempo,
 le
 nuove
 tecnologie,
 rendono
 agevolmente
<br />

superabili
i
sistemi
tradizionali
di
ripartizione
dei
diritti
d’autore
<br />

basati
 su
 calcoli
 statitistici
 e
 probabilistici
 o,
 piuttosto,
 su
<br />

meccanismi
forfettari
ed
approssimativi.
<br />

Nella
 società
 dell’informazione
 digitale
 i
 bit
 possono
<br />

essere
 contati
 in
 modo
 automatizzato
 uno
 ad
 uno
 senza
 alcuna
<br />

esigenza
di
“pesanti”
infrastrutture
ed
apparati
burocratici.
<br />

Il
 ruolo
 delle
 società
 di
 intermediazione
 dei
 diritti,
 nel
<br />

nuovo
 assetto
 del
 mercato
 dei
 contenuti
 digitali,
 dovrebbe,
<br />

pertanto,
 formare
 oggetto
 di
 un
 profondo
 ripensamento
 e,
 per
<br />

taluni
 aspetti,
 di
 un
 ridimensionamento
 che,
 tuttavia,
 appare
<br />

difficile
da
far
accettare
a
livello
nazionale
dopo
una
lunga
stagione
<br />

49




<br />


<br />

nella
 quale
 dette
 società
 ed
 enti
 si
 sono
 visti
 progressivamente
<br />

riconoscere
sempre
maggiori
poteri
ed
autorità.
<br />

In
 un
 contesto
 tanto
 variegato
 e
 complesso
 nel
 quale
 le
<br />

questioni
 si
 presentano
 concatenate
 l’una
 all’altra
 più
 che
<br />

proporre
 soluzioni
 sembra
 opportuno
 sforzarsi
 di
 individuare
 i
<br />

pochi
 elementi
 di
 certezza
 enucleabili
 nella
 speranza
 che
<br />

muovendo
da
tali
punti
fermi
sia
poi
possibile
tracciare
le
linee
di
<br />

sviluppo
della
nuova
disciplina
sul
diritto
d’autore
di
cui
si
avverte
<br />

l’improcrastinabile
esigenza.
<br />

In
 tale
 prospettiva
 una
 prima
 certezza
 sembra
 poter
<br />

essere
costituita
d<strong>alla</strong>
circostanza
che
l’epoca
dei
contenitori
fisici
<br />

e
mediatici
costosi
e
colorati
nei
quali
sino
a
ieri
la
cultura
è
stata
<br />

distribuita
 si
 avvia
 al
 tramonto
 e
 che
 essa
 è
 destinata
 ad
 essere
<br />

sostituita
 da
 quella
 della
 fibra
 ottica,
 della
 banda
 larga,
 dei
 bit
 e
<br />

della
tecnologia
digitale.
<br />

In
questa
nuova
era,
già
definita
da
un
grande
economista
<br />

come
Jeremy
Rifkin,
l’Era
dell’Accesso
<br />

“i
mercati
stanno
cedendo
il
passo
alle
reti
e
la
proprietà
è
<br />

progressivamente
sostituita
dall’accesso”;
ciò
che
conta
non
è
tanto
<br />

vendere
la
proprietà
di
un
bene
materiale
quanto
piuttosto
l’accesso
<br />

ad
un
bene
immateriale.”
<br />


<br />

E’,
 dunque,
 l’accesso
 ai
 contenuti
 digitali
 che
 andrà
<br />

disciplinato
 e
 non
 più
 il
 possesso
 degli
 stessi
 su
 questo
 o
 quel
<br />

supporto
 o,
 piuttosto,
 la
 riproduzione
 di
 un
 contenuto
 da
 un
<br />

supporto
all’altro.
<br />

Certe
 preoccupazioni
 così
 come
 la
 pretesa
 di
 “tassare”
 il
<br />

possesso
 o
 sanzionare
 quello
 illegittimo,
 nell’era
 dell’accesso
<br />

appaiono
 anacronistiche,
 inattuabili
 e
 sconfitte
 dai
 tempi
 e
 dal
<br />

progresso.
<br />

Un’ulteriore
 certezza
 sembra
 costituita
 dall’esponenziale
<br />

ampliamento
del
mercato
dei
contenuti
digitali
che,
oggi,
è
aperto
<br />

a
zone
del
globo
ed
a
fasce
della
popolazione
che,
sino
a
ieri,
erano
<br />

sistematicamente
lasciate
fuori
d<strong>alla</strong>
distribuzione
di
ogni
genere
<br />

di
prodotto
culturale.
<br />


 Tale
 fattore
 in
 uno
 con
 l’abbattimento
 dei
 costi
 di
<br />

produzione
 e
 distribuzione
 dei
 contenitori
 fisici
 per
 prodotti
<br />

culturali
(CD,
DVD
e
domani
libri)
e
con
la
facilità
di
promozione
di
<br />

tali
prodotti
a
costi
irrisori,
consente,
evidentemente,
ai
titolari
dei
<br />

diritti
 di
 conservare
 ed
 anzi
 incrementare
 i
 propri
 margini
 di
<br />

profitto,
riducendo,
contestualmente
in
modo
sensibile
il
prezzo
di
<br />

accesso
ai
propri
contenuti.
<br />

Al
 riguardo
 appaiono,
 tuttavia,
 illuminanti
 le
 parole
 di
<br />

George
Soros
secondo
il
quale

<br />

50




<br />


<br />

la
globalizzazione
non
è
un
gioco
a
somma
zero.
I
benefici
<br />

superano
i
costi,
nel
senso
che
l’aumentata
ricchezza
prodotta
d<strong>alla</strong>
<br />

globalizzazione
 potrebbe
 essere
 utilizzata
 per
 rimediare
 alle
 sue
<br />

iniquità
 e
 agli
 altri
 suoi
 difetti
 e
 ne
 resterebbe
 ancora
 d’avanzo.
<br />

L’affermazione
 è
 difficile
 da
 dimostrare…cionondimeno,
 tutte
 le
<br />

prove
indicano
che
i
vincitori
potrebbero
indennizzare
gli
sconfitti
e
<br />

uscirne
comunque
con
un
guadagno…Il
problema
–
prosegue
Soros
–
<br />

è
 che
 i
 vincitori
 non
 indennizzano
 affatto
 gli
 sconfitti.
 (G.
 Soros,
<br />

Globalizzazione).
<br />


<br />

Si
 è,
 infine,
 già
 detto
 –
 ed
 in
 ciò
 consiste
 un
 ulteriore
<br />

aspetto
 di
 certezza
 da
 tener
 presente
 in
 ogni
 ragionamento
 sul
<br />

futuro
 diritto
 d’autore
 –
 che
 la
 tecnologia
 oggi
 abilita
 a
 forme
 di
<br />

gestione
e
tutela
dei
diritti
automatizzate,
infallibili
e,
ad
un
tempo,
<br />

duttili
ovvero
suscettibili
di
adattarsi
a
modelli
di
business
diversi
<br />

ed
 eterogenei
 o,
 piuttosto,
 a
 modelli
 di
 “non
 business”
 ovvero
 di
<br />

distribuzione
e
circolazione
non
controllata
di
contenuti
digitali.
<br />


 In
tale
prospettiva
la
tecnologia
di
riferimento
è
costituita
<br />

dai
 Digital
 Rights
 Management,
 il
 cui
 acronimo,
 DRM
 è,
<br />

sfortunatamente,
sin
qui,
divenuto
più
celebre
quale
strumento
di
<br />

protezione
 coattiva
 dei
 diritti
 unilateralmente
 imposto
 piuttosto
<br />

che
 non
 quale
 strumento
 di
 traduzione
 tecnologica
 di
 un
 assetto
<br />

negoziale
 concordato
 tra
 consumatori
 e
 distributori
 di
 prodotti
<br />

culturali.
<br />


 Una
 lezione
 importante,
 in
 tal
 senso,
 viene,
 ancora
 una
<br />

volta,
dall’acqua.
<br />


 L’acqua
 è,
 infatti,
 il
 miglior
 nemico
 dell’acqua,
 nel
 senso
<br />

che
 una
 corrente
 di
 eguale
 forza
 ma
 di
 contrapposta
 direzione
 è
<br />

l’unico
rimedio
per
deviare
il
corso
di
un
fiume
in
piena.
<br />


 Allo
 stesso
 modo,
 nel
 dominio
 del
 diritto
 d’autore
 nella
<br />

società
 dell’informazione,
 appare
 impossibile
 pretendere
 di
<br />

fermare
 le
 conseguenze
 e
 gli
 effetti
 dell’impatto
 delle
 nuove
<br />

tecnologie
sull’accesso
al
patrimonio
culturale
se
non
attraverso
le
<br />

tecnologie
medesime.
<br />

Monitoraggi
di
massa,
sistemi
di
filtraggio,
nuove
norme
e
<br />

regolamentazioni
 sanzionatorie
 lanciate
 all’inseguimento
 di
<br />

condotte
 di
 violazione
 dei
 diritti
 sempre
 nuove,
 ritengo
 non
<br />

servano
a
nulla
se
non
a
trasformare
in
scontro
quello
che,
invece,
<br />

da
 centinaia
 di
 anni,
 è
 un
 confronto
 tra
 titolari
 dei
 diritti
 e
<br />

collettività.
<br />


 Il
nuovo
assetto
della
disciplina
della
materia
–
quale
che
<br />

sarà
 –
 non
 potrà
 prescindere
 da
 strumenti
 di
 composizione
 e
<br />

negoziazione
 dei
 contrapposti
 diritti
 ed
 interessi
 duttili,
 elastici,
<br />

capaci
di
adattarsi
ad
una
realtà
in
continuo
divenire
perché
figlia
<br />

51




<br />

di
 un
 progresso
 tecnologico
 che
 sta
 aumentando
 in
 modo
<br />

esponenziale
 il
 proprio
 ritmo
 rispetto
 a
 quello
 che
 lo
 ha
<br />

caratterizzato
nei
secoli
precedenti.
<br />


 DRM,
 Creative
 commons,
 sistemi
 di
 gestione
 ed
<br />

intermediazione
 automatizzata
 dei
 diritti
 affidati
 a
 camere
 di
<br />

commercio
telematiche
e
ius
mercatorum
sono
probabilmente
gli
<br />

ingredienti
indispensabili
del
nuovo
diritto
d’autore.
<br />

Panta
 rei
 e,
 quindi,
 occorre
 far
 presto
 perché
 il
 tempo
 di
<br />

elaborazione
 della
 soluzione
 non
 renda
 quest’ultima
 inefficace
<br />

rispetto
 ad
 un
 contesto
 di
 mercato
 che
 domani
 sarà
 ancora
<br />

diverso.
<br />


<br />

…e
la
chiamano
proprietà
intellettuale…:(
<br />

9
novembre
2008

<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=381
<br />


<br />

Ho
grande
rispetto
per
il
diritto
d'autore
quale
strumento
<br />

di
incentivo
<strong>alla</strong>
produzione
culturale
ed
<strong>alla</strong>
circolazione
di
idee
e
<br />

contenuti
creativi.
<br />

Senza
 la
 Società
 dell'informazionenon
 credo
 segnarà
 il
<br />

futuro
dll'uomo
come
sarebbe
auspicabile
e
come
potrebbe.
<br />

Sono,
 tuttavia,
 terrorizzato
 dal
 macroscopico
<br />

fraintendimento
 di
 quei
 principi
 che,
 sempre
 più
 di
 frequente
<br />

registro
in
giro.
<br />

Ieri
 sera
 volevo
 guardarmi
 l'ultimo
 documentario
 di
<br />

Michael
 Moore,
 Slacker
 Uprising,
 lieto,
 tra
 l'altro,
 che
 fosse
<br />

distribuito
 gratuitamente
 benché
 per
 uno
 scopo
 dichiaratamente
<br />

di
propaganda
politica.
<br />

Ecco
 quello
 che
 mi
 son
 sentito
 rispondere
 dal
 server
 dal
<br />

quale
avevo
avviato
il
download:
<br />

“SORRY!
<br />

Unfortunately,
 the
 lawyers
 tell
 us
 we
 are
 only
 allowed
 to
<br />

offer
the
film
to
people
residing
in
the
United
States
or
Canada.
The
<br />

computers
 think
 you
 are
 someplace
 else
 right
 now,
 and
 that's
 why
<br />

you
are
seeing
this
page.
If
you
really
are
in
the
U.S.
or
Canada
and
<br />

our
computers
are
confused,
you
may
try
accessing
the
website
from
<br />

a
different
network,
at
a
friends
house,
etc.
We're
very
sorry
for
the
<br />

inconvenience,
 and
 really
 want
 as
 many
 people
 to
 see
 the
 film
 as
<br />

possible.”
<br />

Non
è
questo
lo
spirito
con
il
quale
tre
secoli
fa
è
nato
il
<br />

diritto
 d'autore
 e
 non
 è
 questa
 la
 prorpietà
 intellettuale
 che
<br />

consentirà
 di
 utilizzare
 la
 <strong>Rete</strong>
 per
 abbattere
 il
 divide
 socio‐<br />

culturale
del
mondo.
<br />

Che
ne
pensate?
<br />

52




<br />


<br />


<br />

P.S.:
inutile
che
vi
dica
che
mi
ci
sono
voluti
tre
minuti
per
<br />

scaricarmi
il
documentario
del
quale,
tra
l'altro,
consiglio
la
visione
<br />

perchè
quali
che
siano
i
vostri
orientamenti
politici,
è
un
pezzo
di
<br />

storia
del
nostro
tempo
raccontata
da
uno
dei
due
possibili
angoli
<br />

di
visuale.
<br />

Nuovi
e
vecchi
modelli
a
confronto.
<br />

14
ottobre
2008

<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=361
<br />

Questa
mattina
Punto
Informatico
ha
pubblicato
la
lettera
<br />

aperta
 con
 la
 quale
 ISP,
 consumatori
 ed
 addetti
 ai
 lavori
 hanno
<br />

sollevato
 dubbi
 e
 perplessità
 circa
 l'iniziativa
 del
 Governo
 di
<br />

costituire
un
comitato
tecnico
per
la
lotta
<strong>alla</strong>
pirateria
digitale
e
<br />

telematica 24.
<br />

























































<br />

24 

Questo
è
il
testo
della
lettera:

<br />

On.
Sandro
Bondi
<br />

Ministro
per
i
beni
e
le
attività
culturali
<br />

e
<br />


Prof.
Mauro
Masi
<br />

Segretario
Generale
della
Presidenza
<br />

del
Consiglio
dei
Ministri
<br />


 Nelle
 scorse
 settimane
 si
 è
 appreso
 dagli
 organi
 di
 stampa
 che
 sarebbe
<br />

stato
istituito
presso
la
Presidenza
del
Consiglio
dei
Ministri
d’intesa
con
il
Ministero
<br />

per
 i
 Beni
 e
 le
 Attività
 culturali
 un
 Comitato
 tecnico
 contro
 la
 pirateria
 digitale
 e
<br />

multimediale
 del
 quale
 faranno
 parte
 oltre
 al
 Segretario
 Generale
 della
 Presidenza
<br />

del
Consiglio
che
lo
coordinerà,
il
Capo
gabinetto
del
Ministero
per
i
beni
e
le
attività
<br />

culturali,
il
Presidente
della
Siae,
i
rappresentanti
dei
dicasteri
coinvolti
e
due
esperti
<br />

del
settore
che
verranno
nominati
a
breve.
<br />


 La
 cultura
 nella
 Società
 dell’Informazione
 costituisce,
 tuttavia,
<br />

evidentemente
un
bene
comune
e
la
circolazione
del
patrimonio
culturale
rappresenta
<br />

pertanto
un
tema
in
relazione
al
quale
si
confrontano
ed
intersecano
inevitabilmente
<br />

interessi
e
diritti
di
soggetti
diversi:
utenti
e
consumatori,
internet
services
provider,
<br />

intermediari
della
comunicazione,
artisti
e
fornitori
di
contenuti.
<br />


 In
 tale
 contesto,
 desta
 preoccupazione
 la
 circostanza
 che
 nell’istituire
 il
<br />

citato
 Comitato
 tecnico
 si
 sia
 ritenuto
 di
 non
 coinvolgere
 sin
 dall’inizio
 ed
 in
 modo
<br />

strutturato
e
permanente
i
rappresentanti
delle
numerose
categorie
interessate
e
si
<br />

sia
scelto
di
affrontare
il
delicato
tema
della
cultura
nella
società
dell’informazione
<br />

nella
 limitata
 e
 limitante
 prospettiva
 della
 lotta
 <strong>alla</strong>
 pirateria
 che
 costituisce,
<br />

evidentemente,
 solo
 un
 fenomeno
 derivato
 rispetto
 <strong>alla</strong>
 più
 complessa
 problematica
<br />

della
regolamentazione
del
mercato
culturale
digitale
e
multimediale.
<br />


 Analoghe
 perplessità
 solleva
 l’idea
 –
 se
 non
 addirittura
 l’auspicio
 –
 di
<br />

orientare
 l’attività
 del
 Comitato
 <strong>alla</strong>
 produzione
 di
 disegni
 di
 legge
 volti
 al
<br />

recepimento
 nel
 nostro
 Paese
 della
 soluzione
 francese
 della
 lotta
 <strong>alla</strong>
 pirateria
<br />

audiovisiva.
<br />


 Tale
soluzione
–
in
contrasto
con
il
principio,
sancito
il
24
settembre
2008
<br />

dal
 Parlamento
 Europeo
 con
 573
 voti
 contro
 74
 e
 ribadito
 d<strong>alla</strong>
 Commissione
 il
 6
<br />

ottobre,
 
 secondo
 il
 quale
 “nessuna
 restrizione
 può
 essere
 imposta
 ai
 diritti
 ed
 alle
<br />

libertà
 fondamentali
 degli
 utenti
 finali,
 senza
 la
 preventiva
 autorizzazione
 delle
<br />

autorità
 giudiziarie,
 segnatamente
 in
 accordo
 con
 l’Art.
 11
 della
 Carta
 dei
 diritti
<br />

53




<br />

Alcuni
hanno
già
tacciato
la
lettera
come
un'iniziativa
anti‐<br />

antipirateria.
<br />

Non
è
così.
<br />

Il
punto
è
che
esistono
strade
diverse
per
promuovere
la
<br />

cultura
digitale
nella
società
dell'informazione
e
che,
quindi,
prima
<br />

di
rifuggiarsi
nei
vecchi
modelli
di
business
e
nelle
vecchie
risposte
<br />

normative
sarebbe
opportuno
esplorare
soluzioni
nuove
e
diverse.
<br />

E'
 di
 queste
 ore
 l'accordo
 tra
 RAI
 e
 Youtube
 per
 la
<br />

pubblicazione
 dei
 contenuti
 dell'emittente
 di
 stato
 attraverso
 un
<br />

canale
dedicato
del
più
grande
UGC
del
mondo 25.
<br />

























































<br />

fondamentali
 dell’Ue
 sulla
 libertà
 di
 espressione
 e
 d’informazione”
 ­
 infatti,
 non
<br />

appare
 fondata
 su
 un
 adeguato
 bilanciamento
 dei
 contrapposti
 interessi
 e
 sembra
<br />

porre
 la
 tutela
 dei
 diritti
 d’autore
 su
 di
 un
 piano
 sovra­ordinato
 rispetto
 ad
 altri
<br />

diritti
 e
 libertà
 fondamentali
 del
 cittadino
 quali
 quello
 <strong>alla</strong>
 privacy
 ed
 all’accesso
<br />

all’informazione
 ed
 all’utilizzo
 delle
 risorse
 informatiche
 e
 telematiche
 che
 sono
<br />

destinate
a
divenire,
tra
l’altro,
il
canale
di
comunicazione
privilegiato
tra
cittadino
e
<br />

pubblica
 amministrazione
 e,
 dunque,
 strumento
 ineliminabile
 per
 l’esercizio
 di
 un
<br />

ampia
gamma
di
diritti
civili
e
politici.
<br />


 Occorre,
 d’altro
 canto,
 rilevare
 che
 lo
 stesso
 Governo
 francese,
 pur
<br />

pervenendo
 <strong>alla</strong>
 non
 condivisibile
 citata
 conclusione,
 ha,
 a
 suo
 tempo,
 affrontato
 il
<br />

problema
 della
 lotta
 <strong>alla</strong>
 pirateria
 digitale
 in
 uno
 con
 quello
 dell’incentivazione
 del
<br />

mercato
 legale
 di
 contenuti
 digitali,
 apparendo,
 evidente,
 che
 le
 due
 questioni
 non
<br />

possono
essere
affrontate
disgiuntamente.
<br />


 Contestualmente
 al
 tema
 della
 pirateria
 occorre,
 infatti,
 farsi
 carico
 di
<br />

risolvere
la
questione
della
scarsa
accessibilità
del
patrimonio
culturale
attraverso
le
<br />

risorse
telematiche.
<br />


 Le
 nuove
 tecnologie,
 infatti,
 consentirebbero
 una
 massimizzazione
 della
<br />

circolazione
 di
 tale
 patrimonio
 che,
 tuttavia,
 resistenze
 culturali
 ed
 economiche
 da
<br />

parte
 dell’industria
 dei
 contenuti
 audiovisivi,
 un
 quadro
 normativo
 inadeguato
 e
 la
<br />

pressoché
 totale
 mancanza
 di
 una
 seria
 politica
 dell’innovazione
 hanno,
 sin
 qui,
<br />

lasciato
allo
stadio
di
semplice
aspirazione
o
tendenza.
<br />


 Alla
luce
delle
considerazioni
che
precedono
ed
in
ragione
dell’importanza
<br />

e
 centralità
 del
 tema
 sul
 quale
 l’attività
 del
 comitato
 tecnico
 andrà
 ad
 incidere,
 i
<br />

firmatari
 chiedono
 di
 aprire
 formalmente
 il
 tavolo
 ed
 i
 lavori
 del
 comitato
 <strong>alla</strong>
<br />

partecipazione
 permanente
 e
 strutturata
 di
 rappresentanti
 di
 tutte
 le
 categoria
<br />

coinvolte.
<br />


 La
cultura
è
il
più
prezioso
tra
i
beni
comuni.
<br />

Distinti
saluti,
<br />


<br />

Adiconsum
<br />

AIIP
<br />

Altroconsumo
<br />

(Assodigitale)
<br />

Assoprovider
<br />

(Confcommercio)
<br />

Istituto
per
le
politiche
dell’innovazione

<br />

Netcom
<br />

25 
 Questo
 è
 l’annuncio
 dell’accordo
 pubblicato
 sul
 blog
 ufficiale
 di
 Google
<br />

raggiungibile
 all’URL:
 http://googleitalia.blogspot.com/2008/10/un‐passo‐avanti‐<br />

nella‐tutela‐del.html
<br />

Un
passo
avanti
nella
tutela
del
copyright
e
nella
distribuzione
di
contenuti
digitali
<br />

54




<br />

L'accesso
 ai
 contenuti
 sarà
 gestito
 ‐
 e
 non
 già
<br />

semplicemente
 limitata!
 ‐
 attraverso
 VideoID
 una
 moderna
<br />

soluzione
di
digital
rights
management
che
stanno
sviluppando
in
<br />

casa
Google 26.
<br />

























































<br />

14
ottobre
2008
‐
ore
18.05
<br />

E'
proprio
di
oggi
l'annuncio
della
formalizzazione
dell'accordo
fra
Rai
e
YouTube
per
<br />

la
distribuzione
dei
contenuti
dell'emittente
attraverso
il
proprio
canale
brand.
<br />

Questa
 collaborazione
 è
 importante
 per
 due
 motivi:
 prima
 di
 tutto
 è
 un
 esempio
 di
<br />

come
 i
 produttori
 di
 contenuti
 si
 stiano
 aprendo
 <strong>alla</strong>
 loro
 diffusione
 su
 più
<br />

piattaforme
 e
 verso
 pubblici
 differenziati,
 trovando
 inoltre
 il
 giusto
 modo
 per
 dare
<br />

valore
al
loro
archivio,
in
secondo
luogo,
RaiNet
userà
l'avanzata
tecnologia
VideoID
<br />

di
YouTube
<br />

VideoID
 è
 uno
 strumento
 che
 permette
 ai
 proprietari
 dei
 contenuti
 di
 identificare
 i
<br />

loro
 materiali
 su
 YouTube
 e
 di
 decidere
 come
 renderli
 disponibili.
 Con
 YouTube
<br />

VideoID,
i
titolari
dei
diritti
possono
infatti
agevolmente
gestire
i
propri
contenuti
e
<br />

stabilire
se
ottenerne
ricavi,
rimuoverli
o
semplicemente
monitorarli.
<br />

Facendo
questa
scelta
innovativa,
RAI
si
aggiunge
ai
molti
altri
partner
di
YouTube
<br />

che
hanno
adottato
 questo
 strumento,
 tra
 i
 quali
 vi
 sono
 CBS,
 Lionsgate,
 Sony
 BMG
<br />

Europe
e
molti
altri.
Questa
soluzione
dimostra
come
gli
operatori
del
settore,
insieme
<br />

con
i
titolari
di
proprietà
intellettuale,
in
modo
molto
pragmatico
abbiano
trovato
la
<br />

tanto
 auspicata
 via
 di
 mezzo
 fra
 la
 tutela
 del
 diritto
 d'autore
 e
 la
 diffusione
 dei
<br />

contenuti
digitali.
<br />

Proprio
in
questi
giorni
si
sta
discutendo
di
pirateria
online
e
delle
possibili
soluzioni
<br />

per
combattere
questo
fenomeno.
Noi
pensiamo
che
questo
accordo
vada
nella
giusta
<br />

direzione:
nuovi
modelli
di
monetizzazione
e
strumenti
di
prevenzione.
<br />

26 
La
spiegazione
di
Video
ID
pubblicata
sulle
pagine
di
Youtube
a
questa
URL:

<br />

Identificazione
video
di
YouTube
<strong>version</strong>e
Beta
<br />

Grazie
 <strong>alla</strong>
 collaborazione
 costante
 di
 proprietari
 di
 contenuti
 grandi
 e
 piccoli,
<br />

YouTube
 è
 in
 grado
 di
 sviluppare,
 testare
 e
 implementare
 strumenti
 di
 gestione
 dei
<br />

contenuti
sempre
più
efficaci.
Oggi,
siamo
orgogliosi
di
lanciare,
in
<strong>version</strong>e
beta,
la
<br />

nostra
ultima
novità
nel
campo
dei
video
online:
Identificazione
video
di
YouTube.
<br />

Come
 le
 nostre
 norme
 e
 gli
 altri
 strumenti
 sui
 contenuti,
 Identificazione
 video
 di
<br />

YouTube
supera
e
va
ben
oltre
le
nostre
responsabilità
legali.
Inoltre,
analogamente
a
<br />

tali
 norme
 e
 strumenti,
 Identificazione
 video
 ha
 tre
 obiettivi
 principali:
<br />

un'identificazione
 precisa,
 la
 possibilità
 di
 scelta
 per
 i
 titolari
 di
 copyright
 e
 una
<br />

fantastica
esperienza
utente.
<br />

Identificazione
<br />

Identificazione
video
di
YouTube
aiuterà
i
titolari
di
copyright
a
rendere
identificabili
<br />

le
 loro
 creazioni
 su
 YouTube.
 Stiamo
 lavorando
 in
 collaborazione
 con
 Google
 per
<br />

sviluppare
una
tecnologia
unica
nel
suo
genere
in
grado
di
riconoscere
i
video
in
base
<br />

a
 vari
 fattori.
 Come
 indica
 il
 suo
 stato
 Beta,
 quella
 di
 Identificazione
 video
 è
 una
<br />

tecnologia
 innovativa
 e
 all'avanguardia
 che
 provvederemo
 a
 perfezionare
 e
 a
<br />

migliorare
 costantemente.
 I
 primi
 test
 con
 alcune
 società
 di
 contenuti
 hanno
 dato
<br />

risultati
 molto
 promettenti.
 Man
 mano
 che
 amplieremo
 e
 perfezioneremo
 il
 nostro
<br />

sistema,
Identificazione
video
di
YouTube
sarà
disponibile
per
tutti
i
tipi
di
titolari
di
<br />

copyright
 del
 mondo,
 indipendentemente
 dal
 fatto
 che
 vogliano
 mostrare
 i
 loro
<br />

contenuti
su
YouTube.
<br />

Indipendentemente
dal
livello
di
accuratezza
raggiunto
dagli
strumenti,
è
importante
<br />

ricordare
che
nessuna
tecnologia
può
distinguere
il
materiale
legale
da
quello
illegale
<br />

senza
 la
 cooperazione
 dei
 proprietari
 dei
 contenuti.
 Questo
 significa
 che
 saranno
 i
<br />

titolari
di
copyright
che
desiderano
utilizzare
il
nostro
sistema
di
identificazione
dei
<br />

video,
 nonché
 contribuire
 a
 perfezionarlo,
 a
 fornire
 le
 informazioni
 necessarie
 per
<br />

55




<br />

Dmin,
 d'altro
 canto,
 all'esito
 di
 un'attività
 iniziata
 ormai
<br />

anni
fa,
ha
ormai
messo
a
punto
un'analoga
soluzione
che
abilità
i
<br />

titolari
 dei
 diritti
 a
 disporre
 dei
 propri
 contenuti
 a
 proprio
<br />

piacimento
nel
contesto
digitale 27.
<br />

Dall'altra
parte
dello
steccato
‐
a
mio
modo
di
vedere
‐
si
<br />

colloca
 il
 vecchio
 modo
 di
 guardare
 <strong>alla</strong>
 proprietà
 intellettuale:
<br />

recintare,
 vietare
 e
 mirare
 al
 profitto
 immediato
 tramite
 la
<br />

pubblicità
o
mediato
tramite
cause
risarcitorie
multimilionarie.
<br />

























































<br />

aiutarci
a
riconoscere
le
loro
creazioni.
Il
nostro
obiettivo
è
rendere
tale
processo
il
<br />

più
agevole
possibile.
<br />

Scelta
<br />

I
 titolari
 di
 copyright
 possono
 scegliere
 che
 cosa
 fare
 con
 i
 loro
 video:
 se
 bloccarli,
<br />

promuoverli
o
persino
­
se
un
titolare
di
copyright
decide
di
diventare
nostro
partner
­
<br />

di
 trarne
 guadagno,
 con
 il
 minimo
 sforzo.
 Identificazione
 video
 di
 YouTube
 aiuterà
<br />

nella
scelta.
<br />

Nessuna
tecnologia
può
prevedere
le
preferenze
di
un
titolare
di
copyright.
Oggi,
con
<br />

milioni
 di
 persone
 e
 società
 che
 producono
 video
 originali,
 le
 preferenze
 variano
<br />

enormemente.
Alcuni
titolari
di
copyright
vogliono
il
controllo
su
ogni
impiego
delle
<br />

loro
creazioni.
Molti
artisti
professionisti
e
società
del
settore
dei
media
pubblicano
i
<br />

loro
video
più
recenti
su
YouTube
senza
informarci,
mentre
alcuni
videoamatori
non
<br />

vogliono
vedere
le
loro
creazioni
online.
Altri
desiderano
che
i
loro
fan
partecipino
al
<br />

processo
creativo.
<br />

La
 cosa
 migliore
 che
 possiamo
 fare
 è
 collaborare
 con
 i
 titolari
 di
 copyright
 per
<br />

identificare
 i
 video
 che
 includono
 i
 loro
 contenuti
 e
 offrire
 loro
 delle
 opzioni
 per
<br />

condividere
 tali
 contenuti.
 Man
 mano
 che
 i
 titolari
 di
 copyright
 ci
 anticiperanno
 le
<br />

loro
 preferenze,
 faremo
 del
 nostro
 meglio
 per
 automatizzare
 la
 loro
 scelta
 senza
<br />

dimenticare
 i
 diritti
 degli
 utenti,
 degli
 altri
 titolari
 di
 copyright
 e
 della
 nostra
<br />

community.
<br />

Esperienza
utente
<br />

Come
 sottolinea
 il
 nostro
 slogan
 "Broadcast
 Yourself"
 la
 missione
 di
 YouTube
 è
<br />

aiutare
la
più
ampia
gamma
di
persone
ad
esprimersi
online.
Pertanto,
continueremo
<br />

a
 concentrarci
 sull'offerta
 della
 migliore
 esperienza
 utente
 disponibile
 oggi
 online.
<br />

Stiamo
 progettando
 attentamente
 le
 nostre
 nuove
 tecnologie
 di
 identificazione
 in
<br />

modo
che
non
ostacolino
la
comunicazione
libera
e
rapida
resa
possibile
da
YouTube,
<br />

indipendentemente
 dal
 fatto
 che
 si
 tratti
 di
 un
 dibattito
 politico,
 di
 marketing
<br />

"underground"
o
di
un
filmato
divertente.
<br />

Basandosi
sui
nostri
Suggerimenti
sul
copyright
e
sul
nostro
programma
AudioSwap,
<br />

e
riflettendo
l'equilibrio
delle
procedure
di
notifica
e
rimozione
imposto
per
legge,
ci
<br />

auguriamo
 che
 Identificazione
 video
 farà
 ancora
 più
 chiarezza
 sui
 diritti
 e
 sulle
<br />

responsabilità
degli
utenti,
oltre
a
fornire
ai
fan
nuove
opportunità
per
interagire
in
<br />

modo
creativo
con
il
loro
mezzo
di
comunicazione
preferito.
<br />

Infine,
 riteniamo
 che
 Identificazione
 video
 di
 YouTube
 si
 rivelerà
 uno
 strumento
<br />

particolarmente
 utile
 e
 opportuno
 quando
 inizieremo
 ad
 ampliare
 la
<br />

compartecipazione
alle
entrate
e
altre
opportunità
per
un
pubblico
più
vasto.
<br />

Ricorda
che
questo
è
un
programma
Beta
e
prevediamo
di
incontrare
degli
imprevisti
<br />

mentre
 perfezioneremo,
 miglioreremo
 ed
 espanderemo
 il
 sistema
 per
 soddisfare
 le
<br />

esigenze
di
tutti.
Ti
chiediamo
di
avere
pazienza.
Se
sei
un
proprietario
di
contenuti
<br />

interessato
a
partecipare
al
programma,
completa
il
nostro
modulo
di
iscrizione.
Non
<br />

vediamo
l'ora
di
iniziare
a
lavorare
con
te.
<br />

27 
La
descrizione
del
progetto
Dmin
è
reperibile
a
questa
URL:
http://www.dmin.it/
<br />

56




<br />

Basti
pensare
a
Video.mediaset.it
che
ripropone
on‐line
il
<br />

modello
della
televisione
di
un
tempo
pretendendo
di
fare
a
meno
<br />

degli
 intermediari
 in
 un
 contesto
 aperto
 per
 definizione
 quale
<br />

quello
 telematico
 o
 <strong>alla</strong>
 stessa
 Mediaset
 che
 qualche
 mese
 fa
 ha
<br />

chiesto
 500
 milioni
 di
 euro
 a
 Youtube
 per
 qualche
 migliaio
 di
<br />

spezzoni
 televisivi
 caricati
 on‐line
 dagli
 utenti
 anziché
 limitarsi
 a
<br />

chiederne
la
rimozione.
<br />

Che
volete
che
vi
dica?
Questione
di
punti
di
vista…Cool
<br />

Ma
non
ditemi
che
pensarla
in
maniera
innovativa
anziché
<br />

un
 pò
 all'antica….significa
 essere
 pirati
 o
 non
 credere
 al
 diritto
<br />

d'autore.
<br />


<br />

L’italia
più
vicina
<strong>alla</strong>
Nuova
Zelanda
che
all’Europa.
<br />

11
ottobre
2008

<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=359
<br />


<br />

Sarà
 per
 via
 della
 tanto
 simile
 conformazione
 geografica
<br />

ma
 a
 giudicare
 da
 quanto
 sta
 accadendo
 sul
 terreno
<br />

dell'enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
l'Italia
sembra
<br />

decisamente
più
vicina
<strong>alla</strong>
Nuova
Zelanda
che
all'Europa.
<br />

Nei
 giorni
 scorsi,
 come
 ho
 già
 scritto,
 è
 stato
 istituito
 in
<br />

gran
 segreto
 presso
 la
 Presidenza
 del
 Consiglio
 dei
 Ministri
 un
<br />

comitato
tecnico
per
la
lotta
<strong>alla</strong>
pirateria
digitale
e
multimediale
e
<br />

nel
salutare
con
favore
tale
notizia
il
Presidente
Assumma
‐
che
ne
<br />

farà
 parte
 ‐
 non
 ha
 nascosto
 di
 auspicare
 che
 l'italia
 adotti
 ‐
<br />

proprio
 attraverso
 il
 neoistituito
 comitato
 ‐
 la
 soluzione
 francese
<br />

<strong>alla</strong>
lotta
<strong>alla</strong>
pirateria 28.
<br />

Era
il
23
settembre.
<br />

Il
 24
 Settembre,
 tuttavia,
 il
 Parlamento
 Europeo
 ‐
 e
 non
<br />

era
 la
 prima
 volta
 ‐
 bocciava
 senza
 appello
 la
 soluzione
 francese
<br />

ammonendo
 gli
 Stati
 membri
 sull'insopprimibilità
 ‐
 salvo
 ordine
<br />

motivato
dell'autorità
giudiziaria
‐
del
diritto
fondamentale
all'uso
<br />

delle
 tecnologie
 telematiche
 (cfr.
 emendamento
 138
 Risoluzione
<br />

























































<br />

28 
 Il
 testo
 del
 comunicato
 stampa
 pubblicato
 sul
 sito
 della
 SIAE
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.siae.it/edicola.asp?click_level=0500.0100.0200&view=4&open_menu=<br />

yes&id_news=7194
<br />

Istituito
un
Comitato
tecnico
contro
la
pirateria
<br />

E’
stato
istituito
presso
la
Presidenza
del
Consiglio
dei
Ministri
un
Comitato
tecnico,
<br />

d’intesa
con
il
Ministero
per
i
beni
e
le
attività
culturali
contro
la
pirateria
digitale
e
<br />

multimediale.
 Ne
 fanno
 parte,
 oltre
 al
 Segretario
 Generale
 della
 Presidenza
 del
<br />

Consiglio
 che
 lo
 coordina,
 il
 Capo
 gabinetto
 del
 Ministero
 per
 i
 beni
 e
 le
 attività
<br />

culturali,
il
Presidente
della
Siae,
i
rappresentanti
dei
dicasteri
coinvolti
e
due
esperti
<br />

del
settore
che
verranno
nominati
a
breve.
Il
nuovo
organismo,
che
si
insedierà
nelle
<br />

prossime
 settimane,
 predisporrà
 eventuali
 normative
 con
 l’adozione
 d’
 interventi
<br />

mirati
 per
 combattere
 il
 fenomeno
 della
 pirateria,
 interagendo
 con
 i
 vari
 operatori
<br />

del
settore.
<br />

57




<br />

legislativa
 del
 Parlamento
 europeo
 del
 24
 settembre
 2008
 sulla
<br />

proposta
 di
 direttiva
 del
 Parlamento
 europeo
 e
 del
 Consiglio
<br />

recante
 modifica
 delle
 direttive
 2002/21/CE
 che
 istituisce
 un
<br />

quadro
normativo
comune
per
le
reti
ed
i
servizi
di
comunicazione
<br />

elettronica,
 2002/19/CE
 relativa
 all'accesso
 alle
 reti
 di
<br />

comunicazione
 elettronica
 e
 alle
 risorse
 correlate,
 e
<br />

all'interconnessione
 delle
 medesime
 e
 2002/20/CE
 relativa
 alle
<br />

autorizzazioni
per
le
reti
e
i
servizi
di
comunicazione
elettronica).
<br />

Nelle
stesse
ore,
tuttavia,
in
nuova
Zelanda,
il
Ministro
per
<br />

il
Copyright,
infilava
all'ultimo
secondo
in
una
legge
sulla
materia
<br />

la
soluzione
francese:
3
accuse
di
violazione
di
diritti
di
proprietà
<br />

intellettuale
e
l'utente
viene
disconnesso
d<strong>alla</strong>
rete
senza
neppure
<br />

passare
diritto
ad
un
processo!
<br />

Nessun
dubbio
dunque
che
lo
zatterone
italiano
a
forma
di
<br />

stivale
si
stia
pericolosamente
staccando
dall'Europa
per
andare
a
<br />

raggiungere
la
sua
compagna
Neo
Zelandese…
<br />

E'
proprio
il
caso
di
dire:
tutto
<strong>alla</strong>
rovescia!
<br />


<br />

I
 diritti
 fondamentali
 sacrificati
 sull’altare
 del
 diritto
<br />

d’autore.
<br />

27
novembre
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=203
<br />


<br />

Se
in
gioco
non
ci
fosse
il
futuro
della
cultura
nella
società
<br />

dell'informazione
 ci
 sarebbe
 da
 ridere
 a
 leggere
 il
 discorso 29
 del
<br />

























































<br />

29 
 Il
 discorso
 del
 Presidente
 Sarkozy
 pubblicato
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.numerama.com/magazine/5691‐URGENT‐le‐discours‐de‐Nicolas‐<br />

Sarkozy‐accord‐Olivennes.html
<br />

Mesdames,
Messieurs,





<br />

La
protection
du
droit
d’auteur,
la
préservation
de
la
création,
la
reconnaissance
du
<br />

droit
de
chaque
artiste,
de
chaque
interprète,
de
chaque
producteur
de
voir
son
travail
<br />

normalement
 rémunéré,
 c’était
 un
 engagement
 important
 de
 ma
 campagne
<br />

présidentielle.
<br />

Depuis
trois
ans,
j’ai
répondu
présent
chaque
fois
qu’il
a
fallu
faire
prévaloir
le
droit
<br />

légitime
 des
 auteurs
 et
 de
 ceux
 qui
 contribuent
 à
 leur
 expression,
 sur
 l’illusion
 et
<br />

même
sur
le
mensonge
de
la
gratuité.
<br />

Musique,
 cinéma,
 édition,
 presse,
 arts
 graphiques
 et
 visuels…
 tout
 est
 aujourd’hui
<br />

disponible
 et
 accessible
 partout,
 sur
 la
 toile
 de
 l’internet,
 chez
 soi,
 au
 bureau,
 en
<br />

voyage.
C’est
bien
sûr
une
richesse,
une
chance
pour
la
diffusion
de
la
culture.
Pour
<br />

autant,
jamais
nous
n’avons
été
aussi
proches
d’un
«
trou
noir
»,
capable
d’engloutir
et
<br />

d’assécher
cette
richesse
et
ce
foisonnement
créatif.
<br />

Le
 clonage
 et
 la
 dissémination
 de
 fichiers
 à
 l’infini
 ont
 entraîné
 depuis
 cinq
 ans
 la
<br />

ruine
progressive
de
l’économie
musicale,
en
déconnectant
les
œuvres
de
leur
coût
de
<br />

fabrication,
 et
 en
 donnant
 cette
 impression
 fausse
 que
 tout
 se
 vaut,
 que
 tout
 est
<br />

gratuit.
<br />


<br />

Avec
le
développement
du
très
haut
débit,
le
cinéma
risque
de
subir
le
même
sort
que
<br />

la
musique
:
d’ores
et
déjà,
près
de
la
moitié
des
films
sortis
en
salles
en
France
sont
<br />

58



























































<br />


<br />

disponibles
en
<strong>version</strong>
pirate
sur
les
réseaux
«
peer
to
peer
»,
et
le
marché
de
la
vidéo
a
<br />

commencé
 à
 décroître
 avant
 même
 d’atteindre
 sa
 maturité.
 Le
 livre
 pourrait
 à
 son
<br />

tour
être
brutalement
menacé
avec
l’arrivée
du
livre
électronique.
<br />

C’est
 à
 une
 véritable
 destruction
 de
 la
 culture
 que
 nous
 risquons
 d’assister.
 C’est
<br />

également
à
une
négation
du
travail,
cette
valeur
capitale
qui
au
cœur
des
problèmes
<br />

de
la
France
d’aujourd’hui
et
au
cœur
des
solutions.
<br />

Aujourd’hui,
un
accord
est
signé,
et
je
veux
saluer
ce
moment
décisif
pour
l’avènement
<br />

d’un
 internet
 civilisé.
 Internet,
 c’est
 une
 «
 nouvelle
 frontière
 »,
 un
 territoire
 à
<br />

conquérir.
Mais
Internet
ne
doit
pas
être
un
«
Far
Ouest
»
high­tech,
une
zone
de
non
<br />

droit
où
des
«
hors­la­loi
»
peuvent
piller
sans
réserve
les
créations,
voire
pire,
en
faire
<br />

commerce
 sur
 le
 dos
 des
 artistes.
 D’un
 côté,
 des
 réseaux
 flambant
 neuf,
 des
<br />

équipements
 ultra­perfectionnés,
 et
 de
 l’autre
 des
 comportements
 moyenâgeux,
 où,
<br />

sous
 prétexte
 que
 c’est
 du
 numérique,
 chacun
 pourrait
 librement
 pratiquer
 le
 vol
 à
<br />

l’étalage.
<br />

On
 dit
 parfois
 que
 quand
 personne
 ne
 respecte
 la
 loi,
 c’est
 qu’il
 faut
 changer
 la
 loi.
<br />

Sauf
 que
 si
 tout
 le
 monde
 tue
 son
 prochain,
 on
 ne
 va
 pas
 pour
 autant
 légaliser
<br />

l’assassinat.
<br />

Si
tout
le
monde
vole
la
musique
et
le
cinéma,
on
ne
va
pas
légaliser
le
vol.
Et
en
même
<br />

temps,
nous
savons
tous
qu’on
ne
va
pas
non
plus
mettre
tous
les
jeunes
en
prison.
<br />

Il
 nous
 f<strong>alla</strong>it
 chercher
 des
 moyens
 intelligents
 et
 astucieux
 pour
 en
 appeler
 à
 la
<br />

conscience
 du
 citoyen,
 lui
 donner
 la
 possibilité
 de
 rentrer
 dans
 le
 droit
 chemin.
 Il
<br />

f<strong>alla</strong>it
 aussi
 essayer
 de
 comprendre
 pourquoi
 le
 citoyen
 ordinaire,
 habituellement
<br />

respectueux
de
la
loi,
préférait
s’approvisionner
dans
des
entrepôts
clandestins
plutôt
<br />

que
 de
 faire
 ses
 achats
 dans
 un
 supermarché
 en
 ligne
 :
 n’était­ce
 pas
 aussi
 un
<br />

problème
d’attractivité
de
l’offre
légale
?
<br />

Il
y
a
deux
mois
et
demi,
Madame
la
Ministre,
vous
avez
demandé
à
Denis
Olivennes
de
<br />

conduire
 une
 mission
 permettant
 de
 déboucher
 rapidement
 sur
 des
 solutions
<br />

opérationnelles
 visant
 à
 lutter
 fermement
 contre
 le
 piratage
 tout
 en
 tenant
 compte
<br />

des
potentialités
d’Internet
et
de
la
demande
des
consommateurs.
<br />

Vous
y
êtes
parvenus.
Je
veux
vous
en
féliciter,
vous,
chère
Christine,
vous
Denis,
qui
<br />

avez
 été
 l’artisan
 de
 cet
 accord,
 et
 vous
 tous
 qui
 êtes
 là
 aujourd’hui,
 acteurs
 du
<br />

cinéma,
 de
 la
 musique,
 de
 l’audiovisuel,
 de
 l’Internet.
 Sans
 votre
 engagement,
 rien
<br />

n’aurait
été
possible.
<br />

Le
contenu
de
cet
accord
est
solide
et
équilibré.
Il
comporte
des
stipulations
nouvelles
<br />

et
fortes.
<br />

D’un
 côté,
 il
 prévoit
 l’envoi
 de
 mails
 d’avertissements
 aux
 internautes
 qui
 font
 un
<br />

mauvais
 usage
 de
 leur
 abonnement,
 des
 avertissements
 gradués
 en
 cas
 de
 récidive,
<br />

voire
 la
 possibilité
 de
 suspendre
 temporairement
 l’accès
 à
 internet.
 Pour
 arriver
 à
<br />

mettre
en
place
cette
solution
de
bon
sens,
cette
pédagogie,
il
vous
a
fallu,
je
le
sais,
<br />

soulever
des
montagnes,
tellement
les
inerties
sont
grandes
dans
notre
pays
dès
qu’il
<br />

s’agit
d’être
innovant
et
de
proposer
une
solution
qui
ne
tombe
pas
tout
droit
dans
le
<br />

pli
des
habitudes
de
la
pensée.
<br />

Cette
démarche
pédagogique
sera
bien
sûr
réservée
aux
pirates
de
«
bonne
foi
»,
pour
<br />

reprendre
une
expression
propre
à
la
politique
fiscale.
Les
«
pirates
professionnels
»,
<br />

ceux
 qui
 font
 sciemment
 du
 trafic
 et
 du
 commerce
 illicite
 de
 DVD
 et
 de
 fichiers
<br />

contrefaits,
resteront
soumis
au
droit
commun
de
la
contrefaçon,
et
traités
au
sein
de
<br />

juridictions
spécialisées.
<br />

De
plus,
les
fournisseurs
d’accès
s’engagent,
et
c’est
important,
à
mettre
en
œuvre
des
<br />

dispositifs
de
filtrage,
tels
que
ceux
développés
par
l’Institut
national
de
l’audiovisuel.
<br />

Le
filtrage
consiste
à
retirer
automatiquement
les
fichiers
«
pirates
»
des
réseaux
ou
<br />

des
plateformes
d’hébergement
au
fur
et
à
mesure
de
leur
apparition.
<br />

D’un
 autre
 côté,
 cet
 effort
 des
 fournisseurs
 d’accès
 s’accompagnera
 d’un
 effort
 tout
<br />

aussi
important
des
ayants
droit.
Les
professionnels
de
la
musique,
du
cinéma
et
de
<br />

l’audiovisuel
s’engagent
à
mettre
plus
complètement
et
plus
rapidement
leurs
œuvres
<br />

59



























































<br />


<br />

en
 ligne,
 et
 à
 supprimer
 tous
 les
 verrous
 techniques
 qui
 empêchent
 de
 copier
 et
 de
<br />

transporter
la
musique.
<br />

Ce
sont
deux
améliorations
majeures
qui
profiteront
pleinement
aux
consommateurs.


<br />

Fini,
 les
 musiques
 achetées
 sur
 une
 plateforme
 A
 et
 qu’on
 n’arrive
 pas
 à
 lire
 sur
 un
<br />

lecteur
 B
 ou
 sur
 son
 téléphone
 portable,
 alors
 qu’on
 pouvait
 le
 faire
 sans
 problème
<br />

pour
un
fichier
piraté.
<br />

Fini,
les
sept
mois
et
demi
d’attente
entre
le
film
qui
sort
en
salle
et
son
apparition
en
<br />

vidéo
à
la
demande.
Avec
cet
accord,
six
mois
sépareront
le
film
sur
grand
écran
et
son
<br />

passage
 en
 vidéo
 sur
 petit
 écran…
 C’est
 encore
 beaucoup,
 quand
 on
 sait
 qu’un
 film
<br />

reste
en
moyenne
trois
semaines
sur
un
écran
de
cinéma,
avant
de
laisser
la
place
au
<br />

suivant
!
Mais
c’est
déjà
mieux.
Et
des
discussions
professionnelles
s’engageront
sous
<br />

l’égide
 du
 Centre
 national
 de
 la
 cinématographie
 dans
 les
 meilleurs
 délais,
 pour
<br />

adapter
l’ensemble
de
la
chronologie
des
médias
aux
enjeux
du
numérique,
comme
le
<br />

recommande
le
rapport
de
Denis
Olivennes.
<br />

Je
sais
que
les
exploitants
de
cinéma
sont
attentifs
et
soucieux
de
ces
discussions.
Aussi,
<br />

je
souhaite
être
clair.
Le
cinéma,
je
ne
dirai
jamais
autre
chose,
c’est
avant
tout
une
<br />

rencontre
dans
une
salle
obscure,
sur
un
grand
écran,
entre
un
public
et
une
œuvre.
<br />

C’est
dans
la
salle
que
nous
avons
éprouvé
nos
plus
grandes
émotions
de
cinéma.
Et
les
<br />

exploitants
ne
ménagent
pas
leurs
efforts
pour
atteindre
la
perfection
:
après
le
son
<br />

multicanal,
la
projection
numérique
va
envahir
les
salles
dès
l’année
prochaine,
sans
<br />

même
parler
du
cinéma
en
relief,
qui
sera
la
prochaine
révolution.
Le
cinéma
en
salle,
<br />

c’est
donc
le
passé,
le
présent,
mais
c’est
aussi
l’avenir.
<br />

Dans
 le
 même
 temps,
 la
 carrière
 des
 films
 en
 salle
 s’est
 fortement
 raccourcie,
 le
 «
<br />

home
cinéma
»
est
devenu
une
réalité,
et
il
faut
tenir
compte
des
nouvelles
habitudes
<br />

de
consommation.
Ce
serait
absurde
que
le
spectateur
français
soit
obligé
de
regarder
<br />

des
films
américains,
simplement
parce
que
les
films
français
seraient
bloqués
par
des
<br />

délais
ou
des
exclusivités
trop
contraignantes
!
Je
sais
pouvoir
compter
sur
le
bon
sens
<br />

pour
que
soient
trouvées
rapidement
les
clés
d’une
chronologie
des
médias
adaptée
au
<br />

XXIè
siècle.
<br />

Chère
Christine
Albanel,
Cher
Denis
Olivennes,
grâce
à
votre
ténacité,
votre
patience,
<br />

grâce
 à
 la
 bonne
 collaboration
 établie
 avec
 Christine
 Lagarde
 et
 Rachida
 Dati,
 et
<br />

grâce
à
vous
tous
ici
présents,
vous
avez
permis
la
conclusion
d’un
accord
qui
marque
<br />

le
début
d’une
«
nouvelle
alliance
»
entre
professionnels
des
industries
culturelles
et
<br />

professionnels
des
réseaux.
<br />

Partout,
 aux
 Etats­Unis,
 au
 Royaume­Uni
 et
 ailleurs,
 les
 professionnels
 et
 les
<br />

gouvernements
 essaient
 depuis
 des
 années,
 non
 sans
 mal,
 de
 trouver
 le
 «
 graal
 »
<br />

permettant
 de
 résoudre
 le
 problème
 de
 la
 piraterie.
 Nous
 sommes
 les
 premiers,
 en
<br />

France,
 à
 réussir
 aujourd’hui
 à
 constituer
 une
 grande
 alliance
 nationale
 autour
 de
<br />

propositions
précises
et
opérationnelles.
<br />

Grâce
à
vous
et
à
cet
accord,
la
France
va
retrouver
une
position
de
pays
«
leader
»
<br />

dans
 la
 campagne
 de
 «
 civilisation
 »
 des
 nouveaux
 réseaux.
 La
 musique,
 le
 cinéma,
<br />

mais
aussi
la
presse
et
l’édition,
vont
pouvoir
être
mieux
protégés.
<br />

La
mise
en
œuvre
de
cet
accord,
épuise­t­elle
le
sujet
de
la
création
et
de
l’avenir
de
<br />

nos
industries
culturelles
?
Non,
bien
sûr.
<br />

Nous
 devons
 veiller
 à
 réformer
 un
 système
 de
 régulation
 et
 de
 financement
 de
<br />

l’audiovisuel
dont
les
fondements
reposent
sur
l’univers
de
la
télévision
hertzienne,
et
<br />

mieux
prendre
en
compte
les
nouveaux
réseaux.
La
nouvelle
directive
européenne
sur
<br />

les
médias
audiovisuels,
qui
vient
d’être
adoptée
à
Bruxelles,
nous
en
offre
le
cadre
et
<br />

la
possibilité.
Il
faut
y
travailler
avec
pragmatisme,
de
manière
globale,
en
se
donnant
<br />

le
 temps
 de
 la
 réflexion.
 La
 transposition
 de
 notre
 régulation
 audiovisuelle
 est
 une
<br />

entreprise
progressive,
tout
comme
l’obtention
du
taux
de
TVA
réduit
sur
l’ensemble
<br />

des
biens
culturels.
<br />

Il
 y
 a
 également
 des
 mesures
 d’urgence
 à
 prendre,
 pour
 permettre
 à
 l’industrie
<br />

musicale
 de
 survivre
 et
 lui
 donner
 le
 temps
 de
 s’adapter
 au
 nouveau
 modèle
 qui
 se
<br />

60




<br />

Presidente
 francese
 Sarcozy
 ed
 il
 memorandum
 commissionato
<br />

dal
Governo
a
Monsieur
Olivennes 30.
<br />

Come
si
fa
a
prendere
sul
serio
un
politico
che
‐
prendendo
<br />

in
 prestito
 parole
 sino
 a
 ieri
 utilizzate
 dai
 rappresentanti
<br />

dell'industria
 audiovisiva
 come
 puntualmente
 ricorda
 Punto
<br />

informatico
‐
ha
detto
"Corriamo
il
rischio
di
essere
testimoni
della
<br />

distruzione
della
cultura.
Internet
non
deve
diventare
un
Far
West
<br />

di
 alta
 tecnologia,
 una
 zona
 senza
 normative
 dove
 i
 fuorilegge
<br />

possano
 sottrarre
 le
 opere
 dell'ingegno
 senza
 farsi
 problemi
 o,
<br />

peggio
ancora,
venderle
nella
più
assoluta
impunità.
E
sulle
spalle
<br />

di
chi?
Sulle
spalle
degli
artisti"?
<br />

























































<br />

dessine.
Un
crédit
d’impôt
applicable
aux
productions
phonographiques
a
été
voté
l’an
<br />

dernier,
 mais
 sa
 mise
 en
 œuvre
 est
 limitée
 par
 des
 critères
 trop
 contraignants.
 Je
<br />

souhaite
 donc
 que
 le
 régime
 de
 ce
 crédit
 d’impôt
 soit
 amélioré,
 et
 notifié
 à
 la
<br />

Commission
 européenne
 dans
 les
 plus
 brefs
 délais
 pour
 pouvoir
 être
 applicable
 aux
<br />

investissements
 consentis
 en
 2007.
 De
 même,
 je
 souhaite
 que
 s’accélèrent
 les
<br />

discussions
 engagées
 entre
 l’institut
 de
 financement
 du
 cinéma
 et
 des
 industries
<br />

culturelles
 (IFCIC),
 et
 la
 Caisse
 des
 Dépôts
 et
 Consignations,
 pour
 permettre,
 dès
 le
<br />

début
 de
 l’année
 prochaine,
 de
 tripler
 le
 volume
 du
 fonds
 d’avances
 remboursables
<br />

consenties
aux
entreprises
musicales.
<br />

De
la
même
façon,
je
souhaite
que
le
crédit
d’impôt
en
faveur
du
jeu
vidéo
en
cours
<br />

d’examen
à
Bruxelles
depuis
près
d’un
an,
puisse
entrer
rapidement
en
vigueur,
pour
<br />

freiner
la
fuite
de
nos
talents
et
de
nos
entreprises
à
l’étranger
et
faire
en
sorte
que
la
<br />

France
 –
 et
 donc
 l’Europe
 –
 retrouve
 sa
 compétitivité
 face
 aux
 studios
 nordaméricains
et
asiatiques.
Le
jeu
vidéo
peut
devenir
un
art
du
XXIè
siècle
s’il
parvient
à
<br />

échapper
aux
dérives
qui
menacent
un
certain
cinéma
international,
prompt
à
séduire
<br />

et
à
divertir,
appelant
aux
pulsions
les
plus
primitives,
mais
impuissant
à
épanouir
et
<br />

fournir
 du
 sens.
 Avec
 leurs
 bataillons
 de
 scénaristes,
 graphistes
 et
 autres
<br />

compositeurs,
les
entreprises
du
jeu
vidéo
constituent
déjà
une
économie
prospère.
Il
<br />

serait
inexplicable
de
ne
pas
l’encourager.
<br />

Enfin,
 je
 suis
 attentif
 au
 souhait
 exprimé
 en
 faveur
 d’une
 révision
 du
 crédit
 d’impôt
<br />

aux
 productions
 cinématographiques,
 pour
 l’étendre
 aux
 sociétés
 étrangères
<br />

désireuses
 de
 réaliser
 d’importantes
 productions
 en
 France.
 Cette
 mesure
 doit
 être
<br />

expertisée,
 sachant
 que
 la
 priorité
 est
 la
 préservation
 et
 la
 consolidation
 du
 régime
<br />

des
SOFICA.
<br />

Mesdames
et
Messieurs,
<br />

En
signant
cet
accord
historique,
vous
avez,
vous
les
acteurs
de
la
culture,
et
vous
les
<br />

opérateurs
de
l’internet,
pris
une
responsabilité,
et
même
un
risque.
Mais
vous
saviez
<br />

que
le
risque
le
plus
grand
était
de
ne
rien
faire.
C’était
le
risque
de
se
laisser
mourir.
<br />

Les
 uns
 parce
 qu’ils
 ne
 pourraient
 plus
 rien
 produire.
 Les
 autres,
 parce
 qu’ils
<br />

n’auraient
plus
rien
à
diffuser.
<br />

L’art
est
la
chose
fragile
la
plus
fragile
et
la
plus
nécessaire.
Nous
avons
réussi,
grâce
à
<br />

la
persévérance
de
nos
aînés,
à
faire
en
sorte
que
nos
villes,
nos
campagnes,
abritent
<br />

des
monuments,
des
théâtres,
des
salles
de
concert,
des
écoles
et
des
conservatoires.
Il
<br />

n’y
 a
 pas
 de
 raison
 qu’il
 en
 soit
 différemment
 sur
 les
 nouveaux
 réseaux.
 Il
 faut
<br />

qu’Internet
soit
une
fenêtre
civilisée
ouverte
sur
toutes
les
cultures
du
monde.
Je
suis
<br />

heureux
que
votre
accord
soit
une
étape
décisive
en
ce
sens.
<br />

30 
 Il
 testo
 del
 rapporto
 è
 disponibile
 in
 .pdf
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.elysee.fr/download/?mode=press&filename=rapport‐<br />

missionOlivennes‐23novembre2007.pdf
<br />

61




<br />


<br />

Come
si
fa
a
prendere
sul
serio
uno
Studio
(per
usare
un
<br />

eufemismo)
sul
futuro
dell'audiovisivo
e
sui
rimedi
per
garantirne
<br />

lunga
 vita
 commissionato
 al
 rappresentante
 dell'industria
<br />

audiovisiva
d'oltralpe?
<br />

Chi
 vuole
 solo
 ridere
 può
 fermarsi
 qui
 ma
 il
 punto
<br />

fondamentale
è
un
altro.
<br />

La
 ricetta
 Olivennes
 sta
 facendo
 il
 giro
 del
 mondo
 e
 sta
<br />

legittimando
 l'industria
 audiovisiva
 a
 chiedere
 a
 gran
 voce
<br />

analoghi
interventi
in
tutti
i
Paesi.
<br />

La
filosofia
<strong>alla</strong>
base
dell'iniziativa
francese
non
è
tuttavia
<br />

condivisibile
 ed
 è
 claudicante
 ed
 infondata
 da
 un
 punto
 di
 vista
<br />

giuridico
 perché
 muove
 dall'assunto
 secondo
 il
 quale
 la
<br />

repressione
 del
 fenomeno
 della
 pirateria
 audiovisiva
<br />

legittimerebbe
 il
 travalicamento
 di
 ogni
 diritto
 e
 libertà
 degli
<br />

utenti.
<br />

Non
è
così.
<br />

Il
 diritto
 d'autore
 riveste
 una
 posizione
 di
 assoluta
<br />

centralità
nella
società
dell'informazione
o
nell'era
dell'accesso
per
<br />

dirla
 con
 Jeremy
 Rifkin
 ma
 è
 pur
 sempre
 un
 diritto
 patrimoniale
<br />

(almeno
nella
componente
cara
all'industria
audiovisiva)
che
deve
<br />

cedere
 il
 passo
 ‐
 e
 non
 può
 travolgere
 ‐
 diritti
 e
 libertà
<br />

fondamentali
della
popolazione
globale
quale
quello
<strong>alla</strong>
privacy
e
<br />

quella
<strong>alla</strong>
libertà
di
manifestazione
del
pensiero.
<br />

Le
tecnologie
di
filtraggio
e
monitoraggio
degli
utenti
che
<br />

nel
 memorandum
 si
 propone
 di
 far
 adottare
 da
 ISP
 e
 industria
<br />

audiovisiva,
invece,
vanno
proprio
in
questa
direzione.
<br />

La
speranza,
a
questo
punto,
è
che
la
<strong>Rete</strong>
faccia
quadrato
<br />

attorno
a
se
stessa
e
che
la
cultura
giuridica
del
vecchio
continente
<br />

sia
 sufficientemente
 radicata
 da
 respingere
 questo
 attacco
 ai
 più
<br />

elementari
principi
di
civiltà
prima
ancora
che
di
diritto.
<br />


<br />

La
privatizzazione
dell’IP
enforcement
<br />

26
settembre
2008
<br />

Punto
Informatico
<br />

In
 poche
 ore
 la
 notizia
 dell’annullamento
 del
<br />

provvedimento
 con
 il
 quale
 nell’agosto
 scorso
 la
 Procura
 della
<br />

Repubblica
 di
 Bergamo
 aveva
 “vietato
 l’approdo”
 sulla
 baia
 dei
<br />

pirati
(thepiratebay.org)
si
è
diffusa
in
<strong>Rete</strong>
dando
vita
a
reazioni
<br />

entusiastiche
 di
 intensità
 pari
 a
 quelle
 di
 sdegno
 e
 delusione
 che
<br />

avevano
salutato
la
notizia
del
sequestro.
<br />

Non
 si
 conoscono
 ancora
 le
 motivazioni
 sulla
 base
 delle
<br />

quali
 i
 Giudici
 del
 Tribunale
 di
 Bergamo
 sono
 pervenuti
 <strong>alla</strong>
<br />

decisione
 di
 questa
 mattina
 ed
 è,
 naturalmente
 possibile
 che
 tali
<br />

62



motivazioni
concernino
la
procedura
piuttosto
che
il
merito
della
<br />

questione.
<br />

L’occasione,
 tuttavia,
 mi
 sembra
 opportuna
 per
 svolgere
<br />

qualche
 considerazione
 su
 quanto
 sta
 accadendo
 sul
 terreno
<br />

dell’enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale.
<br />

C’è,
 infatti,
 una
 sottile
 linea
 rossa
 che
 unisce
 il
 caso
<br />

Thepiratebay,
la
vicenda
Peppermint,
la
questione
legata
al
venir
<br />

meno
 dell’obbligo
 di
 apposizione
 del
 contrassegno
 SIAE
 della
<br />

quale
 ci
 si
 è
 occupati
 nei
 giorni
 scorsi
 su
 queste
 pagine
 e
 la
<br />

soluzione
 francese
 Olivennes
 –
 Sarkozy
 per
 la
 lotta
 <strong>alla</strong>
 pirateria
<br />

audiovisiva
on‐line.
<br />

Il
 denominatore
 comune
 è,
 in
 tutti
 questi
 casi,
<br />

rappresentato
 da
 un
 eccesso
 di
 privatizzazione
 dell’enforcement
<br />

dei
diritti
di
proprietà
intellettuale.
<br />

Nel
 caso
 Thepiratebay
 –
 ancorché
 gli
 esatti
 termini
 della
<br />

vicenda
non
siano
stati
ancora
accertati
giudizialmente
–
è,
ormai,
<br />

pacifico
 che
 nel
 corso
 dell’esecuzione
 del
 sequestro
 sia
 stato
<br />

ordinato
–
magari
semplicemente
per
errore
–
agli
Internet
Service
<br />

Provider
italiani
di
reindirizzare
il
traffico
degli
utenti
diretti
<strong>alla</strong>
<br />

baia
dei
pirati
verso
un’altra
baia
battente
bandiera
delle
major.
<br />

Al
riguardo
mi
sembra
ci
sia
poco
da
aggiungere
a
quanto
<br />

spiegato
in
termini
assai
chiari
da
Matteo
G.
Flora
in
questo
video 31.

<br />

Nella
 vicenda
 Peppermint,
 egualmente,
 l’etichetta
<br />

discografica
 tedesca
 aveva
 ben
 pensato
 di
 affidare
 l’attività
<br />

investigativa
 propedeutica
 <strong>alla</strong>
 richiesta
 risarcitoria
 poi
 rivolta
 a
<br />

migliaia
 di
 utenti
 di
 mezz’Europa
 ad
 una
 società
 investigativa
<br />

privata
 svizzera,
 la
 Logistep
 AG
 salvo
 poi,
 ricorrere,
 all’Autorità
<br />

giudiziaria
per
ottenere
il
“ricongiungimento”
degli
IP
tracciati
con
<br />

i
nominativi
dei
presunti
pirati.
<br />

In
 Francia
 Sarkozy
 ed
 Oliviennes
 si
 propongono
 di
<br />

assicurare
 adeguata
 tutela
 ai
 titolari
 dei
 diritti
 di
 proprietà
<br />

intellettuale
 imponendo
 agli
 Internet
 Service
 Provider
 –
 dei
<br />

soggetti
 di
 diritto
 privato
 –
 di
 risolvere
 ex
 lege
 i
 contratti
 di
<br />

connessione
 ad
 Internet
 di
 quegli
 utenti
 che
 –
 senza
 neppure
<br />

bisogno
 di
 un
 processo
 dinanzi
 ad
 un’Autorità
 giurisdizionale
 –
<br />

venissero
colti
con
le
mani
nel
barattolo
della
marmellata
ops…con
<br />

il
mouse
su
un
link
che
consenta
il
download
di
materiale
protetto.
<br />

Nel
 più
 recente
 affaire
 contrassegno
 SIAE,
 la
 società
<br />

italiana
di
intermediazione
dei
diritti
d’autore,
difende,
in
proprio
<br />

–
 e
 contro
 il
 volere
 e
 gli
 interessi
 delle
 stesse
 etichette
<br />

























































<br />


<br />

31 
Il
riferimento
è
ad
un
video
attraverso
il
quale
Matteo
G.
Flora
spiega
come
sia
<br />

stato
realizzato
il
redirect
del
quale
si
parla
nel
post.
Il
video
è
reperibile
a
questa
<br />

URL:
(http://it.youtube.com/watch?v=Yw3GswvJCXo).
<br />


<br />

63




<br />

discografiche
–
una
norma,
pressoché
unica
in
Europa,
per
effetto
<br />

della
 quale,
 di
 fatto,
 è
 essa
 stessa
 a
 valutare
 preliminarmente
 la
<br />

legittimità
 o
 illegittimità
 dell’utilizzo
 di
 una
 determinata
 opera
<br />

dell’ingegno,
 pretendendo
 poi
 –
 ancora
 oggi
 –
 di
 rilasciare
 il
<br />

contrassegno
quasi
si
trattasse
di
un
“visto
si
stampi”.
<br />

Non
 è
 una
 mia
 conclusione
 ma
 il
 contenuto
 letterale
 dei
<br />

commenti
 che
 la
 Commissione
 Europea
 ha
 trasmesso
 al
 Governo
<br />

Italiano
 in
 relazione
 <strong>alla</strong>
 nuova
 proposta
 di
 regolamento
 relativo
<br />

alle
modalità
di
apposizione
del
contrassegno
che
il
nostro
Paese
si
<br />

è
 visto
 costretto
 a
 notificare
 a
 Bruxelles
 a
 seguito
 della
 Sentenza
<br />

Schubert
che
ha
accertato
l’illegittimità
della
previgente
normativa
<br />

in
materia.
<br />

Si
 tratta
 di
 vicende
 assai
 diverse
 ma
 accomunate
 da
 un
<br />

preoccupante
 comun
 denominatore:
 un’evidente
 privatizzazione
<br />

della
giustizia
che,
inesorabilmente,
produce
–
almeno
a
livello
di
<br />

rischio
–
forme
di
grave
violazione
di
diritti
di
rango
pari‐oridinato
<br />

rispetto
 a
 quelli
 di
 proprietà
 intellettuale:
 la
 privacy
 degli
 utenti
<br />

nel
 caso
 PirateBay
 e
 Peppermint,
 la
 libertà
 di
 manifestazione
 del
<br />

pensiero
nella
sua
più
moderna
accezione
di
accesso
<strong>alla</strong>
<strong>Rete</strong>
nel
<br />

caso
 della
 nuova
 disciplina
 francese
 sull’enforcement
 dei
 diritti
<br />

d’autore
e
la
libertà
d’impresa
nel
caso
del
contrassegno
SIAE.
<br />

La
questione
non
concerne,
ovviamente,
la
commistione
di
<br />

interessi
 pubblici
 e
 privati
 sul
 tema
 della
 proprietà
 intellettuale;
<br />

tale
 commistione
 è
 naturale
 e
 discende
 d<strong>alla</strong>
 natura
 stessa
 dei
<br />

diritti
d’autore.
<br />

Il
problema
che
sta
emergendo
con
forza
è,
invece,
un
altro
<br />

e
concerne,
piuttosto,
la
crescente
privatizzazione
dell’enforcement
<br />

dei
 diritti
 di
 proprietà
 intellettuale
 nella
 fase
 investigativa,
 in
<br />

quella
 dell’accertamento
 della
 violazione
 nonché
 in
 quella
<br />

dell’eventuale
irrogazione
della
sanzione.
<br />

Negli
 ultimi
 mesi,
 sotto
 tale
 profilo,
 stiamo
 assistendo
 ad
<br />

un
 processo
 di
 privatizzazione
 di
 attività
 che
 dovrebbero
 essere
<br />

appannaggio
esclusivo
dell’autorità
giudiziaria
che
non
ha
eguali
in
<br />

nessun
altro
settore
dell’Ordinamento.
<br />

In
caso
di
furto
di
beni
materiali
il
proprietario
della
cosa
<br />

rubata
 non
 può
 farsi
 le
 indagini
 da
 solo
 o
 prestare
 strumenti
 di
<br />

indagine
 <strong>alla</strong>
 polizia
 giudiziaria,
 nella
 circolazione
 dei
 beni
<br />

materiali
non
c’è
nessuna
autorità
–
e
tantomeno
un’autorità
non
<br />

giurisdizionale
ed
espressione
di
interessi
di
parte
–
che
“certifica”
<br />

mediante
l’apposizione
di
un’etichetta
la
liceità
della
provenienza
<br />

del
bene
e,
infine,
in
nessun
caso
di
reato
commesso
con
il
mezzo
<br />

della
 stampa
 si
 ordina
 allo
 stampatore
 di
 risolvere
 ex
 lege
 
 i
<br />

contratti
con
l’editore
precludendo,
così,
a
quest’ultimo
di
arrivare
<br />

con
i
suoi
prodotti
nelle
edicole.
<br />

64




<br />

Si
 tratta
 di
 un’anomalia
 grave
 le
 cui
 conseguenze
 sono
<br />

sotto
gli
occhi
di
tutti.
<br />

Sarebbe,
tuttavia,
troppo
facile
imputare
le
responsabilità
<br />

esclusive
 di
 questo
 processo
 di
 privatizzazione‐degenerazione
<br />

della
giustizia
all’industria
discografica,
<strong>alla</strong>
SIAE
o
alle
lobby
che,
<br />

in
Francia,
hanno
dettato
la
loro
legge
all’Esecutivo.
<br />

La
questione
è,
infatti,
più
complessa:
i
portatori
di
diritti
<br />

ed
 interessi
 sul
 mercato
 della
 proprietà
 intellettuale
 stanno
<br />

riempiendo
 vuoti
 normativi
 relativi
 <strong>alla</strong>
 disciplina
 della
<br />

circolazione
 dei
 contenuti
 digitali
 creati
 d<strong>alla</strong>
 pressoché
 totale
<br />

assenza
 di
 una
 seria
 politica
 legislativa
 dell’innovazione
 e
<br />

saturando
spazi
nell’attività
di
enforcement
dei
diritti
di
proprietà
<br />

intellettuale
che
dovrebbero
risultare
già
coperti
dalle
competenti
<br />

Autorità
 cui
 andrebbero
 messi
 a
 disposizione
 mezzi
 e
 risorse
<br />

proprie
 anziché
 costringerle
 ad
 elemosinare
 esperti,
 strumenti
<br />

informatici
e
server
da
questo
o
quel
soggetto
privato.
<br />

La
lezione
che
da
vicende
come
quella
di
The
Piratebay
–
<br />

ma
 anche
 dalle
 altre
 sopra
 ricordate
 –
 credo
 vada
 tratta
 è
 che
<br />

ferma
 restando
 la
 possibilità
 dei
 titolari
 dei
 diritti
 di
 agire
 sul
<br />

piano
 civilistico
 per
 il
 risarcimento
 dei
 danni
 eventualmente
<br />

sofferti,
l’accertamento
degli
illeciti
di
carattere
pubblicistico
deve
<br />

rimanere
 appannaggio
 esclusivo
 delle
 forze
 di
 polizia
 e
<br />

dell’Autorità
giudiziaria.
<br />


<br />

Dal
 vostro
 inviato
 nella
 preistoria
 della
 proprietà
<br />

intellettuale!
<br />

26
giugno
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=317
<br />


<br />

Roma,
Tempio
di
Adriano,
26
giugno
2008,
ore
15.15,
c’è
il
<br />

pubblico
 delle
 grandi
 occasioni
 ad
 ascoltare
 le
 parole
 di
 Denis
<br />

Olivennes,
Presidente
della
Fnac,
direttore
del
Nouvel
Observateur
<br />

e,
 soprattutto,
 Presidente
 della
 Commissione
 francese
 per
 lo
<br />

sviluppo
e
la
protezione
delle
opere
culturali
nella
rete.
<br />

E’
 lui
 che
 nel
 novembre
 dello
 scorso
 anno
 ha
 fatto
 da
<br />

“notaio”
–
direi
un
po’
di
parte
–
nella
ratifica
dello
storico
accordo
<br />

tra
l’industria
francese
dei
contenuti,
gli
Internet
Service
provider
<br />

e
le
istituzioni
Francesi
e
che
è
poi
stato
l’ispiratore
del
disegno
di
<br />

legge
 che
 il
 ministro
 della
 Cultura
 Francese
 ha
 presentato
 nei
<br />

giorni
scorsi
al
Consiglio
dei
Ministri 32.
<br />

























































<br />

32 
 Il
 testo
 integrale
 dell’accordo
 è
 disponibile
 a
 questa
 URL:
<br />

http://lesrapports.ladocumentationfrancaise.fr/cgi‐<br />

bin/brp/telestats.cgi?brp_ref=074000726&brp_file=0000.pdf
<br />

65




<br />

Si
tratta,
come
ho
già
scritto
–
ma
questo
né
Olivennes
né
<br />

nessun
altro
degli
illustri
relatori
nel
salotto
del
tempio
di
Adriano
<br />

ieri
lo
ha
detto
–

di
un'iniziativa
legislativa
che
ha
formato
oggetto
<br />

di
pesanti
critiche
da
parte
delle
istituzioni
europee
e
di
non
meno
<br />

pesanti
rilievi
da
parte
del
Consiglio
di
Stato
francese.
<br />

Tutto
questo,
tuttavia,
non
conta.
<br />

Olivennes
 si
 dice
 convinto
 che
 il
 disegno
 di
 Legge
 in
<br />

Francia
sarà
approvato
entro
dicembre
ed
invita
l’Italia
a
seguire
<br />

l’esempio
dei
cugini
d’oltralpe.
<br />

Dal
 salotto,
 il
 Presidente
 Assumma
 si
 complimenta
 ed
<br />

annuisce
 e
 l’On.
 Carlucci
 –
 presente
 in
 qualità
 di
 membro
 della
<br />

Commissione
 Cultura
 della
 Camera
 nonché
 (lo
 dice
 il
 Presidente
<br />

Assumma)
 di
 “bella
 donna,
 madre
 di
 famiglia
 e
 soprattutto
<br />

protettrice
 del
 diritto
 d’autore”
 –
 si
 spertica
 in
 parole
 di
<br />

ammirazione
 verso
 l’opera
 di
 Olivennes
 salvo
 poi
 chiedere
 al
<br />

patron
 della
 FNAC
 chiarimenti
 circa
 quanto
 accaduto
 in
 Francia
<br />

(ma
 come
 avete
 fatto?
 C’è
 stato
 un
 accordo?),
 manifestando
 così
<br />

una
conoscenza
quantomeno
approssimativa
dell’argomento
di
cui
<br />

si
discute.

<br />

Qualche
minuto
dopo,
tuttavia,
l’On.
Carlucci
si
riprende
e,
<br />

dando
 prova
 di
 grande
 decisionismo,
 dà
 forma
 e
 concretezza,
 in
<br />

poche
battute,
al
peggior
incubo
di
tutti
gli
utenti
italiani
della
<strong>Rete</strong>
<br />

e
di
quanti
sono
convinti
che
Internet
più
che
una
minaccia
per
il
<br />

patrimonio
culturale,
costituisca
una
grande
opportunità.Ecco
uno
<br />

stralcio
 del
 suo
 intervento
 (parola
 più
 o
 parola
 meno
 perché
 ero
<br />

troppo
 esterrefatto
 da
 quello
 che
 sentivo
 per
 prendere
 nota
<br />

puntualmente):
 L’italia
 seguirà
 l’esempio
 francese
 tanto
 più
 che
<br />

stiamo
 entrando
 nel
 semestre
 francese
 di
 presidenza
 dell’Unione
<br />

Europea.

<br />

Ho
già
chiesto
al
Presidente
della
commissione
Cultura
di
<br />

promuovere
 un’indagine
 conoscitiva
 sulla
 pirateria
 in
 modo
 tale
<br />

da
 poter
 poi
 procedere
 in
 tempi
 brevissimi,
 senza
 neppure
<br />

sottoporre
 la
 questione
 alle
 due
 camere,
 all’approvazione
 di
 un
<br />

disegno
di
legge
sul
modello
di
quello
Sarkozy‐Olivennes.

<br />

Certo
 bisognerà
 convincere
 le
 (cattivissime)
 telecoms
 a
<br />

siglare
un
accordo
analogo
a
quello
firmato
in
Francia
ma
…si
può
<br />

fare.
<br />

E’
 questa
 la
 sintesi
 di
 un
 dibattito,
 per
 il
 resto,
 noioso,
<br />

piatto,
privo
di
stimoli:
l’Italia
vuole
seguire
l’esempio
francese
o
<br />

meglio,
 i
 titolari
 dei
 diritti
 d’autore
 e,
 ancor
 di
 più,
 le
 società
 di
<br />

intermediazione
dei
diritti
vogliono
seguire
l’esempio
francese
ed
<br />

il
legislatore
sembra
pronto
–
come
è
sempre
sin
qui
accaduto
–
ad
<br />

appoggiarli
 in
 questa
 ennesima
 guerra
 santa
 contro
 i
 mulini
 a
<br />

vento.

<br />

66



La
domanda
nel
titolo
del
convegno
–
creatività
e
cultura
<br />

nel
web:
opportunità
o
minaccia?
–
suona
retorica.
Sulle
poltrone
<br />

bianche
 sono
 tutti
 convinti
 che
 il
 web
 costituisca
 solo
 una
<br />

minaccia.Possibile.
Ma
viene
da
chiedersi:
una
minaccia
per
chi?.

<br />

Per
 i
 fruitori
 di
 cultura
 o,
 piuttosto
 per
 le
 sole
 società
 di
<br />

intermediazione
dei
diritti
e
per
qualche
produttore
e
distributore
<br />

di
 contenuti
 meno
 lungimirante
 degli
 altri
 
 e
 meno
 pronto
 ad
<br />

abbandonare
 i
 vecchi
 modelli
 di
 business
 e
 ad
 impiegare
 la
 <strong>Rete</strong>
<br />

per
distribuire
le
proprie
opere
in
un
mercato
milioni
di
volte
più
<br />

grande
di
quello
di
un
tempo?

<br />

Antonello
 Busetto
 –
 responsabile
 degli
 affari
 istituzionali
<br />

di
Confindustria
servizi
innovativi
e
telematici
–
prova
a
rompere
<br />

la
 cortina
 di
 affermazioni
 apodittiche
 e
 preconcette,
 ricordando
<br />

che
 secondo
 dati
 del
 Censis
 l’utilizzo
 principale
 che
 gli
 italiani
<br />

fanno
 di
 internet
 non
 è
 
 il
 download
 di
 opere
 protette
 ma
 l’On.
<br />

Carlucci
–
nella
sua
qualità,
questa
volta,
di
mamma
–
lo
corregge,
<br />

o
meglio,
corregge
il
Censis:‐“Quelli
sono
i
dati
ufficiali!

<br />

Sappiamo
 tutti
 che
 non
 sono
 attendibili.
 Io
 da
 mamma
<br />

posso
 dire
 che
 vedo
 che
 mio
 figlio
 ed
 i
 suoi
 amici
 tendono
 ad
<br />

utilizzare
 la
 <strong>Rete</strong>
 quasi
 esclusivamente
 per
 scaricare
 materiale
<br />

protetto!”.

<br />

Scriverei
 per
 ore
 di
 quello
 che
 ho
 sentito
 ieri:
 un
<br />

linguaggio
 arcaico,
 concetti
 ed
 idee
 vecchie
 di
 dieci
 anni
<br />

contrabbandate
come
soluzioni
innovative
e,
soprattutto,
assiomi
e
<br />

teoremi
 fondati
 esclusivamente
 su
 preconcetti
 ma…preferisco
<br />

guardare
avanti.

<br />

Il
momento
è
grave.

<br />

Occorre
organizzarsi,
preparare
una
reazione
equilibrata,
<br />

ferma,
decisa
che
senza
rubare
alcunché
ai
titolari
dei
diritti,
tuteli,
<br />

ad
un
tempo,
l’accesso
al
patrimonio
culturale
globale
cui
ciascuno
<br />

di
 noi
 ha
 diritto
 e,
 soprattutto,
 gli
 altri
 diritti
 fondamentali
<br />

dell’uomo
 e
 del
 cittadino
 che
 la
 soluzione
 francese,
 ignora,
<br />

travolge,
 dimentica…Sentiamoci,
 parliamone,
 in
 modo
 aperto,
<br />

moderno,
 condiviso…la
 <strong>Rete</strong>
 non
 sarà
 il
 tempio
 di
 Adriano
<br />

ma…anche
 qui
 è
 possibile
 confrontarsi
 e,
 forse,
 contribuire
 <strong>alla</strong>
<br />

realizzazione
 di
 un
 futuro
 migliore
 rispetto
 a
 quello
 che
 i
 vecchi
<br />

numi
 tutelari
 dell’industria
 audiovisiva
 vorrebbe
 consegnarci
 e
<br />

consegnare
alle
generazioni
che
verranno…
<br />


<br />

Diritto
d'autore:
serve
una
soluzione
ma
non
quella
francese
<br />

23
giugno
2008
<br />

Punto
Informatico
<br />


 
<br />


<br />


<br />

67




<br />

La
proprietà
intellettuale
è
la
protagonista
indiscussa
della
<br />

società
dell'informazione
e
non
è
possibile
immaginare
lo
sviluppo
<br />

culturale
della
comunità
globale
in
assenza
di
un
quadro
di
regole
<br />

certo,
 chiaro
 ed
 univoco
 che
 tuteli
 adeguatamente
 i
 titolari
 dei
<br />

diritti
incentivandoli
a
continuare
a
creare
nuove
opere
e
che,
ad
<br />

un
tempo,
garantisca
agli
utenti
legittimi
di
tali
opere
il
diritto
<strong>alla</strong>
<br />

loro
fruizione
libera
da
ogni
vincolo,
legaccio,
condizionamento
o
<br />

altro
tipo
di
limite
tecnico
o
giuridico.
<br />

L'impianto
 della
 legge
 sul
 diritto
 d'autore
 ed
 i
 principi
<br />

fondamentali
sui
quali
essa
è
basata
restano,
a
mio
avviso,
attuali
e
<br />

vanno
 rispettati
 e
 salvaguardati
 anche
 nell'Era
 dell'accesso:
<br />

l'autore
 ha
 diritto
 a
 veder
 remunerato
 il
 suo
 sforzo
 creativo
 a
<br />

fronte
 della
 messa
 a
 disposizione
 della
 collettività
 della
 propria
<br />

opera.
<br />

È,
 tuttavia,
 innegabile
 che
 le
 nuove
 tecnologie
 digitali
 e
<br />

telematiche
abbiano
inciso
‐
e
continuino
ad
incidere
‐
in
maniera
<br />

forte
 sulle
 dinamiche
 della
 produzione,
 distribuzione
 e
 fruizione
<br />

dei
 contenuti
 digitali,
 imponendo
 un
 ripensamento
 radicale
 di
<br />

metodi
di
business,
abitudini
di
consumo
e
di
talune
disposizioni
<br />

contenute
nella
vigente
disciplina
della
materia.
<br />

Le
 libere
 utilizzazioni,
 le
 modalità
 tecniche
 e
 negoziali
 di
<br />

accesso
ai
contenuti
digitali,
i
limiti
al
ricorso
a
misure
tecniche
di
<br />

protezione
da
parte
dei
titolari
dei
diritti,
l'enforcement
dei
diritti
<br />

di
 proprietà
 intellettuale
 sono
 solo
 alcune
 delle
 materie
 in
<br />

relazione
 alle
 quali
 la
 vigente
 disciplina
 ha
 manifestato
 segnali
<br />

forti
di
inadeguatezza
ed
inidoneità.
<br />

Il
tema
è
complesso
ed
il
contesto
economico
e
tecnologico
<br />

di
 riferimento
 è
 in
 continua
 evoluzione
 con
 la
 conseguenza
 che,
<br />

probabilmente,
nessuno,
allo
stato,
dispone
di
"ricette
magiche"
in
<br />

grado
 di
 risolvere
 i
 problemi
 sul
 tavolo:
 un'industria
 audiovisiva
<br />

che
 denuncia
 ogni
 anno
 gravissime
 perdite
 ‐
 vere,
 presunte
 o
<br />

esagerate
 che
 siano
 ‐
 a
 causa
 della
 pirateria
 e
 consumatori
 e
<br />

fruitori
 di
 contenuti
 digitali
 costretti
 a
 subire
 ‐
 consapevolmente
<br />

ed
inconsapevolmente
‐
monitoraggi
di
massa,
forti
limitazioni
al
<br />

proprio
diritto
<strong>alla</strong>
privacy
ed
<strong>alla</strong>
propria
libertà
di
informazione
<br />

ed
inammissibili
processi
sommari.
<br />

È
difficile,
in
tale
contesto,
delineare
possibili
soluzioni
ma
<br />

la
strada
da
seguire
non
può
e
non
deve
essere
quella
tracciata
dal
<br />

Governo
francese
nel
disegno
di
legge
che
il
Ministro
della
Cultura
<br />

e
della
comunicazione
ha
presentato
il
18
giugno
al
Consiglio
dei
<br />

Ministri
 perché
 esso
 muove
 da
 un
 presupposto
 inaccettabile:
<br />

quello
 secondo
 cui
 i
 diritti
 patrimoniali
 d'autore
 andrebbero
<br />

collocati
 in
 una
 posizione
 sovraordinata
 rispetto
 ad
 altri
 diritti
 e
<br />

libertà
 fondamentali
 dell'uomo
 e
 del
 cittadino
 quali
 la
 libertà
<br />

all'informazione
 ‐
 nella
 sua
 duplice
 accezione
 di
 diffondere
 e
<br />

68




<br />

ricercare
 informazioni
 ‐
 ed
 il
 diritto
 <strong>alla</strong>
 riservatezza
 ed
 <strong>alla</strong>
<br />

privacy 33.
<br />

Si
 tratta
 di
 aspetti
 che
 hanno
 già
 portato
 le
 Istituzioni
<br />

Europee
prima
ed
il
Consiglio
di
Stato
francese
poi
a
pronunciarsi
<br />

in
termini
fortemente
critici
verso
il
disegno
di
legge
francese.
<br />

Il
 Governo,
 tuttavia,
 è
 sin
 qui
 andato
 per
 la
 sua
 strada
 e
<br />

sussiste,
 sfortunatamente,
 il
 rischio
 concreto
 che
 l'esempio
<br />

francese
venga
presto
seguito
anche
dagli
esecutivi
e
dai
legislatori
<br />

di
 altri
 Paesi,
 come
 conferma
 l'interesse
 delle
 società
 italiane
 di
<br />

intermediazione
 dei
 diritti
 (SIAE
 ed
 AIE)
 e
 della
 FIMI
 per
 il
<br />

pensiero
 del
 Sig.
 Olivennes,
 patron
 della
 FNAC
 ed
 ispiratore
 ‐
<br />

attraverso
lo
sciagurato
accordo
del
novembre
scorso
‐
del
disegno
<br />

di
legge.
<br />

È
per
questo
che
appare
opportuno
iniziare
a
riflettere
su
<br />

cosa
non
va
della
soluzione
francese.
<br />

Cominciamo
dal
principio.
<br />

(a)
Nel
disegno
di
legge
si
muove
dal
presupposto
che
la
<br />

maggior
tutela
dei
titolari
dei
diritti
ed
il
giro
di
vite
nei
confronti
<br />

degli
 utilizzatori
 sarebbero
 giustificati
 dall'impegno
<br />

"solennemente"
 assunto
 dai
 primi
 ‐
 nell'ambito
 dello
 sciagurato
<br />

accordo
 "Olivennes"
 ‐
 ad
 ampliare
 l'offerta
 legittima
 di
 contenuti
<br />

audiovisivi
 online
 ed
 a
 limitare
 l'uso
 di
 misure
 tecniche
 di
<br />

protezione
non
interoperabili.
<br />

Si
tratta
di
un
approccio
non
condivisibile
né
nel
metodo
<br />

né
nei
contenuti.
<br />

Quanto
 al
 metodo
 perché
 pone
 sullo
 stesso
 piano
<br />

"l'impegno
 solenne"
 assunto
 dalle
 major
 dell'audiovisivo
 ed
 il
<br />

rigidissimo
 quadro
 sanzionatorio
 delineato
 contro
 gli
 utenti
 che
<br />

dovessero
 scaricare
 illegalmente,
 per
 due
 o
 tre
 volte,
 anche
 una
<br />

sola
opera
dell'ingegno.
<br />

Al
 riguardo
 sarebbe
 stato
 almeno
 necessario
 imporre
 ex
<br />

lege
 ai
 titolari
 dei
 diritti
 l'adozione
 di
 modelli
 di
 business
 e
<br />

diffusione
 dei
 contenuti
 digitali
 online
 idonei
 a
 garantire
 un
<br />

effettivo
 ampliamento
 dell'offerta
 legale
 e
 disincentivare
 così,
 in
<br />

modo
naturale,
i
consumatori
dal
ricorso
al
"mercato
pirata".
<br />

Quanto
al
contenuto
perché
ci
si
è
accontentati
di
chiedere
<br />

alle
 major
 dell'audiovisivo
 di
 accorciare
 di
 un
 mese
 e
 mezzo
<br />

l'intervallo
di
tempo
tra
l'arrivo
di
un
film
nelle
sale
e
la
sua
uscita
<br />

su
internet
(da
sette
mesi
e
mezzo
a
sei!)
e
di
rinunciare
‐
in
modo
<br />

























































<br />

33 
Il
testo
del
Disegno
di
Legge
è
reperibile
a
questa
URL:
<br />

http://www.legifrance.gouv.fr/html/actualite/actualite_legislative/protection_inte<br />

rnet.html
<br />

69




<br />

peraltro
 del
 tutto
 generico
 ‐
 all'utilizzo
 di
 misure
 tecniche
 di
<br />

protezione
non
interoperabili
in
relazione
alle
opere
musicali.
<br />

Come
se
in
cambio
della
generica
promessa
degli
inventori
<br />

a
 non
 richiedere
 brevetti
 per
 ritrovati
 non
 originali
 si
<br />

ipotizzassero
 pesantissime
 pene
 detentive
 per
 gli
 eventuali
<br />

contraffattori...
<br />

(b)
 Il
 disegno
 di
 legge
 istituisce
 l'Alta
 Autorità
 per
 la
<br />

diffusione
 delle
 opere
 e
 la
 protezione
 dei
 diritti
 su
 internet
 ed
<br />

attribuisce
 a
 tale
 soggetto
 poteri
 di
 controllo
 e
 sanzionatori
 in
<br />

relazione
agli
illeciti
aventi
ad
oggetto
i
diritti
d'autore
in
<strong>Rete</strong>.
<br />

L'Alta
Autorità
disporrà
di
propri
ispettori
e
potrà
irrogare
<br />

sanzioni
che,
in
taluni
casi
‐
duplice
violazione
dei
diritti
d'autore
<br />

nel
medesimo
anno
‐
potranno
essere
costituite
d<strong>alla</strong>
sospensione
<br />

dell'abbonamento
ad
Internet
e
dall'inibitoria
al
perfezionamento
<br />

di
un
nuovo
contratto
per
un
periodo
compreso
tra
tre
mesi
ed
un
<br />

anno.
<br />

Le
 perplessità,
 concernono,
 ancora
 una
 volta
 tanto
 il
<br />

metodo
che
il
contenuto.
<br />

L'idea
 di
 riconoscere
 ad
 un'Autorità
 indipendente
 ‐
<br />

esclusivamente
 per
 le
 questioni
 della
 <strong>Rete</strong>
 ‐
 poteri
<br />

paragiurisdizionali
 tanto
 pregnanti
 ed
 incisivi
 e
 suscettibili
 di
<br />

limitare
l'esercizio
di
libertà
e
diritti
fondamentali
degli
utenti
non
<br />

appare
condivisibile.
<br />

Lo
stesso
Consiglio
di
Stato
francese,
infatti,
ha
fortemente
<br />

criticato
tale
impostazione.
<br />

Internet
è
solo
un
media
ed
il
regime
giuridico
delle
"cose
<br />

della
<strong>Rete</strong>"
deve,
necessariamente,
essere
lo
stesso
applicabile
alle
<br />

"cose
del
mondo
fisico".
<br />

Quanto
 ai
 contenuti,
 non
 può
 ipotizzarsi
 a
 fronte
 di
 una
<br />

violazione
dei
diritti
patrimoniali
d'autore
la
protratta
privazione
<br />

del
 diritto
 all'uso
 delle
 tecnologie
 telematiche,
 tecnologie
<br />

attraverso
le
quali
oggi
‐
ed
ancor
più
domani
‐
si
esercitano
diritti
<br />

civili,
 si
 interagisce
 con
 la
 pubblica
 amministrazione,
 si
 accede
 a
<br />

servizi
 di
 pubblica
 utilità,
 si
 diffondono
 ed
 acquisiscono
<br />

informazioni
e
si
intrattengono
relazioni
professionali
e
personali.
<br />

Si
 tratta,
 evidentemente,
 di
 sanzioni
 sproporzionate
<br />

rispetto
<strong>alla</strong>
gravità
dell'illecito
e,
soprattutto,
di
un'impostazione
<br />

sintomatica
di
quel
convincimento
‐
cui
si
è
già
fatto
cenno
‐
che
<br />

pone
 il
 diritto
 patrimoniale
 d'autore
 al
 di
 sopra
 di
 ogni
 altro
<br />

diritto.
<br />

(c)
 Sebbene
 nel
 pressoché
 totale
 silenzio
 del
 disegno
 di
<br />

legge,
 l'esercizio
 da
 parte
 dell'Alta
 Autorità
 dei
 poteri
 attribuitile
<br />

ha
per
presupposto
un
ampio
e
massivo
monitoraggio
da
parte
di
<br />

quest'ultima
delle
comunicazioni
elettroniche
poste
in
essere
tra
i
<br />

70




<br />

consumatori
 e
 gli
 utenti
 al
 fine
 di
 identificare
 quelli
 aventi
<br />

asseritamente
per
oggetto
contenuti
protetti
da
diritto
d'autore.
<br />

Si
 tratta
 di
 uno
 scenario
 di
 orwelliana
 memoria
 il
 cui
<br />

impatto
 sul
 diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy
 non
 appare
 attutito
 in
 maniera
<br />

soddisfacente
per
il
solo
fatto
che
tali
attività
sembrano
destinate
<br />

ad
essere
poste
in
essere
da
un'Autorità
indipendente.
<br />

Anche
 sotto
 tale
 angolo
 di
 visuale
 il
 disegno
 di
 legge
 si
<br />

presenta
 fondato
 su
 quel
 già
 denunziato
 approccio
 secondo
 il
<br />

quale,
in
nome
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale,
sarebbe
lecito
<br />

travolgere,
 tra
 gli
 altri,
 il
 diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy
 di
 utenti
 e
<br />

consumatori.
<br />

Posizione
 difficile
 da
 sostenere
 in
 un
 Paese
 come
 l'Italia
<br />

che
si
avvia
a
limitare
le
intercettazioni
telefoniche
in
relazione
a
<br />

reati
 assai
 più
 gravi
 del
 download
 di
 un
 brano
 di
 Madonna
 ed
 a
<br />

limitare
 i
 termini
 per
 il
 data
 retention
 di
 dati
 assai
 meno
<br />

significativi
 di
 quelli
 relativi
 ai
 contenuti
 scambiati
 in
 <strong>Rete</strong>
 da
<br />

milioni
di
utenti.
<br />

C'è
 molto
 altro
 che
 non
 va
 nel
 disegno
 di
 legge
 francese,
<br />

ma
 l'auspicio
 è
 che
 quanto
 sin
 qui
 evidenziato
 sia
 da
 solo
<br />

sufficiente
a
scongiurare
il
rischio
che
qualcuno
si
innamori
della
<br />

soluzione
francese
che
non
risolverà
nessun
problema
e
condurrà
<br />

esclusivamente
 ad
 una
 sempre
 più
 rigida
 e
 profonda
 frattura
 e
<br />

contrapposizione
tra
titolari
dei
diritti
e
fruitori
di
cultura
digitale.
<br />

È
facile
prevedere
che
i
primi
ricorreranno
intensamente
<br />

ai
 nuovi
 strumenti
 di
 enforcement
 con
 l'illusione
 di
 difendere
 ‐
<br />

proprio
come
Don
Chichotte
nella
celebre
battaglia
contro
i
mulini
<br />

al
 vento
 ‐
 posizioni
 di
 rendita
 e
 modelli
 di
 business
 superati
 dai
<br />

tempi
mentre
i
secondi
utilizzeranno,
in
misura
crescente,
le
nuove
<br />

tecnologie
per
sottrarsi
al
controllo
globale
ed
accedere
in
forma
<br />

anonima
ai
contenuti
digitali.
<br />

Non
 è
 la
 <strong>Rete</strong>
 che
 vorrei,
 ma
 è
 quella
 nella
 cui
 direzione
<br />

soffia
il
vento
francese.
<br />


<br />

P2P
francese,
un
esempio
da
non
imitare
<br />

7
novembre
2008
<br />

Punto
Informatico
<br />


<br />

A
distanza
di
meno
di
un
anno
da
quando
il
23
novembre
<br />

del
 2007
 Denis
 Olivennes
 presentava
 all’Eliseo
 la
 sua
 ricetta
 per
<br />

combattere
 la
 pirateria
 audiovisiva
 il
 senato
 francese
 ha
<br />

71




<br />

approvato,
 nei
 giorni
 scorsi,
 in
 prima
 lettura,
 il
 progetto
 di
 legge
<br />

destinato
a
dare
attuazione
in
Francia
a
tale
ricetta 34.
<br />

Si
 tratta
 di
 una
 soluzione
 che,
 come
 è
 noto
 ai
 lettori
 di
<br />

Punto
 Informatico,
 qualcuno
 sembra
 intenzionato
 ad
 importare
<br />

nel
nostro
Paese
e
che
è,
pertanto,
importante
esaminare
al
fine
di
<br />

evidenziarne,
 sin
 d’ora,
 taluni
 aspetti
 che
 sollevano
 grosse
<br />

perplessità
 con
 l’auspicio
 che
 ciò
 valga
 a
 far
 desistere
 il
 Governo
<br />

d<strong>alla</strong>
tentazione
di
seguire
l’esempio
dei
cugini
francesi.
<br />

Cominciamo
 d<strong>alla</strong>
 filosofia
 della
 norma:
 la
 violazione
 dei
<br />

diritti
 di
 proprietà
 intellettuale
 può
 comportare
 la
 sospensione
 –
<br />

da
 un
 mese
 ad
 un
 anno
 –
 del
 diritto
 dell’utente
 di
 accedere
 ad
<br />

Internet.
<br />

Si
tratta
di
una
misura
irragionevole
e
sproporzionata.
<br />

L’accesso
 alle
 risorse
 di
 connettività
 costituisce
 oggi
 un
<br />

diritto
 fondamentale
 dell’uomo
 e
 del
 cittadino,
 diritto
 che
 andrà,
<br />

peraltro,
progressivamente
arricchendosi
di
contenuto
in
maniera
<br />

direttamente
 proporzionata
 al
 crescere
 delle
 forme
 di
 utilizzo
 di
<br />

internet
quale
strumento
di
esercizio
di
diritti
civili
e
politici
e
di
<br />

interrelazione
tra
cittadino
e
pubblica
amministrazione.
<br />

Basti
 pensare
 <strong>alla</strong>
 <strong>Rete</strong>
 quale
 mezzo
 di
 accesso
<br />

all’informazione
 ed
 al
 patrimonio
 culturale
 in
 digitale
 ma,
 anche,
<br />

all’uso
delle
tecnologie
informatiche
e
telematiche
nei
rapporti
tra
<br />

PA
 e
 cittadino
 così
 come
 ridisegnati
 dal
 Codice
<br />

dell’amministrazione
digitale.
<br />

Privare
 una
 persona
 dell’accesso
 alle
 risorse
 di
<br />

connettività,
 pertanto,
 nel
 secolo
 della
 <strong>Rete</strong>,
 vuol
 dire
 privarla
<br />

dell’esercizio
 di
 una
 pluralità
 di
 diritti
 se
 non
 sovra‐ordinati
<br />

rispetto
 a
 quello
 di
 proprietà
 intellettuale
 che
 si
 vorrebbe
<br />

proteggere,
almeno,
pari‐ordinati.
<br />

Già
 sotto
 tale
 profilo,
 pertanto,
 la
 proposta
 di
 legge
<br />

francese
sembra
da
respingere.
<br />

Si
tratta,
tuttavia,
di
aspetti
già
trattati.
<br />

La
lettura
del
disegno
di
legge,
rivela,
tuttavia,
ulteriori
ed
<br />

ancor
più
preoccupanti
aspetti.
<br />

C’è,
 innanzitutto,
 un
 profilo
 poco
 approfondito
 e,
<br />

probabilmente,
 sottovalutato
 nella
 comunicazione
 “giornalistica”
<br />

che
 ha,
 sin
 qui,
 accompagnato
 le
 vicende
 relative
 all’iniziativa
<br />

francese:
il
progetto
di
legge
non
sanziona
il
soggetto
che
si
rende
<br />

autore
 –
 o
 che
 tale
 viene
 ritenuto
 –
 della
 violazione
 dei
 diritti
 di
<br />

proprietà
 intellettuale
 ma,
 piuttosto,
 il
 titolare
 dell’abbonamento
<br />

























































<br />

34 
 Il
 testo
 integrale
 del
 disegno
 di
 legge
 è
 disponibile
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.legifrance.gouv.fr/html/actualite/actualite_legislative/protection_inte<br />

rnet.html
<br />

72




<br />

ad
Internet
attraverso
il
quale
si
assume
esser
stata
perpetrata
la
<br />

violazione.
<br />

La
proposta
di
legge,
infatti,
impone
<strong>alla</strong>
“persona
titolare
<br />

dell’accesso
a
servizi
di
comunicazione
al
pubblico
in
linea”
 –
sia
<br />

essa,
 dunque,
 un
 genitore,
 un
 datore
 di
 lavoro
 o,
 piuttosto,
 un
<br />

amico
che
ospita
in
casa
un
altro
amico
‐
l’obbligo
di
vigilare
che
<br />

tale
accesso
non
sia
utilizzato
al
fine
di
riprodurre,
comunicare
o
<br />

mettere
 a
 disposizione
 del
 pubblico
 opere
 protette
 da
 diritto
<br />

d’autore
senza
l’autorizzazione
del
titolare
dei
diritti.
<br />

Il
titolare
dell’abbonamento
ad
internet
potrà
sottrarsi
<strong>alla</strong>
<br />

responsabilità
 derivante
 dall’eventuale
 violazione
 dei
 diritti
<br />

d’autore
 posta
 in
 essere
 attraverso
 le
 proprie
 risorse
 di
<br />

connettività
solo
qualora
questi
abbia
adottato
uno
dei
sistemi
di
<br />

protezione
 destinato
 ad
 essere
 “omologato”
 d<strong>alla</strong>
 costituenda
<br />

Autorità,
qualora
l’utilizzo
di
dette
risorse
sia
stato
posto
in
essere
<br />

“fraudolentemente”
da
una
persona
non
posta
sotto
l’autorità
o
la
<br />

sorveglianza
del
titolare
dell’abbonamento
–
non
dunque
nel
caso
<br />

in
 cui
 si
 tratti
 di
 un
 genitore
 o
 del
 datore
 di
 lavoro
 –
 o,
 infine,
<br />

nell’ipotesi
di
forza
maggiore.
<br />

Si
 tratta
 di
 una
 disposizione
 dirompente
 per
 l’equilibrio
<br />

del
sistema
che,
al
fine
di
tutelare
i
diritti
di
patrimoniali
d’autore,
<br />

compie
 una
 pericolosa
 translazione
 della
 responsabilità
 dal
<br />

presunto
 pirata
 a
 chi
 –
 inconsapevolmente
 –
 fornisce
 a
<br />

quest’ultimo
le
necessarie
risorse
di
connettività.
<br />

In
 un
 sistema
 nel
 quale
 la
 responsabilità
 penale
 è
<br />

personale
 prima
 di
 introdurre
 nuove
 posizioni
 di
 garanzia
 dalle
<br />

quali
far
derivare
ipotesi
eccezionali
di
responsabilità
per
culpa
in
<br />

vigilando
 credo
 bisognerebbe
 pensarci
 in
 modo
 più
 serio
 ed
<br />

approfondito.
<br />

Senza
contare
che,
per
tale
via,
anziché
spingere
gli
utenti
<br />

<strong>alla</strong>
più
ampia
condivisione
possibile
delle
risorse
di
connettività,
<br />

li
si
obbliga
a
farne
un
uso
geloso
e,
forse,
a
farne
a
meno
pur
di
<br />

non
 rischiare
 di
 incorrere
 nelle
 sanzioni
 previste
 d<strong>alla</strong>
 nuova
<br />

disciplina.
<br />

Sotto
 tale
 profilo
 mi
 sembra
 che
 il
 disegno
 di
 legge
 si
<br />

commenti
 da
 solo:
 è
 un’iniziativa
 liberticida
 che
 –
 in
 nome
 della
<br />

sacrosanta
 tutela
 dei
 diritti
 di
 proprietà
 intellettuale
 –
 rischia
 di
<br />

produrre
 conseguenze
 devastanti
 in
 termini
 di
 digital
 divide,
<br />

frenando
anziché
incentivare
l’utilizzo
delle
risorse
internet.
<br />

Il
 problema
 è
 sempre
 lo
 stesso:
 continua
 a
 guardarsi
<br />

all’enforcement
 dei
 diritti
 di
 proprietà
 intellettuale
 in
 una
<br />

prospettiva
 “copyright
 centrica”,
 quasi
 che
 vi
 siano
 norme
 nei
<br />

nostri
 ordinamenti
 che
 consentano
 di
 porre
 il
 diritto
 d’autore
 in
<br />

una
 posizione
 superiore
 rispetto
 a
 quella
 di
 altri
 diritti
<br />

fondamentali
dell’uomo
e
del
cittadino.
<br />

73




<br />

Un
 altro
 aspetto
 sul
 quale
 occorre
 riflettere
 è
<br />

rappresentato
d<strong>alla</strong>
circostanza
che
l’intero
impianto
della
nuova
<br />

normativa
 riposa,
 evidentemente,
 su
 una
 forte
 compressione
 del
<br />

diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy
 di
 tutti
 gli
 utenti
 che
 sono
 destinati
 a
 veder
<br />

monitorata
ogni
attività
di
scambio
di
contenuti
digitali
attraverso
<br />

le
proprie
risorse
di
connettività.
<br />

E’,
 infatti,
 evidente
 che
 solo
 per
 questa
 via
 la
 nuova
<br />

autorità
 potrà
 individuare
 –
 o
 ritenere
 di
 individuare
 –
 eventuali
<br />

condotte
di
violazione
dei
diritti
d’autore.
<br />

Il
disegno
di
legge
approvato
nei
giorni
scorsi
dal
Senato
<br />

francese,
d’altra
parte
–proprio
al
fine
di
rendere
efficace
il
nuovo
<br />

meccanismo
di
enforcement
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale
–
<br />

riconosce
<strong>alla</strong>
Commissione
per
la
protezione
dei
diritti
costituita
<br />

in
seno
all’Autorità
e
–
quel
che
è
peggio
–
agli
ispettori
che
essa
<br />

utilizzerà
nell’esercizio
delle
proprie
funzioni,
il
diritto
di
accedere
<br />

direttamente
e/o
tramite
i
provider
ad
un
enorme
quantità
di
dati
<br />

personali
degli
utenti.
<br />

Si
tratta
di
una
compressione
del
diritto
<strong>alla</strong>
privacy
senza
<br />

precedenti
 che
 non
 appare
 giustificata
 dal
 rilievo
 esclusivamente
<br />

economico
degli
interessi
che
si
vorrebbero
tutelare
e
che,
in
ogni
<br />

caso,
 non
 può
 prescindere
 –
 come
 invece
 previsto
 nel
 disegno
 di
<br />

legge
approvato
dal
Senato
francese
–
da
un
ordine
di
un’Autorità
<br />

giudiziaria.
<br />

Al
 riguardo
 sembra
 appena
 il
 caso
 di
 ricordare
<br />

l’illuminante
 decisione
 della
 Suprema
 Corte
 tedesca
 del
 febbraio
<br />

scorso 35
nonché
il
parere
–
benché
secretato
dal
Governo
‐
che
la
<br />

stessa
CNIL
sembrerebbe
aver
rilasciato
sul
disegno
di
legge 36.
<br />

Anche
sotto
tale
profilo
la
soluzione
francese
rappresenta
<br />

un
pessimo
esempio
da
non
imitare.
<br />

Tra
 i
 tanti
 di
 cui
 si
 potrebbe
 ancora
 parlare,
 vi
 è,
 poi,
 un
<br />

altro
aspetto
da
non
sottovalutare.
<br />

I
 provvedimenti
 sanzionatori
 –
 anche
 secondo
 l’ultima
<br />

<strong>version</strong>e
del
disegno
di
legge
approvato
dal
Senato
–
sono
adottati
<br />

d<strong>alla</strong>
 Commissione
 per
 la
 protezione
 dei
 diritti
 sebbene
<br />

nell’ambito
 di
 una
 non
 meglio
 disciplinata
 procedura
 in
<br />

contraddittorio
 con
 la
 conseguenza
 che
 al
 destinatario
 della
<br />

sanzione
 non
 resterà
 che
 impugnare
 la
 decisione
 dinanzi
 ad
<br />

un’Autorità
giudiziaria
ancora
neppure
individuata
nel
disegno
di
<br />

legge.
<br />

























































<br />

35 
 Il
 testo
 integrale
 della
 decisione
 è
 disponibile
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.visionpost.it/epolis/germania‐no‐al‐cyber‐spionaggio‐di‐stato.htm
<br />

36 
 Cfr.
<br />

http://www.cnil.fr/index.php?id=2535&news[uid]=590&cHash=773e5066a4
<br />

74




<br />

Ve
lo
immaginate
voi
il
Sig.
Rossi
il
cui
figlio
in
un
anno
ha
<br />

scaricato
per
due
volte
due
cartoni
animati
da
una
piattaforma
di
<br />

P2P
che,
ricevuta
la
notifica
di
un
provvedimento
di
sospensione
<br />

dell’abbonamento
ad
internet
per
qualche
mese,
avvia,
nel
nostro
<br />

Paese
‐
dove
un
giudizio
dura
tre
o
quattro
anni
e
costa
migliaia
di
<br />

euro
 –
 una
 causa
 di
 impugnazione
 avverso
 il
 provvedimento
<br />

adottato
d<strong>alla</strong>
Commissione
senza,
peraltro,
disporre
–
a
distanza
<br />

di
mesi
dall’episodio
contestato
–
neppure
di
elementi
di
prova
a
<br />

discolpa
sua
e/o
del
figlio?
<br />

Io
francamente
no.
Parola
di
un
avvocato
che
–
pur
di
non
<br />

confrontarsi
con
i
costi
e
le
lungaggini
di
un
banale
procedimento
<br />

di
opposizione
ad
una
sanzione
amministrativa
–
preferisce
pagare
<br />

le
 contravvenzioni
 per
 violazioni
 del
 codice
 della
 strada
 anche
<br />

quando
 qualche
 vigile
 miope
 sostiene
 di
 averlo
 visto
 al
 centro
 di
<br />

roma
 su
 una
 macchina
 che
 non
 possiede
 mentre
 si
 trovava
 a
<br />

Parigi!
<br />

A
 parte
 facili
 battute
 la
 declinazione
 della
 soluzione
<br />

Sarkozy‐Olivennes
contenuta
nel
disegno
di
legge
mi
sembra,
sotto
<br />

tale
profilo,
ancora
lontana
dal
potersi
ritenere
in
linea
con
quanto
<br />

di
recente
stabilito
dal
Parlamento
Europeo.
<br />

L’elenco
 delle
 cose
 che
 proprio
 non
 vanno
 nella
 nuova
<br />

strategia
della
lotta
<strong>alla</strong>
pirateria
on‐line
che
emerge
dal
disegno
di
<br />

legge
 approvato
 nei
 giorni
 scorsi
 dal
 Senato
 francese
 potrebbe
<br />

proseguire
 ancora
 a
 lungo
 ma,
 allo
 stato,
 forse
 è
 meglio
 sperare
<br />

che
il
Governo
italiano
guardi
più
lontano
di
quello
francese
e
non
<br />

commetta
 l’errore
 di
 “barattare”
 la
 tutela
 della
 proprietà
<br />

intellettuale
con
i
diritti
fondamentali
dei
cittadini.
<br />

Sperare,
 naturalmente,
 non
 basta:
 occorrerà
 formulare
<br />

proposte
 concrete,
 mature
 ed
 equilibrate
 a
 conferma
 che
 questo
<br />

non
 è
 un
 Paese
 di
 pirati
 che
 merita
 di
 essere
 posto
 sotto
 stretta
<br />

sorveglianza
 e
 privato
 dell’esercizio
 delle
 più
 elementari
 libertà
<br />

dell’Era
digitale.
<br />


<br />

Il
mercato
dei
contenuti
digitali
<br />

febbraio
2008
<br />

Internet
Magazine
<br />


<br />

Nelle
 ultime
 settimane
 il
 dibattito
 sul
 mercato
 dei
<br />

contenuti
digitali
in
<strong>Rete</strong>
e
sulle
possibili
strade
da
intraprendere
<br />

per
arginare
il
fenomeno
della
pirateria
ed
individuare
un
punto
di
<br />

equilibrio
tra
i
contrapposti
interessi
è
divenuto
incandescente
e,
a
<br />

tratti,
difficile
da
seguire
persino
per
gli
addetti
ai
lavori.
<br />

Tutto
 è
 cominciato
 con
 l’annuncio
 del
 Presidente
 della
<br />

Repubblica
Francese
Sarkozy
dell’avvenuto
raggiungimento
di
un
<br />

accordo
tra
Major
dell’audiovisivo,
ISP
e
Autorità,
per
la
lotta
<strong>alla</strong>
<br />

75




<br />

pirateria
 audiovisiva
 che,
 in
 Francia,
 ha
 raggiunto
 dimensioni
<br />

giudicate
<strong>alla</strong>rmanti.
<br />

La
base
di
tale
accordo
sarebbe
costituita
dal
risultato
dei
<br />

lavori
 di
 una
 commissione
 nominata
 dal
 Ministro
 della
 Cultura
 e
<br />

della
comunicazione
e
presieduta
da
Denis
Olivennes.
<br />

Secondo
 quanto
 sostenuto
 nel
 rapporto
 prodotto
 d<strong>alla</strong>
<br />

Commissione
 la
 pirateria
 audiovisiva
 andrebbe
 combattuta
 con
<br />

strumenti
 diversi
 
 –
 alcuni
 dei
 quali,
 occorre
 riconoscerlo,
<br />

largamente
 condivisibili
 –
 ma
 un
 ruolo
 chiave
 dovrebbe
 essere
<br />

affidato
ad
un
diffuso
utilizzo
di
differenti
tecnologie
di
filtraggio
<br />

dei
contenuti
digitali
in
<strong>Rete</strong>.
<br />

Questo
 aspetto
 –
 ed
 alcuni
 altri
 passaggi
 del
 documento
<br />

conclusivo
 dei
 lavori
 della
 commissione
 –
 hanno
 sollevato
 un
<br />

vespaio
di
polemiche
sulla
stampa
e
tra
gli
addetti
ai
lavori.
<br />

A
 gettare
 il
 primo
 cerino
 sulla
 polveriera
 dell’accordo
<br />

Sarkozy‐Olivennes
ci
ha
pensato
il
celebre
quotidiano
francese,
Le
<br />

Monde
 che
 nei
 giorni
 immediatamente
 successivi
 all’annuncio
 ha
<br />

dedicato
 la
 sua
 seconda
 pagina
 ad
 un
 pezzo
 fortemente
 critico
<br />

verso
metodo
e
contenuti
dell’iniziativa
del
Presidente
francese.
<br />

Innanzitutto
 il
 quotidiano
 contesta
 la
 scelta
 di
 affidare
 la
<br />

direzione
dei
lavori
di
una
commissione
volta
ad
individuare
una
<br />

soluzione
ad
un
problema
come
quello
del
mercato
dei
contenuti
<br />

digitali
 ad
 un
 rappresentante
 tanto
 in
 vista
 di
 uno
 solo
 dei
<br />

protagonisti
 di
 detto
 mercato
 come
 Denie
 Olivennes,
 Presidente
<br />

della
FNAC,
colosso
francese
dell’industria
dell’intrattenimento.
<br />

Sarebbe,
 scrive
 Le
 Monde
 come
 affidare
 una
 riforma
 del
<br />

mercato
 della
 grande
 distribuzione
 a
 Monsieur
 Michel‐Edouard
<br />

Leclerc,
patron
dell’omonima
catena
di
centri
commerciali.
<br />

Difficile
dargli
torto
e
non
condividere
tale
perplessità.
<br />

Passando
 dal
 metodo
 ai
 contenuti,
 poi,
 il
 quotidiano
<br />

francese
–
uno
dei
più
autorevoli
nel
mondo
della
stampa
–
avanza
<br />

dubbi
 e
 perplessità
 circa
 la
 compatibilità
 delle
 tecniche
 di
<br />

filtraggio
di
cui
la
Commissione
Olivennes
ha
proposto
l’adozione
<br />

con
 il
 vigente
 quadro
 normativo
 e,
 soprattutto,
 circa
 la
 loro
<br />

efficacia
 in
 un
 universo
 quale
 quello
 della
 circolazione
 dei
<br />

contenuti
 digitali
 in
 cui
 la
 tecnologia
 antipirateria
 è
 destinata
 ad
<br />

essere
 perennemente
 inseguita
 e
 superata
 dal
 progresso
<br />

tecnologico.
<br />

Proprio
l’aspetto
dell’opportunità
di
ricorrere
a
tecniche
di
<br />

filtraggio
 dei
 contenuti
 digitali
 per
 arginare
 il
 fenomeno
 della
<br />

pirateria
audiovisiva
in
<strong>Rete</strong>
ha
infiammato
gli
animi
e
riacceso
il
<br />

dibattito
 anche
 nel
 nostro
 Paese
 attraverso
 l’Appello
 lanciato
 da
<br />

Leonardo
 Chiariglione
 al
 Vice‐Presidente
 del
 Consiglio
 Francesco
<br />

Rutelli
affinché
il
Governo
italiano
non
segua
l’esempio
francese.
<br />

76




<br />

All’appello
 hanno
 immediatamente
 aderito
 personaggi
 di
<br />

primo
piano
(escluso
il
sottoscritto!)
del
mondo
dell’informazione,
<br />

del
 diritto,
 della
 politica,
 dei
 consumatori
 e
 dell’industria,
 tra
 i
<br />

quali
 il
 Prof.
 Stefano
 Rodotà,
 già
 Garante
 della
 privacy,
 l’On.
<br />

Fiorello
 Cortina,
 del
 Comitato
 consultivo
 per
 la
 Governance
 di
<br />

Internet,
 Marco
 Fiorentino,
 Presidente
 dell’Associazione
 Italiana
<br />

Internet
 Provider,
 Michele
 Ficara
 Manganelli,
 Presidente
 di
<br />

Assodigitale,
Marco
Pierani,
Responsabile
degli
affari
istituzionali
<br />

di
Altroconsumo,
Giuseppe
Corasaniti,
Magistrato
e
già

Presidente
<br />

del
 Comitato
 consultivo
 per
 il
 diritto
 d'autore
 e,
 ancora,
 Roberto
<br />

Liscia
 Presidente,
 Netcomm
 ‐
 Il
 Consorzio
 del
 Commercio
<br />

Elettronico
 Italiano,
 Layla
 Pavone,
 Presidente
 IAB,
 Interactive
<br />

Advertising
 Bureau
 Italia
 e
 Stefano
 Quintarelli,
 Imprenditore
 e
<br />

blogger,
pioniere
di
Internet.
<br />

Il
 contenuto
 dell’appello,
 aperto
 ora
 all’adesione
 del
<br />

popolo
 della
 <strong>Rete</strong>
 attraverso
 le
 pagine
 di
 Punto
 Informatico
 è
<br />

chiaro:
 le
 nuove
 tecnologie
 devono
 consentire
 l’accesso
 di
 un
<br />

numero
sempre
maggiore
di
utenti
al
patrimonio
culturale
globale
<br />

nell’ovvio
rispetto
del
diritto
d’autore
ma,
ad
un

tempo,
degli
altri
<br />

diritti
e
libertà
fondamentali
di
utenti
e
consumatori.
<br />

Trasformare
 la
 <strong>Rete</strong>
 in
 uno
 spazio
 di
 controllo
 globale
 di
<br />

orwelliana
 memoria
 al
 solo
 fine
 di
 garantire
 i
 diritti
 patrimoniali
<br />

d’autore
delle
major
dell’audiovisivo
costituisce
la
strada
sbagliata
<br />

e,
quindi,
un
esempio
che
il
legislatore
italiano
non
può
e
non
deve
<br />

imitare
 perché,
 per
 tale
 via,
 si
 rischia
 di
 travolgere
 i
 diritti
<br />

fondamentali
 degli
 utenti
 –
 quello
 <strong>alla</strong>
 privacy
 ed
 <strong>alla</strong>
 libertà
 di
<br />

informazione
 nella
 duplice
 accezione
 di
 libertà
 di
 informare
 ed
<br />

essere
informati
prima
di
ogni
altro
–
in
nome
del
diritto
d’autore.
<br />

E’
un
po’
quello
che
è
accaduto
–
per
ragioni,
tuttavia,
più
<br />

facili
 se
 non
 da
 condividere
 almeno
 da
 accettare
 –
 allorquando,
<br />

dopo
l’11
settembre
del
2001,
gli
USA
hanno
lanciato
la
lotta
senza
<br />

confini
 al
 terrorismo:
 la
 <strong>Rete</strong>
 è
 cambiata,
 i
 nostri
 costumi
 ed
<br />

abitudini
sono
cambiati,
abbiamo
visto
comprimersi
d<strong>alla</strong>
sera
<strong>alla</strong>
<br />

mattina
 il
 nostro
 diritto
 di
 parlare,
 muoverci,
 viaggiare…per
 non
<br />

parlare
nel
nostro
diritto
<strong>alla</strong>
privacy.
<br />

Ci
 pensavo
 ieri,
 in
 aeroporto,
 rientrando
 a
 Roma
 da
<br />

Palermo
 mentre
 ai
 varchi
 di
 sicurezza
 dello
 scalo
 siciliano
 mi
<br />

imponevano
di
lasciare
a
terra,
per
ragioni
di
sicurezza,
un
chilo
di
<br />

straordinaria
 ricotta
 con
 la
 quale
 avrei
 voluto
 riempire
 una
<br />

quindicina
di
cannoli
per
far
felici
amici
e
parenti…
<br />

La
sicurezza
nazionale
–
ammesso
che
questo
sia
il
modo
<br />

migliore
per
garantirla
–
vale
inequivocabilmente
di
più
della
mia
<br />

ricotta
e
del
mio
diritto
a
non
vedere
una
persona
che
non
conosco
<br />

frugare
 nella
 mia
 borsa
 ed
 è,
 per
 questo
 che
 sebbene
 viva
 anche
<br />

queste
limitazioni
come
una
sconfitta
mi
sforzo
di
comprenderle.
<br />

77




<br />

Il
 caso
 della
 circolazione
 dei
 contenuti
 digitali
 in
 <strong>Rete</strong>,
<br />

tuttavia,
è
diverso.
<br />

Il
diritto
d’autore
non
può
ritenersi,
in
nessun
caso,
sovra‐<br />

ordinato
al
diritto
<strong>alla</strong>
privacy
ed
<strong>alla</strong>
libertà
di
manifestazione
del
<br />

pensiero
 di
 utenti
 e
 consumatori
 di
 contenuti
 digitali
 ed
<br />

infrastrutture
di
comunicazione.
<br />

La
 stessa
 commissione
 Olivennes,
 è
 stata
 costretta
 a
<br />

prendere
 atto
 –
 all’esito
 dei
 propri
 lavori
 –
 che
 le
 diverse
<br />

tecnologie
 di
 filtraggio
 (I.P.,
 upload,
 download,
 fingerprint
 ecc.)
<br />

allo
stato
non
sono
infallibili
né
neutre
rispetto
ai
diritti
di
utenti
e
<br />

consumatori
 tanto
 che
 la
 loro
 generalizzata
 utilizzazione
<br />

richiederebbe
 in
 Francia
 importanti
 interventi
 normativi
 e
<br />

profondi
 ripensamenti
 di
 posizioni
 più
 volte
 espresse
 d<strong>alla</strong>
<br />

Commissione
Nazionale
dell’informatica
e
delle
libertà
a
proposito
<br />

dell’inopportunità
che
soggetti
privati
–
quali
i
titolari
dei
diritti
–
<br />

dispongano
 in
 modo
 sistematico
 e
 generalizzato
 di
 un
 gran
<br />

numero
di
informazioni
personali
degli
utenti.
<br />

La
 proprietà
 intellettuale
 riveste
 un
 ruolo
 centrale
 nello
<br />

sviluppo
 culturale
 ed
 economico
 di
 ogni
 Paese
 nella
 Società
<br />

dell’informazione
ma,
occorre
individuare
la
misura
entro
la
quale
<br />

l’esigenza
di
tutelarla
può
giustificare
una
compressione
degli
altri
<br />

diritti
 e
 libertà
 fondamentali
 la
 cui
 attuazione
 è,
 egualmente,
<br />

imprescindibile
<strong>alla</strong>
stregua
di
quanto
disposto
nella
nostra
Carta
<br />

costituzionale.
<br />

Proprio
 su
 questo
 terreno,
 nelle
 scorse
 settimana,
 il
<br />

dibattito
 aperto
 dall’Appello
 di
 Leonardo
 Chiariglione
 si
 è
 fatto
<br />

particolarmente
 vivace:
 da
 una
 parte
 la
 soluzione
 elaborata
<br />

nell’ambito
 del
 progetto
 DMIN
 che
 contempla
 l’utilizzo
 diffuso
 di
<br />

DRM
interoperabili
e
rispettosi
dei
diritti
fondamentali
di
utenti
e
<br />

consumatori
e
dall’altra
le
frange
più
radicali
del
popolo
della
<strong>Rete</strong>
<br />

che
 contestano
 radicalmente
 la
 possibilità
 di
 far
 ricorso
 a
 tali
<br />

tecnologie
quali
che
siano
tratti
e
caratteristiche
tecno‐somatiche.
<br />

Ho
 sempre
 creduto
 –
 nel
 difendere,
 ad
 esempio,
 a
 spada
<br />

tratta
 il
 P2P
 –
 che
 le
 tecnologie
 siano
 neutre
 rispetto
 al
 diritto
 e
<br />

che
 lecito,
 illecito,
 opportuno
 o
 non
 opportuno
 sia,
 piuttosto,
 il
<br />

modo
nel
quale
le
stesse
vengono
utilizzate.
<br />

Ritengo
che
tale
approccio
valga
anche
nel
caso
dei
DRM.
<br />

Farne
 a
 meno
 e
 poter
 contare
 in
 <strong>Rete</strong>
 su
 cultura
 digitale
<br />

libera
 da
 ogni
 genere
 di
 vincolo
 o
 controllo
 costituisce,
<br />

probabilmente,
 un
 sogno
 al
 quale
 è
 facile
 affezionarsi
 ma,
<br />

sfortunatamente,
lontano
d<strong>alla</strong>
realtà
e
come
tale
inattuabile.
<br />

E’
 un
 dato
 incontestabile
 quello
 secondo
 cui
 il
 valore
<br />

dell’immateriale
 e
 dei
 diritti
 d’autore
 non
 appartiene,
 nella
<br />

presente
epoca
storica,
al
bagaglio
culturale
del
popolo
della
<strong>Rete</strong>
<br />

che,
a
torto
o
a
ragione
(da
un
punto
di
vista
giuridico
certamente
<br />

78




<br />

a
 torto)
 ha
 una
 scarsa
 propensione
 al
 riconoscimento
 di
 un
<br />

corrispettivo
 per
 accedere
 ad
 un
 contenuto
 che
 può
 avere
<br />

gratuitamente.
<br />

In
tali
condizioni
non
si
può
razionalmente
sostenere
che
<br />

si
 possa
 far
 a
 meno
 di
 sistemi
 di
 controllo
 e
 gestione
 dei
 diritti
<br />

idonei
a
garantire
ai
titolari
dei
diritti
d’autore
la
remunerazione
<br />

cui
essi
hanno
diritto.
<br />

Si
 tratta,
 quindi,
 di
 scegliere
 se
 seguire
 la
 soluzione
<br />

proposta
 da
 Monsieur
 Olivennes
 secondo
 il
 quale
 i
 DRM
<br />

andrebbero
progressivamente
eliminati
e
sostituiti
da
tecniche
di
<br />

filtraggio
generalizzato
sui
contenuti
o,
piuttosto,
quella
–
peraltro
<br />

come
 tutto
 su
 questa
 terra
 certamente
 perfettibile
 –
 proposta
 da
<br />

Leonardo
 Chiariglione
 nel
 suo
 appello
 ed
 elaborata
 nel
 corso
 dei
<br />

lavori
 di
 Dmin:
 utilizzo
 diffuso
 di
 un
 DRM
 interoperabile
 e
<br />

rispettoso
dei
diritti
degli
utenti.
<br />

Un
 naso
 elettronico
 nella
 mia
 ricotta,
 l’altro
 giorno,
 in
<br />

aeroporto
mi
avrebbe
dato
fastidio
ma,
vi
assicuro,
meno
di
quanto
<br />

mi
 è
 costato
 doverla
 lasciare
 al
 varco
 di
 sicurezza
 dopo
 averne
<br />

lungamente
sognato
il
sapore.
<br />


<br />

Il
popolo
della
<strong>Rete</strong>:
un
popolo
di
“scrocconi”?
<br />

29
gennaio
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=245
<br />


<br />

L'articolo
apparso
questa
mattina
su
Repubblica.it
a
firma
<br />

di
Ernesto
Assante,
inviato
del
quotidiano
in
quel
di
Cannes,
non
<br />

mi
è
piaciuto 37.
<br />

























































<br />

37 
 Il
 contenuto
 dell’articolo
 di
 Roberto
 Assante
 pubblicato
 su
 Repubblica.it
 il
 29
<br />

gennaio
2008

cui
si
fa
riferimento
nel
post
è
quello
che
segue:
<br />

Clicco,
scarico
e
non
pago
<br />

Il
sogno
online
della
vita
gratis
<br />

dal
nostro
inviato
ERNESTO
ASSANTE
<br />

Clicco,
scarico
e
non
pago.
Il
sogno
online
della
vita
gratis.
<br />

CANNES
‐
Clicco,
scarico,
non
pago.
Tre
semplici
atti
che
hanno
portato
<strong>alla</strong>
crisi,
in
<br />

pochi
 anni,
 un'intera
 industria,
 quella
 discografica,
 che
 inesorabilmente
 ha
 visto
<br />

calare
 le
 vendite
 dei
 cd
 e
 crescere
 il
 consumo
 di
 musica
 gratis
 attraverso
 la
 rete.
<br />

Clicco,
scarico
e
non
pago.
Funziona
anche
per
il
cinema,
per
la
tv,
per
i
giornali,
per
<br />

il
telefono,
per
i
videogiochi:
tutto
quello
che
nel
mondo
reale
ha
un
valore,
che
sia
<br />

un
 oggetto
 o
 un
 servizio,
 qualcosa
 che
 può
 essere
 venduto
 e
 comprato,
 quando
<br />

arriva
 in
 rete
 e
 si
 smaterializza,
 perde
 anche
 il
 suo
 valore
 economico.
 E
 tutto
<br />

diventa
 gratuito.
 Si
 consuma
 musica,
 si
 fanno
 telefonate,
 si
 leggono
 giornali,
 si
<br />

vedono
film
e
programmi
televisivi,
si
gioca
e
non
si
paga.
<br />

Fino
 a
 ieri
 tutto
 questo
 era
 illegale,
 era
 pirateria.
 Oggi
 non
 è
 più
 così.
 I
 giornali
<br />

online
sono
gratuiti,
la
telefonia
via
Internet
è
gratuita,
la
web
tv
è
gratuita,
stanno
<br />

arrivando
anche
i
primi
film
pagati
interamente
d<strong>alla</strong>
pubblicità
(il
primo
è
"Voglio
<br />

la
 luna",
 prodotto
 dal
 tour
 operator
 Hotelplan
 e
 da
 ieri
 approdato
 in
 alcune
 sale
<br />

79



























































<br />


<br />

italiane,
i
biglietti,
ovviamente
gratuiti
si
possono
prendere
soltanto
online
sul
sito
<br />

del
film).
<br />

È
la
tecnologia
digitale
ad
avere
liberato
questa
possibilità.
E'
l'avvento
di
Internet
e
<br />

del
 World
 Wide
 Web
 ad
 aver
 reso
 possibile
 quanto
 solo
 fino
 a
 qualche
 anno
 fa
<br />

sembrava
 assolutamente
 irrealizzabile.
 Portare
 legalmente
 contenuti
 gratuiti
 al
<br />

pubblico.
 Offrire
 legalmente
 servizi
 gratuiti.
 Il
 primo
 terreno
 dove
 è
 avvenuta
 la
<br />

svolta
 è
 quello
 della
 musica.
 Una
 rivoluzione
 vera
 e
 propria
 perché,
 a
 differenza
<br />

della
 vecchia
 "pirateria"
 fisica,
 quella
 che
 ancora
 oggi
 porta
 nelle
 nostre
 strade
<br />

milioni
di
copie
di
dischi
copiati
illegalmente
e
venduti
a
pochi
euro,
ha
portato
in
<br />

pochissimo
tempo
milioni
di
persone
a
collegarsi
<strong>alla</strong>
rete
e
a
condividere
la
loro
<br />

musica
 in
 un
 modo
 che
 prima,
 semplicemente,
 non
 era
 possibile.
 E
 senza
 pagare
<br />

nulla.
<br />

Che
 si
 tratti
 di
 "furto"
 è
 evidente,
 copiare
 una
 canzone
 senza
 pagare
 i
 diritti
<br />

d'autore
significa
semplicemente
privare
i
musicisti
dei
frutti
del
loro
lavoro.
Ma
ai
<br />

frequentatori
 della
 rete
 il
 termine
 "furto"
 è
 sempre
 sembrato
 inappropriato.
<br />

Innanzitutto
 perché
 nel
 "file
 sharing",
 nello
 scambio
 dei
 brani
 online,
 non
 c'è
 un
<br />

oggetto
fisico,
non
c'è
un
disco,
non
c'è
qualcosa
che
materialmente
passa
da
una
<br />

mano
all'altra,
da
una
persona
all'altra,
nulla
viene
tolto
a
nessuno.
E
poi
perché
la
<br />

copia
 digitale
 che
 viene
 creata,
 assolutamente
 identica
 all'originale,
 è
 frutto
 di
 un
<br />

baratto,
di
uno
scambio
di
brani,
di
files.
Cosa
che
"moralmente"
ha
un'apparenza
<br />

più
accettabile.
<br />

Per
gli
"scaricatori"
della
musica
online
il
loro
gesto
non
è
molto
diverso
da
quello
<br />

che
 fanno
 ogni
 giorno
 quando
 ascoltano
 la
 musica,
 gratuitamente,
 accendendo
 la
<br />

radio.
Non
sono
loro
i
"ladri",
insomma,
semmai
le
aziende
che
gestiscono
le
reti,
<br />

che
 producono
 i
 software,
 quelli
 che
 dai
 milioni
 di
 download
 quotidiani
<br />

guadagnano
traffico
sui
loro
siti
e
pubblicità
da
vendere.
E'
da
questa
ipotesi
che
è
<br />

partita
Qtrax
per
portare,
finalmente,
nella
legalità
decine
di
milioni
di
persone
che
<br />

in
tutto
il
mondo
scaricano
musica
utilizzando
i
software
di
"file
sharing"
e
le
reti
<br />

"peer
 to
 peer",
 annunciando
 la
 nascita
 del
 primo
 servizio
 legale
 di
 download
<br />

musicale
gratuito,
interamente
sostenuto
d<strong>alla</strong>
pubblicità.
<br />

"La
 gente
 non
 vuole
 vivere
 nell'illegalità,
 la
 gente
 vuole
 la
 musica
 gratis",
 è
 la
<br />

disarmante
 verità
 che
 Klepfisz,
 il
 boss
 della
 Qtrax,
 ha
 voluto
 sottolineare
<br />

presentando
la
sua
iniziativa.
Che,
però,
ha
annunciato
troppo
in
fretta,
essendo
in
<br />

realtà
ancora
priva
del
via
libera
definitivo
da
parte
delle
major
discografiche,
come
<br />

hanno
voluto
sottolineare
ieri
sia
la
Warner,
che
la
Universal
che
la
Emi.
<br />

Altri
 servizi
 già
 offrono
 musica
 gratuitamente,
 facendo
 pagare
 il
 conto
 agli
<br />

investitori
 pubblicitari.
 Come
 Jamendo,
 che
 lavora
 sulla
 base
 delle
 nuove
 licenze
<br />

Creative
Commons,
come
We7,
un
sito
realizzato
niente
di
meno
che
da
una
delle
<br />

grandi
star
del
rock,
Peter
Gabriel,
o
il
sito
italiano
Downlovers.it.
<br />

Il
mondo
della
rete,
comunque,
marcia
in
un'unica
direzione,
quella
dei
contenuti
<br />

gratuiti.
 E
 non
 solo
 per
 quello
 che
 riguarda
 la
 musica.
 Uno
 degli
 alfieri
 di
 questa
<br />

rivoluzione
è
Janus
Friis,
un
giovanotto
di
Copenhagen
che
a
soli
31
anni
si
trova
ad
<br />

essere
 miliardario
 e,
 allo
 stesso
 tempo,
 uno
 dei
 principali
 protagonisti
 dell'"era
<br />

gratuita".
Friis
è
l'inventore
di
KaZaA,
uno
dei
più
fortunati
software
di
file
sharing
<br />

al
mondo,
ed
è
sempre
lui
ad
aver
creato
Skype,
basato
sempre
sul
"peer
to
peer"
<br />

ma
 destinato,
 in
 questo
 caso,
 a
 far
 telefonare
 gratuitamente
 gli
 utenti
 della
 rete.
<br />

"Internet
 ha
 cambiato
 la
 mentalità
 della
 gente",
 dice
 Friis,
 che
 ora
 ha
 lanciato
 un
<br />

nuovo
sito,
Joost,
dove
ad
essere
gratis
sono
i
contenuti
video.
<br />

Online
 tutto
 diventa
 gratuito.
 Così
 oggi
 attraverso
 Internet
 è
 possibile
 leggere
<br />

gratuitamente
i
giornali
di
tutto
il
mondo,
dal
New
York
Times
a
Wall
Street
Journal,
<br />

da
Le
Monde
a
El
Pais,
e
la
diffusione
delle
testate
online
cresce
ogni
giorno
di
più,
<br />

assieme
 al
 numero
 delle
 persone
 che
 le
 legge,
 come
 conferma
 il
 successo
 di
<br />

Repubblica.it.
 Gratis
 è
 anche
 il
 software,
 non
 solo
 quello
 necessario
 al
<br />

funzionamento
 di
 base
 del
 computer
 ma
 moltissime
 applicazioni
 per
 ogni
 tipo
 di
<br />

80




<br />

Il
ritratto
del
popolo
della
<strong>Rete</strong>
che
ne
emerge
è
quello
di
<br />

una
folla
di
scrocconi
preoccupata
di
accedere
a
beni
o
servizi
che
<br />

fino
a
ieri
ha
pagato
a
caro
prezzo
"aggratis"
e
che
starebbe,
con
il
<br />

suo
comportamento,
mettendo
in
crisi
l'industria
della
musica…
<br />

In
 un
 passaggio
 del
 suo
 articolo
 poi
 Ernesto
 Assante
 si
<br />

spinge
a
scrivere
che
sarebbe
evidente
che
"copiare
una
canzone
<br />

senza
pagare
i
diritti
d'autore"
costituisce
un
"furto".
<br />

Non
 è
 così
 evidente
 e…non
 lo
 è
 proprio
 in
 ragione
 dei
<br />

molti
 modelli
 di
 distribuzione
 dei
 contenuti
 digitali
 alternativi
 a
<br />

quello
tradizionale
di
cui
parla
Assante.
<br />

E'
 furto…se
 nessuno
 paga
 i
 diritti
 d'autore
 a
 fronte
<br />

dell'utilizzo
di
un
contenuto
digitale
protetto
da
parte
di
un
utente
<br />

ma,
evidentemente,
NON
è
furto
se
l'utente
utilizza
quel
contenuto
<br />

gratuitamente
 a
 fronte
 del
 pagamento
 dei
 diritti
 da
 parte
 del
<br />

distributore…
<br />

Qtrax
 ‐
 ammesso
 che
 mai
 veda
 la
 luce
 ‐
 i
 suoi
 figli
 ed
<br />

antenati
ne
sono
la
conferma
più
evidente.
<br />

Quanto
 <strong>alla</strong>
 disgrazia
 in
 cui
 sarebbe
 caduta
 l'industria
<br />

musicale…mi
sembra,
francamente,
che
imputarla
al
popolo
della
<br />

<strong>Rete</strong>
non
sia
corretto.
<br />

Ammesso
 che
 di
 disgrazia
 possa
 parlarsi…la
 principale
<br />

causa
 non
 vi
 è
 dubbio
 debba
 essere
 rintracciata
 nella
 scarsa
<br />

























































<br />

necessità,
d<strong>alla</strong>
scrittura
al
disegno,
come
si
può
facilmente
scoprire
visitando
il
sito
<br />

Oper
 Source
 Living
 (osliving.
 com),
 e
 grandi
 aziende
 come
 la
 Microsoft
 si
 sono
<br />

dovute
adeguare,
diffondendo
gratuitamente
Explorer
o
Windows
Media.
<br />

E'
gratis
anche
la
televisione,
quella
di
YouTube,
con
il
suo
gigantesco
archivio
di
<br />

immagini
di
ogni
epoca,
e
quella
in
diretta,
offerta
da
siti
come
Coolstreaming,
che
<br />

attraverso
il
peer
to
peer
consente
di
vedere
sul
computer
le
tv
di
mezzo
mondo,
<br />

calcio
compreso.
E
ancora:
si
può
telefonare
gratis
in
tutto
il
pianeta
con
Skype,
si
<br />

possono
vedere
film
corti
e
videoclip
su
siti
come
iFilm
o
film
interi
come
su
Joox.
E
<br />

si
possono
utilizzare
centinaia
di
videogiochi,
da
quelli
vecchi
che
si
trovano
su
siti
<br />

di
 "retrogaming"
 a
 quelli
 recenti
 che
 sono
 reperibili
 sui
 principali
 portali
<br />

internazionali.
<br />

Quello
del
"gratis"
è
un
movimento
che
è
partito
d<strong>alla</strong>
rete
ma
si
sta
<strong>alla</strong>rgando
a
<br />

dismisura.
 E'
 sempre
 il
 terreno
 della
 musica
 quello
 dove
 si
 sperimentano
 le
<br />

soluzioni
più
innovative,
come
hanno
dimostrato
recentemente
i
Radiohead
e
i
Nine
<br />

Inch
Nails,
distribuendo
i
loro
nuovi
album
attraverso
Internet
a
offerta
libera.
Ma
<br />

l'offerta
 si
 <strong>alla</strong>rga
 di
 giorno
 in
 giorno,
 anche
 in
 ambiti
 finora
 non
 toccati
 dai
<br />

cambiamenti,
 e
 sono
 molti
 i
 gruppi
 di
 pressione
 che
 operano
 in
 questo
 senso,
 da
<br />

quelli
del
Free
Software
Movement,
a
chi
lavora
nel
campo
del
"copyleft",
ovvero
del
<br />

cambiamento
 delle
 leggi
 sul
 copyright.
 "E'
 il
 diritto
 d'autore
 come
 fino
 ad
 oggi
 lo
<br />

abbiamo
 inteso
 ad
 essere
 messo
 in
 discussione",
 ha
 detto
 il
 professor
 Lawrence
<br />

Lessig,
presentando
al
MidemNet
di
Cannes
Creative
Commons,
il
movimento
da
lui
<br />

sostenuto
 per
 modificare
 i
 limiti
 che
 le
 norme
 del
 copyright
 impongono
 e
 che
<br />

virtualmente
 mettono
 fuori
 legge
 milioni
 di
 utilizzatori
 di
 files
 audio
 e
 video
 del
<br />

mondo:
"Nessuno
vuole
essere
un
pirata
‐
ha
sottolineato
Lessig
‐
sono
le
regole
che
<br />

devono
cambiare".
<br />

81




<br />

capacità
delle
major
di
rinnovare
i
propri
modelli
di
business
e
di
<br />

aprirsi
in
modo
concreto
al
mercato
digitale…
<br />

Le
difficoltà
frapposte
da
tre
delle
quattro
sorelle
(Warner,
<br />

Universal
ed
Emi)
al
progetto
Qtrax
ne
rappresenta
un'importante
<br />

conferma.
<br />

Il
mercato
digitale
rappresenta
un'enorme
oppotunità
per
<br />

tutti
‐
utenti
e
major
‐
e
chi
non
sa
coglierla
non
può
poi
imputare
<br />

ad
altri
il
proprio
insuccesso.
<br />


<br />

C’era
una
volta
la
Cultura
digitale.
<br />

26
settembre
2007
<br />

Vnunet.it
<br />


<br />

Il
 titolo
 della
 Proposta
 di
 Legge
 n.
 2221
 all’esame
 della
<br />

Commissione
 Cultura
 della
 Camera
 dei
 deputati,
 “Disposizioni
<br />

sulla
 società
 italiana
 degli
 autori
 ed
 editori”
 già
 non
 lascia
<br />

presagire
nulla
di
buono
ma,
certamente,
non
consente
neppure
di
<br />

ipotizzare
 che
 attraverso
 essa
 si
 stia
 per
 oscurare
 la
 cultura
 in
<br />

digitale.
<br />

Il
 19
 settembre
 2007,
 tuttavia,
 in
 Commissione
 Cultura
 è
<br />

stato
approvato
un
emendamento
attraverso
il
quale
ci
si
prefigge
<br />

di
 inserire
 dopo
 il
 comma
 1
 dell’art.
 70
 della
 Legge
 sul
 Diritto
<br />

d’autore
 un
 comma
 1
 bis
 <strong>alla</strong>
 secondo
 il
 quale:
 “È
 consentita
 la
<br />

libera
pubblicazione
attraverso
la
rete
internet
a
titolo
gratuito
di
<br />

immagini
 e
 musiche
 a
 bassa
 risoluzione
 o
 degradati,
 per
 uso
<br />

didattico
o
enciclopedico
e
solo
nel
caso
in
cui
tale
utilizzo
non
sia
<br />

a
 scopo
 di
 lucro.
 Con
 decreto
 del
 Ministro
 per
 i
 beni
 e
 le
 attività
<br />

culturali,
 sentito
 il
 Ministro
 della
 pubblica
 istruzione
 e
<br />

dell'università
 e
 della
 ricerca,
 previo
 parere
 delle
 Commissioni
<br />

parlamentari
 competenti,
 sono
 definiti
 i
 limiti
 all'uso
 didattico
 o
<br />

enciclopedico
di
cui
al
precedente
periodo”.
<br />

L’attuale
 primo
 comma
 ‐
 vale
 la
 pena
 ricordarlo
 a
<br />

beneficio
dei
non
addetti
ai
lavori
‐
stabilisce
che
"Il
riassunto,
la
<br />

citazione
 o
 la
 riproduzione
 di
 brani
 o
 di
 parti
 di
 opera
 e
 la
 loro
<br />

comunicazione
 al
 pubblico
 sono
 liberi
 se
 effettuati
 per
 uso
 di
<br />

critica
 o
 di
 discussione,
 nei
 limiti
 giustificati
 da
 tali
 fini
 e
 purché
<br />

non
 costituiscano
 concorrenza
 all'utilizzazione
 economica
<br />

dell'opera;
 se
 effettuati
 a
 fini
 di
 insegnamento
 o
 di
 ricerca
<br />

scientifica
l'utilizzo
deve
inoltre
avvenire
per
finalità
illustrative
e
<br />

per
fini
non
commerciali”.
<br />

Non
 serve
 essere
 fini
 giuristi
 per
 convenire
 sulla
<br />

circostanza
che
l’emendamento
introduce,
in
sostanza,
una
norma
<br />

speciale
 volta
 a
 disciplinare
 i
 limiti
 di
 utilizzo
 delle
 opere
<br />

dell’ingegno
 in
 <strong>Rete</strong>
 per
 finalità
 di
 critica,
 discussione,
<br />

insegnamento
o
ricerca.
<br />

82




<br />

Fuori
 dal
 giuridichese
 l’emendamento
 approvato
 in
<br />

Commissione
 Cultura
 e
 sottoscritto,
 tra
 gli
 altri,
 dall’On.
 Folena
 e
<br />

dall’On.
Lussuria
è
volto
a
stabilire
che
in
Internet
può
procedersi
‐
<br />

anche
se
per
finalità
di
critica,
discussione,
ricerca
o
insegnamento
<br />

‐
può
procedersi
<strong>alla</strong>
pubblicazione
di
immagini
e
suoni
solo
se
“a
<br />

bassa
risoluzione
o
degradati”.
<br />

Difficile
 dire
 cosa
 intendessero
 esattamente
 i
 firmatari
<br />

dell’emendamento
 con
 tale
 espressione
 ma,
 appare
 pacifico,
 che
<br />

essi
abbiano
inteso
far
riferimento
ai
file
di
qualità
scadente
e
non
<br />

paragonabile
a
quella
delle
opere
originarie.
<br />

A
prescindere,
tuttavia,
da
tale
aspetto
ciò
che
preoccupa
<br />

di
più
è
l’interpretazione
da
dare
all’emendamento
nell’ambito
di
<br />

una
lettura
complessiva
dell’art.
70
quale
risulterà
d<strong>alla</strong>
eventuale
<br />

definitiva
approvazione
della
Proposta
di
Legge.
<br />

Due
 le
 soluzioni
 astrattamente
 possibili,
 entrambe
 poco
<br />

rassicuranti
ed
affatto
condivisibili.
<br />

La
 prima,
 la
 più
 rigorosa.
 È
 quella
 di
 ritenere
 che
 per
<br />

effetto
 della
 nuova
 disposizione
 in
 <strong>Rete</strong>
 potrà
 procedersi
<br />

all’utilizzo
per
finalità
di
critica
e
discussione
o,
comunque,
per
fini
<br />

di
 ricerca
 o
 insegnamento
 solo
 ed
 esclusivamente
 di
 immagini
 e
<br />

suoni
di
“scarsa
risoluzione
o
degradati”.
<br />

In
questo
caso
la
cultura
in
digitale
rappresentata
da
altro
<br />

genere
 di
 opera
 dell’ingegno
 si
 ritroverebbe
 ad
 essere
<br />

definitivamente
sottratta
<strong>alla</strong>
disponibilità
del
popolo
della
<strong>Rete</strong>
e
<br />

ritornerebbe,
in
via
esclusiva,
nella
disponibilità
dei
soliti
noti
del
<br />

mondo
dell’editoria
e
dell’audiovisivo.
<br />

La
 seconda
 opzione
 interpretativa
 ‐
 quella
 preferibile
 in
<br />

un’ottica
 di
 tutela
 degli
 utenti
 ‐
 vuole
 che
 le
 opere
 dell’ingegno
<br />

diverse
 dalle
 immagini
 e
 dai
 suoni
 continuino
 a
 poter
 essere
<br />

utilizzate,
 per
 estratto
 e
 citazione,
 illimitatamente,
 anche
 in
 <strong>Rete</strong>
<br />

per
finalità
di
discussione
e
critica
o
piuttosto
di
ricerca
o
didattica
<br />

mentre,
 le
 immagini
 ed
 i
 suoni
 si
 ritroverebbero
 sottratte
 al
<br />

mondo
digitale
e
ricondotte
nel
recinto
delle
major.
<br />

E’
 evidente
 che
 nessuno
 dei
 due
 scenari
 consenta
 di
<br />

sorridere.
<br />

Con
la
scusa
di
occuparsi
di
un

ente
inutile
o
quasi
inutile
<br />

nella
 società
 dell’informazione
 si
 è,
 evidentemente,
 finiti
 con
 il
<br />

raccogliere
inammissibili
istanze
di
“pulizia
culturale”
al
contrario,
<br />

da
 parte
 dei
 soliti
 noti,
 sottraendo
 <strong>alla</strong>
 <strong>Rete</strong>
 buona
 parte
 del
 suo
<br />

immenso
patrimonio
culturale
in
digitale.
<br />


<br />

Il
furto
di
cultura…
<br />

22
settembre
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=162
<br />


<br />

83




<br />

L'ho
letto,
l'ho
riletto,
sono
tornato
a
rileggerlo
sperando
<br />

di
 non
 aver
 capito
 bene
 ma…sfortunatamente
 avevo
 capito
<br />

benissimo…
<br />

L'emendamento
 approvato
 in
 queste
 ore
 <strong>alla</strong>
 c.d.
 Legge
<br />

Siae
 di
 riforma
 del
 diritto
 d'autore
 costituisce
 un
 autentico
<br />

attentato
 all'utilizzo
 della
 <strong>Rete</strong>
 ‐
 e
 più
 in
 generale
 delle
 nuove
<br />

tecnologie
 ‐
 come
 strumento
 di
 condivisione
 del
 patrimonio
<br />

culturale.
<br />

Ma
andiamo
con
ordine
a
beneficio
di
chi,
per
sua
fortuna,
<br />

ha
trascorso
le
ultime
ore
ignaro
di
quanto
accaduto.
<br />

L'attuale
primo
comma
dell'art.
70
della
Legge
sul
diritto
<br />

d'autore,
prevede
che
"Il
riassunto,
la
citazione
o
la
riproduzione
di
<br />

brani
o
di
parti
di
opera
e
la
loro
comunicazione
al
pubblico
sono
<br />

liberi
 se
 effettuati
 per
 uso
 di
 critica
 o
 di
 discussione,
 nei
 limiti
<br />

giustificati
 da
 tali
 fini
 e
 purché
 non
 costituiscano
 concorrenza
<br />

all'utilizzazione
 economica
 dell'opera;
 se
 effettuati
 a
 fini
 di
<br />

insegnamento
 o
 di
 ricerca
 scientifica
 l'utilizzo
 deve
 inoltre
<br />

avvenire
per
finalità
illustrative
e
per
fini
non
commerciali”.
<br />

Il
 principio
 del
 libero
 utilizzo
 di
 un’opera
 per
 finalità
 di
<br />

critica,
di
discussione
o,
comunque,
educative
non
soffre,
dunque,
<br />

ad
oggi,
alcuna
limitazione
né
vincolo
tecnologico
o
connesso
<strong>alla</strong>
<br />

tipologia
di
opera
in
questione.
<br />

Con
 l’emendamento
 delle
 ultime
 ore,
 per
 contro,
 si
<br />

vorrebbe
inserire
dopo
il
primo
comma
dell’art.
70
LDA
un
nuovo
<br />

comma
 1
 bis,
 attraverso
 il
 quale
 prevedere
 che:
 “È
 consentita
 la
<br />

libera
pubblicazione
attraverso
la
rete
internet
a
titolo
gratuito
di
<br />

immagini
 e
 musiche
 a
 bassa
 risoluzione
 o
 degradati,
 per
 uso
<br />

didattico
o
enciclopedico
e
solo
nel
caso
in
cui
tale
utilizzo
non
sia
<br />

a
 scopo
 di
 lucro.
 Con
 decreto
 del
 Ministro
 per
 i
 beni
 e
 le
 attività
<br />

culturali,
 sentito
 il
 Ministro
 della
 pubblica
 istruzione
 e
<br />

dell'università
 e
 della
 ricerca,
 previo
 parere
 delle
 Commissioni
<br />

parlamentari
 competenti,
 sono
 definiti
 i
 limiti
 all'uso
 didattico
 o
<br />

enciclopedico
di
cui
al
precedente
periodo”.
<br />

Il
 risultato
 della
 modifica
 ‐
 lo
 dico
 a
 beneficio
 di
 chi
 non
<br />

mastica
 il
 giuridichese
 (pessimo
 quello
 utilizzato
 dai
 redattori
<br />

dell’emendamento!)
‐
è
che,
a
fini
di
critica,
discussione
e
didattica,
<br />

da
 domani,
 in
 <strong>Rete</strong>
 si
 rischia
 di
 poter
 utilizzare
 solo
 musiche
 ed
<br />

immagini
 per
 di
 più
 di
 serie
 B,
 se
 così
 può
 tradursi
 l’ambiguo
<br />

riferimento
<strong>alla</strong>
“bassa
risoluzione
o
degradati”.
<br />

Quello
in
atto
è
un
autentico
Golpe
culturale
o,
se
preferite,
<br />

un
 furto
 di
 cultura
 in
 danno
 degli
 utenti
 della
 <strong>Rete</strong>
 e
 delle
 altre
<br />

tecnologie
di
comunicazione
e
condivisione.
<br />

Non
 credo,
 d’altra
 parte,
 sia
 un
 caso
 che
 a
 manifestare
<br />

entusiasmo
per
l’emendamento
sia,
allo
stato,
solo
la
FIMI,
novella
<br />

84



Robin
Hood
allo
specchio
che
ruba
al
popolo
della
rete
cultura
per
<br />

offrirla
ai
signori
delle
Major…
<br />

Scusate
 lo
 sfogo,
 perdonate
 la
 lunghezza
 del
 post
 e,
<br />

soprattutto,
alzate
la
voce
per
riprenderci
la
Nostra
cultura.
<br />

Anche
se
Lorsignori
dimostrano,
ogni
giorno
di
più,
di
non
<br />

averlo
 capito
 la
 <strong>Rete</strong>
 e
 le
 nuove
 tecnologie
 dovrebbero
 servire
 a
<br />

crescere
 ed
 ad
 accedere
 ad
 un
 più
 ampio
 patrimonio
 culturale
 e
<br />

non
a
far
diventare
più
ricchi
sempre
i
soliti
noti
realizzando
una
<br />

pay
for
use
society…
<br />


<br />

Il
furto
di
cultura…/2
<br />

23
settembre
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=162
<br />


<br />

Lasciate
 sedimentare
 le
 emozioni
 di
 ieri
 (tutte
 negative),
<br />

cattive
 compagne
 di
 analisi
 giuridica
 sul
 testo
 dell'emendamento
<br />

votato
in
Commissione
<strong>alla</strong>
proposta
di
legge
SIAE
di
riforma
del
<br />

diritto
d'autore,
passo
ad
un
paio
di
considerazioni
più
pacate…
<br />

Do
 per
 letto
 il
 testo
 dell'emendamento
 e
 l'attuale
 primo
<br />

comma
dell'art.
70
LDA
che
trovate
comunque
nel
post
di
ieri,
qui
<br />

sotto… 38
<br />

La
disposizione,
oggi
‐
cioé
prima
che
Folena,
Lussuria
&
c.
<br />

pensassero
 di
 metterci
 le
 mani
 mal
 consigliati
 da
 FIMI
 (ben
<br />

consigliati
 se
 la
 storia
 la
 si
 guarda
 dal
 lato
 dell'industria!)
 ‐
 è
 di
<br />

ampio
 respiro
 e
 straordinaria
 profondità
 giuridica
 e
 culturale:
 il
<br />

principio
è
che
le
privative
intellettuali
non
devono
precludere
la
<br />

critica,
 la
 discussione,
 l'insegnamento
 e
 la
 ricerca
 e
 ciò
 a
<br />

prescindere
 d<strong>alla</strong>
 tipologia
 di
 opera
 utilizzata
 a
 tal
 fine;
 sembra
<br />

inutile
 ‐
 ma
 forse
 non
 lo
 è,
 almeno
 per
 i
 Lorsignori
 del
 Palazzo
 ‐
<br />

ricordare
 che
 la
 cultura
 può
 estrinsecarsi
 attraverso
 ogni
 opera
<br />

dell'ingegno.
<br />

L'attuale
primo
comma
dell'art.
70
è,
quindi,
previsione
di
<br />

compromesso,
 un
 compromesso
 giuridicamente
 elegante
 e
 di
<br />

grande
equilibrio.
<br />

Lo
 sciagurato
 emendamento
 entra
 su
 questo
 capolavoro
<br />

giuridico
di
altri
tempi
con
la
grazia
di
un
elefante
e
ne
sconvolge
<br />

struttura
e
contenuti.
<br />

Innanzitutto
 seleziona
 nel
 panorama
 delle
 diverse
<br />

tipologie
di
opere
cui
si
rifersice
il
primo
comma
dell'art.
70
solo
<br />

due
categorie:
le
immagini
ed
i
suoni.
Il
perché
di
una
simile
scelta
<br />

è
un
mistero
ma…la
scelta
è,
comunque,
assurda
perché
in
<strong>Rete</strong>
‐
e
<br />

non
solo
in
<strong>Rete</strong>
‐
circolano
molte
altre
opere…
<br />

























































<br />


<br />

38 
Sulla
carta
il
“prima”
è
più
in
alto
del
“dopo”
con
la
conseguenza
che
il
riferimento
<br />

è
al
post
sopra
e
non
a
quello
che
segue.
<br />

85




<br />

Quid
juris
per
le
altre
tipologie
di
opere?
<br />

L'ambiguità
 che
 la
 norma
 creerebbe
 è
 enorme:
 (a)
<br />

resterebbe
 applicabile
 il
 primo
 comma
 dell'art.
 70
 che,
 ad
 oggi,
<br />

deve
ritenersi
disciplinare
la
materia;
(b)
la
lettura
a
contrario
del
<br />

nuovo
 comma
 escluderebbe
 ogni
 utilizzabilità,
 ad
 esempio,
 delle
<br />

opere
 letterarie
 in
 <strong>Rete</strong>…il
 furto
 di
 cultura,
 in
 questo
 caso,
<br />

assumerebbe
dimensioni
irreparabili.
<br />

Per
 questa
 sera
 potrebbe
 essere
 abbastanza
 ma…vi
 do
<br />

un'altra
perla
di
ignoranza
informatica
e
giuridica…
<br />

Che
 significa
 che,
 in
 <strong>Rete</strong>,
 per
 le
 finalità
 di
 cui
 sopra
<br />

possono
essere
usate
solo
"immagini
e
suoni
a
bassa
risoluzione
o
<br />

degradati"?
<br />

Cominciamo
con
il
dire
che
il
periodo
manifesta
anche
una
<br />

crassa
 ignoranza
 grammaticale…perché
 gli
 aggettivi
 sono
 mal
<br />

coniugati
 con
 i
 sostantivi
 e
 perché
 la
 "o"
 non
 c'entra
 proprio
<br />

nulla…
<br />

Ma
 pazienza
 che
 in
 parlamento,
 in
 molti,
 non
 sappiano
<br />

scrivere
non
è
una
novità.
<br />

Il
 punto
 è
 che
 la
 portata
 di
 espressioni
 come
 "bassa
<br />

risoluzione"
 e
 "degradato"
 è
 ambigua,
 non
 definibile
 a
 priori,
<br />

necessariamente
 in
 evoluzione
 perché
 ciò
 che
 ieri
 era
 ad
 alta
<br />

definizione
 oggi
 deve
 definirsi
 a
 bassa
 risoluzione
 in
 ragione
 del
<br />

progresso
tecnico…
<br />

Dovremmo
 ridere,
 ridere
 e
 ridere…ma
 la
 questione
 è
<br />

troppo
 seria
 e
 viene
 più
 spontaneo
 manifestare
 rabbia
 ed
<br />

indignazione
 anche
 perché,
 ancora
 una
 volta,
 il
 mondo
<br />

dell'università
e
della
ricerca
non
è
stato
consultato…ma,
in
fondo,
<br />

c'era
l'On
Lussuria
a
far
da
garante
scientifico
ad
una
riforma
che
<br />

riguardo
 SOLO
 qualche
 milione
 di
 milioni
 di
 Gigabyte
 di
 cultura
<br />

digitale,
la
nostra
storia
ed
il
nostro
futuro…
<br />


<br />

Il
furto
di
cultura…/3
<br />

24
settembre
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=164
<br />


<br />

Non
vorrei
diventare
noioso
ma
ho
finalmente
trovato
un
<br />

pò
 di
 tempo
 per
 sfogliare
 ‐
 visto
 che
 non
 è
 ancora
 vietato
 d<strong>alla</strong>
<br />

Legge
 sul
 diritto
 d'autore!
 ‐
 gli
 scarni
 resoconti
 dei
 lavori
 della
<br />

commissione
 cultura
 (magari
 fossero
 disponibili
 verbali
 audio,
<br />

anche
 in
 "bassa
 risoluzione"…varrebbero,
 almeno,
 a
 regalare
 agli
<br />

italiani
 qualche
 minuto
 di
 divertimento!)
 sullo
 sciagurato
<br />

emendamento
 al
 quale
 ho
 dedicato
 gli
 ultimi
 post
 e
 vorrei
<br />

condividere
 con
 tutti
 un
 paio
 di
 considerazioni
 tra
 il
 serio
 ed
 il
<br />

faceto….non
perché
io
sia
in
vena
di
umorismo
ma
perché
l'ironia
<br />

86




<br />

sembra
 l'unica
 possibile
 chiave
 di
 lettura
 dei
 lavori
 parlamentari
<br />

attraverso
i
quali
sta
procedendo
l'esame
del
DL
CI
2221 39.
<br />

Una
 prima
 osservazione
 nasce
 dal
 testo
 originario
<br />

dell'emendamento
 così
 come
 presentato
 da
 Folena
 e
 Lussuria.
<br />

Eccolo:
<br />

1‐bis.
 È
 consentita
 la
 libera
 pubblicazione
 attraverso
 la
<br />

rete
 internet
 a
 titolo
 gratuito
 di
 immagini
 e
 musiche
 a
 bassa
<br />

risoluzione
 o
 degradati,
 per
 uso
 didattico
 o
 enciclopedico
 e
 solo
<br />

nel
caso
in
cui
tale
utilizzo
non
sia
a
scopo
di
lucro
o
abbia
finalità
<br />

commerciali.
 Per
 bassa
 risoluzione
 delle
 immagini
 si
 intende
 la
<br />

risoluzione
 standard
 dei
 monitor
 per
 elaboratori
 elettronici
 in
<br />

commercio
 e
 dimensioni
 non
 superiori
 a
 500
 punti
 per
 ciascuna
<br />

dimensione.
 Per
 bassa
 risoluzione
 delle
 musiche
 si
 intende
 una
<br />

frequenza
 di
 campionamento
 non
 superiore
 a
 8
 kilohertz.
 Ai
<br />

medesimi
usi
sono
consentite
le
riproduzioni
di
brani
e
citazioni
di
<br />

opere
tali
da
non
arrecare
danno
ai
detentori
dei
diritti.
<br />

In
corsivo
la
parte
poi
modificata
a
seguito
dell'invito
in
tal
<br />

senso
dell'On.
Giulietti
relatore
del
DL.
<br />

Credo
 che
 sulla
 settimana
 enigmistica
 l'emendamento,
 in
<br />

questa
 formulazione,
 verrebbe
 pubblicato
 nella
 vignetta
 SENZA
<br />

PAROLE
e,
a
mia
volta,
non
ho
parole…
<br />

Nei
 prossimi
 giorni
 spero
 di
 poter
 condividere
 con
 voi
<br />

delle
 immagini
 e
 dei
 suoni
 che
 rispondano
 alle
 caratteristiche
<br />

tecniche
 "partorite"
 dal
 genio
 tecnico‐giuridico
 di
 Folena
 e
<br />

Lussuria…
<br />

E
 pensare
 che
 Lussuria,
 dopo
 le
 sue
 esperienze
 nel
 noto
<br />

locale
romano
Mucca
Assassina
dovrebbe
aver
maturato
una
certa
<br />

competenza
almeno
in
materia
di
musica!
<br />

Una
 seconda
 battuta
 perché
 definirla
 considerazione
 mi
<br />

sembra
offensivo
per
quest'ultimo
termine.
<br />

Guardate
 qui 40
 quali
 sono
 stati
 i
 soggetti
 sentiti
 d<strong>alla</strong>
<br />

Commissione
 nell'ambito
 dell'attività
 conoscitiva
 svolta:
 Il
<br />

Presidente
della
SIAE,
i
rappresentanti
della
Federazione
industria
<br />

musicale
italiana
(FIMI)
‐
leggi
quello
stesso
Presidente
Mazza
che
<br />

guarda
 caso
 è
 stato
 tra
 i
 primi
 a
 manifestare
 entusiasmo
 per
 il
<br />

mostruoso
 emendamento,
 i
 rappresentanti
 dell'Associazione
<br />

supporti
 multimediali
 italiana
 (ASMI),
 il
 Sindacato
 nazionale
<br />

























































<br />

39 
 I
 resoconti
 sono
 pubblicati
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/trovaschedacamera_wai.asp?PDL=22<br />

21
<br />

40 
 L’elenco
 <strong>completo</strong>
 dei
 soggetti
 sentiti
 è
 pubblicato
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.camera.it/cartellecomuni/leg15/documenti/progettidilegge/AttivitaC<br />

onoscitive_wai.asp?ns=2&pdl=2221
<br />

87




<br />

scrittori
 nonché
 i
 rappresentanti
 del
 sindacato
 autonomo
 SIAE‐<br />

Conf.S.A.L..
<br />

Anche
 in
 questo
 caso
 la
 collocazione
 nel
 SENZA
 PAROLE
<br />

sembra
 la
 più
 indicata
 ma
 ne
 voglio,
 comunque,
 aggiungere
 un
<br />

paio
 che
 non
 sono
 quelle
 gridate
 nel
 recente
 V‐Day
 (anche
 se
 la
<br />

tentazione
è
forte!)…
<br />

Come
è
possibile
in
un
Paese
che
si
professa
democratico
<br />

mettere
mano
<strong>alla</strong>
Legge
sul
Diritto
d'autore,
discutere
di
cultura,
<br />

ricerca,
 critica,
 studio
 ed
 enciclopedie
 senza
 sentire
 gli
 utenti,
 i
<br />

consumatori,
l'università…?
<br />

Voi
che
risposta
vi
date?

<br />


<br />

Il
vero
problema
del
comma
1
bis
dell’art.
70
LDA.
<br />

11
gennaio
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=231
<br />


<br />

Ho
 appena
 letto
 un
 bell'articolo
 di
 Alessandro
 Longo
 su
<br />

Repubblica.it
a
proposito
della
questione
che
nelle
ultime
ore
sta
<br />

appassionando
 la
 blogosfera
 e
 l'interessante
 post
 con
 il
 quale
<br />

l'amico
 Daniele
 Minotti
 invita
 a
 considerare
 la
 vicenda
 con
<br />

maggior
serenità
e
senza
posizioni
precostituite
di
carattere
"anti‐<br />

politico" 41.

<br />

Il
 ragionamento
 di
 Daniele
 Minotti
 ‐
 che
 è
 poi
 la
<br />

traduzione
in
termini
giuridici
‐
della
posizione
sin
qui
sostenuta
<br />

dall'On.
 Folena
 è
 ineccepibile:
 il
 primo
 comma
 dell'art.
 70
 della
<br />

Legge
 sul
 Diritto
 d'autore
 non
 consente,
 nella
 sua
 formulazione
<br />

letterale,
 l'utilizzo
 né
 in
 <strong>Rete</strong>
 né
 fuori
 d<strong>alla</strong>
 rete
 di
 opere
<br />

dell'ingegno
 in
 formato
 integrale
 mentre
 il
 nuovo
 comma
 1
 bis
<br />

introdotto
 con
 l'emendamento
 Folena‐Lussuria
 consentirà
 la
<br />

pubblicazione
on‐line
di
"immagini
e
musiche"
purché
"degradate
<br />

e
a
bassa
risoluzione".
<br />

Si
 tratta,
 dunque,
 scrive
 Minotti
 di
 un
 ampliamento
 delle
<br />

libere
utilizzazioni
di
materiale
protetto
via
web.
<br />

Se
 la
 questione
 viene
 posta
 in
 questi
 termini,
 Daniele
<br />

Minotti
ha
ragione
e
con
lui
l'On.
Folena.
<br />

Passione
 per
 il
 diritto
 ed
 onestà
 intellettuale
 mi
<br />

impongono
 di
 riconoscerlo
 anche
 se
 non
 credo
 di
 averlo
 mai
<br />

negato.
<br />

Il
punto,
tuttavia,
è
un
altro.
<br />

























































<br />

41 
L’articolo
di
Alessandro
Longo,
pubblicato
su
Repubblica.it
l’11
gennaio
2008
è
<br />

pubblicato
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/scienza_e_tecnologia/diritti‐<br />

web/autore‐non‐profit/autore‐non‐profit.html
<br />

88




<br />

Per
quanto
abbia
cercato
non
ho,
sin
qui,
trovato
traccia
di
<br />

precedenti
 giurisprudenziali
 relativi
 a
 vicende
 nelle
 quali
 un
<br />

titolare
 di
 diritti
 d'autore
 su
 "immagini
 o
 musiche"
 (non
 mi
<br />

stancherò
mai
di
ripetere
che
le
parole
in
diritto
ha
un
senso
e
che
<br />

queste
non
si
riferiscono
a
nessuna
opera
dell'ingegno
o
piuttosto
<br />

a
tante!)
abbia
contestato
al
titolare
di
un
sito
non
avente
carattere
<br />

commerciale
 e/o
 fine
 di
 lucro
 l'utilizzo
 non
 autorizzato
 delle
<br />

proprie
"immagini
o
musiche".
<br />

E'
un
dato
che
non
può
e
non
deve
essere
sottovalutato.
<br />

Il
 contesto
 di
 riferimento
 nel
 valutare
 la
 portata
 e
 le
<br />

conseguenze
 del
 nuovo
 comma
 1
 bis
 dell'art.
 70
 LDA
 è
 questo
 e
<br />

non
già
quello
ricavabile
dal
solo
dato
formale
preso
a
parametro
<br />

dall'On.
Folena
e
dall'amico
Daniele
Minotti.
<br />

La
disciplina
sul
diritto
d'autore
‐
così
come
evidenziato
in
<br />

più
 passaggi
 nell'imponente
 relazione
 conclusiva
 dei
 lavori
 della
<br />

Commissione
 Gambino
 ‐
 necessita
 di
 una
 complessa
 opera
 di
<br />

adattamento,
peraltro
non
sempre
suscettibile
di
essere
realizzata
<br />

a
 livello
 nazionale,
 in
 considerazione
 del
 mutato
 contesto
<br />

tecnologico
 nel
 quale
 i
 contenuti
 protetti
 vengono
 posti
 in
<br />

circolazione
e
fruiti 42.
<br />

Il
 nuovo
 comma
 1
 bis
 dell'art.
 70
 LDA,
 interviene,
 in
 tale
<br />

magmatico
 contesto
 con
 la
 grazia
 di
 un
 elefante
 ed
 un
<br />

approssimazione
 giuridica
 senza
 eguali
 (in
 termini
 di
 forma
 e
<br />

contenuti)
per
il
lungo
elenco
di
ragioni
già
ampiamente
illustrato
<br />

in
questo
blog
e
da
numerosi
altri
commentatori.
<br />

All'indomani
 dell'entrata
 in
 vigore
 della
 nuova
 norma
 si
<br />

formerà,
 certamente,
 quell'orientamento
 giurisprudenziale
 che
<br />

oggi
 manca
 e
 che
 finirà
 con
 il
 restringere
 in
 modo
 imprevedibile
<br />

(per
 colpa
 delle
 approssimazioni
 definitorie
 contenute
 nella
<br />

norma)
 l'ambito
 delle
 libere
 utilizzazioni
 di
 opere
 protette
 sul
<br />

web.
<br />

Era
opportuno
ed
anzi
necessario
attendere
‐
ma
davvero
<br />

e
 non
 a
 parole
 ‐
 la
 conclusione
 dell'attività
 della
 Commissione
<br />

Gambino,
 prendere
 atto
 delle
 proposte
 da
 questa
 formulate,
<br />

studiare
 il
 contesto
 internazionale
 o,
 almeno
 europeo
 e
 poi
<br />

disciplinare
la
materia…
<br />

Nulla
 di
 tutto
 ciò
 è
 stato
 fatto
 e,
 francamente,
 non
 credo
<br />

che
oggi
ci
si
possa
trincerare
dietro
a
considerazioni
di
carattere
<br />

meramente
 formale
 per
 difendere
 un
 errore
 che
 non
 porterà
<br />

vantaggi
al
la
cultura
digitale
ma
solo
limiti,
paletti,
e
briglie
delle
<br />

quali
non
si
avvertiva
davvero
l'esigenza.
<br />

























































<br />

42 
 Il
 testo
 della
 relazione
 Gambino
 è
 disponibile
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.interlex.it/testi/pdf/lda_proposte.pdf
<br />

89




<br />

E'
 per
 questo
 che,
 senza
 preconcetti
 politici
 né
 di
 altro
<br />

genere,
 continuo
 a
 ritenere
 che
 l'iniziativa
 legislativa
 sfociata
<br />

nell'emendamento
dell'art.
70
LDA
sia
stata
un
errore
grave
sotto
<br />

un
profilo
di
politica
legislativa
prima
e
di
diritto
poi,
ovvero,
nella
<br />

fase
della
traduzione
in
norma.
<br />


<br />

Ancora
due
parole
sulla
norma
“degradata&degradante”.
<br />

11
gennaio
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=230
<br />


<br />

Ricevuta
 la
 prima
 richiesta
 di
 precisazioni
 da
 parte
<br />

dell’On.
Folena
mi
ero
ripromesso
di
rimanere
in
silenzio
e
lasciare
<br />

che
ciascuno
si
formasse
il
proprio
convincimento
anche
perché
la
<br />

professione
 mi
 ha
 insegnato
 che
 innamorarsi
 di
 una
 causa
 e
<br />

personalizzare
 una
 battaglia
 è
 il
 modo
 migliore
 per
 perderla…e
<br />

questa
è
una
causa
che
non
si
deve
perdere 43.
<br />

























































<br />

43 
Il
testo
della
precisazione
ricevuta
dall’On.
Folena
<strong>alla</strong>
quale
si
fa
riferimento
nel
<br />

post:
<br />

"Mi
dispiace
che
in
rete
si
travisi
in
significato,
giuridico
e
politico,
dell'introduzione
<br />

del
nuovo
comma
1­bis
nell'articolo
70
della
legge
sul
diritto
d'autore.
<br />

Prima
 di
 tutto
 va
 rilevato
 che
 rimane
 in
 piedi,
 del
 tutto,
 il
 primo
 comma,
 il
 quale
<br />

limita
 la
 riproduzione
 <strong>alla</strong>
 citazione
 e
 al
 riassunto
 e,
 quindi,
 non
 all'intera
 opera.In
<br />

più
 il
 motivo
 della
 pubblicazione
 non
 può
 essere
 la
 mera
 illustrazione.
 Viceversa
 il
<br />

nuovo
 comma
 1­bis
 estende
 ­
 e
 sottolineo
 questo
 aspetto
 ­
 la
 possibilità
 di
<br />

pubblicazioni
 "libere"
 sia
 pure
 solo
 per
 siti
 didattici
 e
 scientifici
 all'intera
 opera
<br />

(immagine
o
musica),
anche
se
degradata.
Cosa
significa,
in
pratica?
<br />

Se
 ho
 un
 blog
 didattico,
 un
 sito
 scientifico,
 a
 norma
 dell'articolo
 70
 non
 posso
<br />

pubblicare
opere
coperte
da
altrui
diritto
d'autore,
per
intero.
Ad
esempio
se
ho
un
<br />

sito
didattico
sulla
fotografia,
non
posso
pubblicare
un'opera
di
un
grande
fotografo
<br />

come
H.Newton
né
un
file
audio
con
una
canzone
di
un
cantante
famoso,
per
esempio
<br />

Vasco
 Rossi.
 Ma
 neppure
 la
 foto
 al
 microscopio
 di
 una
 cellula,
 se
 coperta
 da
 diritto
<br />

d'autore.
<br />

Con
questa
nuova
norma,
invece,
previa
definizione
dei
criteri
da
parte
del
ministero
<br />

(noi
avremmo
voluto
scriverli
direttamente
nella
norma,
ma
abbiamo
accettato
una
<br />

mediazione)
 questo
 sarà
 possibile.
 Ovviamente
 a
 certe
 condizioni
 (di
 qui
 la
 minore
<br />

risoluzione
 o
 la
 degradazione)
 in
 modo
 tale
 che
 non
 si
 entri
 in
 contrasto
 con
<br />

l'utilizzazione
economica
dell'opera
stessa.
Ad
esempio,
un
file
audio
potrebbe
essere
<br />

messo
a
disposizione
sul
sito
con
una
qualità
non
paragonabile
a
quella
di
un
cd,
ma
<br />

comunque
 ascoltabile.
 O
 un
 immagine
 con
 dimensioni
 non
 utili
 <strong>alla</strong>
 riproduzione
 a
<br />

stampa
(quindi
praticamente
tutte
le
immagini
del
web).
<br />

L'ispirazione
è
stata
un
disegno
di
legge
dei
Verdi
proprio
riguardo
i
siti
didattici.
<br />

Si
può
certo
dissentire
per
la
portata
limitata
dell'intervento,
ma
difatti
non
era
certo
<br />

quella
la
sede
per
una
revisione
del
diritto
d'autore
complessivo.
La
commissione
del
<br />

professor
Gambino
era
al
lavoro
e
mai
ci
saremmo
permessi
di
procedere
senza
prima
<br />

aver
acquisito
i
suoi
risultati.
<br />

Quindi
 tutto
 si
 può
 dire,
 ma
 non
 che
 questa
 novella
 restringa
 le
 libere
 utilizzazioni
<br />

attuali.
Semmai,
di
poco,
le
<strong>alla</strong>rga,
venendo
incontro
all'esigenza
di
tanti
docenti
che
<br />

hanno
 blog
 e
 siti
 didattici.
 Né
 può
 essere
 confusa
 con
 altre
 questioni
 (il
 diritto
 di
<br />

panorama
 e
 il
 codice
 Urbani)
 che
 nulla
 hanno
 a
 che
 vedere
 con
 questa
 piccola
 ­
<br />

piccolissima,
ma
comunque
importante
­
isola
di
libertà.
<br />

90




<br />

Analogo
proposito
mi
ha
spinto
ieri
a
soprassedere
da
una
<br />

replica
a
caldo
alle
“controprecisazioni
in
prevenzione”
diffuse
in
<br />

<strong>Rete</strong>
e
trasmessemi
dall’Ufficio
stampa
dell’On.
Folena
per
l’ipotesi
<br />

in
cui
avessi
deciso
di
pubblicare
la
posizione
dell’On.
Cortiana 44.




<br />

























































<br />

Pietro
Folena,
Presidente
della
Commissione
Cultura
della
Camera".
<br />

44 
Qui
di
seguito
il
botta
e
risposta
Cortiana‐
Folena:
<br />

Nel
pomeriggio
di
oggi
ho
ricevuto
una
comunicazione
dall'On.
Cortiana
contenente
<br />

una
 puntuale
 replica
 alle
 precisazioni
 dell'On.
 Folena
 di
 ieri
 ed
 un'interessante
<br />

proposta.
Non
ho
avuto
neppure
il
tempo
di
pubblicare
questo
documento
che
ho
<br />

ricevuto
 dall'Ufficio
 stampa
 dell'On.
 Folena
 una
 replica
 "in
 prevenzione"
 per
<br />

l'ipotesi
in
cui
avessi
pubblicato
il
contributo
dell'On.
Cortiana.
<br />

Mi
 sembra
 la
 miglior
 conferma
 che
 ‐
 quale
 che
 sia
 la
 ragione
 ‐
 l'argomento
 è
 di
<br />

grande
interesse
ed
attualit
<br />

Sono,
 pertanto,
 felice
 di
 pubblicare
 entrambi
 i
 documenti
 nell'ordine
 in
 cui
 li
 ho
<br />

ricevuti
e
di
mantenere
aperto
il
dialogo.
<br />

Da
 parte
 mia
 sto
 lavorando
 ‐
 con
 gli
 strumenti
 del
 giurista
 e
 la
 preziosa
<br />

collaborazione
di
irrinunciabili
esperti
di
tecnologia
‐
ad
individuare
una
soluzione
<br />

interpretativa
che,
non
appena
il
comma
1
bis
dell'art.
70
LDA
sarà
legge
di
questo
<br />

strano
 Paese,
 possa
 rappresentare
 un'ipotesi
 di
 compromesso
 tra
 i
 contrapposti
<br />

interessi
dei
titolari
dei
diritti
e
del
popolo
della
<strong>Rete</strong>.
<br />

Spero
 di
 condividere
 con
 Voi
 al
 più
 presto
 tale
 soluzione
 per
 ricevere
 critiche
 ed
<br />

adesioni.
<br />

Scrive
l'On.
Cortiana:
<br />





Una
risposta
a
Folena
e
una
proposta
<br />

Nella
 nota
 del
 Presidente
 della
 Commissione
 Cultura
 della
 Camera
 relativa
 <strong>alla</strong>
<br />

Legge
 di
 riforma
 della
 SIAE
 si
 definisce
 l'introduzione
 del
 comma
 1‐bis
 come
 la
<br />

costituzione
 di
 una
 "piccola
 ‐
 piccolissima,
 ma
 comunque
 importante
 ‐
 isola
 di
<br />

libertà"
il
cui
perimetro
è
stato
definito
attraverso
l'interlocuzione
esclusiva
con
i
<br />

rappresentanti
 SIAE,
 FIMI,
 ASMI,
 il
 Sindacato
 nazionale
 Scrittori
 e
 il
 Sindacato
<br />

Autonomo
SIAE‐Conf.S.A.L.,
con
le
conseguenti
"mediazioni
accettate".
Partiamo
da
<br />

qui:
forse
su
Second
Life
è
possibile
una
simile
processo
per
la
creazione
di
un'isola,
<br />

ma
 non
 nello
 spazio
 di
 relazione
 che
 attraverso
 Internet
 si
 è
 sviluppato
 come
<br />

impresa
 cognitiva
 collettiva.
 Qui
 c'è
 viralità
 non
 virtualità,
 qui
 la
 partecipazione
<br />

informata
ai
processi
regolamentari
costituisce
una
pre‐condizione
indispensabile
<br />

affinché
 questi
 siano
 efficaci.
 Per
 questo
 il
 processo
 sulla
 Governance
 di
 Internet
<br />

avviato
 dalle
 Nazioni
 Unite
 è
 un
 processo
 multistakeholder.
 Un
 tavolo
 aperto
 di
<br />

confronto
 avrebbe
 ad
 esempio
 permesso
 alle
 commissioni
 presiedute
 dal
 Prof.
<br />

Gambino
 e
 dal
 Prof.
 Rodotà
 di
 dare
 il
 proprio
 contributo.
 Si
 sarebbe
 così
 evitato
<br />

l'equivoco
ossimoro
legato
<strong>alla</strong>
possibilità
di
riprodurre
immagini
a
fini
didattici
e
<br />

di
 ricerca
 scientifica
 a
 condizione
 che
 abbiano
 una
 bassa
 risoluzione
 e
 siano
<br />

comunque
 degradate.
 Una
 non
 definizione
 del
 concetto
 di
 "immagine"
 nella
 rete
<br />

digitale
 e
 la
 condizione
 di
 degradazione
 della
 stessa
 non
 lascia
 soltanto
 campo
<br />

aperto
 a
 non
 chiare
 discrezionalità
 (e
 il
 Codice
 Urbani
 qui
 è
 assolutamente
<br />

pertinente)
 ma
 sicuramente
 pregiudica
 la
 qualità
 della
 didattica
 e
 della
 ricerca.
<br />

Peraltro
proprio
la
SIAE
già
nel
2004
nel
"Compendio
delle
Norme
e
dei
Compensi
<br />

di
 opere
 delle
 Arti
 Visive",
 nella
 Prima
 Sezione
 all'art.7.‐INTERNET
 precisava
<br />

che:"Comunque
 la
 riproduzione
 delle
 immagini
 non
 dovrà
 eccedere
 i
 72
 DPI
 di
<br />

risoluzione
 e
 dovrà
 essere
 di
 bassa
 qualità."
 Forse
 la
 mediazione
 parlamentare
 è
<br />

consistita
nell'introduzione
aggiuntiva
del
concetto
di
"degrado"?
<br />

Non
ho
trovato
negli
articolati
dei
disegni
di
legge
dei
Verdi
la
fonte
di
ispirazione
<br />

di
cui
parla
Pietro
Folena
comunque
toccherà
a
loro
chiarire.
In
ogni
caso
la
portata
<br />

dell'intervento
 di
 Riforma
 non
 risulta
 "limitata"dato
 che
 ora
 ogni
 controversia
<br />

91



























































<br />


<br />

messa
 in
 atto
 d<strong>alla</strong>
 SIAE
 viene
 trasferita
 d<strong>alla</strong>
 giustizia
 amministrativa
 a
 quella
<br />

ordinaria.
<br />

Al
 fine
 di
 rimediare
 il
 pasticcio
 legislativo
 e
 il
 prevedibile
 arcobaleno
<br />

giurisprudenziale
 conseguente,
 è
 utile
 e
 necessario
 fare
 entrare
 aria
 fresca
<br />

all'interno
della
piccola‐piccolissima
isola
murata
del
degrado
a
bassa
risoluzione,
<br />

attraverso
un
processo
partecipato
da
tutti
gli
stakeholder
e
con
l'approvazione
di
<br />

un
articolo
che
nella
chiara
definizione
del
dolo
e
della
contraffazione
armonizzi
e
<br />

coordini
 lo
 scombinato
 panorama
 legislativo
 che
 si
 sta
 venendo
 a
 creare.
 Poi
<br />

speriamo
 che
 si
 possa
 aprire
 una
 stagione
 legislativa
 che
 consenta
 di
 definire
<br />

proposte
 per
 cogliere
 le
 opportunità
 della
 società
 della
 Conoscenza
 così
 come
<br />

l'Europa
si
è
proposta
con
l'Agenda
di
Lisbona.
<br />

Sen.
Fiorello
Cortiana
‐
Consulta
sulla
Governance
di
Internet
<br />

********
<br />

Risponde
l'On.
Folena:
<br />





Sono
 purtroppo
 costretto
 a
 replicare
 alle
 inesattezze
 dell'amico
 Cortiana.
 Mi
<br />

dispiace
 che
 vengano
 da
 una
 persona
 competente
 in
 materia
 e
 con
 la
 quale
 ho
<br />

collaborato
in
passato.
<br />

Procediamo
con
ordine
e
in
modo
puntuale.
<br />





Fiorello
 afferma:"Nella
 nota
 del
 Presidente
 della
 Commissione
 Cultura
 della
<br />

Camera
 relativa
 <strong>alla</strong>
 legge
 di
 riforma
 della
 Siae
 si
 definisce
 l'introduzione
 del
<br />

comma
 1‐bis
 come
 la
 costituzione
 di
 una
 "piccola
 ‐
 piccolissima,
 ma
 comunque
<br />

importante
 ‐
 isola
 di
 libertà"
 il
 cui
 perimetro
 è
 stato
 definito
 attraverso
<br />

l'interlocuzione
 esclusiva
 con
 i
 rappresentanti
 Siae,
 Fimi,
 Asmi,
 il
 Sindacato
<br />

nazionale
 Scrittori
 e
 il
 Sindacato
 Autonomo
 Siae‐Conf.Sal,
 con
 le
 conseguenti
<br />

"mediazioni
accettate".
"
<br />

Questo
è
inesatto.
Sono
stati
auditi
quei
soggetti
perché
la
legge
riguardava
la
Siae,
<br />

non
il
diritto
d'autore.
Siamo
stati
noi
a
premere
per
introdurre
la
piccola
norma
a
<br />

favore
dei
blog
didattici,
scontrandoci
con
alcuni
dei
soggetti
citati.
<br />





Scrive
 ancora
 Cortiana:
 "Un
 tavolo
 aperto
 di
 confronto
 avrebbe
 ad
 esempio
<br />

permesso
alle
commissioni
presiedute
dal
Prof.
Gambino
e
dal
Prof.
Rodotà
di
dare
<br />

il
proprio
contributo.
"
<br />

Difatti
noi
abbiamo
cercato
di
non
ostacolare
quel
lavoro,
evitando
di
mettere
mani
<br />

in
 modo
 pesante
 <strong>alla</strong>
 legge
 sul
 diritto
 d'autore.
 Ho
 incontrato
 appositamente
<br />

Gambino
 proprio
 per
 assicurargli
 che
 la
 Commissione
 Cultura
 avrebbe
 aspettato
<br />

senz'altro
la
conclusione
dei
lavori.
Quella
della
commissione
Gambino
è
stata
‐
e
<br />

credo
 continuerà
 ad
 essere
 ‐
 la
 sede
 "multistakeholder".
 Ora
 tocca
 al
 decisore
<br />

politico
intervenire
sulla
base
di
quei
lavori,
in
raccordo
con
il
prof.
Gambino
e
la
<br />

sua
commissione
che
ci
ha
fornito
materiali
preziosi,
idee
e
proposte
di
lavoro.
<br />





Sempre
 Cortiana
 afferma:
 "Proprio
 la
 SIAE
 già
 nel
 2004
 nel
 "Compendio
 delle
<br />

Norme
 e
 dei
 Compensi
 di
 opere
 delle
 Arti
 Visive",
 nella
 Prima
 Sezione
 all'art.7.‐<br />

INTERNET
 precisava
 che:
 "Comunque
 la
 riproduzione
 delle
 immagini
 non
 dovrà
<br />

eccedere
i
72
DPI
di
risoluzione
e
dovrà
essere
di
bassa
qualità."
"
<br />

Appunto
è
ciò
che
la
Siae
fa.
Chiede
un
compenso,
con
tanto
di
tabella,
anche
ai
siti
<br />

didattici
per
la
riproduzione
di
opere
coperte
da
diritto
d'autore.
Ora,
o
meglio
dopo
<br />

il
 decreto
 attuativo
 del
 ministero,
 che
 dovrà
 essere
 approvato
 d<strong>alla</strong>
 nostra
<br />

Commissione,
 non
 potrà
 più
 farlo,
 se
 tali
 immagini
 non
 avranno
 qualità
 tale
 da
<br />

competere
 con
 l'uso
 commerciale
 (e
 sfido
 chiunque
 a
 sostenere
 che
 un'immagine
<br />

sul
 web
 come
 di
 solito
 vengono
 pubblicate
 possa
 essere
 usata
 in
 un
 book
<br />

fotografico).
<br />





Cortiana:
 "Forse
 la
 mediazione
 parlamentare
 è
 consistita
 nell'introduzione
<br />

aggiuntiva
del
concetto
di
"degrado"?
"
<br />

No,
noi
abbiamo
cancellato
il
compenso,
come
ho
spiegato.
<br />





"Non
 ho
 trovato
 negli
 articolati
 dei
 disegni
 di
 legge
 dei
 Verdi
 la
 fonte
 di
<br />

ispirazione
di
cui
parla
Pietro
Folena;
comunque
toccherà
a
loro
chiarire.
"
<br />

92




<br />

A
 questo
 punto,
 però,
 avverto
 l’insopprimibile
 esigenza
<br />

(sbagliando
 dirà
 qualcuno!)
 di
 tornare
 sull’argomento
 perché
<br />

l’ampia
replica
dell’On.
Folena
non
solo
non
mi
ha
convinto
ma,
al
<br />

contrario,
 mi
 ha
 confermato
 che
 la
 norma
 appena
 approvata
 ‐
 e,
<br />

probabilmente,
 prossima
 a
 divenire
 Legge
 nonostante
 l’estremo
<br />

tentativo
 compiuto
 dall’On.
 Cappato
 che
 ha
 chiesto
 al
 Presidente
<br />

della
Repubblica
di
non
firmarla
–
è
tanto
ambigua,
mal
pensata
e
<br />

mal
 scritta
 da
 non
 essere
 stata,
 evidentemente,
 ben
 compresa
<br />

neppure
dai
suoi
estensori
e/o
firmatari.




<br />

Comincio
da
un
dato
che
–
da
cittadino
e
non
da
giurista
–
<br />

non
riesco
ad
accettare.








<br />

L’On.
 Folena,
 tanto
 nelle
 prime
 precisazioni
 che
 nelle
<br />

controprecisazioni
 di
 ieri
 si
 difende
 d<strong>alla</strong>
 contestazione
 di
 aver
<br />

preteso
 (ovviamente
 non
 da
 solo
 ma
 in
 buona
 compagnia)
 di
<br />

normare
in
una
materia
oggetto
di
approfondito
esame
e
studio
da
<br />

parte
 della
 Commisione
 permanente
 sul
 diritto
 d’autore
 ora
<br />

Presieduta
dal
Prof.
Gambino
e
già
presieduta
dal
Prof.
Corasaniti,
<br />

sostenendo
 di
 aver
 atteso
 la
 conclusione
 dei
 lavori
 di
 tale
<br />

Commissione
e
di
averne
recepito
idee
e
proposte.
<br />

Scrive,
 infatti,
 l’On.
 Folena
 nelle
 Sue
 precisazioni
 dell’8
<br />

gennaio:





<br />

“La
 commissione
 del
 professor
 Gambino
 era
 al
 lavoro
 e
<br />

mai
ci
saremmo
permessi
di
procedere
senza
prima
aver
acquisito
<br />

i
suoi
risultati”.




<br />

Continua,
l’On.
Folena
nelle
Sue
controprecisazioni
di
ieri:




<br />

“Ho
 incontrato
 appositamente
 Gambino
 proprio
 per
<br />

assicurargli
 che
 la
 Commissione
 Cultura
 avrebbe
 aspettato
<br />

senz'altro
la
conclusione
dei
lavori…
con
il
prof.
Gambino
e
la
sua
<br />

commissione
che
ci
ha
fornito
materiali
preziosi,
idee
e
proposte
di
<br />

lavoro.”.


<br />

























































<br />

DDL
Senato
1461,
Bulgarelli:
"Art.
4.

«È
consentita
la
pubblicazione
attraverso
la
<br />

rete
internet
a
titolo
gratuito
di
immagini
a
bassa
risoluzione
unicamente
per
uso
<br />

strettamente
didattico
e
solo
nel
caso
in
cui
tale
utilizzo
non
sia
a
scopo
di
lucro,
<br />

fatto
salvo
il
riconoscimento
della
paternità
dell'opera».
<br />

Faccio
 anche
 notare
 che
 la
 bassa
 risoluzione
 o
 la
 degradazione
 qualitativa
 è
<br />

considerata
da
diversi
giuristi
americani
uno
degli
elementi
di
valutazione
nel
fair
<br />

use
degli
Stati
Uniti,
tanto
richiamato
e
così
poco
conosciuto.
Ad
esempio
è
utile
la
<br />

lettura
di
questo
saggio:
http://www.copyright.iupui.edu/highered.htm
<br />

Pareri
simili
si
trovano
anche
su
copyright.gov
da
parte
di
insigni
giuristi,
tecnici,
<br />

docenti.
Non
ci
siamo
inventati
nulla.
<br />

In
conclusione:
si
poteva
fare
di
più?
Forse
sì.
Si
poteva
fare
meglio?
Forse
sì.
Ma
<br />

non
s'è
fatto
male.
Si
può
accusare
Folena
di
tutto
ma
non
di
avere
scritto
la
fine
<br />

della
libertà
della
rete.
<br />

Pietro
Folena,
presidente
della
Commissione
Cultura
della
Camera
dei
Deputati.
<br />

Il
 dibattito
 è
 politico
 e
 credo
 che
 sia
 opportuno
 lasciare
 a
 ciascuno
 formarsi
 il
<br />

proprio
convincimento.
<br />

93




<br />

Mi
 sembra
 tutto
 molto
 difficile
 da
 credere.
 Storia
 e
<br />

documenti
dicono
il
contrario.




<br />

La
 Commissione
 Gambino
 ha
 presentato
 i
 suoi
 lavori
 al
<br />

Vice
Presidente
del
Consiglio
Francesco
Rutelli
il
18
dicembre
ed
il
<br />

21
 il
 testo
 del
 comma
 1
 bis
 da
 aggiungere
 all’art.
 70
 della
 LDA
<br />

veniva
 approvato
 in
 via
 definitiva
 d<strong>alla</strong>
 Commissione
 Cultura
 del
<br />

Senato,
 in
 poco
 meno
 di
 30
 minuti,
 senza
 discussione
 e
 nella
<br />

medesima
 formulazione
 nella
 quale
 era
 già
 stato
 approvato
 <strong>alla</strong>
<br />

Camera
il
precedente
25
ottobre.
<br />

Come
 si
 può,
 in
 tali
 condizioni,
 sostenere
 seriamente
 di
<br />

aver
“acquisito
i
risultati”
dei
lavori
della
Commissione
Gambino?




<br />

Se
 storia
 e
 calendario
 non
 fossero
 sufficienti,
 tuttavia,
<br />

basta
 scorrere
 il
 testo
 della
 Relazione
 conclusiva
 dei
 lavori
 della
<br />

Commissione
Gambino
sino
ad
arrivare
alle
proposte
di
modifica
<br />

dell’art.
70
LDA:
nessuna
ricorda
neppure
da
lontano
il
monstrum
<br />

giuridico
concepito
d<strong>alla</strong>
Commissione
Cultura.




<br />

Le
proposte
formulate
all’esito
di
un
lavoro
durato
anni
e
<br />

che
 ha
 coinvolto
 oltre
 100
 esperti
 di
 diritto
 d’autore
 hanno
<br />

tutt’altra
filosofia,
sono
ispirate
da
diverse
finalità,
mostrano
ben
<br />

più
 ampio
 respiro
 e,
 soprattutto,
 sono
 formulate
 in
 termini
 assai
<br />

più
chiari.




<br />

Credo
 che
 nessuno
 in
 Commissione
 Cultura
 abbia
 mai
<br />

sfogliato
quel
documento
ma…se
anche
lo
ha
fatto,
non
ha
colto
la
<br />

sostanziale
differenza
tra
ciò
che
si
stava
scrivendo
al
comma
1
bis
<br />

dell’art.
 70
 LDA
 e
 le
 proposte
 formulate
 d<strong>alla</strong>
 Commissione
<br />

Gambino.




<br />

Errori
e
difese
ostinate
dei
propri
errori
sono
leciti,
umani
<br />

e
 comprensibili
 ma
 cercare,
 a
 tal
 fine,
 di
 piegare
 la
 realtà
 alle
<br />

proprie
esigenze
difensive,
francamente,
non
credo
lo
sia.




<br />

Nelle
 “controprecisazioni”
 di
 ieri,
 l’On.
 Folena
 fa
 notare,
<br />

inoltre,
 
 “che
 la
 bassa
 risoluzione
 o
 la
 degradazione
 qualitativa
 è
<br />

considerata
 da
 diversi
 giuristi
 americani
 uno
 degli
 elementi
 di
<br />

valutazione
 nel
 fair
 use
 degli
 Stati
 Uniti,
 tanto
 richiamato
 e
 così
<br />

poco
 conosciuto.
 Ad
 esempio
 è
 utile
 la
 lettura
 di
 questo
 saggio:
<br />

http://www.copyright.iupui.edu/highered.htm”.
<br />

Sono
 senza
 parole
 e
 se
 il
 silenzio
 parlasse
 via
 internet
<br />

userei
quello…








<br />

Non
credo
sia
“didattico”
né
“scientifico”
accostare
l’italico
<br />

nuovo
comma
1
bis
dell’art.
70
LDA
al
ben
più
civile
principio
del
<br />

fair
 use
 di
 cui
 all’art.
 107
 del
 Copyright
 Act
 e
 ciò
 perché
 tale
<br />

principio
 contrasta
 in
 modo
 insanabile
 con
 la
 norma
 appena
<br />

approvata
 in
 Italia.
 
 
 
 Il
 fair
 use
 –
 lo
 si
 dice
 proprio
 nell’articolo
<br />

richiamato
 dall’On.
 Folena
 –
 è
 un
 concetto
 elastico,
 aperto
 e
<br />

flessibile,
destinato,
per
sua
natura,
ad
essere
adattato
dai
Giudici
<br />

alle
diverse
fattispecie.




<br />

94




<br />

Al
 contrario,
 la
 norma
 di
 cui
 si
 discute,
 imbriglierà
 il
<br />

Giudice
al
rispetto
di
oscure
regole
tecniche
che
verranno
emanate
<br />

nei
 prossimi
 mesi
 e
 che,
 per
 quanti
 sforzi
 si
 possa
 fare,
 non
<br />

riusciranno
 certamente
 a
 disciplinare
 ogni
 possibile
 ipotesi
 né
 a
<br />

dettare
 criteri
 univoci
 per
 tracciare
 una
 linea
 di
 demarcazione
<br />

nitida
e
chiara
tra
utilizzi
legittimi
ed
illegittimi,
tra
scopi
didattici
<br />

o
 scientifici
 ed
 altri
 scopi
 –
 sempre
 non
 commerciali
 –
 ma
 di
<br />

diversa
 natura
 e,
 infine,
 tra
 immagini
 e
 musiche
 degradate
 o
 a
<br />

bassa
risoluzione
e
analoghi
contenuti
“non
degradati”
e
a
normale
<br />

risoluzione.
<br />

Immagini
 e
 musiche
 a
 bassa
 risoluzione
 o
 degradate
 è
<br />

espressione
priva
di
significato
e
destinata
a
rimanere
tale
anche
<br />

dopo
il
regolamento
che
dovrà
essere
varato
nei
prossimi
mesi.




<br />

Ho
chiesto
a
Leonardo
Chiariglione
–
che
non
credo
abbia
<br />

bisogno
 di
 presentazioni
 –
 di
 aiutarmi
 a
 dare
 un
 senso
 a
 tale
<br />

riferimento.



Questa
è
stata
la
risposta:




<br />

“<strong>Guido</strong>,
<br />

Il
 testo
 dell'emendamento
 approvato
 dal
 Senato
 relativo
<br />

all'art.
 70
 dellaLegge
 sul
 diritto
 d'autore
 che
 fa
 riferimento
 a
<br />

immagini
 e
 musiche
 a
 bassa
 risoluzione
 o
 degradate
 non
 mi
 pare
<br />

abbia
molto
senso
pratico
e
mi
chiedocome
potrà
essere
gestito.
La
<br />

risoluzione
di
un'immagine
è
funzione
del
tempo:
10
anni
fa
avevo
<br />

unadelle
 prime
 macchine
 fotografiche
 numeriche
 con
 una
<br />

risoluzione
di
320×240(75Kpixel)
ed
oggi
parliamo
di
molti
Mpixel.
<br />

Quindi
 quello
 che
 è
 alto
 oggi
 èbasso
 domani.
 È
 questo
 che
 si
 vuole
<br />

dire?
Oppure
si
dice
a
priori
quanti
devono
essere
i
pixel?Le
tecniche
<br />

di
 compressione
 giocano
 poi
 brutti
 scherzi.
 Uno
 degli
 ultimi
<br />

miglioramenti
 della
 codifica
 audio
 si
 chiama
 "spectral
 band
<br />

replication".Penso
 che,
 con
 un
 po'
 di
 lavoro,
 si
 potrebbe
 fare
<br />

dell'ottimo
audio
che
si
potrebbe
sostenere
(immagino)
in
tribunale
<br />

essere
 "a
 bassa
 risoluzione(frequenza
 di
<br />

campionamento)".Leonardo”
<br />

Non
 c’è
 molto
 da
 aggiungere.
 I
 parametri
 individuati
 al
<br />

comma
1
bis
dell’art.
70
LDA
sono
necessariamente
relativi
(come
<br />

d’altra
 parte
 suggerisce
 la
 lingua
 italiana)
 e
 destinati
 ad
 una
<br />

continua
evoluzione.
<br />

Forse,
 a
 questo
 punto,
 fallito
 ogni
 tentativo
 di
 confronto
<br />

sui
principi
e
tramontata
ogni
speranza
di
lasciare
sulla
porta
del
<br />

nostro
 Ordinamento
 quest’ennesima
 brutta
 norma,
 converrà
<br />

iniziare
a
pensare
a
come
trarre
vantaggio
–
nei
limiti,
ovviamente
<br />

del
lecito
ed
al
solo
fine
di
accrescere
la
circolazione
della
cultura
<br />

digitale
in
<strong>Rete</strong>
–
dalle
sue
numerose
ambiguità.
<br />

Ma
di
questo
parliamo
domani.
<br />


<br />

95




<br />

Wikia
 campaigns
 per
 il
 Decreto
 sui
 limiti
 di
 uso
 delle
 opere
<br />

via
web.
<br />

12
gennaio
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=233
<br />


<br />

Credo
 che
 il
 dibattito
 in
 merito
 all’emendamento
 Folena‐<br />

Lussuria
 all’art.
 70
 LDA
 abbia
 evidenziato
 l’esistenza
 di
 posizioni
<br />

diverse
 sul
 problema
 delle
 libere
 utilizzazioni
 in
 <strong>Rete</strong>
 e,
<br />

soprattutto,
 sull’opportunità
 di
 intervenire
 sulla
 materia
 ‐
 che,
<br />

certamente,
 necessita,
 con
 urgenza,
 di
 un
 profondo
 e
 radicale
<br />

ripensamento
 ‐
 con
 una
 norma
 –
 quale
 che
 ne
 sia
 il
 giudizio
<br />

politico
 –
 mal
 scritta
 e
 destinata
 a
 creare
 ambiguità
 e
 problemi
<br />

interpretative
e
di
applicazione.
<br />

Il
confronto
sul
tema
potrebbe,
probabilmente,
proseguire
<br />

ancora
 per
 molto
 senza,
 tuttavia,
 nessuna
 concreta
 possibilità
 di
<br />

modificare
il
corso
degli
eventi,
apparendo
ormai
scontata
–
se
non
<br />

già
avvenuta
–
la
firma
da
parte
del
Capo
dello
Stato
della
nuova
<br />

Legge.
<br />

In
 tale
 contesto,
 sebbene
 a
 malincuore
 dopo
 aver
<br />

contribuito
 a
 dar
 vita
 ed
 a
 tener
 vivo
 il
 dibattito,
 ritengo
 sia
<br />

arrivato
il
momento
di
guardare
avanti
e
cioè
al
decreto
attraverso
<br />

il
quale
andranno
stabiliti
i
limiti
d’uso
di
“immagini
e
musiche”
sul
<br />

web.
<br />

Sarà
 difficile,
 con
 una
 norma
 secondaria,
 rimediare
 alle
<br />

sviste
formali
ed
agli
errori
sostanziali
presenti
–
almeno
su
questo
<br />

mi
 sembra
 vi
 sia
 una
 sostanziale
 convergenza
 di
 idee
 –
 nel
 testo
<br />

della
 norma
 primaria
 ma,
 ritengo,
 abbiamo,
 tutti,
 il
 dovere
 di
<br />

provarci.
<br />

L’acceso
 dibattito
 sull’emendamento
 Folena‐Lussuria,
<br />

peraltro,
ha,
a
mio
avviso,
dimostrato
che
il
Web
italiano
è
ormai
<br />

maturo
 per
 essere
 utilizzato
 quale
 naturale
 strumento
 di
<br />

confronto,
collaborazione
e
supporto
all’attività
politica.
<br />

In
 questa
 prospettiva
 ho
 dedicato
 le
 ultime
 ore
 a
<br />

predisporre
 una
 pagina
 sulla
 piattaforma
 Campaigns
 Wikia
 ‐
<br />

ultima
 creatura
 del
 fondatore
 della
 più
 nota
 Wikipedia
 –
 nata
<br />

proprio
 allo
 scopo
 di
 consentire,
 promuovere
 e
 favorire
 il
<br />

confronto
politico.
<br />

Ho
pubblicato
sulla
pagina
un
primo
schema
di
quello
che
<br />

potrebbe
essere
il
Decreto
Ministeriale
cui
il
comma
1
bis
dell’art.
<br />

70
 LDA
 demanda
 la
 definizione
 dei
 limiti
 d’uso
 di
 “immagini
 e
<br />

musiche”
 in
 <strong>Rete</strong>
 nonché
 un
 elenco,
 non
 esaustivo,
 di
 fonti
 per
<br />

96




<br />

approfondire
 il
 dibattito
 sulla
 questione
 e
 poter
 così
 partecipare
<br />

attivamente
<strong>alla</strong>
modifica
del
testo
del
Decreto. 45
<br />

























































<br />

45 
Il
decreto
di
attuazione
del
comma
1
bis
dell’art.
70,
quando
questo
volume
è
dato
<br />

alle
 stampe
 non
 è
 ancora
 stato
 pubblicato,
 la
 bozza
 di
 decreto
 a
 suo
 tempo
<br />

predisposta
 e
 messa
 disposizione
 del
 pubblico
 per
 commenti,
 modifiche
 ed
<br />

integrazioni
è
tuttora
disponibile
a
questa
URL:
<br />

http://campaigns.wikia.com/wiki/Attivit%C3%A0_di_supporto_<strong>alla</strong>_redazione_del<br />

_Regolamento_di_attuazione_del_comma_1_bis_dell%E2%80%99art._70_LDA
<br />

Questo
 è
 il
 testo
 della
 bozza
 come
 risultante
 dalle
 modifiche
 apportate
 d<strong>alla</strong>
<br />

comunità
telematica
sino
all’8
gennaio
2008:
<br />

Decreto
del
Ministro
per
i
beni
e
le
attività
culturali,
sentiti
il
Ministro
della
<br />

pubblica
istruzione
e
il
Ministro
dell'università
e
della
ricerca
in
attuazione
<br />

del
comma
1
bis
dell’art.
70
della
Legge
n.
633
del
21
aprile
1941.
<br />

Vista
la
legge
21
aprile
1941,
n.
633,
recante
Protezione
del
diritto
d'autore
e
di
altri
<br />

diritti
connessi
al
suo
esercizio
ed
in
particolare
l'art.
70;
<br />

Vista
la
legge
.....
recante
disposizioni
concernenti
la
Società
italiana
degli
autori
ed
<br />

editori
ed
in
particolare
l’art.
2;
<br />

Art.
1.
Opere
soggette
all'eccezione.
<br />

1.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell’art.
70,
legge
21
aprile
1941,
n.
633,
si
intendono
per
<br />

immagini
tutte
le
opere
dell'ingegno
di
carattere
creativo
che
appartengono
alle
arti
<br />

figurative
di
cui
all’art.
1
della
medesima
legge
e,
in
particolare,
quelle
della
pittura,
<br />

dell'arte,
 del
 disegno,
 compresa
 la
 scenografia
 nonché
 i
 disegni
 industriali
 che
<br />

presentino
di
per
sé
carattere
creativo
e
valore
artistico
e
di
architettura,
le
opere
<br />

dell'arte
 cinematografica,
 muta
 o
 sonora,
 sempreché
 non
 si
 tratti
 di
 semplice
<br />

documentazione
protetta
ai
sensi
delle
norme
del
Capo
V
del
Titolo
II
e,
infine,
le
<br />

opere
 fotografiche
 e
 quelle
 espresse
 con
 procedimento
 analogo
 a
 quello
 della
<br />

fotografia
 sempre
 che
 non
 si
 tratti
 di
 semplice
 fotografia
 protetta
 ai
 sensi
 delle
<br />

norme
del
Capo
V
del
Titolo
II.
<br />

2.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell’art.
70,
legge
21
aprile
1941,
n.
633,
si
intendono
per
<br />

musiche
 tutte
 le
 opere
 dell'ingegno
 di
 carattere
 creativo
 che
 appartengono
 <strong>alla</strong>
<br />

musica
 di
 cui
 all’art.
 1
 della
 medesima
 legge
 e,
 in
 particolare,
 le
 opere
 e
 le
<br />

composizioni
 musicali,
 con
 o
 senza
 parole,
 le
 opere
 drammatico‐musicali
 e
 le
<br />

variazioni
musicali
costituenti
di
per
sé
opera
originale
di
cui
al
n.
2
dell’art.
2
della
<br />

stessa
legge.
<br />

3.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell’art.
70,
legge
21
aprile
1941,
n.
633,
si
intende
per
<br />

immagini
e
musiche
anche
l’opera
risultante
d<strong>alla</strong>
inscindibile
combinazione
di
una
<br />

o
più
opere
di
cui
ai
commi
precedenti,
o
parti
di
esse.
<br />

Art.
2.
Finalità
d’uso
delle
opere
rilevanti
ai
fini
dell’eccezione.
<br />

1.
 Ai
 fini
 del
 comma
 1
 bis
 dell’art.
 70,
 della
 medesima
 legge,
 si
 intende
 per
 uso
<br />

didattico
 qualsiasi
 forma
 di
 utilizzo
 dell’opera
 a
 scopo
 illustrativo,
 di
 critica
 o
<br />

discussione,
 finalizzata
 ad
 istruire
 o
 formare
 il
 pubblico
 attraverso
 le
 reti
<br />

telematiche.
<br />

2.
Ai
fini
del
comma
1
bis
dell’art.
70,
legge
21
aprile
1941,
n.
633,
si
intende
per
uso
<br />

scientifico
 qualsiasi
 forma
 di
 utilizzo
 dell’opera
 a
 scopo
 illustrativo,
 di
 critica
 o
<br />

discussione,
finalizzata
a
comunicare
al
pubblico
attraverso
le
reti
telematiche
tesi
<br />

di
carattere
scientifico
o
risultati
di
studi,
analisi,
ricerche
e
teorie
aventi
analogo
<br />

carattere.
 Hanno
 carattere
 scientifico,
 ai
 fini
 del
 presente
 Decreto,
 studi,
 ricerche,
<br />

saggi,
compendi,
teorie
o
tesi
relative
a
qualsiasi
area
del
sapere
purché
condotti
o
<br />

prodotti
 attraverso
 modelli
 cognitivi
 caratterizzati
 da
 rigore
 metodologico,
<br />

precisione
e
sistematicità.
<br />

3.
 Rientrano
 nella
 definizione
 di
 uso
 didattico
 o
 scientifico
 le
 attività
 funzionali
 o
<br />

collaterali
<strong>alla</strong>
scienza,
all'istruzione
e
<strong>alla</strong>
formazione,
quali,
a
titolo
di
esempio,
la
<br />

pubblicazione
o
redazione
di
enciclopedie,
bibliografie,
antologie,
cataloghi,
raccolte
<br />

97



























































<br />


<br />

e
 compendi
 anche
 quando
 non
 svolte
 o
 coordinate
 direttamente
 da
 soggetti
<br />

operanti
nella
funzione
didattica,
formativa
o
di
ricerca.
<br />

4.
Non
concorre
a
costituire
il
fine
di
lucro
di
cui
al
comma
1
bis
dell’art.
70,
legge
<br />

21
aprile
1941,
n.
633,
l’eventuale
ricorso
da
parte
del
soggetto
pubblicante
o
del
<br />

fornitore
 della
 piattaforma
 a
 forme
 di
 rimborso
 degli
 oneri
 di
 manutenzione
 e
<br />

pubblicazione,
quali,
a
titolo
esemplificativo,
l’apposizione
di
banner
o
l’iscrizione
<br />

in
circuiti
pubblicitari,
quando
la
pubblicazione
delle
opere
protette
sia
accessoria
<br />

ai
contenuti
resi
disponibili.
<br />

Art.
3.
Formati
di
pubblicazione.
<br />

1.
 Ai
 fini
 del
 comma
 1
 bis
 dell'art.
 70
 della
 legge
 21
 aprile
 1941,
 si
 intende
 per
<br />

immagine
in
bassa
risoluzione:
<br />

a)
Per
le
opere
delle
arti
figurative
di
cui
al
comma
1,
art.
1
del
presente
Decreto:
<br />

qualsiasi
riproduzione
non
eccedente
i
72
punti
per
pollice
(dpi).
<br />

b)
Per
le
opere
della
cinematografia
di
cui
al
comma
1,
art.
1
del
presente
Decreto:
<br />

qualsiasi
riproduzione
non
eccedente
i
384
kbit/s.
<br />

2.
 Ai
 fini
 del
 comma
 1
 bis
 dell'art.
 70
 della
 legge
 21
 aprile
 1941,
 si
 intende
 per
<br />

immagine
degradata
ogni
opera
di
cui
al
comma
1,
art.
1
del
presente
Decreto
che,
<br />

rispetto
 all’originale,
 presenti
 elementi
 di
 alterazione
 significativi,
 ivi
 compresa
<br />

l'apposizione
 di
 marchi
 o
 scritte,
 ovvero
 effetti
 di
 alterazione
 della
 qualità
 visiva
<br />

percepibile
o
dei
colori
e
di
distorsione.
<br />

3.
 Ai
 fini
 del
 comma
 1
 bis
 dell'art.
 70
 della
 legge
 21
 aprile
 1941,
 si
 intende
 per
<br />

musica
in
bassa
risoluzione
o
degradata
qualsiasi
riproduzione
non
eccedente
i
96
<br />

kbit/s.
<br />

4.
 Il
 Ministro
 per
 i
 beni
 e
 le
 attività
 culturali,
 sentiti
 il
 Ministro
 della
 pubblica
<br />

istruzione
 e
 il
 Ministro
 dell'università
 e
 della
 ricerca,
 previo
 parere
 delle
<br />

Commissioni
 parlamentari
 competenti,
 aggiorna
 annualmente
 tramite
 decreto
<br />

ministeriale
 i
 criteri
 e
 parametri
 di
 cui
 al
 presente
 articolo,
 tenendo
 in
<br />

considerazione
lo
sviluppo
tecnologico.
<br />

Art.
4.
Autorizzazione
dell'avente
diritto.
<br />

1.
 Qualora
 le
 finalità
 didattiche
 o
 scientifiche
 richiedano
 qualità
 di
 riproduzione
<br />

eccedenti
i
criteri
di
cui
all'Art.
3
del
presente
Decreto,
l'autorizzazione
è
richiesta
<br />

secondo
le
seguenti
modalità:
<br />

a)
se
il
titolare
dei
diritti
sull’opera
è
iscritto
<strong>alla</strong>
Società
Italiana
Autori
ed
Editori
<br />

(SIAE),
 il
 soggetto
 realizzatore
 o
 responsabile
 della
 pubblicazione
 richiede
<br />

autorizzazione
 <strong>alla</strong>
 SIAE
 mediante
 fax
 o
 lettera
 raccomandata
 con
 avviso
 di
<br />

ricevimento,
 ovvero
 corrispettivo
 telematico
 secondo
 la
 normativa
 vigente,
<br />

indicando
le
modalità
di
pubblicazione
dell’opera,
il
suo
titolo,
nonché
i
motivi
per
i
<br />

quali
è
necessaria
la
pubblicazione
in
qualità
eccedente.
<br />

b)
se
il
titolare
dei
diritti
sull’opera
non
è
iscritto
<strong>alla</strong>
SIAE,
il
soggetto
realizzatore
o
<br />

responsabile
 della
 pubblicazione
 richiede
 autorizzazione
 all'avente
 diritto
 con
 le
<br />

modalità
di
cui
<strong>alla</strong>
precedente
lettera.
<br />

2.
Il
destinatario
della
richiesta
di
cui
al
precedente
comma
può,
entro
trenta
giorni
<br />

dal
 ricevimento,
 richiedere
 chiarimenti
 o
 negare,
 con
 provvedimento
 motivato,
<br />

l’autorizzazione
qualora
ritenga
che
la
pubblicazione
possa
arrecare
pregiudizio
al
<br />

titolare
dei
diritti.
In
caso
di
silenzio,
decorso
il
predetto
termine,
l’autorizzazione
si
<br />

considera
 concessa.
 Qualora
 il
 destinatario
 richieda
 chiarimenti
 dovuti
 <strong>alla</strong>
<br />

incompletezza
della
comunicazione,
a
seguito
della
successiva
risposta
del
soggetto
<br />

realizzatore
o
responsabile
della
pubblicazione
dispone
di
ulteriori
sette
giorni
per
<br />

negare,
 sempre
 con
 provvedimento
 motivato,
 l’autorizzazione.
 In
 caso
 di
 silenzio,
<br />

decorso
tale
termine,
l’autorizzazione
si
considera
concessa.
<br />

3.
L’autorizzazione
di
cui
al
comma
1
del
presente
articolo
può
essere
negata
solo
<br />

qualora
 la
 pubblicazione
 dell'opera
 arrechi
 ragionevole
 pregiudizio
 ai
 diritti
<br />

deetitolare.
<br />

98



Chiunque,
 ovviamente,
 può
 intervenire
 sul
 testo,
<br />

modificarlo
 e/o
 integrarlo
 lasciandovi
 commenti,
 critiche
 e/o
<br />

suggerimenti.
<br />

Egualmente
l’elenco
delle
fonti
attraverso
le
quali
formarsi
<br />

un’opinione
 sulle
 questioni
 sottese
 all’emendamento
 Folena‐<br />

Lussuria
 può
 essere,
 in
 ogni
 momento,
 integrato
 con
 il
 link
 ai
<br />

contenuti
da
ciascuno
sin
qui
prodotti
o
consultati.
<br />

L’iniziativa
non
vuol
essere
un
invito
a
ripensare
i
processi
<br />

costituzionali
 di
 produzione
 normativa
 ma,
 semplicemente,
 un
<br />

invito
 ad
 aprire
 il
 dibattito
 politico
 <strong>alla</strong>
 società
 civile
 utilizzando
<br />

strumenti
diffusi,
economici
ed
<strong>alla</strong>
portata
di
molti
anche
se
non,
<br />

sfortunatamente,
di
tutti.
<br />

Inutile
 dire
 che
 starà
 al
 Governo
 ed
 alle
 Commissioni
<br />

parlamentari
competenti
valutare
se
ed
in
che
termini
tener
conto
<br />

del
testo
che,
nei
prossimi
giorni
nascerà
dal
confronto
telematico.
<br />


<br />

Tiscali
vs.
SIAE:
il
problema
c’è
ma
non
è
il
“degrado”.
<br />

8
settembre
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=334
<br />


<br />

Non
 ho
 letto
 la
 Sentenza
 ma
 il
 fatto
 sembra
 abbastanza
<br />

chiaro
che
se
ne
voglia
leggere
il
trionfalistico
comunicato
sul
sito
<br />

della
SIAE
o,
piuttosto,
uno
qualsiasi
dei
molti
resoconti
disponibili
<br />

in
<strong>Rete</strong>:
Tiscali
è
stata
condannata
a
40
mila
euro
di
multa
per
aver
<br />

diffuso
sul
proprio
sito
riproduzioni
di
opere
d'arte
rientranti
nel
<br />

catalogo
 SIAE
 senza,
 tuttavia,
 aver
 stipulato
 con
 quest'ultima
 il
<br />

relativo
contratto
di
licenza 46.
<br />

In
 <strong>Rete</strong>,
 ovviamente,
 già
 fioccano
 polemiche
 e
 riferimenti
<br />

<strong>alla</strong>
 norma
 degradata
 introdotta
 nel
 gennaio
 di
 quest'anno
 al
<br />

comma
1bis
dell'art.
70
LDA.
<br />

























































<br />


<br />

46 
Questo
il
testo
del
comunicato
stampa
pubblicato
sul
web
istituzionale
della
SIAE
<br />

a
questa
URL:
<br />

http://www.siae.it/edicola.asp?click_level=0500.0100.0200&view=4&open_menu=<br />

yes&id_news=7078
<br />

04‐Set


Tribunale
di
Roma
<br />

Opere
d’arte:
i
provider
devono
ottenere
la
licenza
Siae
<br />

Il
Tribunale
di
Roma,
Sezione
specializzata
nella
materia
della
Proprietà
industriale
<br />

ed
intellettuale
ha
pronunciato
una
sentenza
che
è
stata
registrata
lo
scorso
agosto,
<br />

con
 la
 quale
 ha
 accolto
 le
 domande
 della
 Siae
 condannando
 la
 società
 Tiscali
 a
<br />

rimuovere
 dal
 proprio
 sito
 Internet
 le
 immagini
 di
 opere
 dell’arte
 figurativa
<br />

appartenenti
 al
 repertorio
 Siae
 che
 erano
 state
 riprodotte
 illecitamente
 ovvero
<br />

senza
licenza
Siae.
Il
provider
è
stato
inoltre
condannato
al
risarcimento
dei
danni
<br />

patrimoniali
e
<strong>alla</strong>
pubblicazione
della
sentenza
su
due
quotidiani
nazionali.
<br />

Per
utilizzare
opere
delle
arti
visive
protette
d<strong>alla</strong>
legge
sul
diritto
d’autore
e
che
<br />

siano
 state
 create
 da
 artisti
 che
 hanno
 affidato
 <strong>alla</strong>
 Siae
 la
 loro
 tutela,
 occorre
<br />

ottenere
 preventivamente
 l’autorizzazione
 della
 Società
 prima
 che
 abbia
 luogo
<br />

l’immissione
in
rete
delle
opere.
<br />

99




<br />

Riferimenti
 comprensibili
 ma…questa
 volta
 il
 problema
<br />

non
è
il
degrado.
<br />

La
 colpa
 di
 Tiscali,
 infatti,
 non
 sembrerebbe
 essere
<br />

consistita
nel
non
aver
degradato
le
riproduzioni
delle
opere
d'arte
<br />

pubblicate
 sul
 proprio
 sito
 quanto,
 piuttosto,
 l'averlo
 fatto
 per
<br />

scopo
di
lucro
ed
al
di
fuori
del
diritto
di
cronaca.
<br />

Oggi
 le
 pagine
 di
 "Tiscali
 Arte"
 attraverso
 le
 quali
 le
<br />

riproduzioni
della
discordia
venivano
diffuse
al
pubblico
non
sono
<br />

più
 raggiungibili
 ma,
 attraverso
 la
 cache
 di
 Google
 ho
 dato
<br />

un'occhiata
 <strong>alla</strong>
 struttura
 di
 quelle
 pagine
 che
 sembrerebbe
<br />

ospitassero
 qualche
 icona
 ‐
 probabilmente
 ingrandibile
 ma
 non
<br />

credo
riproducibile
su
tela,
a
olio
o
in
alta
definizione!
‐
di
opere
di
<br />

pittori
protagonisti
di
eventi
e
mostre
in
giro
per
l'Italia.
<br />

Tutto
qui?
Non
lo
so
ma
prometto
che
cercherò
di
leggere
<br />

la
Sentenza
e
vi
aggiornerò.
<br />

Se
 così
 fosse,
 tuttavia,
 il
 problema
 sarebbe
 quello
 che
 mi
<br />

sforzo
di
evidenziare
sin
da
quando
‐
tra
la
fine
dello
scorso
anno
e
<br />

l'inizio
 di
 questo
 ‐
 il
 nostro
 Parlamento
 non
 ha
 trovato
 nulla
 di
<br />

meglio
 da
 fare
 che
 occuparsi
 del
 degrado
 delle
 immagini
<br />

pubblicate
on‐line:
occorre
porre
mano
con
urgenza
<strong>alla</strong>
disciplina
<br />

delle
utilizzazioni
libere
in
<strong>Rete</strong>.
<br />

Nel
 caso
 di
 specie,
 probabilmente,
 c'è
 poco
 da
<br />

rimproverare
al
Giudice
che
ha
applicato
la
legge
così
come
a
SIAE
<br />

che
ha
svolto
al
meglio
la
sua
funzione
principale:
tutelare
i
diritti
<br />

dei
propri
rappresentati.
<br />

E'
la
legge
che
va
riscritta.
<br />

Non
 si
 tutela
 la
 cultura
 digitale
 precludendo
 ad
 un
<br />

provider
 ‐
 piccolo
 o
 grande
 che
 sia
 ‐
 di
 ospitare
 riproduzioni
<br />

digitali
 ‐
 necessariamente
 "degradate"
 rispetto
 agli
 originali
 ‐
 al
<br />

fine
di
pubblicizzare
questa
o
quella
mostra
o,
più
semplicemente,
<br />

di
soddisfare
la
curiosità
degli
utenti
circa
il
percorso
artistico
di
<br />

questo
o
quel
pittore.
<br />

Ricominciamo
 a
 parlarne?
 In
 gioco
 c'è
 il
 futuro
 della
<br />

cultura
nella
società
dell'informazione.
<br />


<br />

100




<br />


<br />

3.
Copyright
vs.
Privacy
<br />

Niente
privacy,
siete
pirati!
<br />

Il
Caso
Peppermint
<br />

22
maggio
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?page_id=65
<br />


<br />

Il
 caso
 Peppermint
 è
 ormai
 noto
 al
 popolo
 della
 <strong>Rete</strong>
 e
<br />

sembra
inutile
ripercorrerne
nel
dettaglio
tutte
le
tappe.
<br />

Ai
 fini
 delle
 brevi
 riflessioni
 giuridiche
 che
 seguono
<br />

basterà
 ricordare
 che
 la
 storia
 ha
 avuto
 inizio
 da
 un’indagine
<br />

condotta
per
conto
di
una
piccola
etichetta
discografica
tedesca,
la
<br />

Peppermint
Jam
Records
Gmbh,
da
un’alttrettanto
piccola
agenzia
<br />

investigativa
svizzera,
la
Logistep
AG,
nei
confronti
di
centinaia
di
<br />

migliaia
di
utenti
‐
non
si
conosce
ancora
il
numero
esatto
‐
delle
<br />

più
famose
piattaforme
di
peer
to
peer.
<br />

Tale
 attività
 nei
 mesi
 scorsi
 avrebbe
 consentito
 di
<br />

individuare
gli
IP
di
circa
4000
utenti
italiani
che
avrebbero
reso
<br />

disponibili
 nell’ambito
 dei
 circuiti
 del
 P2P
 alcuni
 brani
 musicali
<br />

coperti
da
diritti
d’autore
della
Peppermint.
<br />

Muovendo
 da
 questo
 presupposto
 l’etichetta
 discografica
<br />

tedesca
ha
chiesto
al
Tribunale
di
Roma,
in
via
d’urgenza,
ex
156
<br />

bis
LDA156
bis
LDA,
di
ordinare
agli
ISP
che
avevano
in
gestione
<br />

gli
 IP
 di
 detti
 utenti
 di
 fornirle
 le
 generalità
 ed
 i
 recapiti
 di
 detti
<br />

soggetti
così
da
poter
tutelare
i
propri
diritti
contro
questi
ultimi
<br />

in
sede
giudiziaria.
<br />

I
Giudici
del
Tribunale
di
Roma
hanno
accolto
tali
richieste
<br />

ordinando
 <strong>alla</strong>
 Telecom
 di
 comunicare
 <strong>alla</strong>
 Peppermint
 i
<br />

nominativi
ed
i
recapiti
dei
4000
utenti.
<br />

La
 Peppermint,
 ricevute
 dette
 informazioni,
 anziché
<br />

avviare
una
dispendiosa
serie
di
azioni
legali
contro
i
4000
“pirati”
<br />

ha
 fatto
 loro
 indirizzare
 da
 uno
 studio
 legale
 una
 lettera
 con
 la
<br />

quale
si
propone
di
risolvere
“bonariamente”
la
vicenda
attraverso
<br />

il
pagamento
di
330
Euro
a
fronte
della
rinuncia
ad
ogni
azione
sia
<br />

in
sede
civile
che
penale.
<br />

La
 vicenda
 solleva
 diversi
 dubbi
 e
 perplessità
 di
 ordine
<br />

giuridico,
 tutti
 riconducibili
 ad
 un
 medesimo
 problema
 di
 fondo:
<br />

l’esigenza
di
individuare
un
punto
di
equilibrio
tra
gli
interessi
dei
<br />

titolari
dei
diritti
d’autore
e
quelli
degli
utenti.
<br />

Cominciamo
dal
principio.
<br />

1.
La
Logistep
AG
ha
trattato
per
settimane
o
forse
mesi
i
<br />

dati
 personali
 di
 centinaia
 di
 migliaia
 di
 utenti
 di
 mezza
 Europa
<br />

senza
chiedere
alcun
consenso
né
prestare
alcuna
informativa.
<br />

101




<br />

Le
 operazioni
 di
 monitoraggio
 poste
 in
 essere
 d<strong>alla</strong>
<br />

Logistep
AG
si
sono,
almeno
in
parte,
svolte
sul
territorio
italiano
<br />

con
 conseguente
 applicabilità
 della
 disciplian
 dettata
 dal
 Codice
<br />

Privacy
che
non
contempla
la
possibilità,
per
un
soggetto
privato,
<br />

di
porre
in
essere
‐
per
di
più
attraverso
strumenti
automatizzati
‐
<br />

operazioni
 di
 trattamento
 di
 dati
 personali
 tanto
 ampie
 ed
<br />

indiscriminate.
<br />

Nessun
 dubbio,
 d’altra
 parte,
 può
 sussistere
 circa
 la
<br />

circostanza
che
gli
indirizzi
IP
acquisiti
e
catalogati
d<strong>alla</strong>
Logistep
<br />

costituiscono
 dati
 personali
 degli
 utenti
 essendo
 agevolmente
<br />

riconducibili
<strong>alla</strong>
loro
identità.
<br />

E’
da
escludere,
d’altra
parte,
che
l’attività
posta
in
essere
<br />

d<strong>alla</strong>
 società
 svizzera
 rientri
 nella
 deroga
 di
 cui
 all’art.
 24
 del
<br />

Codice
Privacy
che
permette
il
trattamento
di
dati
personali
“per
<br />

far
valere
o
difendere
un
diritto
in
sede
giudiziaria,
sempre
che
i
<br />

dati
siano
trattati
esclusivamente
per
tali
finalità
e
per
il
periodo
<br />

strettamente
necessario
al
loro
perseguimento”.
<br />

Né
 la
 Logistep
 né
 la
 Peppermint,
 infatti,
 hanno
 ‐
 almeno
<br />

sino
a
questo
momento
‐
utilizzato
i
dati
raccolti
per
far
valere
“un
<br />

diritto
in
sede
giudiziaria”.
<br />

La
condotta
delle
due
società,
peranto,
ribalta
palesemente
<br />

illecita
 sotto
 il
 profilo
 della
 vigente
 disciplina
 in
 materia
 di
<br />

riservatezza.
<br />

2.
 La
 Peppermint,
 peraltro,
 sta
 attualmente
 trattando
 dei
<br />

dati
 personali
 dei
 4000
 utenti
 “spiati”
 d<strong>alla</strong>
 Logistep,
 nuovi
 ed
<br />

autonomi
 rispetto
 a
 quelli
 originariamente
 acquisiti
 da
<br />

quest’ultima.
<br />

Tali
dati,
infatti,
son
oil
risultato
del
data
matching
tra
gli
<br />

indirizzi
 IP,
 le
 informazioni
 relative
 alle
 pretese
 violazioni
 dei
<br />

propri
 diritti
 d’autore
 ed
 i
 nominativi
 dei
 titolari
 delle
 utenze
<br />

telefoniche
corrispondenti
a
detti
IP
comunicatile
d<strong>alla</strong>
Telecom.
<br />

E’
facile
ipotizzare
che
molti
di
tali
dati
non
siano
corretti
<br />

in
quanto
non
sempre
il
titolare
dell’utenze
telefonica
individuato
<br />

attraverso
 la
 Telecom
 coinvciderà
 anche
 con
 il
 soggetto
 che
 ‐
<br />

secondo
 I
 dati
 acquisiti
 d<strong>alla</strong>
 Logistep
 ‐
 avrebbe
 utilizzato
 una
<br />

piattaforma
di
peer
to
peei
attraverso
un
certo
indirizzo
IP.
<br />

Sotto
 tale
 profilo,
 il
 trattamento
 che
 la
 Peppermint
 sta
<br />

attualmente
ponendo
in
essere,
appare
evidentemente
illecito.
<br />

3.
 Detto
 trattamento,
 d’altra
 parte,
 al
 pari
 di
 quello
<br />

originariamente
 posto
 in
 essere
 ‐
 e
 forse
 non
 ancora
 esauritosi
 ‐
<br />

della
Logistep,
avrebbe
dovuto
essere
notificato
al
Garante
ai
sensi
<br />

dell’art.
37,
lett.
D)
del
Codice
privacy.
<br />

L’omessa
 notifica
 al
 Garante,
 ai
 sensi
 dell’art.
 163
 del
<br />

Codice
comporta
per
il
trasgressore
una
sanzione
da
10
a
60
mila
<br />

Euro.
<br />

102




<br />

4.
 Le
 decisioni
 rese
 dal
 Tribunale
 di
 Roma
 sulla
 vicenda,
<br />

dal
 canto
 loro,
 non
 appaiono
 scevre
 da
 errori
 ed
 equivoci
<br />

interpretativi
 e
 sembrano
 porsi
 in
 contrasto
 con
 la
 disciplina
<br />

europea
 in
 conformità
 <strong>alla</strong>
 quale,
 a
 leggere
 quanto
 scritto
 dai
<br />

Giudici,
 invece
 essi
 avrebbero
 inteso
 interpretare
 la
 disciplina
<br />

vigente.
<br />

I
Giudici
del
Tribunale
di
Roma,
infatti,
hanno
ordinato
<strong>alla</strong>
<br />

Telecom
di
fornire
<strong>alla</strong>
Peppermint
i
dati
dei
4000
utenti
sulla
base
<br />

di
quanto
disposto
dall’art.
156
bis
della
Legge
sul
diritto
d’autore,
<br />

secondo
il
quale
“qualora
una
parte
abbia
fornito
seri
elementi
dai
<br />

quali
 si
 possa
 ragionevolmente
 desumere
 la
 fondatezza
 delle
<br />

proprie
 domande
 ed
 abbia
 individuato
 documenti,
 elementi
 o
<br />

informazioni
detenuti
d<strong>alla</strong>
controparte
che
confermino
tali
indizi,
<br />

essa
 può
 ottenere
 che
 il
 giudice
 ne
 disponga
 l'esibizione
 oppure
<br />

che
richieda
le
informazioni
<strong>alla</strong>
controparte.
Può
ottenere
altresì,
<br />

che
 il
 giudice
 ordini
 <strong>alla</strong>
 controparte
 di
 fornire
 gli
 elementi
 per
<br />

l'identificazione
 dei
 soggetti
 implicati
 nella
 produzione
 e
<br />

distribuzione
 dei
 prodotti
 o
 dei
 servizi
 che
 costituiscono
<br />

violazione
dei
diritti
di
cui
<strong>alla</strong>
presente
legge.”
<br />

L’art.
 156
 bis
 LDA
 è
 stato,
 tuttavia,
 introdotto
 nel
 nostro
<br />

Ordinamento
in
attuazione
dell’art.
8
della
Direttiva
2004/48/CE
<br />

del
 Parlamento
 Europeo
 e
 del
 Consiglio
 del
 29
 aprile
 2004
 sul
<br />

rispetto
 dei
 diritti
 di
 proprietà
 intellettuale
 secondo
 il
 quale
 “Gli
<br />

Stati
 membri
 assicurano
 che,
 nel
 contesto
 dei
 procedimenti
<br />

riguardanti
la
violazione
di
un
diritto
di
proprietà
intellettuale
e
in
<br />

risposta
 a
 una
 richiesta
 giustificata
 e
 proporzionata
 del
<br />

richiedente,
 l’autorità
 giudiziaria
 competente
 possa
 ordinare
 che
<br />

le
informazioni
sull’origine
e
sulle
reti
di
distribuzione
di
merci
o
<br />

di
 prestazione
 di
 servizi
 che
 violano
 un
 diritto
 di
 proprietà
<br />

intellettuale
siano
fornite
dall’autore
della
violazione
e/o
da
ogni
<br />

altra
persona
che:
<br />

(omissis)
<br />

c)
sia
stata
sorpresa
a
fornire
su
scala
commerciale
servizi
<br />

utilizzati
in
attività
di
violazione
di
un
diritto;
<br />

(omissis)”.
<br />

L’art.
 156
 bis
 LDA,
 interpretato
 <strong>alla</strong>
 luce
 della
 richiamata
<br />

disposizione
della
Direttiva
UE,
induce
a
ritenere
che
il
Tribunale
<br />

di
 Roma
 ha
 errato
 nell’ordinare
 a
 Telecom
 di
 fornire
 <strong>alla</strong>
<br />

Peppermint
i
dati
dei
4000
utenti,
nell’ambito
di
un
procedimento
<br />

d’urgenza
 celebratosi
 in
 assenza
 di
 questi
 ultimi
 e,
 soprattutto,
<br />

“non
 riguardante
 la
 violazione
 di
 un
 diritto
 di
 proprietà
<br />

intellettuale”
così
come
previsto
nella
disciplina
Europea.
<br />

Egualmente
 errata
 si
 presenta
 la
 decisione
 dei
 Giudici
<br />

romani
 laddove
 hanno
 individuato
 in
 Telecom
 la
 “controparte”
<br />

103




<br />

della
Peppermint
nonché
un
soggetto
“sorpreso
a
fornire
su
scala
<br />

commerciale
servizi
utilizzati
in
attività
di
violazione
di
un
diritto.
<br />

Su
di
un
piano
funzionale,
infatti,
la
posizione
di
Telecom
<br />

si
pone
in
rapporto
<strong>alla</strong>
pretesa
violazione
dei
diritti
d’autore
allo
<br />

stesso
 modo
 di
 quella
 del
 produttore
 del
 sistema
 operativo
<br />

utilizzato
dagli
utenti
o,
piuttosto,
della
società
costruttrice
del
PC.
<br />

L’attività
di
tali
soggetti,
infatti,
ha
consentito
agli
utenti
di
<br />

accedere
ad
una
piattaforma
di
peer
to
peer.
<br />

5.
 Poche
 sintetiche
 riflessioni,
 infine,
 merita
 la
<br />

comunicazione
 ricevuta
 dai
 4000
 presunti
 “pirati”
 italiani
 nella
<br />

quale
 ‐
 giocando
 se
 non
 sull’equivoco
 almeno
 sull’ambiguità
 ‐
 si
<br />

mira
 a
 consentire
 all’etichetta
 discografica
 tedesca
 di
 portare
 a
<br />

casa,
in
pochi
giorni,
utili
probabilmente
superiori
a
quelli
raccolti
<br />

nell’ultimo
anno.
<br />

Nella
 lettera,
 innanzitutto,
 si
 lascia
 intendere
 agli
 utenti
<br />

che
 se
 pagheranno
 l’importo
 richiesto
 potranno
 dormire
 sonni
<br />

tranquilli
al
riparo
da
azioni
civili
o
penali.
<br />

Sfortunatamente
 per
 gli
 utenti,
 tuttavia,
 il
 reato
 loro
<br />

contestato
 ‐
 messa
 a
 disposizione
 di
 opere
 protette
 dal
 diritto
<br />

d’autore
 attraverso
 internet
 ‐
 è
 procedibile
 d’ufficio
 con
 la
<br />

conseguenza
che,
a
prescindere
da
ogni
iniziativa
della
Peppermint
<br />

essi
corrono,
comunque,
il
rischio
di
verdersi
trascinare
davanti
ad
<br />

un
giudice
penale.
<br />

Un
altro
aspetto
della
lettera
che
proprio
non
convince
è
la
<br />

sicurezza
 manifestata
 dai
 legali
 della
 Peppermint
 circa
 la
<br />

“colpevolezza”
 del
 destinatario
 in
 relazione
 alle
 condotte
<br />

contestategli
 e
 circa
 l’affidabilità
 dei
 risultati
 acquisiti
 attraverso
<br />

l’utilizzo
del
software
della
Logistep.
<br />

Al
riguardo
sembra
appena
il
caso
di
ricordare
che
l’esser
<br />

titolari
 di
 un’utenza
 telefonica
 collegata
 ad
 un
 indirizzo
 IP
<br />

asseritamente
utilizzato
per
diffondere
via
internet
qualche
brano
<br />

musicale
non
è
sufficiente
per
sentirsi
condannare
al
risarcimento
<br />

del
danno
che
un’etichetta
discografica
assume
di
aver
sofferto
né,
<br />

tantomeno,
per
vedersi
infliggere
qualsivoglia
sanzione
penale.
<br />

Egualmente
che
i
dati
raccolti
d<strong>alla</strong>
Logistep
attraverso
il
<br />

proprio
 softwate
 possano
 spiegare
 una
 qualche
 efficacia
<br />

nell’ambito
 di
 un
 giudizio
 civile
 o
 penale
 nel
 nostro
 Paese,
 è
<br />

circostanza
tutta
da
verificare
<strong>alla</strong>
stregua,
tra
l’altro,
della
vigente
<br />

disciplina
in
materia
di
documento
informatico.
<br />

La
 difesa
 della
 proprietà
 intellettuale
 costituisce
 uno
 dei
<br />

pilastri
 della
 società
 dell’informazione
 ma
 occorre
 garantirla
 nel
<br />

rispetto
dei
diritti
fondamentali
degli
utenti.
<br />


<br />

Proprietà
intellettuale
vs.
privacy
<br />

13
maggio
2007
<br />

104




<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=63
<br />


<br />

Non
 mi
 stancherò
 mai
 di
 ripetere
 che
 la
 disciplina
 sul
<br />

diritto
d’autore
è
una
cosa
seria
e
che
ad
essa
è,
in
larga
misura,
<br />

affidata
la
crescita
del
patrimonio
culturale
di
ogni
Paese…
<br />

Guai,
tuttavia,
a
dimenticare
che
la
proprietà
intellettuale
–
<br />

specie
 se
 considerata
 sotto
 il
 profilo
 patrimoniale
 ‐
 deve
<br />

necessariamente
 cedere
 il
 passo
 davanti
 ai
 diritti
 fondamentali
<br />

degli
utenti.
<br />

La
vicenda
che
vede
coinvolte
la
Peppermint
Jam
Records,
<br />

la
Telecom
e
4000
utenti
italiani
e
che
sta
dividendo
il
popolo
della
<br />

<strong>Rete</strong>
è
esemplare
di
un
modo
sbagliato
di
intendere
il
rapporto
tra
<br />

titolari
dei
diritti
patrimoniali
d’autore
ed
utenti.
<br />

Qualche
 mese
 fa,
 la
 Peppermint
 Jam
 Records
 scopre
<br />

attraverso
 un
 software
 le
 cui
 dinamiche
 di
 funzionamento
 non
<br />

sono
 ancora
 chiare
 che
 circa
 4000
 utenti
 italiani
 avrebbero
<br />

condiviso
 attraverso
 piattaforme
 di
 P2P
 opere
 musicali
 di
 sua
<br />

“proprietà”,
ne
identifica
gli
IP
e
poi
chiede
al
Tribunale
di
Roma
di
<br />

ordinare
<strong>alla</strong>
Telecom
di
fornirle
nominativi
ed
indirizzi
dei
4000
<br />

utenti.
<br />

Il
 Tribunale
 di
 Roma
 accoglie
 il
 ricorso
 della
 Peppermint
<br />

sulla
base
di
quanto
disposto
dal
nuovo
art.
156
bis
LDA
ed
ordine
<br />

a
Telecom
di
comunicare
<strong>alla</strong>
ricorrente
i
dati
richiestile.
<br />

Qualche
 giorno
 fa
 uno
 studio
 legale
 di
 bolzano
 indirizza
<br />

una
lettera
ai
4000
utenti
nella
quale
chiede
loro
di
provvedere
al
<br />

pagamento
di
330
euro
allo
scopo
di
evitare
di
essere
denunciati
in
<br />

sede
penale
per
l’illecito
commesso.
<br />

L’ordinanza
 del
 Tribunale
 di
 Roma
 è,
 probabilmente,
<br />

corretta
 su
 di
 un
 piano
 rigorosamente
 giuridico
 in
 quanto
<br />

attraverso
 essa
 è
 stata
 data
 piana
 attuazione
 <strong>alla</strong>
 disciplina
 di
<br />

recente
introdotta
nel
nostro
Ordinamento
all’art.
156
LDA.
<br />

Dubbi
e
perplessità
forti,
tuttavia,
solleva
tale
disposizione
<br />

e
la
condotta
posta
in
essere
d<strong>alla</strong>
Peppermint.
<br />

E’
 giusto
 comprimere
 così
 tanto
 il
 diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy
 dei
<br />

cittadini
 al
 fine
 di
 consentire
 ad
 un
 imprenditore
 di
 recuperare
<br />

qualche
migliaio
di
euro
di
corrispettivi
per
diritti
d’autore?
<br />

La
mia
risposta
e
no.
La
Vostra?
<br />


<br />


<br />

La
giustizia
privata
del
titolare
dei
diritti.
<br />

19
maggio
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=67
<br />


<br />

Il
 caso
 Peppermint
 è
 sintomatico
 di
 quanto
 urgente
 sia
<br />

divenuto
affrontare
il
problema
della
tutela
dei
diritti
di
proprietà
<br />

105




<br />

intellettuale
in
una
prospettiva
diversa
rispetto
a
quella
che
a
sin
<br />

qui
ispirato
gli
interventi
legislativi
in
ambito
europeo
e
nazionale:
<br />

quella
del
contemperamento
degli
interessi
tra
titolari
dei
diritti
e
<br />

diritti
‐
almeno
fondamentali
‐
degli
utenti.
<br />

Nelle
scorse
settimane
il
popolo
della
<strong>Rete</strong>,
le
associazioni
<br />

dei
 consumatori,
 politici
 illuminati
 e
 giuristi
 insigni
 avevano
<br />

lanciato
un
grido
se
non
di
<strong>alla</strong>rme,
almeno
di
viva
preoccupazione
<br />

per
 il
 rischio
 che
 attraverso
 la
 proposta
 di
 direttiva
 IPRED
 2,
<br />

riconoscendo
ai
titolari
dei
diritti
la
possibilità
di
cooperare
nelle
<br />

indagini
 si
 aprisse
 la
 strada,
 nel
 nostro
 Ordinamento,
 a
 forme
 di
<br />

giustizia
 privata.Quanto
 accaduto
 nella
 vicenda
 Peppermint
 e
 le
<br />

indagini
condotte
per
mesi
d<strong>alla</strong>
Logistep
Ag
‐
società
investigativa
<br />

svizzera
‐
dimostra
che
quell’<strong>alla</strong>rme
non
è
futuro
ma
attuale
e
che,
<br />

sfortunatamente,
forme
di
giustizia
privata
si
stanno
sviluppando
<br />

nel
 nostro
 Ordinamento
 sfruttando
 le
 innegabili
 ambiguità
<br />

presenti
nella
disciplina
della
materia
e
‐
occorre
riconoscerlo
con
<br />

franchezza
 ‐
 un
 inaccettabile
 formalismo
 da
 parte
 della
<br />

Magistratura
ordinaria
che,
almeno
quando
in
gioco
ci
sono
diritti
<br />

fondamentali
 dei
 consumatori
 ed
 utenti
‐
 dovrebbe
 il
 coraggio
 di
<br />

andare
al
di
là
della
lettera
della
norma.
<br />

Mentre
scrivo
questo
post
mi
fanno
notare
che
il
logo
della
<br />

Logistep
 ‐
 quello
 raffigurato
 in
 apertura
 di
 questo
 Blog
 ‐
 è
 il
<br />

celebre
batarang
di
Batman…
<br />

La
Logistep
sta
violando
i
diritti
di
proprietà
intellettuale
<br />

della
Warner?
<br />

Pare
di
si
ma
il
punto
è
un
altro.
<br />

Batman,
come
è
noto
al
grande
pubblico,
rappresenta
una
<br />

delle
 più
 riuscite
 incarnazioni
 del
 giustiziere
 privato
 che
 i
 suoi
<br />

creatori
 hanno
 voluto
 agisca
 sempre
 in
 nome
 del
 bene
 e
 di
<br />

interessi
collettivi…Batman
a
parte
‐
o
forse
Batman
compreso
se
<br />

non
fosse
solo
un
film
‐
la
giustizia
privata
è
uno
dei
fenomeni
più
<br />

pericolosi
 per
 la
 stabilità
 e
 l’equilibrio
 di
 un
 Paese
<br />

democratico.Come
si
può,
d’altra
parte,
chiedere
a
tanti
genitori
di
<br />

attendere
anni
perché
giustizia
sia
fatta
per
la
perdita
di
un
figlio
<br />

in
 un
 incidente
 stradale
 provocato
 da
 un
 pirata
 della
 strada
 ed
<br />

autorizzare
 poi
 il
 titolare
 dei
 diritti
 ‐
 per
 pochi
 euro
 di
 preteso
<br />

pregiudizio
 sofferto
 ‐
 ad
 indagare
 da
 solo,
 spiare
 centinaia
 di
<br />

migliaia
di
utenti
e
minacciarli
in
caso
di
mancata
accettazione
di
<br />

un’iniqua
e
sbilanciata
proposta
transattiva?
<br />

Dobbiamo
 continuare
 a
 parlarne
 per
 non
 abbassare
 la
<br />

guardia…
<br />


<br />

Non
ci
siamo!
<br />

17
maggio
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=64
<br />

106




<br />


<br />

Torno
sul
caso
Peppermint
c.
Telecom
perché
a
distanza
di
<br />

ormai
 molti
 giorni
 da
 quando
 la
 notizia
 è
 rimbalzata
 in
 <strong>Rete</strong>
 i
<br />

media
 tradizionali
 e
 le
 Istituzioni
 sembrano
 rimanere
 sorde
<br />

all’appello
del
popolo
della
<strong>Rete</strong>.
<br />

Giornali
 e
 televisioni
 hanno
 sostanzialmente
 ignorato
 la
<br />

notizia
mentre
il
Garante
per
il
trattamento
dei
dati
personali
e
la
<br />

riservatezza
è
rimasto
a
gurdare…
<br />

E
pensare
che
l’Ufficio
che
fu
di
Stefano
Rodotà
negli
ultimi
<br />

mesi
 è
 invece
 intervenuto
 con
 incredibile
 solerzia
 a
 tutelare
 il
<br />

diritto
<strong>alla</strong>
privacy
di
poco
onorevoli
Onorevoli
“beccati”
dalle
Iene
<br />

con
il
naso
sporco
di
droga
all’uscita
del
Parlamento
e
del
Cavalier
<br />

Berlusconi
impegnato
a
dar
prova
di
senile
virilità
con
un
pollaio
<br />

di
aspiranti
“Letterine”
o
‐
ma
ormai
fa
lo
stesso
‐
Onorevoli!
<br />

Il
 problema
 è
 che
 nessuno
 interviene
 perché
 tutti
<br />

muovono
dal
presupposto
che
gli
utenti
“spiati”
sono
“pirati”!
<br />

Non
 ci
 siamo!
 Saranno
 anche
 Pirati
 ma
 un’etichetta
<br />

discografica
 tedesca,
 in
 collaborazione
 con
 una
 società
<br />

investigativa
svizzera
ha
travolto
il
loro
diritto
<strong>alla</strong>
Privacy…non
si
<br />

può
restare
a
guardare.
<br />

E’
una
questione
di
civiltà
giuridica
e
libertà
fondamentali.
<br />

Se
hanno
violato
i
diritti
di
proprietà
intellettuali
di
questa
<br />

o
quell’etichetta
pagheranno…ma
questa
non
è
una
buona
ragione
<br />

per
 sospenderli
 dai
 diritti
 fondamentali
 che
 spettano
 a
 tutti
 i
<br />

cittadini
italiani.
<br />

Li
riconosciamo
ogni
giorno
ad
Onorevoli
ladri,
corrotti
e
<br />

corruttori,
 a
 mafiosi
 ed
 assassini.
 Un
 uploader
 di
 qualche
 bit
 di
<br />

musica
ha
meno
diritti?
<br />


<br />

Soffia
un
vento
nuovo
sul
Caso
Peppermint
<br />

30
maggio
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=86
<br />


<br />

In
un
articolo
di
questa
mattina
su
Il
Sole
24
Ore,
Giovanni
<br />

Buttarelli,
 Segretario
 Generale
 del
 Garante
 per
 il
 trattamento
 dei
<br />

dati
 personali
 e
 della
 riservatezza
 conferma
 il
 fondamento
 dei
<br />

dubbi
 e
 delle
 perplessità
 avanzate
 nelle
 ultime
 settimane
 a
<br />

proposito
del
trattamento
massiccio
di
dati
personali
svolto
d<strong>alla</strong>
<br />

Logistep,
d<strong>alla</strong>
Peppermint
e
d<strong>alla</strong>
Techland
in
danno
di
decine
di
<br />

migliaia
di
utenti
di
piattaforme
di
peer
to
peer.
<br />

L’intervento
del
Garante
nei
nuovi
procedimenti
pendenti
<br />

dinanzi
al
Tribunale
di
Roma
d<strong>alla</strong>
Peppermint
e
d<strong>alla</strong>
Techland,
la
<br />

lettera
 indirizzata
 nei
 giorni
 scorsi
 all’On.
 Fiorello
 Cortina
 ed
 ora
<br />

l’articolo
 di
 Giovanni
 Buttarelli
 su
 Il
 Sole
 24
 ore…sembra
 che
 il
<br />

vento
 stia
 cambiando
 e
 che
 nei
 prossimi
 giorni
 saranno
 “le
<br />

107




<br />

compagne
 di
 merenda”
 a
 dover
 essere
 preoccupate
 nel
 sentir
<br />

suonare
il
postino
<strong>alla</strong>
loro
porta…
<br />

Adesso
 tocca
 ad
 utenti
 e
 consumatori
 fare
 la
 loro
 parte,
<br />

non
 “piegarsi”
 alle
 richieste
 dei
 legali
 della
 Peppermint
 e
 della
<br />

Techland
 (se
 e
 quando
 arriveranno)
 e
 far
 valere
 i
 loro
 diritti
 in
<br />

tutte
le
competenti
sedi.
<br />

Questa
storia,
sin
qui,
ha
insegnato
che
“alzando
la
voce”
in
<br />

<strong>Rete</strong>,
se
si
ha
ragione,
qualcosa
si
ottiene.
<br />


<br />

Logistep/Il
Garante
Svizzero
ed
il
Gruppo
Art.
29
<br />

17
giugno
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=106
<br />


<br />

Nessuna
 novità
 nel
 senso
 tecnico
 del
 termine
 ma
 un
<br />

approfondimento
 forse
 utile
 a
 chi
 sta
 seguendo
 la
 vicenda:
 la
<br />

posizione
 del
 Garante
 Svizzero
 per
 il
 trattamento
 dei
 dati
<br />

personali
 e
 la
 trasparenza
 sui
 rapporti
 tra
 tutela
 dei
 diritti
 di
<br />

proprietà
 intellettuale
 e
 diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy 47
 e
 quella
 espressa,
<br />

ormai
 nel
 lontano
 gennaio
 2005,
 dal
 Gruppo
 Art.
 29
 dei
 Garanti
<br />

Europei 48.
<br />

Da
entrambi
i
documenti
emergono
con
chiarezza
i
dubbi
<br />

e
le
perplessità
che
da
mesi
il
popolo
della
<strong>Rete</strong>
‐
ora
ascoltato
ed
<br />

ora
non
ascoltato
‐
solleva
con
forza…
<br />

Peccato
 che
 benché
 da
 tempo
 ci
 si
 fosse
 resi
 conto
<br />

dell'esigenza
di
individuare
per
legge
un
punto
di
equilibrio
tra
i
<br />

contrapposti
diritti
ed
interessi,
il
legislatore
non
abbia
trovato
il
<br />

tempo
 di
 fare
 il
 suo
 dovere…forse,
 eccezion
 fatta
 per
 quello
<br />

francese.
<br />

Nella
 posizione
 del
 Gruppo
 Art.
 29
 vi
 segnalo
 in
<br />

particolare
 il
 convincimento
 espresso
 dai
 Garanti
 Europei
 nel
<br />

senso
di
ritenere
che
la
Direttiva
IPRED
1
non
contenga
deroghe
<br />

<strong>alla</strong>
disciplina
in
materia
di
trattamento
di
dati
personali.
<br />

Perché
 abbiamo
 enti
 istituiti
 per
 Legge
 a
 tutela
 di
 certi
<br />

diritti
che
lanciano
<strong>alla</strong>rmi
ce
restano
inascoltati?
<br />


 
<br />

Lo
sciopero
della
ragione.
<br />

23
giugno
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=110
<br />


<br />

























































<br />

47 
La
posizione
è
pubblicata
a
questa
URL:
<br />

http://www.edoeb.admin.ch/themen/00794/01124/01126/01127/index.html?la<br />

ng=it
<br />

48 
La
posizione
del
Gruppo
art.
29
è
pubblicata
a
questa
URL:
<br />

http://ec.europa.eu/justice_home/fsj/privacy/docs/wpdocs/2005/wp104_fr.pdf
<br />

108




<br />

Sono
 sempre
 stato
 un
 fiero
 sostenitore
 della
 cultura
<br />

giuridica
 italiana
 ed
 ho
 sempre
 creduto
 che
 ‐
 nonostante
 tante
<br />

storture
 ‐
 avessimo
 più
 da
 insegnare
 che
 da
 apprendere
 ma,
 la
<br />

decisione
resa
nei
giorni
scorsi
dal
Giudice
Lorenzo
F.
Garcia
della
<br />

Corte
Federale
del
New
Mexico
in
una
vicenda
giudiziaria
analoga
<br />

all'ormai
celebre
Caso
Peppermint
mi
ha
indotto
a
ricredermi…
<br />

Richiesto,
 in
 via
 d'uregenza,
 di
 ordinare
 ad
 un'Università
<br />

di
comunicare
<strong>alla</strong>
RIIA
‐
l'associazione
delle
Major
di
oltreoceano
‐
<br />

i
nominativi
di
alcuni
studenti
rei
di
aver
condiviso
brani
musicali
<br />

attraverso
una
piattaforma
di
P2P
il
Giudice
Garcia
ha
respinto
tale
<br />

istanza
 sostenendo
 che
 sarebbe
 stato
 necessario
 "uno
 sciopero
<br />

della
 ragione"
 per
 ritenere
 sussistente,
 in
 un
 caso
 del
 genere,
 il
<br />

requisito
dell'urgenza
necessario
ad
emettere
l'ordine
richiesto.
<br />

Secondo
 il
 Giudice
 americano,
 infatti,
 il
 danno
 lamentato
<br />

dai
discografici
avrebbe
natura
patrimoniale
e
sarebbe,
in
quanto
<br />

tale,
sempre
riparabile.
<br />

Anche
 l'Ordinamento
 italiano
 richiede
 ai
 fini
<br />

dell'emissione
dei
provvedimenti
ex
art.
700
c.p.c.
sin
qui
emessi
<br />

dal
 Tribunale
 di
 Roma
 in
 favore
 della
 Peppermint
 e
 dei
 suoi
<br />

compagni
 di
 merenda
 la
 sussistenza
 del
 c.d.
 periculum
 in
 mora
<br />

ovvero
 di
 un
 pregiudizio
 imminente
 ed
 irreparabile
 che
 il
<br />

ricorrente
correrebbe
qualora
la
sua
istanza
non
venisse
accolta…
<br />

La
ragione
dei
Giudici
italiani,
tuttavia
‐
per
usare
le
parole
<br />

di
Garcia
‐
era
evidentemente
in
scipero
nel
momento
in
cui
hanno
<br />

emesso
i
richiesti
provvedimenti
cautelari…
<br />

Non
 c'è
 e
 non
 c'era
 nessuna
 urgenza
 nel
 soddisfare
 le
<br />

richieste
 della
 Peppermint
 né,
 tale
 urgenza,
 poteva
 essere
<br />

rntracciata
nella
circostanza
che
gli
ISP
avrebbero
provveduto
<strong>alla</strong>
<br />

cancellazione
 dei
 dati…per
 porsi
 al
 riparo
 da
 tale
 rischio,
 infatti,
<br />

sarebbe
stato
sufficiente
ordinare
a
questi
ultimi
di
conservarli!
<br />

La
 famosa
 transazione
 proposta
 d<strong>alla</strong>
 Peppermint
 ai
<br />

consumatori
 poteva
 attendere
 mentre
 il
 rispetto
 del
 diritto
 <strong>alla</strong>
<br />

privvacy
 di
 questi
 ultimi
 avrebbe
 richiesto
 più
 attenta
<br />

valutazione…
<br />

L'augurio,
 a
 questo
 punto,
 è
 che
 nei
 successivi
<br />

procedimenti
 qualcuno
 ricordi
 ai
 Giudici
 romani
 il
 monito
 del
<br />

collega
 americano
 e
 la
 necessità
 di
 prestare
 maggiore
 attenzione
<br />

nell'accogliere
 una
 domanda
 in
 via
 d'urgenza
 se…l'urgenza
 non
<br />

esiste!
<br />


<br />

Lo
sciopero
della
ragione
dilaga
in
Europa.
<br />

8
luglio
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=116
<br />


<br />

109




<br />

Qualche
 settimana
 fa
 ho
 dedicato
 un
 post
 allo
 “sciopero
<br />

della
ragione”
dei
giudici
italiani
nel
caso
Peppermint.
<br />

A
 leggere
 una
 recente
 decisione
 dei
 magistrati
 francesi
<br />

della
 Corte
 d’Appello
 di
 Parigi
 temo,
 tuttavia,
 di
 dover
 prendere
<br />

atto
che
lo
sciopero
della
ragione
nella
magistratura
europea
stia
<br />

dilagando… 49
<br />

I
 Giudici
 francesi,
 infatti,
 pronunciandosi
 in
 un
<br />

procedimento
promosso
contro
un
soggetto
reo
di
aver
condiviso
<br />

opere
 protette
 da
 diritto
 d’autore
 attraverso
 una
 piattaforma
 di
<br />

P2P
 ed
 identificato
 attraverso
 il
 proprio
 indirizzo
 IP,
 hanno
<br />

affermato
che
detto
indirizzo
non
costituirebbe
un
dato
personale
<br />

non
 essendo
 suscettibile
 di
 consentire
 l’identificazione
 di
 una
<br />

persona
ma
più
semplicemente
di
una
macchina.
<br />

La
 decisione
 rischia
 di
 legittimare
 Peppermint
 ed
 i
 suoi
<br />

compagni
di
merenda
a
proseguire
nella
loro
attività
di
spionaggio
<br />

di
massa
ma
è
giuridicamente
inaccettabile.
<br />

L’indirizzo
IP
è
un
dato
personale
in
quanto
esso
consente
<br />

l’individuazione
di
una
persona
fisica
ovvero
del
suo
assegnatario.
<br />

Che
poi
tale
persona
sia
un
soggetto
diverso
all’autore
di
<br />

una
determinata
condotta
e
che
l’IP
non
consenta
di
identificarlo,
<br />

questo
mi
sembra
sia
un
altro
discorso.
<br />

Come
 si
 fa
 in
 un
 procedimento
 intentato
 contro
 un
<br />

soggetto
identificato
attraverso
il
tracciamento
di
un
indirizzo
IP
a
<br />

sostenere
 che
 tale
 indirizzo
 non
 consente
 di
 identificare
 una
<br />

persona?
<br />

Non
capisco…
<br />

Ma
lo
sciopero
della
ragione
dilaga
anche
in
Belgio
dove
i
<br />

giudici
‐
in
una
sorta
di
viaggio
nel
tempo
‐
hanno
riaffermato
la
<br />

responsabilità
 degli
 ISP
 per
 i
 contenuti
 condivisi
 in
 rete
 dagli
<br />

utenti
 ed
 ordinato
 ad
 uno
 di
 essi
 di
 predisporre
 dei
 sistemi
 di
<br />

filtraggio
per
evitare
tali
condotte… 50
<br />

Da
 non
 crederci!
 La
 non
 responsabilità
 degli
 ISP
 per
 le
<br />

condotte
 riconducibili
 ai
 propri
 utenti
 è
 una
 delle
 più
 importanti
<br />

conquiste
 di
 civiltà
 giuridica
 del
 diritto
 dell’Internet
 dell’ultimo
<br />

decennio.
<br />

Parliamone.
<br />


<br />


<br />


<br />


<br />

























































<br />

49 
 Il
 testo
 integrale
 della
 decisione
 è
 pubblicato
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.legalis.net/jurisprudence‐decision.php3?id_article=1955
<br />

50 
Cfr.
Post
successivi.
<br />

110



Oltre
 Peppermint:
 travolti
 i
 diritti
 fondamentali
 dei
 cittadini
<br />

elettronici.
<br />

20
luglio
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=127
<br />


<br />

Mentre
 il
 popolo
 della
 <strong>Rete</strong>
 (me
 compreso)
 guardava
 al
<br />

caso
Peppermint
e
tentava
di
salvaguardare
il
diritto
<strong>alla</strong>
privacy
<br />

di
 migliaia
 di
 cittadini
 posto
 a
 repentaglio
 da
 un'azzardata
<br />

iniziativa
a
tutela
di
qualche
migliaia
di
euro
di
diritti
di
proprietà
<br />

intellettuale,
 i
 Giudici
 del
 Tribunale
 di
 Bruxelles
 travolgevano,
<br />

tutto
 d'un
 colpo,
 i
 diritti
 fondamentali
 (non
 solo
 <strong>alla</strong>
 privacy
 ma
<br />

anche
e
soprattutto
<strong>alla</strong>
libertà
di
manifestazione
del
pensiero)
di
<br />

milioni
di
utenti
europei
pronunciando

un
provvedimento
con
il
<br />

quale,
 per
 la
 prima
 volta
 nella
 storia
 dell'internet
 civile
 (o
<br />

presunto
tale)
si
ordina
ad
un
ISP
di
adottare
misure
tecniche
di
<br />

filtraggio
 al
 fine
 di
 impedire
 lo
 scambio
 di
 materiale
 protetto
 da
<br />

diritto
d'autore
nell'ambito
delle
piattaforme
di
Peer
to
Peer.
<br />

Il
 contenuto
 della
 decisione
 ed
 i
 principi
 che
 vi
 sono
<br />

stabiliti
non
possono
non
suscitare
più
che
stupore
indignazione 51.
<br />

I
 Giudici,
 infatti,
 nella
 piena
 consapevolezza
 maturata
<br />

all'esito
 di
 una
 consulenza
 tecnica
 d'ufficio
 che
 non
 esistono
 allo
<br />

stato
 tecnologie
 idonee
 a
 garantire
 una
 puntuale
 attività
 di
<br />

filtraggio
 tra
 condivisione
 di
 files
 leciti
 ed
 illeciti
 e
 che,
 pertanto,
<br />

l'adozione
di
una
simile
tecnologia
finirà,

inesorabilmente,
con
il
<br />

precludere
 a
 milioni
 di
 utenti
 la
 condivisione
 di
 contenuti
 non
<br />

protetti
 da
 alcuna
 privativa,
 sono
 comunque
 giunti
 <strong>alla</strong>
<br />

conclusione
di
ordinare
<strong>alla</strong>
SA
Scarlet

(già
SA
Tiscali)
di
dotarsi
<br />

entro
 sei
 mesi
 del
 sistema
 di
 filtraggio
 Audible
 Magic
 idoneo,
<br />

sebbene
 con
 una
 certa
 approssimazione
 (sic!),
 a
 filtrare
 le
 opere
<br />

musicali
 presenti
 nel
 repertorio
 della
 SABAM,
 la
 società
 di
<br />

intermediazione
dei
diritti
d'autore
belga.
<br />

Nel
provvedimento
i
Giudici
scrivono
a
chiare
lettere
che
<br />

la
circostanza
che
detta
misura
tecnica
rischierebbe
di
precludere
<br />

la
condivisione
di
contenuti
leciti
non
può
valere
a
far
rinunciare
<br />

<strong>alla</strong>
 possibilità
 di
 far
 cessare
 condotte
 di
 violazione
 dei
 diritti
<br />

d'autore
attraverso
la
sua
adozione.
<br />

Ma,
 i
 giudici
 belgi,
 si
 spingono
 oltre
 ed
 affermano
 che
<br />

sarebbe
 difficile
 comprendere
 "in
 cosa
 il
 software
 di
 filtraggio
<br />

violerebbe
 il
 diritto
 <strong>alla</strong>
 segretezza
 della
 corrispondenza
 o
 <strong>alla</strong>
<br />

libertà
di
manifestazione
del
pensiero".
<br />

Siamo
davanti
‐
o
almeno
questo
è
il
mio
convincimento
‐
<br />

<strong>alla</strong>
 più
 grande
 operazione
 di
 web‐censura
 della
 storia
 ed
 è
<br />

























































<br />


<br />

51 
 Il
 testo
 integrale
 della
 decisione
 è
 pubblicato
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=939
<br />

111




<br />

urgente
intervenire
prima
che
certe
idee
si
radichino
in
altri
Paesi
<br />

Europei.
<br />

Se
 esistesse
 una
 tecnologia
 per
 rendere
 impossibile
 agli
<br />

utenti
 condividere
 SOLO
 files
 protetti
 ad
 altrui
 diritti
 d'autore
 in
<br />

modo
 non
 autorizzato,
 sarei
 il
 primo
 a
 suggerirne
 l'adozione
 ma
<br />

sin
tanto
che
non
sarà
così,
una
sola
parola
libera
censurata
in
una
<br />

piattaforma
 di
 peer
 to
 peer
 vale
 più
 di
 milioni
 di
 brani
 musicali
<br />

scambiati
illegalmente…
<br />


<br />

Filtro
e
a
capo!
<br />

28
ottobre
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=369
<br />


<br />

Come
ricorderanno
i
lettori
più
affezionati
nel
giugno
del
<br />

2007
il
Tribunale
di
Bruxelles,
accogliendo
un
ricorso
in
tal
senso
<br />

proposto
d<strong>alla</strong>
Sabam
‐
la
SIAE
belga
‐
aveva
ordinato
<strong>alla</strong>
Scarlet
‐
<br />

uno
dei
più
grandi
ISP
del
Belgio
‐
di
adottare,
peraltro
a
proprie
<br />

spese,
 un
 complesso
 sistema
 di
 filtraggio
 affinché
 i
 propri
 utenti
<br />

non
 utilizzassero
 la
 connettività
 da
 essa
 fornita
 per
 condividere,
<br />

comunicare
e
diffondere
materiale
protetto
da
diritto
d'autore.
<br />

Con
la
stessa
decisione
i
Giudici
avevano,
inoltre,
imposto
<br />

<strong>alla</strong>
Scarlet
una
penale
piuttosto
salata
per
ogni
giorno
di
ritardo
‐
<br />

superiore
 ai
 sei
 mesi
 concessile
 ‐
 con
 il
 quale
 essa
 avrebbe
<br />

implementato
la
citata
soluzione.
<br />

All'epoca
 nel
 commentare
 la
 notizia
 scrivevo
 che
 la
<br />

decisione
 era
 un
 brutto
 esempio
 di
 inciviltà
 giuridica
 perché
 in
<br />

nome
 della
 tutela
 dei
 diritti
 patrimoniali
 d'autore
 di
 pochi
 si
<br />

accettava
 il
 rischio
 ‐
 attraverso
 il
 filtraggio
 ‐
 di
 travolgere
 diritti
<br />

fondamentali
di
molti.
<br />

E'
per
questo
che
ho
salutato
con
soddisfazione
la
notizia
<br />

secondo
 la
 quale,
 il
 22
 ottobre
 scorso,
 lo
 stesso
 Tribunale,
<br />

accogliendo
un'istanza
in
tal
senso
proposta
d<strong>alla</strong>
Scarlet,
ha
preso
<br />

atto
 che
 le
 soluzioni
 di
 filtraggio
 cui
 questa
 ha
 lavorato
 ‐
 con
 i
<br />

fornitori
impostile
nella
citata
decisione
‐
si
sono,
sin
qui,
rilevate
<br />

inadeguate
 a
 risolvere
 il
 problema
 o
 perché
 filtravano
<br />

indebitamente
 contenuti
 legalmente
 comunicati
 dagli
 utenti
 o
<br />

perché
 non
 riconoscevano
 adeguatamente
 le
 impronte
 dei
<br />

contenuti
digitali
protetti
da
diritti
d'autore.
<br />

Il
Giudice,
con
lo
stesso
provvedimento,
ha
anche
sollevato
<br />

la
Scarlet
dall'obbligo
di
pagamento
delle
penali,
riconoscendo
che,
<br />

evidentemente,
 l'impossibilità
 di
 attuare
 l'ordine
 a
 suo
 tempo
<br />

indirizzatole
 non
 dipende
 d<strong>alla</strong>
 propria
 cattiva
 volontà
 né
 d<strong>alla</strong>
<br />

mancanza
 di
 buona
 fede
 ma,
 piuttosto,
 da
 un
 limite
 tecnologico
<br />

che,
allo
stato,
appare
difficilmente
superabile.
<br />

112




<br />

Filtro
 e
 a
 capo,
 direi…con
 la
 speranza
 che
 Lorsignori
<br />

abbandonino
definitivamente
l'idea
che
filtrare
sia
la
soluzione
per
<br />

risolvere
i
mali
della
cultura
digitale.
<br />


<br />

Vittoria!
<br />

16
luglio
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=125
<br />


<br />

Il
 Tribunale
 di
 Roma,
 Giudice
 Dr.ssa
 Antonella
 Izzo
 ha
<br />

respinto
‐
o
così
sembrerebbe
dalle
prime
informazioni
disponibili
<br />

presso
 la
 cancelleria
 ‐
 il
 ricorso
 ex
 art.
 700
 c.p.c.
 proposto
 d<strong>alla</strong>
<br />

Techland
 SP
 ZO.O
 contro
 la
 Telecom
 Italia
 S.p.A.
 per
 l'ostensione
<br />

dei
 nominativi
 di
 migliaia
 di
 utenti
 che
 avrebbero
 condiviso
 via
<br />

P2P
un
celebre
videogame
prodotto
d<strong>alla</strong>
società
polacca.
<br />

Si
 tratta
 di
 uno
 dei
 primi
 procedimenti
 cautelari,
<br />

nell'ambito
 dell'ormai
 famoso
 Caso
 Peppermint
 &
 C.,
 nel
 quale
 il
<br />

Garante
 per
 la
 Privacy,
 raccogliendo
 l'invito
 raccolto
 dal
 popolo
<br />

della
 <strong>Rete</strong>,
 dagli
 addetti
 ai
 lavori
 e
 dalle
 associazioni
 dei
<br />

consumatori,
era
intervenuto.
<br />

Non
 conosco
 ancora
 il
 contenuto
 del
 provvedimento
 ma
<br />

tutto
 lascia
 ritenere
 che
 il
 magistrato
 abbia
 fatto
 proprie
 le
<br />

eccezioni
 sollevate
 dall'Avvocatura
 dello
 Stato
 per
 conto
 del
<br />

Garante.
<br />

Speriamo
 che
 sia
 così
 per
 poter
 gridare:‐
 "Giustizia
 è
<br />

fatta!".

<br />


<br />

Giustizia
è
fatta:
la
privacy
ha
vinto!
<br />

24
luglio
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=129
<br />


<br />

La
 lettura
 del
 provvedimento
 reso
 nei
 giorni
 scorsi
 dal
<br />

Tribunale
di
Roma
nel
procedimento
promosso
d<strong>alla</strong>
Peppermint
e
<br />

d<strong>alla</strong>
 Techland
 contro
 la
 Wind
 dissipa
 ogni
 dubbio
 circa
 le
<br />

motivazioni
 che
 hanno
 determinato
 la
 disfatta
 dei
 titolari
 dei
<br />

diritti
e
la
vittoria
degli
utenti.
<br />

Nell'Ordinanza
il
Dr.
Costa
del
Tribunale
di
Roma
‐
facendo
<br />

sue
 le
 eccezioni
 difensive
 sollevate
 dall'Ufficio
 del
 Garante
 per
 la
<br />

Privacy
 ‐
 scrive
 a
 chiare
 lettere
 che
 la
 Logistep
 ha
 trattato
<br />

illecitamente
 i
 dati
 di
 migliaia
 di
 utenti
 facendosi
<br />

ingiustificatamente
schermo
dell'art.
24
del
Codice
privacy
e
che,
<br />

pertanto,
 detti
 dati
 (gli
 IP
 degli
 utenti)
 non
 avrebbero
 dovuto
<br />

essere
utilizzati
in
alcuna
sede
ivi
inclusa
quella
giudiziaria.
<br />

Nel
provvedimento,
peraltro,
il
Giudice
chiarisce
in
modo
<br />

esemplare
 che,
 egualmente,
 Peppermint
 e
 Techland
 ‐
 anche
 a
<br />

presciondere
 dall'origine
 dei
 dati
 acquisiti
 ‐
 non
 hanno
 alcun
<br />

diritto,
 <strong>alla</strong>
 stregua
 di
 quanto
 disposto
 d<strong>alla</strong>
 vigente
 disciplina
 in
<br />

113




<br />

materia
 di
 privacy
 nelle
 comunicazioni
 elettroniche,
 di
 ottenere
<br />

dai
providers
i
dati
personali
dei
propri
utenti.
<br />

Si
tratta,
ovviamente,
solo
di
un
provvedimento
cautelare
<br />

che
 non
 ha
 un
 peso
 maggiore
 di
 quelli
 sin
 qui
 resi
 dallo
 stesso
<br />

Tribunale
 di
 Roma
 con
 i
 quali
 erano
 stati
 accolti
 i
 ricorsi
 della
<br />

Peppermint
ma,
certamente,
il
rigore
del
ragionamento
sviluppato
<br />

nella
motivazione
dell'Ordinanza
e
la
circostanza
che,
per
la
prima
<br />

volta,
il
Giudice
abbia
avuto
la
possibilità
di
considerare
le
ragioni
<br />

della
Privacy
sostenute
dall'Ufficio
del
Garante,
lascia
ben
sperare.
<br />

Peppermint
 &
 C.
 ora
 sono
 avvertiti:
 le
 loro
 accuse
<br />

all'indirizzo
di
migliaia
di
utenti
sono
fondate
su
dati
che,
domani
‐
<br />

un
 giudice
 penale
 o
 civile
 che
 sia
 ‐
 con
 ogni
 probabilità
<br />

dichiarerebbe
radicalmente
inutilizzabili.
<br />

Buona
giornata
a
tutti!
<br />


<br />

Chi
sono
i
pirati
portati
<strong>alla</strong>
sbarra
d<strong>alla</strong>
Peppermint.
<br />

27
luglio
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=132
<br />


<br />

Ho
 già
 scritto
 ed
 è
 stato
 già
 scritto
 in
 modo
 assai
 più
<br />

Autorevole
 che
 uno
 degli
 aspetti
 più
 sconvolgenti
 del
 caso
<br />

Peppermint
 è
 il
 presupposto
 da
 cui
 muovono
 gli
 accusatori
<br />

secondo
il
quale
i
titolari
della
linea
telefonica
sarebbero
i
pirati
da
<br />

portare
<strong>alla</strong>
sbarra,
persone
che
non
avrebbero
diritto
<strong>alla</strong>
privacy
<br />

avendo
 gravemente
 violato
 i
 diritti
 d'autore
 su
 qualche
 bit
 di
<br />

musica
così
e
così
distribuita
dall'etichetta
teutonica…
<br />

Negli
 ultimi
 mesi
 ho
 raccolto
 direttamente
 ed
 attraverso
<br />

gli
amici
di
Altroconsumo
decine
di
segnalazioni
di
presunti
Pirati
<br />

poco
pirati.
<br />

Ve
ne
racconto
qualcuno
un
pò
per
far
sorridere
ed
un
pò
<br />

per
far

cogliere
la
gravità
dell'errore
nel
quale
sono
incorsi
in
casa
<br />

Peppermint
 sovrapponendo
 il
 concetto
 di
 titolare
 di
 un'utenza
<br />

telefonica
e
di
utente
di
una
piattaforma
di
Peer
to
peer…
<br />

I
 nomi,
 a
 proposito
 di
 privacy,
 mi
 è
 sembrato
 opportuno
<br />

mascherarli…
<br />

(A)
Ci
sono,
Alfa
e
Beta,
padre
e
figlio:
entrambi
destinatari
<br />

di
una
comunicazione
del
collega
Otto.
Il
primo
è
intestatario
di
un
<br />

contratto
ADSL
mentre
il
secondo
è
minorenne
e,
ovviamente,
non
<br />

è
intestatario
di
alcuna
linea
telefonica!
Da
dove
salta
fuori
il
nome
<br />

di
Beta?
Coma
hanno
fatto
in
casa
Peppermint
a
disporre
anche
di
<br />

questo
nome?
<br />

(B)
 C'è
 Gamma,
 non
 vedente
 ma
 titolare
 di
 una
 linea
<br />

telefonica.
Un
altro
pirata
che,
sfortunatamente
per
lui
non
utilizza
<br />

piattaforme
di
Peer
to
peer.
<br />

114




<br />

(C)
C'è
Delta
che
ha
da
poco
perso
il
padre
e
che
si
è
visto
<br />

recapitare
una
delle
migliaia
di
lettere
firmate
dal
buon
Otto
nelle
<br />

quali
si
da
del
pirata
a
suo
padre…
<br />

Ci
sarebbe
di
che
ridere
se..non
ci
fosse
da
piangere
per
la
<br />

superficialità
 ed
 il
 pressapochismo
 che
 ha
 contraddistinto
<br />

l'iniziativa
dei
titolari
dei
diritti.
<br />

Se
il
Garante
‐
come
appare
probabile
‐
confermerà
che
la
<br />

condotta
 della
 Peppermint
 è
 stata
 illecita…credo
 che
 dovremo
<br />

iniziare
 a
 pensare
 tutti
 insieme
 ad
 un
 lauto
 risarcimento
 da
<br />

chiedere
 ai
 signori
 della
 casa
 discografica
 teutonica
 ed
 ai
 loro
<br />

campagni
di
(video)gioco…
<br />

Magari
 potremmo
 proporgli
 una
 transazione:
 distribuire
<br />

musica
 gratuitamente
 per
 i
 prossimi
 5
 anni
 e
 impegnarsi
 a
 non
<br />

ripetere
certe
brutte
esperienze
di
schedatura
di
massa.
<br />

Ci
rivolgiamo
ad
un
legale
esperto
di
transazioni?
Avete
un
<br />

nome
da
suggerirmi?
<br />


<br />

Caso
Peppermint:
Giustizia
è
fatta…anzi
quasi
fatta.
<br />

13
marzo
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=272
<br />


<br />

Il
 Garante
 della
 Privacy
 con
 un
 bel
 provvedimento
<br />

pubblicato
qualche
ora
fa
ha
scritto
la
parola
fine
‐
o
quasi
fine
‐
al
<br />

Caso
Peppermint
statuendo
che
la
Peppermint
Jam
Records
Gmbh,
<br />

la
 Techlans
 sp.z.o.o
 e
 la
 Logistep
 Ag
 hanno
 illegittimamente
<br />

trattato
 i
 dati
 personali
 di
 migliaia
 di
 utenti
 italiani
 delle
<br />

piattaforme
di
peer
to
peer 52.
<br />

























































<br />

52 
Il
testo
integrale
del
provvedimento
pronunciato
dal
Garante:
<br />

GARANTE
PER
LA
PROTEZIONE
DEI
DATI
PERSONALI
<br />

NELLA
 riunione
 odierna,
 in
 presenza
 del
 prof.
 Francesco
 Pizzetti,
 presidente,
 del
<br />

dott.
 Giuseppe
 Chiaravalloti,
 vicepresidente,
 del
 dott.
 Mauro
 Paissan
 e
 del
 dott.
<br />

Giuseppe
Fortunato,
componenti
e
del
dott.
Giovanni
Buttarelli,
segretario
generale;
<br />

VISTE
 le
 recenti
 ordinanze
 con
 le
 quali
 il
 Tribunale
 di
 Roma
 –come
 richiesto
 da
<br />

questa
Autorità
–
ha
rigettato
alcuni
ricorsi
con
i
quali
le
società
Peppermint
Jam
<br />

Records
GmbH
(di
seguito,
Peppermint),
casa
discografica
con
sede
in
Germania
e
<br />

Techland
 sp.
 z.
 o.o.
 (di
 seguito,
 Techland),
 società
 che
 elabora
 e
 commercializza
<br />

giochi
elettronici
avente
sede
in
Polonia,
intendevano
ottenere
da
taluni
fornitori
di
<br />

servizi
 di
 comunicazione
 elettronica
 la
 comunicazione
 delle
 generalità
 di
 soggetti
<br />

ritenuti
responsabili
di
aver
scambiato
file
protetti
dal
diritto
d'autore
tramite
reti
<br />

peer
to‐peer;
<br />

RILEVATO
 che
 tali
 ricorsi
 si
 basavano
 sull'attività
 svolta
 per
 conto
 e
 su
<br />

autorizzazione
delle
predette
società
da
Logistep
AG
(di
seguito,
Logistep),
società
<br />

svizzera
che,
attraverso
un'attività
di
monitoraggio
delle
reti
peer‐to‐peer
effettuata
<br />

tramite
 un
 software
 proprietario,
 aveva
 individuato
 numerosi
 indirizzi
 Ip
 i
 cui
<br />

titolari
erano
stati
considerati
responsabili
della
predetta
condotta
illecita;
<br />

VISTA
la
nota
del
25
maggio
2007
con
la
quale
l'Autorità
ha
avviato
accertamenti
<br />

volti
 a
 verificare
 la
 liceità
 e
 la
 correttezza
 dei
 trattamenti
 di
 dati
 personali
 svolti
<br />

115



























































<br />


<br />

dalle
 predette
 società,
 alle
 quali
 è
 stato
 quindi
 chiesto
 di
 comunicare
 ogni
<br />

informazione
 e
 documentazione
 utile
 per
 valutare
 le
 modalità
 con
 le
 quali,
 anche
<br />

avvalendosi
 dell'attività
 di
 altri
 soggetti,
 sono
 stati
 concretamente
 raccolti
 e
<br />

utilizzati
i
dati
personali
di
utenti
identificati
o
identificabili;
rilevato
che
con
tale
<br />

nota
si
è
chiesta,
altresì,
collaborazione
e
cooperazione
alle
autorità
di
protezione
<br />

dei
 dati
 personali
 dei
 Paesi
 nei
 quali
 risultano
 stabilite
 le
 società
 medesime
<br />

(Repubblica
federale
tedesca,
Polonia
e
Svizzera);
<br />

VISTE
le
note
del
18
giugno
e
del
5
luglio
2007
con
le
quali
l'avv.
Otto
Mahlknecht,
<br />

che
 ha
 curato
 gli
 interessi
 delle
 società
 Peppermint
 e
 Techland,
 nel
 richiamare
 le
<br />

deduzioni
 formulate
 nei
 diversi
 procedimenti
 giudiziari,
 ha
 fornito
 altri
 elementi
<br />

conoscitivi
sul
funzionamento
del
software
utilizzato
da
Logistep
nell'attività
svolta
<br />

su
incarico
delle
altre
due
società,
allegando
la
perizia
di
un
esperto
del
settore;
<br />

VISTA
la
nota
del
19
giugno
2007
con
la
quale
Logistep
ha
fornito
altre
informazioni
<br />

in
 merito
 <strong>alla</strong>
 propria
 attività
 e
 ha
 comunicato
 l'avvio
 di
 un'attività
 di
<br />

collaborazione
 con
 l'autorità
 svizzera
 di
 protezione
 dati
 finalizzata
 a
 verificare
 la
<br />

liceità
dell'attività
svolta;
<br />

VISTA
la
comunicazione
del
20
giugno
2007
con
la
quale
l'autorità
polacca
per
la
<br />

protezione
dei
dati
ha
rappresentato
di
aver
effettuato
un
accertamento
ispettivo
e
<br />

di
aver
rilevato
che
Techland
non
ha
svolto
direttamente
le
attività
necessarie
per
<br />

individuare
le
persone
che
scambiano
illecitamente
su
reti
peer‐to‐peer
il
software
<br />

da
essa
sviluppato,
e
che
tali
attività
sono
state
svolte,
su
propria
autorizzazione,
da
<br />

Logistep,
 nonché
 da
 Logistep
 Polska,
 e
 curate
 poi
 dallo
 studio
 legale
 italiano
<br />

dell'avv.
Otto
Mahlknecht;
<br />

VISTA
la
nota
del
22
giugno
2007
dell'autorità
per
la
protezione
dei
dati
personali
<br />

per
la
Bassa
Sassonia;
<br />

VISTO
il
Codice
in
materia
di
protezione
dei
dati
personali
(d.lg.
30
giugno
2003,
n.
<br />

196,
di
seguito,
"Codice")
e,
in
particolare,
gli
artt.
11,
13
e
122
del
Codice;
<br />

VISTA
la
documentazione
in
atti;
<br />

VISTE
 le
 osservazioni
 formulate
 dal
 segretario
 generale
 ai
 sensi
 dell'art.
 15
 del
<br />

regolamento
del
Garante
n.
1/2000;
<br />

RELATORE
il
dott.
Mauro
Paissan;
<br />

PREMESSO
<br />

1.

Oggetto
del
provvedimento
<br />

Il
presente
provvedimento
ha
per
oggetto
la
liceità
e
correttezza
del
trattamento
di
<br />

dati
personali
relativi
a
utenti
identificabili
operanti
su
reti
peer‐to‐peer
(di
seguito,
<br />

anche
 "p2p")
 che
 è
 stato
 effettuato
 a
 cura
 dapprima
 di
 Logistep
 AG
 e
 Logistep
<br />

Polska
su
autorizzazione
di
Peppermint
e
Techland
e,
poi,
presso
il
predetto
studio
<br />

legale
italiano.
Tale
trattamento
è
avvenuto
in
due
fasi:
<br />





a)
 la
 prima,
 è
 consistita
 nella
 raccolta
 e
 nell'elaborazione
 automatizzata,
 anche
<br />

nell'ambito
 di
 banche
 dati,
 di
 innumerevoli
 informazioni
 di
 carattere
 personale
<br />

estratte
 tramite
 reti
 peer‐to‐peer
 per
 mezzo
 di
 un
 software
 denominato
 "file
<br />

sharing
monitor"
(di
seguito,
fsm)
utilizzato
da
Logistep;
<br />





b)
 la
 seconda,
 si
 è
 basata
 sulla
 richiesta
 all'autorità
 giudiziaria
 italiana
 in
 sede
<br />

civile
 di
 ordinare
 a
 taluni
 fornitori
 di
 servizi
 di
 comunicazione
 elettronica
 di
<br />

rivelare
 le
 generalità
 degli
 intestatari
 degli
 interessati.
 A
 seguito
 di
 alcune
 prime
<br />

pronunce
 del
 Tribunale
 di
 Roma
 che
 hanno
 provveduto
 in
 tal
 senso
 (cfr.
 causa
<br />

Peppermint
 c/
 Wind
 telecomunicazioni
 S.p.A.,
 ordinanza
 del
 18
 agosto
 2006
<br />

confermata,
 in
 sede
 di
 reclamo
 cautelare
 della
 Wind,
 con
 ordinanza
 del
 22
<br />

settembre
 2006
 e,
 attualmente,
 in
 attesa
 che
 il
 giudice
 determini
 le
 modalità
 di
<br />

attuazione
 dell'ordinanza
 di
 accoglimento;
 causa
 Peppermint
 c/Telecom
 Italia
<br />

S.p.A.,
 ordinanza
 del
 28/29
 novembre
 2006,
 riformata
 in
 sede
 di
 reclamo
 della
<br />

Peppermint
 con
 ordinanza
 del
 9
 febbraio
 2007),
 il
 predetto
 legale
 ha
 inviato
<br />

diverse
 centinaia
 di
 lettere
 a
 persone
 individuate
 quali
 intestatari
 di
 una
 linea
 di
<br />

collegamento
 a
 Internet.
 Con
 tali
 lettere
 si
 è
 contestata
 la
 violazione
 dei
 diritti
<br />

116



























































<br />


<br />

derivanti
d<strong>alla</strong>
produzione
di
fonogrammi
e
si
è
proposta
una
risoluzione
bonaria,
<br />

alternativa
 anche
 <strong>alla</strong>
 denuncia
 in
 sede
 penale,
 basata
 sul
 rispetto
 di
 alcune
<br />

condizioni
comprensive
di
un
versamento
di
330
euro.
<br />

Il
presente
provvedimento
non
riguarda,
invece,
la
connessa
questione
oggetto
più
<br />

specificamente
delle
predette
controversie
instaurate
presso
il
Tribunale
di
Roma
<br />

nelle
 quali
 si
 è
 costituito
 anche
 il
 Garante
 e
 in
 cui,
 a
 modifica
 del
 primo
<br />

orientamento
 giurisprudenziale
 sopramenzionato,
 il
 Tribunale
 ha
 statuito
 che
 i
<br />

fornitori
 di
 servizi
 di
 comunicazione
 elettronica,
 allo
 stato
 della
 legislazione
<br />

vigente,
 non
 possono
 comunicare
 in
 sede
 giurisdizionale
 civile
 a
 Peppermint
 e
<br />

Techland
i
nominativi
degli
interessati
ritenuti
responsabili
di
violazioni
del
diritto
<br />

d'autore
 in
 rete.
 Ciò,
 stante
 la
 specifica
 disciplina
 della
 conservazione
 dei
 dati
 di
<br />

traffico,
 prevista
 solo
 per
 finalità
 di
 accertamento
 e
 repressione
 di
 reati
 (art.
 132
<br />

del
 Codice;
 cfr.
 causa
 Peppermint
 e
 Techland
 c/Wind
 Telecomunicazioni
<br />

S.p.A.,ordinanza
 14
 luglio
 2007;
 causa
 Peppermint
 e
 Techland
 c/
 Telecom
 Italia
<br />

S.p.A.,ordinanza
 14
 luglio
 2007;
 causa
 Peppermint
 c/
 Wind
 telecomunicazioni
<br />

S.p.A.,
ordinanza
26
ottobre
2007;
cfr.,anche,
comunicato
stampa
del
17
luglio
2007,
<br />

pubblicato
sul
sito
web
dell'Autorità).
<br />

Tale
 profilo
 della
 comunicazione
 dei
 dati
 di
 traffico
 è
 stato
 esaminato,
 da
 ultimo,

<br />

d<strong>alla</strong>
 Corte
 di
 giustizia
 delle
 Comunità
 europee
 la
 quale
 si
 è
 pronunciata
 su
 una
<br />

questione
 per
 molti
 aspetti
 simile
 (sentenza
 29
 gennaio
 2008,
 pronunciata
 nella
<br />

causa
C‐275/06
Promusicae
c/
Telefonica
de
Espana
Sau).
<br />

La
 Corte
 ha
 confermato
 che
 il
 diritto
 comunitario
 consente
 agli
 Stati
 membri
 di
<br />

circoscrivere
all'ambito
delle
indagini
penali
o
della
tutela
della
pubblica
sicurezza
<br />

e
 della
 difesa
 nazionale
 ‐a
 esclusione,
 quindi,
 dei
 processi
 civili‐
 il
 dovere
 di
<br />

conservare
 e
 mettere
 a
 disposizione
 i
 dati
 sulle
 connessioni
 e
 il
 traffico
 generati
<br />

dalle
 comunicazioni
 effettuate
 durante
 la
 prestazione
 di
 un
 servizio
 della
 società
<br />

dell'informazione.
 La
 Corte
 ha
 rilevato
 che
 anche
 i
 dati
 di
 traffico
 conservati
 per
<br />

finalità
 di
 fatturazione
 non
 possono
 essere
 utilizzati
 in
 "controversie
 diverse
 da
<br />

quelle
 insorgenti
 tra
 i
 fornitori
 e
 gli
 utilizzatori,
 relative
 ai
 motivi
 della
<br />

memorizzazione
dei
dati
avvenuta
per
attività
previste
dalle
disposizioni
[dell'art.
6
<br />

della
 direttiva
 2002/58/Ce]"
 (cfr.
 art.
 123
 del
 Codice);
 da
 ciò,
 ha
 escluso
 la
<br />

possibilità
che
tali
dati
potessero
essere
messi
a
disposizione
per
controversie
civili
<br />

relative
ai
diritti
di
proprietà
intellettuale
(cfr.
punto
48
della
sentenza;
artt.
15,
n.
<br />

2,
e
18
della
direttiva
2000/31/Ce
relativa
a
taluni
aspetti
giuridici
dei
servizi
della
<br />

Società
 dell'informazione,
 in
 particolare
 il
 commercio
 elettronico,
 nel
 mercato
<br />

interno;
artt.
8,
nn.
1
e
2
direttiva
2001/29/Ce
sull'armonizzazione
di
taluni
aspetti
<br />

del
 diritto
 d'autore
 e
 dei
 diritti
 connessi
 nella
 società
 dell'informazione;
 art.
 8
<br />

direttiva
2004/48/Ce
sul
rispetto
dei
diritti
di
proprietà
intellettuale;
artt.
17,
n.
2
e
<br />

47
Carta
dei
diritti
fondamentali
dell'Unione
europea).
<br />

2.
Risultanze
istruttorie
e
funzionamento
del
software
fsm
<br />

Nelle
centinaia
di
lettere
inviate
a
utenti
in
Italia,
il
legale
che
ha
agito
per
conto
di
<br />

Peppermint
 ha
 dichiarato
 che
 sulla
 base
 dei
 risultati
 acquisiti
 grazie
 al
 predetto
<br />

software
"antipirateria"
appositamente
realizzato,
ritenuto
di
assoluta
affidabilità
e
<br />

attendibilità,
è
stato
possibile
accertare
che:
<br />


<br />





*
ciascun
destinatario
delle
lettere
aveva
violato
il
diritto
d'autore
a
partire
d<strong>alla</strong>
<br />

linea
di
rete
Internet
risultante
nella
rispettiva
titolarità,
mettendo
indebitamente
<br />

file
musicali
a
disposizione
di
terzi;
<br />





*
ciò,
risultava
avvenuto
mediante
un
software
di
condivisione
contemporanea
di
<br />

file
(c.d.
peer‐to‐peer)
che
altri
utenti
risultavano
aver
utilizzato
per
connettersi
al
<br />

p.c.
 dei
 destinatari
 delle
 lettere
 e
 per
 scaricare
 i
 file
 musicali
 da
 una
 cartella
 a
<br />

questo
dedicata.
<br />

Lo
 scambio
 di
 file
 via
 Internet
 rientra
 nella
 nozione
 di
 "comunicazione"
 anche
<br />

quando
 ha
 per
 oggetto
 contenuti
 protetti
 dal
 diritto
 d'autore,
 tenuto
 conto
 che
 la
<br />

117



























































<br />


<br />

nozione
stessa
include
lo
"scambio
o
la
trasmissione
di
informazioni",
"tramite
un
<br />

servizio
di
comunicazione
elettronica
accessibile
al
pubblico",
tra
"un
numero
finito
<br />

di
soggetti"
(cfr.
art.
2,
lettera
d),
primo
periodo,
della
direttiva
2002/58/CE
e
art.
4,
<br />

comma
1,
lett.
l)
del
Codice).
Quest'ultimo
riferimento
tende
a
distinguere
l'ambito
<br />

delle
 "comunicazioni
 private"
 da
 quello
 delle
 "comunicazioni
 al
 pubblico".
 La
<br />

circostanza
 che
 il
 sistema
 peer‐to‐peer
 consenta
 l'accesso
 a
 un
 numero
<br />

potenzialmente
elevato
di
utenti
non
rende
"infinito",
o
del
tutto
indeterminabile,
il
<br />

numero
dei
soggetti
della
comunicazione.
Quest'ultima,
è
infatti
rivolta
non
a
una
<br />

platea
indistinta
di
utenti,
ma
a
soggetti
delimitati
che
possono
essere
identificati.
<br />

Manca,
 tra
 l'altro,
 la
 simultaneità
 e
 l'unicità
 della
 trasmissione
 che
 sono
<br />

caratteristiche
qualificanti
di
una
"comunicazione
al
pubblico"
(come
è
nel
caso
del
<br />

"servizio
di
radiodiffusione"
‐c.d.
broadcasting‐,
espressamente
escluso
dall'ambito
<br />

applicativo
della
nozione
di
comunicazione
elettronica:
cfr.,
anche,
art.
4,
comma
2,
<br />

lett.
a)
del
Codice).
<br />

L'attività
 di
 ricognizione
 condotta
 da
 Logistep
 risulta
 essersi
 focalizzata
 su
 due
<br />

importanti
 reti
 p2p,
 GNUtella
 e
 eDonkey
 e
 utilizzando
 il
 sistema
 software
 fsm,
<br />

sviluppato
integrando
e
modificando
software
liberamente
disponibili
sulla
rete
per
<br />

collegarsi
a
reti
p2p.
<br />

Il
software
fsm
consente:
<br />





a)
usuali
operazioni
effettuabili
tramite
i
comuni
client,
eccettuata
la
condivisione
<br />

di
file
eventualmente
scaricati
d<strong>alla</strong>
rete;
<br />





b)
l'archiviazione
a
scopo
di
documentazione
di
tutte
le
informazioni
usualmente
<br />

caratterizzate
 da
 "volatilità",
 perché
 non
 necessarie
 una
 volta
 che
 la
 trasmissione
<br />

dei
file
è
avvenuta;
<br />





c)
 di
 correlare
 le
 attività
 sulle
 reti
 p2p
 di
 un
 determinato
 utente
 al
 variare
<br />

dell'indirizzo
 Ip
 assunto,
 nonché
 del
 provider
 utilizzato
 (il
 clock
 del
 programma
<br />

risulta
 sincronizzato
 con
 una
 sorgente
 esterna,
 mentre
 viene
 tenuta
 traccia
<br />

dell'identificativo
Guid,
generato
al
momento
dell'inst<strong>alla</strong>zione
dei
client).
<br />

In
sostanza,
il
software
fsm
permette
di
tenere
traccia
della
disponibilità
in
rete
di
<br />

un
 certo
 "contenuto";
 di
 verificarne
 l'effettiva
 possibilità
 di
 acquisizione,
<br />

effettuandone
 lo
 scaricamento
 (download),
 ovvero
 la
 copia
 in
 rete
 dalle
 aree
 di
<br />

condivisione
degli
utenti
che
ospitano
quel
contenuto
verso
i
propri
computer;
di
<br />

verificarne
 la
 segnatura
 digitale
 con
 algoritmo
 SHA1
 o
 MD5
 (in
 dipendenza
 dal
<br />

protocollo
 p2p
 utilizzato);
 di
 controllarne
 la
 diffusione,
 verificando
 l'esistenza
 di
<br />

altre
condivisioni
presuntivamente
riferibili
a
una
pregressa
attività
di
"download"
<br />

(sul
 presupposto
 che
 la
 quasi
 totalità
 degli
 utenti
 che
 condividono
 uno
 specifico
<br />

contenuto
 lo
 abbiano
 a
 loro
 volta
 acquisito
 da
 un'altra
 fonte
 nella
 rete,
 tranne
<br />

eventualmente
il
soggetto
che
originariamente
lo
abbia
messo
per
la
prima
volta
in
<br />

condivisione,
con
una
specifica
segnatura
digitale).
<br />

In
 particolare,
 il
 sistema
 fsm
 consente
 la
 raccolta
 dei
 seguenti
 dati:
 indirizzi
 Ip
<br />

dell'offerente,
il
nome
e
il
valore
Hash
del
file,
la
misure
del
file,
l'user
name,
il
Guid,
<br />

la
data
e
l'ora
del
download.
<br />

In
altre
parole,
come
emerge
d<strong>alla</strong>
stessa
perizia
prodotta
dall'avv.
Mahlknecht,
il
<br />

software
fsm
accerta
da
chi,
e
quando,
viene
offerto
quale
file
per
un
downloading
e
<br />

da
chi,
quando
e
per
quanto
tempo
viene
effettivamente
copiato
tale
file;
riconosce
i
<br />

tentativi
 dei
 partecipanti
 di
 sistemi
 di
 condivisione
 file
 di
 modificare
 il
 loro
<br />

indirizzo
Ip;
organizza
tali
informazioni
in
una
banca
dati.
<br />

Anche
se
non
risulta
in
atti
che
il
sistema
fsm
svolga
attività
intrusive
o
inst<strong>alla</strong>zioni
<br />

di
 software
 o
 di
 altri
 componenti
 sul
 terminale
 dell'utente
 che
 partecipa
 al
 file
<br />

sharing,
 e
 sebbene
 non
 risultino
 allo
 stato
 significativi
 elementi
 di
 diversità
 nelle
<br />

modalità
di
funzionamento
di
tale
software
rispetto
ai
normali
client
che
agiscono
<br />

sulle
 reti
 p2p,
 il
 trattamento
 svolto
 da
 Logistep
 su
 incarico
 di
 Peppermint
 e
<br />

Techland
non
può
comunque
ritenersi
lecito.
<br />

3.
Profili
di
illiceità
e
non
correttezza
del
trattamento
<br />

118



























































<br />


<br />

Il
trattamento
in
questione
è
stato
inizialmente
effettuato
a
partire
da
un
Paese
(la
<br />

Svizzera),
 dotata
 di
 una
 legge
 di
 protezione
 dei
 dati
 e
 che
 ha
 ratificato
 la
<br />

Convenzione
di
Strasburgo
n.
108/1981,
e
la
cui
autorità
di
protezione
dei
dati
ne
<br />

ha
già
dichiarato,
per
questa
parte,
l'illiceità.
<br />

La
Préposé
fédéral
à
la
protection
des
donne
et
à
la
transparence
(PFPDT),
con
una
<br />

recente
pronuncia
adottata
all'esito
di
un
procedimento
avviato
anche
su
impulso
<br />

di
questa
Autorità,
ha
ritenuto
che
il
trattamento
svolto
da
Logistep
su
incarico
di
<br />

Peppermint
e
Techland
e
che
ha
riguardato
anche
informazioni
memorizzate
su
p.c.
<br />

di
utenti
italiani,
ha
violato
alcuni
princìpi
fondamentali
della
legge
federale
sulla
<br />

protezione
dei
dati
personali
(decisione
del
9
gennaio
2008).
<br />

E'
 risultato
 in
 particolare
 violato
 il
 principio
 di
 liceità
 (in
 ragione
 del
 fatto
 che
 la
<br />

raccolta
 dei
 dati
 è
 stata
 effettuata
 in
 mancanza
 di
 una
 base
 legale
 esplicita).
 Si
 è
<br />

ritenuto
in
secondo
luogo
violato
il
principio
di
finalità
(in
quanto
la
registrazione
<br />

sistematica
dei
dati
degli
utenti
ha
perseguito
scopi
diversi
da
quelli
tipici
delle
reti
<br />

peer‐to‐peer).
 Non
 sono
 stati,
 altresì,
 rispettati
 i
 princìpi
 di
 buona
 fede
 e
<br />

trasparenza,
 in
 quanto
 la
 raccolta
 dei
 dati
 è
 avvenuta
 senza
 che
 gli
 interessati
<br />

potessero
 esserne
 consapevoli
 (sia
 per
 le
 circostanze
 nelle
 quali
 la
 raccolta
 è
<br />

avvenuta,
sia
perché
non
informati)
e
i
dati
possono
essere
stati
raccolti
all'insaputa
<br />

di
 abbonati
 che
 non
 sono,
 necessariamente,
 i
 soggetti
 coinvolti
 nello
 scambio
 dei
<br />

dati.
Infine,
è
risultato
violato
il
principio
di
proporzionalità
(in
quanto
il
diritto
<strong>alla</strong>
<br />

segretezza
 delle
 comunicazioni
 è
 risultato
 limitabile
 solo
 nell'ambito
 di
 un
<br />

bilanciamento
con
un
diritto
di
pari
grado
e,
quindi,
allo
stato,
non
per
l'esercizio
di
<br />

un'azione
civile).
<br />

Non
 risultano
 in
 atti
 elementi
 più
 specifici
 di
 valutazione
 delle
 modalità
 di
<br />

trattamento
di
dati
che
è
stato
effettuato
a
cura
di
Logistep
Polska,
il
quale,
qualora
<br />

si
 sia
 svolto
 con
 le
 modalità
 sopraindicate,
 si
 è
 posto
 anch'esso
 in
 violazione
 dei
<br />

princìpi
 di
 trasparenza,
 finalità,
 correttezza
 e
 buona
 fede
 richiamati
 sia
 d<strong>alla</strong>
<br />

Convenzione
 di
 Strasburgo,
 sia
 d<strong>alla</strong>
 direttiva
 95/46/Ce
 e
 d<strong>alla</strong>
 stessa
 disciplina
<br />

nazionale
 di
 protezione
 dati
 (cfr.
 art.
 5
 Conv.
 n.
 108/1981
 cit.,
 art.
 6
 direttiva
<br />

95/46/Ce).
<br />

I
 trattamenti
 in
 esame,
 effettuati
 in
 modo
 massivo
 e
 capillare
 per
 un
 periodo
 di
<br />

tempo
prolungato
e
nei
riguardi
di
un
numero
elevato
di
soggetti,
hanno
consentito
<br />

di
tenere
traccia
analitica
delle
operazioni
compiute
da
innumerevoli,
singoli
utenti
<br />

relativamente
a
specifici
contenuti
protetti
dal
diritto
d'autore.
<br />

Per
 le
 modalità
 con
 le
 quali
 la
 raccolta
 dei
 dati
 è
 stata
 svolta,
 si
 è
 configurata
<br />

un'attività
 di
 monitoraggio
 vietata
 a
 soggetti
 privati
 d<strong>alla</strong>
 direttiva
 2002/58/Ce
<br />

(art.
5;
cfr.
art.
122
del
Codice).
<br />

Le
 reti
 p2p
 sono
 finalizzate
 allo
 scambio
 fra
 utenti
 di
 dati
 e
 file
 per
 scopi
<br />

sostanzialmente
personali,
mentre
il
software
fsm
"non
è
destinato
allo
scambio
di
<br />

dati,
 ma
 al
 monitoraggio
 ed
 <strong>alla</strong>
 ricerca
 di
 dati,
 che
 utenti
 di
 reti
 P2P
 mettono
 a
<br />

disposizione
a
terzi"
(cfr.
nota
del
5
luglio
2007
dell'Avv.
Otto
Mahlknecht).
I
dati
<br />

che
 gli
 utenti
 mettono
 in
 rete
 possono
 essere
 utilizzati
 per
 le
 finalità
 per
 le
 quali
<br />

tale
pubblicazione
avviene
(cfr.,
fra
gli
altri,
Provv.
del
14
giugno
2007,
doc.
web
n.
<br />

1424068).
L'utilizzo
dei
dati
dell'utente
delle
reti
peer‐to‐peer
può,
quindi,
avvenire
<br />

per
le
finalità
sue
proprie
e
non
già,
in
modo
non
trasparente,
per
scopi
ulteriori,
<br />

quali
quelli
perseguiti
da
Logistep,
Peppermint
e
Techland.
<br />

Il
 trattamento
 è
 risultato
 viziato
 anche
 sotto
 il
 profilo
 della
 trasparenza
 e
 della
<br />

correttezza,
posto
che
non
è
stata
fornita
alcuna
informativa
preliminare
agli
utenti.
<br />

D<strong>alla</strong>
descrizione
resa
dalle
società
sul
funzionamento
del
software
fsm
si
è
potuto
<br />

rilevare
 che,
 mentre
 gli
 indirizzi
 Ip
 sono
 stati
 acquisiti
 da
 un
 terzo
 rispetto
 agli
<br />

utenti
 (il
 tracker),
 gli
 altri
 dati
 (ossia,
 i
 file
 offerti
 in
 condivisione,
 data
 e
 ora
 del
<br />

download)
sono
stati
raccolti
direttamente
presso
gli
interessati.
<br />

Il
 Tribunale
 di
 Roma
 ha
 riconosciuto,
 per
 tali
 informazioni,
 la
 natura
 di
 "dati
<br />

personali"
 relativi
 a
 utenti
 identificabili
 i
 quali
 dovevano
 essere
 informati
 di
 tale
<br />

119




<br />

Il
 Garante
 ‐
 riservandosi,
 peraltro,
 di
 approfondire
 il
<br />

profilo
relativo
all'invio
da
parte
del
legale
della
Peppermint
delle
<br />

famose
 proposte
 transattive
 ‐
 ha
 ordinato
 alle
 tre
 società
 di
<br />

sospendere
 immediatamente
 ogni
 ulteriore
 trattamento
 dei
 dati
<br />

illegittimamente
acquisiti
e
di
cancellarli
entro
il
31
marzo
2008.
<br />

E'
 una
 bella
 vittoria
 per
 il
 diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy
 e
 per
 chi
<br />

come
Altroconsumo
sin
dall'inizio
di
questa
vicenda
si
è
schierato
<br />

d<strong>alla</strong>
parte
degli
utenti
evidenziando,
in
ogni
sede,
come
la
tutela
<br />

dei
 diritti
 di
 proprietà
 intellettuale
 non
 potesse
 giustificare
 il
<br />

monitoraggio
 e
 la
 schedatura
 di
 massa
 degli
 utenti
 delle
<br />

piattaforme
P2P.
<br />

E'
 una
 vittoria
 della
 <strong>Rete</strong>
 e
 non
 certo
 dei
 pirati
 come
<br />

domani
qualcuno
si
affretterà
a
sostenere.

<br />

























































<br />

ulteriore
e
inatteso
trattamento
(v.
anche
Parere
del
Gruppo
Art.
29
del
18
gennaio
<br />

2005
 in
 materia
 di
 diritti
 di
 proprietà
 intellettuale,
 nel
 quale
 è
 stato
 rilevato
 che
<br />

nessun
dato
personale
può
essere
raccolto
senza
che
l'interessato
sia
correttamente
<br />

e
 preventivamente
 informato,
 in
 maniera
 trasparente,
 sulle
 eventuali
 modalità
 di
<br />

controllo
e
sull'identità
del
soggetto
che
lo
effettua,
prima
che
il
trattamento
abbia
<br />

inizio
 e
 prima
 che
 l'interessato
 fornisca
 i
 dati
 personali
 attraverso
 il
 download
<br />

Working
document
on
data
protection
issues
related
to
intellectual
property
rights
<br />

‐
January
18,
2005
‐
WP104.pdf).
<br />

4.
Conclusioni
<br />

Come
premesso,
una
seconda
fase
del
trattamento
dei
dati
connesso
all'invio
delle
<br />

lettere
 è
 avvenuta
 nel
 territorio
 dello
 Stato,
 utilizzando
 dati
 personali
 relativi
 a
<br />

persone
identificabili
e
raccolti
illecitamente.
<br />

Si
rende
pertanto
necessario,
a
definizione
della
complessa
istruttoria
preliminare,
<br />

provvedere
in
ordine
all'ulteriore
utilizzazione
di
tali
dati
sul
territorio
dello
Stato.
<br />

Ciò,
senza
che
occorra
proseguire
gli
accertamenti
per
verificare
anche
se,
e
in
quale
<br />

misura,
 la
 disciplina
 italiana
 di
 protezione
 dei
 dati
 trovi
 in
 tutto
 o
 in
 parte
<br />

applicazione
anche
<strong>alla</strong>
prima
fase
di
raccolta
automatizzata
dei
dati,
<strong>alla</strong>
luce
della
<br />

disposizione
 normativa
 secondo
 cui
 la
 legge
 italiana
 si
 applica
 ai
 trattamenti
<br />

effettuati
da
soggetti
stabiliti
nel
territorio
di
un
Paese
non
appartenente
all'Unione
<br />

europea
il
quale
impieghi,
per
il
trattamento,
strumenti
situati
nel
territorio
dello
<br />

Stato
 (quali
 i
 p.c.
 degli
 utenti
 italiani,
 dai
 quali
 Logistep
 ha
 chiaramente
 tratto
 gli
<br />

indirizzi
Ip:
art.
5
del
Codice).
<br />

In
ragione
delle
predette
risultanze
non
possono
che
confermarsi
le
valutazioni
di
<br />

illiceità
e
non
correttezza
già
tratteggiate
nelle
memorie
di
costituzione
in
giudizio
<br />

nelle
 controversie
 dinanzi
 al
 Tribunale
 di
 Roma
 –e
 note
 alle
 controparti
 –,
 e
<br />

conseguentemente
 disporsi
 il
 divieto
 nei
 confronti
 delle
 predette
 tre
 società
 di
<br />

ulteriore
 utilizzazione
 dei
 dati
 personali
 raccolti
 illecitamente,
 nonché
 la
 loro
<br />

cancellazione
entro
il
termine
del
31
marzo
2008.
<br />

TUTTO
CIÒ
PREMESSO
IL
GARANTE
<br />





ai
 sensi
 degli
 artt.
 143,
 comma
 1,
 lett.
 c)
 e
 154,
 comma
 1,
 lett.
 d)
 del
 Codice
<br />

dispone,
nei
termini
di
cui
in
motivazione,
nei
confronti
di
Peppermint
Jam
Records
<br />

GmbH,
 Techland
 sp.
 z.
 o.o.
 e
 Logistep
 AG,
 il
 divieto
 dell'ulteriore
 trattamento
 dei
<br />

dati
personali
relativo
a
soggetti
ritenuti
responsabili
di
aver
scambiato
file
protetti
<br />

dal
diritto
d'autore
tramite
reti
peer‐to‐peer
e
ne
dispone
la
cancellazione
entro
il
<br />

termine
del
31
marzo
2008.
<br />

Roma,
28
febbraio
2008
<br />

120




<br />

Finalmente,
 quindi,
 migliaia
 di
 utenti
 italiani
 potranno
<br />

tirare
 un
 sospiro
 di
 sollievo
 e
 dormire
 sonni
 tranquilli:
 nessuno
<br />

busserà
<strong>alla</strong>
loro
porta
con
nuovo
improbabili
proposte
transattive
<br />

né
denunce.
<br />

I
 dati
 personali
 a
 suo
 tempo
 raccolti
 dalle
 società
<br />

Peppermint.
Techland
e
logistep,
infatti,
sono
ormai
inutilizzabili.
<br />

La
 storia,
 tuttavia,
 non
 finisce
 qui:
 qualcuno,
<br />

evidentemente,
 dovrà
 pagare
 lo
 stress,
 le
 umiliazioni
 ed
 i
 costi
<br />

sopportati
 da
 migliaia
 di
 consumatori
 italiani
 per
 effetto
<br />

dell'illegittima
 operazione
 lanciata
 dall'etichetta
 discografica
<br />

tedesca
 e
 d<strong>alla</strong>
 software
 polacca
 e
 
 condotta
 dagli
 investigatori
<br />

elettronici
della
Logistep.
<br />

P.S.
<br />

Forse
 il
 Collega
 Mahlknecht
 
 e
 la
 Logistep
 dovrebbero
<br />

aggiornare
 i
 loro
 siti
 non
 dico
 per
 dar
 conto
 delle
 decisioni
 dei
<br />

garanti
 svizzero
 e
 italiano
 ma,
 almeno,
 per
 sottrarsi
 ad
 ulteriori
<br />

contestazioni…questa
volta
per
pubblicità
ingannevole!
<br />

121




<br />


<br />

4.
La
libertà
di
manifestazione
in
<strong>Rete</strong>.
<br />

Internet,
<strong>free</strong>
speech
e
web­censura.
<br />


<br />

Liberi
di
pensare,
liberi
di
bloggare!|
<br />

Agosto
2008

<br />

Internet
Magazine
<br />


<br />

Sequestri
 di
 Blog,
 contestazioni
 per
 stampa
 clandestina,
<br />

querele
per
diffamazione
on‐line
seguite
da
cause
risarcitorie
a
sei
<br />

zeri
 ed
 arresti
 di
 blogger
 sono
 ormai
 entrati
 a
 far
 parte
 della
<br />

cronaca
quotidiana
della
<strong>Rete</strong>
in
Cina
come
nel
nostro
Paese,
negli
<br />

Stati
Uniti
come
in
Afganistan.
<br />

Cosa
 sta
 accadendo?
 Perché
 tanta
 crescente
 attenzione
 e
<br />

tanto
rigore
nei
confronti
di
chi
utilizza
Internet
per
far
sentir
la
<br />

sua
 voce,
 per
 far
 conoscere
 il
 proprio
 pensiero
 o,
 piuttosto,
 per
<br />

aprire
un
dibattito
su
questioni
politiche,
economiche
o
sociali?
<br />

La
 libertà
 di
 manifestazione
 del
 pensiero
 non
 costituisce
<br />

forse
uno
dei
diritti
inviolabili
dell’uomo
secondo
la
Dichiarazione
<br />

universale
 dei
 diritti
 dell’uomo
 e
 del
 cittadino
 e
 le
 Carte
<br />

Costituzionali
di
molti
Paesi
evoluti
e,
persino,
di
alcuni
Paesi
in
via
<br />

di
sviluppo?
<br />

Per
 rispondere
 a
 queste
 domande
 occorre
 partire
 da
 un
<br />

presupposto
 inconfutabile:
 Internet
 è
 il
 più
 grande
 mezzo
 di
<br />

comunicazione
 di
 massa
 della
 storia
 dell’umanità
 e
 ciò
 sia
 in
<br />

termini
di
destinatari
dell’informazione
sia
in
termini
di
produttori
<br />

di
 informazione
 anche
 perché
 le
 due
 categorie
 –
 nelle
 dinamiche
<br />

dell’informazione
on‐line
‐
coincidono
perfettamente.
<br />

In
 <strong>Rete</strong>,
 chiunque,
 in
 pochi
 click,
 può
 trasformarsi
 da
<br />

lettore
distratto
di
una
testata
on‐line,
di
un
blog
o
di
una
bacheca
<br />

elettronica
 in
 produttore
 di
 informazioni
 attraverso
 un
 blog,
 un
<br />

commento,
 un
 annuncio
 o,
 piuttosto,
 una
 propria
 pagina
 web
 ed
<br />

essere
 letto
 da
 un
 pubblico
 potenzialmente
 infinito
 e,
 comunque,
<br />

migliaia
 di
 volte
 più
 ampio
 rispetto
 a
 quello
 dei
 lettori
 di
<br />

quotidiani
o
degli
spettatori
dei
TG
nelle
ore
punta.
<br />

Le
 dimensioni
 planetarie
 del
 fenomeno
 costituiscono,
<br />

certamente,
 una
 delle
 principali
 ragioni
 di
 un
 tanto
 acceso
<br />

confronto
 tra
 chi
 utilizza
 internet
 per
 diffondere
 informazioni,
 i
<br />

Governi
e
la
Magistratura
di
molti
Paesi.
<br />

Un
 post
 su
 un
 Blog
 ad
 alta
 visibilità
 può
 contribuire
 a
<br />

formare
o
consolidare
movimenti
di
opinioni,
essere
utilizzato
per
<br />

dar
 vita
 a
 manifestazioni
 e
 riempire
 piazze
 come
 insegnano
 la
<br />

recente
esperienza
cinese
o,
piuttosto,
la
nostrana
storia
dei
Vdays
<br />

ma
può
anche
servire
per
influenzare
l’andamento
di
un
mercato
–
<br />

122




<br />

basti
 pensare
 alle
 conseguenze
 di
 indiscrezioni
 sull’uscita
 di
 un
<br />

nuovo
modello
di
telefonino
–
o
per
condizionare
l’andamento
di
<br />

governi
o
il
successo
di
uomini
politici.
<br />

Tutto
 ciò
 non
 può
 non
 porre
 in
 <strong>alla</strong>rme
 un
 sistema
 che,
<br />

sino
 a
 ieri,
 era
 abituato
 –
 anche
 nei
 regimi
 tradizionalmente
<br />

considerati
democratici
–
ad
avere
il
controllo
pressoché
assoluto
<br />

dell’informazione.
<br />

Ma
 c’è
 di
 più.
 L’aspetto
 quantitativo
 non
 basta,
 infatti,
 a
<br />

spiegare
quanto
sta
accadendo.
<br />

Ogni
giorno
nascono
in
<strong>Rete</strong>
nuove
e
multiformi
soluzioni
<br />

idonee
a
consentire
a
chiunque
di
dire
la
sua
su
un
dato
problema
<br />

o,
piuttosto,
a
trasformarsi
in
reporter
d’assalto
ed
a
raccontare
al
<br />

mondo
un
suo
viaggio,
una
sua
esperienza
o
la
vera
storia
di
una
<br />

guerra
che
si
combatte
in
angoli
remoti
del
pianeta.
<br />

I
 blog,
 gli
 UGC
 –
 User
 Generated
 Content
 –
 le
 bacheche
<br />

elettroniche,
 le
 mailing
 list,
 i
 siti
 personali
 e,
 per
 finire,
 Citizen
<br />

News
‐
ultima
creatura
di
casa
Google
che
promette
di
trasformare
<br />

chiunque
in
un
giornalista
‐
mettono
a
dura
prova
l’elasticità
della
<br />

disciplina
 della
 materia
 che
 è
 interamente
 costruita
 –
 nella
 più
<br />

parte
 dei
 Paesi
 –
 su
 una
 profonda
 distinzione
 tra
 l’informazione
<br />

“professionale”
e
quella
“amatoriale”.
<br />

Un
 blogger,
 infatti,
 oggi,
 si
 rivolge
 ad
 un
 pubblico
<br />

quantitativamente
equivalente
–
ed
anzi
superiore
‐
a
quello
cui
si
<br />

rivolge
una
testata
giornalista
cartacea
o,
piuttosto,
televisiva
e,
ad
<br />

analogo
pubblico
si
rivolge
chiunque
posti
un
video
su
YouTube
o,
<br />

piuttosto,
“firmi”
un
servizio
per
Citizen
News.
<br />

Si
tratta
di
un
fenomeno
senza
precedenti
che
deve
essere
<br />

salutato
con
favore
perché
consente,
oggi,
per
la
prima
volta
nella
<br />

storia
 dell’uomo,
 la
 piena
 attuazione
 di
 quella
 libertà
 di
<br />

manifestazione
 del
 pensiero
 in
 relazione
 <strong>alla</strong>
 quale,
 solo
 qualche
<br />

decennio
 fa,
 i
 Giudici
 della
 Corte
 Costituzionale
 erano
 costretti
 a
<br />

scrivere
 che
 “che
 il
 diritto
 di
 libertà
 di
 diffusione
 del
 pensiero
 con
<br />

qualsiasi
 mezzo,
 garantito
 dal
 primo
 comma
 dell'art.
 21
 Cost.,
 non
<br />

significa
anche
diritto
di
disporre
di
qualsiasi
mezzo
di
diffusione
del
<br />

pensiero,
 ma
 soltanto
 diritto
 di
 diffondere
 il
 pensiero
 con
 i
 mezzi
<br />

disponibili
e
in
quanto
disponibili
(<strong>alla</strong>
stessa
maniera,
ad
es.,
che
la
<br />

libertà
di
domicilio
non
implica
anche
il
diritto
ad
avere
senz'altro
<br />

un
domicilio).”.
<br />

Occorre,
 tuttavia,
 riconoscere
 che
 il
 progressivo
<br />

ampliamento
del
popolo
degli
informations
makers
e,
soprattutto,
<br />

la
 circostanza
 che,
 oggi,
 tali
 soggetti
 dispongono
 di
 strumenti
<br />

analoghi
 per
 potenzialità
 e
 forza
 di
 diffusione
 a
 quelli
 di
 cui
<br />

dispongono
 i
 giornalisti
 di
 professione
 impone
 di
 rivedere
 e
<br />

ripensare
la
disciplina
sull’informazione
nel
suo
complesso.
<br />

123




<br />

L’incapacità
 dei
 Governi
 della
 più
 parte
 dei
 Paesi
 di
<br />

cogliere
 il
 senso
 della
 rivoluzione
 delle
 dinamiche
<br />

dell’informazione
in
atto
e
di
riscrivere
la
disciplina
applicabile
a
<br />

tale
 materia
 costituisce,
 certamente,
 una
 delle
 principali
 cause
<br />

della
stagione
di
grande
tensione
che
stiamo
vivendo.
<br />

Nel
 regime
 tradizionale,
 infatti,
 la
 Legge,
 generalmente,
<br />

accorda
 maggiori
 garanzie
 a
 editori
 e
 giornalisti
 professionisti
<br />

rispetto
a
quelle
riconosciute
al
semplice
cittadino
che
voglia
dire
<br />

la
sua,
imponendo,
tuttavia,
ad
un
tempo,
sulle
spalle
dei
primi
un
<br />

regime
 di
 responsabilità
 per
 eventuali
 condotte
 illecite
 più
<br />

rigoroso.
<br />

Tale
“doppio
binario”
trovava
fondamento
–
cinquant’anni
<br />

fa
 quando
 la
 disciplina
 sulla
 stampa
 tuttora
 in
 vigore
 ha
 visto
 la
<br />

luce
 ‐
 in
 un
 presupposto
 la
 cui
 attualità
 nell’Era
 di
 Internet
 non
<br />

appare
 affatto
 scontata:
 i
 media
 professionali
 godono
 di
 maggior
<br />

credibilità
 e,
 soprattutto,
 raggiungono
 un
 più
 ampio
 pubblico
<br />

rispetto
a
quello
raggiungibile
da
un
cittadino
qualunque.
<br />

Tutto
questo
non
è
più,
evidentemente,
vero.
<br />

In
tale
contesto
è
naturale
–
ancorché
non
condivisibile
–
<br />

la
 tentazione
 –
 ma
 forse
 bisognerebbe
 parlare
 di
 tendenza
 ‐
 di
<br />

Giudici
ed
Ordinamenti
a
trattare
un
blogger
come
un
giornalista
o,
<br />

piuttosto,
un
UGC
come
Youtube
da
editore.
<br />

Il
punto
è
che
un
blog
non
è
un
giornale
e
un
UGC
non
è
un
<br />

editore
ma,
sfortunatamente,
questo
non
è
scritto
come
dovrebbe
<br />

nelle
 leggi
 vigenti
 nelle
 quali
 si
 fa
 fatica
 a
 trovare
 un
 adeguato
<br />

inquadramento
 per
 i
 nuovi
 mezzi
 di
 informazione
 dell’Era
 di
<br />

internet.
<br />

Il
caso
di
Citizen
News
–
il
nuovo
canale
di
informazione
<br />

“non
professionale”
lanciato
da
YouTube
–
è
sintomatico.
<br />

Youtube
 può
 esserne
 considerato
 editore
 e
 ritenuto,
 per
<br />

ciò
 solo,
 soggetto
 <strong>alla</strong>
 vigente
 disciplina
 sull’editoria
 che
 gli
<br />

imporrebbe,
tra
l’altro,
di
iscriversi
presso
il
ROC
–
il
Registro
degli
<br />

operatori
della
comunicazione
‐
tenuto
presso
l’Agcom?
<br />

Youtube
 può
 essere
 chiamato
 a
 rispondere
 per
 eventuali
<br />

diffamazioni
poste
in
essere
attraverso
video
pubblicati
dai
propri
<br />

utenti
nel
canale
Citizen
news?
<br />

Se
 si
 guarda
 <strong>alla</strong>
 direttiva
 sul
 commercio
 elettronico,
 la
<br />

responsabilità
 dovrebbe
 essere
 di
 coloro
 che
 forniscono
 i
<br />

contenuti.
Ma
siamo
davvero
sicuri
che
nessun
giudice
sia
di
altro
<br />

avviso
 e
 ritenga
 che
 la
 questione
 debba
 essere
 regolata
 d<strong>alla</strong>
<br />

disciplina
 sulla
 Stampa
 il
 cui
 ambito
 di
 applicazione
 ha,
 ormai,
<br />

abbracciato
anche
l’informazione
televisiva?
<br />

La
 risposta
 all’applicabilità
 a
 CitizenNews
 della
 nuova
<br />

disciplina
sull’editoria
e,
conseguentemente,
di
quella
sulla
Stampa
<br />

124




<br />

condiziona,
 ovviamente,
 in
 modo
 importante
 anche
 la
 risposta
 a
<br />

tale
ulteriore
dubbio.
<br />

Oggi
YouTube
–
per
porsi
al
riparo
dalle
contestazioni
dei
<br />

titolari
 dei
 diritti
 ‐
 adotta
 in
 relazione
 ai
 contenuti
 protetti
 da
<br />

diritti
 d’autore
 tecnologie
 di
 watermark
 che
 sebbene
 all’inizio
<br />

erano
state
accolte
con
un
po’
di
scetticismo,
sembra
stiano
dando
<br />

degli
ottimi
risultati.
<br />

Accertare
 una
 violazione
 di
 altrui
 diritti
 di
 proprietà
<br />

intellettuale
 è,
 tuttavia,
 assai
 più
 semplice
 che
 valutare
 l’effettiva
<br />

sussistenza
di
una
diffamazione.
<br />

Come
 si
 comporterà
 YouTube
 dinanzi
 <strong>alla</strong>
 notifica
 di
 chi
<br />

assumesse
 di
 essere
 diffamato
 da
 un
 servizio
 in
 onda
 su
<br />

CitizenNews
?

<br />

Rimuoverà
 senza
 ritardo
 i
 contenuti
 oggetto
 di
<br />

contestazione
 o,
 per
 farlo,
 attenderà
 un
 ordine
 dell’autorità
<br />

giudiziaria?
<br />

Nel
primo
caso
il
rischio
è
che
Big
G
si
ritroverà
presto
a
<br />

mettere
il
bavaglio
<strong>alla</strong>
sua
stessa
creatura:
chiunque,
infatti,
non
<br />

voglia
che
certe
verità
vadano
in
giro
per
il
mondo
non
dovrà
far
<br />

altro
che
scrivere
ai
gestori
del
Canale
chiedendone
la
rimozione.
<br />

Nel
secondo
caso,
invece,
difficile
credere
che
CitizenNews
<br />

non
sarà
ben
presto
destinatario
di
richieste
risarcitorie
milionarie
<br />

da
parte
di
chi
sosterrà
di
esser
stato
diffamato
da
questa
o
quella
<br />

notizia
apparsa
sul
nuovo
canale
di
YouTube
e
non
esser
neppure
<br />

riuscito
ad
ottenerne
la
rimozione.
<br />

Analoghe
 considerazioni
 valgono
 per
 la
 disciplina
 della
<br />

blogosfera
 come
 insegna
 la
 recente
 vicenda
 della
 quale
<br />

sembrerebbe
essere
rimasto
vittima
–
il
condizionale
è
dovuto
<strong>alla</strong>
<br />

circostanza
 che
 non
 si
 conoscono
 ancora
 le
 motivazioni
 della
<br />

Sentenza
resa
dal
Tribunale
di
Modica
 ‐
lo
Storico
siciliano
Carlo
<br />

Ruta
 che
 si
 è
 visto
 contestare
 il
 reato
 di
 stampa
 clandestina
 per
<br />

aver
 aggiornato
 con
 periodicità
 regolare
 il
 proprio
 blog
 senza,
<br />

tuttavia,
 provvedere
 <strong>alla</strong>
 sua
 registrazione
 nel
 registro
 della
<br />

Stampa
tenuto
presso
il
tribunale.
<br />

Se
 le
 motivazioni
 della
 Sentenza,
 come
 appare
 probabile,
<br />

confermeranno
 quanto
 si
 è
 sin
 qui
 appreso,
 la
 decisione
<br />

affermerebbe
 un
 principio
 importante
 che
 va
 ben
 al
 di
 là
 della
<br />

singola
vicenda
e
della
pur
grave
condanna
di
un
blogger:
quello
<br />

secondo
 cui
 anche
 i
 blog
 vanno
 registrati
 presso
 il
 registro
 della
<br />

Stampa
 di
 cui
 <strong>alla</strong>
 Legge
 n.
 47
 del
 1948
 cui,
 negli
 ultimi
<br />

cinquant’anni,
 è
 rimasta
 affidata
 la
 disciplina
 della
 materia
<br />

nonostante
 gli
 importanti
 cambiamenti
 intervenuti
 nel
 mondo
<br />

dell’informazione
e
della
comunicazione.
<br />

L’art.
16
della
citata
legge,
infatti,
stabilisce
a
chiare
lettere
<br />

che
“Chiunque
intraprenda
la
pubblicazione
di
un
giornale
o
altro
<br />

125




<br />

periodico
 senza
 che
 sia
 stata
 eseguita
 la
 registrazione
 prescritta
<br />

dall'art.
5,
è
punito
con
la
reclusione
fino
a
due
anni
o
con
la
multa
<br />

fino
a
lire
500.000”.
<br />

L’art.
 5
 della
 stessa
 Legge,
 a
 sua
 volta,
 prevede
 che
<br />

“Nessun
 giornale
 o
 periodico
 può
 essere
 pubblicato
 se
 non
 sia
<br />

stato
 registrato
 presso
 la
 cancelleria
 del
 tribunale,
 nella
 cui
<br />

circoscrizione
la
pubblicazione
deve
effettuarsi.”.
<br />

Sarebbe
bello
bollare
la
decisione
dei
Giudici
del
Tribunale
<br />

di
 Modica
 come
 un
 classico
 errore
 giudiziario
 ma,
 a
 prescindere
<br />

dal
 fatto
 che,
 per
 farlo,
 occorrerà
 leggere
 le
 motivazioni
 della
<br />

Sentenza
 occorre,
 sfortunatamente,
 riconoscere
 che
 la
 tesi
<br />

dell’equiparazione
 di
 un
 blog
 ai
 giornali
 e
 periodici
 è
 meno
<br />

peregrina
 –
 norme
 di
 legge
 <strong>alla</strong>
 mano
 –
 di
 quanto
 l’esperienza
<br />

suggerirebbe
a
ciascuno
di
noi.
<br />

Il
 comma
 3
 dell’art.
 1
 della
 bruttissima
 nuova
 legge
<br />

sull’editoria
 (7
 marzo
 2001,
 n.
 62),
 infatti,
 
 prevede
 che
 “Al
<br />

prodotto
editoriale
si
applicano
le
disposizioni
di
cui
all'articolo
<br />

2
 della
 legge
 8
 febbraio
 1948,
 n.
 47”
 e
 che
 “il
 prodotto
 editoriale
<br />

diffuso
 al
 pubblico
 con
 periodicità
 regolare
 e
 contraddistinto
 da
<br />

una
 testata,
 costituente
 elemento
 identificativo
 del
 prodotto,
 è
<br />

sottoposto,
 altresì,
 agli
 obblighi
 previsti
 dall'articolo
 5
 della
<br />

medesima
legge
n.
47
del
1948.”.
<br />

Il
 primo
 comma
 della
 stessa
 Legge
 contiene
 una
<br />

definizione
 di
 prodotto
 editoriale
 omnicomprensiva
 secondo
 la
<br />

quale
 “per
 “prodotto
 editoriale”,
 ai
 fini
 della
 presente
 legge,
 si
<br />

intende
il
prodotto
realizzato
su
supporto
cartaceo,
ivi
compreso
il
<br />

libro,
 o
 su
 supporto
 informatico,
 destinato
 <strong>alla</strong>
 pubblicazione
 o,
<br />

comunque,
 <strong>alla</strong>
 diffusione
 di
 informazioni
 presso
 il
 pubblico
 con
<br />

ogni
 mezzo,
 anche
 elettronico,
 o
 attraverso
 la
 radiodiffusione
<br />

sonora
 o
 televisiva,
 con
 esclusione
 dei
 prodotti
 discografici
 o
<br />

cinematografici.”.
<br />

La
 nuova
 legge
 sull’editoria,
 dunque,
 prevede
<br />

l’applicabilità
 dell’art.
 2
 della
 vecchia
 legge
 sulla
 stampa
 a
 tutti
 i
<br />

siti
 internet
 destinati
 <strong>alla</strong>
 diffusione
 di
 informazioni
 e
<br />

l’applicabilità
altresì
dell’art.
5
della
stessa
legge
–
quello
appunto
<br />

recante
 l’obbligo
 di
 registrazione
 presso
 i
 tribunali
 –
 dei
 soli
 siti
<br />

internet
destinati
<strong>alla</strong>
diffusione
di
informazioni
contraddistinti
da
<br />

una
testata
e
diffusi
al
pubblico
con
periodicità
regolare.
<br />

Il
 quadro
 normativo
 è
 completato
 d<strong>alla</strong>
 disposizione
<br />

contenuta
al
comma
3
dell’art.
7
del
Decreto
Legislativo
n.
70
del
9
<br />

aprile
2003
attraverso
il
quale
è
stata
data
attuazione
<strong>alla</strong>
Direttiva
<br />

sul
commercio
elettronico.
<br />

Secondo
 tale
 disposizione
 “la
 registrazione
 della
 testata
<br />

editoriale
telematica
e'
obbligatoria
esclusivamente
per
le
attività
<br />

126




<br />

per
 le
 quali
 i
 prestatori
 del
 servizio
 intendano
 avvalersi
 delle
<br />

provvidenze
previste
d<strong>alla</strong>
legge
7
marzo
2001,
n.
62”.
<br />

Si
 tratta
 di
 una
 disposizione
 scritta
 in
 modo
 ambiguo
 e
<br />

poco
 puntuale
 perché
 ha
 per
 oggetto
 un’entità
 –
 la
 “testata
<br />

telematica”
 –
 diversa
 da
 quella
 oggetto
 della
 nuova
 disciplina
<br />

sull’editoria
 –
 il
 “prodotto
 editoriale”
 –
 e
 perché
 fa
 generico
<br />

riferimento
ad
una
“registrazione”
senza,
tuttavia,
chiarire
se
tale
<br />

registrazione
 sia
 quella
 presso
 i
 Tribunali
 o,
 piuttosto,
 quella
<br />

presso
il
ROC,
Registro
Unico
degli
Operatori
della
comunicazione.
<br />

La
differenza
non
è
di
poco
conto.
<br />

Se,
 infatti,
 la
 registrazione
 di
 cui
 all’art.
 7
 del
 D.Lgs.
<br />

70/2003
 è
 quella
 prevista
 all’art.
 5
 della
 Legge
 sulla
 Stampa
 i
<br />

blogger
italiani
possono
dormire
sonni
tranquilli
e
sentirsi
liberi
–
<br />

anche
 laddove
 aggiornino
 quotidianamente
 i
 propri
 blog
 –
 di
<br />

decidere
se
iscrivere
o
meno
il
proprio
sito
presso
il
registro
della
<br />

Stampa
tenuto
presso
il
Tribunale.
<br />

Se,
 invece,
 il
 riferimento
 dovesse
 intendersi
 come
 rivolto
<br />

al
 ROC,
 la
 questione
 sarebbe
 diversa
 e
 gli
 autori
 di
 blog
 a
<br />

contenuto
 informativo
 che
 postano
 con
 “periodicità
 regolare”
 si
<br />

ritroverebbero
 soggetti
 all’obbligo
 di
 iscrizione
 di
 cui
 <strong>alla</strong>
 Legge
<br />

sulla
 Stampa
 e,
 qualora
 non
 vi
 provvedano
 esposti
 al
 rischio
 di
<br />

sentirsi
 contestare
 il
 reato
 di
 stampa
 clandestina
 per
 quanto
<br />

assurdo
ciò
possa
sembrare.
<br />

Dura
 lex
 sed
 lex
 e,
 per
 quanto
 sia
 difficile
 da
 accettare,
<br />

l’attuale
 contesto
 normativo
 –
 caratterizzato
 da
 disposizioni
<br />

ambigue
 e
 confuse
 varate
 da
 legislatori
 che
 hanno
 sempre
<br />

manifestato
scarso
interesse
per
le
questioni
della
<strong>Rete</strong>
–
legittima
<br />

la
 magistratura
 a
 pervenire
 a
 conclusioni
 che,
 inesorabilmente,
<br />

suonano
censorie
e
contrarie
all’esercizio,
in
Internet,
della
libertà
<br />

di
manifestazione
del
pensiero.
<br />

Ma
c’è
di
più.
<br />

Mentre,
 infatti,
 un
 blogger
 –
 stante
 la
 possibile
<br />

equiparazione
 del
 suo
 blog
 a
 giornali
 e
 periodici
 –
 rischia
 di
<br />

vedersi
contestare
il
reato
di
stampa
clandestina,
esso
non
può
poi
<br />

neppure
 fare
 affidamento
 sulle
 speciali
 garanzie
 che
 nel
 nostro
<br />

Paese
assistono
la
stampa:
prima
tra
tutte
l’insequestrabilità
–
se
<br />

non
in
casi
tassativamente
individuati
d<strong>alla</strong>
legge
–
degli
stampati.
<br />

I
frequenti
episodi
di
sequestro
di
interi
blog
a
causa
di
un
<br />

post
 sommariamente
 giudicato
 da
 qualcuno
 offensivo
 dell’altrui
<br />

immagine,
nome
o
reputazione,
sono,
infatti,
sotto
gli
occhi
di
tutti.
<br />

A
ciò
si
aggiunga
che
il
blogger,
qualora
attraverso
i
suoi
<br />

post
 diffami
 qualcuno,
 corre
 il
 rischio
 di
 vedersi
 contestata
<br />

l’ipotesi
 aggravata
 del
 reato
 caratteristica
 di
 chi
 esercita
<br />

professionalmente
l’attività
giornalistica.
<br />

127




<br />

Troppa
 confusione
 e
 troppe
 ambiguità:
 occorrono,
 con
<br />

urgenza,
leggi
nuove
che
riordinino
le
previsioni
di
quelle
vecchie
<br />

(e
meno
vecchie)
<strong>alla</strong>
luce
del
mutato
contesto
dell’informazione
in
<br />

<strong>Rete</strong>
 senza
 imbrigliare
 chi
 vuol
 far
 sentire
 la
 sua
 voce
 e,
 ad
 un
<br />

tempo,
 garantendo
 a
 tutti
 la
 certezza
 di
 poter
 chiedere
 giustizia
<br />

nell’ipotesi
 in
 cui
 altri
 offendano
 la
 propria
 immagine
 o
<br />

reputazione.
<br />


<br />


<br />


<br />


<br />


<br />


<br />

EMERGENZA
LIBERTA’
DI
ESPRESSIONE.
<br />

1°
dicembre
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=211
<br />


<br />

In
un
bellissimo
articolo
su
Punto
Informatico
Gaia
Bottà
<br />

da
 la
 notizia
 della
 recente
 sospensione
 dell'account
 utilizzato
 da
<br />

un
 giovane
 blogger
 egiziano
 su
 Youtube
 per
 denunziare
 abusi
 e
<br />

violenze
perpetrati
dalle
forze
dell'ordine
locali 53.
<br />

























































<br />

53 
Qui
di
seguito
il
testo
integrale
dell’articolo
di
Gaia
Bottà
dal
quale
trae
origine
il
<br />

mio
post.
E’
pubblicato
a
questa
URL:
http://punto‐<br />

informatico.it/2127874/PI/News/youtube‐censura‐antitortura.aspx
<br />

YouTube
censura
la
(anti)tortura
<br />

Account
 sospeso.
 Era
 lo
 spazio
 su
 YouTube
 che
 l'attivista
 egiziano
 Wael
 Abbas
<br />

utilizzava
per
denunciare
abusi
e
violenze
perpetrati
d<strong>alla</strong>
forze
dell'ordine
locali.
<br />

Aveva
 postato
 presentazioni
 con
 oltre
 cento
 immagini,
 aveva
 pubblicato
 video
 a
<br />

testimonianza
delle
violenze
che
si
verificano
nelle
carceri
egiziane.
Dei
documenti
<br />

che
aveva
postato
non
resta
nulla,
risultavano
sconvenienti,
urtavano
la
sensibilità
<br />

degli
utenti
del
servizio
di
video
sharing.
<br />

"L'hanno
chiuso
‐
ha
spiegato
Wael
a
Reuters
‐
e
mi
hanno
inviato
un'email
dicendo
<br />

che
 avrebbero
 sospeso
 il
 mio
 account
 perché
 erano
 stati
 raggiunti
 da
 molte
<br />

segnalazioni
 riguardo
 ai
 contenuti".
 Le
 segnalazioni
 riguardavano
 in
 particolare
 i
<br />

video
che
mostravano
esplicitamente
gli
abusi,
gli
stessi
contenuti
per
i
quali
Abbas
<br />

aveva
 ricevuto
 minacce
 da
 parte
 delle
 forze
 dell'ordine
 locali.
 Gli
 stessi
 contenuti
<br />

che
 avevano
 attirato
 l'attenzione
 della
 stampa
 internazionale,
 che
 avevano
<br />

assicurato
 a
 Abbas
 un
 premio
 di
 International
 Center
 for
 Journalist,
 che
 hanno
<br />

contribuito
a
sensibilizzare
la
società
civile
e
a
far
arrestare
gli
aguzzini.
<br />

Abbas
 insinua
 il
 dubbio
 che
 YouTube
 abbia
 rimosso
 il
 video
 a
 seguito
 delle
<br />

pressioni
 del
 governo:
 i
 cittadini
 della
 rete
 egiziani
 stanno
 progressivamente
<br />

sperimentando
 la
 libertà
 di
 espressione
 online,
 producendo
 contenuti
 spesso
<br />

sgraditi
alle
autorità
locali,
facili
ad
arresti
e
violenze.
<br />

Ma
 i
 blogger
 locali
 sono
 convinti
 che
 la
 rimozione
 del
 video
 non
 sia
 operato
 del
<br />

governo.
La
sospensione
dell'account
sembra
piuttosto
frutto
di
un'applicazione
del
<br />

regolamento
 di
 YouTube,
 che
 proibisce
 di
 postare
 immagini
 di
 violenza
 gratuita.
<br />

Immagini
 che
 vengono
 eventualmente
 rimosse
 non
 a
 priori
 ma
 a
 seguito
 di
<br />

motivate
 segnalazioni
 inoltrate
 dagli
 utenti.
 I
 contenuti
 sarebbero
 troppo
 forti
 e
<br />

128




<br />

Il
 blogger
 spiega
 <strong>alla</strong>
 Reuteirs
 che
 la
 chiusura
 gli
 è
 stata
<br />

comunicata
 a
 mezzo
 mail
 da
 YouTube
 ed
 è
 stata
 giustificata
 con
<br />

l'alto
 numero
 di
 segnalzioni
 ricevute
 nelle
 quali
 si
 denunciava
 la
<br />

natura
violenta
dei
contenuti
resi
disponibili.
<br />

Nessun
dubbio
che
le
immagini
fossero
violente
‐
anche
se
<br />

non
più
di
molte
altre
presenti
ovunque
su
YouTube
e
fuori
‐
ma,
<br />

sfortunatamente,
erano
vere…
<br />

Violente
 e
 raccapriccianti
 sono
 anche
 le
 immagini
 delle
<br />

persone
costrette
a
buttarsi
giù
dalle
torri
gemelle
senza
speranza,
<br />

l'11
settembre
del
2001
ma…chi
avrebbe
il
coraggio
di
rimuoverle
<br />

d<strong>alla</strong>
 <strong>Rete</strong>,
 di
 renderle
 inaccessibili,
 di
 bollarle,
 semplicemente,
<br />

come
immagini
sconvenienti?
<br />

E'
questo
il
punto
sul
quale
dobbiamo
riflettere:
chi
deve
<br />

giudicare
se
un'immagine
è
opportuno
o
non
opportuno
che
venga
<br />

diffusa?
<br />

In
questo
momento
c'è
troppa
confusione
al
riguardo.
<br />


<br />

Sarebbe
facile
addebitare
la
responsabilità
della
censura
in
<br />

danno
del
blogger
egiziano
a
YouTube
ma…sarebbe
sbagliato.
<br />

YouTube
 ha,
 evidentemente,
 agito
 mosso
 dal
 timore
 che
<br />

qualora
 non
 lo
 avesse
 fatto
 avrebbe
 potuto
 essere
 chiamato
 a
<br />

rispondere
 in
 conformità
 a
 quanto
 ambiguamente
 previsto
 nella
<br />

normativa
di
molti
Paesi
per
gli
intermediari
della
comunicazione.
<br />

Leggi
 e
 giurisprudenza,
 infatti,
 tendono,
 ormai,
 ad
<br />

escludere
la
responsabilità
dell'intermediario
della
comunicazione
<br />

qualora
 ricevuta
 una
 segnalazione
 si
 attivi
 prontamente
 per
<br />

rimuovere
il
contenuto
segnalato
come
illecito.
<br />

Il
punto
è
che
la
natura
e
provenienza
di
tale
segnalazione
<br />

così
 come
 la
 valutazione
 circa
 l'illiceità
 della
 diffusione
 del
<br />

contenuto
 sono
 declinate
 diversamente
 a
 seconda
<br />

dell'Ordinamento
 e
 dell'orientamento
 giurisprudenziale
 preso
 in
<br />

esame.
<br />

























































<br />

impressionanti,
ma
"rimuoverli
perché
le
persone
trovano
che
la
verità
disturbi
è
<br />

inconcepibile",
ha
denunciato
Elijah
Zarwan,
un
altro
attivista
egiziano.
<br />

Ma
la
violenza
sbattuta
online
da
Abbas
è
tutto
fuorché
gratuita:
"L'obiettivo
non
è
<br />

mostrare
 la
 violenza,
 ma
 mostrare
 la
 brutalità
 della
 polizia",
 spiegano
 i
<br />

rappresentanti
 di
 Arabic
 Network
 for
 Human
 Rights
 Information.
 Concordano
 i
<br />

netizen
 locali:
 "Hanno
 chiuso
 il
 canale
 di
 denuncia
 più
 importante
 ‐
 scrive
 un
<br />

blogger
‐
a
YouTube
dovrebbero
andare
fieri
del
fatto
che
gli
attivisti
egiziani
che
<br />

lottano
contro
la
tortura
abbiano
scelto
di
esprimersi
proprio
lì".
<br />

Sul
 web
 proliferano
 le
 proteste
 e
 gli
 appelli,
 anche
 a
 mezzo
 video.
 Anche
 se
<br />

YouTube
 dovesse
 decidere
 di
 non
 tornare
 sui
 sui
 passi,
 la
 testimonianza
 di
 Wael
<br />

Abbas
 sopravviverà
 <strong>alla</strong>
 sospensione
 dell'account:
 è
 stata
 fatta
 rimbalzare
 online
<br />

dagli
end
intelligenti
della
rete.
<br />

129




<br />

E'
 difficile
 indicare
 soluzioni
 per
 quello
 che
 costituisce,
<br />

probabilmente,
 uno
 dei
 problemi
 più
 urgenti
 ed
 importanti
 della
<br />

disciplina
 della
 <strong>Rete</strong>,
 ma
 il
 mio
 personale
 convincimento
 è
 che
<br />

nessun
 contenuto
 debba
 essere
 rimosso
 d<strong>alla</strong>
 <strong>Rete</strong>
 se
 il
<br />

responsabile
della
pubblicazione
è
individuato
o
individuabile
e
se
<br />

la
rimozione
non
è
disposta
da
un'autorità
giudiziaria.
<br />

Questa
è
la
mia
proposta
di
soluzione,
non
è
detto
che
sia
<br />

l'unica
e
non
è
detto
che
sia
la
migliore:
<br />

1.
 Gli
 ISP
 e
 gli
 UGC
 non
 hanno
 alcun
 obbligo
 di
<br />

sorveglianza
 sui
 contenuti
 immessi
 in
 <strong>Rete</strong>
 attraverso
 le
 proprie
<br />

infrastrutture
ed
i
propri
servizi
né
alcuna
responsabilità;
<br />

2.
Nel
caso
in
cui
chi
vi
ha
interesse
o
la
pubblica
autorità
<br />

ritenga
 la
 diffusione
 di
 un
 contenuto
 illecita
 o
 lesiva
 dei
 propri
<br />

diritti
 può
 richiedere
 all'ISP
 o
 all'UGC
 di
 fornirgli
 ogni
 dato
 utile
<br />

all'identificazione
del
soggetto;
<br />

3.
 Se
 non
 sono
 in
 grado
 di
 identificare
 il
 soggetto
 in
<br />

questione
 l'ISP
 e
 l'UGC
 devono
 provvedere
 all'immediata
<br />

rimozione,
a
scopo
cautelare,
del
contenuto,
assumendosi,
in
caso
<br />

contrario,
ogni
responsabilità;
<br />

4.
 il
 segnalante
 o
 l'autorità
 pubblica
 indirizza
 una
<br />

comunicazione
al
responsabile
della
pubblicazione
del
contenuto,
<br />

rappresentandogli
 le
 ragioni
 per
 le
 quali
 ritiene
 che
 il
 contenuto
<br />

medesimo
debba
essere
rimosso
e
diffidandolo
a
provvedere
in
tal
<br />

senso;
<br />

5.
 il
 responsabile
 della
 pubblicazione
 può
 optare
 per
 la
<br />

rimozione
 del
 contenuto
 ‐
 anche
 senza
 riconoscere
 alcuna
<br />

responsabilità
 ‐
 o,
 piuttosto,
 per
 il
 mantenimento
 on‐line
 del
<br />

contenuto
stesso.
<br />

6.
 in
 caso
 di
 mancata
 rimozione,
<br />

sull'opportunità/necessità
 di
 procedere
 in
 tal
 senso
 si
 pronuncia
<br />

l'autorità
Giudiziaria
ordinaria;
<br />

7.
 all'esito
 del
 procedimento,
 nel
 caso
 in
 cui
 la
<br />

pubblicazione
 del
 contenuto
 venga
 dichiarata
 illecita,
 il
<br />

provvedimento
 viene
 notificato
 all'ISP
 o
 all'UGC
 che
 provvedono
<br />

all'immediata
rimozione.
<br />

Solo
 così,
 a
 mio
 avviso,
 allontaneremo
 per
 sempre
 d<strong>alla</strong>
<br />

<strong>Rete</strong>
lo
spettro
della
censura
e
riusciremo
ad
utilizzarne
appieno
le
<br />

enormi
 potenzialità
 di
 mezzo
 di
 comunicazione
 di
 massa
 aperto
<br />

<strong>alla</strong>
comunità
globale.
<br />

Cosa
ne
pensate?
"Il
dibattito
è
aperto",
come
il
mio
primo
<br />

Direttore,
 oltre
 15
 anni
 fa,
 aveva
 intitolato
 una
 mia
 rubrica
 di
<br />

politica
ed
attualità.
<br />


<br />

Bomba,
genocidio,
terrorista:
ed
adesso
censurami!
<br />

12
settembre
2007
<br />

130




<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=157
<br />


<br />

Ho
 appena
 chiuso
 un
 pezzo
 sulla
 censura
 che
 uscirà
 sul
<br />

prossimo
numero
di
Internet
Magazine
nel
quale,
traendo
spunto
<br />

da
 alcuni
 recenti
 avvenimenti
 della
 <strong>Rete</strong>,
 metto
 in
 guardia
 dal
<br />

rischio
 che
 nuove
 pericolose
 forme
 di
 censura
 si
 diffondano
 in
<br />

Internet
 che
 il
 Commissario
 Frattini
 conferma
 ed
 anzi
 rafforza
 i
<br />

miei
peggiori
sospetti.
<br />

Secondo
 il
 nostro
 Commissario
 Europeo,
 infatti,
<br />

bisognerebbe
 elaborare
 sistemi
 informatici
 di
 filtraggio
 ‐
 ma
 è
<br />

censura
la
parola
più
esatta!
‐

capaci
di
bloccare
l'accesso
in
<strong>Rete</strong>
a
<br />

pagine
 contenenti
 espressioni
 come
 bomba,
 genocidio,
 strage
 o
<br />

terrorismo…
<br />

L'idea
è
irrealizzabile
e
preoccupante
al
tempo
stesso.
<br />

Irrealizzabile
 perché
 ben
 difficilmente
 un
 "filtro
<br />

informatico"
 riuscirà
 a
 distinguere
 quando
 una
 delle
 predette
<br />

parole
 è
 utilizzata
 in
 un
 contesto
 "a
 rischio"
 o,
 piuttosto,
<br />

semplicemente
al
fine
di
narrare
un
evento
storico
o,
piuttosto,
un
<br />

fatto
di
cronaca.
<br />

Preoccupante
perché
la
<strong>Rete</strong>,
in
questo
momento,
non
ha
<br />

davvero
bisogno
di
altre
stupide
forme
di
censura
che
privano,
in
<br />

modo
 certi,
 i
 cittadini
 di
 una
 delle
 loro
 libertà
 fondamentali
 a
<br />

fronte
di
un
incerto
beneficio
per
la
collettività.
<br />

Non
 avrei
 mai
 pensato,
 nel
 2007,
 di
 sentire
 ancora
 un
<br />

Commissario
Europeo
parlare
di
censura!
<br />


<br />

La
<strong>Rete</strong>
clandestina…
<br />

1°
settembre
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=331
<br />


<br />


 Ho
approfittato
di
un
volo
aereo
di
qualche
ora
per
leggere
<br />

le
 motivazioni
 della
 Sentenza
 con
 la
 quale
 il
 Tribunale
 di
 Modica
<br />

ha
condannato
lo
Storico
Carlo
Ruta
per
stampa
clandestina 54.
<br />

























































<br />

54 
Il
testo
integrale
della
Sentenza:
<br />

TRIBUNALE
DI
MODICA
<br />

SENTENZA
<br />

REPUBBLICA
ITALIANA
<br />

IN
NOME
DEL
POPOLO
ITALIANO
<br />

Il
 Giudice
 penale
 monocratico
 dr.ssa
 Patricia
 Di
 Marco,
 <strong>alla</strong>
 pubblica
 udienza
<br />

dell’08.05.2008
 ha
 pronunziato
 e
 pubblicato
 mediante
 lettura
 del
 dispositivo
 la
<br />

seguente:
<br />

SENTENZA
<br />

nei
confronti
di:
<br />

Ruta
Carlo,
nato
a
Ragusa
il
26.08.1953,
residente
in
XXXXXXXXXXXXXXX
<br />

n.
46
Libero
Assente
<br />

IMPUTATO
<br />

131



























































<br />


<br />

del
reato
p.
e
p.
dagli
artt.5
e
16
della
L.
08.02.1948
n.
47,
per
avere
intrapreso
la
<br />

pubblicazione
del
giornale
di
informazione
civile
denominato
“Accade
in
Sicilia”
e
<br />

diffuso
 sul
 sito
 internet
 www.accadeinsicilia.net
 senza
 che
 fosse
 stata
 eseguita
 la
<br />

registrazione
 presso
 la
 cancelleria
 del
 Tribunale
 di
 Modica,
 competente
 per
<br />

territorio
 per
 avere
 il
 Ruta
 comunicato
 al
 provider
 Tiscali
 il
 proprio
 indirizzo
 di
<br />

posta
elettronica
in
Pozzallo
via
Ungaretti
n.46,
con
registrazione
avvenuta
in
data
<br />

16
dicembre
2003.
In
Pozzallo
il
16.12.2003
e
fino
al
07.12.2004.
<br />

Con
la
recidiva
di
cui
all’art.
99
C.P.
<br />

Con
l’intervento
del
Pubblico
Ministero
dr.ssa
V.
Di
Grandi
V.
Proc.
O.
<br />

del
difensore
dell’imputato,
Avv.
G.
Di
Pasquale
<br />

Le
parti
hanno
concluso
come
segue:
<br />

Il
 Pubblico
 Ministero
 chiede
 la
 condanna
 dell’imputato
 <strong>alla</strong>
 pena
 di
 €
 250,00
 di
<br />

multa.
<br />

Il
difensore
dell’imputato
chiede
l’assoluzione
perché
il
fatto
non
sussiste
o
per
non
<br />

averlo
l’imputato
commesso
ed
in
subordine,
ex
art.
530,
2°
co.
c.p.p..
<br />

MOTIVAZIONE
<br />

Ruta
Carlo
veniva
citato
a
giudizio
davanti
al
Tribunale
di
Modica
in
composizione
<br />

monocratica
 con
 decreto
 emesso
 il
 31.05.2006
 dal
 Pubblico
 Ministero
 presso
<br />

questo
Tribunale
per
rispondere
del
reato
di
cui
agli
artt.
5
e
16
della
legge
n.
47
<br />

dell’8.02.
1948
meglio
specificato
in
rubrica.
<br />

All’udienza
 dcl
 25.09.2007,
 <strong>alla</strong>
 presenza
 dell’imputato,
 dopo
 diversi
 rinvii
 dovuti
<br />

ad
 impedimenti
 del
 difensore
 di
 fiducia
 dell’imputato,
 si
 dava
 inizio
 all’istruzione
<br />

dibattimentale
mediante
l’esame
dei
testi
indicati
in
lista
dal
P.M..
<br />

Alla
stessa
udienza
l’imputato
rendeva
spontanee
dichiarazioni.
<br />

All’udienza
 del
 29.01.2008
 il
 Tribunale
 disponeva
 degli
 ulteriori
 accertamenti
<br />

mediante
 la
 Polizia
 Postale
 di
 Catania
 relativamente
 <strong>alla</strong>
 cadenza
 con
 cui
 il
 sito
<br />

veniva
 aggiornato
 e
 con
 cui
 venivano
 pubblicati
 gli
 articoli.
 Indi
 all’udienza
 dell’8
<br />

maggio
2008,
dopo
avere
escusso
l’Assistente
della
Polizia
Postale
di
Catania
Vito
<br />

Latora,
esaurita
l’istruttoria
dibattimentale,
le
parti
formulavano
ed
illustravano
le
<br />

rispettive
conclusioni
come
da
verbale
in
atti.
<br />

All’odierno
imputato
è
stato
contestato
il
reato
di
cui
agli
artt.
5
e
16
della
L.
n.
47
<br />

dell’8.02.
1948
per
avere
intrapreso
la
pubblicazione
del
giornale
di
informazione
<br />

civile
 denominato
 “Accade
 in
 Sicilia”
 e
 diffuso,
 con
 registrazione
 avvenuta
 il
<br />

16.12.2003,
 sul
 sito
 Internet
 WWW.accadeinsicilia.net.
 senza
 che
 fosse
 stata
<br />

eseguita
la
registrazione
presso
la
cancelleria
del
Tribunale
di
Modica,
competente
<br />

per
territorio.
<br />

In
 diritto
 occorre
 preliminarmente
 osservare
 che
 l’art.
 5
 della
 L.
 n.
 47/1948
<br />

stabilisce
 che
 nessun
 giornale
 o
 periodico
 può
 essere
 pubblicato
 se
 non
 sia
 stato
<br />

preventivamente
 registrato
 presso
 la
 cancelleria
 del
 tribunale,
 nella
 cui
<br />

circoscrizione
 la
 pubblicazione
 deve
 effettuarsi.
 Il
 successivo
 art.
 16
 dello
 stesso
<br />

testo
normativo
punisce
penalmente
chiunque
intraprenda
la
pubblicazione
di
un
<br />

giornale
 ovvero
 di
 un
 periodico,
 senza
 che
 sia
 stata
 eseguita
 la
 suddetta
<br />

registrazione.
<br />

Va
chiarito
che
il
provvedimento
di
registrazione
consiste
in
un
mero
controllo
di
<br />

legittimità
della
regolarità
formale
dei
documenti
prodotti
e
della
rispondenza
del
<br />

loro
 contenuto
 alle
 disposizioni
 di
 legge.
 La
 registrazione
 di
 un
 periodico,
 quindi,
<br />

non
 costituisce
 un
 limite
 preventivo
 <strong>alla</strong>
 libertà
 di
 stampa,
 essendo
 esclusa
<br />

nell’emissione
 del
 suddetto
 provvedimento
 ogni
 valutazione
 discrezionale
 circa
<br />

l’opportunità
di
consentire
o
meno
la
pubblicazione.
<br />

La
finalità
della
registrazione
è
unicamente
quella
di
garantire
la
repressione
degli
<br />

abusi
e
di
individuare
i
soggetti
responsabili
di
eventuali
illeciti
commessi
a
mezzo
<br />

stampa.
Essa
rappresenta
soltanto
una
condizione
di
legittimità
della
pubblicazione,
<br />

la
cui
mancanza
dà
luogo
al
reato
di
stampa
clandestina.
<br />

132



























































<br />


<br />

D’altro
canto
anche
la
Corte
Costituzionale
con
sent.
N.
2
del
1971
ha
escluso
che
le
<br />

disposizioni
in
esame
compromettano
le
libertà
riconosciute
e
garantite
dall’art.
21
<br />

della
 Cost.,
 avendo
 ivi
 affermato
 che
 l’obbligo
 della
 registrazione
 riguarda
<br />

esclusivamente
i
giornali
quotidiani
o
periodici,
sicché
non
pone
alcuno
ostacolo
a
<br />

che
 un
 soggetto
 manifesti
 il
 proprio
 pensiero
 con
 singoli
 stampati
 o
 con
 numeri
<br />

unici.
<br />

Peraltro
 deve
 precisarsi
 che,
 sulla
 scorta
 di
 fondamentali
 enunciati
 del
 Giudice
<br />

Costituzionale
 (sent.
 Cort.
 Cost.
 n.
 826
 del
 14.07.1988),
 la
 nozione
 di
 libertà
 di
<br />

manifestazione
 del
 pensiero
 fa
 oggi
 riferimento
 non
 solo
 <strong>alla</strong>
 libertà
 di
 colui
 che
<br />

intende
 avvalersene
 in
 senso
 attivo,
 ma
 anche
 al
 diritto
 dei
 destinatari
 del
<br />

messaggio
comunicativo.
<br />

Pertanto,
 al
 fine
 di
 assicurare
 un
 equilibrio
 tra
 queste
 due
 posizioni,
 entrambe
<br />

costituzionalmente
 protette,
 appare
 legittimo
 l’intervento
 del
 legislatore
 volto
 a
<br />

regolare
l’esercizio
dell’attività
d’informazione.
Ciò
posto,
occorre
rilevare
che,
sino
<br />

all’entrata
 in
 vigore
 della
 legge
 n.
 62
 del
 2001,
 il
 prevalente
 orientamento
<br />

giurisprudenziale
aveva
adottato
un’interpretazione
restrittiva
dell’art.
1
della
L.
n.
<br />

47
del
1948,
ritenendo
che,
affinché
una
pubblicazione
potesse
essere
ricompresa
<br />

nella
 nozione
 di
 prodotto
 editoriale
 di
 cui
 <strong>alla</strong>
 citata
 disposizione,
 dovesse
<br />

necessariamente
 sussistere
 il
 requisito
 ontologico
 della
 riproduzione
 del
 giornale
<br />

su
supporto
cartaceo.
<br />

Secondo
 tale
 orientamento
 veniva
 esclusa
 la
 possibilità
 di
 estendere
 ai
 giornali
<br />

telematici
 le
 disposizioni
 relative
 <strong>alla</strong>
 registrazione
 previste
 per
 la
 stampa
<br />

periodica.
<br />

Infatti
la
Legge
n.
47
del
1948
all’art.
1
statuiva
che,
ai
fini
della
suddetta
legge,
per
<br />

stampa
 o
 stampati
 dovessero
 considerarsi
 tutte
 le
 riproduzioni
 tipografiche
 o
<br />

comunque
 ottenute
 con
 mezzi
 meccanici
 o
 fisico
 chimici,
 in
 qualsiasi
 modo
<br />

destinate
<strong>alla</strong>
pubblicazione
<br />

Solo
successivamente
con
la
legge
n.
62
del
2001
il
legislatore
ha
esteso
il
concetto
<br />

di
 prodotto
 editoriale,
 ricomprendendo
 in
 esso
 non
 solo
 il
 prodotto
 realizzato
 su
<br />

supporto
 cartaceo,
 ma
 anche
 quello
 realizzato
 su
 supporto
 informatico
 destinato
<br />

<strong>alla</strong>
 pubblicazione
 anche
 con
 mezzo
 elettronico,
 ed
 ha,
 conseguentemente,
 esteso
<br />

l’applicazione
degli
artt.
2
e
5
della
L.
n.
47
del
1948
anche
ai
giornali
e
periodici
c.d.
<br />

telematici.
Ed
invero
la
nuova
legge
all’art.
1,
comma
1°,
statuisce
che
per
prodotto
<br />

editoriale,
ai
fini
della
presente
legge,
si
intende
il
prodotto
realizzato
su
supporto
<br />

cartaceo,
 ivi
 compreso
 il
 libro,
 o
 su
 supporto
 informatico,
 destinato
 <strong>alla</strong>
<br />

pubblicazione
 o,
 comunque,
 <strong>alla</strong>
 diffusione
 di
 informazioni
 presso
 il
 pubblico
 con
<br />

ogni
 mezzo,
 anche
 elettronico,
 o
 attraverso
 la
 radiodiffusione
 sonora
 e
 televisiva,
<br />

con
esclusione
dei
prodotti
disco
grafici
o
cinematografici”
e
stabilisce
al
successivo
<br />

comma
3°che
“al
prodotto
editoriale
si
applicano
le
disposizioni
di
cui
all’art.
2
della
<br />

legge
 8
 febbraio
 1948
 n.
 47.
 I1
 prodotto
 editoriale
 diffuso
 al
 pubblico
 con
<br />

periodicità
 regolare
 e
 contraddistinto
 da
 una
 testata,
 costituente
 elemento
<br />

identìficativo
del
prodotto,
è
sottoposto,
altresì,
agli
obblighi
previsti
dall’art.
5
della
<br />

medesima
legge
n.
47
del
1948”.
<br />

A
 seguito
 dell’entrata
 in
 vigore
 della
 suddetta
 legge
 si
 sono
 affermati
 due
<br />

contrapposti
 orientamenti
 interpretativi
 circa
 l’ambito
 di
 applicazione
 del
<br />

menzionato
 testo
 normativo.
 Secondo
 l’interpretazione
 fornita
 da
 alcuni
 autori
 il
<br />

regime
 prescritto
 dall’art.
 1
 della
 L.
 n.
 62/2001
 troverebbe
 applicazione
 solo
 per
<br />

coloro
i
quali
intendono
usufruire
delle
agevolazioni
previste
d<strong>alla</strong>
medesima
legge.
<br />

Diversamente
 secondo
 altra
 parte
 della
 dottrina
 e
 secondo
 la
 giurisprudenza
 di
<br />

merito
(Trib.
Milano,
Il
sez.
Civile,
10‐16
maggio
2006
n.
6127;
Tribunale
Salerno,
<br />

16.03.2001;
 Tribunale
 Latina,
 7.06.2001)
 la
 norma,
 che
 accomuna
 in
 un
 sistema
<br />

unitario
 la
 carta
 stampata
 e
 i
 nuovi
 media,
 ha
 valore
 generale,
 così
 da
 poter
<br />

affermare
 l’assoluta
 equiparabilità
 di
 un
 sito
 internet
 ad
 una
 pubblicazione
 a
<br />

133



























































<br />


<br />

stampa,
 anche
 con
 riferimento
 ad
 un
 eventuale
 sequestro
 di
 materiale
<br />

«incriminato».
<br />

Questo
 giudicante
 ritiene
 di
 aderire
 al
 secondo
 orientamento
 dianzi
 illustrato
 in
<br />

quanto
 lo
 stesso,
 oltre
 che
 più
 razionale
 da
 un
 punto
 di
 vista
 sistematico,
 appare
<br />

peraltro
confermato
dal
fatto
che
il
titolo
della
legge
del
2001
reca
“Nuove
norme
<br />

sull’editoria
e
sui
prodotti
editoriali
e
modifiche
<strong>alla</strong>
legge
5
agosto
1981,
n.
416”,
il
<br />

che
 lascia
 intuire
 che
 l’intenzione
 del
 legislatore
 non
 fosse
 solo
 quella
 di
 dettare
<br />

regole
 sulle
 provvidenze,
 ma
 anche
 di
 introdurre
 modifiche
 attinenti
 all’intero
<br />

settore
dell’editoria.
<br />

Pertanto
 l’inciso
 contenuto
 nell’art.
 1
 della
 legge
 in
 esame
 “ai
 fini
 della
 presente
<br />

legge”
avrebbe
valore
generale
e
non
limitato
all’erogazione
dei
contributi.
<br />

Orbene,
<strong>alla</strong>
luce
della
suddetta
normativa,
al
prodotto
editoriale,
per
come
definito
<br />

dal
comma
1
dell’art.
1
della
L.
n.
62/2001,
si
applicano
le
disposizioni
di
cui
all’art.
<br />

2
della
L.
n.
47/1948,
mentre
i
prodotti
editoriali
diffusi
al
pubblico
con
periodicità
<br />

regolare
e
contraddistinti
da
una
testata
sono
ulteriormente
sottoposti
agli
obblighi
<br />

previsti
dall’art.
5
della
medesima
legge
n.
47
del
1948.
<br />

In
sintesi
devono
essere
inscritte,
nell’apposito
registro
tenuto
dai
tribunali
civili,
le
<br />

testate
giornalistiche
on‐line
che
abbiano
le
stesse
caratteristiche
e
la
stessa
natura
<br />

di
quelle
scritte
o
radio‐televisive
e
che,
quindi,
abbiano
una
periodicità
regolare,
un
<br />

titolo
identificativo
(testata)
e
che
diffondano
presso
il
pubblico
informazioni
legate
<br />

all’attualità.
In
particolare,
le
testate
telematiche
da
registrare
e
perciò
sottoposte
ai
<br />

vincoli
rappresentati
dagli
articoli
n.
2,
3
e
5
della
L.
n.
47/1948
sulla
stampa
sono
<br />

quelle
 pubblicate
 con
 periodicità
 (quotidiana,
 settimanale,
 bisettimanale,
<br />

trisettimanale,
mensile,
bimestrale)
e
caratterizzate
d<strong>alla</strong>
raccolta,
dal
commento
e
<br />

dall’elaborazione
 critica
 di
 notizie
 destinate
 a
 formare
 oggetto
 di
 comunicazione
<br />

interpersonale,
 d<strong>alla</strong>
 finalità
 di
 sollecitare
 i
 cittadini
 a
 prendere
 conoscenza
 e
<br />

coscienza
 di
 fatti
 di
 cronaca
 e,
 comunque,
 di
 tematiche
 socialmente
 meritevoli
 di
<br />

essere
rese
note.
<br />

Ed
 è,
 altresì,
 ovvio
 che
 il
 richiamo
 contenuto
 nell’art.
 1,
 comma
 3,
 della
 L.
 n.
<br />

62/2001
 agli
 att.
 2
 e
 5
 della
 L.
 n.
 47/1948
 implica
 automaticamente
 il
 richiamo
<br />

anche
 all’art.
 16
 della
 stessa
 legge
 e,
 quindi,
 alle
 sanzioni
 penali
 prescritte
 per
<br />

l’ipotesi
 di
 inottemperanza
 alle
 disposizioni
 di
 cui
 agli
 artt.
 2
 e
 5.
 Sicché
 l’art.
 16
<br />

della
 legge
 sulla
 stampa
 si
 applica
 anche
 ai
 giornali
 telematici
 non
 già
 in
 via
<br />

analogica,
come
da
alcuni
sostenuto,
ma
perché
è
lo
stesso
legislatore
che
rinvia
a
<br />

detta
disposizione
nel
momento
in
cui
impone
alle
testate
periodiche
l’obbligo
della
<br />

registrazione.
<br />

D’altra
parte
diversamente
opinando
sarebbe
irragionevole
prevedere
ed
imporre
<br />

anche
ai
periodici
telematici
gli
stessi
obblighi
prescritti
per
la
stampa
ed
escludere
<br />

l’irrogazione
delle
sanzioni
penali
fissate
per
l’inosservanza
dei
suddetti
obblighi.
<br />

Detto
 quadro
 normativo,
 per
 quello
 che
 in
 questa
 sede
 interessa,
 non
 è
 stato
<br />

intaccato
dall’entrata
in
vigore
del
D.Lvo
n.
70
del
2003,
il
quale,
per
come
risulta
<br />

d<strong>alla</strong>
 stessa
 rubrica
 del
 decreto,
 disciplina
 esclusivamente
 “i
 servizi
 della
 società
<br />

dell’informazione
 nel
 mercato
 interno,
 con
 particolare
 riferimento
 al
 commercio
<br />

elettronico”.
<br />

Le
 finalità
 della
 nuova
 normativa
 sono
 rese
 esplicite
 dal
 l°
 comma
 dell’art.
 1
 del
<br />

d.lgs.
n.
70/2003
e
consistono
nella
promozione
della
libera
circolazione
dei
servizi
<br />

della
 società
 dell’informazione
 (SSI),
 e
 segnatamente
 nell’attività
 di
 commercio
<br />

elettronico.
<br />

Tale
normativa,
da
un
punto
di
vista
oggettivo
e
per
come
stabilito
dall’art.
2
dello
<br />

stesso
decreto,
si
riferisce
a
“qualsiasi
servizio
della
società
dell’informazione,
vale
<br />

a
dire
qualsiasi
servizio
prestato
normalmente
dietro
retribuzione,
a
distanza,
per
<br />

via
elettronica
e
a
richiesta
individuale
di
un
destinatario
di
servizi”.
<br />

Sostanzialmente,
 rientra
 nell’ambito
 regolato
 d<strong>alla</strong>
 nuova
 disciplina
 il
 c.d.
<br />

commercio
elettronico,
inteso
quale
attività
di
contrattazione
telematica
e
relative
<br />

134



























































<br />


<br />

operazioni
 propedeutiche,
 oltre
 che
 qualsiasi
 tipo
 di
 servizio,
 che
 comunque
<br />

costituisca
un’
attività
economica.
<br />

In
 relazione,
 poi,
 all’ambito
 soggettivo
 di
 applicazione,
 tre
 sono
 le
 definizioni
<br />

rilevanti.
 Il
 «prestatore»,
 che
 viene
 definito,
 sempre
 dall’art.
 2,
 come
 la
 persona
<br />

fisica
 o
 giuridica
 che
 presta
 un
 servizio
 per
 la
 società
 dell’informazione
 (SSI);
 il
<br />

«destinatario
del
servizi»
quale
soggetto
che,
a
scopi
professionali
e
non,
utilizza
un
<br />

SSI,
 in
 particolare
 per
 ricercare
 o
 rendere
 accessibili
 informazioni;
 il
<br />

«consumatore»
come
qualsiasi
persona
fisica
o
giuridica
che
agisca
con
finalità
non
<br />

riferibile
 all’attività
 commerciale,
 imprenditoriale
 o
 professionale
 eventualmente
<br />

svolta.
<br />

Deve
 di
 conseguenza
 concludersi
 che
 il
 decreto
 legislativo
 in
 parola
 regola
<br />

esclusivamente
l’attività
di
prestazione
di
servizi
di
informazione,
resa
dalle
società
<br />

di
informazione
e
da
coloro
che
prestano
servizi
per
le
suddette
società,
mentre
non
<br />

si
applica
al
singolo
che
svolge
l’attività
d’informazione
non
in
forma
commerciale
<br />

e,
quindi,
non
in
qualità
di
prestatore
di
servizi
nel
senso
dianzi
delineato.
<br />

A
 tal
 fine
 va
 anche
 evidenziato
 che
 l’art.
 1,
 ultimo
 periodo,
 della
 1.
 n.
 62/2001
<br />

risulta
 immutato
 e
 non
 è
 stato
 abrogato
 dal
 D.L.vo
 n.
 70/2003,
 né
 la
 norma
<br />

contenuta
nel
comma
3°
dell’art.
7
può
essere
considerata
norma
di
interpretazione
<br />

autentica
 del
 citato
 art.
 1
 della
 1.
 n.
 62/2001,
 essendo
 il
 decreto
 legislativo
 in
<br />

commento
 applicativo,
 nell’ambito
 dell’ordinamento
 interno,
 di
 una
 direttiva
<br />

comunitaria,
 la
 quale,
 al
 momento
 della
 sua
 emanazione,
 non
 poteva,
<br />

evidentemente,
avere
a
riferimento
la
legislazione
interna
preesistente.
<br />

L’orientamento
 che,
 al
 momento
 dell’entrata
 in
 vigore
 della
 1.n.
 62/2001,
<br />

interpretava
restrittivamente
l’art.
i,
comma
3°ultimo
periodo,
della
1.
n.
62/2001,
<br />

affermando
come
in
realtà
tale
norma
sancisse
l’obbligo
di
registrazione
solo
per
le
<br />

testate
giornalistiche
on‐line
che
volessero
accedere
ai
finanziamenti
statali,
non
è,
<br />

dunque,
condivisibile
proprio
in
ragione
dell’emanazione
del
D.L.vo
n.
70/2003,
il
<br />

quale
ha
dovuto
introdurre,
successivamente
ed
all’uopo,
una
disposizione
ad
hoc,
<br />

che,
si
ribadisce,
non
è
di
interpretazione
autentica
e
che
esenta
d<strong>alla</strong>
registrazione
<br />

le
testate
editoriali
telematiche
riferibili
alle
società
di
servizi.
<br />

Non
 può,
 quindi,
 sostenersi,
 sic
 et
 simpliciter,
 che
 l’art.
 7,
 comma
 3°,
 D.L.vo
 n.
<br />

70/2003
abbia
sostanzialmente
sancito
l’inoperatività
dell’art.
1,
comma
3°ultimo
<br />

periodo,
della
1.
n.
62/2001,
facendo
salva
solo
la
marginale
ipotesi
dell’accesso
al
<br />

finanziamento
 pubblico.
 Semmai
 al
 contrario,
 avuto
 riguardo
 all’oggetto
 della
<br />

disciplina
 del
 D.L.vo
 n.
 70/2003
 ed
 <strong>alla</strong>
 portata
 generale
 dell’art.
 1,
 commi
 1
 e
 3,
<br />

della
1.
n.
62/2001,
il
complesso
sistematico
delle
norme
impone
un’esegesi
delle
<br />

medesime
nel
senso
che
al
singolo
giornalista,
che
non
svolge
la
propria
attività
in
<br />

forma
economica
e
che
non
presta
servizi
in
favore
di
una
società
di
informazione,
<br />

non
può
applicarsi
la
disposizione
di
cui
all’art.
7,
comma
3,
del
D.
Lvo
n.
70/2003,
<br />

che
esonera
d<strong>alla</strong>
registrazione
le
testate
editoriali
telematiche
che
non
intendono
<br />

accedere
 alle
 provvidenze
 di
 cui
 <strong>alla</strong>
 legge
 n.
 62/2001,
 perché
 tale
 disposizione
<br />

riguarda
 solamente
 il
 c.d.
 prestatore
 di
 servizi,
 rimanendo
 conseguentemente
 il
<br />

singolo
giornalista
sottoposto
all’obbligo
di
cui
all’art.
1,
comma
3°
ultimo
periodo,
<br />

della
1.
n.
62/2001.
<br />

A
 conferma
 di
 quanto
 sopra
 asserito
 (in
 operatività
 del
 comma
 3°art.
 1
 L.
 n.
<br />

62/2001)
va
ulteriormente
chiarito
che
la
registrazione
cui
fa
riferimento
l’art.
7,
<br />

comma
3,
del
D.
Lvo
n.
70/2003
non
può
che
essere
quella
da
effettuarsi
presso
il
<br />

Registro
 Operatori
 della
 Comunicazione
 (ROC),
 istituito
 con
 la
 L.
 n.
 249
 del
 1997
<br />

(art.
 16
 L.
 n.
 62/2001),
 e
 non
 quella
 da
 effettuarsi
 ai
 sensi
 dell’art.
 5
 della
 L.
 n.
<br />

47/1948
 (art.
 1,
 comma
 3,
 L.
 n.
 62/2001),
 essendo
 la
 prima
 sostitutiva
 della
<br />

seconda,
 ai
 sensi
 dell’art.
 16
 della
 L
 n.
 62/2001,
 ed
 essendo
 tenute
 le
 società
 dei
<br />

servizi
di
informazione,
cui
si
applica
il
D.
Lvo
n.
70/2003
e
fatta
salva
l’esenzione
di
<br />

cui
 all’art.
 7,
 comma
 3°,del
 D.L.vo
 n.
 70/2003,
 all’iscrizione
 presso
 il
 suddetto
<br />

registro,
anche
in
funzione
sostitutiva
della
registrazione
prevista
dall’art.
5
della
1.
<br />

135



























































<br />


<br />

n.
 47/1948,
 quale
 obbligo
 connesso
 al
 singolo
 servizio
 ex
 art.
 7,
 comma
 1°,
 del
<br />

D.L.vo
n.
70/2003
e
ai
sensi
del
combinato
disposto
dell’art.
16
della
1.
n.
62/2001
<br />

con
 l’art.
 1
 comma
 6
 lett.
 a)
 numero
 5)
 della
 L.
 249/1997.
 Le
 stesse,
 infatti,
<br />

rientrano
tra
i
soggetti
individuati
all’uopo
d<strong>alla</strong>
legge
del
1997
e
cioè
tra
“i
soggetti
<br />

destinatari
di
concessione
ovvero
di
autorizzazione
in
base
<strong>alla</strong>
vigente
normativa
<br />

da
 parte
 dell’Autorità
 o
 delle
 amministrazioni
 competenti,
 le
 imprese
<br />

concessionarie
 di
 pubblicità
 da
 trasmettere
 mediante
 impianti
 radiofonici
 o
 tele
<br />

visivi
o
da
diffondere
su
giornali
quotidiani
o
periodici,
le
imprese
di
produzione
e
<br />

distribuzione
dei
programmi
radiofonici
e
tele
visivi,
nonché
le
imprese
editrici
di
<br />

giornali
 quotidiani,
 di
 periodici
 o
 riviste
 e
 le
 agenzie
 di
 stampa
 di
 carattere
<br />

nazionale,
nonché
le
imprese
fornitrici
di
servizi
telematici
e
di
telecomunicazioni
<br />

ivi
compresa
l’editoria
elettronica
e
digitale”.
<br />

In
 conclusione,
 <strong>alla</strong>
 stregua
 della
 normativa
 introdotta
 con
 il
 D.L.vo
 del
 2003,
<br />

devono
 inscriversi
 nel
 Roc
 soltanto
 i
 soggetti
 editori
 che
 pubblicano
 una
 o
 più
<br />

testate
giornalistiche
diffuse
al
pubblico
con
regolare
periodicità
per
cui
è
previsto
<br />

il
conseguimento
di
ricavi
qualora
intendono
avvalersi
delle
provvidenze
previste
<br />

d<strong>alla</strong>
L.
n.
62
del
7.03.2001
o
che,
comunque,
ne
facciano
specifica
richiesta.
<br />

Tale
differenziazione
di
trattamento
per
le
società
di
servizi
di
informazione
e
per
il
<br />

prestatore
di
servizi
che
opera
in
favore
della
stessa,
i
quali
qualora
non
intendano
<br />

beneficiare
del
finanziamento
pubblico
sono
esonerati
dall’obbligo
di
iscrizione
al
<br />

Roc,
 si
 giustifica
 in
 considerazione
 del
 fatto
 che
 detti
 enti
 collettivi
 sono
 già
<br />

sottoposti
 ad
 una
 normativa
 che
 consente
 facilmente
 di
 individuarli
 e,
 dunque,
<br />

garantisce
la
trasparenza
ed
il
controllo
sullo
svolgimento
della
loro
attività
(vedi
<br />

appunto
D.
Lvo
n.
70/2003
e
segnatamente
lo
stesso
art.
7,
commi
i
e
2,
che
impone
<br />

al
 prestatore
 l’obbligo
 di
 fornire
 una
 serie
 di
 dettagliate
 informazioni
 circa
 la
<br />

propria
 attività).
 Una
 diversa
 interpretazione
 delle
 disposizioni
 in
 commento,
 a
<br />

parere
di
questo
Decidente,
sarebbe
suscettibile
di
irragionevolezza
ed
in
contrasto
<br />

con
il
principio
di
eguaglianza
sancito
dall’art.
3
della
Costituzione.
Difatti,
qualora
<br />

dovesse
ritenersi
che
la
disposizione
di
cui
all’art.
7
comma
3
del
D.Lvo
n.
70/2003
<br />

abbia
 escluso
 l’obbligo
 della
 registrazione
 di
 cui
 all’art.
 5
 della
 L.
 n.
 47/1948
 per
<br />

tutti
 coloro
 i
 quali
 pubblicano
 un
 periodico
 tramite
 la
 rete
 Internet,
 si
 creerebbe
<br />

un’ingiustificata
 disparità
 di
 trattamento
 tra
 i
 giornalisti
 della
 carta
 stampata,
 i
<br />

quali
 soli
 sarebbero
 costretti
 a
 rispettare
 il
 dettato
 della
 legge
 del
 1948
 sulla
<br />

stampa,
 ed
 i
 giornalisti
 telematici
 i
 quali,
 invece,
 potrebbero
 pubblicare
 in
 rete
<br />

senza
alcuna
limitazione
e
senza
alcuna
forma
di
controllo.
<br />

Si
aggiunga
che
proprio
la
pubblicazione
di
una
pagina
web
rappresenta
la
forma
<br />

più
 efficace
 e
 potenzialmente
 più
 insidiosa
 di
 diffusione
 di
 una
 notizia,
 dato
 o
<br />

informazione,
giacché
tale
“luogo”
virtuale
può
essere
visitato
non
solo
da
colui
che
<br />

è
specificamente
e
direttamente
interessato
a
conoscere
una
certa
notizia,
ma
può
<br />

essere
visitato
anche
da
soggetti
che,
inserendo
uno
o
più
termini
in
un
motore
di
<br />

ricerca,
vengono
indirizzati
al
sito
in
oggetto.
<br />

Al
riguardo
proprio
la
Suprema
Corte
in
una
recente
sentenza
ha
rilevato
come
nel
<br />

caso
in
cui
un
utente
di
Internet
“crei
o
utilizzi
uno
spazio
web,
la
comunicazione
<br />

deve
 intendersi
 effettuata
 potenzialmente
 erga
 omnes
 (sia
 pure
 nel
 ristretto
 ‐ma
<br />

non
troppo
‐
ambito
di
tutti
coloro
che
abbiano
gli
strumenti,
la
capacità
tecnica
e,
<br />

nel
 caso
 di
 siti
 a
 pagamento,
 la
 legittimazione
 a
 connettersi)”
 (Cass.
 pen.
 27
<br />

dicembre
2000).
<br />

Tanto
 premesso
 in
 diritto,
 nel
 caso
 in
 esame
 risulta
 acclarata
 la
 sussistenza
 del
<br />

reato
contestato
all’odierno
imputato.
<br />

D<strong>alla</strong>
 documentazione
 in
 atti
 emerge
 inequivocabilmente
 che
 l’imputato
 ha
<br />

pubblicato
 sul
 sito
 internet
 denominato
 www.accadeinsicilia.net,
 un
 giornale
 che
<br />

rientra
 nel
 paradigma
 del
 prodotto
 editoriale
 descritto
 dall’art.
 1,
 comma
 3,
 L.
 n.
<br />

62/2001.
<br />

136



























































<br />


<br />

In
primo
luogo
è
lo
stesso
imputato
che,
intitolando
il
proprio
prodotto
“Accade
in
<br />

Sicilia
giornale
di
informazione
civile”,
ha
definito
e
qualificato
il
proprio
prodotto
<br />

come
giornale
diretto
a
svolgere
attività
di
informazione
e,
dunque,
come
prodotto
<br />

editoriale.
<br />

Ad
 ulteriore
 conferma
 che
 quanto
 pubblicato
 dal
 Ruta
 sul
 sito
 in
 parola
 sia
 un
<br />

prodotto
editoriale
proviene
dal
contenuto
degli
articoli
in
esso
pubblicati,
i
quali
<br />

hanno
ad
oggetto
fatti
di
cronaca
locale,
inchieste
giudiziarie,
testimonianze
dirette
<br />

e
 fatti
 storici
 (vedi:
 “omicidi
 Tumino
 e
 Spampinato”;
 “affare
 acqua
 e
 mafia”;
<br />

8.08.2003
“emergenze
e
giustizia
il
questore
Casabona
viene
trasferito
da
Ragusa
“;
<br />

29.06.2003
“caso
Carbone‐Antonveneta.
Nell’est
siciliano
si
vilipende
la
legge
fino
<br />

<strong>alla</strong>
vergogna”;
15.04.003
“Operazione
privè
negli
iblei”).
<br />

In
secondo
luogo,
l’attività
istruttoria
ha
consentito
di
accertare
che
il
sito
internet
<br />

creato
 dall’imputato
 presentava
 le
 caratteristiche
 di
 un
 periodico
 per
 la
<br />

sistematicità
 con
 cui
 veniva
 aggiornato
 e
 con
 cui
 venivano
 pubblicati
 gli
 articoli.
<br />

Dalle
 pagine
 del
 suddetto
 giornale
 rinvenute
 d<strong>alla</strong>
 Polizia
 Postale
 di
 Catania
 e
 da
<br />

quelle
 già
 acquisite
 al
 fascicolo
 per
 il
 dibattimento
 si
 evince
 chiaramente
 che
 gli
<br />

articoli
 venivano
 pubblicati
 con
 cadenza
 giornaliera,
 dato
 peraltro
 confermato,
<br />

come
 già
 anticipato,
 anche
 d<strong>alla</strong>
 denominazione
 data
 dallo
 stesso
 imputato
 di
<br />

“Giornale”
 che
 letteralmente
 significa
 quotidiano
 di
 informazione”
 (vedi
 articoli
<br />

datati
 27.11.2004,
 25.11.2004,
 15.11.2004,
 17.11.2004,
 10.11.2004,
 6.11.2004,
<br />

3.11.2004,
1.11.2004,
30.10.2004,
28.10.2004,
14.10.2004,
13.10.2004).
<br />

In
 conclusione,
 il
 prodotto
 pubblicato
 dal
 Ruta
 sul
 sito
 internet
 denominato
<br />

WWW.accadeinsicilia.net
 si
 inquadra
 esattamente
 nell’ambito
 del
 prodotto
<br />

editoriale
 di
 cui
 all’art.
 1,
 commi
 1°
 e
 3°del
 D.
 lvo
 n.
 62/2001
 per
 la
 cui
<br />

pubblicazione
 era
 necessaria
 la
 registrazione
 presso
 la
 cancelleria
 del
 tribunale,
<br />

non
operando
nel
caso
di
specie
l’esenzione
di
cui
all’art.
7,
c.
3°,D.
Lvo
n.
70/2003
<br />

perché
 l’imputato
 non
 ha
 svolto
 l’attività
 d’informazione
 per
 cui
 è
 processo
 in
<br />

forma
 commerciale
 o
 comunque
 economica,
 né
 ha
 operato
 quale
 prestatore
 di
<br />

servizi
per
le
società
di
servizi
d’informazione.
<br />

L’inottemperanza
 al
 predetto
 obbligo,
 in
 applicazione
 di
 principi
 di
 diritto
 sopra
<br />

enunciati,
integra
il
reato
di
cui
all’art.
16
della
L.n.
47/1948.
<br />

In
 ultimo
 va
 chiarito
 che
 non
 assume
 rilevanza,
 al
 fine
 di
 escludere
 la
 penale
<br />

responsabilità
dell’imputato,
l’affermazione
resa
dallo
stesso
in
sede
di
spontanee
<br />

dichiarazioni,
 secondo
 cui
 il
 prodotto
 dallo
 stesso
 pubblicato
 non
 fosse
 un
<br />

quotidiano,
ma
semplicemente
un
“blog”
inteso
come
diario
di
informazione
civile.
<br />

Al
 riguardo
 giova
 innanzitutto
 evidenziare
 che
 il
 “blog”
 è
 principalmente
 uno
<br />

strumento
di
comunicazione
ove
chiunque
può
scrivere
ciò
che
vuole
e
come
tale
<br />

può
anche
essere
usato
per
pubblicare
un
giornale.
<br />

Infatti
 un
 “blog”
 può
 anche
 essere
 utilizzato
 come
 metodo
 di
 presentazione
 di
 un
<br />

giornale,
cioè
di
una
testata
registrata
con
una
sua
linea
editoriale,
per
coinvolgere
<br />

il
pubblico.
<br />

Pertanto
diverso
può
essere
l’uso
che
si
fa
del
blog
nel
senso
che
lo
si
può
utilizzare
<br />

semplicemente
 come
 strumento
 di
 comunicazione
 ove
 tutti
 indistintamente
<br />

possono
esprimere
le
proprie
opinioni
sui
i
più
svariati
argomenti
ed
in
tal
caso
non
<br />

ricorre
 certamente
 l’obbligo
 di
 registrazione,
 ovvero
 come
 strumento
 tramite
 il
<br />

quale
fare
informazione.
<br />

Nella
 fattispecie
 de
 qua,
 come
 risulta
 dalle
 pagine
 acquisite
 agli
 atti
 e
 come
 ha
<br />

riferito
 il
 teste
 La
 Tora,
 per
 pubblicare
 degli
 articoli
 sul
 sito
 creato
 dal
 Ruta
 era
<br />

necessario
contattare
costui
e
sottoporre
<strong>alla</strong>
sua
preventiva
valutazione
l’articolo
<br />

che
si
intendeva
pubblicare.
<br />

Pertanto
 appare
 evidente
 come
 il
 sito
 in
 questione
 non
 fosse
 un
 blog,
 al
 quale
<br />

chiunque
 potesse
 accedere
 e
 partecipare
 al
 dibattito,
 ma
 era
 un
 vero
 e
 proprio
<br />

giornale
dotato
di
una
testata
e
di
un
editore
responsabile.
<br />

137




<br />


 Le
conclusioni
di
tale
decisione
erano
già
note
da
tempo
e
<br />

non
 avevano
 mancato
 di
 sollevare
 molte
 perplessità
 anche
 se,
<br />

probabilmente,
la
speranza
di
tutti
era
che
ci
si
sbagliasse.
<br />


 Nessun
 errore,
 invece.
 Lo
 storico
 siciliano
 è
 stato
<br />

condannato
in
quanto
secondo
i
giudici
avrebbe
dovuto
registrare
<br />

presso
il
competente
tribunale
la
testata
"Accade
in
Sicilia"
da
esso
<br />

edita
 attraverso
 il
 proprio
 blog
 all'indirizzo
<br />

www.accadeinsicilia.net".
<br />


 Si
sbaglierrebbe,
tuttavia,
ad
archiviare
semplicemente
la
<br />

questione
parlando
di
una
Sentenza
sbagliata
o
di
una
"cantonata
<br />

del
giudice".
<br />


 Non
 è
 così:
 il
 Giudice
 date
 due
 soluzioni
 interpretative
<br />

lasciate
 aperte
 d<strong>alla</strong>
 vigente
 disciplina
 sull'editoria
 (quella
 si
<br />

scritta
male
e
pensata
peggio,
da
bocciare
senza
prova
di
appello
<br />

come
ho
già
scritto)
ne
ha
scelta
una
incorrendo,
probabilmente,
in
<br />

qualche
leggerezza
sulla
quale
tornerò
nelle
prossime
ore.
<br />


 Proprio
 per
 questo,
 tuttavia,
 la
 situazione
 è
 più
 grave
 di
<br />

quanto
non
sarebbe
si
trattasse
"solo"
di
un
errore
giudiziario:
il
<br />

Caso
Ruta
ha
portato
<strong>alla</strong>
ribalta
un
rischio
che
è
noto
agli
addetti
<br />

ai
lavori
sin
dal
2001
ovvero
quello
che
‐
complice
la
brutta
nuova
<br />

legge
sull'editoria
(la
62/2001)
da
un
giorno
all'altro
l'intera
<strong>Rete</strong>
<br />

avrebbe
potuto
essere
ritenuta
clandestina…
<br />


 I
 principi
 contenuti
 nella
 decisione
 del
 Tribunale
 di
<br />

Modica,
infatti,
se
rigorosamente
interpretati
non
lasciano
spazio
<br />

























































<br />

A
 suggello
 e
 conferma
 di
 quanto
 sopra
 va,
 del
 resto,
 richiamato
 che
 lo
 stesso
<br />

imputato
 ha
 definito
 la
 propria
 pubblicazione
 come
 “Giornale
 di
 informazione
<br />

civile”.
<br />

L’imputato
va,
quindi,
condannato
in
ordine
al
reato
allo
stesso
contestato.
<br />

L’imputato
appare
meritevole
della
concessione
delle
attenuanti
generiche
attesa
la
<br />

sua
incensuratezza.
<br />

Così
affermata
la
penale
responsabilità
di
Ruta
Carlo
in
ordine
al
reato
ascrittogli,
<br />

avuto
 riguardo
 ai
 criteri
 indicati
 dall’art.
 133
 c.p.,
 riconosciute
 le
 attenuanti
<br />

generiche
per
l’incensuratezza
dell’imputato,
si
ritiene
equo
determinare
la
pena
in
<br />

€
150,00
di
multa
(pena
base
€
225,00
di
multa
ridotta
nella
misura
finale
ex
art.
62
<br />

bis
c.p.).
<br />

All’affermazione
 di
 responsabilità
 dell’imputato
 segue
 ex
 lege
 la
 condanna
 al
<br />

pagamento
 delle
 spese
 processuali.
 Data
 la
 complessità
 delle
 questioni
 trattate
 è
<br />

stato
fissato
in
giorni
novanta
il
termine
per
il
deposito
della
motivazione.
<br />

P.Q.M.
<br />

Visti
gli
artt.
533
e
535
c.p.p.;
<br />

dichiara
Ruta
Carlo
colpevole
del
reato
allo
stesso
ascritto
e,
concesse
le
attenuanti
<br />

generiche,
lo
condanna
<strong>alla</strong>
pena
di
€
150
di
multa
oltre
al
pagamento
delle
spese
<br />

processuali;
visto
l’art.
544
c.p.p.;
<br />

fissa
per
il
deposito
della
motivazione
il
termine
di
giorni
novanta.
<br />

Modica
8.05.2008
<br />

IL
GIUDICE
<br />

Patricia
Di
Marco
<br />

138




<br />

alcuno
a
conclusioni
diverse:
ogni
sito
di
informazione
(cosa
non
è
<br />

informazione
 nella
 Società
 dell'informazione?)
 deve
 essere
<br />

registrato
perché
il
suo
titolare
non
corra
il
rischio
di
incorrere
in
<br />

una
condanna
analoga
a
quella
inflitta
a
Carlo
Ruta.
<br />


 Buon
 rientro
 dalle
 vacanze,
 dunque,
 da
 un
 sito
<br />

clandestino!
<br />


<br />

Perché
quel
blogger
è
stato
condannato?
<br />

17
giugno
2008
<br />

Punto
Informatico
<br />


<br />


 La
notizia
ormai
è
nota:
con
una
Sentenza
dei
giorni
scorsi
<br />

che,
 tuttavia,
 nessuno
 sembra
 aver
 ancora
 letto,
 il
 Tribunale
 di
<br />

Modica
 avrebbe
 condannato
 Carlo
 Ruta
 –
 storico
 e
 blogger
<br />

siciliano
–
per
stampa
clandestina.
<br />


 Se
 la
 notizia
 fosse
 confermata,
 la
 decisione
 affermerebbe
<br />

un
principio
importante
che
va
ben
al
di
là
della
singola
vicenda
e
<br />

della
pur
grave
condanna
di
un
blogger:
quello
secondo
cui
anche
i
<br />

blog
 vanno
 registrati
 presso
 il
 registro
 della
 Stampa
 di
 cui
 <strong>alla</strong>
<br />

Legge
 n.
 47
 del
 1948
 cui,
 negli
 ultimi
 cinquant’anni,
 è
 rimasta
<br />

affidata
 la
 disciplina
 della
 materia
 nonostante
 gli
 importanti
<br />

cambiamenti
 intervenuti
 nel
 mondo
 dell’informazione
 e
 della
<br />

comunicazione.
<br />


 L’art.
16
della
citata
legge,
infatti,
stabilisce
a
chiare
lettere
<br />

che
“Chiunque
intraprenda
la
pubblicazione
di
un
giornale
o
altro
<br />

periodico
 senza
 che
 sia
 stata
 eseguita
 la
 registrazione
 prescritta
<br />

dall'art.
5,
è
punito
con
la
reclusione
fino
a
due
anni
o
con
la
multa
<br />

fino
a
lire
500.000”.
<br />


 L’art.
 5
 della
 stessa
 Legge,
 a
 sua
 volta,
 prevede
 che
<br />

“Nessun
 giornale
 o
 periodico
 può
 essere
 pubblicato
 se
 non
 sia
<br />

stato
 registrato
 presso
 la
 cancelleria
 del
 tribunale,
 nella
 cui
<br />

circoscrizione
la
pubblicazione
deve
effettuarsi.”.
<br />


 Il
blog
come
un
“giornale
o
periodico”
dunque?
<br />


 La
 questione
 è
 al
 centro
 di
 un
 dibattito
 che
 negli
 ultimi
<br />

anni
 si
 è
 riproposto
 all’attenzione
 degli
 addetti
 ai
 lavori
 con
<br />

periodicità
 che
 si
 potrebbe
 definire
 regolare
 se
 non
 si
 corresse
 –
<br />

così
 facendo
 ‐
 il
 rischio
 di
 vedersi
 contestare
 il
 reato
 di
 stampa
<br />

clandestina.
<br />


 Andiamo
 con
 ordine
 e
 cerchiamo
 di
 capire
 perché
<br />

un’ipotesi
quale
quella
dell’equiparazione
di
un
blog
ai
giornali
e
<br />

periodici
e
meno
peregrina
–
norme
di
legge
<strong>alla</strong>
mano
–
di
quanto
<br />

l’esperienza
suggerirebbe
a
ciascuno
di
noi.
<br />


 Il
 comma
 3
 dell’art.
 1
 della
 bruttissima
 nuova
 legge
<br />

sull’editoria
 (7
 marzo
 2001,
 n.
 62)
 prevede
 che
 “Al
 prodotto
<br />

editoriale
 si
 applicano
 le
 disposizioni
 di
 cui
 all'articolo
 2
 della
<br />

139




<br />

legge
8
febbraio
1948,
n.
47”
e
che
“il
prodotto
editoriale
diffuso
al
<br />

pubblico
con
periodicità
regolare
e
contraddistinto
da
una
testata,
<br />

costituente
 elemento
 identificativo
 del
 prodotto,
 è
 sottoposto,
<br />

altresì,
agli
obblighi
previsti
dall'articolo
5
della
medesima
legge
n.
<br />

47
del
1948.”.
<br />


 Il
 primo
 comma
 della
 stessa
 Legge
 contiene
 una
<br />

definizione
 di
 prodotto
 editoriale
 omnicomprensiva
 secondo
 la
<br />

quale
 “per
 “prodotto
 editoriale”,
 ai
 fini
 della
 presente
 legge,
 si
<br />

intende
il
prodotto
realizzato
su
supporto
cartaceo,
ivi
compreso
il
<br />

libro,
 o
 su
 supporto
 informatico,
 destinato
 <strong>alla</strong>
 pubblicazione
 o,
<br />

comunque,
 <strong>alla</strong>
 diffusione
 di
 informazioni
 presso
 il
 pubblico
 con
<br />

ogni
 mezzo,
 anche
 elettronico,
 o
 attraverso
 la
 radiodiffusione
<br />

sonora
 o
 televisiva,
 con
 esclusione
 dei
 prodotti
 discografici
 o
<br />

cinematografici.”.
<br />


 La
 nuova
 legge
 sull’editoria,
 dunque,
 prevede
<br />

l’applicabilità
 dell’art.
 2
 della
 vecchia
 legge
 sulla
 stampa
 a
 tutti
 i
<br />

siti
 internet
 destinati
 <strong>alla</strong>
 diffusione
 di
 informazioni
 e
<br />

l’applicabilità
altresì
dell’art.
5
della
stessa
legge
–
quello
appunto
<br />

recante
 l’obbligo
 di
 registrazione
 presso
 i
 tribunali
 –
 dei
 soli
 siti
<br />

internet
destinati
<strong>alla</strong>
diffusione
di
informazioni
contraddistinti
da
<br />

una
testata
e
diffusi
al
pubblico
con
periodicità
regolare.
<br />


 Il
 quadro
 normativo
 è
 completato
 d<strong>alla</strong>
 disposizione
<br />

contenuta
al
comma
3
dell’art.
7
del
Decreto
Legislativo
n.
70
del
9
<br />

aprile
2003
attraverso
il
quale
è
stata
data
attuazione
<strong>alla</strong>
Direttiva
<br />

sul
commercio
elettronico.
<br />


 Secondo
 tale
 disposizione
 “la
 registrazione
 della
 testata
<br />

editoriale
telematica
e'
obbligatoria
esclusivamente
per
le
attività
<br />

per
 le
 quali
 i
 prestatori
 del
 servizio
 intendano
 avvalersi
 delle
<br />

provvidenze
previste
d<strong>alla</strong>
legge
7
marzo
2001,
n.
62”.
<br />


 Si
 tratta
 di
 una
 disposizione
 scritta
 in
 modo
 ambiguo
 e
<br />

poco
 puntuale
 perché
 ha
 per
 oggetto
 un’entità
 –
 la
 “testata
<br />

telematica”
 –
 diversa
 da
 quella
 oggetto
 della
 nuova
 disciplina
<br />

sull’editoria
 –
 il
 “prodotto
 editoriale”
 –
 e
 perché
 fa
 generico
<br />

riferimento
ad
una
“registrazione”
senza,
tuttavia,
chiarire
se
tale
<br />

registrazione
 sia
 quella
 presso
 i
 Tribunali
 o,
 piuttosto,
 quella
<br />

presso
il
ROC,
Registro
Unico
degli
Operatori
della
comunicazione.
<br />


 La
differenza
non
è
di
poco
conto.
<br />


 Se,
 infatti,
 la
 registrazione
 di
 cui
 all’art.
 7
 del
 D.Lgs.
<br />

70/2003
 è
 quella
 prevista
 all’art.
 5
 della
 Legge
 sulla
 Stampa
 i
<br />

blogger
italiani
possono
dormire
sonni
tranquilli
e
sentirsi
liberi
–
<br />

anche
 laddove
 aggiornino
 quotidianamente
 i
 propri
 blog
 –
 di
<br />

decidere
se
iscrivere
o
meno
il
proprio
sito
presso
il
registro
della
<br />

Stampa
tenuto
presso
il
Tribunale.
<br />


 Se,
 invece,
 il
 riferimento
 dovesse
 intendersi
 come
 rivolto
<br />

al
 ROC,
 la
 questione
 sarebbe
 diversa
 e
 gli
 autori
 di
 blog
 a
<br />

140




<br />

contenuto
 informativo
 che
 postano
 con
 “periodicità
 regolare”
 si
<br />

ritroverebbero
 soggetti
 all’obbligo
 di
 iscrizione
 di
 cui
 <strong>alla</strong>
 Legge
<br />

sulla
 Stampa
 e,
 qualora
 non
 vi
 provvedano
 esposti
 al
 rischio
 di
<br />

sentirsi
 contestare
 il
 reato
 di
 stampa
 clandestina
 per
 quanto
<br />

assurdo
ciò
possa
sembrare.
<br />


 Dura
 lex
 sed
 lex
 e,
 per
 quanto
 sia
 difficile
 da
 accettare,
<br />

l’attuale
 contesto
 normativo
 –
 caratterizzato
 da
 disposizioni
<br />

ambigue
 e
 confuse
 varate
 da
 legislatori
 che
 hanno
 sempre
<br />

manifestato
scarso
interesse
per
le
questioni
della
<strong>Rete</strong>
–
legittima
<br />

la
 magistratura
 a
 pervenire
 a
 conclusioni
 che,
 inesorabilmente,
<br />

suonano
censorie
e
contrarie
all’esercizio,
in
Internet,
della
libertà
<br />

di
manifestazione
del
pensiero.
<br />


 Ma
c’è
di
più.
<br />


 Mentre,
 infatti,
 un
 blogger
 –
 stante
 la
 possibile
<br />

equiparazione
 del
 suo
 blog
 a
 giornali
 e
 periodici
 –
 rischia
 di
<br />

vedersi
 contestare
 il
 reato
 di
 stampa
 clandestina,
 esso
 –
 come
<br />

dimostra
un
altro
recente
episodio
di
mala
giustizia
(http://punto‐<br />

informatico.it/2314627/PI/News/Sequestrato‐un‐altro‐blog‐<br />

italiano/p.aspx)
 –
 non
 può
 poi
 neppure
 fare
 affidamento
 sulle
<br />

speciali
garanzie
che
nel
nostro
Paese
assistono
la
stampa:
prima
<br />

tra
 tutte
 l’insequestrabilità
 –
 se
 non
 in
 casi
 tassativamente
<br />

individuati
d<strong>alla</strong>
legge
–
degli
stampati.
<br />


 A
ciò
si
aggiunga
che
il
blogger,
qualora
attraverso
i
suoi
<br />

post
 diffami
 qualcuno,
 corre
 il
 rischio
 di
 vedersi
 contestata
<br />

l’ipotesi
 aggravata
 del
 reato
 caratteristica
 di
 chi
 esercita
<br />

professionalmente
l’attività
giornalistica.
<br />


 Troppa
 confusione
 e
 troppe
 ambiguità:
 occorrono,
 con
<br />

urgenza,
leggi
nuove
che
riordinino
le
previsioni
di
quelle
vecchie
<br />

(e
meno
vecchie)
<strong>alla</strong>
luce
del
mutato
contesto
dell’informazione
in
<br />

<strong>Rete</strong>
 senza
 imbrigliare
 chi
 vuol
 far
 sentire
 la
 sua
 voce
 e,
 ad
 un
<br />

tempo,
 garantendo
 a
 tutti
 la
 certezza
 di
 poter
 chiedere
 giustizia
<br />

nell’ipotesi
 in
 cui
 altri
 offendano
 la
 propria
 immagine
 o
<br />

reputazione.
<br />


 E’
 un
 discorso
 complesso
 che
 tocca,
 tra
 gli
 altri,
 il
 tema
<br />

della
 tradizionale
 distinzione
 tra
 chi
 fa
 professionalmente
<br />

informazione
 e
 chi,
 più
 o
 meno
 assiduamente,
 utilizza
 le
 nuove
<br />

risorse
telematiche
per
dire
la
sua.
<br />


 Entrambe
 le
 categorie
 di
 soggetti
 debbono
 avere
 eguali
<br />

responsabilità
ed
eguali
garanzie
o,
piuttosto,
come
accade
oggi,
è
<br />

giusto
 continuare
 a
 far
 pesare
 maggiori
 responsabilità
 sui
<br />

professionisti
 dell’informazione
 garantendo,
 tuttavia,
 a
 questi
<br />

ultimi
anche
maggiori
garanzie?
<br />


<br />

Blog
e
censura
preventiva:
una
brutta
storia.
<br />

10
giugno
2008
<br />

141




<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=311
<br />


<br />


 Leggo
sulle
pagine
di
Punto
Informatico
l'ennesima
brutta
<br />

storia
 di
 netcensura:
 un
 blogger
 critica
 (non
 so
 se
 a
 torto
 o
 a
<br />

ragione)
 le
 capacità
 politiche
 di
 un
 Consigliere
 Comunale
 e
<br />

quest'ultimo,
 per
 tutta
 risposta,
 lo
 querela
 per
 diffamazione
<br />

chiedendo
ed
ottenendo
il
sequestro
preventivo
dell'intero
blog
e
<br />

non
del
solo
post
incriminato 55.
<br />


 Non
 conosco
 la
 vicenda,
 non
 ho
 avuto
 modo
 di
 leggere
 il
<br />

post
incriminato,
non
so
dire
se
ed
in
che
misura
il
suo
contenuto
<br />

fosse
diffamatorio
e,
francamente,
non
mi
interessa…
<br />


 Il
 punto
 è
 un
 altro:
 sequestrare
 un
 blog
 per
 oscurare
 un
<br />

post
è
esattamente
come
chiudere
una
televisione
per
un
servizio
<br />

asseritamente
diffamatorio
mandato
in
onda
nel
corso
di
un
TG.
<br />


 Quello
 in
 atto
 è
 un
 autentico
 attentato
 <strong>alla</strong>
 libertà
 di
<br />

manifestazione
 del
 pensiero:
 anche
 l'autore
 di
 un
 reato
 di
<br />

diffamazione
‐
ammesso
anche
che
il
reato
venga
mai
accertato
‐
<br />

ha
 il
 diritto
 di
 continuare
 a
 dire
 la
 sua
 ed
 esprimere
 il
 proprio
<br />

pensiero
 senza
 limitazioni
 o
 censure
 diverse
 da
 quelle
 dettate
<br />

dalle
regole
vigenti.
<br />


 Cosa
 fare
 per
 fare
 per
 reagire
 dinanzi
 ad
 una
 delle
 più
<br />

gravi
 forme
 di
 attentato
 alle
 libertà
 civili
 del
 popolo
 della
 <strong>Rete</strong>?
<br />

Agire
 con
 l'unica
 arma
 che
 in
 certi
 ambienti,
 sfortunatamente,
<br />

incute
 timore:
 il
 risarcimento
 dei
 danni
 contro
 chiunque
 abbia
<br />

illegittimamente
‐
per
incompetenza
o
ignoranza
delle
dinamiche
<br />

della
 <strong>Rete</strong>
 ‐
 privato
 un
 libero
 cittadino
 della
 più
 sacra
 tra
 le
 sue
<br />

libertà:
quella
di
manifestazione
del
pensiero.
<br />


 Chissà
che
qualcuno
non
si
senta
diffamato
da
questo
post
<br />

e…non
 decida
 di
 sequestrarlo
 preventivamente
 dandomi
 così
<br />

l'occasione
di
passare
dalle
parole
ai
fatti…;)
<br />


<br />

Non
è
l’anonimato
la
soluzione
<strong>alla</strong>
web­censura.
<br />

17
marzo
2007
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=52
<br />


<br />


 Un
 articolo
 pubblicato
 in
 questi
 giorni
 su
 Repubblica
<br />

riferisce
di
uno
studio
svolto
d<strong>alla</strong>
Open
Net
iniziative
secondo
il
<br />

quale
oltre
due
dozzine
di
Paesi
al
mondo
utilizzerebbero
forme
di
<br />

























































<br />

55 
Il
testo
dell’articolo
che
si
riferisce
al
sequestro
preventivo
del
blog
di
Antonino
<br />

Monteleone
 (http://www.antoninomonteleone.it/)
 è
 pubblicato
 a
 questa
 URL:
<br />

http://punto‐informatico.it/2314627/PI/News/sequestrato‐un‐altro‐blog‐<br />

italiano.aspx
<br />

142



censura
più
o
meno
trasparenti,
precludendo
ai
propri
cittadini
di
<br />

accedere
a
talune
risorse
telematiche
(youtube,
wikipedia
ecc.) 56.


<br />


 Secondo
 quanto
 emerso
 dal
 medesimo
 studio,
 tuttavia,
 il
<br />

popolo
 della
 <strong>Rete</strong>
 reagirebbe
 <strong>alla</strong>
 censura
 cercando
 di
 eluderla
<br />

attraverso
 sistemi
 che
 aggirano
 i
 filtri
 all'accesso
 e
 rendono
<br />

anonimi
gli
utenti.
<br />


 Credo
si
sia
tutti
d'accordo
che
la
censura
alle
idee
ed
alle
<br />

informazioni
 che
 circolano
 in
 rete
 è
 il
 più
 grave
 attentato
 alle
<br />

libertà
 fondamentali
 dei
 cittadini
 che
 un
 Paese
 possa
 porre
 in
<br />

essere
 e
 che
 tale
 condotta
 andrebbe
 condannata
 d<strong>alla</strong>
 comunità
<br />

internazionale
con
sanzioni
gravi
e
convincenti.
<br />


 Non
credo,
tuttavia,
che
rendersi
anonimi
e
girare
attorno
<br />

all'ostacolo
sia
la
soluzione
per
liberare
la
<strong>Rete</strong>
dallo
spettro
della
<br />

censura.
<br />


 L'anonimato
non
è
mail
l'affermazione
di
un
diritto
né
una
<br />

forma
 di
 esercizio
 di
 una
 libertà…essere
 anonimi,
 nel
 web
 come
<br />

nel
 mondo
 reale,
 significa
 non
 esistere
 e
 chi
 non
 esiste
 non
 è
<br />

titolare
di
alcun
diritto.
<br />


 Il
primo
passo
contro
la
censura…è
presentarsi,
in
massa,
<br />

con
 il
 proprio
 nome
 e
 cognome
 alle
 porte
 della
 <strong>Rete</strong>,
 farsi
<br />

riconoscere
 e
 chiedere
 di
 entrare,
 pronti,
 ovviamente,
 ad
<br />

assumersi
le
proprie
responsabilità.

<br />


<br />

PDL
Levi:
attenti
<strong>alla</strong>
trappola
della
demagogia…
<br />

16
novembre
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=384
<br />


<br />


 Sto
 leggendo
 da
 più
 parti
 commenti
 catastrofici
 sul
<br />

disegno
di
legge
(RI)presentato
dall'On.
Levi 57.
<br />

Grillo
grida
allo
scandalo
e
prevede
la
fine
della
<strong>Rete</strong>
se
il
disegno
<br />

di
legge
dovesse
essere
approvato.
<br />


 Non
 sono
 d'accordo
 salvo
 che
 non
 si
 voglia
 affrontare
 la
<br />

questione
 in
 maniera
 demagogica
 e
 tirare
 giù
 d<strong>alla</strong>
 soffitta
 il
<br />

vecchio
 discorso
 secondo
 il
 quale
 la
 <strong>Rete</strong>
 costituisce
 un
 universo
<br />

parallelo
a
quello
reale
che
ben
può
vivere
e
crescere
nell'anarchia.
<br />


 Ho
 letto
 e
 riletto
 il
 disegno
 di
 legge
 e
 lo
 trovo
 orribile:
 è
<br />

scritto
 male
 e
 propone
 una
 riforma
 della
 disciplina
 dell'editoria
<br />

fondata
su
concetti
e
principi
più
vecchi
ed
anacronistici
di
quelli
<br />

























































<br />


<br />

56 
Il
testo
dell’articolo
è
pubblicato
a
questa
URL:
<br />

http://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/scienza_e_tecnologia/liberta‐<br />

web/liberta‐web/liberta‐web.html
<br />

57 
Il
testo
integrale
del
disegno
di
legge
presentato
dall’On.
Levi
è
pubblicato
a
<br />

questa
URL:
<br />

http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?cod<br />

ice=16PDL0014370
<br />

143




<br />

sui
 quali
 riposano
 le
 attuali
 confuse
 ed
 ambigue
 disposizioni
 di
<br />

legge.
<br />


 Ci
 sono
 previsioni
 in
 materia
 di
 diritto
 d'autore
 (che
 ci
<br />

fanno
 li
 dentro?)
 che
 forse
 sono
 state
 dettate
 all'On.
 Levi
 da
<br />

qualche
suo
avo
che
non
è
mai
entrato
in
<strong>Rete</strong>:
<br />


 Art.
4.
<br />


 (Rassegne
stampa).






1.
I
soggetti
che
attraverso
la
sola
<br />

riproduzione
di
articoli
quotidiani
o
periodici
realizzano
rassegne
<br />

stampa,
 ivi
 comprese
 quelle
 ad
 uso
 interno,
 sono
 tenuti
 a
<br />

riconoscere
 i
 diritti
 degli
 autori
 degli
 articoli
 riprodotti
 e
 degli
<br />

editori
delle
testate
da
cui
gli
articoli
sono
tratti.
<br />


 ma…le
 ragioni
 per
 le
 quali
 si
 grida
 allo
 scandalo
 proprio
<br />

non
le
capisco.
<br />


 Ho
provato
a
spiegare
qui,
in
estrema
sintesi,
il
mio
punto
<br />

di
vista.
<br />


 Il
punto
è
questo:
blog
come
questo
non
saranno
soggetti
<br />

in
 nessun
 caso
 all'obbligo
 di
 registrazione
 mentre
 blog
 come
<br />

quello
 che
 tengo
 in
 collaborazione
 con
 un
 soggetto
 che
 svolge
<br />

imprenditorialmente
attività
editoriale
si.
<br />


 Forse
 anche
 il
 blog
 di
 BeppeGrillo
 sarà
 soggetto
 a
<br />

registrazione
 e
 con
 lui
 quello
 di
 Antonio
 Di
 Pietro
 ma,
<br />

francamente,
non
ci
vedo
niente
di
strano.
<br />


 Onori
ed
oneri…direi.
<br />


 Facciamo
 attenzione
 <strong>alla</strong>
 demagogia.
 Il
 popolo
 della
 <strong>Rete</strong>
<br />

per
 essere
 credibile
 deve
 usare
 le
 risorse
 di
 Internet
 in
 modo
<br />

intelligente,
 per
 conoscere,
 capire,
 confrontarsi
 ed
 assumere
<br />

posizioni
 consapevoli.
 Siamo
 tanti
 ed
 in
 tanti
 (forse
 troppi)
<br />

ambiscono
a
guidarci.
<br />


<br />

Non
salvate
questo
blog!
<br />

25
novembre
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=388
<br />


<br />


 Era
 da
 qualche
 giorno
 che
 avrei
 voluto
 affrontare
<br />

l'argomento
 ma
 non
 sono,
 fin
 qui,
 riuscito
 a
 trovare
 il
 tempo
 di
<br />

leggere
la
valanga
di
bit
che
hanno
accompagnato
il
ritiro
del
DDL
<br />

Levi
 e
 la
 presentazione
 della
 Proposta
 di
 Legge
 Cassinelli
 subito
<br />

battezzata
 dallo
 stesso
 autore
 ‐
 con
 operazione
 che
 si
 fa
 fatica
 a
<br />

non
 trovare
 "politica"
 nel
 senso
 deteriore
 del
 termine
 ‐
 "salva
<br />

blog".
<br />


 Il
titolo
di
questo
post
riassume
il
mio
pensiero:
se
questo
<br />

blog
deve
essere
salvato
da
una
proposta
di
legge
come
quella…per
<br />

favore
LASCIATELO
MORIRE…tanto
morirebbe
comunque!
<br />


 Inutile
girarci
attorno:
la
proposta
non
mi
piace,
è
scritta
<br />

male,
 pensata
 peggio
 e
 presentata
 al
 popolo
 della
 <strong>Rete</strong>
 con
 una
<br />

144




<br />

demagogia
seconda
solo
a
quella
con
la
quale
Beppe
Grillo
difende
<br />

se
stesso
fingendo
di
difendere
la
<strong>Rete</strong>…
<br />


 Tornerò
 su
 questi
 argomenti
 appena
 possibile
 con
 un
<br />

articolo
 che
 spero
 di
 trovare
 il
 tempo
 di
 scrivere
 per
 Punto
<br />

informatico.

<br />


 Qui
appunto
alcune
suggestioni:
<br />


 1.
Quando
ho
letto
il
titolo
dell'articolo
di
Punto
sull'idea
<br />

di
Cassinelli
di
far
emendare
on‐line
la
propria
proposta
di
legge
<br />

ho
 gioito.
 Poi
 sono
 andato
 a
 vedere
 di
 che
 si
 trattava
 e
 mi
 sono
<br />

incazz…
 L'emendabilità
 on‐line
 proposta
 dall'On.
 Cassinelli
 si
<br />

esaurisce
 in
 un
 indirizzo
 e‐mail
 al
 quale
 inviare
 suggerimenti!
<br />

Stiamo
 scherzando
 o
 provando
 a
 prendere
 in
 giro
 la
 <strong>Rete</strong>?
 Il
<br />

popolo
 della
 <strong>Rete</strong>
 non
 ha
 biosgno
 di
 un
 invito
 per
 mandare
 una
<br />

mail
 ad
 un
 Onorevole
 all'indirizzo
 di
 posta
 elettronica
 che
 gli
<br />

paghiamo
 assieme
 ad
 un
 PC
 ed
 ad
 ogni
 genere
 di
 risorse
 di
<br />

connettività
 e
 comunicazione.
 Mai
 sentito
 parlare
 di
 piattaforme
<br />

WIKI?
Forse
usarne
una
come
tante
volte
si
è
già
fatto
attaccando
<br />

meno
manifesti
sulle
pareti
della
<strong>Rete</strong>
sarebbe
stato
apprezzabile.
<br />


 2.
Chiunque
abbia
scritto
la
proposta
di
legge
ignora
le
più
<br />

elementari
 regole
 di
 tecnica
 della
 normazione.
 Come
 si
 fa
 a
<br />

dedicare
 un
 intero
 comma
 ad
 elencare
 i
 presupposti
 in
 presenza
<br />

dei
quali
un
prodotto
editoriale
on‐line
deve
essere
registrato
ed
il
<br />

comma
successivo
ad
elencare
quelli
in
presenza
dei
quali
quello
<br />

stesso
prodotto
NON
deve
essere
registrato.
O
i
presupposti
di
cui
<br />

al
 primo
 comma
 sussistono
 o,
 se
 non
 sussistono,
 va
 da
 se,
 che
 la
<br />

registrazione
non
è
necessaria.
Ogni
altra
previsione
produce
solo
<br />

inutili
elementi
di
ambiguità.
<br />


 3.
Veniamo
al
contenuto.
Mi
sembra
assurdo
che
nel
2008
<br />

possa
 ancora
 discutersi
 di
 editoria
 cartacea
 ed
 editoria
 on‐line
 e
<br />

prevedere
 per
 le
 due
 pretese
 forme
 di
 editoria
 regole
 diverse.
<br />

Significa
 non
 aver
 compreso
 il
 senso
 del
 cambiamento.
 Non
 si
<br />

salvano
 i
 blog
 dettando
 delle
 regole
 speciali
 per
 essi
 ma,
 più
<br />

semplicemente,
 prendendo
 atto
 che
 dal
 1948
 ad
 oggi
 il
 mondo
<br />

dell'informazione
è
stato
rivoluzionato
e
che
occorre,
con
urgenza,
<br />

mettere
 mano
 prima
 <strong>alla</strong>
 legge
 sulla
 stampa
 e
 poi
 <strong>alla</strong>
 disciplina
<br />

sull'editoria
per
adeguarle
ai
tempi
senza,
peraltro,
pretendere
di
<br />

distinguere
 a
 seconda
 l'attività
 informativa
 e/o
 editoriale
 venga
<br />

realizzata
con
un
mezzo
o
con
un
altro.
<br />


<br />

Internet
è
libera!
<br />

1°
dicembre
2008
<br />

Punto
Informatico
<br />


<br />


 Ho
 dedicato
 le
 ultime
 ore
 <strong>alla</strong>
 lettura
 dei
 verbali
 del
<br />

dibattito
 svoltosi
 in
 seno
 all’Assemblea
 Costituente
 tra
 il
 12
 ed
 il
<br />

145




<br />

19
 gennaio
 del
 1948
 e
 delle
 relazioni
 al
 disegno
 di
 legge
 sulla
<br />

stampa
 presentato
 dal
 Governo,
 all’epoca
 presieduto
 dall’On.
 De
<br />

Gasperi
 e
 poi
 modificato
 d<strong>alla</strong>
 Commissione
 per
 la
 Costituzione
<br />

dell’Assemblea
Costituente.
<br />


 Quell’attività
 condusse
 poi
 all’approvazione
 della
<br />

disciplina
sulla
stampa
tuttora
in
vigore.
<br />


 Sono
documenti
che
temo
conoscano
pochi
di
coloro
che
–
<br />

fuori
 e
 dentro
 il
 Parlamento
 –
 oggi
 animano
 il
 dibattito
<br />

sull’opportunità
 e
 le
 forme
 di
 un
 intervento
 normativo
 che
 valga
<br />

ad
“ammazzare”
i
blog
o
piuttosto
a
“salvarli”.
<br />


 E’
 un
 errore
 perché
 significa
 pretendere
 di
 capire
 il
<br />

presente
 e
 disciplinare
 il
 futuro
 ignorando
 il
 passato
 e
<br />

rinunciando,
 quindi,
 ai
 preziosi
 suggerimenti
 della
 storia
 e
 di
<br />

quell’emozionante
 esperienza
 politica
 che
 fu
 l’assemblea
<br />

costituente.
<br />


 Solo
 l’ignoranza
 delle
 ragioni
 che
 indussero
 la
 stessa
<br />

Assemblea
Costituente
a
disciplinare
–
prima
ed
in
luogo
di
altre
–
<br />

la
 materia
 della
 stampa
 in
 uno
 con
 una
 diffusa
 tendenza
 <strong>alla</strong>
<br />

demagogia
ed
all’assunzione
di
posizioni
ideologiche
precostituite,
<br />

giustificano,
 infatti,
 la
 povertà
 dei
 temi
 e
 delle
 questioni
 poste
 al
<br />

centro
 del
 dibattito
 che
 si
 sta
 svolgendo
 nelle
 ultime
 settimane
<br />

attorno
 al
 tema
 della
 nuova
 disciplina
 sui
 prodotti
 editoriali
 on‐<br />

line.
<br />


 Al
 centro
 di
 tale
 dibattito
 –
 si
 potrebbe
 definire
 sua
<br />

protagonista
 esclusiva
 –
 vi
 è
 ormai
 da
 mesi
 la
 questione
<br />

dell’opportunità
o
meno
di
prevedere
un
obbligo
di
registrazione
<br />

dei
 blog
 presso
 il
 ROC,
 
 il
 Registro
 degli
 operatori
 della
<br />

comunicazione.
<br />


 In
 tale
 contesto,
 ogni
 disposizione
 di
 legge
 che
 sembri
<br />

introdurre
 tale
 obbligo
 viene
 immediatamente
 additata
 come
<br />

liberticida
e
respinta
dal
popolo
della
<strong>Rete</strong>
mentre
ogni
previsione
<br />

di
 segno
 diverso
 –
 o
 almeno
 apparentemente
 di
 segno
 diverso
 –
<br />

viene
 applaudita
 e
 battezzata
 ‐
 o
 “auto
 battezzata”
 ‐
 addirittura
<br />

“salva
blog”.
<br />


 L’equazione
secondo
la
quale
l’obbligo
di
registrazione
di
<br />

taluni
 prodotti
 editoriali
 telematici
 costituirebbe
 una
 gravissima
<br />

limitazione
 della
 libertà
 di
 manifestazione
 del
 pensiero
 on‐line,
<br />

francamente,
non
mi
convince
affatto.
<br />


 Il
 primo
 comma
 dell’art.
 1
 della
 Legge
 sulla
 Stampa
 –
<br />

ripristinando
 un
 principio
 sancito
 oltre
 un
 secolo
 prima
 con
 lo
<br />

Statuto
Albertino
–
stabilisce
che
“La
Stampa
è
libera”.
<br />


 La
 Relazione
 della
 Commissione
 dell’Assemblea
<br />

Costituente
 sul
 disegno
 di
 legge
 in
 materia
 di
 stampa,
 si
 apre,
<br />

d’altra
parte,
proprio
chiarendo
che
tale
disegno
“è
inteso
a
ridare
<br />

finalmente
 la
 libertà
 <strong>alla</strong>
 stampa
 italiana,
 in
 obbedienza
 al
<br />

146




<br />

principio
 che
 è
 stato
 solennemente
 affermato
 dall’Assemblea
<br />

costituente
 nell’art.
 16
 del
 progetto
 di
 costituzione
 (n.d.r.
 poi
<br />

divenuto
 l’art.
 21)…dopo
 (che
 nella)
 parentesi
 fascista
 e
 dopo
 il
<br />

crollo
del
regime,
nel
periodo
armistiziale
il
decreto
legislativo
14
<br />

gennaio
1944
n.
13,
più
volte
prorogato
e
ancora
vigente,
stabilì
il
<br />

sistema
 della
 autorizzazione
 del
 Prefetto
 per
 la
 pubblicazione
 di
<br />

giornali
od
altri
scritti
periodici
in
cui
vengano
riportate
notizie
od
<br />

opinioni
politiche”.
<br />


 Lo
scopo
perseguito
con
la
legge
sulla
stampa
era,
dunque,
<br />

quello
 di
 dare
 concreta
 attuazione
 <strong>alla</strong>
 libertà
 di
 manifestazione
<br />

del
 pensiero
 eppure
 nessuno
 dei
 membri
 dell’apposita
<br />

sottocommissione
 dell’assemblea
 costituente
 ritenne
 che
 inserire
<br />

in
 tale
 legge
 un
 obbligo
 di
 registrazione
 avrebbe
 finito
 con
 il
<br />

restringere
anziché
rafforzare
tale
libertà.
<br />


 A
 proposito
 dell’obbligo
 di
 registrazione
 delle
 testate
<br />

presso
 i
 Tribunali,
 infatti,
 si
 legge
 nella
 stessa
 relazione
 di
<br />

accompagnamento
 al
 disegno
 di
 legge
 che
 quest’ultimo
 avrebbe
<br />

previsto
 “una
 forma
 di
 registrazione
 che
 non
 ha
 carattere
<br />

limitativo
e
non
presenta
pericolo
di
ingerenza
da
parte
del
potere
<br />

esecutivo
 nel
 permettere
 o
 negare
 la
 pubblicazione
 di
 giornali
 o
<br />

periodici”
e
ancora
“si
è
detto
–
e
l’espressione
è
in
sostanza
felice
<br />

–
 che
 si
 tratta
 qui
 di
 un’anagrafe
 della
 stampa
 periodica
 che
 può
<br />

essere
opportuna
e
anzi
necessaria
sotto
molti
aspetti,
senza
che
<br />

per
 questo
 venga
 ad
 incidere
 sul
 libero
 esercizio
 della
 funzione
<br />

giornalistica.”.
<br />


 La
 relazione
 prosegue
 poi
 chiarendo
 che
 “Questo
 “stato
<br />

civile”
della
stampa
regola
l’atto
di
nascita,
il
mutamento
di
stato,
<br />

la
cessazione
del
giornale,
non
altro”.
<br />

Interessante
 è
 leggere
 alcuni
 ulteriori
 riferimenti
 contenuti
 nella
<br />

Relazione
 di
 accompagnamento
 dell’originario
 disegno
 di
 legge
<br />

presentato
 dal
 Governo
 De
 Gasperi
 all’Assemblea
 Costituente
<br />

laddove
si
riferisce
che
“scopo
di
un
ordinamento
della
stampa,
in
<br />

regime
democratico,
non
può
essere
che
l’equilibrio
tra
l’esigenza
<br />

della
 libertà
 e
 quella,
 non
 meno
 inderogabile,
 di
 reprimere
 gli
<br />

abusi”
 e
 si
 aggiunge,
 quindi,
 che
 “nell’ordine
 giuridico,
 come
<br />

nell’ordine
 morale,
 non
 può
 esistere
 libertà
 senza
 responsabilità,
<br />

ed
è
questo
principio
che
costituisce
la
base
degli
ordinamenti
più
<br />

progrediti
 di
 paesi
 nei
 quali
 la
 libertà
 di
 stampa,
 trovò
 la
 più
<br />

costante
e
sicura
attuazione”.
<br />


 Nelle
 centinaia
 di
 pagine
 di
 verbali
 delle
 sedute
<br />

dell’Assemblea
Costituente
nelle
quali
per
sette
giorni
si
svolse
un
<br />

acceso
dibattito
sul
disegno
di
legge
in
materia
di
Stampa,
vi
sono
<br />

solo
pochi
accenni
al
tema
della
registrazione
delle
testate
mentre
<br />

vi
sono
stimolanti
ed
accese
discussioni
in
merito
all’idoneità
del
<br />

disegno
 di
 legge
 che
 ci
 si
 accingeva
 a
 varare
 ad
 affrontare
 nel
<br />

147




<br />

migliore
dei
modi
il
tema
del
“diritto
al
sapere”
dei
cittadini,
quello
<br />

dell’indipendenza
 dei
 mezzi
 di
 informazione
 dal
 potere
 politico,
<br />

quello
del
finanziamento
delle
più
piccole
realtà
editoriali
e
quello,
<br />

più
generale,
dell’esigenza
di
garantire
che
né
il
potere
politico
né
<br />

quello
 economico
 influenzassero
 la
 libertà
 del
 giornalista
 e
 del
<br />

cittadino,
 rispettivamente,
 di
 scrivere
 e
 leggere
 ciò
 che
<br />

effettivamente
 accadeva
 nel
 mondo
 e
 non
 già
 ciò
 che
 altri
<br />

avrebbero
voluto
imporre
di
scrivere
e
leggere.
<br />


 Sfogliare
 quei
 documenti
 fa
 apparire
 incredibilmente
<br />

sterile
e
privo
di
una
reale
utilità
il
dibattito
delle
ultime
settimane
<br />

in
 relazione
 all’opportunità
 di
 imporre
 o
 meno
 a
 chi
 realizzi
 un
<br />

prodotto
editoriale
on‐line
di
registrarsi
presso
il
ROC.
<br />


 Il
punto
non
è
questo.
<br />


 La
 <strong>Rete</strong>
 è
 cresciuta
 ed
 i
 blog
 ed
 i
 siti
 di
 informazione
<br />

rappresentano,
 oggi,
 in
 tutto
 il
 mondo
 il
 principale
 strumento
 di
<br />

esercizio
della
libertà
di
manifestazione
del
proprio
pensiero
nella
<br />

sua
 duplice
 accezione:
 libertà
 di
 informare
 e
 libertà
 di
 essere
<br />

informati
 o,
 come
 si
 diceva,
 nel
 corso
 dei
 lavori
 dell’assemblea
<br />

costituente
“diritto
al
sapere”.
<br />


 Si
 tratta,
 tuttavia,
 di
 uno
 scenario
 che
 va
 difeso
 dalle
<br />

ingerenze
 e
 dall’evidente
 irresistibile
 tentazione
 che
 i
 poteri
<br />

politici
 ed
 economici
 di
 sempre,
 hanno
 –
 e
 non
 esitano
 a
<br />

manifestare
–
di
controllare
la
<strong>Rete</strong>
e
mettere
un
bavaglio
a
quanti
<br />

la
utilizzano
per
informare
ed
informarsi
fuori
dal
coro.
<br />


 Sequestri
di
blog,
procedimenti
per
diffamazione
a
mezzo
<br />

internet
 e
 condanne
 per
 stampa
 clandestina
 in
 un
 contesto
<br />

normativo
 grigio
 e
 nebuloso
 hanno,
 infatti,
 sfortunatamente
<br />

segnato
la
storia
moderna
dell’informazione
on‐line.
<br />


 Non
 serve,
 dunque,
 perder
 tempo
 a
 ragionare
<br />

sull’opportunità
o
meno
della
registrazione
ma,
piuttosto,
esigere
<br />

per
 ogni
 strumento
 di
 informazione
 on‐line
 garanzie
 e
 mezzi
 di
<br />

sostentamento
 analoghi
 a
 quelli
 che
 l’Assemblea
 costituente
 si
<br />

preoccupò
di
garantire
<strong>alla</strong>
Stampa.
<br />


 L’insequestrabilità
 di
 ogni
 prodotto
 editoriale
 telematico,
<br />

l’accessibilità
da
parte
di
chiunque
voglia
intraprendere
un’attività
<br />

di
 informazione
 on‐line
 a
 risorse
 economiche
 ed
 informatiche
<br />

sufficienti
a
consentirgli
di
realizzare
il
proprio
intendimento
ed
il
<br />

diritto
 di
 ogni
 cittadino
 italiano
 di
 ottenere
 –
 oggi
 e
 non
 nel
<br />

domani
promesso
dalle
grandi
compagnie
di
TLC
–
a
casa
propria
<br />

l’accesso
 all’infrastruttura
 di
 <strong>Rete</strong>
 necessaria
 ad
 esercitare
 il
<br />

proprio
 “diritto
 di
 sapere”
 senza
 essere
 penalizzato
 dal
 fatto
 di
<br />

vivere
in
un’area
in
cui
portare
la
banda
larga
è
“anti‐economico”.
<br />


 E’
di
questo
che
mi
piacerebbe
si
parlasse
nel
dibattito
di
<br />

questi
giorni
sulla
disciplina
dell’informazione
on‐line.
<br />

148




<br />


 Il
 problema
 della
 registrazione
 è
 un
 falso
 problema
 che
<br />

non
 risolve
 le
 preoccupazioni
 che
 quanti
 hanno
 a
 cuore
 la
 sorte
<br />

dell’informazione
on‐line
dovrebbero
nutrire
e
che,
d’altra
parte,
si
<br />

risolve
con
una
norma
più
equilibrata
di
quelle
che
si
sono
sin
qui
<br />

proposte
presi
d<strong>alla</strong>
foga
del
momento:
basterebbe
una
norma
che
<br />

chiarisca
 che
 <strong>alla</strong>
 registrazione
 si
 possa
 procedere
 on‐line
 ed
 in
<br />

pochi
click
nello
stesso
momento
in
cui
si
apre
il
proprio
blog,
che
<br />

la
 registrazione
 è
 completamente
 gratuita
 (niente
 marche
 né
<br />

balzelli),
che
non
vi
sono
requisiti
né
limiti
di
sorta
per
ottenerla
e
<br />

che
 l’AGCOM
 potrà
 comunicare
 i
 dati
 acquisiti
 a
 seguito
 della
<br />

registrazione
esclusivamente
all’Autorità
giudiziaria
nell’ambito
di
<br />

un
 procedimento
 avente
 ad
 oggetto
 l’eventuale
 responsabilità
<br />

penale
per
il
reato
di
diffamazione
del
titolare
del
blog
o
del
sito
<br />

internet
di
informazione.
<br />


 Comprendo
perfettamente
la
posizione
di
chi
ritiene
che
la
<br />

<strong>Rete</strong>
 debba
 essere
 libera
 ma,
 come
 insegnano
 i
 padri
 della
<br />

Costituzione,
non
c’è
libertà
senza
responsabilità
ed
è
sacrosanto
<br />

che
chi
esercitando
una
propria
libertà
ne
abusi
in
danno
altrui
si
<br />

faccia
 carico
 dell’eventuale
 responsabilità
 da
 accertarsi,
 peraltro,
<br />

nell’ambito
 di
 un
 processo
 che
 la
 stessa
 carta
 costituzionale
<br />

vorrebbe
fosse
sempre
giusto
ed
equo.
<br />


 Internet
 è
 libera!
 Difendiamola
 senza
 perderci
 in
<br />

chiacchiere
né
lasciarci
strumentalizzare
da
chi
ama
la
demagogia
<br />

o
il
proprio
interesse
più
della
<strong>Rete</strong>.
<br />

149




<br />


<br />


<br />

5.
L’anonimato
in
Internet.
<br />

Mr.
Nobody
non
ha
diritti!
<br />

Uno,
nessuno,
centomila:
l’enigma
dell’anonimato
in
<strong>Rete</strong>.
<br />

1°
dicembre
2005
<br />

Telejus
<br />


<br />


 1.
 Quali
 siano
 le
 origini
 di
 Internet
 è
 un
 dato
 che
<br />

appartiene
ormai
al
bagaglio
culturale
di
ciascuno
di
noi
così
come
<br />

<strong>alla</strong>
nostra
esperienza
quotidiana
appartiene
la
consapevolezza
di
<br />

quali
 dimensioni
 e
 quale
 portata
 il
 fenomeno
 abbia
 assunto
<br />

nell’ultimo
decennio.
<br />


 La
<strong>Rete</strong>
delle
reti
nata
da
un
progetto
militare
statunitense
<br />

sotto
il
nome
di
ARPANET
si
è
rapidamente
lasciata
alle
spalle
le
<br />

sue
 origini
 ed
 ha
 altrettanto
 velocemente
 travalicato
 limiti
 e
<br />

confini
connaturati
a
dette
origini
divenendo,
probabilmente,
uno
<br />

dei
 fenomeni
 destinati
 a
 caratterizzare
 più
 incisivamente
 il
 XXI
<br />

secolo.
<br />


 Internet
 “travalica
 i
confini
 degli
 stati
 nazionali,
 supera
 le
<br />

barriere
doganali,
elimina
le
differenze
culturali
tra
i
popoli,
svolge
<br />

un
compito
importantissimo
per
il
destino
dell’umanità
giacché
essa
<br />

realizza
 un
 rapporto
 sul
 piano
 mondiale
 tra
 gli
 uomini
 di
 ogni
<br />

specie,
crea
o
certifica
l’esistenza
di
un
senso
comune
dell’umanità,
<br />

per
 cui
 ogni
 uomo
 può
 riconoscersi
 in
 un
 altro
 uomo”
 scriveva
<br />

Vittorio
 Frosini
 in
 uno
 dei
 suoi
 ultimi
 lavori
 sull’argomento
<br />

sottolineando
la
natura
metapolitica
del
fenomeno
ed
aggiungendo
<br />

poi
 come
 tali
 notazioni
 evidenziassero
 “dei
 caratteri
 dell’Internet
<br />

che
sconvolgono
alcune
vedute
dottrinarie
tradizionali
anche
se
ne
<br />

confermano
delle
altre
giacché
l’Internet
ha
creato
l’immagine
di
un
<br />

libero
 mercato
 senza
 confini
 quale
 le
 più
 ardite
 teorie
 economiche
<br />

non
 configuravano
 che
 come
 ipotesi
 di
 scuola.
 Essa
 ha
 insieme
<br />

realizzato
una
forma
di
società
anarchica
consistente
in
rapporti
tra
<br />

i
singoli
individui
in
piena
libertà”.
<br />


 E’
 chiaro
 che
 il
 fenomeno
 Internet
 ha
 profondamente
<br />

trasformato
 le
 nostre
 abitudini
 di
 vita
 e
 di
 lavoro
 apportando
<br />

enormi
 cambiamenti
 –
 sino
 a
 ieri
 difficilmente
 immaginabili
 –
 al
<br />

nostro
modo
di
rapportarci
agli
altri,
di
acquistare
e
vendere
beni
<br />

e
servizi
nonché
di
coltivare
amicizie
e
relazioni
di
affari.
<br />


 Trasformazioni
 così
 importanti
 e
 complesse
 comportano
<br />

inevitabilmente
nuovi
problemi
e
nuove
sfide
per
coloro
cui
spetta
<br />

il
 compito
 di
 definire,
 sviluppare
 ed
 applicare
 nuove
 regole
 e
<br />

discipline.
<br />

150




<br />


 Superato
 qualche
 tentennamento
 e
 fatta
 eccezione
 per
<br />

alcune
 sacche
 di
 resistenza
 nell’ambito
 delle
 quali
 continua
 a
<br />

ritenersi
 che
 il
 fenomeno
 debba
 restare
 sottratto
 ad
 ogni
<br />

regolamentazione
 ed
 affidato
 al
 caos
 primordiale
 da
 cui
 è
<br />

originato,
 il
 mondo
 giuridico
 appare,
 attualmente,
 concorde
 nella
<br />

volontà
di
assicurare
che
i
diritti,
gli
interessi,
i
principi
ed
i
valori
<br />

affermatisi
 nel
 corso
 degli
 anni
 possano
 essere
 conservati
 e
<br />

mantenuti
 saldi
 ed
 inalterati
 anche
 nella
 c.d.
 società
<br />

dell’informazione
 della
 quale
 Internet
 costituisce
 indiscusso
<br />

protagonista.
<br />


 Diverse,
 tuttavia,
 come
 spesso
 accade,
 sono
 le
 soluzioni
<br />

prospettate
per
pervenire
a
tale
risultato.
<br />


 Si
tratta
di
un
problema
che
diviene,
ogni
giorno,
più
serio
<br />

ed
urgente
in
maniera
direttamente
proporzionale
al
progressivo
<br />

trasferimento
 nell’ambito
 telematico
 –
 vorremmo
 dire
 nel
<br />

cyberspazio
 se
 utilizzando
 tale
 espressione
 non
 corressimo
 il
<br />

rischio
 di
 richiamare
 <strong>alla</strong>
 mente
 quei
 caratteri
 di
 extra‐<br />

territorialità
 o
 sovranazionalità
 che
 rappresentano
 la
 matrice
 di
<br />

quelle
 sacche
 di
 resistenza
 cui
 si
 è
 già
 fatto
 cenno
 –
 di
 affari,
<br />

interessi
 economici,
 pubblici
 e
 privati,
 rapporti
 e
 relazioni
 in
<br />

ambito
personale,
commerciale,
politico
ed
industriale.
<br />


 Tra
 i
 tanti
 problemi
 e
 le
 molte
 questioni
 di
<br />

regolamentazione
 aperte
 dallo
 sviluppo
 inarrestabile
 del
<br />

fenomeno
 Internet
 ve
 ne
 è
 una
 in
 relazione
 <strong>alla</strong>
 quale
 gli
<br />

ordinamenti
 dei
 diversi
 Paesi
 nell’ultimo
 decennio
 hanno
<br />

conosciuto
 cicli
 di
 grande
 attenzione
 puntualmente
 seguiti
 da
<br />

periodi
di
altrettanto
intenso
torpore:
l’anonimato
in
Internet.
<br />


 Appartiene
all’esperienza
quotidiana
di
chiunque
abbia
un
<br />

minimo
di
confidenza
con
l’attuale
realtà
informatica
e
telematica
<br />

la
consapevolezza
e
coscienza
di
quanto
facile
–
allo
stato
attuale
–
<br />

sia
per
ciascuno
di
noi
accedere
ad
Internet
e
navigare
in
<strong>Rete</strong>
con
<br />

l’assoluta
 serenità
 di
 non
 poter
 essere
 rintracciati
 da
 nessuno
 a
<br />

prescindere
d<strong>alla</strong>
natura
e
gravità
delle
nostre
azioni
telematiche.
<br />


 Illuminanti
per
certi
aspetti
e
inquietanti
sotto
altri
sono
le
<br />

pagine
 nelle
 quali
 Raoul
 Chiesa
 aka
 Nobody,
 uno
 dei
 più
 noti
<br />

hacker
italiani
della
prima
ora,
raccconta
le
scorribande
sue
e
dei
<br />

suoi
 compagni
 di
 avventura
 nei
 meandri
 telematici
 della
 <strong>Rete</strong>
 
 a
<br />

partire
d<strong>alla</strong>
seconda
metà
degli
anni
’80
sino
ai
giorni
nostri;
nel
<br />

titolo
 del
 contributo
 sono
 già,
 probabilmente,
 contenuti
 i
 termini
<br />

della
 questione:
 io
 ero
 Nobody
 e
 tutte
 le
 notti
 me
 ne
 volavo
 in
<br />

Francia,
via
Qatar.
<br />


 Non
si
tratta
di
racconti
romanzati
né
di
fantascienza
ma,
<br />

piuttosto,
di
una
realtà
preoccupante
con
la
quale
ormai
da
anni
si
<br />

confrontano
 –
 con
 alterne
 fortune
 –
 le
 forze
 dell’ordine,
 la
<br />

magistratura
ed
i
legislatori
del
mondo
intero.
<br />

151




<br />


 L’anonimato
assoluto
rappresenta,
infatti,
una
condizione
<br />

originale
 del
 cyberspazio
 che
 è
 suscettibile
 di
 vanificare
 ogni
<br />

principio,
 regola
 e
 disciplina
 giuridica
 rendendola,
 di
 fatto,
<br />

inapplicabile.
<br />


 Ogni
 qualvolta,
 tuttavia,
 ci
 si
 trova
 ad
 affrontare
 il
<br />

problema
ed
a
prospettare
possibili
soluzioni
idonee
a
limitare
o
<br />

eliminare
la
possibilità
di
accedere
<strong>alla</strong>
<strong>Rete</strong>
coperti
da
quel
manto
<br />

invisibile
 oggi
 garantito
 da
 un
 contesto
 tecnico
 e
 normativo
 che
<br />

consente
 a
 ciascuno
 –
nel
 varcare
 il
 confine
 del
 cyberspazio
 –
 di
<br />

assumere
 l’identità
 e
 le
 sembianze
 che
 preferisce
 senza
 lasciare
<br />

sulla
porta
nessuna
traccia
in
grado
di
svelare
–
neppure
in
ipotesi
<br />

del
 tutto
 eccezionali
 –
 la
 propria
 reale
 identità,
 da
 più
 parti
<br />

vengono
paventati
rischi
inaccettabili
in
termini
di
violazione
della
<br />

privacy
e
di
restrizione
della
libertà
di
manifestazione
del
pensiero
<br />

nonché
delle
nuove
libertà
informatiche
e
digitali.
<br />


 Nelle
pagine
che
seguono
cercheremo
di
spiegare,
per
un
<br />

verso,
 per
 quali
 ragioni
 i
 paventati
 conflitti
 tra
 contrapposti
<br />

interessi
tutti
egualmente
meritevoli
di
tutela
siano
più
apparenti
<br />

che
reali
e
come,
in
ogni
caso,
il
rischio
di
tali
conflitti
non
possa
<br />

rallentare
 né
 impedire
 l’assunzione
 di
 una
 decisione
 che
 appare
<br />

ormai
 divenuta
 obbligata
 ed
 improcrastinabile
 quale
 quella
 di
<br />

imporre
 in
 <strong>Rete</strong>
 almeno
 la
 regola
 del
 c.d.
 anonimato
 protetto
<br />

consistente
nel
riconoscimento
a
ciascuno
del
diritto
di
navigare
in
<br />

<strong>Rete</strong>
indossando
la
maschera
che
preferisce
ma
ciò
solo
dopo
aver
<br />

consegnato
 <strong>alla</strong>
 frontiera
 del
 cyberspazio
 –
 in
 modo
 sicuro
 ed
<br />

incontrovertibile
–
la
propria
reale
identità.
<br />


 Dirimere
questa
questione
è
di
fondamentale
importanza
<br />

per
 lo
 sviluppo
 della
 <strong>Rete</strong>;
 d<strong>alla</strong>
 scelta
 per
 l’una
 o
 per
 l’altra
<br />

soluzione
 dipende,
 in
 buona
 sostanza,
 il
 futuro
 di
 internet
 quale
<br />

immenso
 e
 sconfinato
 parco
 giochi
 nel
 quale
 intrecciare
 ed
<br />

intessere
relazioni
personali
e
commerciali
più
o
meno
autentiche
<br />

ma
 ben
 difficilmente
 serie
 e
 durature
 o,
 piuttosto,
 quale
 nuovo
<br />

efficace
e
affidabile
mezzo
di
comunicazione
rivoluzionario,
duttile
<br />

e
 idoneo
 ad
 essere
 utilizzato
 con
 serenità
 e
 fiducia
 in
 contesti
<br />

economici,
giuridici,
finanziari
e
personali.
<br />


 2.

Si
è
già
anticipato
che
una
delle
maggiori
resistenze
<strong>alla</strong>
<br />

costituzione
 di
 un
 contesto
 normativo
 nel
 quale
 l’anonimato
<br />

assoluto
 sia
 bandito
 dal
 cyberspazio
 è
 tradizionalmente
<br />

rappresentata
 da
 pretese
 superiori
 esigenze
 di
 tutela
 della
<br />

riservatezza.
<br />


 In
 questa
 prospettiva,
 da
 più
 parti,
 si
 è
 sostenuto
 e
 si
<br />

sostiene
 che
 l’anonimato
 –
 e
 i
 diversi
 strumenti
 tecnico‐giuridici
<br />

attraverso
 cui
 esso
 può
 essere
 garantito
 in
 ambito
 telematico
 –
<br />

rappresenterebbe
una
delle
migliori
e
più
efficaci
difese
rispetto
a
<br />

152




<br />

tutta
una
serie
di
rischi
di
lesione
della
privacy
degli
utenti
della
<br />

<strong>Rete</strong>.
<br />


 In
 altre
 parole,
 inferiore
 sarebbe
 la
 quantità
 di
 dati
<br />

personali
 posti
 in
 circolazione
 in
 internet,
 minori
 sarebbero,
 di
<br />

conseguenza,
le
possibilità
che
detti
dati
siano
esposti
al
rischio
di
<br />

indebito
 trattamento
 per
 finalità
 illecite
 o,
 comunque,
 non
<br />

autorizzate.
<br />


 Si
 tratta
 di
 affermazione
 in
 linea
 di
 principio
 certamente
<br />

condivisibile
 e,
 d’altro
 canto,
 ormai
 recepita
 nel
 nostro
<br />

ordinamento
–
al
pari
di
quanto
avvenuto
in
quello
comunitario
–
<br />

attraverso
 l’art.
 3
 del
 nuovo
 Codice
 in
 materia
 di
 protezione
 dei
<br />

dati
 personali
 (Decreto
 Legislativo
 30
 giugno
 2003,
 n.
 196)
 che
<br />

sotto
 la
 rubrica
 “principio
 di
 necessità
 nel
 trattamento
 dei
 dati”
<br />

stabilisce
che
“i
sistemi
informativi
e
i
programmi
informatici
sono
<br />

configurati
 riducendo
 al
 minimo
 l’utilizzazione
 di
 dati
 personali
 e
<br />

dati
 identificativi,
 in
 modo
 da
 escluderne
 il
 trattamento
 quando
 le
<br />

finalità
 perseguite
 nei
 singoli
 casi
 possono
 essere
 realizzate
<br />

mediante,
rispettivamente,
dati
anonimi
od
opportune
modalità
che
<br />

permettano
di
identificare
l’interessato
solo
in
caso
di
necessità”.
<br />


 Non
 sembra,
 tuttavia,
 che
 detto
 principio
 possa
 essere
<br />

portato
 sino
 all’estrema
 conseguenza
 di
 giustificare
 e,
 anzi,
 in
<br />

taluni
 casi,
 persino
 promuovere
 forme
 di
 anonimato
 assoluto
 in
<br />

Internet
 e
 la
 diffusione
 di
 strumenti
 volti
 a
 garantirlo
 quali
<br />

appositi
 software
 anonimizzanti,
 gestori
 di
 servizi
 di
<br />

reindirizzamento
anonimo
di
informazioni
e/o
di
inoltro
anonimo
<br />

di
corrispondenza
elettronica.
<br />


 Si
 è
 già
 da
 più
 parti
 rilevata
 l’opportunità
 e,
 per
 taluni
<br />

versi
l’urgenza,
di
individuare
un
momento
di
compromesso
tra
il
<br />

diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy
 di
 ciascun
 utente
 della
 rete
 e
 le
 esigenze
 di
<br />

natura
 pubblica
 e
 privata
 –
 talvolta
 preminenti
 –
 relative
 <strong>alla</strong>
<br />

repressione
 di
 diverse
 tipologie
 di
 condotte
 criminose
 poste
 in
<br />

essere
 attraverso
 la
 <strong>Rete</strong>
 o,
 più
 semplicemente,
 di
 violazioni
 di
<br />

altrui
 diritti
 di
 privativa
 realizzate
 sotto
 il
 comodo
 schermo
 di
<br />

insuperabili
maschere
telematiche.
<br />


 In
tale
prospettiva,
già
da
tempo,
nell’ambito
del
Gruppo
di
<br />

Lavoro
 per
 la
 tutela
 delle
 persone
 fisiche
 con
 riguardo
 al
<br />

trattamento
dei
dati
personali
istituito
con
la
Direttiva
95/46/CE
<br />

del
 Parlamento
 Europeo
 e
 del
 Consiglio
 del
 24
 ottobre
 1995
 si
 è
<br />

preso
atto
che
“sussiste
un
consenso
generale
sul
fatto
che
l'attività
<br />

su
Internet
non
può
sottrarsi
ai
principi
giuridici
fondamentali
che
<br />

vengono
 normalmente
 applicati.
 Internet
 non
 può
 costituire
 una
<br />

zona
 franca
 dove
 le
 regole
 della
 società
 non
 vengono
 applicate.
<br />


 D'altronde,
 le
 possibilità
 degli
 Stati
 e
 delle
 autorità
<br />

pubbliche
 di
 limitare
 i
 diritti
 degli
 individui
 e
 controllare
<br />

comportamenti
 potenzialmente
 illegali
 non
 dovrebbero
 essere
 più
<br />

153




<br />

ampie
nel
quadro
di
Internet
di
quanto
possano
esserlo
nel
mondo
<br />

fuori
della
rete.

<br />


 L'esigenza
 che
 le
 limitazioni
 ai
 diritti
 e
 alle
 libertà
<br />

fondamentali
 siano
 debitamente
 giustificate,
 necessarie
 e
<br />

proporzionate
 <strong>alla</strong>
 luce
 degli
 altri
 pubblici
 obiettivi,
 deve
 valere
<br />

anche
nel
ciberspazio.”
e
che
“l'anonimato
non
è
adatto
in
tutte
le
<br />

circostanze”
 e
 che
 “stabilire
 le
 circostanze
 in
 cui
 l'opzione
<br />

dell'anonimato
 è
 opportuna
 e
 quelle
 in
 cui
 non
 lo
 è,
 comporta
 un
<br />

attento
 confronto
 fra
 i
 diritti
 fondamentali,
 non
 solo
 nei
 confronti
<br />

della
 riservatezza,
 ma
 anche
 della
 libertà
 di
 espressione,
 e
 altri
<br />

importanti
obiettivi
politici
come
la
prevenzione
del
crimine.”.
<br />


 Pur
 muovendo
 da
 tali
 premesse
 largamente
 condivisibili,
<br />

tuttavia,
 in
 tale
 sede
 si
 è
 poi
 pervenuti
 a
 talune
 conclusioni
 più
<br />

difficilmente
condivisibili
secondo
cui
“la
possibilità
di
scegliere
di
<br />

restare
anonimi”
sarebbe
“essenziale
ai
fini
della
tutela
per
i
singoli,
<br />

sulla
 rete
 dello
 stesso
 grado
 di
 riservatezza
 esistente
 attualmente
<br />

fuori
 d<strong>alla</strong>
 rete”
 o
 secondo
 la
 quale
 “l’invio
 di
 posta
 elettronica,
 il
<br />

navigare
tra
i
siti
della
rete
e
l’acquisto
di
merci
e
servizi
attraverso
<br />

internet
 dovrebbero
 essere
 tutti
 possibili
 in
 via
 anonima”
 o
 infine
<br />

“gli
strumenti
anonimi
per
accedere
a
Internet
(ad
esempio
chioschi
<br />

pubblici
 di
 internet,
 carte
 di
 accesso
 prepagate)
 e
 gli
 strumenti
<br />

anonimi
 di
 pagamento
 sono
 due
 elementi
 essenziali
 per
 un
 vero
<br />

anonimato
sulla
rete”.
<br />


 Si
 tratta,
 di
 considerazioni
 che
 inducono
 a
 qualche
<br />

riflessione.
<br />


 A
 ben
 vedere,
 infatti,
 il
 nostro
 Ordinamento
 non
 sembra
<br />

contemplare
 tali
 forme
 di
 diritto
 all’anonimato
 né
 il
<br />

riconoscimento
di
un
simile
diritto
potrebbe
essere
dedotto
d<strong>alla</strong>
<br />

circostanza
 che
 –
 fuori
 d<strong>alla</strong>
 <strong>Rete</strong>
 –
 vengano
 tradizionalmente
<br />

tollerate
 talune
 situazioni
 fattuali
 –
 e
 non
 giuridiche
 –
 che
<br />

consentono
 di
 porre
 in
 essere
 condotte
 –
 peraltro
 di
 limitata
<br />

portata
giuridica,
economica
e
sociale
–
non
già
restando
anonimi
<br />

o
 dissimulando
 la
 propria
 identità
 ma,
 più
 semplicemente,
 senza
<br />

dichiararla
 in
 modo
 esplicito
 il
 che,
 se
 non
 ci
 inganniamo,
 è
 cosa
<br />

comunque
 diversa
 da
 quel
 diritto
 a
 nascondersi,
 mascherarsi
 o
<br />

travisarsi
che
si
vorrebbe
divenisse
la
regola
nel
cyberspazio.
<br />


 Ci
 si
 riferisce
 ad
 attività
 quali
 il
 passeggiare
 tra
 i
 negozi,
<br />

sfogliare
 un
 libro
 in
 una
 libreria
 o,
 piuttosto,
 spedire
 una
 lettera
<br />

senza
indicare
il
mittente.
<br />


 Tali
 condotte,
 tuttavia,
 per
 un
 verso
 sono
 evidentemente
<br />

dotate
 di
 una
 potenzialità
 lesiva
 di
 gran
 lunga
 inferiore
 a
 quella
<br />

assunta
da
chi
acceda
in
Internet
in
totale
anonimato
e,
per
altro
<br />

verso,
 sono
 caratterizzate
 da
 un
 anonimato
 di
 minore
 intensità
<br />

non
mancando,
comunque,
nel
mondo
degli
atomi,
tutta
una
serie
<br />

di
elementi
idonei
a
consentire
–
almeno
in
ipotesi
eccezionali
–
di
<br />

154




<br />

risalire
 più
 o
 meno
 agevolmente
 all’autore
 di
 una
 determinata
<br />

condotta.
<br />


 Sotto
 altro
 profilo
 si
 è
 pure
 rilevato
 che
 l’anonimato
 in
<br />

Internet
costituirebbe
tra
l’altro
garanzia
e
baluardo
rispetto
<strong>alla</strong>
<br />

libertà
 di
 manifestazione
 del
 pensiero
 e,
 più
 in
 generale,
<br />

all’esercizio
di
tutta
una
serie
di
ulteriori
analoghe
libertà.
<br />


 Al
 riguardo
 scrive
 Autorevole
 dottrina
 “a
 me
 serve
 avere
<br />

tutela
dell’anonimato,
a
me
serve
la
tutela
della
riservatezza,
della
<br />

privacy,
non
per
isolarmi
ma
per
partecipare.
Solo
se
sono
certo
del
<br />

mio
 anonimato
 potrò
 partecipare
 senza
 timore
 di
 essere
<br />

discriminato
o
stigmatizzato
a
gruppi
di
discussione
in
<strong>Rete</strong>
su
temi
<br />

politicamente
 sgraditi
 al
 potere
 dominante
 in
 un
 certo
 momento.
<br />

Solo
se
avrò
la
certezza
di
non
essere
discriminato,
potò
denunziare
<br />

gli
abusi
magari
nel
luogo
dove
io
stesso
lavoro”.
<br />


 Appare
un
dato
di
fatto
difficilmente
controvertibile
quello
<br />

secondo
cui
riconoscere
ad
ogni
cittadino
la
possibilità
di
scrivere
<br />

sulle
 mura
 telematiche
 della
 <strong>Rete</strong>
 il
 suo
 pensiero
 a
 proposito
 di
<br />

questo
 o
 quell’orientamento
 politico
 o,
 piuttosto,
 di
 questo
 o
<br />

quell’imprenditore
 senza
 che
 alcuna
 traccia
 possa
 consentire
 a
<br />

chicchessia
 di
 risalire
 <strong>alla</strong>
 propria
 identità
 costituisce
 il
 modo
<br />

migliore,
più
sicuro
e
più
efficace
per
garantirgli
tale
possibilità
al
<br />

riparo
da
ogni
ritorsione
e
conseguenza
pregiudizievole.
<br />


 Non
siamo,
tuttavia,
d’accordo
che
ciò
abbia
qualcosa
a
che
<br />

vedere
con
la
libertà
di
manifestazione
del
pensiero.
<br />


 La
 storia
 antica
 e
 moderna
 insegna
 che
 tale
 libertà,
 nella
<br />

sua
accezione
più
ampia
è
la
prima
ad
essere
travolta
e
soppressa
<br />

all'indomani
dell'instaurazione
di
ogni
regime
non
democratico
e
<br />

la
 prima
 a
 comparire
 quando
 un
 popolo
 inizia
 il
 suo
 cammino
<br />

verso
la
democrazia;
essa,
consacrata
per
la
prima
volta
in
un
testo
<br />

di
legge
in
Gran
Bretagna
nella
Magna
Charta
del
1215

è
stata
poi
<br />

sancita
‐
con
disposizione
di
straordinaria
chiarezza
‐
dall'articolo
<br />

11
della
Dichiarazione
dei
diritti
dell'uomo
e
del
cittadino
del
26
<br />

agosto
 1789,
 secondo
 cui
 "la
 libera
 comunicazione
 dei
 pensieri
 e
<br />

delle
 opinioni
 è
 uno
 dei
 diritti
 più
 preziosi
 dell'uomo"
 e
 "ogni
<br />

cittadino
 può
 dunque
 parlare,
 scrivere,
 stampare
 liberamente
<br />

salvo
a
rispondere
dell'abuso
di
questa
libertà
nei
casi
determinati
<br />

d<strong>alla</strong>
legge".

<br />


 La
 stessa
 libertà
 di
 manifestazione
 del
 pensiero
 ‐
 a
<br />

conferma
della
sua
centralità
in
tutti
gli
ordinamenti
democratici
‐
<br />

è
 stata
 poi
 solennemente
 proclamata
 nella
 Dichiarazione
<br />

universale
dei
diritti
dell'uomo
approvata
dall'Assemblea
generale
<br />

delle
 Nazioni
 unite
 il
 10
 dicembre
 1948
 attraverso
 le
 previsioni
<br />

degli
 articoli
 18
 e
 19
 secondo
 cui
 "ogni
 individuo
 ha
 diritto
 <strong>alla</strong>
<br />

libertà
 di
 pensiero,
 di
 coscienza
 e
 di
 religione..."
 e
 "<strong>alla</strong>
 libertà
 di
<br />

opinione
e
di
espressione
incluso
il
diritto
di
non
essere
molestato
<br />

155




<br />

per
 la
 propria
 opinione
 e
 quello
 di
 cercare,
 ricevere
 e
 diffondere
<br />

informazioni
 e
 idee
 attraverso
 ogni
 mezzo
 e
 senza
 riguardo
 a
<br />

frontiere".
<br />


 Nella
 stessa
 prospettiva
 è
 pure
 già
 stato
 rilevato
 che
 “la
<br />

libertà
 di
 manuifestazione
 del
 pensiero
 assume
 una
 funzione
<br />

portante
 nell’ordinamento,
 ben
 espressa
 dalle
 metafore
 descrittive
<br />

d’uso
 comune
 ‘pietra
 angolare’
 del
 sistema
 (Corte
 Costituzionale,
<br />

sentenza
 del
 1969,
 n.
 84)
 ‘chiave
 della
 democrazia’
 (Corte
<br />

Costituzionale,
Sentenza
del
1974,
n.
25)”
e
che
“il
principio
sancito
<br />

dall’art.
 21
 della
 costituzione
 è
 riconosciuto
 quale
 fondamento
 del
<br />

sistema
 e
 centro
 della
 costellazione
 di
 libertà;
 senza
 la
 libertà
 di
<br />

manifestazione
 del
 pensiero,
 le
 altre
 libertà
 sancite
 d<strong>alla</strong>
<br />

costituzione
 non
 potrebbero
 sussistere
 o
 risulterebbero
 svuotate
 di
<br />

effettivo
contenuto”.
<br />


 In
 tale
 contesto
 ruolo
 e
 funzioni
 della
 libertà
 di
<br />

manifestazione
del
pensiero
per
la
stessa
esistenza
–
in
Internet
–
<br />

di
 un
 ordine
 democratico
 non
 possono,
 evidentemente
 essere
<br />

disconosciute,
 ma
 la
 strada
 dell’anonimato
 quale
 strumento
 di
<br />

garanzia
di
tale
libertà
non
appare
quella
corretta.
<br />


 Già
nella
Dichiarazione
dei
diritti
dell’uomo
e
del
cittadino
<br />

del
26
agosto
1789
la
qualificazione
della
libertà
di
manifestazione
<br />

dei
 pensieri
 e
 delle
 opinioni
 quale
 “uno
 dei
 diritti
 più
 preziosi
<br />

dell’uomo”
 veniva
 indissolubilmente
 legata
 in
 un
 binomio
<br />

inscindibile
 nel
 conseguente
 obbligo
 di
 ciascun
 cittadino
 di
<br />

“rispondere
 dell’abuso
 di
 questa
 libertà
 nei
 casi
 determinati
 d<strong>alla</strong>
<br />

legge”.
<br />


 Non
 solo,
 dunque,
 l’anonimato
 non
 può
 rappresentare
<br />

un’efficace
 garanzia
 rispetto
 all’esercizio
 della
 libertà
 di
<br />

manifestazione
 del
 pensiero
 ma,
 al
 contrario,
 esso
 costituirebbe,
<br />

sotto
tale
profilo,
una
scelta
dirompente
in
quanto
suscettibile
di
<br />

spezzare
 quel
 binomio
 indissolubile
 (libertà‐responsabilità)
 sul
<br />

quale
 posa
 l’intero
 sistema
 della
 libertà
 di
 manifestazione
 del
<br />

pensiero
recepito
nel
nostro
come
in
tanti
altri
Ordinamenti.
<br />


 Riconoscere
a
cybernavigatori
mascherati
la
possibilità
di
<br />

manifestare
liberamente
il
proprio
pensiero
in
una
realtà
globale,
<br />

acefala,
 multiforme
 ed
 eterogenea
 quale
 quella
 della
<br />

comunicazione
 telematica
 significa
 semplicemente
 legittimare
<br />

condotte
 potenzialmente
 lesive
 di
 altrui
 diritti
 ed
 interessi
 nella
<br />

piena
consapevolezza
che
i
soggetti
lesi
o
danneggiati
da
eventuali
<br />

abusi
 si
 ritroveranno
 poi
 privati
 –
 almeno
 de
 facto
 –
 di
 ogni
<br />

possibilità
 di
 azione
 e
 reazione
 per
 l’insuperabile
 difficoltà
 di
<br />

imputazione
 della
 condotta
 lesiva
 della
 propria
 dignità,
 della
<br />

propria
reputazione,
del
proprio
onore
o,
più
semplicemente
–
ma
<br />

la
questione
non
è
secondaria
in
un
ambito
che
si
avvia
a
divenire
<br />

156




<br />

sede
privilegiata
di
scambi
e
transazioni
commerciali
di
rilevante
<br />

entità
–
dei
propri
interessi
privati
ed
economici.
<br />


 D’altro
 canto
 la
 responsabilità
 patrimoniale
 e
 quella
<br />

personale
di
carattere
penale
costituiscono
paradigmi
insuperabili
<br />

ed
 insostituibili
 nella
 dinamica
 di
 ogni
 rapporto
 civile,
 sociale
 ed
<br />

economico
 e,
 per
 questo,
 esse
 non
 sembrano
 poter
 essere
<br />

cancellate
–
in
ambito
telematico
–
così
come
accadrebbe
nel
caso
<br />

in
cui
tra
i
c.d.
nuovi
diritti
informatici
dovesse
essere
riconosciuto
<br />

anche
quello
all’anonimato.
<br />


 E’
 sin
 troppo
 facilmente
 prevedibile
 –
 ed
 appartiene
anzi
<br />

già
 <strong>alla</strong>
 nostra
 esperienza
 quotidiana
 –
 che
 l’impossibilità
 di
<br />

imputare
 determinate
 condotte
 al
 loro
 autore
 spingerebbe
 i
<br />

soggetti
 lesi
 a
 cercare
 di
 individuare
 in
 direzioni
 diverse
 ed
 a
<br />

differenti
 livelli
 della
 dinamica
 della
 comunicazione
 altri
 soggetti
<br />

verso
 i
 quali
 rivolgere
 le
 proprie
 pretese
 risarcitorie
 o
 nei
<br />

confronti
 dei
 quali
 indirizzare
 azioni
 di
 responsabilità
 civile
 e
<br />

penale.
<br />


 Ciò
 apre,
 evidentemente,
 le
 porte
 ad
 un’altra
 delle
<br />

questioni
 giuridiche
 più
 delicate
 e
 complesse
 che
 il
 fenomeno
<br />

Internet
 ha
 posto
 all’attenzione
 del
 mondo
 giuridico:
 la
<br />

responsabilità
degli
intermediari
della
comunicazione.
<br />


 Si
 tratta
 di
 un
 problema
 legato
 a
 doppio
 filo
 non
 solo
 al
<br />

tema
dell’anonimato
in
Internet
ma
anche
alle
altre
questioni
che
<br />

con
tale
tema
si
intersecano
e
cui
già
si
è
fatto
cenno:
la
privacy
in
<br />

ambito
 telematico
 e
 la
 libertà
 di
 manifestazione
 del
 pensiero
 nel
<br />

cyberspazio.
<br />


 Affrontare
 in
 modo
 esaustivo
 tale
 argomento
 è
<br />

incompatibile
con
le
esigenze
di
sintesi
proprie
di
questo
scritto
e,
<br />

pertanto,
 ci
 sia
 consentito
 rinviare
 ai
 preziosi
 ed
 ampi
 contributi
<br />

già
prodotti
da
Autorevole
dottrina,
limitandoci,
in
questa
sede,
ad
<br />

evidenziare
e
tracciare
le
linee
di
correlazione
tra
detta
questione
<br />

e
 quella
 della
 quale
 ci
 stiamo
 occupando
 all’unico
 fine
 di
<br />

evidenziare
 come
 riconoscere
 l’anonimato
 in
 Internet
 rischia
 di
<br />

voler
dire
–
per
quanti
sforzi
si
possano
fare
per
scongiurare
tale
<br />

eventualità
 –
 introdurre
 pericolose
 forme
 di
 responsabilità
 degli
<br />

intermediari
 della
 comunicazione
 e,
 per
 questa
 via,
 altrettanto
<br />

inquietanti
 e
 preoccupanti
 scenari
 di
 orwelliana
 memoria
 e
<br />

fenomeni
–
più
o
meno
trasparenti
–
di
natura
censoria.
<br />

Proprio
 parlando
 della
 
 possibilità
 di
 far
 ricadere
 sugli
<br />

intermediari
 della
 comunicazione
 eventuali
 responsabilità
 di
<br />

quanto
avviene
sulle
reti
Autorevole
dottrina
ha
già
rilevato
come
<br />

ciò
 farebbe
 nascere
 diversi
 problemi
 tecnici
 ma,
 soprattutto,
<br />

rischierebbe
di
creare
una
situazione
in
cui
il
gestore,
per
evitare
<br />

una
pesante
responsabilità
per
danno,
si
potrebbe
trasformare
nel
<br />

più
severe
dei
censori
dando
così
vita
ad
una
“censura
di
mercato
<br />

157




<br />

ancor
più
capillare
e
penetrante
di
quelle
tradizionalmente
affidate
<br />

ad
organi
pubblici
e,
nella
sostanza,
ineludibile”
.
<br />


 L’attività
svolta
dagli
intermediari
della
comunicazione
è,
<br />

infatti,
 insopprimibile
 in
 ogni
 dinamica
 della
 comunicazione
<br />

telematica
e,
pertanto,
tali
soggetti
sono
coinvolti
–
almeno
da
un
<br />

punto
di
vista
strettamente
tecnico
informatico
–
in
ogni
condotta
<br />

di
 diffusione/acquisizione
 di
 contenuti
 che
 si
 consumi
 attraverso
<br />

le
risorse
di
Internet.
<br />


 A
 ciò
 deve
 essere
 aggiunto
 che
 gli
 intermediari
 della
<br />

comunicazione
–
e
in
particolare
l’acces
provider
–
sono
collocati
<br />

in
 una
 posizione
 strategiaca
 nella
 dinamica
 della
 comunicazione,
<br />

trovandosi
 prioprio
 lungo
 il
 confine
 tra
 il
 cyberspazio
 ed
 il
 c.d.
<br />

mondo
reale;
essi
costituiscono
la
porta
di
accesso
necessitata
ed
<br />

ineliminabile
 a
 Internet
 ed
 ad
 un
 tempo
 e
 conseguentemente
<br />

l’ultimo
anello
di
congiunzione
tra
la
nuova
realtà
telematica
ed
il
<br />

mondo
reale.
<br />


 Si
tratta,
peraltro,
di
soggetti
cui
‐
a
differenza
di
quanto
si
<br />

vorrebbe
riconoscere
ai
propri
utenti
–
è
preclusa
la
possibilità
di
<br />

nascondersi,
 celarsi
 o
 disssimulare
 la
 propria
 reale
 identità
<br />

essendo
 loro,
 anzi,
 espressamente
 richiesto
 di
 presentarsi
 e
<br />

registrarsi
 in
 appositi
 albi
 ed
 elenchi
 tenuti
 da
 diverse
 Pubbliche
<br />

Autorità
a
seconda
degli
Ordinamenti
di
riferimento.
<br />


 In
 tale
 contesto
 è
 sin
 troppo
 evidente
 l’esistenza
 di
 una
<br />

diffusa
 tentazione
 ‐
 che
 pervade
 i
 parlamenti,
 i
 governi,
 la
<br />

magistratura,
le
forze
dell’ordine
ed
i
semplici
utenti
–
di
bussare
<br />

alle
 porte
 degli
 intermediari
 della
 comunicazione
 per
 imporre
 o
<br />

chiedere
 aiuto,
 collaborazione
 o
 supporto
 nell’individuazione
 dei
<br />

responsabili
di
questa
o
quella
condotta
illecita
posta
in
essere
nel
<br />

cyberspazio
e,
talvolta,
per
sancire,
accertare
o
far
valere
forme
di
<br />

responsabilità
 più
 o
 meno
 oggettiva
 laddove
 vana
 sia
 risultata
 la
<br />

possibilità
di
rintracciare
ogni
diverso
responsabile
della
condotta
<br />

incriminata.
<br />


 Insufficienti
 in
 tale
 prospettiva
 appaiono
 le
 petizioni
 di
<br />

principio
pur
contenute
in
diverse
disposizioni
di
legge
nazionali
e
<br />

comunitarie
 
 ‐
 da
 ultimo,
 ad
 esempio,
 nella
 disciplina
 sul
<br />

commercio
 elettronico
 ‐
 con
 riferimento
 all’esclusione
 di
 ogni
<br />

responsabilità
 degli
 intermediari
 della
 comunicazione
 –
 sebbene
<br />

subordinatamente
 al
 ricorrere
 di
 determinate
 condizioni
 –
 in
<br />

relazione
alle
condotte
poste
in
essere
dai
propri
utenti.
<br />


 E’
 sufficiente
 sfogliare
 alcuni
 recentissimi
 provvedimenti
<br />

normativi
e
porre
attenzione
a
talune
altrettanto
recenti
iniziative
<br />

imprenditoriali
 assunte
 da
 intermediari
 della
 comunicazione
 di
<br />

grande
fama
e
notorietà
per
rendersi
conto
che
dette
petizioni
di
<br />

principio
 non
 valgono
 ad
 appagare
 la
 naturale
 esigenza
 di
<br />

imputazione
 di
 ogni
 condotta
 giuridicamente
 rilevante
 –
 lecita
 o
<br />

158




<br />

illecita
–
ad
un
determinato
soggetto
né
a
superare
e
travolgere
il
<br />

principio
 della
 responsabilità
 patrimoniale
 o
 personale
 di
<br />

carattere
 penale
 di
 cui
 sono
 permeati
 –
 sebbene
 con
 sfumature
<br />

diverse
–
tutti
gli
Ordinamenti
giuridici.
<br />


 Basti
pensare
–
guardando
<strong>alla</strong>
realtà
italiana
–
<strong>alla</strong>
Legge
<br />

21
maggio
2004,
n.
128
‐

Con<strong>version</strong>e
in
legge,
con
modificazioni,
<br />

del
 decreto‐legge
 22
 marzo
 2004,
 n.
 72,
 recante
 interventi
 per
<br />

contrastare
 la
 diffusione
 telematica
 abusiva
 di
 materiale
<br />

audiovisivo,
 nonché
 a
 sostegno
 delle
 attività
 cinematografiche
 e
<br />

dello
 spettacolo
 che
 pone
 a
 carico
 degli
 intermediari
 della
<br />

comunicazione
–
ferma
in
astratto
la
loro
irresponsabilità
sancita
<br />

da
ultimo
nella
disciplina
di
attuazione
della
direttiva
comunitaria
<br />

in
materia
di
commercio
elettronico
–
l’obbligo
di
comunicare
“le



<br />

informazioni
 in
 proprio
 possesso
 utili
 all'individuazione
 dei
 gestori
<br />

dei
 siti
 e
 degli
 autori
 delle
 condotte
 segnalate”
 nonché
 quello
 di
<br />

porre
 in
 essere
 “tutte
 le
 misure
 dirette
 ad
 impedire
 l’accesso
 ai
<br />

contenuti
dei
siti
ovvero
a
rimuovere
i
contenuti
medesimi”.
<br />


 La
stessa
disposizione,
peraltro,
sanziona
la
violazione
di
<br />

tali
 obblighi
 con
 una
 
 sanzione
 amministrativa
 pecuniaria
 da
<br />

50.000
euro
a
250.000
euro.
<br />


 Non
 è
 questa
 la
 sede
 per
 soffermarsi
 ad
 analizzare
 la
<br />

portata
e
le
possibili
gravi
ricadute
–
sotto
il
profilo
della
libertà
di
<br />

manifestazione
 del
 pensiero
 –
 delle
 richiamate
 disposizioni
 di
<br />

legge
 ma
 sembra,
 sin
 d’ora,
 possibile
 rilevare
 come
 previsioni
 di
<br />

tale
 tenore
 finiscano
 inevitabilmente
 con
 il
 far
 rientrare
 d<strong>alla</strong>
<br />

finestra
 forme
 di
 responsabilità
 –
 benché
 indiretta
 –
 degli
<br />

intermediari
 della
 comunicazione
 spingendo,
 così,
 tali
 soggetti
<br />

all’adozione
 di
 politiche
 rigide
 e
 restrittive
 circa
 la
 libertà
 dei
<br />

propri
 utenti
 di
 comunicare
 al
 pubblico
 telematico
 –
 attraverso
 i
<br />

propri
servizi
–
contenuti
anche
solo
potenzialmente
illeciti.
<br />


 Non
differenti
preoccupazioni,
d’altro
canto,
si
registrano
<br />

spingendo
lo
sguardo
al
di
là
dei
confini
nazionali.
<br />


 E’,
infatti,
delle
ultime
ore
la
notizia
che
British
Telecom
–
<br />

uno
 dei
 più
 grandi
 fornitori
 di
 accesso
 <strong>alla</strong>
 <strong>Rete</strong>
 operante
 sul
<br />

territorio
 Europeo
 –
 sta
 per
 lanciare
 il
 progetto
 Cleanfeed
<br />

attraverso
il
quale
il
provider
intende
bloccare
l’accesso
dei
propri
<br />

utenti
 ai
 siti
 –
 da
 esso
 autonomamente
 censiti
 –
 contenenti
<br />

materiale
pedopornografico.
<br />

Si
 tratta
 di
 un’iniziativa
 ovviamente
 difficile
 da
 contestare
 in
<br />

considerazione
delle
nobili
finalità
che
mira
a
raggiungere
ma
che,
<br />

tuttavia,
 desta
 più
 di
 una
 perplessità
 sotto
 il
 profilo
 della
<br />

legittimità
 ed
 opportunità
 delle
 modalità
 con
 le
 quali
 la
 British
<br />

Telecom
si
prefigge
di
pervenire
a
tale
risultato.
<br />


 Anche
 se
 non
 si
 conoscono
 ancora
 i
 dettagli
 della
<br />

piattaforma
 informatica
 che
 verrà
 a
 tal
 fine
 utilizzata
 è,
 infatti,
<br />

159




<br />

evidente
 che
 per
 un
 verso
 essa
 comporterà
 inevitabilmente
<br />

un’attività
 –
 più
 o
 meno
 trasparente
 –
 di
 monitoraggio
 della
<br />

navigazione
 di
 tutti
 gli
 utenti
 che
 accederanno
 ad
 internet
<br />

attraverso
 detto
 provider
 e,
 per
 altro
 verso,
 essa
 richiederà
 una
<br />

costante
 attività
 di
 valutazione
 del
 contenuto
 dei
 siti
 esistenti
 in
<br />

rete
al
fine
di
predisporre
e
mantenere
costantemente
aggiornata
<br />

la
black
list
dei
siti
che
British
Telecom
riterrà
essere
connotati
da
<br />

contenuti
pedopornografici.
<br />


 Entrambi
 i
 casi
 appena
 richiamati
 appaiono,
 dunque,
<br />

sintomatici
 di
 quanto
 si
 è
 andati
 sin
 qui
 dicendo:
 l’anonimato
<br />

assoluto
 degli
 utenti
 spinge
 l’Autorità
 a
 rivolgere
 le
 proprie
<br />

attenzioni
sugli
intermediari
della
comunicazione
e
questi
ultimi
a
<br />

tutelarsi
 ponendo
 in
 essere
 iniziative
 censorie
 che,
 quand’anche
<br />

nobili
 ed
 apprezzabili
 sotto
 il
 profilo
 teleologico
 risultano,
<br />

comunque,
pericolose
in
relazione
a
possibili
attentati
<strong>alla</strong>
privacy
<br />

degli
utenti
nonché
<strong>alla</strong>
libertà
di
manifestazione
del
pensiero.
<br />


 In
 tale
 contesto
 appare
 urgente
 tornare
 a
 riflettere
 sulla
<br />

possibilità
 di
 eliminare
 <strong>alla</strong>
 radice
 ogni
 forma
 di
 anonimato
<br />

assoluto
 in
 internet
 e
 sostituirla,
 almeno,
 con
 formule
 di
<br />

anonimato
 c.d.
 relativo
 nell’ambito
 delle
 quali
 potrebbe
<br />

riconoscersi
agli
utenti
di
agire
in
<strong>Rete</strong>
in
modo
anonimo
o
sotto
<br />

identità
 dissimulate
 a
 condizione
 che
 sia
 poi
 eventualmente
<br />

possibile
–
per
finalità
del
tutto
eccezionali
e
particolari
quali,
ad
<br />

esempio,
quelle
di
giustizia
–
risalire
<strong>alla</strong>
vera
identità
dell’autore
<br />

della
condotta.
<br />


 Al
 contrario
 di
 quanto
 da
 più
 parti
 frequentemente
 si
<br />

prospetta
 si
 tratterebbe
 di
 una
 soluzione
 connotata
 da
 grani
<br />

istanze
 liberali
 e
 ciò
 soprattutto
 in
 considerazione
 dei
 paventati
<br />

rischi
 connessi
 all’opposto
 scenario
 con
 il
 quale
 ci
 stiamo
 già
<br />

confrontando.
<br />


 Solo
 per
 questa
 via
 appare
 possibile
 auspicare
 che
 in
 un
<br />

domani
 non
 troppo
 lontano
 Internet
 si
 scrolli
 definitivamente
 di
<br />

dosso
 quell’immagine
 di
 sconfinato
 campo
 da
 gioco
 pieno
 di
<br />

insidie
e
pericoli
che,
sino
ad
oggi
ha
impedito
il
diffondersi
di
un
<br />

utilizzo
 maturo
 e
 consapevole
 delle
 risorse
 telematiche
<br />

relegandole
 ad
 un
 ruolo
 che
 ne
 mortifica
 grandemente
 le
 reali
<br />

ambizioni,
attitudini
e
potenzialità.
<br />


 Chi
rompe
paga
ci
è
stato
insegnato
sin
da
bambini
e
non
<br />

c’è
 alcuna
 buona
 ragione
 per
 fare
 a
 mano
 di
 questa
 elementare
<br />

regola
di
civiltà
prima
ancora
che
giuridica
nel
cyberspazio.
<br />


<br />

Mr.
Nobody
non
ha
nessun
diritto.
<br />

1°
aprile
2008
<br />

Punto
Informatico
<br />


<br />

160




<br />


 Nelle
 ultime
 settimane
 la
 vicenda
 che
 ha
 visto
<br />

contrapposta
 Wikipedia
 al
 Sindaco
 di
 Firenze
 ha
 riacceso
 il
<br />

dibattito
–
in
realtà
mai
completamente
sopito
‐
sull’anonimato
in
<br />

<strong>Rete</strong>:
 da
 una
 parte
 quanti
 si
 dicono
 convinti
 che
 l’anonimato
<br />

costituisca
 un
 diritto
 fondamentale
 ed
 inviolabile
 degli
 utenti
 e
<br />

dall’altra
quanti,
invece,
si
dichiarano
pronti
a
rinunciarvi 58.
<br />


 La
 questione
 è
 complessa
 e
 costituisce,
 probabilmente,
<br />

uno
dei
problemi
di
maggior
rilievo
che
i
legislatori
di
tutti
i
Paesi
<br />

saranno
chiamati
ad
affrontare
nei
prossimi
anni.
<br />


 Nessun
 Ordinamento
 giuridico,
 infatti,
 può
 prescindere
<br />

d<strong>alla</strong>
 necessità
 di
 imputare
 ad
 un
 soggetto
 determinato
 ogni
<br />

condotta
 giuridicamente
 rilevante
 nonché
 i
 suoi
 effetti
 e
<br />

conseguenze,
 si
 tratti
 di
 responsabilità
 civile,
 penale
 o
<br />

amministrativa
 o,
 piuttosto,
 dell’assegnazione
 di
 un
 premio,
 del
<br />

riconoscimento
di
un
diritto
o
del
pagamento
di
un
credito.
<br />


 E’
 ovvio,
 d’altra
 parte,
 che
 in
 caso
 di
 impossibilità
 di
<br />

identificare
 l’autore
 della
 condotta,
 nella
 più
 parte
 dei
 casi,
 si
<br />

rende
necessario
ricorrere
a
meccanismi
sussidiari
di
imputazione
<br />

degli
effetti
e
delle
conseguenze
della
condotta
medesima.
<br />


 L’anonimato
 in
 <strong>Rete</strong>,
 secondo
 i
 sostenitori
 di
 tale
 teoria,
<br />

rappresenterebbe
 un
 diritto‐presupposto
 per
 l’esercizio
 di
 altri
<br />

diritti
 e
 libertà
 fondamentali
 quali,
 ad
 esempio,
 la
 libertà
 di
<br />

manifestazione
del
pensiero
con
la
conseguenza
che
eliminando
il
<br />

primo
si
comprimerebbe
anche
la
seconda.
<br />


 Si
tratta
di
una
conclusione,
probabilmente,
corretta
sotto
<br />

un
profilo
pratico
ma
difficile
da
condividere
in
termini
giuridici
e,
<br />

soprattutto,
nell’ambito
di
un
ragionamento
de
iure
condendo
e
di
<br />

lungo
 periodo
 anche
 perché
 essa
 costituisce
 la
 risposta
 ad
 un
<br />

problema
posto
in
termini
inesatti.
<br />


 La
questione,
infatti,
a
mio
avviso
–
se
la
si
vuol
porre
in
<br />

termini
giuridici
e
non
piuttosto
in
termini
“romantici”
‐
non
è
se
<br />

sia
 opportuno
 sopprimere
 il
 diritto
 all’anonimato
 in
 <strong>Rete</strong>
<br />

costringendo
 tutti
 ad
 agire
 a
 volto
 scoperto
 ma,
 piuttosto,
 se
 un
<br />

simile
diritto
possa,
effettivamente,
ritenersi
sussistere.
<br />


 La
mia
risposta
a
tale
quesito
è
negativa.
<br />


 Mr.
Nobody
–
utente
mascherato
della
<strong>Rete</strong>
–
non
è
titolare
<br />

di
 alcun
 diritto
 e,
 tantomeno,
 di
 quello
 a
 mantenere
 celata
 la
<br />

propria
identità.
<br />


 Il
ragionamento
<strong>alla</strong>
base
di
tale
conclusione
può
seguire
<br />

percorsi
 logici
 diversi:
 muovere
 d<strong>alla</strong>
 nozione
 di
 cittadino
 quale
<br />

titolare
dei
diritti,
dall’imprescindibilità
della
manifestazione
della
<br />

propria
 identità
 ai
 fini
 dell’esercizio
 di
 un
 diritto
 o,
 piuttosto,
<br />

























































<br />

58 
Cfr.
pag.
32
<br />

161




<br />

dall’imprescindibile
 esigenza
 che
 all’esercizio
 di
 ogni
 diritto
 o
<br />

libertà
faccia
da
contraltare
l’assunzione
di
obblighi
e/o
eventuali
<br />

responsabilità.
<br />


 Proviamo
 a
 partire
 proprio
 da
 quest’ultima
<br />

considerazione.
<br />


 L’art.
 11
 della
 Dichiarazione
 dei
 diritti
 dell'uomo
 e
 del
<br />

cittadino
del
26
agosto
1789,
prevede
che
"la
libera
comunicazione
<br />

dei
 pensieri
 e
 delle
 opinioni
 è
 uno
 dei
 diritti
 più
 preziosi
<br />

dell'uomo"
 e
 "ogni
 cittadino
 può
 dunque
 parlare,
 scrivere,
<br />

stampare
 liberamente
 salvo
 a
 rispondere
 dell'abuso
 di
 questa
<br />

libertà
nei
casi
determinati
d<strong>alla</strong>
legge”.
<br />


 La
 responsabilità
 nelle
 ipotesi
 di
 abuso
 è,
 dunque,
 il
<br />

contraltare
 della
 libertà
 e,
 tale
 responsabilità,
 presuppone,
<br />

evidentemente,
 l’imputabilità
 ad
 un
 cittadino
 determinato
<br />

dell’abuso
medesimo.
<br />


 Già
 sotto
 tale
 profilo,
 pertanto,
 l’idea
 che
 si
 possa
<br />

“pretendere”
di
esercitare
un
diritto
o
una
libertà
sottraendosi,
ex
<br />

ante,
 all’eventuale
 successiva
 responsabilità
 mi
 sembra,
<br />

francamente,
assai
poco
convincente.
<br />


 Ma
vi
sono
altre
ragioni
che
mi
portano
a
ritenere
che
non
<br />

vi
 sia
 spazio
 né
 in
 <strong>Rete</strong>
 né
 fuori
 della
 <strong>Rete</strong>
 per
 un
 diritto
<br />

all’anonimato.
<br />


 La
 Dichiarazione
 universale
 dei
 diritti
 dell'uomo
<br />

approvata
 dall'Assemblea
 generale
 delle
 Nazioni
 unite
 il
 10
<br />

dicembre
1948
stabilisce
che
"ogni
individuo
ha
diritto
<strong>alla</strong>
libertà
<br />

di
pensiero,
di
coscienza
e
di
religione..."
e
"<strong>alla</strong>
libertà
di
opinione
<br />

e
 di
 espressione
 incluso
 il
 diritto
 di
 non
 essere
 molestato
 per
 la
<br />

propria
opinione…”.
<br />


 E’
ovvio
che
se
l’esercizio
della
libertà
di
opinione
dovesse
<br />

o
 potesse
 avvenire
 in
 forma
 anonima
 non
 avrebbe
 avuto
 alcun
<br />

senso
 rafforzare
 tale
 libertà
 fondamentale
 con
 il
 diritto
 a
 non
<br />

essere
molestato
in
ragione
del
suo
esercizio.
<br />


 Ancora
 una
 volta,
 dunque,
 la
 libertà
 di
 opinione
 non
<br />

sembra
essere
riconosciuta
né
riconoscibile
a
Mr.
Nobody.
<br />


 La
 libertà
 di
 manifestazione
 del
 pensiero,
 il
 diritto
 <strong>alla</strong>
<br />

privacy,
quello
al
lavoro
o
quello
<strong>alla</strong>
salute
ed
ogni
altro
diritto
o
<br />

libertà
 fondamentale
 competono
 al
 cittadino,
 identificato
 da
 un
<br />

nome
 e
 da
 un
 cognome
 quale
 appartenente
 ad
 un
 certo
 Stato
 ed
<br />

Ordinamento
 e
 non
 certamente
 ad
 un
 sedicente
 Mr.
 Nobody,
<br />

incappucciato
 che
 si
 rifiuti
 di
 svelare
 la
 propria
 identità
 mentre
<br />

esige
di
esercitare
i
propri
diritti
o
libertà.
<br />


 Contro
 l’idea
 di
 un
 anonimato
 assoluto
 in
 <strong>Rete</strong>,
 d’altra
<br />

parte,
non
militano
solo
ragioni
giuridiche.
<br />


 Gli
ultimi
anni,
nel
corso
dei
quali
l’anonimato
si
è
imposto
<br />

come
 standard
 de
 facto
 con
 poche
 eccezioni
 hanno,
 infatti,
<br />

162




<br />

evidenziato
 che
 l’impossibilità
 di
 imputare
 una
 condotta
 ad
 un
<br />

determinato
 soggetto,
 innesca
 meccanismi
 complessi
 quali
 forme
<br />

di
monitoraggio
di
massa,
attribuzioni
di
responsabilità
agli
ISP
o,
<br />

piuttosto,
agli
UGC.
<br />


 Persecuzioni
 e
 caccia
 alle
 streghe
 in
 luogo
<br />

dell’individuazione
puntuale
ed
indolore
dell’autore
della
condotta
<br />

incriminata.
<br />


 D’altra
 parte
 l’idea
 che
 per
 poter
 esercitare
 una
 libertà
<br />

fondamentale
 quale,
 ad
 esempio,
 quella
 di
 opinione
 occorra
<br />

nascondersi,
mi
sembra
che
abbia
il
sapore
della
sconfitta
più
che
<br />

quello
 della
 vittoria
 come
 sostenuto
 da
 quanti
 ritengono
 che
<br />

l’anonimato
 costituisca
 un
 presupposto
 per
 l’esercizio
 di
 altre
<br />

libertà.
<br />


 Qual
è
la
soluzione
dunque?
<br />


 A
mio
avviso
l’anonimato
protetto.
Ciascun
utente
sarebbe
<br />

libero
di
agire
in
rete
“mascherato”
dietro
ad
un
nick
ma,
prima
di
<br />

entrare,
 dovrebbe
 lasciare
 all’ISP
 le
 sue
 generalità
 nella
<br />

consapevolezza
che
solo
l’Autorità
giudiziaria
potrà
accedervi
nel
<br />

caso
in
cui
si
renda
responsabile
o
vi
sia
il
fondato
sospetto
si
sia
<br />

reso
responsabile
di
una
serie
di
illeciti
ritenuti
dal
legislatore
di
<br />

particolare
gravità.
<br />


<br />


<br />


<br />


<br />


<br />


<br />


<br />

Mr.
Nobody
non
ha
diritti
(ma
anche
doveri).
<br />

5
aprile
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=281
<br />


<br />


 Nei
giorni
scorsi
sono
intervenuto
in
un
bel
dibattito
che
<br />

Punto
Informatico
ha
aperto
e
continua
ad
ospitare
sull'anonimato
<br />

in
<strong>Rete</strong>.
<br />


 Il
titolo
del
mio
articolo
come,
peraltro,
quello
del
mio
post
<br />

"Mr.
 Nobody
 non
 ha
 diritti"
 chiariva
 e
 chiarisce
 senza
 bisogno
 di
<br />

altre
parole
il
mio
punto
di
vista:
il
diritto
all'anonimato
(assoluto)
<br />

non
 dovrebbe
 trovare
 cittadinanza
 in
 <strong>Rete</strong>
 (ed
 a
 ben
 vedere
<br />

neppure
fuori).
<br />


 Proponevo
e
continuo
a
proporre
un
anonimato
protetto:
<br />

la
 libertà
 di
 agire
 in
 <strong>Rete</strong>
 sotto
 qualsiasi
 nick
 ma
 a
 condizione
 di
<br />

lasciare
 alle
 porte
 del
 cyberspazio
 ‐
 agli
 ISP
 ‐
 la
 propria
 identità
<br />

reale
 cui
 le
 sole
 Pubbliche
 Autorità
 dovrebbero
 poter
 accedere
<br />

nell'ipotesi
in
cui
Mr.
(quasi)
Nobody
si
macchiasse
di
colpe
gravi.
<br />

163




<br />


 Si
 tratta,
 peraltro,
 di
 una
 soluzione
 già
 proposta
 molto
<br />

tempo
fa
da
Stefano
Rodotà.

<br />


 Tale
 proposta
 che
 io
 ritengo
 una
 precondizione
<br />

ineliminabile
 per
 uno
 sviluppo
 civile,
 democratico
 ed
 economico
<br />

della
<strong>Rete</strong>
ha,
probabilmente,
riscosso
più
critiche
che
consensi.
<br />


 Lo
trovo
naturale
e
non
ne
sono
stupito:
la
libertà
(quella
<br />

assoluta)
è
piu
romantica
anche
della
più
flebile
ed
elastica
delle
<br />

regolamentazioni.
 E'
 un'aspirazione
 naturale
 dell'uomo.
 Il
 diritto
<br />

(in
 ogni
 epoca
 e
 regime)
 è
 sempre
 e
 comunque,
 in
 un
 modo
 o
<br />

nell'altro,
 imposto
 ed
 è
 raro
 e
 difficile
 che
 sia
 effettivamente
<br />

NATURALE.
<br />


 Nelle
critiche,
c'è
un
argomento,
più
ricorrente
degli
altri:
<br />

l'anonimato
come
derivazione
del
diritto
<strong>alla</strong>
privacy.
<br />


 E'
una
posizione
che
non
mi
convince.

<br />


 Una
 cosa
 è
 sostenere
 che
 ciascuno
 abbia
 il
 diritto
 di
<br />

controllare
il
trattamento
da
parte
di
altri
dei
propri
dati
personali
<br />

incluso
 il
 proprio
 nome
 e
 cognome
 e,
 dunque,
 anche
 di
 inibire
 a
<br />

terzi
 il
 trattamento
 ‐
 inteso
 come
 semplice
 acquisizione
 ‐
 di
 tali
<br />

dati
 mentre
 altra
 cosa
 è
 riconoscere
 a
 ciascuno
 il
 diritto
 di
 agire
<br />

senza
 assumersi
 alcuna
 responsabilità
 per
 le
 proprie
 condotte
<br />

legittimandolo
a
rimanere
nascosto
sotto
un
cappuccio.
<br />


 Qui
 il
 diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy
 o,
 forse,
 <strong>alla</strong>
 riservatezza
 deve
<br />

cedere
 il
 passo
 all'esigenza
 che
 l'Autorità
 applichi
 le
 regole
 che
<br />

ciascun
Ordinamento
secondo
dinamiche
‐
sfortunatamente
‐
più
o
<br />

meno
democratiche
si
da.
<br />


 Non
si
può
derivare
‐
come,
in
queste
ore,
fanno
in
molti
‐
<br />

un
principio
generale
da
un'eccezione.
<br />


 Mi
 rendo
 conto
 anche
 io
 che
 in
 taluni
 regimi
 e
 momenti
<br />

storici
 parlare
 in
 forma
 anonima
 può
 essere
 l'unico
 modo
 di
<br />

parlare
 ma
 per
 un
 blogger
 che
 così
 facendo
 viene
 posto
 in
<br />

condizione
 di
 raccontare
 la
 verità
 ci
 sono
 decine
 di
 migliaia
 di
<br />

pirati
e
criminali
che
indossano
lo
stesso
cappuccio
dell'anonimato
<br />

e
 pongono
 in
 essere
 condotte
 non
 meritevoli
 né
 di
 tutela
 né
 di
<br />

garanzia.
<br />


 Non
è
marciando
per
le
strade
di
una
città
a
volto
coperto
<br />

e
 con
 la
 certezza
 di
 non
 essere
 riconosciuti
 che
 ci
 si
 batte
 per
 la
<br />

democrazia
o,
almeno,
non
è
questo
che
insegna
la
storia.
<br />


 E',
 per
 questo,
 che
 pur
 essendo
 convinto
 che
 Internet
<br />

possa
contribuire
‐
più
di
quanto
non
abbia
già
fatto
sin
qui
‐
<strong>alla</strong>
<br />

democrazia
globale
‐
sono
ad
un
tempo
certo
che
la
strada
perché
<br />

ciò
avvenga
non
è
quella
di
rendere
anonimo
il
popolo
della
<strong>Rete</strong>
<br />

ma,
 al
 contrario,
 quella
 di
 dargli
 un'identità,
 di
 consentire
 a
<br />

ciascuno,
 in
 <strong>Rete</strong>,
 di
 affermare
 ed
 esprimere
 appieno
 al
 propria
<br />

personalità.
<br />

164




<br />


 La
 moltiplicazione
 dei
 blog,
 degli
 spazi
 di
 discussione,
 di
<br />

riviste
telematiche
"accessibili"
ad
un
pubblico
che,
sino
a
ieri,
non
<br />

poteva
ambire
ad
accedere
ai
media
tradizionali
per
far
conoscere
<br />

la
 propria
 opinione,
 gli
 strumenti
 di
 democrazia
 elettronica
 ‐
<br />

sfortunatamente
 ancora
 troppo
 poco
 utilizzati
 ‐
 il
 social
 web,
<br />

questa
 sono,
 a
 mio
 avviso,
 gli
 strumenti
 telematici
 che
 possono
<br />

affermare
la
democrazia
anche
dove
ancora
non
c'è.
<br />


 Blogger
più
o
meno
noti
hanno
già
costretto
politici
illustri

<br />

a
 giustificarsi,
 a
 chiedere
 scusa
 a
 cambiare
 strada,
 filmati
 diffusi
<br />

dagli
UGC
fanno
tremare
governi
e
regimi.
<br />


 L'anonimato
 assoluto
 non
 serve
 per
 affermare
 la
 libertà
<br />

anzi
esso
costituisce
una
sconfitta:
VOGLIO
poter
esercitare
i
miei
<br />

diritti
 di
 cittadino
 globale
 NONOSTANTE
 le
 mie
 opinioni
 e
 NON
<br />

VOGLIO
dovermi
NASCONDERE
per
esercitarle.
<br />


 Allo
 Stato,
 quindi,
 non
 chiedo
 di
 garantire
 il
 mio
<br />

anonimato
assoluto
ma,
semplicemente,
di
pormi
in
condizione
di
<br />

sentirmi
 libero
 in
 <strong>Rete</strong>
 e
 fuori
 d<strong>alla</strong>
 <strong>Rete</strong>
 anche
 ‐
 ed
 anzi
<br />

soprattutto
 ‐
 mentre
 affermo
 appieno
 la
 mia
 personalità
 come
<br />

inscindibile
 alchimia
 di
 convinzioni
 politiche,
 ideologiche
 e
<br />

religiose
ed
a
prescindere
da
ogni
considerazione
di
razza,
sesso
o
<br />

estrazione
sociale.
<br />


 Egalité
 era
 la
 parola
 che
 risuonava
 negli
 anni
 della
<br />

rivoluzione
francese
e
che
oggi
è
scritta
nelle
Carte
costituzionali
<br />

di
tutti
i
Paesi
che
ambiscono
a
definirsi
civili.
<br />


 Che
 bisogno
 ci
 sarebbe
 di
 sancire
 un
 DIRITTO
<br />

ALL'UGUAGLIANZA
se
tutti
fossimo
UGUALI
perché
coperti
da
uno
<br />

stesso
cappuccio?
<br />

165




<br />


<br />

6.
Web
privacy.
<br />

Contrappunti
digitali.
<br />

La
tecno
fobia
clicca
sempre
due
volte.
<br />

1°
agosto
2008
<br />

Punto
Informatico
<br />


<br />


 Il
 Garante
 per
 la
 tutela
 della
 privacy
 e
 della
 riservatezza
<br />

nelle
 scorse
 settimane
 ha
 avvertito
 che
 fisserà
 regole
 chiare
 e
<br />

piuttosto
 restrittive
 per
 lo
 sbarco
 in
 Italia
 del
 servizio
 Google
<br />

street
view:
oscuramento
del
volto
delle
persone,
mascheramento
<br />

delle
 targhe,
 non
 identificabilità
 dei
 comportamenti
 umani
 e,
<br />

infine,
adeguata
informazione
circa
le
riprese
in
corso
attraverso
le
<br />

Google
Car.
<br />


 Sto
 facendo
 un
 po’
 di
 zapping
 in
 TV:
 un
 servizio
 sulle
<br />

prime
code
ai
caselli
autostradali
per
l’esodo
estivo
e
un
altro
sulle
<br />

“domeniche
ecologiche”
nelle
principali
città
italiane
con
immagini
<br />

di
 repertorio,
 un
 programma
 di
 viaggi
 e
 turismo
 <strong>alla</strong>
 scoperta
 di
<br />

strade,
piazze
e
monumenti
delle
nostre
città
d’arte.
<br />


 Migliaia
 e
 migliaia
 di
 fotogrammi
 di
 targhe,
 volti
 di
<br />

persone
ben
visibili,
frammenti
di
vita
comune:
coppie
e
famiglie
<br />

in
 partenza
 per
 questa
 o
 quella
 località,
 anziani
 rimasti
 in
 città
 e
<br />

cittadini
 e
 stranieri
 a
 passeggio
 per
 le
 vie
 delle
 nostre
 città
 per
<br />

mano,
da
soli
o
piuttosto
abbracciati.
<br />


 Eppure
 io
 non
 ho
 mai
 visto
 la
 troupe
 di
 un’emittente
<br />

televisiva
 preceduta
 da
 un
 gobbo
 con
 la
 gigantografia
 di
<br />

un’informativa
sulla
privacy
o,
piuttosto,
le
immagini
di
viaggiatori
<br />

e
 passanti
 rese
 irriconoscibili
 attraverso
 accorgimenti
 digitali
 o,
<br />

magari,
 i
 numeri
 delle
 targhe
 dei
 veicoli
 in
 coda
 al
 casello
<br />

mascherati
elettronicamente.
<br />


 Perché
 in
 TV
 tutto
 va
 bene
 e
 nel
 web
 bisogna
 prestare
<br />

tanta
attenzione?
<br />


 Sul
web
certi
“fotogrammi”
diventano
“eterni”
mi
si
dirà
e,
<br />

dunque,
è
più
facile
che
un
utente
di
Google
street
view
riconosca
<br />

in
un’immagine
il
suo
vicino
di
casa
a
passeggio
con
la
moglie
di
<br />

quanto
non
lo
sia
in
un
servizio
televisivo
da
pochi
minuti.
<br />


 Ma
 basta
 una
 differenza
 “quantitativa”
 di
 questo
 genere
<br />

per
giustificare
una
risposta
giuridica
tanto
diversa
nei
due
casi?
<br />


 Il
Governo
propone
di
stampigliare
le
impronte
digitali
di
<br />

tutti
 i
 cittadini
 italiani
 sulle
 carte
 d’identità
 mettendo
 così
 in
<br />

circolazione
 su
 un
 supporto
 fisico
 un
 dato
 biometrico
 e,
 dunque,
<br />

un
frammento
unico
ed
irripetibile
dell’identità
di
ogni
individuo
e,
<br />

i
 più,
 rimangono
 a
 guardare
 non
 rendendosi
 conto
 o,
 più
<br />

probabilmente,
fingendo
di
non
rendersi
conto
che
così
facendo
si
<br />

166




<br />

espone
 ad
 un
 rischio
 incontrollabile
 la
 titolarità
 di
 uno
 dei
 dati
<br />

personali
 più
 preziosi
 per
 ciascuno
 di
 noi
 e
 si
 corre
 il
 rischio
 di
<br />

condannare
 qualcuno
 –
 per
 il
 fatto
 solo
 di
 aver
 perso
 la
 propria
<br />

carta
d’identità
–
a
fare
i
conti
vita
natural
durante
con
“un
altro
se
<br />

stesso”
in
giro
per
il
mondo.
<br />


 Ad
 un
 tempo,
 però,
 preoccupazioni
 legate
 <strong>alla</strong>
 necessaria
<br />

tutela
 della
 privacy
 e
 dell’identità
 personale
 hanno
 precluso
 di
<br />

utilizzare
i
dati
biometrici
per
l’attivazione
dei
dispositivi
di
firma
<br />

digitale.
<br />


 La
 biometria,
 infatti,
 avrebbe
 consentito
 di
 “attaccare”
 il
<br />

dispositivo
di
firma
al
braccio
dell’individuo
e
di
ricreare
così
nel
<br />

mutato
 contesto
 tecnologico
 la
 medesima
 situazione
 fattuale
<br />

caratteristica
della
sottoscrizione
autografa.
<br />


 L’aver
accantonato
tale
eventualità
ha
fatto
si
che,
oggi,
ci
<br />

si
debba
accontentare
di
una
semplice
presunzione
legale:
quella
<br />

secondo
 cui
 il
 dispositivo
 deve
 ritenersi
 utilizzato,
 salvo
 prova
<br />

contraria,
dal
suo
titolare.
<br />


 Difficile,
 ancora
 una
 volta,
 resistere
 dal
 domandarsi
 il
<br />

perché
di
tante
preoccupazioni
–
probabilmente
corrette
–
quando
<br />

si
 parla
 di
 bit
 e
 di
 tanta
 “leggerezza”
 quando
 si
 tratta
 del
 mondo
<br />

degli
atomi.
<br />


 Qualche
 mese
 fa,
 come
 ricorderanno
 i
 lettori
 di
 Punto
<br />

Informatico,
 ha
 fatto
 scalpore
 la
 decisione
 dell’Agenzia
 delle
<br />

entrate
 di
 pubblicare
 on‐line
 i
 dati
 relativi
 ai
 redditi
 dei
<br />

contribuenti
italiani.
<br />


 L’Agenzia,
come
tempestivamente
accertò
il
Garante
per
la
<br />

privacy,
 aveva
 sbagliato
 e
 violato
 la
 disciplina
 vigente
 a
 tutela,
<br />

appunto,
della
privacy
e
della
riservatezza.
<br />


 D’accordo,
 ma
 quei
 dati
 erano
 pubblici
 ed
 avrebbero
<br />

dovuto
 essere
 resi
 accessibili
 –
 magari
 con
 modalità
 tecniche
<br />

diverse
 e
 meno
 “generaliste”
 –
 anche
 attraverso
 gli
 strumenti
<br />

telematici.
<br />


 E’
bastato
paventare
l’eventualità
che
in
futuro
ciò
avrebbe
<br />

potuto
accadere
perché
il
Palazzo
–
dopo
aver
lasciato
la
disciplina
<br />

di
 riferimento
 eguale
 a
 se
 stessa
 per
 oltre
 un
 trentennio
 –
 si
<br />

determinasse
 ad
 agire
 d’urgenza
 modificando
 radicalmente
 ‐
<br />

attraverso
 l’art.
 42
 del
 Decreto
 Legge
 n.
 112/2008
 (avente
 ad
<br />

oggetto
 “Disposizioni
 urgenti
 per
 lo
 sviluppo
 economico,
 la
<br />

semplificazione,
 la
 competitività,
 la
 stabilizzazione
 della
 finanza
<br />

pubblica
e
la
perequazione
Tributaria“)
–
il
regime
di
pubblicità
di
<br />

quei
 dati
 e
 precludendone
 in
 modo
 pressoché
 assoluto
 la
<br />

comunicazione
e
diffusione.
<br />


 Il
 legislatore,
 dunque,
 non
 ha
 dettato
 così
 come
 sarebbe
<br />

stato
 lecito
 attendersi
 nuove
 modalità
 per
 l’accesso
 attraverso
 i
<br />

nuovi
strumenti
telematici
di
quei
dati
da
parte
dei
cittadini
ma
ha,
<br />

167




<br />

piuttosto,
 preferito
 sottrarli
 quanto
 più
 possibile
 dal
 mondo
 dei
<br />

bit.
<br />


 Ancora
un
esempio
prima
di
trarre
qualche
conclusione.
<br />


 La
 dichiarazione
 universale
 dei
 diritti
 dell’uomo
 e
 del
<br />

cittadino,
la
nostra
costituzione
e
quella
di
centinaia
di
altri
Paesi,
<br />

Leggi,
Giudici
e
sentenze
–
sebbene
con
intensità
e
determinazione
<br />

diversa
 a
 seconda
 di
 regimi
 ed
 epoche
 storiche
 –
 ricordano
 da
<br />

decenni
 che
 la
 libertà
 di
 manifestazione
 del
 pensiero
 costituisce
<br />

una
pietra
angolare
di
ogni
ordinamento
democratico
e
che
il
suo
<br />

esercizio
deve
essere
garantito
ad
ogni
cittadino,
tra
l’altro,
quale
<br />

insopprimibile
strumento
di
affermazione
ed
estrinsecazione
della
<br />

propria
personalità.
<br />


 La
 limitatezza
 dei
 canali
 di
 accesso
 ai
 media
 ha,
 tuttavia,
<br />

sino
 a
 ieri
 inesorabilmente
 compresso
 il
 pieno
 esercizio
 di
 tale
<br />

libertà
da
parte
dei
più
consegnando
l’informazione
nelle
mani
di
<br />

pochi.
<br />


 Oggi,
finalmente,
esiste
un
media
ontologicamente
diverso
<br />

da
 tutti
 quelli
 che
 l’hanno
 preceduto
 e,
 per
 questo,
 in
 grado
 di
<br />

offrire
 a
 chiunque
 –
 o
 almeno
 a
 quanti
 hanno
 la
 fortuna
 di
<br />

appartenere
<strong>alla</strong>
c.d
società
dei
2/3
ovvero
degli
“intrerconnessi”
–
<br />

la
possibilità
di
esercitare
tale
libertà.
<br />


 In
 tale
 contesto
 dalle
 leggi,
 dai
 politici
 e
 dai
 giudici
 ci
 si
<br />

sarebbe
 attesi
 una
 convinta
 difesa
 dei
 nuovi
 canali
 di
 esercizio
<br />

della
 libertà
 di
 manifestazione
 del
 pensiero:
 nessuna
 deroga
 ai
<br />

principi
generali
secondo
cui
l’esercizio
di
ogni
libertà
deve
finire
<br />

laddove
rischia
di
ledere
quella
altrui
e
chiunque
deve
rispondere
<br />

delle
 conseguenze
 delle
 proprie
 condotte
 ma,
 ad
 un
 tempo,
<br />

nessuna
 limitazione
 all’esercizio
 di
 tale
 libertà
 in
 nome
 di
 regole
<br />

vecchie
e
superate
d<strong>alla</strong>
tecnologia.
<br />


 Ma
il
mondo
dei
bit,
ancora,
una
volta
ha
dato
vita
ad
una
<br />

reazione
difficilmente
spiegabile.
<br />


 Blogger
 condannati
 per
 stampa
 clandestina
 senza
 che
<br />

nessuno
 abbia
 mai
 loro
 imposto
 alcuna
 registrazione,
 Blog
<br />

sequestrati
 per
 aver
 ospitato
 quello
 che
 era
 già
 stato
 scritto
 su
<br />

quotidiani
senza
che
nulla
del
genere
accadesse
e,
per
finire,
il
più
<br />

grande
 UGC
 del
 mondo
 sul
 banco
 degli
 imputati
 per
 non
 aver
<br />

impedito
 –
 senza
 che
 nessuna
 norma
 glielo
 imponesse
 ed
 in
 una
<br />

condizione
 di
 oggettiva
 impossibilità
 tecnologica
 –
 che
 qualche
<br />

ragazzino
 postasse,
 tra
 milioni
 di
 video,
 anche
 un
 filmatino
<br />

realizzato
con
un
videofonino
che
non
avrebbe
mai
dovuto
essere
<br />

diffuso
 perché
 racconta
 una
 scena
 di
 vita
 triste
 ma
<br />

drammaticamente
autentica
consumatasi
in
un’aula
scolastica.
<br />


 C’è
un
filo
comune
che
corre
lungo
questi
episodi
e
c’è
un
<br />

analogo
preoccupante
modo
di
guardare
al
futuro
che
li
collega.
<br />

168




<br />


 Non
 so
 dire
 cosa
 sia
 ma,
 a
 me
 sembra,
 possa
 parlarsi
 di
<br />

tecno‐fobia
 o
 schizofrenia
 legislativa
 o,
 forse,
 più
 semplicemente
<br />

scarsa
 consapevolezza
 del
 nuovo
 mondo
 che,
 questa
 volta,
 non
 è
<br />

dall’altra
parte
dell’oceano
ma
lontano
solo
pochi
click
dai
nostri
<br />

Parlamenti
e
dalle
aule
di
giustizia.
<br />


<br />

Redditi
on­line:
l’incertezza
del
diritto.
<br />

2
maggio
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=291
<br />


<br />


 Si
 è
 scritto
 molto
 nelle
 ultime
 ora
 circa
 l'ormai
 nota
<br />

vicenda
della
pubblicazione
sul
sito
dell'Agenzia
delle
Entrate
dei
<br />

redditi
 di
 tutti
 i
 cittadini
 italiani
 e
 si
 è
 da
 più
 parti
 gridato
 allo
<br />

scandalo
 in
 relazione
 <strong>alla</strong>
 scelta
 del
 vice‐ministro
 uscente
 di
<br />

rendere,
 d'un
 colpo,
 accessibile
 il
 database
 dell'Agenzia
 delle
<br />

Entrate 59.
<br />


 E'
ovvio
che
quanto
accaduto
è
suscettibile
di
due
diversi
<br />

livelli
di
lettura:
uno
politico
ed
uno
strettamente
giuridico.
<br />


 Politicamente
 ci
 si
 deve
 chiedere
 se
 si
 è
 trattato
 di
 una
<br />

scelta
opportuna
o,
piuttosto,
inopportuna.
<br />


 Non
 ho
 competenze
 o
 strumenti
 per
 rispondere
 a
 questa
<br />

domanda
e,
quindi,
non
posso
che
esprimere
il
mio
pensiero
come
<br />

hanno
 fatto
 già
 in
 molti:
 ci
 sono
 milioni
 di
 dati
 in
 possesso
 della
<br />

nostra
 Pubblica
 Amministrazione
 che
 sarebbe
 più
 importante
<br />

rendere
accessibili
ai
cittadini
ma,
sin
qui,
nessuno
ha
mai
pensato
<br />

di
 metterli
 on‐line…penso,
 ad
 esempio,
 ai
 segreti
 di
 Stato
 sulle
<br />

stragi
di
Stato
ed
ai
parenti
delle
vittime
che
da
decenni
chiedono,
<br />

almeno,
di
conoscere
il
perché
di
tanto
dolore…
<br />


 La
pubblicazione
dei
redditi
degli
italiani,
in
confronto,
mi
<br />

sembra
 un
 inutile
 esercizio
 voyeristico
 le
 cui
 conseguenze
<br />

pratiche,
peraltro,
appaiono
difficili
da
valutare.
<br />


 Credo,
 in
 ogni
 caso,
 che
 una
 decisione
 ‐
 opportuna
 o
<br />

inopportuna
che
fosse
‐
tanto
nuova
non
andasse
presa
mentre
il
<br />

vice‐ministro
si
avviava
a
passare
il
testimone
al
suo
successore.
<br />


 Giuridicamente,
la
questione,
è
diversa
e,
a
differenza
delle
<br />

valutazioni
 politiche,
 può
 e
 deve
 essere
 ancorata
 a
 ragionamenti
<br />

ed
elementi
certi,
puntuali
ed
inequivoci.
<br />


 Sfortunatamente,
tuttavia,
sin
qui
non
è
stato
così.
<br />

























































<br />

59 
Il
provvedimento
con
il
quale
è
stata
disposta
la
pubblicazione
delle
dichiarazioni
<br />

dei
 redditi
 2005
 è
 disponibile
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.giurdanella.net/file_sito/agenzia_entrate_5308.pdf
<br />

169




<br />


 L'intervento
 del
 Garante
 per
 la
 privacy
 sebbene
<br />

ineccepibile
 sotto
 il
 profilo
 della
 tempestività
 è
 stato
<br />

approssimativo
e
poco
puntuale
sotto
quello
dei
contenuti 60.
<br />

























































<br />

60 
Il
testo
del
provvedimento
di
inibitoria
pronunciato
dal
Garante
per
la
tutela
dei
<br />

dati
personali
il
30
aprile
2008:
<br />

Pubblicazione
 Internet
 degli
 elenchi
 dei
 contribuenti
 da
 parte
 dell'Agenzia
 delle
<br />

entrate
‐
30
aprile
2008
<br />

IL
GARANTE
PER
LA
PROTEZIONE
DEI
DATI
PERSONALI
<br />

Nella
riunione
odierna,
in
presenza
del
prof.
Francesco
Pizzetti,
presidente,
del
dott.
<br />

Giuseppe
Chiaravalloti,
vicepresidente,
del
dott.
Mauro
Paissan
e
del
dott.
Giuseppe
<br />

Fortunato,
componenti
e
del
dott.
Giovanni
Buttarelli,
segretario
generale;
<br />

VISTO
il
Codice
in
materia
di
protezione
dei
dati
personali
(d.lg.
30
giugno
2003,
n.
<br />

196);
<br />

VISTO
 l'art.
 69
 del
 d.P.R.
 29
 settembre
 1973,
 n.
 600,
 come
 modificato
 dall'art.
 19
<br />

della
legge
30
dicembre
1991,
n.
413,
che
disciplina
la
pubblicazione
degli
elenchi
<br />

dei
contribuenti;
<br />

VISTO
 che
 il
 predetto
 art.
 69,
 comma
 6,
 prevede,
 ai
 fini
 della
 consultazione
 dei
<br />

predetti
 elenchi,
 il
 loro
 deposito,
 per
 la
 durata
 di
 un
 anno,
 sia
 presso
 l'ufficio
<br />

dell'amministrazione
finanziaria,
sia
presso
i
comuni
interessati;
<br />

RILEVATO
 che
 il
 provvedimento
 del
 Direttore
 dell'Agenzia
 delle
 entrate
 del
 5
<br />

marzo
 2008,
 che
 individua
 le
 modalità
 e
 i
 termini
 di
 formazione
 degli
 elenchi
<br />

relativi
all'anno
di
imposta
2005,
ha
disposto
una
diversa
modalità
di
pubblicazione
<br />

di
 tali
 elenchi
 in
 un'apposita
 sezione
 del
 sito
 internet
<br />

http://www.agenziaentrate.gov.it;
<br />

RILEVATO
altresì
che
tali
elenchi,
suddivisi
in
relazione
agli
uffici
dell'Agenzia
delle
<br />

entrate
 territorialmente
 competenti,
 sono
 liberamente
 consultabili
 anche
 con
 la
<br />

possibilità
di
salvarne
una
copia
con
funzioni
di
trasferimento
file;
<br />

CONSIDERATO
che
il
citato
art.
69,
come
già
rilevato
più
volte
da
questa
Autorità,
<br />

costituisce,
 ai
 sensi
 dell'art.
 19,
 comma
 3,
 del
 Codice,
 la
 base
 giuridica
 per
<br />

pubblicare
 elenchi
 dei
 contribuenti,
 recando
 "una
 precisa
 scelta
 normativa
 di
<br />

consultabilità
da
parte
di
chiunque
di
determinate
fonti"
"operata
per
favorire
una
<br />

trasparenza
in
materia
di
dati
raccolti
d<strong>alla</strong>
pubblica
amministrazione
attraverso
le
<br />

dichiarazioni
fiscali"
(v.
Provv.
17
gennaio
2001,
doc.
web
n.
41031,
Provv.
2
luglio
<br />

2003,
doc.
web.
n.
1081728,
nonché
Provv.
18
ottobre
2007,
doc.
web.
n.
1454901);
<br />

RILEVATO
 che,
 "come
 è
 desumibile
 dai
 numerosi
 pronunciamenti
 di
 questa
<br />

Autorità
 in
 materia
 di
 trasparenza,
 non
 vi
 è
 incompatibilità
 tra
 la
 protezione
 dei
<br />

dati
 personali
 e
 determinate
 forme
 di
 pubblicità
 di
 dati
 previste
 per
 finalità
 di
<br />

interesse
pubblico
 o
 della
 collettività"
 (v.,
in
 particolare,
 Provv.
 del
 2
 luglio
 2003,
<br />

cit.);
<br />


<br />

CONSIDERATO
 tuttavia
 che
 il
 legislatore
 ha
 demandato
 all'Amministrazione
<br />

finanziaria
 esclusivamente
 il
 compito
 di
 formare
 annualmente
 gli
 elenchi
 dei
<br />

contribuenti
e
che
il
regime
di
pubblicità
è
invece
direttamente
prescritto
per
legge
<br />

(art.
69,
comma
6,
cit.);
<br />

RILEVATO
che,
all'esito
di
una
preliminare
verifica
effettuata
da
questa
Autorità,
la
<br />

pubblicazione
 dei
 predetti
 elenchi
 attraverso
 il
 sito
 web
<br />

http://www.agenziaentrate.gov.it
risulta
allo
stato
non
conforme
<strong>alla</strong>
normativa
di
<br />

settore;
<br />

CONSIDERATO
 che
 il
 Garante,
 ai
 sensi
 degli
 artt.
 143,
 comma
 1,
 lett.
 c)
 e
 154,
<br />

comma
1,
lett.
a)
e
d)
del
Codice,
può,
anche
d'ufficio,
disporre
il
blocco
e
adottare
<br />

altri
 provvedimenti
 previsti
 d<strong>alla</strong>
 disciplina
 applicabile
 al
 trattamento
 dei
 dati
<br />

personali;
<br />

170




<br />


 La
 questione,
 peraltro,
 non
 era
 nuova
 all'Ufficio
 del
<br />

Garante
che
l'aveva
già
affrontata
in
diverse
precedenti
occasioni
<br />

giungendo,
 peraltro,
 a
 conclusioni
 parzialmente
 differenti
 da
<br />

quella
cui
è
giunto
nel
provvedimento
del
30
aprile 61.
<br />


 Il
 punto
 è
 questo:
 la
 disciplina
 fiscale
 (art.
 69
 del
 D.P.R.
<br />

600/1973)
 prevede
 un
 regime
 di
 pubblicità
 per
 i
 dati
 relativi
 ai
<br />

redditi
 dei
 contribuenti
 italiani,
 stabilendone,
 altresì
 termini
 e
<br />

modalità
di
comunicazione
e
diffusione
al
pubblico 62.
<br />

























































<br />

RILEVATA
 la
 necessità
 di
 chiedere
 ulteriori
 chiarimenti
 e
 di
 invitare
 in
 via
<br />

d'urgenza
l'Agenzia
a
sospendere
nel
frattempo
la
pubblicazione
dei
dati
personali
<br />

contenuti
 negli
 elenchi
 dei
 contribuenti
 sopra
 menzionati
 tramite
 il
 sito
 web
<br />

http://www.agenziaentrate.gov.it,
 nelle
 more
 della
 definizione
 degli
 ulteriori
<br />

accertamenti
da
parte
di
questa
Autorità;
<br />

RISERVATA

la
formulazione
in
altra
sede
di
un
invito
ai
mezzi
di
informazione
a
<br />

non
 divulgare
 i
 dati
 estratti
 dagli
 elenchi
 resi
 disponibili
 in
 Internet
 dall'Agenzia
<br />

con
le
predette
modalità;
<br />

VISTA
la
documentazione
in
atti;
<br />

VISTE
le
osservazioni
dell'Ufficio,
formulate
dal
segretario
generale
ai
sensi
dell'art.
<br />

15
del
regolamento
del
Garante
n.
1/2000
del
28
giugno
2000;
<br />

Relatore
il
prof.
Francesco
Pizzetti;
<br />

TUTTO
CIÒ
PREMESSO
IL
GARANTE
<br />





ai
sensi
dell'art.
154,
comma
1,
lett.
d),
del
Codice,
chiede
ulteriori
chiarimenti
e
<br />

invita
 l'Agenzia
 delle
 entrate
 a
 sospendere
 nel
 frattempo
 la
 pubblicazione
 degli
<br />

elenchi
dei
contribuenti
tramite
il
sito
web
http://www.agenziaentrate.gov.it.
<br />

61 
I
precedenti
provvedimenti
del
Garante
sono
richiamati
nel
provvedimento
<br />

riportato
nella
nota
precedente.
<br />

62 
Questa
la
normativa
di
riferimento:
<br />

Dpr
600
del
1973
<br />

Articolo
69
<br />

Pubblicazione
degli
elenchi
dei
contribuenti.
<br />

1.
Il
Ministro
delle
finanze
dispone
annualmente
la
pubblicazione
degli
elenchi
dei
<br />

contribuenti
 il
 cui
 reddito
 imponibile
 è
 stato
 accertato
 dagli
 uffici
 delle
 imposte
<br />

dirette
 e
 di
 quelli
 sottoposti
 a
 controlli
 globali
 a
 sorteggio
 a
 norma
 delle
 vigenti
<br />

disposizioni
nell'ambito
dell'attività
di
programmazione
svolta
dagli
uffici
nell'anno
<br />

precedente.
<br />

2.
 Negli
 elenchi
 deve
 essere
 specificato
 se
 gli
 accertamenti
 sono
 definitivi
 o
 in
<br />

contestazione
 e
 devono
 essere
 indicati,
 in
 caso
 di
 rettifica,
 anche
 gli
 imponibili
<br />

dichiarati
dai
contribuenti.
<br />

3.
 Negli
 elenchi
 sono
 compresi
 tutti
 i
 contribuenti
 che
 non
 hanno
 presentato
 la
<br />

dichiarazione
dei
redditi,
nonché
i
contribuenti
nei
cui
confronti
sia
stato
accertato
<br />

un
 maggior
 reddito
 imponibile
 superiore
 a
 euro
 5.164,57
 e
 al
 20
 per
 cento
 del
<br />

reddito
dichiarato,
o
in
ogni
caso
un
maggior
reddito
imponibile
superiore
a
euro
<br />

25.822,84.
<br />

4.
 Il
 centro
 informativo
 delle
 imposte
 dirette,
 entro
 il
 31
 dicembre
 dell'anno
<br />

successivo
 a
 quello
 di
 presentazione
 delle
 dichiarazioni
 dei
 redditi,
 forma,
 per
<br />

ciascun
comune,
i
seguenti
elenchi
nominativi
da
distribuire
agli
uffici
delle
imposte
<br />

territorialmente
competenti:
<br />

a)
 elenco
 nominativo
 dei
 contribuenti
 che
 hanno
 presentato
 la
 dichiarazione
 dei
<br />

redditi;
<br />

b)
 elenco
 nominativo
 dei
 soggetti
 che
 esercitano
 imprese
 commerciali,
 arti
 e
<br />

professioni.
<br />

171




<br />


 E'
 innegabile
 che
 la
 pubblicazione
 on‐line
 costituisca
 una
<br />

modalità
 di
 diffusione
 non
 conforme
 <strong>alla</strong>
 citata
 disposizione
 di
<br />

legge
 con
 la
 conseguenza
 che,
 <strong>alla</strong>
 stregua
 di
 quanto
 previsto
<br />

dall'art.
19
del
codice
privacy,
essa
deve
considerarsi
illecita.
<br />


 Il
 Garante,
 pertanto,
 avrebbe
 dovuto
 pronunciarsi
 con
<br />

maggior
 perentorietà
 e,
 anziché,
 limitarsi
 ad
 "invitare",
 inibire
<br />

all'Agenzia
 delle
 Entrate
 la
 prosecuzione
 del
 trattamento
<br />

(diffusione).
<br />


 Non
mi
sembra,
infatti,
che
la
questione
richieda
maggior
<br />

approfondimento.
<br />


 Il
problema,
tuttavia,
dal
punto
di
vista
giuridico,
ora,
è
un
<br />

altro:
centinaia
di
migliaia
di
persone
hanno
avuto
accesso
‐
nelle
<br />

poche
ore
in
cui
ciò
è
stato
possibile
‐
ai
dati
relativi
al
reddito
dei
<br />

contribuenti
italiani.
<br />


 Mentre
 vi
 scrivo
 sto
 scaricando
 via
 p2p
 centinaia
 di
 file
<br />

contenenti
tali
dati
e
non
sono,
evidentemente,
il
solo…
<br />

























































<br />

5.
 Con
 apposito
 decreto
 del
 Ministro
 delle
 finanze
 sono
 annualmente
 stabiliti
 i
<br />

termini
e
le
modalità
per
la
formazione
degli
elenchi
di
cui
al
comma
4.
<br />

6.
Gli
elenchi
sono
depositati
per
la
durata
di
un
anno,
ai
fini
della
consultazione
da
<br />

parte
 di
 chiunque,
 sia
 presso
 lo
 stesso
 ufficio
 delle
 imposte
 sia
 presso
 i
 comuni
<br />

interessati.
Per
la
consultazione
non
sono
dovuti
i
tributi
speciali
di
cui
al
D.P.R.
26
<br />

ottobre
1972,
n.
648.
<br />

7.
 Ai
 comuni
 che
 dispongono
 di
 apparecchiature
 informatiche,
 i
 dati
 potranno
<br />

essere
trasmessi
su
supporto
magnetico
ovvero
mediante
sistemi
telematici.
<br />

Dpr
633
del
1972
<br />

Articolo
66
Bis
<br />

Pubblicazione
degli
elenchi
di
contribuenti.
<br />

Il
 Ministro
 delle
 finanze
 dispone
 annualmente
 la
 pubblicazione
 di
 elenchi
 di
<br />

contribuenti
nei
cui
confronti
l'ufficio
dell'imposta
sul
valore
aggiunto
ha
proceduto
<br />

a
 rettifica
 o
 ad
 accertamento
 ai
 sensi
 degli
 articoli
 54
 e
 55.
 Sono
 ricompresi
<br />

nell'elenco
 solo
 quei
 contribuenti
 che
 non
 hanno
 presentato
 la
 dichiarazione
<br />

annuale
 e
 quelli
 d<strong>alla</strong>
 cui
 dichiarazione
 risulta
 un'imposta
 inferiore
 di
 oltre
 un
<br />

decimo
a
quella
dovuta
ovvero
un'eccedenza
detraibile
o
rimborsabile
superiore
di
<br />

oltre
 un
 decimo
 a
 quella
 spettante.
 Negli
 elenchi
 deve
 essere
 specificato
 se
 gli
<br />

accertamenti
 sono
 definitivi
 o
 in
 contestazione
 e
 deve
 essere
 indicato,
 in
 caso
 di
<br />

rettifica,
anche
il
volume
di
affari
dichiarato
dai
contribuenti.
<br />

Gli
 uffici
 dell'imposta
 sul
 valore
 aggiunto
 formano
 e
 pubblicano
 annualmente
 per
<br />

ciascuna
provincia
compresa
nella
propria
circoscrizione
un
elenco
nominativo
dei
<br />

contribuenti
che
hanno
presentato
la
dichiarazione
annuale
ai
fini
dell'imposta
sul
<br />

valore
aggiunto,
con
la
specificazione,
per
ognuno,
del
volume
di
affari.
Gli
elenchi
<br />

sono
in
ogni
caso
depositati
per
la
durata
di
un
anno,
ai
fini
della
consultazione
da
<br />

parte
 di
 chiunque,
 sia
 presso
 l'ufficio
 che
 ha
 proceduto
 <strong>alla</strong>
 loro
 formazione,
 sia
<br />

presso
i
comuni
interessati.
Per
la
consultazione
non
sono
dovuti
i
tributi
speciali
di
<br />

cui
al
decreto
del
Presidente
della
Repubblica
26
ottobre
1972,
n.
648.
<br />

Gli
stessi
uffici
pubblicano,
inoltre,
un
elenco
cronologico
contenente
i
nominativi
<br />

dei
contribuenti
che
hanno
richiesto
i
rimborsi
dell'imposta
sul
valore
aggiunto
e
di
<br />

quelli
che
li
hanno
ottenuti.
<br />

172




<br />


 Che
 potrò
 o
 dovrò
 farne?
 E
 cosa
 dovranno
 farne
 quanti,
<br />

prima
di
me,
li
hanno
scaricati
direttamente
dal
sito
delle
Agenzie
<br />

delle
entrate?
<br />


 Su
molti
quotidiani
on‐line
e
su
migliaia
di
siti,
oggi,
sono
<br />

snocciolati,
comunicati,
diffusi
e
commentati
questi
dati.
E'
lecito?

<br />


 La
legge
‐
quella
fiscale
intendo
‐
non
lo
dice
ed
il
Garante
<br />

dela
privacy
ha
sin
qui
taciuto.
<br />


 La
 mia
 personale
 opinione
 è
 che
 la
 pubblicazione
 via
<br />

internet
di
tali
dati,
allo
stato,
debba
essere
considerata
illecita
in
<br />

quanto
non
"coperta"
da
alcuna
disposizione
di
legge
e
relativa
a
<br />

dati
di
cui
‐
sebbene
attraverso
il
provvedimento
interlocutorio
del
<br />

30
aprile
‐
il
Garante
ha
vietato
la
diffusione
on‐line.

<br />


 E'
 ovvio,
 tuttavia,
 che
 occorre
 una
 regola
 ‐
 ex
 lege
 o
<br />

attraverso
 un
 provvedimento
 del
 Garante
 ‐
 chiara
 ed
 universale
<br />

altrimenti,
 nei
 prossimi
 mesi,
 sui
 giornali,
 in
 televisione,
 in
 <strong>Rete</strong>,
<br />

nei
tribunali
e
nell'ambito
dei
più
diversi
rapporti
tra
privati
questi
<br />

dati
verranno
continuamente
utilizzati
e
ci
ritroveremo,
ogni
volta,
<br />

a
 chiederci
 se
 ed
 in
 che
 limiti
 tali
 dati
 possono
 essere
 archiviati,
<br />

comunicati
o,
piuttosto,
diffusi.
<br />


 Questo
 è
 il
 problema
 oggi
 sul
 tavolo
 ed
 è
 un
 problema
<br />

serio
che
va
risolto
ed
affrontato
senza
perder
tempo
a
riflettere
su
<br />

ciò
che
è
accaduto
in
quella
‐
benedetta
o
maledetta
‐
mattina
del
<br />

30
aprile…
<br />


 Che
ne
pensate?
<br />


<br />

Redditi
on­line:
attenti
alle
cure
più
dannose
del
male.
<br />

4
maggio
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=292
<br />


<br />


 L'errore
 ‐
 possiamo
 chiamarlo
 così,
 quale
 che
 sarà
 la
<br />

qualificazione
 giuridica
 che
 al
 fatto
 daranno
 nelle
 prossime
 ore
<br />

l'Autorità
Garante
e
la
Magistratura
‐
commesso
dall'Agenzia
delle
<br />

Entrate
 il
 30
 aprile
 ha
 generato
 reazioni
 incontrollate
 ed
<br />

incontrollabili
 che
 anziché
 spegnere
 l'incendio
 lo
 stanno
<br />

alimentando.
<br />


 La
cura
proposta
rischia,
però,
di
risultare
più
dannosa
del
<br />

male.
<br />


 E'
pacifico,
ormai,
che
l'Agenzia
delle
Entrate
non
avrebbe
<br />

dovuto
procedere
<strong>alla</strong>
pubblicazione
via
internet
dei
redditi
dei
38
<br />

milioni
 di
 contribuenti
 italiani
 ma
 da
 qui
 a
 parlare
 di
 richieste
<br />

risarcitorie
 mulitimiliardarie
 e
 di
 sequestri
 nelle
 case
 delle
<br />

centinaia
 di
 migliaia
 di
 utenti
 che
 nella
 mattinata
 del
 30
 aprile
<br />

hanno
 scaricato
 sui
 propri
 PC
 i
 dati
 resi
 disponibili
 dallo
 Stato
 il
<br />

passo
è
lungo.
<br />

173




<br />


 Una
 richiesta
 risarcitoria
 di
 520
 Euro
 per
 ogni
<br />

contribuente
che
si
è
visto
pubblicare
on‐line
il
proprio
reddito
per
<br />

un
 totale
 di
 20
 miliardi
 di
 euro
 è,
 probabilmente,
 un
 buon
 claim
<br />

pubblicitario
 ed
 un
 eccezionale
 titolo
 ad
 effetto
 per
 chiunque
 sia
<br />

<strong>alla</strong>
 ricerca
 di
 facile
 notorietà
 ma
 non
 ha,
 evidentemente,
 alcun
<br />

fondamento
giuridico.
<br />


 Quale
sarebbe
il
danno
sofferto
da
ciascuno
dei
38
milioni
<br />

di
contribuenti
italiani
per
il
solo
fatto
dell'avvenuta
pubblicazione
<br />

del
 proprio
 reddito
 relativo
 al
 2005?
 Quale
 il
 criterio
 di
<br />

determinazione
 della
 misura
 del
 risarcimento?
 Chi
 l'ha
 detto
 che
<br />

tutti
i
contribuenti
italiani
sono
contrari
<strong>alla</strong>
pubblicazione
on‐line
<br />

dei
propri
redditi
e
determinati,
pertanto
‐
ammesso
anche
che
ne
<br />

sussistessero
i
presupposti
‐
ad
agire
per
il
risarcimento
dei
danni
<br />

sofferti?
<br />


 Tanto
 per
 cominciare
 il
 68%
 degli
 oltre
 100
 mila
 italiani
<br />

che
 hanno,
 sin
 qui,
 risposto
 al
 sondaggio
 promosso
 da
<br />

Repubblica.it
 ha
 mostrato
 di
 condividere
 la
 scelta
 dell'Agenzia
<br />

delle
Entrate 63.
<br />

68
 mila
 contribuenti
 X
 520
 Euro
 =
 35.360.000
 Euro.
 Briciole
 in
<br />

confronto
<strong>alla</strong>
richiesta
risarcitoria
di
20
miliardi
che
si
vorrebbe
<br />

avanzare
ma
briciole
significative
del
fatto
che
non
ci
si
può
ergere
<br />

a
"rappresentanti"
di
tutti
ed
interpreti
della
volontà
popolare
con
<br />

tanta
leggerezza.
<br />


 E'
 fuor
 di
 dubbio
 che
 quanto
 accaduto
 sia
 un
 fatto
 grave
<br />

ma
proprio
tale
gravità
dovrebbe
spingere
tutti
a
contribuire,
con
<br />

responsabilità
ed
equilibrio
<strong>alla</strong>
ricerca
di
una
soluzione
piuttosto
<br />

che
<strong>alla</strong>
solita
italica
corsa
all'aggiudicazione
di
effimera
notorietà
<br />

mediatica.
<br />


 Ieri
è
stato
quel
che
è
stato
e
nessuno
ricondurrà
mai
più
i
<br />

dati
relativi
al
reddito
2005
dei
contribuenti
italiani
nelle
segrete
<br />

camere
 dell'Agenzia
 delle
 Entrate
 né
 in
 quelle
 ‐
 invero
 meno
<br />

segrete
 ‐
 dei
 Comuni
 ma,
 domani,
 è
 un
 altro
 giorno
 ed
 è
 urgente
<br />

individuare
una
soluzione
idonea
a
prevenire
prevedibili
abusi
di
<br />

tali
 dati
 e,
 soprattutto,
 a
 distinguere
 l'abuso
 dall'uso
 lecito
 che
<br />

degli
stessi
dati
i
cittadini
hanno
il
diritto
di
fare.
<br />


 La
legge
(art.
69
D.P.R.
600/1973)
riconosce
a
chiunque
il
<br />

diritto
 di
 accedere
 ai
 dati
 relativi
 al
 reddito
 dei
 contribuenti
<br />

italiani
 a
 prescindere
 da
 qualsivoglia
 valutazione
 circa
 la
<br />

meritevolezza
dell'interesse
che
spinge
il
singolo
all'accesso.
<br />

























































<br />

63 
I
risultati
aggiornati
del
sondaggio
condotto
da
La
Repubblica
sono
pubblicati
a
<br />

questa
 URL:
<br />

http://www.repubblica.it/speciale/poll/2008/economia/contionline_risultato.htm<br />

l
<br />

174




<br />

La
detenzione
di
tali
dati
‐
a
condizione,
ovviamente,
che
non
se
ne
<br />

faccia
 un
 uso
 illecito
 ‐
 è,
 dunque,
 da
 ritenersi
 perfettamente
<br />

conforme
 <strong>alla</strong>
 disciplina
 vigente
 senza
 che,
 in
 senso
 contrario,
<br />

possa
 valere
 un
 criterio
 quantitativo
 secondo
 il
 quale
 ritenere
<br />

lecita
la
detenzione
di
un
modesto
quantitativo
di
dati
ed
illecita
la
<br />

detenzione
della
totalità.
<br />


 Mi
riesce
difficile
qualificare
come
illecita
la
raccolta
di
tali
<br />

dati
 effettuata
 dai
 cittadini
 italiani
 attraverso
 il
 sito
 dell'Agenzia
<br />

delle
 Entrate
 e,
 in
 ogni
 caso,
 mi
 sembra
 irragionevole
 ordinare
 a
<br />

quanti
 hanno
 scaricato
 tali
 dati
 di
 distruggerli
 e,
 eventualmente,
<br />

andarli
 a
 richiedere
 presso
 gli
 uffici
 della
 stessa
 Agenzia
 o,
<br />

piuttosto,
presso
i
Comuni.
<br />


 Spetterà,
in
ogni
caso,
al
Garante
‐
in
conformità
a
quanto
<br />

disposto
dall'art.
17
del
Codice
Privacy
‐
stabilire
eventuali
misure
<br />

e
 modalità
 attraverso
 le
 quali
 i
 dati
 acquisiti
 dall'Agenzia
 delle
<br />

Entrate
potranno
essere
trattati.

<br />


 In
tale
prospettiva
occorrerebbe,
peraltro,
tener
presente
<br />

che
 la
 disciplina
 fiscale
 sull'accesso
 ai
 dati
 dei
 contribuenti
<br />

andrebbe,
 a
 ben
 vedere,
 reinterpretata
 <strong>alla</strong>
 luce
 di
 quanto
 oggi
<br />

previsto
nel
Codice
dell'Amministrazione
digitale
che,
come
è
noto,
<br />

sancisce
 il
 diritto
 dei
 cittadini
 di
 accedere
 alle
 informazioni
 rese
<br />

disponibili
 d<strong>alla</strong>
 Pubblica
 Amministrazione
 attraverso
 gli
<br />

strumenti
informatici
e
telematici.
<br />


 Non
 sarebbe,
 pertanto,
 peregrina,
 domani,
 l'istanza
 di
 un
<br />

cittadino
 che
 dopo
 aver
 cancellato
 i
 dati
 scaricati
 nella
 mattinata
<br />

del
 30
 aprile
 dal
 sito
 dell'Agenzia
 delle
 Entrate,
 richiedesse
 a
<br />

quest'ultima
 di
 trasmetterglieli
 nuovamente,
 a
 mezzo
 posta
<br />

elettronica
o
altro
canale
telematico.
<br />


 Troppo
 facile,
 in
 questo
 contesto,
 imputare
 gravi
<br />

responsabilità
 agli
 utenti
 che
 oggi
 dispongono
 di
 quei
 dati
 e
<br />

minacciare
sanzioni
e
sequestri.
<br />


 La
questione
è
un'altra
e,
quanto
accaduto,
ci
costringe
ad
<br />

affrontarla:
 il
 regime
 della
 pubblicità
 dei
 dati
 detenuti
 d<strong>alla</strong>
<br />

pubblica
 amministrazione
 nella
 società
 dell'Informazione
 o
 ‐
 per
<br />

dirla
con
le
parole
di
Jeremy
Rifkin
‐
nell'Era
dell'Accesso
non
può
<br />

più
farsi
scudo
della
difficoltà
pratica
che
la
burocrazia
ed
il
regime
<br />

cartaceo
 della
 documentazione
 amministrativa
 hanno
 sin
 qui
<br />

posto
sulle
spalle
di
chi
a
quei
dati
aveva
diritto
di
accedere.
<br />


 Il
fatto
che
ieri
in
pochi
si
recassero
presso
l'Agenzia
delle
<br />

Entrate
 o
 presso
 i
 competenti
 comuni
 a
 chiedere
 di
 conoscere
 il
<br />

reddito
 di
 amici
 e
 parenti
 non
 significa
 che
 l'accesso
 a
 quei
 dati
<br />

potesse
considerarsi
ristretto
o,
addirittura,
illecito.
<br />


 Oggi,
 pubblico
 ‐
 in
 assenza
 di
 ulteriori
 restrizioni
<br />

determinate
 ex
 lege
 ‐
 significa
 effettivamente
 accessibile
 da
<br />

chiunque
anche
via
web.
<br />

175




<br />


<br />

Redditi
on­line/3:
A
ben
vedere
non
è
così
semplice…
<br />

5
maggio
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=293
<br />


<br />


 Lo
 riconosco
 ho
 semplificato
 troppo
 un
 problema
<br />

complesso
 e
 pur
 sforzandomi
 di
 rimanere
 obiettivo
 mi
 sono
<br />

lasciato
 trascinare
 dal
 vasto
 movimento
 di
 opinione
 (giuridica
 e
<br />

politica)
contrario
<strong>alla</strong>
scelta
operata
d<strong>alla</strong>
Agenzia
delle
Entrate.
<br />


 A
 ben
 vedere
 credo
 che
 <strong>alla</strong>
 questione
 possa
 e
 debba
<br />

guardarsi
 in
 maniera
 meno
 conservatrice
 e
 soprattutto,
<br />

sforzandosi
di
prescindere
dal
contigente.
<br />


 L'Agenzia
 delle
 Entrate
 nel
 rispondere
 al
 Garante
 per
 la
<br />

Privacy
 questo
 pomeriggio
 ha,
 sostanzialmente,
 individuato
 il
<br />

fondamento
 della
 propria
 decisione
 nel
 Codice
<br />

dell'Amministrazione
 digitale
 che
 ‐
 come,
 peraltro,
 ricordavo
 nel
<br />

mio
 post
 di
 ieri
 ‐
 in
 effetti,
 prevede
 che
 le
 Pubbliche
<br />

Amministrazioni
siano
tenute
a
rendere
accessibili
i
"dati
pubblici"
<br />

attraverso
strumenti
informatici
e
telematici.
<br />


 Continuo
 a
 pensare
 che
 l'Agenzia
 delle
 Entrate
 abbia
<br />

peccato
 di
 leggerezza
 nello
 stabilire
 le
 modalità
 di
 pubblicazione
<br />

dei
redditi
dei
38
milioni
di
contribuenti
italiani
‐
come
ho
scritto
<br />

sin
 dall'inizio
 e
 come
 spiega
 bene
 Andrea
 Monti
 ‐
 ma
 inizio
 a
<br />

ritenere
che
l'errore
non
sia
consistito
nella
scelta
dello
strumento
<br />

telematico
e
che,
anzi,
i
dati
di
cui
stiamo
parlando,
oggi,
debbano
<br />

essere
 conoscibili
 attraverso
 tale
 strumento
 benché,
<br />

probabilmente,
 non
 in
 maniera
 "centralizzata"
 ed
 a
 cura
<br />

dell'Agenzia
ma
in
maniera
decentralizzata
ed
a
cura
delle
singole
<br />

amministrazioni
 periferiche
 (uffici
 delle
 imposte
 e
 comuni)
<br />

individuate
dall'art.
69
del
D.P.R.
600/1973.
<br />


 A
 tale
 conclusione
 mi
 conduce
 l'analisi
 del
 quadro
<br />

normativo
 cui
 è
 affidata
 la
 disciplina
della
 materia
 <strong>alla</strong>
 luce
 delle
<br />

importanti
novità
‐
sebbene
troppo
spesso
dimenticate
‐
introdotte
<br />

nell'ordinamento
con
il
Codice
dell'Amministrazione
Digitale.
<br />


 Il
 punto
 è
 esattamente
 questo:
 in
 che
 misura
 le
<br />

disposizioni
 di
 legge
 introdotte
 con
 il
 CAD
 hanno
 inciso
 sulle
<br />

norme
previgenti?
<br />

L'art.
1
del
CAD
chiarisce
che
per
"dato
pubblico"
debba
intendersi
<br />

quello
"conoscibile
da
chiunque".
<br />


 La
definizione
coincide
esattamente
con
quella
contenuta
<br />

all'art.
69
del
D.P.R.
600/1973
con
la
conseguenza
che,
allo
stato,
<br />

non
 vi
 è
 spazio
 per
 ritenere
 che
 i
 dati
 relativi
 al
 reddito
 dei
<br />

contribuenti
italiani
non
siano
dati
pubblici
almeno
limitatamente
<br />

all'intervallo
temporale
nell'ambito
del
quale
la
norma
ne
consente
<br />

la
consultabilità,
appunto,
da
parte
di
chiunque.
<br />

176




<br />


 Numerose
 disposizioni
 del
 CAD
 ‐
 tra
 le
 quali
 l'art.
 50
 ‐
<br />

prevedono,
 inoltre,
 che
 le
 PA
 debbano
 ‐
 e
 non
 semplicemente
<br />

possano
‐
porre
a
disposizione
dei
cittadini
i
dati
pubblici
da
esse
<br />

detenuti
 "con
 l'uso
 delle
 tecnologie
 dell'informazione
 e
 della
<br />

comunicazione
 che
 ne
 consentano
 la
 fruizione
 e
 riutilizzazione"
<br />

sebbene
 "alle
 condizioni
 fissate
 dall'ordinamento,
 da
 parte
 delle
<br />

altre
pubbliche
amministrazioni
e
dai
privati"
nonché
nei
limiti
di
<br />

"conoscibilità
dei
dati
previsti
dalle
leggi
e
dai
regolamenti"
e
dalle
<br />

norme
in
materia
di
protezione
dei
dati
personali.
<br />


 L'art.
 69
 del
 D.P.R.
 600/1973
 stabilisce
 che
 gli
 elenchi
<br />

contenenti
i
redditi
dei
contribuenti
italiani
siano
"depositati
per
la
<br />

durata
di
un
anno,
ai
fini
della
consultazione
da
parte
di
chiunque,
<br />

sia
 presso
 lo
 stesso
 ufficio
 delle
 imposte
 sia
 presso
 i
 comuni
<br />

interessati".
<br />


 Non
 mi
 sembra
 azzardato,
 francamente,
 ritenere
 che
 la
<br />

locuzione
"presso",
successivamente
all'entrata
in
vigore
del
CAD
<br />

debba
essere
interpretata
come
se
si
riferisse
anche
ai
siti
internet
<br />

dei
citati
uffici
(imposte
e
comuni
interessati).
<br />


 Ogni
 diversa
 lettura
 della
 norma,
 infatti,
 finirebbe
 con
 il
<br />

risultare
 incompatibile
 rispetto
 alle
 previsioni
 contenute
 nel
<br />

codice
dell'amministrazione
digitale
con

la
conseguenza
di
dover
<br />

ritenere
la
norma
tacitamente
abrogata
‐
almeno
in
quella
parte
‐
<br />

per
effetto
di
una
norma
successiva
e
relativa
<strong>alla</strong>
stessa
materia.
<br />


 Il
problema
non
riguarda
solo
l'art.
69
del
D.P.R.
600/1973
<br />

relativo
 ai
 dati
 dei
 redditi
 dei
 contribuenti
 italiani
 ma,
 più
 in
<br />

generale,
ogni
norma
che
pur
sancendo
la
conoscibilità
da
parte
di
<br />

chiunque
 di
 un
 dato
 in
 possesso
 della
 PA
 non
 riconosca
 poi
 ai
<br />

cittadini
 il
 diritto
 di
 accedervi
 attraverso
 strumenti
 informatici
 o
<br />

telematici.
<br />


 Mi
 sembra
 che,
 <strong>alla</strong>rgando
 l'angolo
 di
 visuale
 si
 riesca
 a
<br />

guardare
 al
 problema
 in
 termini
 squisitamente
 giuridici
 ed
 in
<br />

modo
 scevro
 dai
 condizionamenti
 legati
 al
 particolare
 carattere
<br />

dei
dati
oggetto
della
vicenda
che
ha
visto
protagonista
l'Agenzia
<br />

delle
Entrate.
<br />


 La
 conclusione
 cui
 si
 perviene
 seguendo
 tale
<br />

ragionamento
 è,
 dunque,
 che,
 forse,
 l'Agenzia
 delle
 Entrate
 ha,
<br />

effettivamente,
 violato
 la
 vigente
 disciplina
 sulla
 privacy
 per
 le
<br />

modalità
 prescelte
 in
 relazione
 <strong>alla</strong>
 pubblicazione
 dei
 dati
 dei
<br />

redditi
 degli
 italiani
 (accesso
 indiscriminato
 sul
 proprio
 sito
 e
<br />

download
di
interi
archivi)
ma,
quei
dati
‐
almeno
sin
tanto
che
il
<br />

legislatore
 non
 ne
 modificherà
 il
 regime
 di
 pubblicità
 ‐
 devono,
<br />

comunque,
essere
resi
disponibili
attraverso
internet
da
parte
dei
<br />

soggetti
 ai
 quali
 l'Agenzia
 delle
 Entrate
 li
 ha
 trasmessi
 (uffici
<br />

territoriali
delle
imposte
e
comuni).
<br />

177




<br />


 Si
tratta,
a
mio
avviso,
di
una
conclusione
di
cui
il
Garante
<br />

per
la
Privacy
dovrà
tener
conto
nell'intervenire
sulla
questione
e
<br />

ciò
con
particolare
riferimento
<strong>alla</strong>
posizione
di
tutti
quegli
utenti
<br />

che
 oggi
 dispongono
 dei
 dati
 a
 suo
 tempo
 scaricati
 dal
 sito
<br />

dell'Agenzia
delle
Entrate
ed
intendono
utilizzarli.
<br />


 Tale
utilizzo
<strong>alla</strong>
luce
di
quanto
ho
cercato
di
riassumere
<br />

sin
 qui,
 mi
 sembra,
 infatti
 ‐
 lo
 scrivevo
 già
 ieri
 ‐
 lecito
 almeno
 in
<br />

astratto
 e
 salvo
 verificare
 l'illiceità
 di
 talune
 particolari
 forme
 di
<br />

utilizzo.
<br />


 Sarebbe
 un
 peccato
 se
 preoccupati
 di
 difendere
 la
<br />

riservatezza
 dei
 nostri
 redditi
 ci
 lasciassimo
 passare
 davanti
 un
<br />

treno
sul
quale
viaggia
un
importante
principio
di
civiltà
giuridica
<br />

quale
 quello
 dell'utilizzabilità
 degli
 strumenti
 telematici
 ai
 fini
<br />

dell'accesso
ai
documenti
pubblici
della
PA.
<br />


<br />

Quei
redditi
devono
tornare
online 64
<br />

8
maggio
2008
<br />

Punto
Informatico
<br />


<br />


 È
di
poche
ore
fa
il
provvedimento
con
cui
il
Garante
sulla
<br />

privacy
 si
 è
 pronunciato
 in
 ordine
 <strong>alla</strong>
 pubblicazione
 su
 Internet
<br />

dei
dati
fiscali
dei
contribuenti
italiani
cui
ha
proceduto
il
30
aprile
<br />

scorso
l'Agenzia
delle
Entrate 65.
<br />

























































<br />

64 
L’articolo
è
stato
scritto
con
il
Collega
Carmelo
Giurdanella.

<br />

65 

Il
testo
del
provvedimento
reso
dal
Garante
per
il
trattamento
dei
dati
personali
<br />

l’8
maggio
2008:
<br />

Redditi
on
line:
illegittima
la
diffusione
dei
dati
sul
sito
Internet
dell'Agenzia
delle
<br />

entrate
‐
6
maggio
2008
<br />

G.U.
n.
107
dell'8
maggio
2008
<br />

IL
GARANTE
PER
LA
PROTEZIONE
DEI
DATI
PERSONALI
<br />

NELLA
 riunione
 odierna,
 in
 presenza
 del
 prof.
 Francesco
 Pizzetti,
 presidente,
 del
<br />

dott.
 Giuseppe
 Chiaravalloti,
 vicepresidente,
 del
 dott.
 Mauro
 Paissan
 e
 del
 dott.
<br />

Giuseppe
Fortunato,
componenti
e
del
dott.
Giovanni
Buttarelli,
segretario
generale;
<br />

VISTO
il
Codice
in
materia
di
protezione
dei
dati
personali
(d.lg.
30
giugno
2003,
n.
<br />

196);
<br />

VISTA
 la
 disciplina
 che
 regola
 la
 pubblicazione
 degli
 elenchi
 nominativi
 dei
<br />

contribuenti
che
hanno
presentato
le
dichiarazioni
ai
fini
dell'imposta
sui
redditi
e
<br />

dell'imposta
 sul
 valore
 aggiunto;
 rilevato
 che
 su
 questa
 base
 gli
 elenchi
 sono
<br />

formati
annualmente
e
depositati
per
un
anno,
ai
fini
della
consultazione
da
parte
di
<br />

chiunque,
 presso
 i
 comuni
 interessati
 e
 gli
 uffici
 dell'Agenzia
 competenti
<br />

territorialmente;
 rilevato
 che
 con
 apposito
 decreto
 devono
 essere
 stabiliti
<br />

annualmente
 "i
 termini
 e
 le
 modalità"
 per
 la
 loro
 formazione
 (art.
 69
 d.P.R.
 29
<br />

settembre
1973,
n.
600,
come
mod.
dall'art.
19
l.
30
dicembre
1991,
n.
413;
art.
66
<br />

bis
d.P.R.
26
ottobre
1972,
n.
633);
<br />

VISTO
 il
 provvedimento
 con
 il
 quale
 l'Agenzia
 delle
 entrate
 ha
 attuato
 tale
<br />

disciplina
 per
 il
 2005
 disponendo
 che
 gli
 elenchi,
 distribuiti
 ai
 predetti
 uffici
<br />

dell'Agenzia
 e
 trasmessi
 ai
 comuni
 mediante
 sistemi
 telematici,
 siano
 altresì
<br />

pubblicati
 nell'apposita
 sezione
 del
 sito
 Internet
 dell'Agenzia
<br />

178



























































<br />


<br />

http://www.agenziaentrate.gov.it
 "ai
 fini
 della
 consultazione"
 "in
 relazione
 agli
<br />

uffici
 dell'Agenzia
 delle
 entrate
 territorialmente
 competenti"
 (Provv.
 Direttore
<br />

dell'Agenzia
5
marzo
2008
prot.
197587/2007);
<br />

VISTO
 il
 provvedimento
 del
 30
 aprile
 2008
 con
 il
 quale
 questa
 Autorità,
 appena
<br />

avuta
 notizia
 di
 tale
 diffusione
 in
 Internet
 e
 avendo
 ritenuto
 sulla
 base
 di
 una
<br />

verifica
preliminare
che
essa
non
risultava
conforme
<strong>alla</strong>
normativa
di
settore,
ha
<br />

invitato
in
via
d'urgenza
l'Agenzia
a
sospenderla;
<br />

RILEVATO
 che
 con
 tale
 provvedimento
 il
 Garante
 ha
 anche
 invitato
 l'Agenzia
 a
<br />

fornire
 ulteriori
 chiarimenti
 che,
 sollecitati
 con
 nota
 dell'Autorità
 del
 2
 maggio,
<br />

sono
pervenuti
nel
termine
indicato
(nota
Agenzia
5
maggio
2008
n.
2008/68657);
<br />

esaminate
le
deduzioni
formulate
e
la
documentazione
allegata;
<br />

RILEVATO
 dalle
 segnalazioni
 pervenute
 e
 dagli
 elementi
 acquisiti
 nell'istruttoria
<br />

preliminare
 che
 la
 diffusione
 in
 Internet
 a
 cura
 direttamente
 dell'Agenzia,
<br />

contrariamente
a
quanto
da
questa
sostenuto
nella
predetta
nota,
contrasta
con
la
<br />

normativa
in
materia,
in
quanto:
<br />





1)
il
provvedimento
del
Direttore
dell'Agenzia
poteva
stabilire
solo
"i
termini
e
le
<br />

modalità"
per
la
formazione
degli
elenchi.
La
conoscibilità
di
questi
ultimi
è
infatti
<br />

regolata
direttamente
da
disposizione
di
legge
che
prevede,
quale
unica
modalità,
la
<br />

distribuzione
di
tali
elenchi
ai
soli
uffici
territorialmente
competenti
dell'Agenzia
e
<br />

la
loro
trasmissione,
anche
mediante
supporti
magnetici
ovvero
sistemi
telematici,
<br />

ai
 soli
 comuni
 interessati,
 in
 entrambi
 i
 casi
 in
 relazione
 ai
 soli
 contribuenti
<br />

dell'ambito
 territoriale
 interessato.
 Ciò,
 come
 sopra
 osservato,
 ai
 fini
 del
 loro
<br />

deposito
per
la
durata
di
un
anno
e
della
loro
consultazione
‐senza
che
sia
prevista
<br />

la
 facoltà
 di
 estrarne
 copia‐
 da
 parte
 di
 chiunque
 (art.
 69,
 commi
 4
 ss.,
 d.P.R.
 n.
<br />

600/1973
cit.;
v.
anche
art.
66
bis
d.P.R.
26
ottobre
1972,
n.
633);
<br />





2)
il
Codice
dell'amministrazione
digitale,
invocato
dall'Agenzia
a
sostegno
della
<br />

propria
 scelta,
 incentiva
 l'uso
 delle
 tecnologie
 dell'informazione
 e
 della
<br />

comunicazione
 nell'utilizzo
 dei
 dati
 delle
 pubbliche
 amministrazioni.
 Tuttavia,
 il
<br />

Codice
 stesso
 fa
 espressamente
 salvi
 i
 limiti
 <strong>alla</strong>
 conoscibilità
 dei
 dati
 previsti
 da
<br />

leggi
 e
 regolamenti
 (come
 avviene
 nel
 menzionato
 art.
 69),
 nonché
 le
 norme
 e
 le
<br />

garanzie
 in
 tema
 di
 protezione
 dei
 dati
 personali
 (artt.
 2,
 comma
 5
 e
 50
 d.lg.
 7
<br />

marzo
2005,
n.
82);
<br />





3)
la
predetta
messa
in
circolazione
in
Internet
dei
dati,
oltre
a
essere
di
per
sé
<br />

illegittima
 perché
 carente
 di
 una
 base
 giuridica
 e
 disposta
 senza
 metterne
 a
<br />

conoscenza
 il
 Garante,
 ha
 comportato
 anche
 una
 modalità
 di
 diffusione
<br />

sproporzionata
in
rapporto
alle
finalità
per
le
quali
l'attuale
disciplina
prevede
una
<br />

relativa
 trasparenza.
 I
 dati
 sono
 stati
 resi
 consultabili
 non
 presso
 ciascun
 ambito
<br />

territoriale
interessato,
ma
liberamente
su
tutto
il
territorio
nazionale
e
all'estero.
<br />

L'innovatività
di
tale
modalità,
emergente
dalle
stesse
deduzioni
dell'Agenzia,
non
<br />

traspariva
 d<strong>alla</strong>
 generica
 informativa
 resa
 ai
 contribuenti
 nei
 modelli
 di
<br />

dichiarazione
per
l'anno
2005.
L'Agenzia
non
ha
previsto
"filtri"
nella
consultazione
<br />

on‐line
e
ha
reso
possibile
ai
numerosissimi
utenti
del
sito
salvare
una
copia
degli
<br />

elenchi
con
funzioni
di
trasferimento
file.
La
centralizzazione
della
consultazione
a
<br />

livello
nazionale
ha
consentito
ai
medesimi
utenti,
già
nel
ristretto
numero
di
ore
in
<br />

cui
 la
 predetta
 sezione
 del
 sito
 web
 è
 risultata
 consultabile,
 di
 accedere
 a
<br />

innumerevoli
 dati
 di
 tutti
 i
 contribuenti,
 di
 estrarne
 copia,
 di
 formare
 archivi,
<br />

modificare
ed
elaborare
i
dati
stessi,
di
creare
liste
di
profilazione
e
immettere
tali
<br />

informazioni
in
ulteriore
circolazione
in
rete,
nonché,
in
alcuni
casi,
in
vendita.
Con
<br />

ciò
 ponendo
 anche
 a
 rischio
 l'esattezza
 dei
 dati
 e
 precludendo
 ogni
 possibilità
 di
<br />

garantire
che
essi
non
siano
consultabili
trascorso
l'anno
previsto
d<strong>alla</strong>
menzionata
<br />

norma;
<br />





4)
infine,
va
rilevato
che
questa
Autorità
non
è
stata
consultata
preventivamente
<br />

dall'Agenzia
 stessa,
 come
 prescritto
 rispetto
 ai
 regolamenti
 e
 agli
 atti
<br />

179



























































<br />


<br />

amministrativi
attinenti
<strong>alla</strong>
protezione
dei
dati
personali
(art.
154,
comma
4,
del
<br />

Codice);
<br />

CONSIDERATO
 che,
 sulla
 base
 delle
 motivazioni
 suesposte,
 non
 risulta
 lecita
 la
<br />

predetta
forma
di
pubblicazione
degli
elenchi;
<br />

CONSIDERATO
pertanto
che,
a
conferma
della
sospensione
già
effettuata,
va
inibita
<br />

all'Agenzia
 la
 diffusione
 ulteriore
 in
 Internet
 dei
 predetti
 elenchi
 con
 le
 modalità
<br />

sopra
indicate,
nonché
la
loro
diffusione
in
modo
analogo
per
i
periodi
di
imposta
<br />

successivi
 al
 2005
 in
 carenza
 di
 un'idonea
 base
 normativa
 e
 della
 preventiva
<br />

consultazione
del
Garante
(artt.
143,
comma
1,
lett.
c)
e
154,
comma
1,
lett.
a),
b)
e
<br />

d),
del
Codice);
<br />

CONSIDERATO
che
con
contestuale
altro
provvedimento
va
contestata
all'Agenzia
<br />

la
violazione
amministrativa
per
l'assenza
di
un'idonea
e
preventiva
informativa
ai
<br />

contribuenti
interessati
(artt.
13
e
161
del
Codice);
<br />

CONSIDERATO
 che
 coloro
 che
 hanno
 ottenuto
 i
 dati
 dei
 contribuenti
 provenienti,
<br />

anche
 indirettamente,
 dal
 menzionato
 sito
 Internet,
 non
 possono
 metterli
<br />

ulteriormente
in
circolazione
stante
la
violazione
di
legge
accertata
con
il
presente
<br />

provvedimento;
 considerato
 che
 tale
 ulteriore
 loro
 messa
 in
 circolazione
 ‐in
<br />

particolare
mediante
reti
telematiche
o
altri
supporti
informatici‐
configura
un
fatto
<br />

illecito
 che,
 ricorrendo
 determinate
 circostanze,
 può
 avere
 anche
 natura
 di
 reato
<br />

(artt.
11,
commi
1,
lett.
a)
e
2,
13,
23,
24,
161
e
167
del
Codice);
rilevata
pertanto
la
<br />

necessità
di
favorire
la
più
ampia
pubblicità
al
presente
provvedimento;
<br />

CONSIDERATO
 che
 restano
 tuttavia
 impregiudicate
 le
 altre
 forme
 di
 legittimo
<br />

accesso
 agli
 elenchi
 consultabili
 da
 chiunque
 presso
 comuni
 interessati
 e
 uffici
<br />

dell'Agenzia
competenti
territorialmente,
ai
fini
di
un
loro
legittimo
utilizzo
anche
<br />

per
finalità
giornalistiche;
<br />

CONSIDERATO
che,
qualora
il
Parlamento
e
il
Governo
intendessero
porre
mano
a
<br />

una
 revisione
 normativa
 della
 disciplina
 sulla
 conoscibilità
 degli
 elenchi
 dei
<br />

contribuenti
 anche
 in
 rapporto
 all'evoluzione
 tecnologica,
 si
 porrà
 l'esigenza
 di
<br />

individuare,
sentita
questa
Autorità,
opportune
soluzioni
e
misure
di
protezione
per
<br />

garantire
un
giusto
equilibrio
tra
l'esigenza
di
forme
proporzionate
di
conoscenza
<br />

dei
dati
dei
contribuenti
e
la
tutela
dei
diritti
degli
interessati;
<br />

VISTE
le
osservazioni
dell'Ufficio,
formulate
dal
segretario
generale
ai
sensi
dell'art.
<br />

15
del
regolamento
del
Garante
n.
1/2000
del
28
giugno
2000;
<br />

Relatore
il
prof.
Francesco
Pizzetti;
<br />

TUTTO
CIÒ
PREMESSO
IL
GARANTE:
<br />





1)
a
conferma
della
sospensione
della
pubblicazione
degli
elenchi
nominativi
per
<br />

l'anno
2005
dei
contribuenti
che
hanno
presentato
dichiarazioni
ai
fini
dell'imposta
<br />

sui
redditi
e
dell'imposta
sul
valore
aggiunto,
ai
sensi
degli
artt.
143,
comma
1,
lett.
<br />

c)
e
154,
comma
1,
lett.
a),
b)
e
d),
del
Codice,
inibisce
all'Agenzia
di:
<br />









a)
 diffondere
 ulteriormente
 in
 Internet
 detti
 elenchi
 con
 le
 modalità
 che
 il
<br />

presente
provvedimento
ha
stabilito
essere
in
contrasto
con
la
disciplina
di
settore
<br />

attualmente
vigente;
<br />









b)
 diffonderli
 in
 modo
 analogo
 per
 i
 periodi
 di
 imposta
 successivi
 al
 2005,
 in
<br />

carenza
di
idonea
base
normativa
e
della
preventiva
consultazione
del
Garante;
<br />





2)
manda
all'Ufficio
di
contestare
all'Agenzia,
con
contestuale
provvedimento,
la
<br />

violazione
 amministrativa
 per
 l'assenza
 di
 un'idonea
 e
 preventiva
 informativa
 ai
<br />

contribuenti
interessati;
<br />





3)
dispone
che
l'Ufficio
curi
la
più
ampia
pubblicità
del
presente
provvedimento,
<br />

anche
 mediante
 pubblicazione
 sulla
 Gazzetta
 ufficiale
 della
 Repubblica
 italiana,
 al
<br />

fine
di
rendere
edotti
coloro
che
hanno
ottenuto
i
dati
dei
contribuenti
provenienti,
<br />

anche
indirettamente,
dal
sito
Internet
dell'Agenzia,
della
circostanza
che
essi
non
<br />

possono
continuare
a
metterli
in
circolazione
stante
la
suesposta
violazione
di
legge
<br />

e
che
tale
ulteriore
messa
in
circolazione
configura
un
fatto
illecito
che,
ricorrendo
<br />

determinate
circostanze,
può
avere
anche
natura
di
reato.
<br />

180




<br />


 Le
 conclusioni
 cui
 è
 pervenuto
 il
 Garante
 sono
<br />

sostanzialmente
in
linea
con
quanto
era
nell'aria
ormai
da
giorni:
<br />

l'Agenzia
delle
Entrate
ha
violato
la
disciplina
vigente
in
materia
di
<br />

privacy
 e
 riservatezza
 procedendo
 <strong>alla</strong>
 pubblicazione
 a
 mezzo
<br />

Internet
di
dati
che
avrebbe,
invece,
dovuto
limitarsi
a
trasmettere
<br />

ai
comuni
ed
ai
propri
uffici
sul
territorio.
<br />


 Muovendo
da
tali
conclusioni,
il
Garante
ha
quindi
inibito
<br />

all'Agenzia
delle
Entrate
ogni
ulteriore
diffusione
in
Internet
degli
<br />

elenchi
 contenenti
 il
 reddito
 dei
 contribuenti
 relativo
 al
 2005
<br />

nonché
ai
successivi
periodi
di
imposta
e
"ammonito"
quanti
siano
<br />

frattanto
 entrati
 in
 possesso
 di
 tali
 elenchi
 a
 non
 porli
<br />

ulteriormente
in
circolazione.
<br />

La
decisione
è
condivisibile
nelle
conclusioni
cui
attraverso
essa
si
<br />

perviene
 a
 proposito
 della
 sostanziale
 illegittimità
 della
 condotta
<br />

dell'Agenzia
delle
Entrate
ma
lascia
perplessi
circa
alcuni
passaggi
<br />

logici
della
motivazione
e,
soprattutto,
alcuni
principi
di
più
ampio
<br />

respiro
 che,
 attraverso
 essa,
 l'Autorità
 sembrerebbe
 voler
<br />

affermare.
<br />

Secondo
 il
 Garante,
 infatti,
 l'illegittimità
 della
 condotta
<br />

dell'Agenzia
 delle
 Entrate
 deriverebbe
 d<strong>alla</strong>
 circostanza
 che
 il
<br />

Codice
 Privacy
 autorizzerebbe
 le
 pubbliche
 amministrazioni
 <strong>alla</strong>
<br />

comunicazione
 e
 diffusione
 dei
 dati
 solo
 laddove
 espressamente
<br />

previsto
 d<strong>alla</strong>
 legge
 e
 l'art.
 69
 del
 D.P.R.
 600/1973
 non
<br />

prevederebbe,
tra
le
forme
di
conoscibilità
degli
elenchi
dei
redditi
<br />

dei
contribuenti,
la
diffusione
online.
<br />

L'Agenzia
 delle
 Entrate
 avrebbe,
 pertanto,
 dovuto
 astenersi
 dal
<br />

procedervi.
<br />

In
tale
ragionamento,
tuttavia,
il
Garante
omette,
a
nostro
avviso,
<br />

di
 tenere
 nella
 debita
 considerazione
 quanto
 previsto
 dal
 Codice
<br />

dell'amministrazione
 digitale,
 quasi
 che
 le
 norme
 in
 esso
<br />

contenute
 dovessero
 ‐
 per
 rango
 o
 per
 volontà
 del
 legislatore
 ‐
<br />

cedere
 il
 passo,
 in
 ogni
 caso,
 a
 quelle
 dettate
 dal
 Codice
 Privacy.
<br />

Tale
posizione
non
convince
in
quanto
sembra
caratterizzata
da
un
<br />

approccio
eccessivamente
conservatore
e
privacy‐centrico,
se
ci
si
<br />

perdona
il
neologismo.
<br />

1.
Tanto
per
cominciare,
sembra
utile
ricordare
che
i
dati
relativi
al
<br />

reddito
dei
cittadini
italiani
sono
dati
pubblici.
<br />

Lo
 stabilisce
 senza
 tema
 di
 smentite
 il
 combinato
 disposto
 degli
<br />

artt.
 69
 del
 d.p.r.
 600/1973
 e
 1,
 lett.
 n)
 del
 Codice
<br />

dell'Amministrazione
Digitale.
<br />

La
 prima
 delle
 due
 citate
 disposizioni,
 al
 sesto
 comma
 chiarisce
<br />

che
gli
elenchi
dei
redditi
dei
contribuenti
"sono
depositati
per
la
<br />

durata
di
un
anno,
ai
fini
della
consultazione
da
parte
di
chiunque,
<br />

sia
 presso
 lo
 stesso
 ufficio
 delle
 imposte
 sia
 presso
 i
 Comuni
<br />

181




<br />

interessati"
 mentre
 la
 seconda
 stabilisce
 che
 per
 "dato
 pubblico"
<br />

deve
intendersi
"il
dato
conoscibile
da
chiunque".
<br />

Tale
 aspetto
 appare,
 invero,
 sottovalutato
 nel
 provvedimento
 del
<br />

Garante.
<br />

2.
 È
 vero
 che
 l'Art.
 69
 del
 D.P.R.
 600/1973
 non
 contempla
 tra
 le
<br />

modalità
 attraverso
 le
 quali
 garantire
 a
 chiunque
 l'accesso
 agli
<br />

elenchi
dei
redditi
dei
contribuenti
la
pubblicazione
di
tali
dati
su
<br />

Internet.
 Forse,
 tuttavia,
 sarebbe
 stato
 utile,
 per
 il
 Garante,
<br />

interrogarsi
 sul
 carattere
 tassativo
 o
 meno
 delle
 modalità
 di
<br />

accesso
previste
da
tale
disposizione
e,
soprattutto,
sull'eventuale
<br />

necessità
 di
 considerare
 integrata
 detta
 norma
 ‐
 al
 pari
 di
 ogni
<br />

altra
 di
 analogo
 tenore
 ‐
 dalle
 disposizioni
 contenute
 nel
 codice
<br />

dell'Amministrazione
digitale.
<br />

Quanto
 al
 primo
 aspetto
 appare
 utile
 ricordare
 che
 il
 Tar
<br />

Lombardia,
 in
 una
 decisione
 del
 9
 gennaio
 1981,
 chiamato
 a
<br />

pronunciarsi
 sulla
 legittimità
 della
 pubblicazione
 da
 parte
 di
 un
<br />

comune
di
un
opuscolo
contenente
i
redditi
dei
cittadini
residenti
<br />

nel
proprio
territorio
ha
già
avuto
occasione
di
stabilire
che
"L'art.
<br />

69
d.P.R.
29
settembre
1973
n.
600,
che
prevede
il
deposito
degli
<br />

elenchi
 dei
 contribuenti
 al
 fine
 di
 consentirne
 a
 chiunque
 la
<br />

consultazione,
 non
 preclude
 altre
 forme
 di
 pubblicità
 idonee
 a
<br />

perseguire
lo
scopo
di
pubblica
utilità
di
una
corretta
informazione
<br />

dei
cittadini,
conformemente
ad
una
delle
finalità
della
riforma
del
<br />

settore,
che
si
prefiggeva,
tra
l'altro,
una
maggiore
trasparenza
del
<br />

rapporto
tributario
attraverso
controlli
svolti
anche
mediante
più
<br />

ampie
forme
partecipative".
<br />

Certo
si
tratta
solo
di
una
pronuncia
di
un
Giudice
amministrativo,
<br />

ma
non
può
negarsi
che
essa
sta
a
significare
che
una
lettura
meno
<br />

conservatrice
 della
 disciplina
 fiscale
 in
 materia
 di
 accesso
 ai
<br />

redditi
dei
contribuenti
è
possibile.
L'aspetto,
a
nostro
avviso,
più
<br />

rilevante
è,
tuttavia,
il
secondo
ovvero
l'impatto
che
le
disposizioni
<br />

del
 codice
 dell'amministrazione
 digitale
 hanno
 avuto
 sulla
<br />

disciplina
previdente.
<br />

L'art.
2
del
CAD
stabilisce
che
"Lo
Stato,
le
Regioni
e
le
autonomie
<br />

locali
 assicurano
 la
 disponibilità,
 la
 gestione,
 l'accesso,
 la
<br />

trasmissione,
 la
 conservazione
 e
 la
 fruibilità
 dell'informazione
 in
<br />

modalità
 digitale
 e
 si
 organizzano
 ed
 agiscono
 a
 tale
 fine
<br />

utilizzando
 con
 le
 modalità
 più
 appropriate
 le
 tecnologie
<br />

dell'informazione
 e
 della
 comunicazione"
 ed
 il
 successivo
 art.
 12,
<br />

c.5,
 prevede
 che
 "Le
 pubbliche
 amministrazioni
 utilizzano
 le
<br />

tecnologie
 dell'informazione
 e
 della
 comunicazione,
 garantendo,
<br />

nel
rispetto
delle
vigenti
normative,
l'accesso
<strong>alla</strong>
consultazione,
la
<br />

circolazione
 e
 lo
 scambio
 di
 dati
 e
 informazioni,
 nonché
<br />

l'interoperabilità
 dei
 sistemi
 e
 l'integrazione
 dei
 processi
 di
<br />

servizio
fra
le
diverse
amministrazioni".
<br />

182




<br />

Si
 tratta
 di
 disposizioni
 di
 legge
 successive
 all'art.
 69
 del
 D.P.R.
<br />

600/1973
così
come
modificato
d<strong>alla</strong>
legge
30
dicembre,
1991,
n.
<br />

413
 e
 di
 pari
 rango,
 con
 la
 conseguenza
 che
 esse
 vanno
 ad
<br />

integrare
ogni
disposizione
previgente.
<br />

Difficile,
in
tale
contesto
normativo,
non
nutrire
almeno
il
sospetto
<br />

che
 la
 disposizione
 contenuta
 nel
 sesto
 comma
 dell'art.69
 del
<br />

D.P.R.
600/1973,
secondo
cui
gli
elenchi
dei
dati
vanno
depositati
<br />

presso
i
Comuni
interessati,
debba
intendersi
riferita
anche
ai
siti
<br />

internet
di
tali
Comuni.
<br />

3.La
conclusione
cui
si
perviene
seguendo
tale
ragionamento
è
che,
<br />

allo
stato,
non
sembra
possibile
considerare
tout
court
illegittima
<br />

la
 pubblicazione
 online
 degli
 elenchi
 dei
 redditi
 dei
 contribuenti
<br />

italiani
 che,
 anzi,
 appare
 ‐
 almeno
 laddove
 operata
 dai
 singoli
<br />

Comuni
e
dagli
uffici
territoriali
dell'Agenzia
delle
Entrate
‐
un
atto
<br />

dovuto
al
quale
la
pubblica
amministrazione
non
può
sottrarsi.
<br />

Si
 potrà
 ‐
 ed
 anzi
 si
 dovrà,
 come
 opportunamente
 ricorda
 il
<br />

Garante
‐
semmai
discutere
delle
modalità
più
idonee
per
evitare
<br />

eventuali
trattamenti
di
tali
dati
eccedenti
i
limiti
di
conoscibilità
<br />

fissati
 dall'art.
 69
 del
 D.P.R.
 600/1973
 (pubblicazione
 dei
 dati
<br />

tramite
 formati
 elettronici
 non
 manipolabili,
 esclusione
 delle
<br />

funzioni
 di
 stampa
 e
 di
 salvataggio
 su
 PC,
 necessità
 di
<br />

identificazione
del
cittadino
italiano
tramite
codice
fiscale
o
carta
<br />

d'identità
 elettronica)
 ma
 non
 si
 può
 obiettare
 nulla
 circa
<br />

l'esistenza
di
un
diritto
<strong>alla</strong>
conoscibilità
di
tali
dati
e
men
che
mai,
<br />

nell'era
della
comunicazione
digitale,
all'utilizzo
di
Internet
quale
<br />

canale
 privilegiato
 di
 diffusione
 delle
 comunicazioni
 e
 di
 dati
<br />

pubblici,
ferma
restando,
semmai,
solo
la
sanzionabilità
di
un
uso
<br />

illecito
degli
stessi.
<br />

Nel
plaudire,
dunque,
al
Garante
per
la
tempestività
dell'intervento
<br />

e
per
aver,
una
volta
di
più,
ricordato
la
centralità
del
diritto
<strong>alla</strong>
<br />

privacy
 nel
 nostro
 Ordinamento,
 non
 ci
 si
 può
 sottrarre
 dal
<br />

manifestare
 preoccupazione
 per
 il
 rischio
 che
 i
 principi
 generali
<br />

sanciti
 nel
 provvedimento
 di
 questa
 mattina
 finiscano
 ‐
<br />

unitamente
all'iniziativa
azzardata
e
caratterizzata
da
inscusabile
<br />

leggerezza
 dell'Agenzia
 delle
 Entrate
 ‐
 con
 lo
 svuotare
 di
<br />

significato
 le
 norme
 attraverso
 le
 quali
 il
 Codice
<br />

dell'Amministrazione
Digitale
ha
inteso,
finalmente,
riconoscere
ai
<br />

cittadini
 il
 pieno
 ed
 effettivo
 diritto
 all'accesso
 dei
 dati
 pubblici
<br />

detenuti
d<strong>alla</strong>
Pubblica
amministrazione.
<br />

Il
CAD
non
interviene
sul
regime
di
pubblicità
dei
dati
della
PA
ma,
<br />

più
 semplicemente,
 impone
 a
 quest'ultima
 di
 utilizzare
 anche
 le
<br />

nuove
tecnologie
per
consentire
ai
cittadini
di
accedere
a
dati
già
<br />

dichiarati
pubblici
d<strong>alla</strong>
disciplina
vigente.
<br />

L'auspicio
 ‐
 espresso
 in
 termini
 non
 provocatori
 ma
 reali
 ‐
 è
 che
<br />

"passata
 la
 bufera"
 il
 Garante
 detti,
 a
 tutti
 i
 Comuni
 ed
 agli
 uffici
<br />

183




<br />

dell'Agenzia
 delle
 Entrate
 sul
 territorio,
 regole
 e
 direttive
 per
<br />

rendere
 accessibili
 online
 gli
 elenchi
 della
 discordia
 nel
 rispetto,
<br />

ovviamente,
della
privacy.
<br />

Non
 servono,
 infatti,
 nuove
 norme
 ma
 solo
 una
 puntuale
 e
<br />

prudente
applicazione
di
quelle
vigenti.
<br />


<br />

La
(in)certezza
del
diritto
(<strong>alla</strong>
privacy).
<br />

25
maggio
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=303
<br />


<br />


 Il
 Ministro
 Brunetta
 ha
 lanciato
 l'operazione
 trasparenza
<br />

pubblicando
 i
 redditi
 e
 le
 percentuali
 di
 assenteismo
 dei
<br />

dipendenti
del
proprio
ministero 66.
<br />

Ideologicamente
lo
condivido
ma…giuridicamente
sono
smarrito.
<br />


 Nelle
 scorse
 settimane
 mi
 sono
 ritrovato
 in
 minoranza
 a
<br />

sostenere
che
i
dati
pubblici
relativi
al
reddito
dei
cittadini
italiani
<br />

dovevano
tornare
on‐line
sebbene
con
modalità
diverse
da
quelle
<br />

prescelte
dall'Agenzia
delle
Entrate.
<br />


 Il
Garante
è
stato
durissimo
contro
l'Agenzia
delle
Entrate
<br />

e
velocissimo
nell'accertare
l'illegittimità
di
quanto
avvenuto 67.
<br />


 Le
procure
della
Repubblica
di
mezza
Italia
mi
sembrano
<br />

intenzionate
 ad
 usare
 il
 pugno
 di
 ferro
 contro
 quanti
 continuano
<br />

ad
 utilizzare
 quei
 DATI
 PUBBLICI
 dopo
 averli
 acquisiti
 in
 modo
<br />

(solo)
 FORMALMENTE
 difforme
 da
 quanto
 previsto
 d<strong>alla</strong>
<br />

disciplina
vigente.
<br />


 La
legge
va
rispettata
anche
quando
è
scritta
male
e
peggio
<br />

ancora
 coordinata
 con
 altre
 disposizioni
 contenute,
 ad
 esempio,
<br />

nel
Codice
dell'Amministrazione
digitale.
<br />


 Lo
capisco
e,
sebbene
a
fatica,
lo
accetto.
<br />


 Con
qualche
amico
sto
presentando
un'istanza
di
accesso
<br />

per
via
telematica
ai
dati
relativi
ai
redditi
di
tutti
i
residenti
ad
un
<br />

paio
 di
 comuni
 italiani
 sulla
 base
 della
 disciplina
 contenuta
 nel
<br />

CAD.
Stiamo
a
vedere
cosa
ci
risponderanno…

<br />


 Leggo
 ora
 su
 Repubblica.it
 che
 la
 decisione
 del
 Ministro
<br />

Brunetta
 sarebbe
 stata
 assunta
 nel
 rispetto
 della
 disciplina
 sulla
<br />

Privacy!
<br />


 Mi
sono
perso
qualcosa?
<br />


 Mi
auguro
che
ciò
significhi
che
il
Ministro
Brunetta
abbia
<br />

chiesto
 a
 tutti
 i
 propri
 dirigenti
 il
 consenso
 a
 procedere
 in
 tal
<br />

senso,
prestando
loro
adeguata
informativa
anche
in
relazione
alle
<br />

























































<br />

66 
A
questa
URL
sono
disponibili
i
dati
dei
redditi
dei
dirigenti
del
Ministero
della
<br />

Funzione
 pubblica:
<br />

http://www.innovazionepa.it/ministro/trasparenza/retribuzioni.htm
<br />

67 
Cfr.
nota
n.
65
<br />

184




<br />

modalità
di
diffusione
dei
dati:
un
PDF
scaricabile
da
chiunque
mi
<br />

sembra,
francamente,
eccessivo!
<br />


 Permarrebbe,
peraltro,
qualche
problemino
sulla
libertà
di
<br />

un
consenso
richiesto
da
un
Ministro
ad
un
proprio
dirigente
Wink
<br />

e
 sulla
 diffusione
 ‐
 inevitabile
 ‐
 di
 quei
 dati
 anche
 all'estero,
<br />

circostanza
 che,
 nel
 noto
 caso
 dell'Agenzia
 delle
 Entrate,
 tanto
<br />

aveva
fatto
agitare
il
Garante!
<br />


 Spero
 che
 questi
 consensi
 siano
 stati
 richiesti
 e,
 mi
<br />

piacerebbe,
 che
 il
 Garante
 lo
 chiarisse
 in
 un
 proprio
 comunicato
<br />

stampa
 perché,
 in
 assenza,
 quanto
 sta
 accadendo
 sarebbe
<br />

difficilmente
comprensibile.
<br />


 La
 Legge
 non
 credo
 dica
 che
 i
 dati
 sui
 redditi
 di
 un
<br />

dirigente
del
Ministero
della
Funzione
Pubblica
sono
più
pubblici
<br />

di
quelli
di
tanti
altri
dirigenti
(e
non)
italiani.

<br />


 In
 assenza
 del
 consenso
 degli
 interessati,
 parlerei
 di
<br />

grande
(IN)CERTEZZA
del
diritto
e
non
credo
di
dover
essere
io
a
<br />

ricordare
quali
sono
le
conseguenze
che
si
producono
allorquando
<br />

non
vi
è
più
certezza
circa
le
conseguenze
giuridiche
di
un'azione
o
<br />

omissione.
<br />


<br />

La
(IN)certezza
del
diritto/
UPDATE
<br />

27
maggio
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=304
<br />


<br />


 In
un
post
di
qualche
ora
fa
sul
Blog
di
Anna
Masera
de
La
<br />

Stampa
 leggo
 alcuni
 "virgolettati"
 del
 Ministro
 Brunetta
 che
 mi
<br />

lasciano
perplesso.
<br />

Dice
Brunetta
"L’operazione….«è
’in
progress’,
e
forse
qualche
f<strong>alla</strong>
<br />

è
possibile,
ma
abbiamo
voluto
farla
subito".
<br />


 Ho
 già
 scritto
 altre
 volte
 che
 l'agire
 della
 PA
 ‐
 specie
 ad
<br />

alto
 livello
 ‐
 non
 può
 essere
 ispirato
 al
 principio
 del
 work
 in
<br />

progress
e
che
la
PA
non
può
accettare
neppure
a
livello
di
"dolo
<br />

eventuale"
che
in
decisioni
tanto
importanti
vi
siano
delle
"falle".
<br />


 Aspettare
 un
 paio
 di
 settimane
 e
 verificare
 il
 quadro
<br />

giuridico
di
riferimento
non
credo
avrebbe
danneggiato
l'efficacia
<br />

dell'Operazione
Trasparenza
che
l'Italia
attende
da
decenni!
<br />


 Il
 Ministro,
 poi
 prosegue
 ricordando
 che
 l'operazione
 è
<br />

stata
realizzata

"sulla
base
delle
leggi
vigenti
e
dopo
un
confronto
<br />

con
 il
 Garante
 della
 privacy,
 anche
 per
 evitare
 equivoci
 come
 in
<br />

tempi
recenti
per
ministeri
più
pesanti»
.
<br />


 Un
paio
di
annotazioni.
<br />


 Ho
 già
 espresso
 qualche
 perplessità
 sul
 fatto
 che
 la
<br />

disciplina
vigente
legittimi
i
singoli
Ministeri
‐
nella
loro
qualità
di
<br />

datori
di
lavoro
dei
dirigenti
pubblici
‐
a
diffondere
via
internet
ed
<br />

185




<br />

in
formato
pdf
i
dati
dei
redditi.
Forse,
a
tutto
voler
concedere,
la
<br />

legge
riconoscere
tale
funzione
all'Agenzia
delle
Entrate…Wink
<br />


 Quanto
 al
 "confronto
 con
 il
 Garante"…considerato
 che
<br />

stiamo
 parlando
 dell'OPERAZIONE
 TRASPARENZA
 sarebbe
<br />

interessante
conoscere
il
parere
del
Garante
e
le
sue
motivazioni
<br />

nelle
quali,
immagino,
si
spiegano
le
differenze
tra
questa
vicenda
<br />

e
quella
relativa
all'OPERAZIONE
TRASPARENZA
lanciata
qualche
<br />

settimana
fa
dall'Agenzia
delle
Entrate.
<br />


 Ma
il
Ministro
è
prodigo
di
spiegazioni
ed
aggiunge:

"i
dati
<br />

personali
 «sono
 stati
 autorizzati
 spontaneamente
 da
 ogni
<br />

dirigente.
 C’è
 stato
 solo
 qualche
 piccolo
 nervosismo,
 che
 si
 è
 poi
<br />

risolto
con
totale
condivisione".
<br />


 Scrivevo
ieri
che
ho
qualche
perplessità
anche
sulla
libertà
<br />

di
 un
 consenso
 espresso
 da
 un
 dirigente
 ‐
 credo,
 peraltro,
 con
<br />

contratti
in
scadenza
‐
nelle
mani
del
Suo
Ministro.
<br />


 Le
 parole
 del
 Ministro
 mi
 sembrano
 confermare
 queste
<br />

mie
 perplessità
 attraverso
 il
 riferimento
 ai
 "piccoli
<br />

nervosismi…poi
risolti
con
totale
condivisione".
<br />

Lascio
a
voi
la
traduzione
dal
linguaggio
ISTITUZIONALE
a
quello
<br />

GIURIDICO
delle
parole
del
Ministro.Wink
<br />


 Immagino,
 ovviamente,
 che
 il
 Ministero
 abbia
 fornito
 ai
<br />

propri
 dirigenti
 una
 puntuale
 informativa
 relativa
 anche
 alle
<br />

modalità
di
diffusione
dei
dati…
<br />


 Per
 evitare
 fraintendimenti
 ci
 tengo
 a
 ribadire
 che
 la
<br />

trasparenza
 è
 un
 valore
 in
 cui
 credo
 ma,
 allo
 stesso
 tempo,
 non
<br />

posso
 accettare
 che
 l'espressione
 trasparenza
 ‐
 in
 un'accezione,
<br />

peraltro,
ancora
solo
promozionale
(non
mi
si
venga
a
dire
che
la
<br />

pubblicazione
di
quei
numeri
aggiunge
qualcosa
alle
possibilità
di
<br />

controllo
 di
 un
 cittadino
 sull'agire
 della
 PA)
 ‐
 sia
 usata
 come
 un
<br />

grimaldello
per
scardinare
regole
e
principi.
<br />


<br />

Redditi
online,
spazio
all'Operazione
Chiarezza 68
<br />

6
giugno
2008
<br />

Punto
Informatico
<br />


<br />


 Nei
giorni
scorsi
si
è
fatto
un
gran
parlare
dell’Operazione
<br />

Trasparenza
 lanciata
 dal
 Ministro
 Brunetta
 anche
 se
 nessuno
 ne
<br />

conosce
 con
 esattezza
 i
 termini
 in
 mancanza
 della
 pubblicazione
<br />

del
provvedimento
con
il
quale
la
stessa
è
stata
disposta.
<br />


 Da
quanto
è
dato
comprendere
dalle
dichiarazioni
rese
dal
<br />

Ministro
 nella
 conferenza
 stampa
 del
 24
 maggio,
 tuttavia,
<br />

l’Operazione
 dovrebbe
 consistere
 nella
 pubblicazione
 sul
 sito
<br />

























































<br />

68 
L’articolo
è
stato
scritto
con
il
collega
Ernesto
Belisario
<br />

186




<br />

internet
 del
 Ministero
 per
 la
 Pubblica
 Amministrazione
 e
<br />

l’Innovazione
 dei
 dati
 del
 personale,
 organigrammi,
 numero
 dei
<br />

dirigenti,
retribuzioni
lorde,
telefono,
email
e
curriculum
vitae
dei
<br />

dirigenti
nonché
dei
tassi
di
assenza
per
ufficio.
<br />


 Con
una
lettera
dello
scorso
30
maggio,
inoltre,
il
Ministro
<br />

Brunetta
ha
invitato
i
suoi
colleghi
di
Governo
a
seguire
l’esempio.
<br />


 L’idea
 è
 buona
 ma
 le
 modalità
 con
 cui
 è
 stata
 attuata
<br />

lasciano
 perplessi
 soprattutto
 perché
 l’iniziativa
 cade
 a
 poche
<br />

settimane
 di
 distanza
 dal
 gran
 baccano
 sollevato
 d<strong>alla</strong>
<br />

pubblicazione
 on‐line
 dei
 redditi
 dei
 contribuenti
 italiani
 e
 d<strong>alla</strong>
<br />

decisione
 con
 la
 quale
 il
 Garante
 per
 la
 Privacy
 ha
 accertato
<br />

l’illegittimità
del
provvedimento
con
il
quale
il
Direttore
Generale
<br />

dell’Agenzia
aveva
disposto
la
pubblicazione
degli
elenchi.
<br />


 In
quell’occasione
si
disse
che
il
fatto
che
i
dati
dei
redditi
<br />

dei
 contribuenti
 italiani
 fossero
 pubblici
 non
 ne
 legittimava,
<br />

comunque,
la
pubblicazione
on‐line.
<br />


 Oggi,
il
Ministro
Brunetta,
nel
lanciare
la
sua
“Operazione
<br />

Trasparenza”
dichiara
di
agire
nel
rispetto
della
disciplina
vigente
<br />

e
delle
indicazioni
del
Garante
per
la
protezione
dei
dati
personali.
<br />


 Difficile
contraddirlo
in
assenza
di
un
provvedimento
che
<br />

chiarisca
 quali
 dati
 esattamente
 formeranno
 oggetto
 di
<br />

pubblicazione
e
con
quali
modalità
e,
soprattutto,
in
mancanza
di
<br />

una
 richiesta
 di
 parere
 formale
 al
 Garante
 che,
 sin
 qui,
 sembra
<br />

essersi
limitato
ad
“annuire
tacitamente
con
il
capo”.
<br />


 Proviamo
a
vederci
chiaro
lanciando
–
ci
sia
consentito
un
<br />

gioco
di
parole
–
“un’Operazione
Chiarezza”.
<br />


 La
 disciplina
 sulla
 privacy
 stabilisce
 –
 lo
 ha
 ricordato
 il
<br />

Garante
nel
citato
provvedimento
nel
Caso
redditi
on‐line
–che
le
<br />

pubbliche
amministrazioni
possano
procedere
<strong>alla</strong>
comunicazione
<br />

e
 diffusione
 di
 dati
 personali
 solo
 ed
 esclusivamente
 quando
<br />

previsto
da
una
norma
di
legge
e
con
le
modalità
e
nei
termini
da
<br />

essa
dettati.
<br />


 In
tale
contesto
è
evidente
che
in
assenza
di
un’adeguata
<br />

copertura
 normativa
 l’iniziativa
 del
 Ministro
 Brunetta
 –
 per
<br />

quanto
 giusta
 e
 meritevole
 di
 approvazione
 –
 non
 potrebbe
 aver
<br />

seguito
ponendosi,
altrimenti,
in
contrasto
con
la
vigente
disciplina
<br />

in
 materia
 di
 Privacy
 ed
 imponendo
 al
 Garante
 –
 così
 come
<br />

accaduto
nel
Caso
Redditi
on‐line
–
di
intervenire
per
porvi
fine.
<br />


 Vediamo,
dunque,
cosa
dice
la
legge.
<br />


 L’art.
54
del
Codice
dell'Amministrazione
Digitale
(D.
Lgs.
<br />

n.
 82/2005)
 obbliga
 –
 e
 non
 già
 semplicemente
 permette
 ­
 le
<br />

Pubbliche
 Amministrazioni
 a
 pubblicare
 sul
 proprio
 sito
 internet
<br />

“l'organigramma,
 l'articolazione
 degli
 uffici,
 le
 attribuzioni
 e
<br />

l'organizzazione
 di
 ciascun
 ufficio”
 ma
 anche
 “i
 nomi
 dei
 dirigenti
<br />

responsabili
 dei
 singoli
 uffici”
 e
 “l’elenco
 <strong>completo</strong>
 delle
 caselle
 di
<br />

187




<br />

posta
elettronica
istituzionali
attive,
specificando
anche
se
si
tratta
<br />

di
una
casella
di
posta
elettronica
certificata”.
<br />


 Nessun
dubbio,
quindi,
sul
fatto
che
la
pubblicazione
di
tali
<br />

dati,
 cui
 il
 Ministro
 Brunetta
 ha
 annunciato
 di
 voler
 procedere
<br />

nell’ambito
dell’Operazione
Trasparenza
sia
lecita.
<br />


 Occorre,
 tuttavia,
 chiarire
 –
 nell’ambito
 della
 nostra
<br />

piccola
Operazione
Chiarezza
–
che,
in
questo
caso,
non
si
tratta
di
<br />

scelte
politiche
discrezionali
ma,
più
semplicemente,
di
necessaria
<br />

applicazione
di
prescrizioni
di
legge
vigenti.
<br />


 Tanto
per
intenderci
non
pubblicare
questi
dati
sul
sito
di
<br />

ogni
Ministero
(e,
più
in
generale,
di
ogni
altra
PA)
costituirebbe
<br />

un’aperta
violazione
del
Codice
dell’Amministrazione
Digitale
che,
<br />

per
 quanto
 dimenticata,
 è
 una
 legge
 –
 peraltro
 ormai
<br />

anagraficamente
matura
–
di
questo
Paese.
<br />

In
 questo
 senso
 è
 difficile
 comprendere
 –
 da
 un
 punto
 di
 vista
<br />

giuridico
 s’intende
 –
 il
 senso
 dell’invito
 rivolto
 dal
 Ministro
<br />

Brunetta
 ai
 suoi
 colleghi
 di
 Governo
 affinché
 seguano
 il
 suo
<br />

esempio
e
pubblichino
tali
dati
on‐line.
<br />


 L’invito
è
fuori
posto.
Al
riguardo,
al
massimo,
si
sarebbe
<br />

potuto
 comprendere
 un
 richiamo
 al
 rispetto
 della
 normativa
<br />

vigente.
 Non
 bisogna
 più
 convincere
 nessuno
 sui
 benefici
 che
<br />

cittadini
 e
 PA
 ricaverebbero
 dall’attuazione
 del
 CAD
 e
 non
 è
 più
<br />

tempo
di
discorsi
autoreferenziali.
<br />


 Le
norme
ci
sono
ormai:
bisogna
soltanto
farle
applicare
e,
<br />

se
non
danno
buona
prova
di
sé,
modificarle.
<br />


 Discorso
 diverso
 merita,
 invece,
 la
 questione
 della
<br />

pubblicazione
delle
retribuzioni
(lorde)
dei
dirigenti
del
Ministero
<br />

della
 Pubblica
 Amministrazione
 e
 Innovazione
 e,
 nella
 misura
 in
<br />

cui
 gli
 altri
 Ministri
 raccoglieranno
 l’invito
 del
 collega
 Brunetta,
<br />

quelli
 dei
 dirigenti
 di
 tutti
 gli
 altri
 Ministeri
 e
 delle
 relative
<br />

strutture
collegate.
<br />


 Al
 riguardo
 l’art.
 1,
 comma
 593,
 della
 Legge
 Finanziaria
<br />

2007
 (Legge
 n.
 296/2006)
 dispone
 la
 necessaria
 e
 preventiva
<br />

pubblicazione
 via
 web
 della
 retribuzione
 dei
 dirigenti
 delle
<br />

pubbliche
 amministrazioni
 il
 cui
 incarico
 sia
 stato
 conferito
 ai
<br />

sensi
 dell'art.
 19,
 comma
 6,
 D.
 Lgs.
 n.
 165/2001
 nonché
 dei
<br />

consulenti,
dei
membri
di
commissioni
e
di
collegi
e
dei
titolari
di
<br />

qualsivoglia
incarico
corrisposto
dallo
Stato,
da
enti
pubblici
o
da
<br />

società
a
prevalente
partecipazione
pubblica
non
quotate
in
borsa.
<br />


 Ancora
 una
 volta
 la
 legge
 non
 permette
 la
 pubblicazione
<br />

on‐line
delle
retribuzioni
dei
soggetti
individuati
nella
norma
ma
<br />

la
impone
e,
ancora
una
volta,
pertanto,
l’Operazione
Trasparenza
<br />

–
ammesso
che
tutti
i
dirigenti
di
cui
si
discute
siano
stati
nominati
<br />

ai
 sensi
 del
 richiamato
 comma
 6,
 art.
 19,
 D.
 Lgs.
 n.
 165/2001
 –
<br />

188




<br />

costituirebbe
 semplicemente
 un’Operazione
 di
 applicazione
 della
<br />

disciplina
vigente.
<br />


 Se,
invece,
uno
o
più
dei
dirigenti
cui
si
riferiscono
i
redditi
<br />

già
 pubblicati
 o
 quelli
 che
 verranno
 pubblicati
 nelle
 prossime
<br />

settimane
 non
 fosse
 stato
 nominato
 <strong>alla</strong>
 stregua
 della
 richiamata
<br />

disposizione,
mancherebbe
una
norma
di
copertura
per
l’iniziativa
<br />

del
Ministro
Brunetta
che,
di
conseguenza,
dovrebbe
astenersi
dal
<br />

provvedervi
 in
 assenza
 di
 esplicito
 e
 libero
 consenso
 da
 parte
 di
<br />

tutti
i
dirigenti
rilasciato
dopo
prestazione
di
adeguata
informativa
<br />

sui
termini
e
le
modalità
di
pubblicazione
dei
propri
redditi.
<br />


 Il
Ministro
Brunetta,
in
effetti,
nella
sua
conferenza
stampa
<br />

ha
dichiarato
–
quasi
a
mettere
le
mani
avanti
–
di
aver
agito
con
il
<br />

consenso
 dei
 suoi
 dirigenti,
 consenso
 acquisito
 dopo
 qualche
<br />

iniziale
“resistenza”.
<br />


 Il
 consenso
 prestato
 da
 un
 dirigente
 nelle
 mani
 del
 suo
<br />

Ministro,
 tuttavia,
 fa
 sorgere
 qualche
 perplessità
 sotto
 il
 profilo
<br />

della
sua
effettiva
“libertà”.
<br />


 L’Operazione
 Trasparenza,
 a
 regime,
 dovrebbe
 vedere
 la
<br />

pubblicazione
anche
dei
curricula
dei
dirigenti
e
dei
dati
relativi
al
<br />

raggiungimento
degli
obiettivi;
anche
in
questo
caso
l’unica
strada
<br />

praticabile
 e
 legittima
 dal
 punto
 di
 vista
 giuridico
 è
 quella
 che
<br />

prevede
 che
 l’Amministrazione
 richieda
 agli
 interessati
 il
<br />

necessario
consenso,
così
come
prescritto
dal
Codice
Privacy.
<br />


 A
 voler
 seguire
 la
 strada
 indicata
 dal
 Ministro
 Brunetta,
<br />

quindi,
 appare
 opportuno
 dettare
 regole
 nuove
 che
 chiariscano
 i
<br />

rapporti
 tra
 il
 regime
 di
 pubblicità
 e
 conoscibilità
 dei
 dati
 e
 la
<br />

disciplina
sulla
privacy.
<br />


 In
 mancanza
 è
 prevedibile
 che
 le
 iniziative
 avviate
 da
<br />

politici
 e
 dirigenti
 illuminati
 saranno
 destinate
 a
 fallire
 perchè
<br />

bloccate
 dalle
 difficoltà
 nell’acquisizione
 di
 tutti
 i
 consensi
<br />

necessari
e
dal
contenzioso
che
potrebbe
derivarne.
<br />


 Frattanto
 spetta
 al
 Garante
 per
 la
 protezione
 dei
 dati
<br />

personali
 verificare
 che
 tutto,
 nell’ambito
 dell’Operazione
<br />

Trasparenza
 si
 stia
 svolgendo
 effettivamente
 nel
 rispetto
 della
<br />

disciplina
vigente
e
ciò
a
tutela
della
certezza
del
diritto
che
non
<br />

può
e
non
deve
essere
posta
nel
dubbio
attraverso
l’assunzione
di
<br />

posizioni
o
orientamenti
ondivaghi
e
difficilmente
giustificabili
in
<br />

assenza
 di
 motivazioni
 puntuali,
 rigorose
 e,
 soprattutto,
<br />

trasparenti.
<br />


 Se
la
regola
dettata
dal
Codice
Privacy
è
–
come
il
Garante
<br />

ha
 insegnato
 nel
 Caso
 Redditi
 on‐line
 –
 che
 la
 Pubblica
<br />

Amministrazione
può
comunicare
o
diffondere
dati
personali
solo
<br />

in
 presenza
 di
 una
 norma
 di
 legge
 che
 a
 ciò
 la
 autorizzi
 e
 con
 le
<br />

modalità
previste
da
detta
norma,
l’Autorità
non
può
oggi
lasciare
<br />

che
in
assenza
di
adeguata
copertura
normativa
–
nel
solo
nome
di
<br />

189



un
generico
obiettivo
trasparenza
–
i
redditi
di
migliaia
di
dirigenti
<br />

pubblici
finiscano
on‐line
in
file
pdf
destinati
ad
appartenere
per
<br />

sempre
<strong>alla</strong>
<strong>Rete</strong>
globale.
<br />


 Non
si
tratta
di
chiedersi
se
è
giusto
o
ingiusto
o,
piuttosto,
<br />

di
 interrogarsi
 sull’opportunità
 politica
 del
 gesto
 ma,
<br />

semplicemente,
 di
 chiarire,
 una
 volta
 di
 più,
 che
 le
 regole
 sono
<br />

regole
e
che
vanno
rispettate
in
ogni
contesto
e
stagione
politica.
<br />


 Ci
 sia
 consentita
 un’ultima
 annotazione:
 la
 pubblicazione
<br />

delle
 retribuzioni
 lorde
 dei
 dirigenti
 dei
 ministeri
 italiani
 riveste
<br />

ben
 poca
 utilità
 e
 rischia
 anzi
 di
 risultare
 fuorviante
 in
 assenza
<br />

della
 pubblicazione
 di
 adeguati
 indici
 di
 misurazione
 del
<br />

complesso
 dei
 fringe
 benefits
 di
 cui
 ciascuno
 di
 tali
 soggetti
 può
<br />

effettivamente
 disporre
 (auto,
 telefonini,
 pc,
 connessione
 ad
<br />

internet
ecc..).
<br />

Operazione
Chiarezza
appunto.
<br />


<br />

Privacy
e
social
network
<br />

25
ottobre
2008
<br />

http://www.guidoscorza.it/?p=368
<br />


<br />


 La
 privacy
 degli
 utenti
 di
 Facebook
 e
 MySpace
 e
 più
 in
<br />

generale
 delle
 decine
 di
 piattaforme
 di
 Social
 Network
 forma
<br />

oggetto
 di
 una
 delle
 risoluzione
 adottate
 nell'ambito
 della
 30°
<br />

conferenza
 mondiale
 dei
 Garanti
 per
 la
 protezione
 dei
 dati
<br />

personali
 e
 la
 riservatezza
 svoltasi
 dal
 15
 al
 17
 ottobre
 a
<br />

Strasburgo.
<br />


 I
 70
 garanti
 nella
 Risoluzione
 richiamano
 l'attenzione
 di
<br />

utenti,
social
network
providers
e
governi
sui
rischi
connessi
alle
<br />

dinamiche
 di
 circolazione
 dei
 dati
 personali
 nell'ambito
 delle
<br />

piattaforme
di
social
network 69.
<br />

























































<br />


<br />

69 
 Il
 testo
 integrale
 della
 risoluzione:
 Risoluzione
 sulla
 tutela
 della
 privacy
 nei
<br />

servizi
di
social
network
(*)
<br />

Autorità
 proponente:
 Autorità
 per
 la
 protezione
 dei
 dati
 e
 l'accesso
 alle
<br />

informazioni
dello
Stato
di
Berlino
–
Germania
<br />

Co‐sponsor:
<br />





Commission
nationale
de
l'informatique
et
des
libertés
(CNIL)
–
Francia
<br />





Autorità
 federale
 per
 la
 protezione
 dei
 dati
 e
 l'accesso
 alle
 informazioni
 –
<br />

Germania
<br />





Garante
per
la
protezione
dei
dati
personali
–
Italia
<br />





Autorità
per
la
privacy
–
Nuova
Zelanda
<br />





Autorità
federale
per
la
protezione
dei
dati
e
le
informazioni
–
Svizzera
<br />

Risoluzione
<br />

I
 servizi
 di
 social
 network
 (1)
 sono
 divenuti
 estremamente
 popolari
 negli
 ultimi
<br />

anni.
 Fra
 l'altro,
 si
 tratta
 di
 servizi
 che
 offrono
 agli
 abbonati
 la
 possibilità
 di
<br />

interagire
attraverso
profili
personali
generati
autonomamente,
il
che
favorisce
la
<br />

comunicazione
di
dati
personali
relativi
agli
abbonati,
ma
anche
a
soggetti
terzi,
in
<br />

una
misura
che
non
ha
precedenti.
I
servizi
di
social
network
offrono
una
gamma
<br />

190



























































<br />


<br />

del
 tutto
 nuova
 di
 opportunità
 comunicative
 e
 di
 interazione
 in
 tempo
 reale
<br />

attraverso
 ogni
 possibile
 tipologia
 di
 informazioni,
 ma
 l'utilizzo
 di
 questi
 servizi
<br />

può
 comportare
 rischi
 per
 la
 privacy
 sia
 degli
 utenti
 sia
 di
 terzi.
 I
 dati
 personali
<br />

divengono
 infatti
 disponibili
 pubblicamente
 e
 in
 modo
 globale,
 secondo
 schemi
<br />

qualitativi
 e
 quantitativi
 che
 non
 hanno
 precedenti,
 anche
 attraverso
 enormi
<br />

quantità
di
foto
e
video
digitali.
<br />

C'è
il
rischio
di
perdere
il
controllo
dell'utilizzo
dei
propri
dati
una
volta
pubblicati
<br />

in
rete.
Il
fatto
che
si
tratti
di
servizi
operanti
attraverso
una
"comunità"
di
utenti
<br />

può
 far
 pensare
 che
 la
 situazione
 non
 sia
 molto
 diversa
 dal
 condividere
<br />

informazioni
 con
 un
 gruppo
 di
 amici
 nel
 mondo
 reale;
 in
 realtà,
 le
 informazioni
<br />

contenute
nel
proprio
profilo
possono
raggiungere
l'intera
comunità
degli
abbonati
<br />

al
servizio
–
talora
in
numero
di
diversi
milioni.
<br />

Attualmente
 non
 vi
 sono
 che
 scarse
 tutele
 rispetto
 <strong>alla</strong>
 riproduzione
 dei
 dati
<br />

personali
contenuti
nei
profili‐utente;
possono
essere
copiati
da
altri
membri
della
<br />

rete,
 o
 da
 terzi
 non
 autorizzati
 esterni
 <strong>alla</strong>
 rete,
 e
 quindi
 venire
 utilizzati
 per
<br />

costruire
 profili
 personali
 oppure
 essere
 ripubblicati
 altrove.
 Talora
 risulta
 assai
<br />

difficile,
o
addirittura
impossibile,
ottenere
la
totale
cancellazione
dei
propri
dati
da
<br />

Internet
una
volta
che
essi
siano
stati
pubblicati.
Anche
dopo
la
cancellazione
dal
<br />

sito
originario
(ad
esempio,
un
servizio
di
social
network),
possono
esisterne
copie
<br />

in
mano
a
soggetti
terzi
o
ai
fornitori
del
servizio
di
social
network.
Inoltre,
i
dati
<br />

personali
contenuti
nei
profili
possono
"filtrare"
d<strong>alla</strong>
rete
se
sono
indicizzati
da
un
<br />

motore
 di
 ricerca,
 mentre
 alcuni
 fornitori
 di
 questi
 servizi
 consentono
 a
 terzi
 di
<br />

accedere
 ai
 dati
 relativi
 agli
 utenti
 attraverso
 API
 (interfacce
 di
 programmazione
<br />

applicazioni),
 cosicché
 tali
 soggetti
 terzi
 sono
 liberi
 di
 disporre
 dei
 dati
 in
<br />

questione.
<br />

Fra
gli
esempi
di
utilizzo
ulteriore
dei
dati,
possiamo
citare
la
prassi
invalsa
presso
<br />

molti
 uffici
 del
 personale
 di
 varie
 aziende
 di
 ricercare
 i
 profili‐utente
 relativi
 a
<br />

candidati
all'assunzione
o
singoli
dipendenti.
Secondo
quanto
riferito
d<strong>alla</strong>
stampa,
<br />

un
 terzo
 dei
 responsabili
 delle
 risorse
 umane
 ammette
 di
 utilizzare
 informazioni
<br />

tratte
 da
 servizi
 di
 social
 network,
 ad
 esempio
 per
 verificare
 o
 completare
 le
<br />

informazioni
fornite
dai
candidati
all'assunzione.
<br />

Le
informazioni
contenute
nei
profili‐utente
e
i
dati
di
traffico
sono
utilizzati
anche
<br />

dai
fornitori
di
servizi
di
social
network
per
l'invio
di
messaggi
mirati
di
marketing
<br />

ai
rispettivi
utenti.
<br />

E'
 molto
 probabile
 che
 in
 futuro
 si
 manifestino
 altre
 modalità
 di
 utilizzo
 dei
 dati
<br />

contenuti
nei
profili‐utente.
<br />

Fra
 gli
 altri
 rischi
 specifici
 per
 la
 privacy
 e
 la
 sicurezza
 già
 oggi
 individuati,
<br />

possiamo
ricordare
l'incremento
del
rischio
di
furti
di
identità
favorito
d<strong>alla</strong>
diffusa
<br />

disponibilità
dei
dati
personali
contenuti
nei
profili‐utente
e
d<strong>alla</strong>
"cattura"
di
tali
<br />

profili
ad
opera
di
terzi
non
autorizzati.
La
30ma
Conferenza
Internazionale
delle
<br />

autorità
per
la
protezione
dei
dati
e
della
privacy
ricorda
che
tali
rischi
hanno
già
<br />

formato
oggetto
di
analisi
nel
documento
"Relazione
e
Linee‐Guida
sulla
Privacy
nei
<br />

Servizi
 di
 Social
 Network
 ("Memorandum
 di
 Roma")"
 adottato
 durante
 la
 43ma
<br />

riunione
 dell'International
 Working
 Group
 on
 Data
 Protection
 in
<br />

Telecommunications
(3‐4
marzo
2008),
nonché
nel
Position
Paper
n.
1
dell'ENISA
<br />

dedicato
 a
 "Security
 Issues
 and
 Recommendations
 for
 Online
 Social
 Networks"
<br />

(ottobre
2007).
<br />

Le
 Autorità
 per
 la
 protezione
 dei
 dati
 e
 della
 privacy
 riunitesi
 in
 occasione
 della
<br />

Conferenza
 Internazionale
 sono
 convinte,
 in
 primo
 luogo,
 della
 necessità
 di
<br />

condurre
 un'approfondita
 campagna
 informativa
 che
 investa
 tutti
 i
 soggetti
<br />

pubblici
e
privati:
dalle
autorità
di
governo
alle
istituzioni
scolastiche,
dai
fornitori
<br />

di
 servizi
 di
 social
 network
 alle
 associazioni
 di
 utenti
 e
 consumatori,
 nonché
 le
<br />

stesse
autorità,
al
fine
di
prevenire
i
molteplici
rischi
associati
all'utilizzo
dei
servizi
<br />

di
social
network.
<br />

191



























































<br />


<br />

Raccomandazioni
<br />

Tenuto
 conto
 della
 particolare
 natura
 dei
 servizi
 in
 oggetto,
 e
 dei
 rischi
 per
 la
<br />

privacy
 delle
 persone
 nel
 breve
 e
 nel
 lungo
 periodo,
 la
 Conferenza
 sottopone
 le
<br />

seguenti
raccomandazioni
agli
utenti
ed
ai
fornitori
di
servizi
di
social
network:
<br />

Utenti
dei
servizi
di
social
network
<br />

I
 soggetti
 interessati
 al
 benessere
 degli
 utenti
 dei
 servizi
 di
 social
 network,
 ivi
<br />

compresi
i
fornitori
di
tali
servizi,
i
governi,
e
le
autorità
per
la
protezione
dei
dati,
<br />

dovrebbero
 contribuire
 ad
 educare
 gli
 utenti
 <strong>alla</strong>
 tutela
 dei
 dati
 personali
 che
 li
<br />

riguardano,
trasmettendo
i
messaggi
di
seguito
indicati:
<br />

1.
Pubblicazione
delle
informazioni
<br />

Gli
 utenti
 di
 servizi
 di
 social
 network
 dovrebbero
 valutare
 con
 attenzione
 se
 e
 in
<br />

quale
misura
pubblicare
dati
personali
in
un
profilo
creato
su
tali
servizi.
Occorre
<br />

tenere
 presente
 che
 le
 informazioni
 o
 le
 immagini
 pubblicate
 potrebbero
<br />

riemergere
 in
 tempi
 successivi
 –
 ad
 esempio,
 in
 occasione
 della
 presentazione
 di
<br />

una
 domanda
 d'impiego.
 Soprattutto,
 i
 minori
 dovrebbero
 evitare
 di
 fornire
<br />

l'indirizzo
o
il
numero
telefonico
di
casa.
<br />

Sarebbe
 opportuno
 valutare
 se
 utilizzare
 nel
 profilo
 uno
 pseudonimo
 anziché
 il
<br />

nome
reale.
Tuttavia,
gli
utenti
devono
ricordare
che
la
tutela
offerta
dall'utilizzo
di
<br />

pseudonimi
è
piuttosto
limitata,
in
quanto
altri
potrebbero
individuare
chi
vi
si
cela
<br />

dietro.
<br />

2.
La
privacy
degli
altri
<br />

Gli
 utenti
 devono
 rispettare
 la
 privacy
 altrui.
 Occorre
 particolare
 attenzione
 se
 si
<br />

pubblicano
 dati
 personali
 relativi
 a
 soggetti
 terzi
 (comprese
 foto
 con
 o
 senza
<br />

didascalie
o
etichette)
senza
il
consenso
di
tali
soggetti.
<br />

Fornitori
dei
servizi
di
social
network
<br />

I
fornitori
dei
servizi
di
social
network
sono
tenuti
ad
operare
nell'interesse
delle
<br />

persone
 che
 utilizzano
 i
 loro
 servizi.
 Oltre
 a
 rispettare
 la
 normativa
 in
 materia
 di
<br />

protezione
 dei
 dati,
 dovrebbero
 mettere
 in
 pratica
 anche
 le
 raccomandazioni
 di
<br />

seguito
indicate:
<br />

1.
Norme
e
standard
in
materia
di
privacy
<br />

I
fornitori
devono
rispettare
gli
standard
in
materia
di
privacy
vigenti
nei
Paesi
ove
<br />

operano.
A
tale
scopo,
dovrebbero
consultarsi,
se
necessario,
con
le
autorità
per
la
<br />

protezione
dei
dati.
<br />

2.
Informazioni
relative
agli
utenti
<br />

I
 fornitori
 dei
 servizi
 di
 social
 network
 devono
 informare
 gli
 utenti
 in
 merito
 al
<br />

trattamento
 dei
 dati
 personali
 che
 li
 riguardano,
 secondo
 modalità
 trasparenti
 e
<br />

corrette.
 Inoltre,
 devono
 fornire
 informazioni
 veritiere
 e
 comprensibili
 sulle
<br />

conseguenze
 derivanti
 d<strong>alla</strong>
 pubblicazione
 di
 dati
 personali
 in
 un
 profilo,
 nonché
<br />

sugli
 altri
 rischi
 in
 materia
 di
 sicurezza
 e
 sulla
 possibilità
 che
 soggetti
 terzi
<br />

(comprese,
 ad
 esempio,
 le
 forze
 dell'ordine)
 accedano
 legalmente
 a
 tali
 dati.
<br />

L'informativa
 deve
 indicare
 anche
 le
 modalità
 per
 una
 corretta
 gestione
 dei
 dati
<br />

personali
relativi
a
terzi
che
siano
contenuti
nei
singoli
profili‐utente.
<br />

3.
Controllo
da
parte
degli
utenti
sui
dati
che
li
riguardano
<br />

E'
 necessario
 che
 i
 fornitori
 potenzino
 ulteriormente
 la
 capacità
 degli
 utenti
 di
<br />

decidere
 l'utilizzo
 dei
 dati
 contenuti
 nei
 rispettivi
 profili
 per
 quanto
 riguarda
 i
<br />

membri
 della
 comunità.
 Devono
 consentire
 agli
 utenti
 di
 limitare
 la
 visibilità
<br />

dell'intero
profilo,
nonché
di
singoli
dati
contenuti
nel
profilo
o
ottenuti
attraverso
<br />

funzioni
di
ricerca
messe
a
disposizione
della
comunità.
<br />

Inoltre,
 i
 fornitori
 devono
 consentire
 agli
 utenti
 di
 decidere
 sugli
 utilizzi
 ulteriori
<br />

dei
dati
di
traffico
e
dei
dati
contenuti
nei
rispettivi
profili
–
ad
esempio,
per
quanto
<br />

riguarda
attività
di
marketing.
Come
minimo,
devono
offrire
la
possibilità
di
negare
<br />

il
consenso
(opt‐out)
rispetto
all'utilizzo
dei
dati
non
sensibili
contenuti
nel
profilo,
<br />

e
 prevedere
 un
 consenso
 previo
 (opt‐in)
 rispetto
 all'utilizzo
 di
 dati
 di
 natura
<br />

192




<br />


 La
 risoluzione
 richiama,
 sostanzialmente,il
 contenuto
 del
<br />

memorandum
già
approvato
a
Roma
nell'ambito
della
43°
riunione
<br />

del
 Gruppo
 di
 lavoro
 sulla
 protezione
 dei
 dati
 nelle
<br />

telecomunicazioni
nel
marzo
di
quest'anno 70.
<br />


 Trovo
 giusto
 ed
 opportuno
 che
 i
 garanti
 richiamino
<br />

l'attenzione
degli
attori
del
social
networking
sui
rischi
connessi
a
<br />

























































<br />

sensibile
 contenuti
 nel
 profilo
 (ad
 esempio,
 dati
 relativi
 ad
 opinioni
 politiche
 o
<br />

all'orientamento
sessuale)
nonché
rispetto
ai
dati
di
traffico.
<br />

4.
Impostazioni
di
default
orientate
<strong>alla</strong>
privacy
<br />

Inoltre,
i
fornitori
devono
prevedere
impostazioni
di
default
orientate
a
favorire
la
<br />

privacy
 degli
 utenti
 per
 quanto
 riguarda
 le
 informazioni
 contenute
 nei
 singoli
<br />

profili.
Le
impostazioni
di
default
sono
essenziali
ai
fini
della
tutela
della
privacy;
è
<br />

noto
 come
 solo
 una
 minoranza
 degli
 utenti
 che
 aderiscono
 ad
 un
 determinato
<br />

servizio
 si
 preoccupi
 di
 modificare
 tali
 impostazioni.
 Le
 impostazioni
 in
 oggetto
<br />

devono
 essere
 particolarmente
 restrittive
 se
 il
 servizio
 di
 social
 network
 è
<br />

destinato
o
rivolto
a
minori.
<br />

5.
Sicurezza
<br />

I
 fornitori
 devono
 continuare
 a
 potenziare
 e
 garantire
 la
 sicurezza
 dei
 sistemi
<br />

informativi,
 impedendo
 accessi
 abusivi
 ai
 profili‐utente,
 utilizzando
 standard
<br />

riconosciuti
per
quanto
concerne
la
programmazione,
lo
sviluppo
e
la
gestione
delle
<br />

rispettive
applicazioni,
e
ricorrendo
a
verifiche
e
certificazioni
indipendenti.
<br />

6.
Diritti
di
accesso
<br />

I
fornitori
devono
riconoscere
alle
persone
(siano
esse
membri
del
servizio
o
meno)
<br />

il
 diritto
 di
 accedere
 e,
 se
 necessario,
 apportare
 modifiche
 a
 tutti
 i
 dati
 personali
<br />

detenuti
dai
fornitori
stessi.
<br />

7.
Cancellazione
dei
profili‐utente
<br />

I
 fornitori
 devono
 permettere
 agli
 utenti
 di
 recedere
 facilmente
 dal
 servizio,
<br />

cancellando
 il
 rispettivo
 profilo
 ed
 ogni
 contenuto
 o
 informazione
 da
 essi
<br />

pubblicato
attraverso
il
servizio
di
social
network.
<br />

8.
Utilizzo
di
pseudonimi
<br />

I
 fornitori
 devono
 consentire
 la
 creazione
 e
 l'utilizzo,
 in
 via
 opzionale,
 di
 profili
<br />

basati
su
pseudonimi
e
promuovere
il
ricorso
a
tale
modalità
opzionale.
<br />

9.
Accesso
da
parte
di
soggetti
terzi
<br />

I
 fornitori
 devono
 prendere
 misure
 atte
 ad
 impedire
 che
 soggetti
 terzi
 possano
<br />

raccogliere
attraverso
dispositivi
di
spidering
e/o
scaricare
(o
raccogliere)
in
massa
<br />

i
dati
contenuti
nei
profili‐utente.
<br />

10.
Indicizzazione
dei
profili‐utente
<br />

I
fornitori
devono
garantire
che
i
dati
relativi
agli
utenti
siano
navigabili
da
parte
<br />

dei
motori
di
ricerca
soltanto
con
il
previo
consenso
espresso
ed
informato
da
parte
<br />

del
singolo
utente.
Deve
essere
prevista
per
default
la
non‐indicizzazione
dei
profili‐<br />

utente
da
parte
dei
motori
di
ricerca.
<br />

__________________________________________
<br />

(*)
Traduzione
non
ufficiale
<br />

(1)
 "Un
 servizio
 di
 rete
 sociale
 (social
 network)
 consiste
 in
 via
 primaria
 nella
<br />

costruzione
e
nella
verifica
di
reti
sociali
online
rivolte
a
comunità
di
soggetti
che
<br />

condividono
interessi
e
attività,
o
che
sono
interessati
ad
esplorare
gli
interessi
e
le
<br />

attività
 altrui
 […].
 Si
 tratta
 di
 servizi
 che,
 per
 la
 massima
 parte,
 sono
 gestiti
<br />

attraverso
 il
 web
 ed
 offrono
 diverse
 modalità
 di
 interazione
 fra
 gli
 utenti
 […]."
<br />

Tratto
da
Wikipedia:
http://en.wikipedia.org/wiki/Social_network_service
<br />

70 
 Il
 testo
 integrale
 del
 memorandum
 è
 pubblicato
 a
 questa
 URL:
<br />

http://www.datenschutz‐<br />

berlin.de/attachments/461/WP_social_network_services.pdf?1208438491
<br />

193




<br />

questa
 nuova
 straordinaria
 forma
 di
 socialità
 globale
 e
<br />

sull'esigenza
di
rispettare
scrupolosamente
la
vigente
disciplina
a
<br />

tutela
 del
 diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy
 degli
 utenti
 mentre
 mi
 lascia
<br />

perplessa
 l'idea
 secondo
 la
 quale
 i
 social
 network
 providers
<br />

sarebbero
 tenuti
 ‐
 stando
 a
 quanto
 recita
 testualmente
 la
<br />

risoluzione
 adottata
 a
 Strasburgo
 ‐
 ad
 adeguarsi
 oltre
 che
 <strong>alla</strong>
<br />

vigente
 normativa
 anche
 ad
 un
 decalogo
 di
 nuove
 regole
 dettate
<br />

dai
settanta
garanti.
<br />


 Non
entro
nel
merito
di
tali
regole
(lo
farò
più
avanti)
ma
<br />

mi
 limito
 ad
 una
 considerazione
 di
 merito:
 in
 assenza
 di
 una
<br />

precisa
 scelta
 di
 politica
 legislativa
 un
 intervento
 dei
 Garanti
 su
<br />

una
 questione
 tanto
 delicata
 quale
 quella
 delle
 dinamiche
 di
<br />

funzionamento
 del
 social
 networking
 è
 pericoloso
 perché
 nelle
<br />

comunità
 virtuali
 si
 confrontano
 diritti
 ed
 interessi
 diversi
 e
 ben
<br />

più
complessi
rispetto
<strong>alla</strong>
pur
seria
"Questione
privacy".
<br />


 Un
 problema
 su
 tutti:
 è
 necessario
 limitare
 la
 libertà
 di
<br />

autoderminazione
 degli
 utenti
 in
 relazione
 <strong>alla</strong>
 messa
 a
<br />

disposizione
dei
propri
dati
personali?
<br />


 E'
una
risposta
che,
personalmente,
non
so
ancora
darmi
e,
<br />

francamente,
 credo
 che
 sia
 necessario
 approfondire
 l'analisi
<br />

fenomenologica
del
social
networking
e
delle
sue
possibili
linee
di
<br />

evoluzione
 prima
 di
 pretendere
 di
 dare
 risposte
 normative
 o
<br />

regolamentari.
<br />


 Mi
piace
ricordare
che
già
Seneca
aveva
intuito
che
l'uomo
<br />

è
un
animale
sociale
e
che
le
persone
non
sono
fatte
per
vivere
da
<br />

sole.
<br />


 Le
 comunità
 virtuali
 danno,
 dunque,
 concretezza
 ad
<br />

un'ineliminabile
aspirazione
umana.
<br />


 E'
 possibile
 che
 il
 bene
 della
 comunità
 globale
 esiga
 il
<br />

contenimento
di
tale
naturale
aspirazione
così
come
è
possibile
il
<br />

contrario…
<br />


<br />

Sui
social
network
si
pronunci
la
storia
<br />

28
ottobre
2008
<br />

Punto
Informatico
<br />


<br />

Nel
 corso
 della
 30°
 Conferenza
 internazionale
 dei
 Garanti
 per
 la
<br />

protezione
dei
dati
personali
e
la
privacy
svoltasi
tra
il
15
ed
il
17
<br />

ottobre
 scorsi
 a
 Strasburgo
 è
 stata,
 tra
 le
 altre,
 adottata
 una
<br />

Risoluzione
 sulla
 protezione
 della
 vita
 privata
 nei
 servizi
 di
 social
<br />

network.
<br />

La
risoluzione
muove
dal
presupposto
–
peraltro
già
puntualmente
<br />

delineato
 nel
 Memorandum
 di
 Roma
 stilato
 nell’ambito
 della
 43°
<br />

riunione
del
Gruppo
di
lavoro
internazionale
sulla
protezione
dei
<br />

dati
 nelle
 telecomunicazioni
 del
 3‐4
 marzo
 scorsi
 –
 secondo
 il
<br />

194




<br />

quale
 le
 piattaforme
 di
 social
 network
 se
 da
 un
 lato
 offrono
 ai
<br />

propri
 utenti
 una
 possibilità
 di
 interagire
 e
 scambiarsi
<br />

informazioni
 senza
 precedenti
 nella
 storia,
 dall’altro,
 espongono
<br />

questi
 ultimi
 ad
 una
 grave
 minaccia
 della
 vita
 privata
 loro
 e
 dei
<br />

terzi.
<br />

Si
tratta
di
un’analisi
sostanzialmente
condivisibile.
<br />

L’impatto
 positivo
 di
 tale
 fenomeno
 sulla
 società
 contemporanea
<br />

appare
 innegabile:
 per
 la
 prima
 volta
 nella
 storia
 dell’uomo,
<br />

ciascun
 individuo
 è
 posto
 nell’effettiva
 condizione
 di
 manifestare
<br />

liberamente
 il
 proprio
 pensiero,
 estrinsecare
 appieno
 la
 propria
<br />

personalità
 ed
 interagire
 con
 altri
 individui
 senza
 barriere
 di
<br />

carattere
sociale,
economico,
geografico
o
culturale.
<br />

E’,
 d’altro
 canto,
 circostanza
 egualmente
 incontestabile
 quella
<br />

secondo
 cui
 nell’ambito
 dei
 social
 network
 circoli
 e
 venga
<br />

quotidianamente
 scambiata
 una
 mole
 di
 informazioni
 attinenti
<br />

all’identità
 personale
 degli
 utenti
 che
 non
 ha
 precedenti
 nella
<br />

storia.
<br />

Le
conclusioni
cui
sono
pervenuti
i
70
Garanti
riuniti
a
Strasburgo,
<br />

tuttavia,
sollevano
qualche
perplessità.
<br />

Se,
 infatti,
 può
 convenirsi
 con
 i
 richiami
 contenuti
 nella
<br />

Risoluzione
all’esigenza
che
tutti
gli
attori
operanti
sul
campo
del
<br />

social
networking
debbano
svolgere
un’opera
di
sensibilizzazione
<br />

degli
utenti
–
soprattutto
di
quelli
minori
o,
comunque,
più
giovani
<br />

–
circa
le
conseguenze
della
condivisione
di
informazioni
personali
<br />

nell’ambito
 delle
 comunità
 virtuali
 ed
 al
 puntuale
 rispetto
 della
<br />

normativa
 a
 tutela
 della
 privacy
 attualmente
 vigente,
 meno
<br />

condivisibile
 appare
 la
 “responsabilità
 speciale”
 posta
 in
 capo
 ai
<br />

social
 network
 providers
 così
 come
 il
 principio
 secondo
 il
 quale
<br />

questi
 ultimi
 “oltre
 al
 rispetto
 della
 legislazione
 sulla
 protezione
<br />

dei
 dati”
 dovrebbero,
 “egualmente
 attuare”
 ulteriori
<br />

raccomandazioni
dettate
dai
settanta
garanti.
<br />

Tali
 raccomandazioni
 concernono,
 tra
 l’altro,
 l’esigenza
 per
 i
<br />

provider
di
social
network,
operanti
in
diversi
Paesi,
di
adeguarsi
<br />

<strong>alla</strong>
disciplina
sulla
tutela
della
privacy
in
vigore
in
ciascun
Paese
<br />

nel
 quale
 erogano
 i
 propri
 servizi,
 quella
 di
 informare
 gli
 utenti
<br />

circa
le
modalità
con
le
quali
vanno
trattati
i
dati
di
soggetti
terzi
<br />

nonché
quella
di
consentire
agli
utenti
di
restringere
le
modalità
e
<br />

l’ambito
 di
 diffusione
 dei
 dati
 personali
 contenuti
 nei
 propri
<br />

profili,
 precludendone,
 ad
 esempio,
 l’indicizzazione
 da
 parte
 dei
<br />

motori
 di
 ricerca
 e,
 dunque,
 l’accessibilità
 dei
 profili
 da
 parte
 di
<br />

soggetti
estranei
<strong>alla</strong>
piattaforma.
<br />

Nella
 Risoluzione,
 si
 raccomanda,
 inoltre,
 ai
 social
 network
<br />

providers,
 di
 ispirare
 le
 impostazioni
 predefinite
 delle
 proprie
<br />

piattaforme
al
massimo
rispetto
della
vita
privata
degli
utenti
e
dei
<br />

terzi,
di
consentire
sempre
agli
utenti
–
ed
anzi
di
incoraggiare
–
<br />

195




<br />

l’utilizzo
di
uno
pseudonimo
e
di
limitare
l’indicizzazione
da
parte
<br />

dei
motori
di
ricerca
dei
profili
degli
utenti
salvo
che
questi
ultimi
<br />

non
abbiano
dato
esplicita
autorizzazione
in
tal
senso.
<br />

Si
tratta
di
raccomandazioni
che
muovono
da
un
principio
lasciato
<br />

sullo
 sfondo
 della
 Risoluzione
 di
 Strasburgo
 ma
 evidenziato
 con
<br />

grande
 chiarezza
 nell’ambito
 del
 Memorandum
 di
 Roma:
 “With
<br />

respect
to
privacy,
one
of
the
most
fundamental
challenges
may
be
<br />

seen
in
the
fact
that
most
of
the
personal
information
published
in
<br />

social
 network
 services
 is
 being
 published
 at
 the
 initiative
 of
 the
<br />

users
 and
 based
 on
 their
 consent.
 While
 ”traditional”
 privacy
<br />

regulation
 is
 concerned
 with
 defining
 rules
 to
 protect
 citizens
<br />

against
unfair
or
unproportional
processing
of
personal
data
by
the
<br />

public
 administration
 (including
 law
 enforcement
 and
 secret
<br />

services),
and
businesses,
there
are
only
very
few
rules
governing
the
<br />

publication
of
personal
data
at
the
initiative
of
private
individuals,
<br />

partly
because
this
had
not
been
a
major
issue
in
the
“offline
world”,
<br />

and
neither
on
the
Internet
before
social
network
services
came
into
<br />

being…
At
the
same
time,
a
new
generation
of
users
has
arrived:
The
<br />

first
generation
that
has
been
growing
up
while
the
Internet
already
<br />

existed.
 These
 “digital
 natives”
 have
 developed
 their
 own
 ways
 of
<br />

using
Internet
services,
and
of
what
they
see
to
be
private
and
what
<br />

belongs
to
the
public
sphere.
Furthermore
they
–
most
of
them
being
<br />

in
 their
 teens
 –
 may
 be
 more
 ready
 to
 take
 privacy
 risks
 than
 the
<br />

older
“digital
immigrants”.
In
general,
it
seems
that
younger
people
<br />

are
 more
 comfortable
 with
 pubishing
 (sometimes
 intimate)
 details
<br />

of
their
lives
on
the
Internet.
Legislators,
Data
Protection
Authorities
<br />

as
well
as
social
network
service
providers
are
faced
with
a
situation
<br />

that
has
no
visible
example
in
the
past.
While
social
network
services
<br />

offer
a
new
range
of
opportunities
for
communication
and
real­time
<br />

exchange
of
any
kind
of
information,
the
use
of
such
services
can
also
<br />

lead
to
putting
the
privacy
of
its
users
(and
of
other
citizens
not
even
<br />

subscribed
to
a
social
network
service)
at
risk.“.
<br />

In
tale
contesto
la
perplessità
principale
che
la
recente
Risoluzione
<br />

di
 Strasburgo
 solleva
 concerne
 proprio
 l’opportunità
 –
 nella
<br />

dichiarata
assenza
di
una
preliminare
scelta
di
politica
legislativa
–
<br />

che
 le
 Autorità
 Garanti
 della
 privacy
 e
 della
 riservatezza
<br />

intervengano
 a
 regolamentare
 le
 dinamiche
 e
 lo
 sviluppo
 delle
<br />

nuove
 comunità
 virtuali
 incidendo,
 persino,
 sul
 diritto
 di
<br />

autoderminazione
degli
utenti
circa
la
diffusione
di
porzioni
più
o
<br />

meno
rappresentative
della
propria
identità
personale.
<br />

Non
 si
 tratta
 di
 un
 giudizio
 di
 merito
 ma,
 piuttosto,
 di
 una
<br />

valutazione
di
metodo.
<br />

Il
 contenuto
 del
 diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy,
 infatti,
 non
 è
 statico
 ma,
 per
<br />

sua
natura,
destinato
a
mutare
in
relazione
ad
una
molteplicità
di
<br />

fattori
 storici,
 sociologici,
 culturali,
 politici
 e,
 persino,
 geografici
<br />

196




<br />

con
l’ovvia
conseguenza
che
se
i
c.d.
“digital
natives”
attribuiscono
<br />

a
 tale
 diritto
 un’intensità
 ed
 un
 contenuto
 diverso
 da
 quello
<br />

attribuitogli
nella
presente
epoca
storica,
non
è
detto
che
sia
giusto
<br />

o
 opportuno
 condizionarne
 lo
 sviluppo
 imponendo
 l’applicazione
<br />

al
futuro
di
regole
provenienti
dal
passato.
<br />

In
 epoche
 storiche
 non
 troppo
 lontane
 ed
 in
 Paesi
 divisi
 dal
<br />

vecchio
continente
solo
da
qualche
miglia
marina
si
attribuiva
‐
e
si
<br />

attribuisce
 tuttora
 –
 alle
 espressioni
 “pubblico”
 e
 “privato”
<br />

significati
 assai
 diversi
 da
 quelli
 diffusi
 nella
 nostra
 società
 e
 sui
<br />

quali
riposa
l’attuale
diritto
<strong>alla</strong>
privacy.
<br />

Forse,
 dinanzi
 <strong>alla</strong>
 rivoluzione
 pacifica
 del
 Social
 Networking
 –
<br />

nuovo
 mezzo
 di
 attuazione
 di
 un’antica
 aspirazione
 di
 tutti
 gli
<br />

uomini
 che
 già
 Lucio
 Anneo
 Seneca
 definiva
 animali
 sociali
 non
<br />

fatti
 per
 viver
 da
 soli
 –
 il
 legislatore,
 ed
 ancor
 più
 le
 Autorità
 di
<br />

regolamentazione,
dovrebbero
far
un
passo
indietro
e
lasciare
che
<br />

la
 storia
 faccia
 il
 suo
 corso
 e
 che
 siano
 i
 processi
 sociologici
<br />

naturali
a
definire
il
contenuto
di
valori
e
diritti
quale
quello
<strong>alla</strong>
<br />

privacy.
<br />

Non
 si
 tratta
 di
 abbandonare
 centinaia
 di
 milioni
 di
 utenti
 delle
<br />

piattaforme
di
Social
Network
al
loro
destino
o
di
disinteressarsi
<br />

della
 tutela
 del
 loro
 sacrosanto
 diritto
 <strong>alla</strong>
 privacy
 ma,
 più
<br />

semplicemente,
 di
 scongiurare
 il
 rischio
 che
 il
 diritto
 positivo
<br />

condizioni
 così
 tanto
 prepotentemente
 l’evoluzione
 e
 lo
 sviluppo
<br />

di
 nuove
 forme
 di
 socialità
 che
 non
 sta
 al
 legislatore
 di
 oggi
<br />

giudicare,
condannare
o
assolvere.
<br />


<br />

197




<br />


<br />

198


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