Processo alla Rete (free version) completo - Guido Scorza
Processo alla Rete (free version) completo - Guido Scorza
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<strong>Processo</strong> <strong>alla</strong> <strong>Rete</strong>. <br />
Blog Anthology <br />
<br />
<br />
<br />
<strong>Guido</strong> <strong>Scorza</strong> <br />
<br />
<br />
<br />
<br />
A mia madre che non c’è più e che <br />
avrebbe voluto sfogliare queste pagine.
<br />
3
<br />
<br />
Indice <br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
Premessa <br />
Pag. 5 <br />
<br />
1. La responsabilità degli intermediari. <br />
Di Google, Pirate bay, Rapidshare e di altri demoni. <br />
Pag. 9 <br />
<br />
2. Copyright in the Net. <br />
Un popolo di pirati? <br />
Pag. 38 <br />
<br />
3. Copyright vs. Privacy <br />
Niente privacy, siete pirati! <br />
Pag. 101 <br />
<br />
4. La libertà di manifestazione del pensiero in <strong>Rete</strong>. <br />
Internet, <strong>free</strong> speech e webcensura <br />
Pag. 122 <br />
<br />
5. L’anonimato in Internet. <br />
Mr. Nobody non ha diritti! <br />
Pag. 150 <br />
<br />
6. Web privacy. <br />
Contrappunti digitali. <br />
Pag. 166 <br />
4
<br />
Premessa <br />
<br />
La storia antica e moderna è ricca di grandi processi <br />
attraverso i quali gli accusatori, in modo consapevole o <br />
inconsapevole, cosciente o incosciente, pur portando formalmente <br />
<strong>alla</strong> sbarra una persona o una categoria di persone e dichiarando di <br />
voler procedere per una specifica condotta hanno, in realtà, <br />
processato un’ideologia, una filosofia, un approccio <strong>alla</strong> vita, <strong>alla</strong> <br />
politica, <strong>alla</strong> religione o al mercato. <br />
Il processo a Socrate, quello di Norimberga, quelli a Freud, <br />
Giulia Beccaria, Yasser Arafat e tanti altri processi giusti ed ingiusti, <br />
condivisibili o non condivisibili, hanno inesorabilmente segnato il <br />
corso della storia e l’evoluzione sociale, religiosa, politica ed <br />
economica di Città, Paesi e Continenti. <br />
La storia dell’umanità non sarebbe stata la stessa senza <br />
quei processi e, ex post, è naturalmente difficile se non impossibile <br />
giudicare se sarebbe stata migliore o piuttosto peggiore. <br />
Nelle ultime settimane, scorrendo a colpi di mouse il mio <br />
blog, navigando in <strong>Rete</strong> attraverso scritti recenti e meno recenti a <br />
proposito di norme, sentenze, cause promosse o solo minacciate <br />
nell’universo del diritto dell’Internet mi son reso conto – o, almeno, <br />
ho creduto di rendermi conto – che molti dei fatti di cui ho scritto, <br />
parlato, discusso con amici e colleghi in <strong>Rete</strong> e fuori della <strong>Rete</strong>, <br />
costituiscono, forse, tessere di un mosaico che ha per soggetto <br />
proprio un nuovo grande processo della storia moderna: il <strong>Processo</strong> <br />
<strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> cui è dedicato il titolo di questa Blog anthology. <br />
Non so se si tratti di un processo che stiamo <br />
consapevolmente celebrando o, piuttosto, del quale siamo <br />
involontari ed incoscienti accusatori ma, a voler leggere tra le righe <br />
degli eventi della storia moderna della <strong>Rete</strong>, non è difficile <br />
individuare nitidamente il profilo di accusato ed accusatori. <br />
L’accusato, o meglio, la grande accusata, è la <strong>Rete</strong> non solo e <br />
non solo e non tanto in quanto infrastruttura globale di <br />
comunicazione ma, piuttosto, in quanto sintesi di una nuova filosofia <br />
di vita che investe trasversalmente la cultura, la politica, il mercato <br />
e la società. <br />
Gli accusatori sono – per dirla con le parole del Macchiavelli <br />
– “tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene” (Il Principe, N. <br />
Macchiavelli, Capitolo VI) e, quindi, temono che il “nuovo” possa <br />
costituire un fattore dirompente per quell’assetto di mercato o per <br />
quel contesto sociopolitico, nel quale hanno costruito ed affermato <br />
la loro posizione di forza e controllo. <br />
Si tratta di una contrapposizione evidente tra il “vecchio” ed <br />
il “nuovo” che investe trasversalmente la materia della proprietà <br />
5
<br />
intellettuale, quella del diritto dell’informazione ed all’informazione, <br />
quella della privacy e della trasparenza nonché, più in generale, il <br />
tema dei meccanismi e delle dinamiche di imputazione delle <br />
condotte nello spazio globale. <br />
La responsabilità degli intermediari della comunicazione, <br />
l’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale, il difficile e <br />
conflittuale rapporto tra privacy e copyright nella società <br />
dell’informazione, le nuove frontiere ed i crescenti limiti della libertà <br />
di manifestazione del pensiero nel cyberspazio, il tema complesso <br />
ma ormai da affrontare senza ulteriori rinvii dell’anonimato in <strong>Rete</strong> <br />
e quello del difficile equilibrio tra la trasparenza ed il diritto <strong>alla</strong> <br />
privacy ed <strong>alla</strong> riservatezza sono alcuni dei profili sui quali, nella <br />
pagine che seguono, attraverso il racconto di fatti ed episodi della <br />
storia recente della <strong>Rete</strong>, si confrontano tesi accusatorie e teorie <br />
difensive. <br />
Non aspettatevi da questo libro risposte o soluzioni perché <br />
rimarreste delusi e, egualmente, non aspettatevi di leggere le pagine <br />
di un saggio o piuttosto di un trattato perché si tratta solo di una <br />
blog anthology che raccoglie frammenti di pensieri e considerazioni <br />
sul diritto della <strong>Rete</strong> che possono, nella migliore delle ipotesi, offrire <br />
e proporre suggestioni o, piuttosto, inviti a guardare a talune delle <br />
questioni affrontate in una prospettiva nuova e diversa rispetto a <br />
quella d<strong>alla</strong> quale le avete guardate sin qui. <br />
Gli spunti di riflessione e lo stimolo ad affrontare taluni dei <br />
problemi del diritto della <strong>Rete</strong> trattati nei post del mio blog e, quindi, <br />
in questa raccolta disordinata di scritti vengono dal lavoro e dal <br />
confronto costante con gli amici ed i colleghi dell’Istituto per le <br />
politiche dell’Innovazione ma anche dai commenti e dalle discussioni <br />
che hanno seguito la pubblicazione dei post e degli articoli con <br />
quanti hanno, evidentemente, a cuore il futuro della <strong>Rete</strong>. <br />
Un ringraziamento al quale non posso sottrarmi va a Punto <br />
Informatico ed al suo Direttore che mi ha frequentemente ospitato <br />
sulle colonne del suo giornale ed invitato a partecipare a discussioni <br />
e dibattiti dei quali trovate frammenti nelle pagine che seguono e, <br />
analogo ringraziamento, per le stesse ragioni, non posso non <br />
indirizzare a gli amici di Internet Magazine che sulle loro pagine <br />
hanno spesso voluto raccogliere il mio pensiero e la mia opinione su <br />
fatti e processi della <strong>Rete</strong> e nella <strong>Rete</strong>, dandomi così occasione di <br />
approfondire ed incuriosirmi a circostanze che, in caso contrario, <br />
non avrei, forse, notato. <br />
Molti altri amici e colleghi, negli ultimi anni, hanno <br />
accettato di confrontarsi con me sulle tematiche trattate in questa <br />
raccolta di scritti, invitandomi a guardare alle cose della <strong>Rete</strong> in una <br />
prospettiva diversa o, semplicemente, da un diverso angolo di <br />
visuale: quello deI giganti della <strong>Rete</strong> – penso, tra i tanti che vorrei <br />
6
<br />
non si offendessero per la mancata citazione, a Pier Luigi Dal Pino di <br />
Microsoft, a Marco Pancini di Google o a Cristian Perrella di My <br />
Space – quello dei consumatori ed utenti nel quale Marco Pierani di <br />
Altroconsumo mi ha accompagnato con ineguagliabile disponibilità, <br />
quello delle Istituzioni cui lo Stato ha attribuito il dovere di tutelare <br />
il diritto <strong>alla</strong> privacy dei “cittadini elettronici” – penso a a Luigi <br />
Montuori dell’Ufficio del Garante per la privacy che si è sempre <br />
mostrato disponibile al confronto ed al dialogo anche laddove il mio <br />
approccio originario ai problemi della <strong>Rete</strong> si presentava pià ù <br />
lontano e meno compatibile con il punto di vista del suo Ufficio . <br />
Non avrei mai pensato di confrontarmi con certe questioni <br />
se non avessi conosciuto la passionale genialità di Leonardo <br />
Chiariglione, non avessi avuto l’occasione di un confronto serrato e <br />
costante con un innovatore cose come Stefano Quintarelli o, <br />
piuttosto, mi fosse mancata la possibilità di vedere da vicino quanto <br />
la <strong>Rete</strong> oltre a strumento di informazione possa anche divenire <br />
oggetto di informazione confrontandomi con Marco Montemagno. <br />
Le riflessioni giuridiche contenute nelle pagine che seguono, <br />
il metodo e l’approccio ai problemi è, ovviamente, merito esclusivo <br />
dei Maestri di diritto che ho incontrato sul mio cammino e, quindi, <br />
dei tanti studiosi, amici e colleghi del Cirsfid dell’Università di <br />
Bologna, del Prof. Enrico Pattaro e di Giovanni Sartor ma anche di <br />
Giuseppe Corasaniti che mi ha voluto vicino in un ormai lungo <br />
cammino di divulgazione della cultura informatica giuridica <br />
elaborata da altri Maestri di stagioni più lontane nel tempo quali <br />
Vittorio Frosini e Renato Borruso. <br />
L’Università, tuttavia, talvolta guarda la <strong>Rete</strong> da lontano e <br />
non la usa in tutte le sue potenzialità e, quindi, non posso <br />
dimenticare la preziosa occasione di continuo aggiornamento ed <br />
approfondimento che mi è stata offerta dalle discussioni di lista con <br />
gli amici del Circolo dei giuristi telematici e con quelli del Csig. <br />
Sono convinto, d’altra parte, che avrei guardato ad alcuni <br />
problemi e proposto soluzioni diverse se, lungo il mio cammino, <br />
anche se solo di recente, non avessi incontrato Juan Carlos De Martin <br />
e non fossi stato stimolato all’approfondimento di talune questioni <br />
d<strong>alla</strong> ricerca del suo Centro Studi Nexa del Politecnico di Torino. <br />
Un grazie lo devo, certamente, a molti altri che, in questo <br />
momento, probabilmente non ricordo o perché ho condiviso con loro <br />
momenti di confronto intenso ma non costante o, al contrario, <br />
perché sono tanto entrati a far parte del mio quotidiano da non <br />
consentirmi di scinderne idealmente nomi ed identità. <br />
Riflettere, ragionare, tentate di capire, scrivere e <br />
comunicare convinzioni ed opinioni, richiede prima ancora che <br />
conoscenza, tempo, serenità e passione: amicizie, affetti e famiglia, <br />
7
<br />
quindi, costituiscono, a mio avviso, irrinunciabili ingredienti di <br />
qualsiasi esercizio culturale. <br />
I meriti dell’opera sono, dunque, diffusi mentre, come di <br />
consueto, ogni errore concettuale ed ogni refuso è da imputare <br />
esclusivamente all’autore. <br />
<br />
<strong>Guido</strong> <strong>Scorza</strong> <br />
8
<br />
9 <br />
<br />
<br />
1. La responsabilità degli intermediari. <br />
Di Google, Pirate bay, Rapidshare ed altri demoni. <br />
<br />
Non chiamiamolo il “Caso Google”. <br />
27 luglio 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=324 <br />
<br />
Il fatto 1 è ormai noto: la Procura della Repubblica di <br />
Milano sembra intenzionata ‐ le notizie sono ancora poche e <br />
frammentarie ‐ a contestare a 4 dirigenti di Big G la violazione <br />
della disciplina sulla privacy e quella in materia di diffamazione <br />
per non aver impedito a 4 ragazzini torinesi di postare su Google <br />
video la "cronaca" girata con un videofonino di una loro bravata in <br />
danno di un compagno di scuola meno fortunato perché down. <br />
Come già accaduto nel novembre del 2006 quando la <br />
storia venne, per la prima volta, <strong>alla</strong> ribalta in <strong>Rete</strong> e ‐ per una <br />
volta ‐ fuori d<strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> non si parla d'altro e il "Caso Google" tiene <br />
banco in TV come sui giornali. <br />
E' comprensibile perché, questa volta, nell'occhio del <br />
ciclone ci è finito il colosso di Mountain View ma, la vicenda, non è <br />
molto diversa da tante altre che si sono già consumate in danno di <br />
soggetti meno noti rei soltanto di aver messo a disposizione di un <br />
utente uno strumento capace di consentirgli di dire la sua al <br />
mondo intero. <br />
E' per questo ‐ e da qui il titolo di questo post ‐ che io non <br />
parlerei di un "Caso Google". <br />
L'iniziativa dei giudici milanesi trascende le sorti dei 4 <br />
quattro dirigenti di Google e riguarda, piuttosto, due principi che <br />
mi stanno particolarmente a cuore: la rete come strumento di <br />
esercizio della libertà di manifestazione del pensiero e la Net‐<br />
neutrality. <br />
Due parole sotto entrambi i profili: <br />
<br />
1 Il 18 ottobre 2008, David Carl Drummond, presidente e poi Ad di Google Italy; <br />
George De Los Reyes, membro del Cda di Google Italy e poi Ad; Peter Fleitcher, <br />
responsabile delle strategie per la privacy per l'Europa; Arvind Desikan, <br />
responsabile del progetto Google Video per l'Europa, sono, successivamente, stati <br />
citati in giudizio ed accusati di concorso in diffamazione e violazione della privacy. <br />
Il testo del decreto di citazione, pubblicato da Il sole 24 ore.com è reperibile all’URL <br />
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Norme%20e%20Tributi/2008/11/<br />
google‐diffamazione‐citazione‐giudizio‐minorenne.shtml?uuid=304240e2‐acde‐<br />
11dd‐b5f0‐553f252854bf&DocRulesView=Libero#.
<br />
1. In tutti i Paesi del mondo si lotta da centinaia di anni per <br />
garantire a tutti i cittadini l'esercizio della libertà di <br />
manifestazione del pensiero. Si è, tuttavia, sin qui trattato di una <br />
battaglia persa perché la limitatezza delle possibilità di accesso ai <br />
media mainstream hanno sempre fatto sì che pochi potessero <br />
parlare e gli altri fossero costretti ad ascoltare. <br />
Oggi è diverso: grazie a Internet il problema della <br />
limitatezza delle possibilità di accesso ai media è superato e <br />
chiunque può, in pochi click, far sentire la sua voce lontano ed a <br />
milioni di persone. <br />
Il presupposto perché ciò sia possibile e che esista ‐oltre <br />
<strong>alla</strong> connettività diffusa in ogni area del Paese ‐ un'adeguata <br />
infrastruttura di comunicazione liberamente accessibile da <br />
chiunque senza costi ed in modo immediato. <br />
Tale infrastruttura è quella che gli UGC, ormai da anni, <br />
pongono a disposizione dei propri utenti. <br />
Milioni di gigabyte, migliaia e migliaia di video, centinaia e <br />
centinaia di informazioni, idee ed opinioni che ogni ora prendono <br />
così la strada del web senza che nessuno possa arrestarne la corsa. <br />
Un solo principio dovrebbe guidare questo nuovo universo <br />
dell'informazione: chi sbaglia o, comunque, viola gli altrui diritti <br />
deve pagare. <br />
Pensarla diversamente e rintracciare in capo a chi gestisce <br />
‐ sebbene non per pura filantropia ‐ quella straordinaria <br />
infrastruttura di comunicazione un dovere non scritto e <br />
tecnicamente inattuabile di controllo sui contenuti immessi in <strong>Rete</strong> <br />
dagli utenti, semplicemente, vuol dire, non comprendere il senso <br />
della rivoluzione in atto e, soprattutto ‐ come ha già fatto notare <br />
Stefano Rodotà dalle colonne di Repubblica ‐ pretendere di <br />
applicare regole vecchie ad un contesto nuovo. <br />
2. Una tecnologia come già ricordava Layla Pavone nel <br />
2006 è neutra rispetto <strong>alla</strong> liceità o illiceità delle condotte <br />
attraverso essa poste in essere 2. <br />
<br />
2 Il post pubblicato da Layla Pavone il 26 novembre 2006 sul suo blog: <br />
http://laylapavone.blogspot.com/ <br />
Google e Internet caccia alle streghe <br />
Siamo nell'arco di 48 ore ripiombati nel Medio Evo. Si Signori, siamo di nuovo nel <br />
Medio Evo dell'informazione ed e' partita la caccia alle streghe. <br />
La classe politica, il quinto potere, il sistema giudiziario italiano stanno <br />
dimostrando la loro totale inadeguatezza nell'occuparsi di una problema come <br />
quello dell'informazione via internet. <br />
E la dimostrazione di questa incapacità totale di gestire la situazione si e' palesata <br />
proprio con la vicenda del video della violenza sul ragazzo handicappato, dove <br />
anziché analizzare il problema nella sua evidenza dal punto di vista sociologico e <br />
psicologico‐ovvero perché quattro adolescenti decidono di picchiare un loro <br />
10
<br />
Colpevolizzare i gestori dell'infrastruttura di <br />
comunicazione è un pò come contestare ad un tassista (anzi no, <br />
date le dimensioni del fenomeno, almeno al macchinista di un <br />
treno da migliaia di persone) di aver portato sul luogo <br />
dell'omicidio il killer o, piuttosto ad un postino di aver consegnato <br />
una lettera minatoria… <br />
Net‐neutrality, direi una parola da non dimenticare ed un <br />
principio cui ispirare lo sviluppo della disciplina della materia. <br />
<br />
<br />
<br />
Chi vuol imbavagliare la Grande <strong>Rete</strong>? <br />
Ottobre 2008 <br />
Internet Magazine <br />
<br />
<br />
compagno più debole e indifeso riprendendo la scena con cellulare e poi renderla <br />
pubblica? ‐ ci si sta focalizzando su un altro versante che e' di tutt'altra natura. <br />
Insomma, non so se mi spiego ma siamo davvero la paradosso: si e' perso di vista <br />
l'obiettivo, si da' la colpa a Google, ad Internet che hanno fatto la stessa funzione <br />
che avrebbe potuto avere un qualunque altro veicolo ‐che so una chiavetta USB <br />
recapitata <strong>alla</strong> sede dell'Ansa attraverso un corriere‐ anziché andare una volta per <br />
tutte a fondo del problema della generazione dei teen‐agers sempre più in balia di <br />
una società che di tutto si occupa fuorché di loro. <br />
L'establishment si e' rivelato in tutta la sua incapacità di rapportarsi con la vita <br />
reale. E per dare l'impressione di sapersene occupare ha deciso di emettere una <br />
condanna nei confronti di Internet senza nemmeno conoscerne le funzionalità. <br />
Come dire, si sta colpevolizzando il vettore (il corriere, se si fosse trattato della <br />
chiavetta Ubs inviata alle sede dell'Ansa) anziché domandarsi ed andare a fondo del <br />
perché si sia verificato un atto come quello della scuola di Torino. <br />
Aiuto! Ma in che Paese viviamo??? <br />
Ma come non preoccuparsi del fatto che sia partita l'ennesima campagna TV anti‐<br />
internet, nata e strumentalizzata con lo "scandalo" Google? ...Telegiornali che <br />
parlano tangenzialmente delle nefandezze di quattro giovani disgraziati, puntando <br />
il dito su Google piuttosto che approfondire le cause della "degenerazione" di questi <br />
ragazzi. <br />
Ma come si fa a questo punto a non assumere un atteggiamento di difesa della <br />
libertà dell'informazione che nessun altro media al di fuori di internet e' in grado di <br />
garantire? <br />
Ma come non dire allora che la causa di questo ed altri raccapriccianti episodi di <br />
violenza siano in gran parte dovuti ai modelli comportamentali che oggi offre la TV <br />
ai minori? <br />
Come non denunciare questa TV che e' allo sbando e che ne se frega altamente di <br />
rispettare le fasce protette, mandando on air programmi allucinanti, che <br />
contengono sesso, violenze verbali e fisiche, proposti qualunque ora della giornata? <br />
Vorrei lanciare un appello a tutti i miei colleghi ed e' quello di creare <br />
immediatamente un Comitato permanente per l'informazione su Internet che possa <br />
essere il punto di riferimento per far conoscere alle istituzioni giudiziarie, politiche <br />
e agli organi di informazione il valore e le peculiarità della rete. <br />
Questa caccia alle streghe non ha nessun fondamento e il Medio Evo e' cosa di 500 <br />
anni fa. Indietro non si può tornare, si può solo avanzare. <br />
11
<br />
L'Italia dichiara guerra ai pirati anzi, ai porti nei quali <br />
attraccano anche Galeoni pirata. <br />
Cose d'altri tempi si potrebbe pensare ma si sbaglierebbe. <br />
E', infatti, proprio questo il senso del provvedimento con il <br />
quale lo scorso primo agosto il GIP presso il Tribunale di Bergamo <br />
ha ordinato “cautelativamente” a tutti gli ISP italiani di interdire <br />
l'accesso “ ‐ all’indirizzo www.thepiratebay.org; ‐ ai relativi alias e <br />
nomi di dominio presenti e futuri, rinvianti al sito medesimo; ‐ <br />
all’indirizzo IP statico 83.140.176.146, che al momento risulta <br />
associato ai predetti nomi di dominio. e ad ogni ulteriore indirizzo <br />
IP statico associato ai nomi stessi nell’attualità e in futuro.”. <br />
Ma cominciamo dal principio ovvero d<strong>alla</strong> Baia. <br />
The Pirate Bay è un sito internet attraverso il quale gli <br />
utenti di tutto il mondo possono ricercare files torrent relativi a <br />
musica, video, software, videogame ed ogni altro contenuto <br />
digitale. <br />
Si tratta di un progetto internazionale che, ormai da anni, è <br />
divenuto il punto di riferimento di un certo modo di intendere la <br />
<strong>Rete</strong> ed ha, proprio per questo, già in passato, formato oggetto di <br />
attenzione – per usare un eufemismo – dei rappresentanti delle <br />
major dell'audiovisivo e delle Auitorità giudiziarie di diversi Paesi. <br />
Definire la Baia come un'isola di Pirati nel senso deteriore <br />
del termine come sembra fare il Giudice nell'Ordinanza con la <br />
quale ha ordinato ai provider italiani – quasi che fossero la Guardia <br />
Costiera della <strong>Rete</strong> – di interdire ai naviganti battenti bandiera <br />
tricolore di attraccare sulle spiagge dell'isola è, francamente, <br />
riduttivo. <br />
I motori della Baia indicizzano ogni giorno milioni di files <br />
torrent relativi a brani musicali di artisti emergenti che reietti <br />
dalle major dell'audiovisivo o, piuttosto, non avendo occasione di <br />
entrare in contatto con il mondo della musica che conta scelgono <br />
la <strong>Rete</strong> come modo per farsi conoscere o, piuttosto, documentari e <br />
reportage che riportano, senza censure e reticenze, ciò che accade <br />
negli angoli più remoti del Pianeta e che i media mainstream <br />
scelgono di non raccontare o, infine, contenuti di elevato valore <br />
culturale ma basso appeal di mercato e, dunque, praticamente <br />
introvabili sugni scaffali dei mediastore delle nostre città. <br />
Difficile negare – ed è bene sottolinearlo per evitare <br />
fraintendimenti – che il motore di ricerca della Baia indicizzi anche <br />
contenuti digitali protetti da diritti d'autore e che, pertanto, in <br />
questo senso, agevoli il download non autorizzato di tali contenuti <br />
ma, da qui a definire “fuori legge” l'intera Baia il passo non è <br />
affatto breve. <br />
Miglia e miglia marine – per rimanere nella metafora – <br />
infatti, separano chi viola gli altrui diritti d'autore da chi gestisce <br />
12
<br />
uno dei tanti servizi di intermediazione della comunicazione <br />
caratteristici dell'architettura di <strong>Rete</strong>. <br />
Una cosa è svaligiare un appartamento dopo essersi fatti <br />
una copia delle chiavi e cosa diversa è aver riprodotto – tra decine <br />
e decine di altri esemplari di chiavi – anche quelle poi utilizzate <br />
per il furto. <br />
E' per questo che, proprio la configurabilità in astratto – <br />
ed a prescindere, dunque, d<strong>alla</strong> vicenda di Pirate Bay – di una <br />
responsabilità, in capo al gestore di un motore di ricerca di files <br />
torrent, per i contenuti diffusi o scaricati dai suoi utenti costituisce, <br />
probabilmente, l'aspetto di maggior interesse del Caso The Pirate <br />
Bay. <br />
Il provvedimento con il quale il magistrato di Bergamo ha <br />
“vietato” thepiratebay ai naviganti italiani è un provvedimento <br />
preventivo con la conseguenza che esso è assunto sulla base di una <br />
semplice ipotesi di reato che potrà o meno risultare confermata <br />
all'esito di un procedimento che, nel nostro caso, è appena iniziato. <br />
Il reato contestato ai gestori di thepiratebay è quello <br />
previsto e punito dagli articoli 110 c.p. e 171 ‐ ter, comma 2, lettera <br />
a bis), della Legge 22 aprile 1941 n. 633 per aver “in concorso tra <br />
loro e con altri attualmente ignoti, in violazione dell’articolo 16 <br />
della suddetta legge (n.d.r. La Legge sul Diritto d'autore) ed a fini <br />
di lucro” comunicato “al pubblico opere dell’ingegno protette dal <br />
diritto di autore, in particolare file musicali; documenti di testo, <br />
riproduzioni digitali di pubblicazioni a stampa, audiolibri, <br />
immagini, opere cinematografiche e televisive, programmi <br />
informatici (secondo il dettagliato elenco dinamico, in costante <br />
aggiornamento, pubblicato sul sito medesimo, distinto per <br />
tipologie di file, reperibile a partire dall’indirizzo web <br />
http://thepiratebay.org/browse), immettendo le opere stesse <br />
sulla rete Internet attraverso il sito identificato dai seguenti nomi <br />
di dominio (tutti alias del medesimo sito): ‐ <br />
www.thepiratebay.org: ‐ www.angloamericanletting.corn; ‐ <br />
www.piratebay.net ‐ www.piratebay.org ‐ <br />
www.thepiratebay.com ‐ wwvw.thepiratebay.net; ‐ <br />
www.thepiratebay.org fatto commesso adibendo il suddetto sito a <br />
torrent tracker e quindi rendendo disponibili, sulle corrisponderti <br />
“pagine web” codici alfanumerici complessi del tipo “torrent”, in <br />
grado di identificare univocamente i singoli file e di consentire, agi <br />
utenti registrati sul sito, di scambiare tra loro copie integrali o <br />
parziali dei file stessi; ravvisandosi il lucro negli introiti delle <br />
inserzioni pubblicitarie a pagamento inserite sul sito stesso, come <br />
pure nella tariffa ‐ non inferiore ad Euro cinquemila ‐ applicata agli <br />
utenti che accedono al sito in deroga alle politiche di utilizzo <br />
prescritte dagli amministratori.”. <br />
13
<br />
Tale reato, peraltro – stando a quanto ipotizzato <br />
dall'accusa – sarebbe stato commesso “con l’aggravante di cui <br />
all’arr. 61 n. 7 c.p.., per aver cagionato ai detentori del diritto <br />
patrimoniale di autore sulle suddette opere un danno patrimoniale <br />
di rilevante gravità (essendo indici sintomatici della ritenuta <br />
gravità sia l’elevatissimo numero di opere dell’ingegno <br />
abusivamerne circolanti tramite il sito che il considerevole prezzo <br />
di mercato del software reso disponibile, comprensivo sia di <br />
sistemi operativi che di programmi informatici applicativi per uso <br />
professionale)”. <br />
Il Giudice per le indagini preliminari, nel pronunciare il <br />
provvedimento del primo agosto pur prendendo atto del fatto che i <br />
server della baia non ospitano direttamente contenuti protetti da <br />
diritto d'autore ha, comunque, ritenuto che la funzione di <br />
indicizzazione svolta dal sito sia “ strettamente strumentale <strong>alla</strong> <br />
consumazione dello scambio di file al di fuori delle fonti messe a <br />
disposizione dai detentori dei diritti di autore e comunque al di <br />
fuori degli ordinari e leciti circuiti commerciali dei beni oggetto di <br />
proprietà intellettuale”. <br />
Si tratta di una conclusione che non convince in quanto <br />
essa rischia di condurre ad un profondo ripensamento di uno dei <br />
principi fondamentali attorno ai quali è cresciuta e si è sviluppata <br />
la <strong>Rete</strong>: quello della non resposansabilità degli intermediari della <br />
comunicazione. <br />
Una volta affermato il principio per il quale i gestori di un <br />
motore di ricerca di files torrent sono responsabili per l'eventuale <br />
download illegale posto in essere dai propri utenti è piuttosto <br />
difficile resistere <strong>alla</strong> tentazione di imputare analoga <br />
responsabilità ai titolari di un motore di ricerca per eventuali <br />
contenuti illeciti – anche sotto profili diversi d<strong>alla</strong> proprietà <br />
intellettuale (pedopornografia, notizie diffamatorie, diffusione di <br />
dati personali, insider trading, aggiotaggio) – indicizzati. <br />
Difficile, d'altra parte, trovare convincenti le motivazioni <br />
sulla cui base il magistrato è giunto <strong>alla</strong> conclusione di ritenere <br />
attendibile l'ipotesi di reato formulata dall'accusa. <br />
Scrive, infatti, il Giudice nell'Ordinanza che l’ipotesi <br />
apparirebbe “vieppiù fondata ‐ anzi del tutto pacifica ‐ avendo <br />
riguardo agli assetti ed ai contenuti del sito in esame, che <br />
programmaticamente non prevede alcune attenzione al rispetto <br />
dei diritti di autore”. <br />
Ciò, secondo lo stesso giudice, potrebbe evincersi “d<strong>alla</strong> <br />
denominazione, innanzitutto ‐ sintomatica di un chiaro e convinto <br />
riferimento alta “pirateria informatica” ( The Pirate Bay La baia dei <br />
pirati) ‐ come pure dalle indicazioni riportare sulle pagine stesse <br />
del sito, dove si evidenzia, tra l’altro che gli unici contenuti <br />
14
<br />
destinati ad essere filtrati e bloccati dagli amministratori di <br />
sistema sono quelli concretamente fastidiosi ovvero dannosi per <br />
gli utenti, vale e dire virus informatici, messaggi in qualche modo <br />
molesti (cd. “spam”), file contraffatti (cd. “fake” ‐ falsi ‐ il cui <br />
contenuto non risponde <strong>alla</strong> denominazione), con esclusione di <br />
ogni altro file e quindi senza alcun discrimine tra contenuti <br />
legalmente detenuti e diffusi e contenuti che al contrario non lo <br />
sono”. <br />
Come dire che invitare al rispetto della netiquette e <br />
prevedere strumenti autodisciplinari per eventuali violazioni del <br />
codice deontologico della <strong>Rete</strong> costituisce indice sintomatico della <br />
natura illecita di un'iniziativa telematica o, piuttosto – con <br />
riferimento all'attenzione mostrata dal giudice verso il nome della <br />
baia – che l'abito non fa il monaco ma fa il pirata. <br />
In tale contesto, prima di assumere decisioni <br />
“giustizialiste” che rischiano, peraltro – come emerge dallo stesso <br />
tenore letterale dell'ordinanza del GIP di Bergamo – di essere <br />
fortemente intrise di contenuti ideologici e, soprattutto, <br />
influenzate da considerazioni linguistiche o etimologiche piuttosto <br />
che giuridiche occorre tener presente il rischio di pericolose <br />
derive che porterebbero, nel breve periodo, ad una radicale <br />
trasformazione della <strong>Rete</strong> Italiana. <br />
Il principio della non responsabilità – salvo casi <br />
eccezionali – degli intermediari della comunicazione è, peraltro <br />
oggi fissato a chiare lettere nella disciplina europea sul commercio <br />
elettronico con la conseguenza che il “divieto di attracco” sulle <br />
spiagge della grande Baia disposto dal giudice italiano rischia <br />
anche di minare delicati equilibri tra gli ordinamenti dei Paesi <br />
membri e di “frammentare” l'Internet europea. <br />
Seguendo questa rotta, per chiudere una baia “virtuale” <br />
asseritamente “pirata” si rischia di dar vita a baie reali ovvero a <br />
isole geograficamente confinanti nelle quali regnano regole <br />
giuridiche diverse per cui per individuare files torrent attraverso <br />
thepiratebay basta fare una gita nella Repubblica di San Marino o, <br />
piuttosto, appoggiare il portatile sulle mura della Città del Vaticano <br />
intercettando la banda del provider pontificio. <br />
Decisioni di questo tipo segnano un ritorno al passato e <br />
ricordano quella dimensione “pre‐globalizzata” della <br />
comunicazione che Internet ha relegato per sempre ai libri di <br />
storia ed alle carte nautiche di altri tempi. <br />
Come già anticipato, tuttavia, quella del primo agosto è <br />
solo un'ordinanza cautelare che benché idonea, per il momento, a <br />
rendere meno agevolmente accessibile – in <strong>Rete</strong>, ovviamente, già <br />
fioccano i rimedi per accedere <strong>alla</strong> Baia agirando le restrizioni dei <br />
15
<br />
provider italiani – thepiratebay non stabilisce nulla di definitivo <br />
sull'effettiva responsabilità dei suoi gestori. <br />
Converrà, pertanto, rinviare ogni ulteriore commento alle <br />
conclusioni di una battaglia legale che – anche data la fiera <br />
reazione dei gestori di thepiratebay e della comunità telematica – <br />
si preannuncia lunga e ricca di colpi di scena. <br />
C'è, tuttavia, un altro aspetto della vicenda che colpisce e <br />
solleva più di una preoccupazione. <br />
Il Giudice non si è limitato ad ordinare ai provider <br />
“operanti in italia” di rendere inaccessibile un certo sito internet o, <br />
piuttosto, un determinato nome di dominio ma è andato oltre, <br />
spingendosi ad ordinare agli ISP di disabilitare egualmente <br />
l'accesso ad ogni altro nome di dominio che, anche in futuro, <br />
dovesse rendere raggiungibili le medesime risorse. <br />
Per questa via, tuttavia, il magistrato ha finito con <br />
l'imporre agli internet service provider un obbligo di sorveglianza <br />
(quasi) generale in aperto contrasto, ancora una volta, con i <br />
principi di diritto ormai affermatisi nell'Ordinamento Europeo che <br />
escludono categoricamente la sussistenza di un simile obbligo in <br />
capo agli intermediari della comunicazione. <br />
Scrivo veleggiando tra Saint Malo, la città corsara e Jersey, <br />
l'isola dei pirati di Sua Maestà e sarà forse per questo che mi sento <br />
istintivamente portato ad augurarmi che la grande baia torni <br />
presto accessibile ai naviganti italiani così come lo è, in queste ore, <br />
a chiunque, come me, abbia la fortuna di attraccarvi da terre <br />
straniere. <br />
Non sono preoccupato perché la chiusura della Baia <br />
precluderà a tanti naviganti italiani di scaricare sui propri PC <br />
musica e film “a scrocco” ed in barba agli altrui diritti d'autore. <br />
E' giusto così e non credo che la storia di Robin Hood <br />
possa costituire un valido alibi per infrangere impunemente le <br />
leggi così come non costituisce una scusa credibile per <br />
l'introduzione di nuovi balzelli. <br />
Rubare è reato tanto che si lo si faccia in danno dei più <br />
ricchi e che si rubi proprietà intellettuale tanto che lo si faccia in <br />
danno dei meno ricchi e che si rubino barattoli di marmellata. <br />
Il punto – nella vicenda di thepiratebay così come in ogni <br />
altra vicenda relativa a pretese responsabilità di intermediari della <br />
comunicazione per le condotte dei propri utenti – è un altro e <br />
concerne la libertà di comunicazione e di accesso <strong>alla</strong> cultura <br />
digitale nella società dell'informazione. <br />
In gioco non c'è la sopravvivenza di thepiratebay – chiusa <br />
una baia se ne apre un'altra! ‐ ma il rischio di veder messo in <br />
discussione un principio fondamentale per la sopravvivenza della <br />
16
<br />
<strong>Rete</strong>: quello secondo il quale solo chi rompe paga e non anche chi è <br />
nel mezzo tra la fionda ed il vetro. <br />
Ogni Paese è, ovviamente, libero di stabilire – salvo poi la <br />
difficoltà di farle, in concreto rispettare e di giustificare certe scelte <br />
dinanzi <strong>alla</strong> comunità internazionale – le regole che ritiene più <br />
opportune per l'esercizio di ogni attività di intermediazione delle <br />
comunicazioni elettroniche ma, fino a quando il potere legislativo <br />
preferisce restare un passo indietro e lasciare che la tecnologia <br />
faccia il suo corso, l'Autorità giudiziaria – che in ossequio al <br />
principio della separazione dei poteri ha esclusivamente il compito <br />
di far rispettare le leggi – dovrebbe astenersi dal sostituirsi al <br />
Parlamento cercando di orientare con provvedimenti cautelari e <br />
procedimenti giudiziari dall'esito incerto lo sviluppo della politica <br />
dell'innovazione. <br />
E' divenuto, infatti, ormai troppo frequente il ricorso ai <br />
Giudici e l'intervento – più o meno autonomo di questi ultimi – per <br />
cercare di far cristallizzare regole che il legislatore non ha voloto <br />
sin qui scrivere: il caso Google – Vividown, quello Google vs. <br />
Mediaset, le decine di casi che hanno visto contrapposti gli ISP ai <br />
titolari dei diritti d'autore e, ora, il caso The Pirate Bay sono <br />
riconducibili ad un teorema unitario e preoccupante che vorrebbe <br />
“spingere” l'Autorità giudiziaria a stabilire un principio, sin qui, <br />
irrintracciabile nel nostro ordinamento secondo il quale gli <br />
intermediari della comunicazione – quale che sia il ruolo da essi <br />
svolto (ISP, access provider, content provider, UGC o motori di <br />
ricerca) – devono controllare che i propri servizi non vengano <br />
utilizzati in violazione di altrui diritti e possono essere chiamati a <br />
rispondere sia civilmente che penalmente di eventuali condotte <br />
illecite poste in essere per il loro tramite. <br />
Tale teorema, tuttavia, non conduce solo <strong>alla</strong> riscrittura <br />
delle Regole della comunicazione telematica ma impone, nel breve <br />
periodo, anche una radicale riformulazione del codice (in questo <br />
caso nel senso di bit) sul quale poggia l'infrastruttura di <strong>Rete</strong>. <br />
La proprietà intellettuale – non mi stancherò mai di <br />
ribadirlo – va tutelata e chi saccheggia gli altrui diritti d'autore va <br />
sanzionato ma guai a pensare che travolgere l'architettura di <strong>Rete</strong> <br />
e criminalizzare condotte giuridicamente e tecnologicamente <br />
neutrali sia il modo migliore per farlo. <br />
Guai, soprattutto, a dimenticare che i diritti di proprietà <br />
intellettuale non sono sovra‐ordinati rispetto ad altri diritti <br />
egualmente fondamentali quale, ad esempio, quello di <br />
manifestazione del pensiero e che, pertanto, per tutelare il <br />
portafoglio delle major non si può vietare l'attracco su una baia <br />
attraverso la quale vengono diffuse anche informazioni utili a <br />
17
<br />
raggiungere contenuti liberi che costituiscono l'espressione del <br />
pensiero o dell'arte di milioni di naviganti. <br />
Il problema non è di merito ma di metodo: le violazioni <br />
della proprietà intellettuale vanno punite e sanzionate ma non a <br />
costo di sacrificare irrimediabilmente altri diritti. <br />
Agire diversamente ed impostare l'enforcement dei diritti <br />
di proprietà intellettuale secondo lo schema caro a Monsieur <br />
Olivennes ed al Presidente Sarkozy così come <strong>alla</strong> Procura di <br />
Bergamo è come inibire ad un giornalista reo di un illecito <br />
diffamatorio di tornare a scrivere o, piuttosto, chiudere il giornale <br />
attraverso il quale la diffamazione è stata perpetrata, precludendo, <br />
così, a milioni di cittadini l'accesso ad informazioni e contenuti <br />
utili e preziosi. <br />
Il problema della proprietà intellettuale in Internet è una <br />
questione culturale e, come tale, va affrontata e risolta: meno <br />
divieti di attracco, più informazione e, soprattutto, maggiore <br />
innovazione nei modelli di business di un'industria – <br />
quell'audiovisiva – che ha, probabilmente, troppo a lungo preteso <br />
di restare eguale a se stessa vivendo di rendita. <br />
Perché non creare centinaia di baie legali con tariffe di <br />
attracco accessibili ai naviganti e, soprattutto, adeguata libertà di <br />
utilizzo delle risorse legalmente acquistate? <br />
<br />
<br />
Io intermedio, tu intermedi, egli ruba! <br />
6 ottobre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=356 <br />
<br />
Gli amici del Circolo dei Giuristi telematici hanno appena <br />
pubblicato le motivazioni con le quali il Tribunale del riesame di <br />
Bergamo ha annullato il decreto di sequestro di Thepiratebay 3. <br />
<br />
3 Provvedimento pubblicato il 6 ottobre 2008 sul sito del Circolo dei Giuristi <br />
telematici all’indirizzo: http://www.giuristitelematici.it <br />
Repubblica Italiana <br />
Tribunale di Bergamo <br />
Sezione penale del dibattimento in funzione di giudice del riesame <br />
ordinanza di accoglimento di riesame avverso sequestro preventivo <br />
‐ art. 324 c.p.p. ‐ <br />
******** <br />
Il Tribunale di Bergamo, composto dai Magistrati: <br />
dott. Vittorio Masia Presidente <br />
dott. Stefano Storto Giudice Rel. <br />
dott. Marialuisa Mazzola Giudice <br />
letti <br />
18
<br />
<br />
gli atti del procedimento in epigrafe nei confronti di S.K.P. Ed altri per il reato di cui <br />
agli artt. 110 c.p. e 171 ter co. 2 lett a bis) L. 633/41 ed esaminata la <br />
documentazione; <br />
udite <br />
le parti all'udienza in data 24.9.2008; <br />
premesso <br />
che, su richiesta del Pubblico Ministero, in data 1.8.2008 il GIP di Bergamo <br />
disponeva il sequestro preventivo del sito web www.thepiratebay.org, disponendo <br />
che i fornitori di servizi internet (Internet Service Provider) e segnatamente i <br />
provider operanti sul territorio dello Stato italiano inibiscano ai rispettivi utenti – <br />
anche a mente degli artt. 14 e 15 del Decreto Legislativo n. 70 del 9.4.2003 – <br />
l'accesso: <br />
all'indirizzo www.thepiratebay.org; <br />
ai relativi alias e nomi di dominio presenti e futuri, rinvianti al sito medesimo; <br />
all'indirizzo IP statico 83.140.176.146, che al momento risulta associato ai predetti <br />
nomi di dominio, e ad ogni ulteriore indirizzo IP statico associato ai nomi stessi <br />
nell'attualità ed in futuro; <br />
rilevato <br />
che con ricorso ex art. 324 c.p.p. e successiva memoria depositata il giorno <br />
dell'udienza, i difensori di S.K. chiedevano la revoca del sequestro, eccependo <br />
nullità di ordine processuale; difetto di giurisdizione; insussistenza del fumus <br />
delicti; nonché falsa applicazione dell'art. 321 c.p.p., degli artt. 14/17 D.L.vo 70/03 <br />
e della direttiva 2000/31/CE; <br />
ritenuto <br />
che non può allo stato revocarsi in dubbio la sussistenza del fumus delicti <br />
(quantomeno secondo la tipicità dell'art. 171 co. 1 lett. a bis) L. 633/41), <strong>alla</strong> luce di <br />
quanto evidenziato d<strong>alla</strong> Guardia di Finanza, che riferisce di un elevatissimo <br />
numero di contatti al sito in questione registrati sul territorio nazionale (in termini <br />
di alcune centinaia di migliaia); <br />
che tali contatti, per specificità, l'evidenza e l'ampiezza dell'offerta contenuta nel <br />
sito oggetto di cautela, devono essere ragionevolmente ricondotti, almeno in una <br />
significativa parte, all'acquisizione in rete di beni protetti dal diritto di autore, in <br />
violazione delle norme a presidio dello stesso; <br />
che in proposito a nulla rileva il fatto che tali beni non siano nella diretta <br />
disponibilità degli indagati, ma collocati in archivi contenuti in apparecchi <br />
elettronici di altri soggetti, dal momento che solo le informazioni contenute nel sito <br />
in questione (nel quale si trovano le chiavi per accedere agli archivi di cui sopra e <br />
attingerne direttamente documenti) consentono la realizzazione di quei contatti in <br />
numero esorbitante cui fa riferimento la Guardia di Finanza; <br />
che in tale contesto risulta del tutto evidente come gli indagati, attraverso il sito <br />
www.thepiratebay.org, quantomeno mettano a disposizione del pubblico della rete <br />
opere dell'ingegno protette, condotta astrattamente rispondente <strong>alla</strong> tipicità <br />
dell'art. 171 citato; <br />
che, riconosciuto il fumus per come esposto, deve altresì affermarsi la sussistenza <br />
del periculum, dovendosi in proposito osservare che l'elevatissimo numero di <br />
connessioni rilevate induce a ritenere in via probabilistica (valutazione del tutto <br />
compatibile con il carattere della delibazione cautelare) l'attualità della <br />
commissione del delitto ipotizzato; <br />
che, atteso il concreto atteggiarsi del fatto come sopra tratteggiato, all'affermazione <br />
della sussistenza di fumus e periculum, deve conseguentemente affermarsi anche la <br />
sussistenza della giurisdizione italiana; <br />
considerato <br />
19
<br />
Il contenuto del provvedimento è questione da penalisti e <br />
la lascio a Daniele 4 ed agli altri colleghi. <br />
Io mi limito ad un paio di considerazioni. <br />
(1) I Giudici del riesame hanno, in sostanza stabilito che il <br />
provvedimento di questa estate andava annullato perché il diritto <br />
processuale penale non contempla provvedimenti cautelari atipici <br />
e un ordine di inibitoria è cosa diversa da un ordine di sequestro. A <br />
<br />
che occorra ora esaminare il profilo inerente <strong>alla</strong> falsa applicazione dell'art. 321 <br />
c.p.p., che, in quanto attinente al merito, ha natura assorbente degli ulteriori profili <br />
eccepiti; <br />
ritenuto <br />
che le misure cautelari – e segnatamente i sequestri, secondo l'ordinamento <br />
processuale penale – hanno carattere di numerus clausus, non conoscendo il codice <br />
di rito un istituto atipico quale quello di cui all'art. 700 c.p.c.; <br />
che di conseguenza non è giuridicamente possibile emettere sequestro preventivo <br />
al di fuori delle ipotesi nominate per le quali l'istituto fu concepito; <br />
che il sequestro preventivo ha una evidente natura reale (come peraltro fatto <br />
palese dallo stesso nomen iuris del genere al quale esso appartiene), in quanto si <br />
realizza nell'apposizione di un vincolo di indisponibilità sulla res, che sottrae il <br />
bene <strong>alla</strong> libera disponibilità di chiunque; <br />
che dunque l'ambito di incidenza del sequestro preventivo deve essere ristretto <strong>alla</strong> <br />
effettiva apprensione della cosa oggetto del provvedimento; <br />
considerato <br />
che il decreto censurato ha il contenuto di un ordine imposto dall'Autorità <br />
Giudiziaria a soggetti (allo stato) estranei al reato, volto ad inibire, mediante la <br />
collaborazione degli stessi, ogni collegamento al sito in questione da parte di terze <br />
persone; <br />
che tale decreto (pur astrattamente in linea con la previsione degli artt. 14 e ss. <br />
D.L.vo 70/03), lungi dal costituire materiale apprensione di un bene, si risolve in <br />
verità in una inibitoria atipica, che sposta l'ambito di incidenza del provvedimento <br />
da quello reale – come detto ambito proprio del sequestro preventivo – a quello <br />
obbligatorio, in quanto indirizzato a soggetti indeterminati (i cd. provider), cui è <br />
ordinato di conformare la propria condotta (cioé di non fornire la propria <br />
prestazione), al fine di ottenere l'ulteriore e indiretto risultato di impedire <br />
connessioni al sito in questione; <br />
ritenuto <br />
che l'uso del tipo di cui all'art. 321 c.p.p., quale inibitoria di attività, non può però <br />
essere condiviso, in quanto produce l'effetto di sovvertirne natura e funzione, di <br />
talché il sequestro deve essere annullato; <br />
PQM <br />
visti gli artt. 321, 322 e 324 c.p.p. <br />
annulla <br />
il decreto di sequestro preventivo emesso in data 1.8.2008 dal GIP di questo <br />
Tribunale. <br />
Manda <strong>alla</strong> cancelleria per quanto di competenza. <br />
Così deciso in Bergamo, il 24 settembre 2008 <br />
F.to I Giudici <br />
Al Pubblico Ministero Giancarlo Mancusi <br />
All'avv. Giovanni Battista Gallus del Foro di Cagliari anche per S.P.K. <br />
All'avv. Francesco Paolo Micozzi del Foro di Cagliari <br />
Al GIP dott.ssa Mascarino <br />
4 Il riferimento è al collega Daniele Minotti, blogger su www.minotti.net <br />
20
me ‐ povero civilista ‐ sembra cosa ovvia ma…evidentemente in <br />
diritto penale non lo è se il GIP del Tribunale di Bergamo ha, a suo <br />
tempo, ritenuto di poter ordinare a tutti gli ISP italiani di rendere <br />
inaccessibile un intero sito… <br />
A prescindere dai tecnicismi processual penalistici, sono, <br />
comunque, contento del provvedimento perché chiarisce un <br />
principio a me assai caro: non si può rendere inaccessibile <br />
un'intera fonte di informazione solo perché attraverso essa <br />
vengono diffuse ANCHE informazioni utili a commettere un reato <br />
(ammesso che sia così). <br />
(2) I Giudici del riesame indugiano a lungo sulla <br />
sussistenza, nel caso di specie, del requisito del fumus boni iuris, <br />
espressione cara ai giuristi per dire, in buona sostanza, che <br />
l'azione della quale il provvedimento cautelare mira a <br />
salvaguardare l'efficacia, SEMMBRA fondata. <br />
Nel nostro caso i Giudici del riesame stanno, quindi, <br />
dicendo che l'attività contestata a The Pirate Bay, sembra, <br />
effettivamente, illecita. <br />
Ho già scritto che non è mia intenzione difendere <br />
Thepiratebay, non essendo, io per primo ‐ sotto un profilo <br />
sostanziale, ma forse sarebbe meglio dire "politico‐sociale" ‐ <br />
convinto della bontà dell'iniziativa. <br />
Il punto è, tuttavia, un altro: i principi di diritto sono <br />
suscettibili di applicazione ripetuta nel tempo a fattispecie <br />
analoghe ma contraddistinte da contenuti diversi ergo il principio <br />
elaborato dai giudici nella vicenda Thepiratebay potrebbe essere <br />
applicato domani in una vicenda THEPARADISEBAY. <br />
E' per questo che mi sembra necessario avanzare qualche <br />
perplessità su un principio che i Giudici del riesame vorrebbero far <br />
passare per pacifico: quello secondo il quale diffondere <br />
informazioni utili al raggiungimento di un'opera dell'ingegno <br />
equivale a "mettere a disposizione del pubblico" ‐ nel senso di cui <br />
all'art. 171, lett. a‐bis) LDA ‐ l'opera stessa 5. <br />
Francamente non credo sia così. <br />
Tale attività è, infatti, caratteristica di tutta una serie di <br />
intermediari della comunicazione che svolgono un ruolo <br />
<br />
<br />
5 Legge n. 633 del 21 aprile 1941 (Legge sul diritto d’autore), Art. 171. Salvo <br />
quanto previsto dall'art. 171‐bis e dall'art. 171‐ter, è punito con la multa da euro 51 <br />
a euro 2.065 (185) chiunque, senza averne diritto, a qualsiasi scopo e in qualsiasi <br />
forma: <br />
omissis <br />
a‐bis) mette a disposizione del pubblico, immettendola in un sistema di reti <br />
telematiche, mediante connessioni di qualsiasi genere, un'opera dell'ingegno <br />
protetta, o parte di essa. <br />
omissis <br />
21
<br />
essenziale nelle dinamiche della circolazione telematica dei <br />
contenuti: i motori di ricerca, ad esempio. <br />
Se fosse vero quello che sostengono i Giudici del riesame, <br />
nella vicenda thepiratebay, si starebbe rivisitando profondamente <br />
la disciplina europea sulla non responsabilità degli intermediari <br />
della comunicazione. <br />
Si tratta di un rischio al quale occorre guardare con grande <br />
attenzione senza "lasciarsi prender la mano" d<strong>alla</strong> circostanza che <br />
IN QUESTO CASO si sta parlando di una baia di pirati. <br />
Sfortunatamente, tuttavia, la tendenza ad una rivisitazione <br />
di quel principio va diffondendosi come sottolineavo già l'altro <br />
giorno a proposito del provvedimento tedesco contro Rapidshare 6. <br />
<br />
C’era una volta il principio della non responsabilità degli <br />
intermediari… <br />
3 ottobre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=354 <br />
<br />
La premessa è che, sfortunatamente, non so leggere il <br />
tedesco e, quindi, non posso che fidarmi di quello che ho letto in <br />
giro (Gaia, peraltro, è una fonte più che affidabile 7) ma la recente <br />
sentenza resa dai giudici tedeschi mi lascia perplesso 8. <br />
Secondo i giudici tedeschi, infatti, rapidshare ‐ sulla cui <br />
qualità di fornitore di hosting non mi sembra possa dubitarsi ‐<br />
sarebbe tenuto a vigilare sui contenuti "caricati" dai propri utenti, <br />
a rimuovere quelli in violazione del diritto d'autore nonché a <br />
tracciare gli IP degli uploader. <br />
Le parole, le sfumature, i concetti in diritto sono <br />
importanti e, quindi, non amo commentare una decisione che non <br />
sono riuscito a leggere direttamente ma, francamente, la sentenza <br />
mi sembra difficilmente conciliabile con questa vecchia norma <br />
della Direttiva 31/2000/UE: <br />
Articolo 14 <br />
"Hosting" <br />
1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione <br />
di un servizio della società dell'informazione consistente nella <br />
memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del <br />
<br />
6 Cfr. il post che segue: C’era una volta il principio della non responsabilità degli <br />
intermediari… <br />
7 Mi riferisco ad un articolo di Gaia Bottà, pubblicato su Punto Informatico il 3 <br />
ottobre 2008 e consultabile a questa URL: http://punto‐<br />
informatico.it/2425179/PI/News/germania‐rapidshare‐al‐controllo‐<br />
preventivo.aspx <br />
8 Il testo, in tedesco, della decisione è reperibile qui: http://webhosting‐und‐<br />
recht.de/urteile/Oberlandesgericht‐Hamburg‐20080702.html <br />
22
servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni <br />
memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a <br />
condizione che detto prestatore: <br />
a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l'attività <br />
o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni <br />
risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che <br />
rendono manifesta l'illegalità dell'attività o dell'informazione; <br />
b) non appena al corrente di tali fatti, agisca <br />
immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne <br />
l'accesso. <br />
Non mi stancherò mai di ripetere che il diritto d'autore <br />
costituisce uno degli indispensabili pilastri della società <br />
dell'informazione ma, ad un tempo, faccio fatica ad allontanare il <br />
sospetto che in nome del diritto d'autore si stiano travolgendo <br />
principi fondamentali del diritto suscettibili, tra l'altro, di produrre <br />
effetti ben al di là dei confini della proprietà intellettuale. <br />
Spero di poter leggere presto la sentenza e tornare <br />
sull'argomento 9. <br />
<br />
La responsabilità dei grandi… <br />
29 ottobre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=370 <br />
<br />
Leggo su Punto Informatico, in un bell'articolo di Gaia 10, <br />
della coraggiosa decisione annunciata da Rapidshare di non <br />
procedere a nessuna forma di filtraggio sui contenuti degli utenti e, <br />
dunque ‐ sebbene solo parzialmente ‐ di non dar seguito <strong>alla</strong> <br />
decisione con la quale nelle scorse settimane i Giudici tedeschi gli <br />
avevano rimproverato proprio di non "controllare in maniera <br />
proattiva il contenuto prima di pubblicarlo" 11. <br />
<br />
<br />
9 Sfortunatamente non ho ancora imparato il tedesco né trovato una traduzione <br />
della Sentenza! <br />
10 Il riferimento è ad un articolo di Gaia Bottà pubblicato su Punto informatico il 29 <br />
ottobre 2008 e consultabile a questa URL: http://punto‐<br />
informatico.it/2454553/PI/News/rapidshare‐no‐al‐monitoraggio.aspx <br />
11 Pubblico qui di seguito il comunicato con il quale Rapidshare ha reso nota la <br />
propria decisione: <br />
“RapidShare will not control Uploads <br />
October 26, 2008 <br />
160 million files have already been uploaded to RapidShare. A number that proves, <br />
that the world depends on moving important data from A to B. A number that also <br />
proves, that RapidShare with its fast and easy services also addresses users that are <br />
no computer nerds. <br />
RapidShare is the first technology worldwide that made sending big files so easy, so <br />
fast and so secure. The files can be stored as long as needed and can be recalled <br />
from anywhere in the world, they are strictly confidential and can only be accessed <br />
by the user that originally loaded them up, or alternatively can be distributed <br />
23
<br />
Innegabile che dietro la decisione dei vertici di uno dei più <br />
grandi fornitori di hosting del mondo vi sia anche la <br />
preoccupazione di non perdere i propri utenti che, qualora <br />
Rapidshare non li avesse rassicurati, avrebbero potuto rinunciare <br />
ad avvalersi dei servizi da questo messi a disposizione per evitare <br />
di incappare in fastidiosi "filtri" ed "intercettazioni". <br />
Ciò, tuttavia, non toglie nulla <strong>alla</strong> posizione assunta da <br />
Rapidshare secondo cui spetta ai grandi "influenzare" gli <br />
orientamenti di politica dell'innovazione. <br />
Quando cose del genere capitano ai più piccoli fornitori di <br />
hosting, infatti, questi ultimi non hanno alternativa: o si adeguano, <br />
o chiudono o chiuderanno <strong>alla</strong> prima occasione in cui un titolare <br />
dei diritti chiederà loro un risarcimento con qualche zero di <br />
troppo… <br />
Sono i grandi, invece, che hanno sulle spalle la <br />
responsabilità di contribuire ‐ senza con ciò candidarsi a guidare <br />
rivoluzioni o attacchi pirati ‐ al diffondersi di orientamenti ed <br />
approcci più equilibrati e ponderati ai problemi giuridici della <br />
nuova Era. <br />
La vicenda Rapidshare sono la prova del fatto che tra la <br />
teoria di certe moderne dottrine antipirateria e la pratica il passo è <br />
lungo. <br />
Complimenti a Rapidhsare! Parola di un utente che non ha <br />
per niente voglia di sentirsi dare, solo per questo, del pirata! � <br />
<br />
<br />
<br />
<br />
…e se si fosse chiamata Paradise Bay? <br />
<br />
among thousands of people quickly and easily. With a couple of billion page <br />
impressions per day we know, that we as a leader will have to pave the way for this <br />
new technology. We are aware of the fact that we therefore have big responsibility. <br />
If, for example, it had been regulated by law to control all copies before the first <br />
photo copier was invented, it is very likely that these machines would have never <br />
hit the market. That's why we are doing everything to enable this new technology ‐ <br />
which is still very young, but already inspires millions of people every day ‐ to be <br />
part of our future and make life more comfortable. <br />
The security of personal data is very important to us, especially in these times. <br />
That's the reason why we will not spy out the files that our clients faithfully upload <br />
onto RapidShare, not now nor in future. We are against upload control and <br />
guarantee you that your files are safe with us and will not be opened by anyone else <br />
than yourself, unless you distribute the download link. RapidShare, of course, is <br />
against the distribution of illegal files and as soon as we are informed about illegal <br />
distribution, we delete these files and put them on a filter. But the general control of <br />
uploads is out of the question for us, because we think that especially in these times <br />
data privacy comes first.”. <br />
24
<br />
15 settembre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=343 <br />
<br />
Thepiratebay indicizza i files torrent delle foto <br />
dell'autopsia di due bambini morti e torna nell'occhio del ciclone <br />
come responsabile della diffusione delle macabre immagini. (Fonte <br />
Punto Informatico) 12. <br />
Non conosco i dettagli della vicenda e mi astengo, <br />
pertanto, da ogni commento strettamente giuridico sulla stessa. <br />
Mi limito, tuttavia, a rilevare che in rete circolano migliaia <br />
di immagini e video relative ad autopsie di ogni genere di cadavere <br />
(una ricerca su un qualsiasi search engine o IN UN UGC varrà a <br />
darvene conferma) e che i canali televisivi hanno ormai reso le <br />
autopsie compagne insostituibili di pranzi e di cene (basti <br />
guardare l'epopea di CSI, post mortem e le decine di altre serie TV <br />
di analogo contenuto)…segno evidente che il gusto del macabro è, <br />
sfortunatamente, diffuso. <br />
Si tratta di immagini la cui diffusione in alcuni Paesi può <br />
risultare contraria <strong>alla</strong> legge specie laddove la vittima sia <br />
riconoscibile mentre, in altri, "semplicemente" contraria <strong>alla</strong> <br />
morale comune…ammesso che ne esista UNA SOLA… <br />
Ove la diffusione di tali immagini è contraria <strong>alla</strong> legge, il <br />
problema torna essere quello di sempre: chi risponde dei <br />
contenuti immessi in <strong>Rete</strong> da un utente? L'uGC, il gestore di un <br />
motore di ricerca o, piuttosto, l'utente stesso? <br />
Ove, invece ‐ come mi sembra di capire accade in Svezia ‐ <br />
la diffusione di certe immagini è contraria <strong>alla</strong> morale, la questione <br />
si complica ed occorre, a mio avviso, riconoscere che decidere cosa <br />
è morale e cosa non lo è, non è sempre semplice e, comunque, non <br />
può essere decisione demandata ad un UGC, un ISP o al titolare di <br />
un motore di ricerca… <br />
Il rischio, davvero dietro l'angolo, è che per questa via si <br />
finisca con il restaurare forme di censura che solo Internet ha <br />
saputo spazzare lontano. <br />
E poi si dice che l'abito non fa il monaco, se ThePirateBay <br />
si fosse chiamata TheParadiseBay…sono sicuro la notizia non <br />
avrebbe fatto il giro del mondo. <br />
<br />
Google, Mediaset e quel risarcimento milionario <br />
1° agosto 2008 <br />
Punto Informatico <br />
<br />
12 L’articolo di Punto Informatico al quale mi riferisco è del 15 settembre 2008 ed è <br />
reperibile a questa URL: http://punto‐informatico.it/2403962/PI/News/the‐<br />
pirate‐bay‐no‐comment.aspx <br />
25
<br />
<br />
Non si è ancora sopito il clamore sollevato d<strong>alla</strong> notizia <br />
dell’intenzione della Procura della Repubblica di Milano di <br />
trascinare sul banco degli imputati 4 top manager di Google che <br />
Big G torna nell’occhio del ciclone per effetto della richiesta <br />
risarcitoria multimilionaria formulata d<strong>alla</strong> Mediaset 13. <br />
La tentazione è quella di sintetizzare gli eventi con una <br />
battuta: tutti contro Google. <br />
Ma si sbaglierebbe. <br />
Il problema è un altro e concerne l’intera architettura della <br />
<strong>Rete</strong> Internet e, in particolare, il ruolo degli intermediari della <br />
comunicazione: di quelli puntualmente “fotografati” d<strong>alla</strong> vigente <br />
disciplina sul commercio elettronico e di quelli che nel 2000 – <br />
allorquando si è posto mano a tale direttiva – ancora non <br />
esistevano o, almeno, non avevano assunto un ruolo tanto centrale <br />
ed irrinunciabile nella diffusione dei contenuti digitali in <strong>Rete</strong>. <br />
La sottile linea rossa che unisce le due vicende è <br />
esattamente questa: la qualificazione giuridica degli UGC e le loro <br />
conseguenti eventuali responsabilità per contenuti che non <br />
controllano e che gli utenti immettono in <strong>Rete</strong> per effetto della loro <br />
attività. <br />
Il principio generale sancito d<strong>alla</strong> disciplina europea a <br />
proposito della responsabilità degli intermediari è, come è noto, <br />
quello dell’assenza di un obbligo generale di sorveglianza e della <br />
conseguente generale non responsabilità degli intermediari. <br />
La ragione per la quale si è pervenuti a tale conclusione è <br />
semplice: nessuno sarebbe disponibile a svolgere un’attività <br />
imprenditoriale per la quale corresse il rischio di vedersi <br />
trascinato sul banco degli imputati per una responsabilità altrui <br />
senza, peraltro – complici i numeri e le dinamiche caratteristiche <br />
della <strong>Rete</strong> – aver la concreta possibilità di intervenire sul corso <br />
degli eventi. <br />
Il bivio dinanzi al quale ci si trova, pertanto, è chiaro: o si <br />
riconosce tale responsabilità e si cancella d<strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> una delle più <br />
caratteristiche e rivoluzionarie modalità di comunicazione e <br />
condivisione dei contenuti digitali o la si esclude e si lascia, <br />
pertanto, che la <strong>Rete</strong> segue la sua naturale evoluzione. <br />
<br />
13 Questo è il lancio di agenzia con la notizia: <br />
(ANSA) ‐ MILANO, 30 LUG ‐ Mediaset ha citato in giudizio YouTube e Google ''per <br />
illecita diffusione e sfruttamento commerciale di file audio‐video''. Il risarcimento <br />
richiesto ‐ ha reso noto Mediaset ‐ e' di almeno 500 milioni di euro per il solo danno <br />
emergente. ''D<strong>alla</strong> rilevazione a campione effettuata da Mediaset sono stati <br />
individuati sul sito YouTube 4.643 filmati di nostra proprieta', pari a oltre 325 ore <br />
di materiale emesso senza possedere i diritti'', ha specificato il Gruppo. <br />
26
<br />
Quest’ultima eventualità, peraltro, non comporta come <br />
necessaria conseguenza – come spesso si lascia ritenere – la <br />
legittimazione nello spazio telematico di ogni genere di violazione <br />
in danno della privacy, dei diritti di proprietà intellettuale o, <br />
piuttosto, dell’onore e reputazione di una persona. <br />
Escludere la responsabilità degli UGC significa <br />
semplicemente scegliere di impegnarsi nella repressione delle <br />
condotte vietate concentrandosi sull’attività degli utenti. <br />
Educazione all’utilizzo delle risorse telematiche, <br />
identificazione dei responsabili delle condotte on‐line e <br />
autodisciplina potrebbero essere le parole chiave di un nuovo e <br />
diverso approccio <strong>alla</strong> tutela dei diritti in <strong>Rete</strong>. <br />
Ma torniamo al caso Mediaset vs. Google, come dire il <br />
colosso di ieri dell’informazione e dell’intrattenimento ed il <br />
colosso di oggi e forse di domani. <br />
C’è un aspetto della vicenda – per quel che poco che se ne <br />
conosce dai giornali – che mi lascia perplesso, forse, persino di più <br />
dell’azione di responsabilità: si tratta dell’entità della richiesta <br />
risarcitoria e delle motivazioni sulle quali essa si fonderebbe. <br />
L’argomento meriterebbe ben maggiore approfondimento <br />
ma, mi sembra, sin d’ora possibile delineare un paio di profili di <br />
particolare rilievo: <br />
(a) la messa a disposizione del pubblico di contenuti sui <br />
quali Mediaset deteneva i diritti d’autore costituisce, <br />
probabilmente, una condotta non autorizzata dal titolare dei diritti <br />
ma, da qui a sostenere che Mediaset abbia sofferto un danno tanto <br />
rilevante il passo è lungo. <br />
Chiunque conosca la realtà telematica, infatti, deve <br />
escludere che esista qualsivoglia rapporto di concorrenzialità tra <br />
la diffusione telematica di qualche minuto di un programma <br />
televisivo e la <strong>version</strong>e integrale dello stesso andata in onda in TV. <br />
Difficile, pertanto, sostenere che Mediaset abbia subito <br />
una perdita in termini di raccolta pubblicitaria per effetto della <br />
diffusione su Youtube di qualche migliaio di spezzoni dei propri <br />
programmi dopo che, peraltro, questi ultimi erano, evidentemente, <br />
già stati trasmessi. <br />
(b) Google mette a disposizione dei titolari del diritto una <br />
procedura semplice – e credo anche efficace – per la rimozione dei <br />
contenuti protetti da diritti di proprietà intellettuale. <br />
E’ un bell’esempio – forse perfettibile – di deontologia e <br />
autodisciplina. <br />
Non sembra che Mediaset abbia mai chiesto a Google di <br />
procedere <strong>alla</strong> rimozione dei filmati di cui oggi contesta la <br />
diffusione non autorizzata. <br />
27
<br />
Nel codice civile c’è un bel principio di civiltà giuridica che <br />
dice che non ha diritto al risarcimento chi pur potendo non ha <br />
evitato un danno che usando l’ordinaria diligenza avrebbe potuto <br />
evitare. <br />
Di più non dico ma…non credo sarebbe stato difficile per <br />
Mediaset mandare qualche mail a Google per chiedere la <br />
rimozione di qualche filmato. <br />
Non mi piace francamente l’idea di chi rimane <strong>alla</strong> finestra <br />
ad assistere ad asserite reiterate violazioni dei propri diritti e poi <br />
presenta un conto così salato… <br />
<br />
<strong>Processo</strong> <strong>alla</strong> <strong>Rete</strong>. <br />
2 marzo 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=264 <br />
<br />
Stefano Quintarelli in un suo BEL post di ieri segnala un <br />
BRUTTO (l'aggettivo è mio) articolo di Paolo Panerai apparso su <br />
Milano Finanza di qualche giorno fa 14. <br />
<br />
14 Il post pubblicato da Stefano Quintarelli il 1° marzo 2008 sul suo blog: <br />
http://blog.quintarelli.it/blog/ <br />
Panerai contro Google <br />
Ringrazio Andrea ed Eugenio (autore di Menostato) per gli spunti dietro questo <br />
post. <br />
Il dott. Panerai, titolare di Class Editori che pubblica Milano Finanza ha scritto pochi <br />
giorni fa (il 9 febbraio) un lungo editoriale che spaziava su tre pagine. <br />
Ha fatto un discorso globale su rete, telecom, google, copyright che, a me, <br />
francamente pare il frutto di un ragionamento non sufficientemente approfondito; <br />
certo, posso sempre sbagliarmi... <br />
Mi soffermo su un passaggio, (sperando che altri gli rispondano in punta di diritto): <br />
quando sostiene che Google dovrebbe NON indicizzare i giornali (google news) in <br />
quanto protetti da copyright, essendo questo un furto. <br />
Il dott. Panerai probabilmente non usa mai Internet, per non rendersi complice di <br />
reato. Qualunque scritto e' infatti protetto da Copyright (anche questo post) solo <br />
per il fatto di esistere. Se capisco bene, quindi, nulla potrebbe essere quindi <br />
indicizzato da un motore di ricerca. La conseguenza e' che i motori di ricerca non <br />
possono esistere. <br />
Senza entrare in tecnicismi di come fare a non essere indicizzati se non lo si <br />
desidera, cosa che peraltro qualcuno potrebbe anche segnalare al Dott. Panerai, <br />
anche le conseguenze economiche di questo atteggiamento dovrebbero sgomentare <br />
gli stakeholder della casa editrice, a mio sommesso parere. <br />
Che piaccia o no, l'interfaccia utente del worldwide web e' Google. Se una funzione <br />
non e' disponibile nell'interfaccia utente, questa funzione non esiste. L'elettronica <br />
di una mia auto aveva un bel display con possibilità di ingressi video, ma <br />
l'interfaccia utente non offriva possibilità di abilitarli... <br />
Abbiamo un mondo in cui il cartaceo e' in calo e internet e' in aumento. Se Google <br />
eliminasse Class editori dalle sue indicizzazioni, questo cesserebbe di esistere <br />
nell'unico spazio in crescita e esisterebbe solo in uno spazio in rapida obsolescenza. <br />
E' ciò che gli stakeholder di Class si aspettano ? Certo, si potrebbe sempre proibire <br />
per legge la commutazione di pacchetto. <br />
28
<br />
Pubblico qui un estratto dell'articolo perché altrimenti il <br />
post sarebbe difficilmente intellegibile. La pubblicazione mi <br />
sembra, pertanto, giustificata <strong>alla</strong> stregua dell'eccezione di cui al <br />
primo comma dell'art. 70 LDA. Se autore o editore la pensassero <br />
diversamente, tuttavia, non devono che segnalarmelo 15. <br />
Panerai nel Suo articolo scrive, in buona sostanza, che i <br />
grandi motori di ricerca (Google e Yahoo) avrebbero sin qui <br />
accumulato enormi ricchezze rubando (Panerai parla di FURTO) i <br />
contenuti prodotti dagli editori e che sarebbe arrivato il momento <br />
che il legislatore italiano ponga fine a questa "pacchia". <br />
La giurisprudenza belga ‐ scrive ancora Panerai ‐ avrebbe <br />
già reiteratamente accertato l'illegittimità del servizio Google <br />
News e, quella italiana, analogamente, condannato ripetutamente <br />
la Selpress, società operante nel settore delle rassegne stampa per <br />
l'illegittimo utilizzo degli articolo della stessa Class Editrice e di <br />
altri editori. <br />
L'articolo non mi piace né nella forma né nei contenuti. <br />
Quanto <strong>alla</strong> forma il Dr. Panerai mentre invoca l'esigenza <br />
di un intervento normativo per far ordine nella materia ‐ dando <br />
così atto del vuoto legislativo esistente ‐ pronuncia il suo pesante <br />
verdetto contro le dinamiche dell'informazione in <strong>Rete</strong>, <br />
condannando, senza appello, i grandi motori di ricerca per FURTO. <br />
Delle due l'una: o non servono regole nuove perché quelle <br />
attuali già consentono al Dr. Panerai di parlare di FURTO o, <br />
piuttosto, servono regole nuove e, quindi, ad oggi nessuno ha <br />
<br />
Nel recente passato si e' visto come, contrariamente <strong>alla</strong> legge che non ammette <br />
ignoranza, parte importante della professione giornalistica invece la ostenti. <br />
Oltre a quei noti casi, secondo me, anche questo sfogo del Dott. Panerai e' un <br />
segnale che Internet sta arrivando <strong>alla</strong> massa critica anche in Italia. Inizia ad essere <br />
un fenomeno sensibilmente percepito e la reazione e' il discredito o il contrasto, <br />
anziché l'analisi e lo sviluppo di nuove opportunità. <br />
Secondo me ha ragione Beppe a ritenere che e' il sistema dell'informazione ad avere <br />
paura, che e' sotto pressione e la rete, aperta, lo costringerà a cambiare. <br />
E se e' vero che non esiste un grande "editore puro" e che informazione‐industria‐<br />
banche‐politica sono fittamente interrelati in una matrice che, in qualche modo, si <br />
autosostiene, beh, allora e' il caso di essere ottimisti. <br />
Due passaggi dell'articolo in questione: <br />
* "i due grandi motori di ricerca rivali, Yahoo e Google, hanno finora potuto <br />
produrre forti utili e raggiungere capitalizzazioni astronomiche in quanto hanno <br />
potuto utilizzare impunemente e a costo zero l’enorme materiale prodotto da <br />
giornali, agenzie, televisioni, radio, che trasferendo buona parte dei loro contenuti <br />
su internet hanno consentito ai due rivali di poter offrire un servizio a costo zero <br />
almeno per la realizzazione dei contenuti stessi." <br />
* "Questo furto di materiale fondamentale per creare pagine e pagine di notizie, di <br />
archivi e di spazi pubblicitari, è già stato sanzionato in più cause in vari paesi" <br />
15 Il testo dell’articolo è pubblicato a questa URL: http://www.guidoscorza.it/wp‐<br />
content/uploads/2008/03/milano‐finanza.pdf <br />
29
<br />
commesso nessun FURTO ed il Dr. Panerai dovrebbe essere più <br />
cauto nell'utilizzo di certe espressioni che potrebbero ‐ in modo, <br />
questa volta, inequivoco ‐ violare i diritti di altri ed integrare gravi <br />
fattispecie di reato. <br />
Sempre parlando di forma, non posso condividere il grave <br />
e pesante "J'ACCUSE" del Dr. Panerai all'indirizzo dell'intera <br />
attività di due tra gli indiscussi protagonisti della rivoluzione <br />
telematica in atto: Google e Yahoo. <br />
Non si tratta di prendere le difese d'ufficio di questa o <br />
quella società ‐ anche perché le due in questione non ne hanno <br />
certamente bisogno ‐ ma, piuttosto, di difendere le nuove <br />
dinamiche dell'informazione in <strong>Rete</strong> contro le quali il Dr. Panerai <br />
scaglia un autentico macigno. <br />
Ho scritto, ormai, decine di volte ‐ ed è, d'altra parte, <br />
circostanza sotto gli occhi di tutti ‐ che le dinamiche della <strong>Rete</strong> <br />
impongono un ripensamento della tradizionale posizione di <br />
equilibrio tra diritti di proprietà intellettuale ed altri diritti <br />
egualmente importanti tra i quali, in primis, vi è certamente quello <br />
all'accesso all'informazione attraverso cui, peraltro, si estrinseca ‐ <br />
lungo una delle due linee portanti ‐ la libertà di manifestazione del <br />
pensiero sancita all'art. 21 della nostra costituzione e pietra <br />
angolare della democrazia come è già stata definita d<strong>alla</strong> Corte <br />
Costituzionale. <br />
Questo, tuttavia, è molto diverso dal principio che il Dr. <br />
Panerai vorrebbe fosse affermato. <br />
Veniamo ora, brevemente, ai contenuti dell'articolo di <br />
Milano Finanza, con riserva, come sempre, di tornare <br />
sull'argomento. <br />
Il Tribunale di Bruxelles, in effetti, l'anno scorso, si è <br />
pronunciato contro Google, stabilendo che l'attività da <br />
quest'ultimo svolta nell'ambito dei servizi Google Cache e Google <br />
news doveva considerarsi illecita in quanto in violazione dei diritti <br />
d'autore degli editori dei giornali belgi. <br />
La decisione è, sostanzialmente condivisibile ‐ in punto di <br />
diritto ‐ in relazione al servizio "Google cache" mentre riposa ‐ a <br />
mio avviso ‐ su un grave errore di prospettiva in relazione al <br />
servizio "Google News" nell'ambito del quale Google viene, <br />
sostanzialmente, trattato quale fornitore di contenuti <br />
eteroprodotti anziché come semplice fornitore di servizi di <br />
indicizzazione. <br />
Sul punto si potrebbero scrivere tonnellate di bit ma, per il <br />
momento, mi limito a pubblicare il testo integrale della decisione <br />
30
<br />
lasciando a tutti (sfortunatamente i soli francofoni) la possibilità di <br />
formarsi il proprio convincimento 16. <br />
Quanto, invece, all'analogia tratteggiata dal Dr. Panerai tra <br />
i servizi resi disponibili dai due motori di ricerca e l'attività di <br />
rassegna stampa posta in essere d<strong>alla</strong> sua personale rivale di <br />
sempre vi è, semplicemente, un abisso e le due fattispecie non <br />
sono neppure lontanamente confrontabili in termini giuridici. <br />
La Selpress riproduce integralmente e trasmette, dietro <br />
pagamento, ai propri clienti gli articoli che appaiono <br />
quotidianamente sui giornali italiani mentre Google News si limita <br />
ad indicizzare contenuti specifici permettendo all'utente di <br />
raggiungerli in modo semplificato sul sito dell'editore. <br />
Leggete la decisione della Suprema corte di Cassazione cui <br />
fa riferimento Panerai per convincervene voi stessi 17. <br />
Sul punto, pertanto, l'articolo di Milano Finanza fa <br />
confusione e crea inutili ambiguità. <br />
Capisco, perfettamente, che il nuovo faccia paura al <br />
vecchio ma…il nuovo è l'unica chance per traghettare il Paese nella <br />
Società dell'informazione e non fargli perdere il treno dell'ultima <br />
rivoluzione. <br />
<br />
Querelata Wikipedia: cose d’altri (brutti) tempi. <br />
1° marzo 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=261 <br />
<br />
Ieri l'AGI ha battuto una notizia ‐ rapidamente ripresa da <br />
tutti i principali quotidiani on‐line ‐ secondo la quale "Il sindaco di <br />
Firenze Leonardo Domenici e l'assessore Graziano Cioni" <br />
avrebbero "dato mandato di querelare per diffamazione e calunnia <br />
il sito internet Wikipedia" a causa di alcune asseritamente false <br />
informazioni riportate <strong>alla</strong> voce "Leonardo Domenici" (la voce <br />
risulta ora, purtroppo, "ripulita" dei riferimenti contestati e <br />
"bloccata" a titolo cautelativo) 18. <br />
<br />
16 Il testo integrale della Sentenza è disponibile a questa URL: <br />
http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=861 <br />
17 Il testo integrale della Sentenza è disponibile a questa URL: <br />
http://www.ricercagiuridica.com/sentenze/index.php?num=2380 <br />
18 Questo il lancio di agenzia dell’AGI del 29 febbraio 2008: Il sindaco di Firenze <br />
Leonardo Domenici e l’assessore Graziano Cioni hanno dato mandato di querelare <br />
per diffamazione e calunnia il sito internet Wikipedia, la cosiddetta “enciclopedia <br />
libera on line”. <br />
Sul sito di Wikipedia, <strong>alla</strong> voce ‘Leonardo Domenici’, si imputano al sindaco e <strong>alla</strong> <br />
sua giunta alcuni provvedimenti e decisioni che, si legge, “hanno suscitato critiche <br />
da parte della cittadinanza” e si cita in particolare “l’affidamento dei parcheggi <br />
cittadini <strong>alla</strong> società ‘Firenze parcheggi’, del cui cda fanno parte le mogli di <br />
Domenici e dell’assessore Cioni”. Una calunnia già circolata in passato, sulla quale <br />
31
<br />
A quanto riferisce l'AGI, a far irritare il primo cittadino <br />
fiorentino sarebbero stati alcuni riferimenti contenuti nella <br />
propria scheda biografica che gli avrebbero imputato alcuni <br />
provvedimenti e decisioni che, avrebbero "suscitato critiche da <br />
parte della cittadinanza" con particolare riferimento <br />
"all'affidamento dei parcheggi cittadini <strong>alla</strong> società "Firenze <br />
parcheggi" del cui cda fanno parte le mogli di Domenici e <br />
dell'assessore Cioni". <br />
Non voglio entrare nel merito della questione: non mi <br />
sembra, tuttavia, che i riferimenti di tipo storico a provvedimenti <br />
che hanno suscitato critiche abbiano nulla di diffamatorio. <br />
La questione di maggior rilievo, in ogni caso, è un'altra. <br />
Nella società dell'informazione ‐ nella quale, <br />
evidentemente, il Sindaco di Firenze non si è ancora accorto di <br />
vivere ‐ non serve querelare nessuno per una voce che si ritiene <br />
"diffamatoria" pubblicata sulla più grande enciclopedia del mondo: <br />
si modifica la voce e se ne spiegano le ragioni fornendo link e <br />
documenti a supporto della propria posizione. <br />
Lo ha scritto ‐ e gliene va dato atto ‐ prima di me Pietro <br />
Folena sul suo blog 19. <br />
Una querela per diffamazione contro un'enciclopedia <br />
aperta è cosa d'altri tempi…altri brutti e vecchi tempi. <br />
Non lo dico io ma il Tribunale di Grande Istanza di Parigi <br />
in una bella decisione di qualche mese fa 20. <br />
Se poi l'obiettivo è censurare la libertà di manifestazione <br />
del pensiero di chiunque abbia una posizione diversa d<strong>alla</strong> <br />
propria…allora, evidentemente, è un'altra storia… <br />
<br />
Cancellate Maradona! <br />
Internet Magazine <br />
Dicembre 2008 <br />
<br />
I fans argentini di Diego Armando Maradona che negli <br />
ultimi giorni hanno cercato notizie sul pibe de oro attraverso <br />
Google e Yahoo saranno rimasti delusi. <br />
La <strong>version</strong>e argentina di Big Y, infatti, restituisce quale <br />
risultato di ogni ricerca che contenga il nome dell’idolo di milioni <br />
di appassionati di calcio di tutto il mondo un avviso in spagnolo <br />
<br />
nel 2004 la Procura della Repubblica di Firenze ha aperto un’inchiesta e per la <br />
quale ci sono già stati una condanna e alcuni rinvii a giudizio. <br />
19 Il post di Pietro Folena del 20 febbraio 2008 è pubblicato a questa URL: <br />
http://www.pietrofolena.net/blog/?p=331 <br />
20 Il testo integrale della decisione è pubblicato a questa URL: <br />
http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=980 <br />
32
<br />
che informa gli utenti della circostanza che in esecuzione di un <br />
ordine dell’Autorità giudiziaria l’indicizzazione di tutte le pagine <br />
contenenti un riferimento all’attuale CT della nazionale è stata <br />
sospesa. <br />
Big G, invece, delude meno le aspettative dei propri utenti <br />
ma non può dirsi che si mostri capace di soddisfarle pienamente: <br />
ogni ricerca contenente “Diego Armando Maradona”, infatti, <br />
restituisce un numero di risultati sensibilmente inferiore a quello <br />
che si otteneva attraverso la stessa ricerca solo qualche settimana <br />
fa. <br />
La stessa sorte, peraltro, è toccata, a milioni di fans di oltre <br />
un centinaio di bellissime top models argentine. <br />
Anche loro, a caccia di informazioni, video ed immagini <br />
che dessero corpo – un corpo! ‐ ai loro più segreti desideri, sono <br />
rimasti delusi: Yahoo implacabilmente restituisce lo stesso <br />
messaggio mentre Google apre ai propri utenti le porte ad un <br />
numero di siti sensibilmente inferiore rispetto a quello di ieri. <br />
Cosa sta accadendo nel Paese del Tango? <br />
La risposta è tanto semplice quanto disarmante e <br />
preoccupante per il futuro della <strong>Rete</strong>. <br />
Nei mesi scorsi Diego Armando Maradona, decine e decine <br />
di Top models e personaggi famosi e, persino, un Giudice argentino <br />
‐ María Servini de Cubría – hanno citato in giudizio i due più <br />
popolari motori di ricerca del mondo ritenendoli responsabili di <br />
contribuire <strong>alla</strong> violazione dei propri diritti al nome, all’immagine <br />
o <strong>alla</strong> reputazione indicizzando milioni di pagine nelle quali <br />
sarebbero ospitati contenuti diffamatori nei loro confronti o, <br />
piuttosto, pubblicate loro foto senza autorizzazione o in <br />
associazione a materiale pornografico. <br />
L’avvocato delle stars ‐ Martin Leguizamon Peña – ha <br />
chiesto, nell’interesse dei suoi assistiti, la condanna di Yahoo e <br />
Google al pagamento di un risarcimento del danno quantificato tra <br />
i 30 ed i 121 mila dollari per ogni VIP rappresentato nonché di <br />
ordinare ai due search engines di sospendere immediatamente <br />
l’indicizzazione di tutte le pagine internet contenenti i nomi dei <br />
propri clienti in associazione a contenuti suscettibili di ledere i <br />
loro diritti. <br />
I giudici argentini hanno accolto la domanda cautelare <br />
ingiungendo ai due popolari motori di ricerca di sospendere senza <br />
ritardo l’indicizzazione di tutte le pagine suscettibili di ledere i <br />
diritti dei ricorrenti mentre decideranno nei prossimi mesi in <br />
ordine <strong>alla</strong> richiesta risarcitoria. <br />
A seguito del provvedimento Yahoo ritenendo troppo <br />
oneroso e di incerto risultato procedere <strong>alla</strong> selezione delle pagine <br />
da non indicizzare <strong>alla</strong> stregua dei criteri indicati nell’Ordinanza <br />
33
<br />
dei Giudici ha optato per la sospensione generalizzata <br />
dell’indicizzazione di tutte le pagine contenenti i nomi dei <br />
ricorrenti mentre Google si è dichiarato disponibile a rimuovere – <br />
come poi puntualmente accaduto – solo le pagine di contenuto <br />
illecito che gli fossero state individualmente segnalate. <br />
Il provvedimento ha cambiato, in poche ore, il “volto” della <br />
<strong>Rete</strong> argentina. <br />
Milioni e milioni di pagine web sono state rese <br />
irragiungibili senza, in molti casi, che i loro autori avessero <br />
qualsivoglia responsabilità se non quella di aver utilizzato – <br />
magari nel raccontare fatti di cronaca connessi a popolari <br />
personaggi del mondo dello sport o dello spettacolo – i nomi dei <br />
ricorrenti nel procedimento che ha dato origine al terremoto e, <br />
soprattutto, senza che nessuno si sia preso la briga di informarli di <br />
quanto stava per accadere. <br />
Analoga sorte è toccata ad una interminabile lista di <br />
soggetti che dopo aver ritenuto per una vita di esser fortunati nel <br />
portare lo stesso nome di una star hanno dovuto ricredersi. <br />
Secondo un copione già visto negli Stati Uniti d’America <br />
dopo l’11 settembre allorquando le Autorità predisposero e <br />
diffusero una black list di nominativi di soggetti non graditi a <br />
bordo degli aeromobili lasciando così a piedi decine di migliaia di <br />
persone ree solo di portare lo stesso nome di qualcuno indicato in <br />
tale lista, anche in Argentina, in queste ore, blog, forum, pagine <br />
personali e siti internet relativi agli omonimi delle stars si <br />
ritrovano incolpevolmente oscurati e, così, privati, d<strong>alla</strong> sera <strong>alla</strong> <br />
mattina dell’esercizio di quello che si è ormai affermato come un <br />
nuovo diritto fondamentale dell’uomo e del cittadino: il diritto <br />
all’uso delle tecnologie informatiche e telematiche per la <br />
manifestazione del proprio pensiero. <br />
Ce n’è già abbastanza per far riecheggiare, ancora una <br />
volta, nel web un’espressione che, sfortunatamente, ricorre con <br />
frequenza sempre maggiore ed in maniera direttamente <br />
proporzionale all’affermazione di Internet quale nuovo strumento <br />
di circolazione delle idee e del sapere: censura. <br />
Ma, in questo caso – come d’altra parte in molte altre <br />
ipotesi di censura on‐line con le quali ci si è confrontati negli ultimi <br />
mesi – c’è di più. <br />
L’iniziativa di Diego Armando Maradona e dei suoi cento <br />
compagni e compagne di avventura, nonostante il successo <br />
ottenuto in Tribunale, si è rivelata priva di qualsivoglia efficacia sul <br />
web poiché le pagine web censurate nel Paese del Tango sono <br />
regolarmente indicizzate dalle <strong>version</strong>i straniere degli stessi <br />
motori di ricerca non avendo potuto, evidentemente, i Giudici <br />
34
<br />
argentini spingersi ad ordinare a Google e Yahoo di restringere <br />
anche i servizi erogati in nazioni diverse. <br />
Gli stessi utenti argentini, pertanto, possono serenamente <br />
continuare ad accedere ai contenuti “proibiti” semplicemente <br />
utilizzando una diversa nazionalizzazione – addirittura in <br />
spagnolo ‐ delle pagine di ricerca dei due popolari motori: quella <br />
spagnola o quella messicana ad esempio. <br />
L’ordinamento argentino, a differenza di quello <br />
Statunitense e di quello europeo, non ha ancora preso posizione <br />
sull’annosa questione della responsabilità degli intermediari della <br />
comunicazione – non solo i motori di ricerca ma anche gli ISP, gli <br />
UGC o i fornitori di hosting – in relazione ai contenuti immessi in <br />
<strong>Rete</strong> dagli utenti e, molti commentatori hanno attribuito a tale <br />
circostanza l’anacronistico provvedimento delle scorse settimane. <br />
Si sbaglierebbe, tuttavia, a bollare l’episodio come una <br />
storia di Paesi lontani. <br />
La responsabilità degli intermediari, infatti, nonostante la <br />
disciplina della materia dettata in Europa sin dal 2000 con la <br />
Direttiva 31 sul commercio elettronico che ha, di fatto, escluso la <br />
configurabilità di una simile responsabilità, continua ad essere, <br />
anche nell’Internet Europea, una questione di grande attualità e <br />
lontana dal potersi considerare definitivamente risolta. <br />
Basti pensare – attraversando appunto l’oceano ed <br />
attraccando proprio in Italia – <strong>alla</strong> recente vicenda che ha visto <br />
coinvolta la Baia Pirata (Thepiratebay.org), il più grande motore di <br />
ricerca del mondo di risorse Torrent. <br />
Come ricorderanno i lettori più assidui di questa rivista, <br />
l’estate scorsa il sito è stato posto sotto sequestro per ordine <br />
dell’autorità giudiziaria italiana in quanto i gestori del sito erano – <br />
e sono tuttora considerato che il procedimento è ancora pendente <br />
– accusati di aver contribuito <strong>alla</strong> violazione dei diritti d’autore <br />
posta in essere dagli utenti indicizzando files torrent relativi ad <br />
opere protette da altrui proprietà intellettuale. <br />
La questione di diritto è sostanzialmente la stessa che <br />
viene in rilievo nella vicenda argentina: un motore di ricerca può <br />
essere ritenuto responsabile delle violazioni poste in essere <br />
attraverso la pubblicazione delle risorse che esso indicizza? <br />
Se la risposta <strong>alla</strong> domanda dovesse essere positiva è <br />
evidente che occorrerà ripensare le dinamiche della <strong>Rete</strong> che <br />
conosciamo. <br />
Come dimostra, infatti, la posizione assunta da Yahoo – <br />
uno dei due più grandi motori di ricerca del mondo – non vi è <br />
nessun soggetto, per quanto ricco e potente, disponibile ad <br />
assumersi una responsabilità – peraltro difficile da prevedere in <br />
termini economici o di conseguenze penali – che sia disponibile a <br />
35
<br />
farsi carico delle violazioni poste in essere dai propri utenti <br />
attraverso la pubblicazione di taluni contenuti. <br />
Yahoo, ricevuta la notifica del provvedimento ‐ presa <br />
coscienza del fatto che ben difficilmente avrebbe potuto <br />
uniformarsi puntualmente all’ordine rivoltogli dal giudice di <br />
sospendere l’indicizzazione delle pagine suscettibili di violare i <br />
diritti del pibe de oro e degli altri ricorrenti – ha preso l’unica <br />
scorciatoia che aveva davanti a sé: bloccare in modo generalizzato <br />
l’indicizzazione di milioni di pagine solo perché contenenti talune <br />
espressioni. <br />
Questo, tuttavia, è l’atteggiamento del padrone <br />
dell’informazione e non di un “semplice” intermediario. <br />
Nonostante il diverso atteggiamento tenuto da Google <br />
nella vicenda, occorre, però, tener presente che se si proseguirà <br />
nella diffusa convinzione di ritenere gli intermediari della <br />
comunicazione responsabili dei contenuti immessi in <strong>Rete</strong> dagli <br />
utenti, la scelta di Yahoo rischia di divenire la regola: soggetti con <br />
le spalle più strette di quelle di Big G come ce ne sono tanti in <strong>Rete</strong>, <br />
infatti, dinanzi al rischio di vedersi condannare a risarcimenti a sei <br />
o nove zeri non hanno altra possibilità che quella di sacrificare i <br />
diritti degli utenti a tutela del “censore” di turno. <br />
Anche i più grandi, peraltro, prima o poi potrebbero <br />
cedere – come dimostra, ancora una volta, la scelta di Yahoo – <strong>alla</strong> <br />
tentazione di trasformarsi nel “braccio armato” dei censori pur di <br />
sottrarsi alle responsabilità che in caso contrario ricadrebbero <br />
sulle loro tasche. <br />
Cosa accadrebbe se Google uscisse sconfitta d<strong>alla</strong> <br />
anacronistica iniziativa giudiziaria promossa nei suoi confronti <br />
d<strong>alla</strong> Mediaset che ha richiesto la cifra astronomica di 500 milioni <br />
di euro a fronte della diffusione di poco più di tremila frammenti <br />
delle proprie trasmissioni televisive e cosa accadrebbe se lo stesso <br />
Google dovesse uscire sconfitto dal giudizio penale nell’ambito del <br />
quale la Procura di Milano si è spinta a configurare una <br />
responsabilità dei dirigenti di Big G per non aver impedito che un <br />
giovane utente immettesse in <strong>Rete</strong> la poco edificante sequenza di <br />
immagini del bambino down torinese ignobilmente sbeffeggiato da <br />
compagni in relazione ai quali, evidentemente, la famiglia prima e <br />
la scuola poi avevano fallito la propria missione di formazione ed <br />
educazione? <br />
Possiamo davvero sperare che in tali eventualità la <strong>Rete</strong> <br />
che conosciamo resterebbe eguale a se stessa? <br />
Temo di no e la differenza non sarebbe rappresentata <br />
come ingenuamente si potrebbe ipotizzare solo d<strong>alla</strong> scomparsa di <br />
Google dall’universo telematico perché prima del gigante <br />
36
<br />
cadrebbe, inesorabilmente, l’esercito di UGC ed intermediari più <br />
piccoli sui quali riposa l’infrastruttura della <strong>Rete</strong> che conosciamo. <br />
<br />
37
<br />
2. Copyright in the Net. <br />
Un popolo di pirati? <br />
La proprietà intellettuale e l’acqua minerale <br />
Relazione all’Innovation Forum <br />
Milano, Marzo 2008 <br />
<br />
Il nostro Paese e, più in generale, l’Unione Europea <br />
stentano ad entrare nella Società dell’informazione o nell’Era <br />
dell’Accesso, per dirla con le parole di Jeremy Rifkin 21. <br />
I motivi che, a distanza di oltre dieci anni da quando <br />
Nicholas Negroponte teorizzava il passaggio dagli atomi ai bit 22, <br />
continuano a frenare un processo da più parti descritto come <br />
inarrestabile, sono molteplici e connessi a fattori diversi e difficili <br />
da ricondurre ad unitatem: un innegabile ritardo in termini di <br />
diffusione della cultura digitale con conseguenti alte percentuali di <br />
analfabetizzazione informatica in tutti i Paesi dell’Unione, una <br />
scarsa e, soprattutto, irregolare diffusione della banda larga con <br />
conseguenti gravi difficoltà di accesso alle risorse informatiche e <br />
telematiche da parte di ampie fasce della popolazione, un quadro <br />
normativo in materia di commercio elettronico e distribuzione dei <br />
contenuti digitali on‐line sviluppatosi in modo confuso ed <br />
irregolare e caratterizzato da continue tensioni, ordini e <br />
contrordini. <br />
A tutto ciò occorre, inoltre, aggiungere – ed è forse la <br />
ragione principale di tale preoccupante situazione – l’evidente <br />
forte resistenza da parte dei tradizionali intermediari nella <br />
produzione e distribuzione dei contenuti a modificare i propri <br />
modelli di business che hanno sin qui consentito l’affermazione ed <br />
il consolidamento di enormi oligopoli difficili da erodere o <br />
abbattere. <br />
Major dell’audiovisivo, interpreti e rockstar di grido, <br />
società di intermediazione dei diritti ed associazioni di categoria, <br />
infatti, difendono da anni l’assetto di mercato preesistente <strong>alla</strong> <br />
rivoluzione digitale utilizzando ogni strada e strumento – di natura <br />
tecnica o piuttosto normativa – nel tentativo di arginare <br />
l’affermarsi delle nuove dinamiche di distribuzione dei contenuti <br />
digitali, confermando così, come ricorda Lawrence Lessig 23 il noto <br />
brocardo macchiavellico secondo il quale: <br />
<br />
<br />
21 J. RIFKIN, L’Era dell’accesso, Traduzione di P. Canton, Mondadori, 2003 <br />
22 N. NEGROPONTE, Being Digital, Sperling& Kupfer, 1995 <br />
23 L. LESSIG, The future of ideas, Vintage, 2002 <br />
38
<br />
“non è cosa più difficile a trattare né più dubbia a riuscire, né più <br />
pericolosa a maneggiare, che farsi capo a introdurre nuovi ordini; <br />
perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini <br />
vecchi fanno bene ed ha tepidi difensori tutti quelli che delli ordini <br />
nuovi farebbero bene. La quale tepidezza nasce parte per paura <br />
degli avversarii, che hanno le leggi dal canto loro, parte d<strong>alla</strong> <br />
incredulità degli uomini; e quali non credano in verità le cose nuove <br />
se non ne veggano nata una ferma esperienza.”. (Il Principe, N. <br />
Macchiavelli, Capitolo VI). <br />
<br />
Si tratta, tuttavia, per dirla con le parole del Cervantes, di <br />
una evidente battaglia contro i mulini al vento: <br />
<br />
"Ed ecco intanto scoprirsi da trenta o quaranta mulini da <br />
vento, che si trovavano in quella campagna; e tosto che don <br />
Chisciotte li vide, disse al suo scudiere: «La fortuna va guidando le <br />
cose nostre meglio che noi non oseremmo desiderare. Vedi là, amico <br />
Sancio, come si vengono manifestando trenta, o poco più smisurati <br />
giganti? Io penso di azzuffarmi con essi, e levandoli di vita <br />
cominciare ad arricchirmi colle loro spoglie; perciocché questa è <br />
guerra onorata, ed è un servire Iddio il togliere d<strong>alla</strong> faccia della <br />
terra sì trista semente. — Dove, sono i giganti? disse Sancio Pancia. <br />
— Quelli che vedi laggiù, rispose il padrone, con quelle braccia sì <br />
lunghe, che taluno d'essi le ha come di due leghe. — Guardi bene la <br />
signoria vostra, soggiunse Sancio, che quelli che colà si discoprono <br />
non sono altrimenti giganti, ma mulini da vento, e quelle che le <br />
paiono braccia sono le pale delle ruote, che percosse dal vento, fanno <br />
girare la macina del mulino. — Ben si conosce, disse don Chisciotte, <br />
che non sei pratico di avventure; quelli sono giganti, e se ne temi, <br />
fatti in disparte e mettiti in orazione mentre io vado ad entrar con <br />
essi in fiera e disugual tenzone.» Detto questo, diede de' sproni a <br />
Ronzinante, senza badare al suo scudiere, il quale continuava ad <br />
avvertirlo che erano mulini da vento e non giganti, quelli che andava <br />
ad assaltare. Ma tanto s'era egli fitto in capo che fossero giganti, che <br />
non udiva più le parole di Sancio, né per avvicinarsi arrivava a <br />
discernere che cosa fossero realmente; anzi gridava a gran voce: <br />
«Non fuggite, codarde e vili creature, che un solo è il cavaliere che <br />
viene con voi a battaglia.» In questo levossi un po' di vento per cui le <br />
grandi pale delle ruote cominciarono a moversi; don Chisciotte <br />
soggiunse: «Potreste agitar più braccia del gigante Briareo, che me <br />
l'avete pur da pagare.» Ciò detto, e raccomandandosi di tutto cuore <br />
<strong>alla</strong> Dulcinea sua signora affinché lo assistesse in quello scontro, ben <br />
coperto colla rotella, e posta la lancia in resta, galoppando quanto <br />
poteva, investì il primo mulino in cui si incontrò e diede della lancia <br />
in una pala..." (Don Chichotte, M. Cervantes). <br />
39
<br />
Tale attaccamento ad un contesto di mercato ormai non <br />
più attuale ed i goffi tentativi che, a più riprese, la catena dei <br />
soggetti coinvolti nella gestione ed intermediazione dei diritti <br />
d’autore ha posto e continua a porre in essere si rivelano <br />
puntualmente infruttuosi, inidonei ad affrontare il problema e <br />
suscettibili, per contro, di determinare reazioni di segno opposto a <br />
quello auspicato ma pari intensità. <br />
La storia di Internet insegna, infatti, che ad ogni “giro di <br />
vite” del legislatore volto a limitare le c.d. libertà digitali nel <br />
tentativo di continuare ad assicurare ai titolari dei diritti di <br />
proprietà intellettuale il controllo della distribuzione dei contenuti <br />
digitali, il popolo della <strong>Rete</strong> – entità soprannazionale, globale, <br />
anarchica e acefala ‐ ha spontaneamente ‐ bisognerebbe, forse, <br />
dire, istintivamente ‐ reagito sfruttando la tecnologia per superare <br />
o, più semplicemente, aggirare l’ostacolo. <br />
La dinamica della condivisione centralizzata dei contenuti <br />
digitali che ha, in passato, costituito la fortuna di Napster ha, così, <br />
progressivamente ceduto il passo a piattaforme di condivisione <br />
con struttura decentralizzata quali quelle <strong>alla</strong> base delle più <br />
famose “etichette” del Peer to Peer e, allorquando, il legislatore si è <br />
spinto a tentare di regolamentare tale nuova forma di circolazione <br />
dei contenuti, il Popolo della <strong>Rete</strong> ha nuovamente reagito dando <br />
vita al Peer to mail prima ed <strong>alla</strong> condivisione non più dei <br />
contenuti ma semplicemente delle passwords per l’accesso ad <br />
enormi archivi digitali costruiti negli anni dai singoli utenti e <br />
custoditi negli enormi archivi di rapidshare, magaupload e tanti <br />
altri. <br />
Attraverso una linea di sviluppo pressoché parallela, <br />
frattanto, in <strong>Rete</strong> è cresciuta la tendenza ad operare in forma <br />
anonima nascondendo la propria identità dietro a nick, software di <br />
anonimyzer, proxy e decine di altri “passamontagna digitali”. <br />
La <strong>Rete</strong> si è così popolata di milioni di Sig. Nessuno o Mr. <br />
Nobody cui è difficile imputare condotte, attribuire responsabilità <br />
o, più semplicemente, ricondurre conseguenze giuridiche di <br />
qualsivoglia natura. <br />
Il desiderio di accesso al patrimonio culturale digitale di <br />
milioni di utenti e la loro esigenza di trasformarsi da meri fruitori <br />
di opere dell’ingegno in creatori di tali opere, contestualmente, è <br />
stato soddisfatto attraverso gli UGC – User Generated Content – <br />
fornitori di contenuti digitali provenienti direttamente dagli utenti <br />
o, in qualche caso – in effetti ancora raro – da soggetti terzi che <br />
hanno deciso di utilizzare tali piattaforme per la distribuzione di <br />
prodotti culturali e/o informativi realizzati con modalità <br />
professionali ed imprenditoriali. <br />
40
<br />
Youtube, Flickr, Google Video e decine di altre analoghe <br />
piattaforme hanno, così, iniziato a rendere accessibili contenuti <br />
digitali sino a ieri distribuiti esclusivamente attraverso i canali <br />
tradizionali controllati dai titolari dei diritti. <br />
Quello attuale è, dunque, un contesto di mercato <br />
completamente trasformato e ridisegnato rispetto a quello che <br />
solo dieci anni fa si proponeva all’osservazione dell’interprete, del <br />
legislatore e più in generale dell’operatore del diritto, ispirando i <br />
primi interventi comunitari in materia di diritto d’autore nella <br />
società dell’informazione. <br />
Nuove sono le condotte idonee a violare gli altrui diritti <br />
d’autore, nuovo è il novero di quelle che dovrebbero ritenersi – <br />
nonostante le forti resistenze che sul punto si registrano negli <br />
Ordinamenti della più parte dei Paesi ‐ le “libere utilizzazioni”, <br />
nuovi sono i possibili modelli di business cui i titolari dei diritti <br />
potrebbero ispirarsi nella distribuzione dei contenuti digitali e <br />
nuove, infine, sono le soluzioni tecnico‐giuridiche cui potrebbe <br />
farsi ricorso per disciplinare i rapporti tra autori, produttori, <br />
distributori e consumatori di cultura digitale. <br />
<br />
L’ingresso del sistema Paese nell’era dell’accesso rende, <br />
pertanto, urgente individuare nuove posizioni di equilibrio nei <br />
rapporti tra i titolari dei diritti d’autore ed i consumatori di <br />
contenuti digitali. <br />
Contrariamente a quanto talvolta sostenuto, peraltro, <br />
proprio la progressiva smaterializzazione del patrimonio culturale <br />
globale e la conseguente moltiplicazione delle possibilità e <br />
modalità di accesso a tale patrimonio da parte di un pubblico di <br />
consumatori milioni di volte più ampio rispetto a quello di ieri, <br />
impone di guardare al diritto d’autore nei Paesi di civil law ed al <br />
copyright in quelli di common law come l’indiscusso protagonista <br />
della nuova era. <br />
Occorre, dunque, ridisegnare il rapporto tra i contrapposti <br />
diritti ed interessi senza, tuttavia, tradire spirito e filosofia della <br />
disciplina in materia di proprietà intellettuale: incentivare la <br />
produzione culturale, massimizzare la circolazione delle creazioni <br />
intellettuali e garantire un equo compenso a quanti contribuiscono <br />
a produrre cultura, ponendola a disposizione della collettività. <br />
In tale sforzo è importante – e si tratta di un aspetto da più <br />
parti perso di vista – che il processo avvenga nel rispetto degli altri <br />
diritti fondamentali dell’uomo di dignità almeno eguale se non <br />
superiore a quelli d’autore. <br />
Penso al diritto all’informazione, a quello all’educazione ed <br />
<strong>alla</strong> ricerca scientifica o, piuttosto, a quello <strong>alla</strong> privacy. <br />
41
<br />
Taluni recenti episodi evidenziano, per contro, come di <br />
frequente negli ultimi anni si sono inopinatamente collocati i <br />
diritti di proprietà intellettuale in una pozione sovra‐ordinata <br />
rispetto agli altri citati diritti in nome di un’epidermica esigenza di <br />
controbilanciare l’aggressione che le nuove tecnologie stavano <br />
portando agli interessi di editori, produttori ed autori. <br />
Esemplificativa del momento di particolare tensione che si <br />
registra in relazione all’esigenza di contemperare la protezione e <br />
l’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale con il diritto <strong>alla</strong> <br />
privacy è la questione che ha, di recente, formato oggetto di <br />
numerose pronunzie da parte della Corte di Giustizia UE, della <br />
Corte Costituzionale tedesca, delle Autorità Garanti per la <br />
riservatezza italiana e svizzera nonché di numerosi Giudici <br />
nazionali. <br />
Si tratta, peraltro, della medesima questione al centro di <br />
ampio dibattito in sede Europea nell’ambito dei lavori preparatori <br />
della Direttiva UE c.d. IPRED 2. <br />
Tale questione concerne la possibilità per i titolari dei <br />
diritti d’autore di investigare privatamente su eventuali violazioni <br />
dei propri diritti, acquisendo e trattando enormi quantitativi di <br />
dati personali degli utenti. <br />
Dopo un primo momento di apparente incertezza, oggi, la <br />
Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Promusicae vs. <br />
Telefonica de Espana SAU, la Corte Costituzionale tedesca nonché i <br />
Garanti per la privacy italiano e svizzero nel caso Peppermint‐<br />
Logistep, sembrano allineate nel ritenere che l’esigenza di tutelare <br />
i diritti di proprietà intellettuale non giustifichi operazioni di <br />
trattamento di dati personali di massa quali quelle necessarie al <br />
monitoraggio dell’attività di utenti e consumatori nell’ambito delle <br />
piattaforme di Peer to Peer. <br />
Vi è poi un’altra questione egualmente esemplificativa <br />
della crescente contrapposizione e del difficile contemperamento <br />
tra l’esercizio dei diritti d’autore nella società dell’informazione ed <br />
il rispetto degli altri diritti fondamentali: ci si riferisce all’idea che <br />
attraversa – sebbene con sfumature diverse – l’intera Unione <br />
Europea di filtrare i contenuti digitali protetti da diritto d’autore <br />
<strong>alla</strong> fonte così da precludere agli utenti di accedervi. <br />
<br />
Si tratta di una questione particolarmente delicata in <br />
quanto talune declinazioni della teoria del filtraggio rischiano di <br />
produrre gravi conseguenze sul versante della libertà di <br />
espressione e di condivisione di pensieri, parole ed opinioni. <br />
Le tecniche di filtraggio sin qui sviluppate, infatti, sono <br />
caratterizzate da ineliminabili margini di errore sempre troppo <br />
rilevanti – quale che sia la percentuale di riferimento – se si <br />
42
<br />
considera che la conseguenza dell’errore può essere costituita da <br />
un’inammissibile compressione della libertà di manifestazione del <br />
pensiero del cittadino. <br />
Tale questione è stata di recente affrontata dai Giudici <br />
belgi nel caso Scarlet SA vs. SABEM nell’ambito del quale il <br />
Tribunale di Bruxelles ha ordinato, per la prima volta in Europa, ad <br />
un provider di dotarsi di dispositivi di filtraggio al fine di <br />
precludere ai propri utenti di effettuare download ed upload di <br />
contenuti digitali protetti da diritto d’autore. <br />
La medesima tesi dell’esigenza di coinvolgere i provider <br />
nella lotta <strong>alla</strong> pirateria audiovisiva attraverso il filtraggio dei <br />
contenuti degli utenti è, d’altra parte, al centro dell’accordo di <br />
recente raggiunto tra il Governo francese, le major dell’audiovisivo <br />
ed i provider sulla base dei lavori della Commissione Olivennes. <br />
Lo stesso conflitto tra tutela del diritto d’autore e libertà di <br />
manifestazione del pensiero è, infine, al centro di un acceso <br />
dibattito in taluni Paesi quale, ad esempio, l’Inghilterra ove ci si è <br />
spinti a presentare una proposta di legge che, se approvata, <br />
farebbe si che a seguito di taluni “avvertimenti” per pretese – non <br />
è chiaro attraverso quale meccanismo potrebbe acquisirsene la <br />
certezza – violazioni del diritto d’autore, i providers dovrebbero <br />
recedere unilateralmente dal contratto di fornitura di connettività, <br />
privando così l’utente della possibilità di accedere a tutte le risorse <br />
telematiche. <br />
Quello che stiamo vivendo è, dunque, un momento di <br />
straordinaria e nuova tensione tra contrapposti diritti ed interessi. <br />
E’ forte il rischio che la necessaria ed indispensabile tutela <br />
dei diritti di proprietà intellettuale dia vita <strong>alla</strong> nascita di una pay <br />
per use society nella quale i cittadini perderebbero tale loro veste <br />
ed i diritti fondamentali ad essa ricollegati, per essere piuttosto <br />
considerati “semplici” utenti e consumatori di contenuti digitali. <br />
Ciò equivarrebbe a confondere il fine con il mezzo. <br />
Il diritto d’autore deve, infatti, costituire un incentivo <strong>alla</strong> <br />
produzione culturale e, quest’ultima, deve costituire lo strumento <br />
– ma non il fine – per lo sviluppo, l’attuazione e la piena <br />
realizzazione dell’uomo e del cittadino quali membri di una <br />
collettività oggi globale. <br />
<br />
<br />
La parabola dell’acqua minerale. <br />
Telejus <br />
Febbraio 2006 <br />
<br />
Ci sono, a mio avviso, forti analogie tra talune questioni <br />
connesse all’imbottigliamento ed <strong>alla</strong> distribuzione dell’acqua <br />
43
<br />
minerale e le più note ed attuali problematiche legate all’accesso ai <br />
contenuti digitali nella società dell’informazione e, pertanto, <br />
soffermarsi a riflettere sulle prime può risultare illuminante <br />
nell’individuazione di possibili soluzioni in relazione alle seconde. <br />
In questo ragionamento credo convenga muovere <br />
dall’analisi degli elementi prima di addentrarsi nell’esame delle <br />
formule – in questo caso giuridiche – cui è affidato il sistema della <br />
proprietà intellettuale e – ma l’argomento resterà sullo sfondo – <br />
quello dell’imbottigliamento e distribuzione delle acque minerali. <br />
L’acqua (h2o) costituisce il 70 % del corpo umano ed <br />
occupa un’analoga percentuale dell’intero Pianeta. <br />
“L’acqua è il principio di tutte le cose” soleva ripetere già <br />
nel VI secolo a.c. Talete; non è dunque esagerato definirla un <br />
elemento essenziale della stessa esistenza umana. <br />
Egualmente, ritengo, ci si possa trovare d’accordo nel <br />
ritenere che il sapere, le arti della letteratura, della musica, della <br />
cinematografia e, più in generale ogni creazione dell’ingegno <br />
costituiscono elementi altrettanto essenziali per l’esistenza e <br />
l’evoluzione culturale, scientifica e tecnologica dell’intera <br />
popolazione della terra e ciò, soprattutto, mentre una comunità <br />
globale di milioni di persone si avvia ad entrare nella società <br />
dell’informazione. <br />
Una prima analogia è, dunque, rappresentata d<strong>alla</strong> <br />
centralità che i due elementi rivestono nella vita dell’uomo. <br />
Un’altra importante analogia, non trascurabile nell’analisi <br />
del fenomeno, è rappresentata d<strong>alla</strong> leggerezza, neutralità e <br />
trasparenza di entrambi gli elementi (acqua e cultura) che tuttavia, <br />
stridono con la loro forza e con la caratteristica irruenza con la <br />
quale, talvolta in senso positivo e talaltra in senso negativo, si <br />
presentano. <br />
Basti pensare all’effetto di una pioggia abbondante su di <br />
un campo arido ed <strong>alla</strong> accessibilità da parte di una comunità sino <br />
al giorno prima isolata di una piattaforma di e‐learning o, <br />
piuttosto, alle conseguenze disastrose di un <strong>alla</strong>gamento ed a <br />
quelle non meno devastanti della diffusione di certe ideologie in <br />
talune epoche storiche. <br />
Acqua ed idee possono essere più o meno nutrienti <br />
rispettivamente per il corpo e per lo spirito, più o meno gustose e <br />
avere caratteristiche differenti in relazione <strong>alla</strong> fonte da cui <br />
provengono. <br />
L’acqua come le idee, la cultura e le arti uniscono e <br />
dividono i popoli: rendono agevoli gli incontri e gli scambi culturali <br />
ed economici o, piuttosto li precludono innalzando insormontabili <br />
barriere. <br />
44
<br />
Il possesso dell’acqua esattamente come il possesso delle <br />
idee – e più in generale del patrimonio culturale ‐ determina la <br />
ricchezza e la povertà di un popolo e dà luogo ad insuperabili <br />
forme di sudditanza e supremazia. <br />
Sin dalle origini della storia del mondo le civiltà più floride <br />
sorgevano su terreni fertili e le civiltà più forti e destinate a <br />
colonizzare il mondo erano quelle più ricche di ingegno, di arti e di <br />
cultura oggi, diremmo, di diritti di privativa industriale e di diritti <br />
d’autore. <br />
Sin qui per quanto riguarda gli elementi. <br />
Analogie, vicinanze concettuali e comunanza di <br />
problematiche sociali, culturali e giuridiche, tuttavia, divengono <br />
ancor più evidenti allorquando l’acqua, le idee e la cultura vengono <br />
calate nella realtà socio economica ed esaminate in una <br />
prospettiva dinamica. <br />
Entrambi gli elementi sono, infatti, presenti nell’universo <br />
in quantità enormi e, tuttavia ‐ in apparente contrasto con una <br />
delle più semplici regole economiche secondo cui ad un’alta offerta <br />
corrisponde uno scarso valore del bene – essi costituiscono beni <br />
preziosi che hanno, nel tempo dato vita a mercati che valgono <br />
milioni di milioni di euro. <br />
Acqua ed idee pur essendo a portata di mano di tutti <br />
costituiscono appannaggio esclusivo o privilegiato di pochi che, <br />
per primi – o più degli altri – hanno saputo sfruttarle <br />
economicamente imbottigliando la prima e confezionando le <br />
seconde in colorati contenitori fisici e mediatici. <br />
Oggi grazie alle nuove tecnologie (digitali e telematiche nel <br />
caso delle idee, meccaniche ed industriali nel caso dell’acqua) i due <br />
mercati sono divenuti globali: l’acqua Evian prodotta sulle <br />
montagne francesi arriva ogni giorno sulle scrivanie dei ricchi e <br />
dei potenti del continente asiatico così come di quello americano, i <br />
brani musicali delle più famose rockstar statunitensi al pari di <br />
quelli del più piccolo complesso emergente – opportunamente <br />
“impacchettati” grazie <strong>alla</strong> tecnologia digitale ed ai nuovi preziosi <br />
algoritmi di compressione ‐ attraversano gli oceani correndo lungo <br />
le fibre ottiche ed arrivano nel c.d. “tempo reale” nelle case di <br />
ognuno di noi. <br />
Un giro in un ipermercato ed un pomeriggio in un <br />
megastore multimediale convincono poi di un ulteriore elemento <br />
di particolare rilievo: le caratteristiche e la sostanza dell’acqua così <br />
come delle creazioni dell’ingegno umano hanno, ormai, lasciato il <br />
passo <strong>alla</strong> forma ed ai colori delle confezioni che le contengono <br />
nonché alle inarrestabili campagne pubblicitarie e di marketing <br />
che ne precedono l’immissione sul mercato e ne accompagnano la <br />
distribuzione. <br />
45
<br />
Le analisi di mercato relative <strong>alla</strong> distribuzione delle acque <br />
minerali così come quelle relative <strong>alla</strong> distribuzione delle opere <br />
dell’ingegno rivelano, inoltre, un dato particolarmente significativo <br />
e, ad un tempo, preoccupante: le scelte dei consumatori e degli <br />
utenti sono sempre meno dettate da un’effettiva preferenza verso <br />
il prodotto e sempre più determinate dalle caratteristiche dei <br />
contenitori fisici e mediatici utilizzati per la distribuzione. <br />
Questi contenitori rappresentano per i produttori e <br />
distributori di acqua minerale e per le major dell’industria <br />
audiovisiva, voci di costo ben maggiori rispetto al semplice valore <br />
del bene e/o dello sforzo intellettuale necessario a creare un’opera <br />
dell’ingegno. <br />
In tale contesto può, a mio avviso, inquadrarsi l’esame <br />
dell’impatto delle nuove tecnologie digitali e telematiche sul <br />
mercato della proprietà intellettuale, in questa prospettiva può e <br />
deve ricercarsi una spiegazione al clima di enorme smarrimento in <br />
cui è venuta a trovarsi l’industria audiovisiva mondiale e, ad un <br />
tempo, seguendo tale ragionamento può forse pervenirsi ad <br />
individuare un nuovo equilibrio ed assetto giuridico‐economico di <br />
un settore – quello della proprietà intellettuale ‐ da cui dipende, in <br />
gran parte, il futuro della società dell’informazione. <br />
L’impatto delle nuove tecnologie digitali e telematiche sul <br />
mercato della proprietà intellettuale rappresenta, infatti, un <br />
fenomeno analogo a quello che verrebbe a prodursi nel mercato <br />
delle acque minerali qualora, domani, i consumatori potessero <br />
ricevere – attraverso le condutture idriche già esistenti – <br />
direttamente nelle loro abitazioni l’enorme varietà di acque <br />
minerali provenienti da tutte le fonti del mondo, oggi distribuite <br />
nei supermercati ed ipermercati nelle confezioni di PET, PVC, <br />
cartone e, sempre più raramente, vetro. <br />
E’ facile prevedere che pochi continuerebbero a recarsi nei <br />
supermercati ed ipermercati per acquistare le attuali confezioni di <br />
acqua minerale accollandosi gli oneri economici e fisici a ciò <br />
connessi, molti sarebbero disponibili a pagare prezzi – certamente <br />
più bassi e contenuti di quelli attuali – ai proprietari delle diverse <br />
fonti e sorgenti e, taluni, tenterebbero di <strong>alla</strong>cciarsi abusivamente <br />
a questa o quella condotta per poter beneficiare gratuitamente di <br />
una grande varietà di acque minerali, sino al giorno prima pagate a <br />
caro prezzo o non comprate affatto. <br />
Non diversamente oggi – e sempre di più domani in modo <br />
direttamente proporzionale al diffondersi delle tecnologie digitali <br />
e telematiche presso fasce sempre più ampie della popolazione – <br />
taluni (secondo recenti ricerche di mercato, peraltro, non <br />
pochissimi ed anzi, forse, più di ieri) continuano a recarsi nei <br />
megastore multimediali per acquistare a costi inaccessibili ai più <br />
46
<br />
supporti originali contenti opere dell’ingegno, parecchi – <br />
purtroppo non ancora molti – “scaricano” dal web – attraverso i <br />
pochi servizi a ciò destinati attualmente esistenti – materiale <br />
audiovisivo in formato digitale reso disponibile a costi più <br />
accessibili e, qualcuno – in realtà, forse, troppi – cerca soluzioni più <br />
o meno fantasiose per sfruttare le tecnologie digitali e telematiche <br />
per accedere ad un enorme quantità di opere dell’ingegno <br />
sottraendosi dal riconoscimento ad autori, produttori e <br />
distributori di qualsivoglia diritto o compenso. <br />
Quale soluzione, dunque, adottare per garantire a tutte le <br />
parti interessate di beneficiare delle nuove straordinarie <br />
opportunità offerte dal progresso tecnologico nel rispetto dei <br />
diritti di ciascuno? <br />
La parabola dell’acqua suggerisce di accantonare l’idea di <br />
frenare il progresso rifiutandosi di distribuire contenuti digitali <br />
attraverso le nuove piattaforme telematiche solo perché, così <br />
facendo, si abbatterebbe il rischio che qualcuno vi si “<strong>alla</strong>cci” per <br />
accedervi abusivamente e, ad un tempo consente di escludere che <br />
sia possibile pensare di arginare il fenomeno della circolazione <br />
telematica semplicemente innalzando “dighe” o filtri. <br />
La massa di bit che trasporta il patrimonio culturale <br />
digitale globale, esattamente come un fiume in piena nel quale <br />
confluiscono attraverso mille canali tonnellate di acqua <br />
provenienti da ogni più remota zona del globo, prima o poi, infatti, <br />
rischierebbe di travolgere gli argini. <br />
Entrambe tali preoccupazioni, d’altra parte, sono al centro <br />
della recente Comunicazione della commissione UE sui contenuti <br />
digitali e formano oggetto – come si è anticipato – di ampio <br />
dibattito tanto in sede di Unione europea che presso i Governi dei <br />
Paesi membri. <br />
Non è facile individuare o suggerire soluzioni in relazione <br />
a questioni complesse non solo per la rilevanza degli interessi <br />
economici e sociali in gioco ma anche e soprattutto perché <br />
fortemente influenzate e condizionate dal progresso tecnologico <br />
che ne ridisegna, senza sosta, ambiti e termini, facendo risultare <br />
vecchie e superate soluzioni neppure attuate. <br />
Le strade astrattamente percorribili sono numerose e <br />
nessuna si presenta scevra da ostacoli o possibili insidie. <br />
Una delle soluzioni di cui ultimamente si discute con <br />
maggior insistenza è l’dea di istituire un “pedaggio” per chiunque <br />
voglia percorrere le autostrade dell’informazione sul presupposto <br />
che non le percorra a mani vuote ma più o meno carico di <br />
contenuti digitali protetti da diritti d’autore. <br />
In tale prospettiva, di recente rilanciata anche dall’Unione <br />
Europea, gli Internet Service Provider dovrebbero, probabilmente, <br />
47
<br />
essere chiamati a svolgere il ruolo di “casellanti” e, quindi, <br />
incassare il pedaggio da far poi transitare – attraverso un <br />
meccanismo tutt’altro che semplice da disegnare – sulle società di <br />
gestione ed intermediazione dei diritti d’autore e, quindi, sui <br />
titolari di tali diritti. <br />
Sotto un profilo giuridico, rectius normativo, si tratterebbe <br />
di ripercorrere una strada già battuta allorquando – agli albori <br />
della rivoluzione digitale – si è posto il problema di garantire ai <br />
titolari dei diritti un equo indennizzo per le copie private per uso <br />
personale che – proprio grazie alle nuove tecnologie digitali – gli <br />
utenti ed i consumatori avrebbero tratto dagli originali in <br />
circolazione. <br />
In quell’occasione la soluzione fu quella di esigere dai <br />
produttori dei supporti di archiviazione una tassa sul presupposto <br />
che i supporti sarebbero stati utilizzati, in una certa misura, <br />
proprio per ospitare contenuti protetti da diritti d’autore in <br />
relazione ai quali – complice l’eccezione per la “copia privata” <br />
prevista negli Ordinamenti della più parte dei Paesi membri – i <br />
titolari non avrebbero, altrimenti mai percepito alcun compenso. <br />
Tale soluzione ha, tuttavia, ricevuto un’attuazione diversa <br />
ed eterogenea nei Paesi dell’Unione Europea ed è tuttoggi al centro <br />
di un acceso dibattito. <br />
Estendere tale approccio all’utilizzo delle risorse <br />
telematiche significa, pertanto, riproporre problemi da tempo noti <br />
agli addetti ai lavori e, tuttavia, mai compiutamente risolti. <br />
La presunzione di utilizzo di una risorsa – sia essa un CD o, <br />
piuttosto, la connessione a Internet – per l’utilizzo di contenuti <br />
coperti da diritto d’autore e gestiti attraverso le dinamiche <br />
tradizionali, ad esempio, costituisce innegabilmente una forzatura <br />
che, in molti casi, non trova alcun riscontro nella realtà. <br />
Esistono, ormai, milioni di opere dell’ingegno rese <br />
disponibili on‐line in relazione alle quali l’utente riconosce <strong>alla</strong> <br />
fonte il corrispettivo richiesto o, comunque, viene autorizzato al <br />
loro utilizzo a fronte dell’assunzione di obbligazioni di natura non <br />
pecuniaria. <br />
In tutti questi casi è, ad esempio, evidente che esigere un <br />
corrispettivo per l’utilizzo delle risorse di connetività o, piuttosto, <br />
di un CD rischia di tradursi nell’esazione di un doppio compenso <br />
da parte del consumatore e nella percezione di un doppio <br />
corrispettivo da parte del titolare dei diritti. <br />
Esistono, d’altra parte, milioni di utenti che si connettono <br />
<strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> all’unico scopo di accedere all’enorme archivio di cultura <br />
digitale libera reso disponibile attraverso dinamiche o modelli di <br />
business innovativi. <br />
48
<br />
Si pensi ai quotidiani on‐line finanziati interamente d<strong>alla</strong> <br />
pubblicità, alle enciclopedie elettroniche, alle piattaforme di social <br />
web 2.0, ai forum di discussione o, piuttosto, ai siti internet delle <br />
pubbliche amministrazioni. <br />
In tale contesto – come peraltro accade già oggi in <br />
relazione ai supporti per l’archiviazione di contenuti digitali – la <br />
presunzione di utilizzo della risorsa per l’esercizio di diritti <br />
d’autore non risulta convincente e rischia di sperequare <br />
l’equilibrio che dovrebbe, invece, sussistere tra sforzo creativo, <br />
messa a disposizione della collettività dei risultati di tale sforzo e <br />
propria remunerazione. <br />
Per tale via si potrebbe, in buona sostanza, arrivare ad un <br />
punto in cui l’equo compenso per l’utilizzo delle risorse di <br />
connettività costituirebbe uno strumento di finanziamento o <br />
sostentamento per l’industria culturale cui quest’ultima potrebbe <br />
accedere a prescindere dai risultati effettivamente prodotti e posti <br />
a disposizione della collettività. <br />
Ciò frustrerebbe irreparabile spirito e ratio della disciplina <br />
sul diritto d’autore. <br />
La cifra di oltre 500 milioni di Euro raccolta nel 2004 dalle <br />
società di intermediazione dei diritti europee a titolo di “equo <br />
compenso” per le utilizzazioni libere sembra rendere concreta ed <br />
attuale tale preoccupazione. <br />
Le stesse società di gestione ed intermediazione dei diritti <br />
operanti nei diversi Paesi membri, d’altra parte, costituiscono un <br />
importante aspetto da tener presente nell’intervenire sulla <br />
disciplina della materia. <br />
La ripartizione geografica del mercato della proprietà <br />
intellettuale tra più società di intermediazione dei diritti operanti <br />
in regime di monopolio nazionale è, infatti, divenuta anacronistica <br />
essendosi ormai sviluppato – grazie alle nuove tecnologie digitali e <br />
telematiche – un mercato europeo, se non addirittura mondiale, <br />
dei contenuti protetti da diritto d’autore. <br />
Ad un tempo, le nuove tecnologie, rendono agevolmente <br />
superabili i sistemi tradizionali di ripartizione dei diritti d’autore <br />
basati su calcoli statitistici e probabilistici o, piuttosto, su <br />
meccanismi forfettari ed approssimativi. <br />
Nella società dell’informazione digitale i bit possono <br />
essere contati in modo automatizzato uno ad uno senza alcuna <br />
esigenza di “pesanti” infrastrutture ed apparati burocratici. <br />
Il ruolo delle società di intermediazione dei diritti, nel <br />
nuovo assetto del mercato dei contenuti digitali, dovrebbe, <br />
pertanto, formare oggetto di un profondo ripensamento e, per <br />
taluni aspetti, di un ridimensionamento che, tuttavia, appare <br />
difficile da far accettare a livello nazionale dopo una lunga stagione <br />
49
<br />
<br />
nella quale dette società ed enti si sono visti progressivamente <br />
riconoscere sempre maggiori poteri ed autorità. <br />
In un contesto tanto variegato e complesso nel quale le <br />
questioni si presentano concatenate l’una all’altra più che <br />
proporre soluzioni sembra opportuno sforzarsi di individuare i <br />
pochi elementi di certezza enucleabili nella speranza che <br />
muovendo da tali punti fermi sia poi possibile tracciare le linee di <br />
sviluppo della nuova disciplina sul diritto d’autore di cui si avverte <br />
l’improcrastinabile esigenza. <br />
In tale prospettiva una prima certezza sembra poter <br />
essere costituita d<strong>alla</strong> circostanza che l’epoca dei contenitori fisici <br />
e mediatici costosi e colorati nei quali sino a ieri la cultura è stata <br />
distribuita si avvia al tramonto e che essa è destinata ad essere <br />
sostituita da quella della fibra ottica, della banda larga, dei bit e <br />
della tecnologia digitale. <br />
In questa nuova era, già definita da un grande economista <br />
come Jeremy Rifkin, l’Era dell’Accesso <br />
“i mercati stanno cedendo il passo alle reti e la proprietà è <br />
progressivamente sostituita dall’accesso”; ciò che conta non è tanto <br />
vendere la proprietà di un bene materiale quanto piuttosto l’accesso <br />
ad un bene immateriale.” <br />
<br />
E’, dunque, l’accesso ai contenuti digitali che andrà <br />
disciplinato e non più il possesso degli stessi su questo o quel <br />
supporto o, piuttosto, la riproduzione di un contenuto da un <br />
supporto all’altro. <br />
Certe preoccupazioni così come la pretesa di “tassare” il <br />
possesso o sanzionare quello illegittimo, nell’era dell’accesso <br />
appaiono anacronistiche, inattuabili e sconfitte dai tempi e dal <br />
progresso. <br />
Un’ulteriore certezza sembra costituita dall’esponenziale <br />
ampliamento del mercato dei contenuti digitali che, oggi, è aperto <br />
a zone del globo ed a fasce della popolazione che, sino a ieri, erano <br />
sistematicamente lasciate fuori d<strong>alla</strong> distribuzione di ogni genere <br />
di prodotto culturale. <br />
Tale fattore in uno con l’abbattimento dei costi di <br />
produzione e distribuzione dei contenitori fisici per prodotti <br />
culturali (CD, DVD e domani libri) e con la facilità di promozione di <br />
tali prodotti a costi irrisori, consente, evidentemente, ai titolari dei <br />
diritti di conservare ed anzi incrementare i propri margini di <br />
profitto, riducendo, contestualmente in modo sensibile il prezzo di <br />
accesso ai propri contenuti. <br />
Al riguardo appaiono, tuttavia, illuminanti le parole di <br />
George Soros secondo il quale <br />
50
<br />
<br />
la globalizzazione non è un gioco a somma zero. I benefici <br />
superano i costi, nel senso che l’aumentata ricchezza prodotta d<strong>alla</strong> <br />
globalizzazione potrebbe essere utilizzata per rimediare alle sue <br />
iniquità e agli altri suoi difetti e ne resterebbe ancora d’avanzo. <br />
L’affermazione è difficile da dimostrare…cionondimeno, tutte le <br />
prove indicano che i vincitori potrebbero indennizzare gli sconfitti e <br />
uscirne comunque con un guadagno…Il problema – prosegue Soros – <br />
è che i vincitori non indennizzano affatto gli sconfitti. (G. Soros, <br />
Globalizzazione). <br />
<br />
Si è, infine, già detto – ed in ciò consiste un ulteriore <br />
aspetto di certezza da tener presente in ogni ragionamento sul <br />
futuro diritto d’autore – che la tecnologia oggi abilita a forme di <br />
gestione e tutela dei diritti automatizzate, infallibili e, ad un tempo, <br />
duttili ovvero suscettibili di adattarsi a modelli di business diversi <br />
ed eterogenei o, piuttosto, a modelli di “non business” ovvero di <br />
distribuzione e circolazione non controllata di contenuti digitali. <br />
In tale prospettiva la tecnologia di riferimento è costituita <br />
dai Digital Rights Management, il cui acronimo, DRM è, <br />
sfortunatamente, sin qui, divenuto più celebre quale strumento di <br />
protezione coattiva dei diritti unilateralmente imposto piuttosto <br />
che non quale strumento di traduzione tecnologica di un assetto <br />
negoziale concordato tra consumatori e distributori di prodotti <br />
culturali. <br />
Una lezione importante, in tal senso, viene, ancora una <br />
volta, dall’acqua. <br />
L’acqua è, infatti, il miglior nemico dell’acqua, nel senso <br />
che una corrente di eguale forza ma di contrapposta direzione è <br />
l’unico rimedio per deviare il corso di un fiume in piena. <br />
Allo stesso modo, nel dominio del diritto d’autore nella <br />
società dell’informazione, appare impossibile pretendere di <br />
fermare le conseguenze e gli effetti dell’impatto delle nuove <br />
tecnologie sull’accesso al patrimonio culturale se non attraverso le <br />
tecnologie medesime. <br />
Monitoraggi di massa, sistemi di filtraggio, nuove norme e <br />
regolamentazioni sanzionatorie lanciate all’inseguimento di <br />
condotte di violazione dei diritti sempre nuove, ritengo non <br />
servano a nulla se non a trasformare in scontro quello che, invece, <br />
da centinaia di anni, è un confronto tra titolari dei diritti e <br />
collettività. <br />
Il nuovo assetto della disciplina della materia – quale che <br />
sarà – non potrà prescindere da strumenti di composizione e <br />
negoziazione dei contrapposti diritti ed interessi duttili, elastici, <br />
capaci di adattarsi ad una realtà in continuo divenire perché figlia <br />
51
<br />
di un progresso tecnologico che sta aumentando in modo <br />
esponenziale il proprio ritmo rispetto a quello che lo ha <br />
caratterizzato nei secoli precedenti. <br />
DRM, Creative commons, sistemi di gestione ed <br />
intermediazione automatizzata dei diritti affidati a camere di <br />
commercio telematiche e ius mercatorum sono probabilmente gli <br />
ingredienti indispensabili del nuovo diritto d’autore. <br />
Panta rei e, quindi, occorre far presto perché il tempo di <br />
elaborazione della soluzione non renda quest’ultima inefficace <br />
rispetto ad un contesto di mercato che domani sarà ancora <br />
diverso. <br />
<br />
…e la chiamano proprietà intellettuale…:( <br />
9 novembre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=381 <br />
<br />
Ho grande rispetto per il diritto d'autore quale strumento <br />
di incentivo <strong>alla</strong> produzione culturale ed <strong>alla</strong> circolazione di idee e <br />
contenuti creativi. <br />
Senza la Società dell'informazionenon credo segnarà il <br />
futuro dll'uomo come sarebbe auspicabile e come potrebbe. <br />
Sono, tuttavia, terrorizzato dal macroscopico <br />
fraintendimento di quei principi che, sempre più di frequente <br />
registro in giro. <br />
Ieri sera volevo guardarmi l'ultimo documentario di <br />
Michael Moore, Slacker Uprising, lieto, tra l'altro, che fosse <br />
distribuito gratuitamente benché per uno scopo dichiaratamente <br />
di propaganda politica. <br />
Ecco quello che mi son sentito rispondere dal server dal <br />
quale avevo avviato il download: <br />
“SORRY! <br />
Unfortunately, the lawyers tell us we are only allowed to <br />
offer the film to people residing in the United States or Canada. The <br />
computers think you are someplace else right now, and that's why <br />
you are seeing this page. If you really are in the U.S. or Canada and <br />
our computers are confused, you may try accessing the website from <br />
a different network, at a friends house, etc. We're very sorry for the <br />
inconvenience, and really want as many people to see the film as <br />
possible.” <br />
Non è questo lo spirito con il quale tre secoli fa è nato il <br />
diritto d'autore e non è questa la prorpietà intellettuale che <br />
consentirà di utilizzare la <strong>Rete</strong> per abbattere il divide socio‐<br />
culturale del mondo. <br />
Che ne pensate? <br />
52
<br />
<br />
<br />
P.S.: inutile che vi dica che mi ci sono voluti tre minuti per <br />
scaricarmi il documentario del quale, tra l'altro, consiglio la visione <br />
perchè quali che siano i vostri orientamenti politici, è un pezzo di <br />
storia del nostro tempo raccontata da uno dei due possibili angoli <br />
di visuale. <br />
Nuovi e vecchi modelli a confronto. <br />
14 ottobre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=361 <br />
Questa mattina Punto Informatico ha pubblicato la lettera <br />
aperta con la quale ISP, consumatori ed addetti ai lavori hanno <br />
sollevato dubbi e perplessità circa l'iniziativa del Governo di <br />
costituire un comitato tecnico per la lotta <strong>alla</strong> pirateria digitale e <br />
telematica 24. <br />
<br />
24 Questo è il testo della lettera: <br />
On. Sandro Bondi <br />
Ministro per i beni e le attività culturali <br />
e <br />
Prof. Mauro Masi <br />
Segretario Generale della Presidenza <br />
del Consiglio dei Ministri <br />
Nelle scorse settimane si è appreso dagli organi di stampa che sarebbe <br />
stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri d’intesa con il Ministero <br />
per i Beni e le Attività culturali un Comitato tecnico contro la pirateria digitale e <br />
multimediale del quale faranno parte oltre al Segretario Generale della Presidenza <br />
del Consiglio che lo coordinerà, il Capo gabinetto del Ministero per i beni e le attività <br />
culturali, il Presidente della Siae, i rappresentanti dei dicasteri coinvolti e due esperti <br />
del settore che verranno nominati a breve. <br />
La cultura nella Società dell’Informazione costituisce, tuttavia, <br />
evidentemente un bene comune e la circolazione del patrimonio culturale rappresenta <br />
pertanto un tema in relazione al quale si confrontano ed intersecano inevitabilmente <br />
interessi e diritti di soggetti diversi: utenti e consumatori, internet services provider, <br />
intermediari della comunicazione, artisti e fornitori di contenuti. <br />
In tale contesto, desta preoccupazione la circostanza che nell’istituire il <br />
citato Comitato tecnico si sia ritenuto di non coinvolgere sin dall’inizio ed in modo <br />
strutturato e permanente i rappresentanti delle numerose categorie interessate e si <br />
sia scelto di affrontare il delicato tema della cultura nella società dell’informazione <br />
nella limitata e limitante prospettiva della lotta <strong>alla</strong> pirateria che costituisce, <br />
evidentemente, solo un fenomeno derivato rispetto <strong>alla</strong> più complessa problematica <br />
della regolamentazione del mercato culturale digitale e multimediale. <br />
Analoghe perplessità solleva l’idea – se non addirittura l’auspicio – di <br />
orientare l’attività del Comitato <strong>alla</strong> produzione di disegni di legge volti al <br />
recepimento nel nostro Paese della soluzione francese della lotta <strong>alla</strong> pirateria <br />
audiovisiva. <br />
Tale soluzione – in contrasto con il principio, sancito il 24 settembre 2008 <br />
dal Parlamento Europeo con 573 voti contro 74 e ribadito d<strong>alla</strong> Commissione il 6 <br />
ottobre, secondo il quale “nessuna restrizione può essere imposta ai diritti ed alle <br />
libertà fondamentali degli utenti finali, senza la preventiva autorizzazione delle <br />
autorità giudiziarie, segnatamente in accordo con l’Art. 11 della Carta dei diritti <br />
53
<br />
Alcuni hanno già tacciato la lettera come un'iniziativa anti‐<br />
antipirateria. <br />
Non è così. <br />
Il punto è che esistono strade diverse per promuovere la <br />
cultura digitale nella società dell'informazione e che, quindi, prima <br />
di rifuggiarsi nei vecchi modelli di business e nelle vecchie risposte <br />
normative sarebbe opportuno esplorare soluzioni nuove e diverse. <br />
E' di queste ore l'accordo tra RAI e Youtube per la <br />
pubblicazione dei contenuti dell'emittente di stato attraverso un <br />
canale dedicato del più grande UGC del mondo 25. <br />
<br />
fondamentali dell’Ue sulla libertà di espressione e d’informazione” infatti, non <br />
appare fondata su un adeguato bilanciamento dei contrapposti interessi e sembra <br />
porre la tutela dei diritti d’autore su di un piano sovraordinato rispetto ad altri <br />
diritti e libertà fondamentali del cittadino quali quello <strong>alla</strong> privacy ed all’accesso <br />
all’informazione ed all’utilizzo delle risorse informatiche e telematiche che sono <br />
destinate a divenire, tra l’altro, il canale di comunicazione privilegiato tra cittadino e <br />
pubblica amministrazione e, dunque, strumento ineliminabile per l’esercizio di un <br />
ampia gamma di diritti civili e politici. <br />
Occorre, d’altro canto, rilevare che lo stesso Governo francese, pur <br />
pervenendo <strong>alla</strong> non condivisibile citata conclusione, ha, a suo tempo, affrontato il <br />
problema della lotta <strong>alla</strong> pirateria digitale in uno con quello dell’incentivazione del <br />
mercato legale di contenuti digitali, apparendo, evidente, che le due questioni non <br />
possono essere affrontate disgiuntamente. <br />
Contestualmente al tema della pirateria occorre, infatti, farsi carico di <br />
risolvere la questione della scarsa accessibilità del patrimonio culturale attraverso le <br />
risorse telematiche. <br />
Le nuove tecnologie, infatti, consentirebbero una massimizzazione della <br />
circolazione di tale patrimonio che, tuttavia, resistenze culturali ed economiche da <br />
parte dell’industria dei contenuti audiovisivi, un quadro normativo inadeguato e la <br />
pressoché totale mancanza di una seria politica dell’innovazione hanno, sin qui, <br />
lasciato allo stadio di semplice aspirazione o tendenza. <br />
Alla luce delle considerazioni che precedono ed in ragione dell’importanza <br />
e centralità del tema sul quale l’attività del comitato tecnico andrà ad incidere, i <br />
firmatari chiedono di aprire formalmente il tavolo ed i lavori del comitato <strong>alla</strong> <br />
partecipazione permanente e strutturata di rappresentanti di tutte le categoria <br />
coinvolte. <br />
La cultura è il più prezioso tra i beni comuni. <br />
Distinti saluti, <br />
<br />
Adiconsum <br />
AIIP <br />
Altroconsumo <br />
(Assodigitale) <br />
Assoprovider <br />
(Confcommercio) <br />
Istituto per le politiche dell’innovazione <br />
Netcom <br />
25 Questo è l’annuncio dell’accordo pubblicato sul blog ufficiale di Google <br />
raggiungibile all’URL: http://googleitalia.blogspot.com/2008/10/un‐passo‐avanti‐<br />
nella‐tutela‐del.html <br />
Un passo avanti nella tutela del copyright e nella distribuzione di contenuti digitali <br />
54
<br />
L'accesso ai contenuti sarà gestito ‐ e non già <br />
semplicemente limitata! ‐ attraverso VideoID una moderna <br />
soluzione di digital rights management che stanno sviluppando in <br />
casa Google 26. <br />
<br />
14 ottobre 2008 ‐ ore 18.05 <br />
E' proprio di oggi l'annuncio della formalizzazione dell'accordo fra Rai e YouTube per <br />
la distribuzione dei contenuti dell'emittente attraverso il proprio canale brand. <br />
Questa collaborazione è importante per due motivi: prima di tutto è un esempio di <br />
come i produttori di contenuti si stiano aprendo <strong>alla</strong> loro diffusione su più <br />
piattaforme e verso pubblici differenziati, trovando inoltre il giusto modo per dare <br />
valore al loro archivio, in secondo luogo, RaiNet userà l'avanzata tecnologia VideoID <br />
di YouTube <br />
VideoID è uno strumento che permette ai proprietari dei contenuti di identificare i <br />
loro materiali su YouTube e di decidere come renderli disponibili. Con YouTube <br />
VideoID, i titolari dei diritti possono infatti agevolmente gestire i propri contenuti e <br />
stabilire se ottenerne ricavi, rimuoverli o semplicemente monitorarli. <br />
Facendo questa scelta innovativa, RAI si aggiunge ai molti altri partner di YouTube <br />
che hanno adottato questo strumento, tra i quali vi sono CBS, Lionsgate, Sony BMG <br />
Europe e molti altri. Questa soluzione dimostra come gli operatori del settore, insieme <br />
con i titolari di proprietà intellettuale, in modo molto pragmatico abbiano trovato la <br />
tanto auspicata via di mezzo fra la tutela del diritto d'autore e la diffusione dei <br />
contenuti digitali. <br />
Proprio in questi giorni si sta discutendo di pirateria online e delle possibili soluzioni <br />
per combattere questo fenomeno. Noi pensiamo che questo accordo vada nella giusta <br />
direzione: nuovi modelli di monetizzazione e strumenti di prevenzione. <br />
26 La spiegazione di Video ID pubblicata sulle pagine di Youtube a questa URL: <br />
Identificazione video di YouTube <strong>version</strong>e Beta <br />
Grazie <strong>alla</strong> collaborazione costante di proprietari di contenuti grandi e piccoli, <br />
YouTube è in grado di sviluppare, testare e implementare strumenti di gestione dei <br />
contenuti sempre più efficaci. Oggi, siamo orgogliosi di lanciare, in <strong>version</strong>e beta, la <br />
nostra ultima novità nel campo dei video online: Identificazione video di YouTube. <br />
Come le nostre norme e gli altri strumenti sui contenuti, Identificazione video di <br />
YouTube supera e va ben oltre le nostre responsabilità legali. Inoltre, analogamente a <br />
tali norme e strumenti, Identificazione video ha tre obiettivi principali: <br />
un'identificazione precisa, la possibilità di scelta per i titolari di copyright e una <br />
fantastica esperienza utente. <br />
Identificazione <br />
Identificazione video di YouTube aiuterà i titolari di copyright a rendere identificabili <br />
le loro creazioni su YouTube. Stiamo lavorando in collaborazione con Google per <br />
sviluppare una tecnologia unica nel suo genere in grado di riconoscere i video in base <br />
a vari fattori. Come indica il suo stato Beta, quella di Identificazione video è una <br />
tecnologia innovativa e all'avanguardia che provvederemo a perfezionare e a <br />
migliorare costantemente. I primi test con alcune società di contenuti hanno dato <br />
risultati molto promettenti. Man mano che amplieremo e perfezioneremo il nostro <br />
sistema, Identificazione video di YouTube sarà disponibile per tutti i tipi di titolari di <br />
copyright del mondo, indipendentemente dal fatto che vogliano mostrare i loro <br />
contenuti su YouTube. <br />
Indipendentemente dal livello di accuratezza raggiunto dagli strumenti, è importante <br />
ricordare che nessuna tecnologia può distinguere il materiale legale da quello illegale <br />
senza la cooperazione dei proprietari dei contenuti. Questo significa che saranno i <br />
titolari di copyright che desiderano utilizzare il nostro sistema di identificazione dei <br />
video, nonché contribuire a perfezionarlo, a fornire le informazioni necessarie per <br />
55
<br />
Dmin, d'altro canto, all'esito di un'attività iniziata ormai <br />
anni fa, ha ormai messo a punto un'analoga soluzione che abilità i <br />
titolari dei diritti a disporre dei propri contenuti a proprio <br />
piacimento nel contesto digitale 27. <br />
Dall'altra parte dello steccato ‐ a mio modo di vedere ‐ si <br />
colloca il vecchio modo di guardare <strong>alla</strong> proprietà intellettuale: <br />
recintare, vietare e mirare al profitto immediato tramite la <br />
pubblicità o mediato tramite cause risarcitorie multimilionarie. <br />
<br />
aiutarci a riconoscere le loro creazioni. Il nostro obiettivo è rendere tale processo il <br />
più agevole possibile. <br />
Scelta <br />
I titolari di copyright possono scegliere che cosa fare con i loro video: se bloccarli, <br />
promuoverli o persino se un titolare di copyright decide di diventare nostro partner <br />
di trarne guadagno, con il minimo sforzo. Identificazione video di YouTube aiuterà <br />
nella scelta. <br />
Nessuna tecnologia può prevedere le preferenze di un titolare di copyright. Oggi, con <br />
milioni di persone e società che producono video originali, le preferenze variano <br />
enormemente. Alcuni titolari di copyright vogliono il controllo su ogni impiego delle <br />
loro creazioni. Molti artisti professionisti e società del settore dei media pubblicano i <br />
loro video più recenti su YouTube senza informarci, mentre alcuni videoamatori non <br />
vogliono vedere le loro creazioni online. Altri desiderano che i loro fan partecipino al <br />
processo creativo. <br />
La cosa migliore che possiamo fare è collaborare con i titolari di copyright per <br />
identificare i video che includono i loro contenuti e offrire loro delle opzioni per <br />
condividere tali contenuti. Man mano che i titolari di copyright ci anticiperanno le <br />
loro preferenze, faremo del nostro meglio per automatizzare la loro scelta senza <br />
dimenticare i diritti degli utenti, degli altri titolari di copyright e della nostra <br />
community. <br />
Esperienza utente <br />
Come sottolinea il nostro slogan "Broadcast Yourself" la missione di YouTube è <br />
aiutare la più ampia gamma di persone ad esprimersi online. Pertanto, continueremo <br />
a concentrarci sull'offerta della migliore esperienza utente disponibile oggi online. <br />
Stiamo progettando attentamente le nostre nuove tecnologie di identificazione in <br />
modo che non ostacolino la comunicazione libera e rapida resa possibile da YouTube, <br />
indipendentemente dal fatto che si tratti di un dibattito politico, di marketing <br />
"underground" o di un filmato divertente. <br />
Basandosi sui nostri Suggerimenti sul copyright e sul nostro programma AudioSwap, <br />
e riflettendo l'equilibrio delle procedure di notifica e rimozione imposto per legge, ci <br />
auguriamo che Identificazione video farà ancora più chiarezza sui diritti e sulle <br />
responsabilità degli utenti, oltre a fornire ai fan nuove opportunità per interagire in <br />
modo creativo con il loro mezzo di comunicazione preferito. <br />
Infine, riteniamo che Identificazione video di YouTube si rivelerà uno strumento <br />
particolarmente utile e opportuno quando inizieremo ad ampliare la <br />
compartecipazione alle entrate e altre opportunità per un pubblico più vasto. <br />
Ricorda che questo è un programma Beta e prevediamo di incontrare degli imprevisti <br />
mentre perfezioneremo, miglioreremo ed espanderemo il sistema per soddisfare le <br />
esigenze di tutti. Ti chiediamo di avere pazienza. Se sei un proprietario di contenuti <br />
interessato a partecipare al programma, completa il nostro modulo di iscrizione. Non <br />
vediamo l'ora di iniziare a lavorare con te. <br />
27 La descrizione del progetto Dmin è reperibile a questa URL: http://www.dmin.it/ <br />
56
<br />
Basti pensare a Video.mediaset.it che ripropone on‐line il <br />
modello della televisione di un tempo pretendendo di fare a meno <br />
degli intermediari in un contesto aperto per definizione quale <br />
quello telematico o <strong>alla</strong> stessa Mediaset che qualche mese fa ha <br />
chiesto 500 milioni di euro a Youtube per qualche migliaio di <br />
spezzoni televisivi caricati on‐line dagli utenti anziché limitarsi a <br />
chiederne la rimozione. <br />
Che volete che vi dica? Questione di punti di vista…Cool <br />
Ma non ditemi che pensarla in maniera innovativa anziché <br />
un pò all'antica….significa essere pirati o non credere al diritto <br />
d'autore. <br />
<br />
L’italia più vicina <strong>alla</strong> Nuova Zelanda che all’Europa. <br />
11 ottobre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=359 <br />
<br />
Sarà per via della tanto simile conformazione geografica <br />
ma a giudicare da quanto sta accadendo sul terreno <br />
dell'enforcement dei diritti di proprietà intellettuale l'Italia sembra <br />
decisamente più vicina <strong>alla</strong> Nuova Zelanda che all'Europa. <br />
Nei giorni scorsi, come ho già scritto, è stato istituito in <br />
gran segreto presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un <br />
comitato tecnico per la lotta <strong>alla</strong> pirateria digitale e multimediale e <br />
nel salutare con favore tale notizia il Presidente Assumma ‐ che ne <br />
farà parte ‐ non ha nascosto di auspicare che l'italia adotti ‐ <br />
proprio attraverso il neoistituito comitato ‐ la soluzione francese <br />
<strong>alla</strong> lotta <strong>alla</strong> pirateria 28. <br />
Era il 23 settembre. <br />
Il 24 Settembre, tuttavia, il Parlamento Europeo ‐ e non <br />
era la prima volta ‐ bocciava senza appello la soluzione francese <br />
ammonendo gli Stati membri sull'insopprimibilità ‐ salvo ordine <br />
motivato dell'autorità giudiziaria ‐ del diritto fondamentale all'uso <br />
delle tecnologie telematiche (cfr. emendamento 138 Risoluzione <br />
<br />
28 Il testo del comunicato stampa pubblicato sul sito della SIAE a questa URL: <br />
http://www.siae.it/edicola.asp?click_level=0500.0100.0200&view=4&open_menu=<br />
yes&id_news=7194 <br />
Istituito un Comitato tecnico contro la pirateria <br />
E’ stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un Comitato tecnico, <br />
d’intesa con il Ministero per i beni e le attività culturali contro la pirateria digitale e <br />
multimediale. Ne fanno parte, oltre al Segretario Generale della Presidenza del <br />
Consiglio che lo coordina, il Capo gabinetto del Ministero per i beni e le attività <br />
culturali, il Presidente della Siae, i rappresentanti dei dicasteri coinvolti e due esperti <br />
del settore che verranno nominati a breve. Il nuovo organismo, che si insedierà nelle <br />
prossime settimane, predisporrà eventuali normative con l’adozione d’ interventi <br />
mirati per combattere il fenomeno della pirateria, interagendo con i vari operatori <br />
del settore. <br />
57
<br />
legislativa del Parlamento europeo del 24 settembre 2008 sulla <br />
proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio <br />
recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un <br />
quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione <br />
elettronica, 2002/19/CE relativa all'accesso alle reti di <br />
comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e <br />
all'interconnessione delle medesime e 2002/20/CE relativa alle <br />
autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica). <br />
Nelle stesse ore, tuttavia, in nuova Zelanda, il Ministro per <br />
il Copyright, infilava all'ultimo secondo in una legge sulla materia <br />
la soluzione francese: 3 accuse di violazione di diritti di proprietà <br />
intellettuale e l'utente viene disconnesso d<strong>alla</strong> rete senza neppure <br />
passare diritto ad un processo! <br />
Nessun dubbio dunque che lo zatterone italiano a forma di <br />
stivale si stia pericolosamente staccando dall'Europa per andare a <br />
raggiungere la sua compagna Neo Zelandese… <br />
E' proprio il caso di dire: tutto <strong>alla</strong> rovescia! <br />
<br />
I diritti fondamentali sacrificati sull’altare del diritto <br />
d’autore. <br />
27 novembre 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=203 <br />
<br />
Se in gioco non ci fosse il futuro della cultura nella società <br />
dell'informazione ci sarebbe da ridere a leggere il discorso 29 del <br />
<br />
29 Il discorso del Presidente Sarkozy pubblicato a questa URL: <br />
http://www.numerama.com/magazine/5691‐URGENT‐le‐discours‐de‐Nicolas‐<br />
Sarkozy‐accord‐Olivennes.html <br />
Mesdames, Messieurs, <br />
La protection du droit d’auteur, la préservation de la création, la reconnaissance du <br />
droit de chaque artiste, de chaque interprète, de chaque producteur de voir son travail <br />
normalement rémunéré, c’était un engagement important de ma campagne <br />
présidentielle. <br />
Depuis trois ans, j’ai répondu présent chaque fois qu’il a fallu faire prévaloir le droit <br />
légitime des auteurs et de ceux qui contribuent à leur expression, sur l’illusion et <br />
même sur le mensonge de la gratuité. <br />
Musique, cinéma, édition, presse, arts graphiques et visuels… tout est aujourd’hui <br />
disponible et accessible partout, sur la toile de l’internet, chez soi, au bureau, en <br />
voyage. C’est bien sûr une richesse, une chance pour la diffusion de la culture. Pour <br />
autant, jamais nous n’avons été aussi proches d’un « trou noir », capable d’engloutir et <br />
d’assécher cette richesse et ce foisonnement créatif. <br />
Le clonage et la dissémination de fichiers à l’infini ont entraîné depuis cinq ans la <br />
ruine progressive de l’économie musicale, en déconnectant les œuvres de leur coût de <br />
fabrication, et en donnant cette impression fausse que tout se vaut, que tout est <br />
gratuit. <br />
<br />
Avec le développement du très haut débit, le cinéma risque de subir le même sort que <br />
la musique : d’ores et déjà, près de la moitié des films sortis en salles en France sont <br />
58
<br />
<br />
disponibles en <strong>version</strong> pirate sur les réseaux « peer to peer », et le marché de la vidéo a <br />
commencé à décroître avant même d’atteindre sa maturité. Le livre pourrait à son <br />
tour être brutalement menacé avec l’arrivée du livre électronique. <br />
C’est à une véritable destruction de la culture que nous risquons d’assister. C’est <br />
également à une négation du travail, cette valeur capitale qui au cœur des problèmes <br />
de la France d’aujourd’hui et au cœur des solutions. <br />
Aujourd’hui, un accord est signé, et je veux saluer ce moment décisif pour l’avènement <br />
d’un internet civilisé. Internet, c’est une « nouvelle frontière », un territoire à <br />
conquérir. Mais Internet ne doit pas être un « Far Ouest » hightech, une zone de non <br />
droit où des « horslaloi » peuvent piller sans réserve les créations, voire pire, en faire <br />
commerce sur le dos des artistes. D’un côté, des réseaux flambant neuf, des <br />
équipements ultraperfectionnés, et de l’autre des comportements moyenâgeux, où, <br />
sous prétexte que c’est du numérique, chacun pourrait librement pratiquer le vol à <br />
l’étalage. <br />
On dit parfois que quand personne ne respecte la loi, c’est qu’il faut changer la loi. <br />
Sauf que si tout le monde tue son prochain, on ne va pas pour autant légaliser <br />
l’assassinat. <br />
Si tout le monde vole la musique et le cinéma, on ne va pas légaliser le vol. Et en même <br />
temps, nous savons tous qu’on ne va pas non plus mettre tous les jeunes en prison. <br />
Il nous f<strong>alla</strong>it chercher des moyens intelligents et astucieux pour en appeler à la <br />
conscience du citoyen, lui donner la possibilité de rentrer dans le droit chemin. Il <br />
f<strong>alla</strong>it aussi essayer de comprendre pourquoi le citoyen ordinaire, habituellement <br />
respectueux de la loi, préférait s’approvisionner dans des entrepôts clandestins plutôt <br />
que de faire ses achats dans un supermarché en ligne : n’étaitce pas aussi un <br />
problème d’attractivité de l’offre légale ? <br />
Il y a deux mois et demi, Madame la Ministre, vous avez demandé à Denis Olivennes de <br />
conduire une mission permettant de déboucher rapidement sur des solutions <br />
opérationnelles visant à lutter fermement contre le piratage tout en tenant compte <br />
des potentialités d’Internet et de la demande des consommateurs. <br />
Vous y êtes parvenus. Je veux vous en féliciter, vous, chère Christine, vous Denis, qui <br />
avez été l’artisan de cet accord, et vous tous qui êtes là aujourd’hui, acteurs du <br />
cinéma, de la musique, de l’audiovisuel, de l’Internet. Sans votre engagement, rien <br />
n’aurait été possible. <br />
Le contenu de cet accord est solide et équilibré. Il comporte des stipulations nouvelles <br />
et fortes. <br />
D’un côté, il prévoit l’envoi de mails d’avertissements aux internautes qui font un <br />
mauvais usage de leur abonnement, des avertissements gradués en cas de récidive, <br />
voire la possibilité de suspendre temporairement l’accès à internet. Pour arriver à <br />
mettre en place cette solution de bon sens, cette pédagogie, il vous a fallu, je le sais, <br />
soulever des montagnes, tellement les inerties sont grandes dans notre pays dès qu’il <br />
s’agit d’être innovant et de proposer une solution qui ne tombe pas tout droit dans le <br />
pli des habitudes de la pensée. <br />
Cette démarche pédagogique sera bien sûr réservée aux pirates de « bonne foi », pour <br />
reprendre une expression propre à la politique fiscale. Les « pirates professionnels », <br />
ceux qui font sciemment du trafic et du commerce illicite de DVD et de fichiers <br />
contrefaits, resteront soumis au droit commun de la contrefaçon, et traités au sein de <br />
juridictions spécialisées. <br />
De plus, les fournisseurs d’accès s’engagent, et c’est important, à mettre en œuvre des <br />
dispositifs de filtrage, tels que ceux développés par l’Institut national de l’audiovisuel. <br />
Le filtrage consiste à retirer automatiquement les fichiers « pirates » des réseaux ou <br />
des plateformes d’hébergement au fur et à mesure de leur apparition. <br />
D’un autre côté, cet effort des fournisseurs d’accès s’accompagnera d’un effort tout <br />
aussi important des ayants droit. Les professionnels de la musique, du cinéma et de <br />
l’audiovisuel s’engagent à mettre plus complètement et plus rapidement leurs œuvres <br />
59
<br />
<br />
en ligne, et à supprimer tous les verrous techniques qui empêchent de copier et de <br />
transporter la musique. <br />
Ce sont deux améliorations majeures qui profiteront pleinement aux consommateurs. <br />
Fini, les musiques achetées sur une plateforme A et qu’on n’arrive pas à lire sur un <br />
lecteur B ou sur son téléphone portable, alors qu’on pouvait le faire sans problème <br />
pour un fichier piraté. <br />
Fini, les sept mois et demi d’attente entre le film qui sort en salle et son apparition en <br />
vidéo à la demande. Avec cet accord, six mois sépareront le film sur grand écran et son <br />
passage en vidéo sur petit écran… C’est encore beaucoup, quand on sait qu’un film <br />
reste en moyenne trois semaines sur un écran de cinéma, avant de laisser la place au <br />
suivant ! Mais c’est déjà mieux. Et des discussions professionnelles s’engageront sous <br />
l’égide du Centre national de la cinématographie dans les meilleurs délais, pour <br />
adapter l’ensemble de la chronologie des médias aux enjeux du numérique, comme le <br />
recommande le rapport de Denis Olivennes. <br />
Je sais que les exploitants de cinéma sont attentifs et soucieux de ces discussions. Aussi, <br />
je souhaite être clair. Le cinéma, je ne dirai jamais autre chose, c’est avant tout une <br />
rencontre dans une salle obscure, sur un grand écran, entre un public et une œuvre. <br />
C’est dans la salle que nous avons éprouvé nos plus grandes émotions de cinéma. Et les <br />
exploitants ne ménagent pas leurs efforts pour atteindre la perfection : après le son <br />
multicanal, la projection numérique va envahir les salles dès l’année prochaine, sans <br />
même parler du cinéma en relief, qui sera la prochaine révolution. Le cinéma en salle, <br />
c’est donc le passé, le présent, mais c’est aussi l’avenir. <br />
Dans le même temps, la carrière des films en salle s’est fortement raccourcie, le « <br />
home cinéma » est devenu une réalité, et il faut tenir compte des nouvelles habitudes <br />
de consommation. Ce serait absurde que le spectateur français soit obligé de regarder <br />
des films américains, simplement parce que les films français seraient bloqués par des <br />
délais ou des exclusivités trop contraignantes ! Je sais pouvoir compter sur le bon sens <br />
pour que soient trouvées rapidement les clés d’une chronologie des médias adaptée au <br />
XXIè siècle. <br />
Chère Christine Albanel, Cher Denis Olivennes, grâce à votre ténacité, votre patience, <br />
grâce à la bonne collaboration établie avec Christine Lagarde et Rachida Dati, et <br />
grâce à vous tous ici présents, vous avez permis la conclusion d’un accord qui marque <br />
le début d’une « nouvelle alliance » entre professionnels des industries culturelles et <br />
professionnels des réseaux. <br />
Partout, aux EtatsUnis, au RoyaumeUni et ailleurs, les professionnels et les <br />
gouvernements essaient depuis des années, non sans mal, de trouver le « graal » <br />
permettant de résoudre le problème de la piraterie. Nous sommes les premiers, en <br />
France, à réussir aujourd’hui à constituer une grande alliance nationale autour de <br />
propositions précises et opérationnelles. <br />
Grâce à vous et à cet accord, la France va retrouver une position de pays « leader » <br />
dans la campagne de « civilisation » des nouveaux réseaux. La musique, le cinéma, <br />
mais aussi la presse et l’édition, vont pouvoir être mieux protégés. <br />
La mise en œuvre de cet accord, épuisetelle le sujet de la création et de l’avenir de <br />
nos industries culturelles ? Non, bien sûr. <br />
Nous devons veiller à réformer un système de régulation et de financement de <br />
l’audiovisuel dont les fondements reposent sur l’univers de la télévision hertzienne, et <br />
mieux prendre en compte les nouveaux réseaux. La nouvelle directive européenne sur <br />
les médias audiovisuels, qui vient d’être adoptée à Bruxelles, nous en offre le cadre et <br />
la possibilité. Il faut y travailler avec pragmatisme, de manière globale, en se donnant <br />
le temps de la réflexion. La transposition de notre régulation audiovisuelle est une <br />
entreprise progressive, tout comme l’obtention du taux de TVA réduit sur l’ensemble <br />
des biens culturels. <br />
Il y a également des mesures d’urgence à prendre, pour permettre à l’industrie <br />
musicale de survivre et lui donner le temps de s’adapter au nouveau modèle qui se <br />
60
<br />
Presidente francese Sarcozy ed il memorandum commissionato <br />
dal Governo a Monsieur Olivennes 30. <br />
Come si fa a prendere sul serio un politico che ‐ prendendo <br />
in prestito parole sino a ieri utilizzate dai rappresentanti <br />
dell'industria audiovisiva come puntualmente ricorda Punto <br />
informatico ‐ ha detto "Corriamo il rischio di essere testimoni della <br />
distruzione della cultura. Internet non deve diventare un Far West <br />
di alta tecnologia, una zona senza normative dove i fuorilegge <br />
possano sottrarre le opere dell'ingegno senza farsi problemi o, <br />
peggio ancora, venderle nella più assoluta impunità. E sulle spalle <br />
di chi? Sulle spalle degli artisti"? <br />
<br />
dessine. Un crédit d’impôt applicable aux productions phonographiques a été voté l’an <br />
dernier, mais sa mise en œuvre est limitée par des critères trop contraignants. Je <br />
souhaite donc que le régime de ce crédit d’impôt soit amélioré, et notifié à la <br />
Commission européenne dans les plus brefs délais pour pouvoir être applicable aux <br />
investissements consentis en 2007. De même, je souhaite que s’accélèrent les <br />
discussions engagées entre l’institut de financement du cinéma et des industries <br />
culturelles (IFCIC), et la Caisse des Dépôts et Consignations, pour permettre, dès le <br />
début de l’année prochaine, de tripler le volume du fonds d’avances remboursables <br />
consenties aux entreprises musicales. <br />
De la même façon, je souhaite que le crédit d’impôt en faveur du jeu vidéo en cours <br />
d’examen à Bruxelles depuis près d’un an, puisse entrer rapidement en vigueur, pour <br />
freiner la fuite de nos talents et de nos entreprises à l’étranger et faire en sorte que la <br />
France – et donc l’Europe – retrouve sa compétitivité face aux studios nordaméricains et asiatiques. Le jeu vidéo peut devenir un art du XXIè siècle s’il parvient à <br />
échapper aux dérives qui menacent un certain cinéma international, prompt à séduire <br />
et à divertir, appelant aux pulsions les plus primitives, mais impuissant à épanouir et <br />
fournir du sens. Avec leurs bataillons de scénaristes, graphistes et autres <br />
compositeurs, les entreprises du jeu vidéo constituent déjà une économie prospère. Il <br />
serait inexplicable de ne pas l’encourager. <br />
Enfin, je suis attentif au souhait exprimé en faveur d’une révision du crédit d’impôt <br />
aux productions cinématographiques, pour l’étendre aux sociétés étrangères <br />
désireuses de réaliser d’importantes productions en France. Cette mesure doit être <br />
expertisée, sachant que la priorité est la préservation et la consolidation du régime <br />
des SOFICA. <br />
Mesdames et Messieurs, <br />
En signant cet accord historique, vous avez, vous les acteurs de la culture, et vous les <br />
opérateurs de l’internet, pris une responsabilité, et même un risque. Mais vous saviez <br />
que le risque le plus grand était de ne rien faire. C’était le risque de se laisser mourir. <br />
Les uns parce qu’ils ne pourraient plus rien produire. Les autres, parce qu’ils <br />
n’auraient plus rien à diffuser. <br />
L’art est la chose fragile la plus fragile et la plus nécessaire. Nous avons réussi, grâce à <br />
la persévérance de nos aînés, à faire en sorte que nos villes, nos campagnes, abritent <br />
des monuments, des théâtres, des salles de concert, des écoles et des conservatoires. Il <br />
n’y a pas de raison qu’il en soit différemment sur les nouveaux réseaux. Il faut <br />
qu’Internet soit une fenêtre civilisée ouverte sur toutes les cultures du monde. Je suis <br />
heureux que votre accord soit une étape décisive en ce sens. <br />
30 Il testo del rapporto è disponibile in .pdf a questa URL: <br />
http://www.elysee.fr/download/?mode=press&filename=rapport‐<br />
missionOlivennes‐23novembre2007.pdf <br />
61
<br />
<br />
Come si fa a prendere sul serio uno Studio (per usare un <br />
eufemismo) sul futuro dell'audiovisivo e sui rimedi per garantirne <br />
lunga vita commissionato al rappresentante dell'industria <br />
audiovisiva d'oltralpe? <br />
Chi vuole solo ridere può fermarsi qui ma il punto <br />
fondamentale è un altro. <br />
La ricetta Olivennes sta facendo il giro del mondo e sta <br />
legittimando l'industria audiovisiva a chiedere a gran voce <br />
analoghi interventi in tutti i Paesi. <br />
La filosofia <strong>alla</strong> base dell'iniziativa francese non è tuttavia <br />
condivisibile ed è claudicante ed infondata da un punto di vista <br />
giuridico perché muove dall'assunto secondo il quale la <br />
repressione del fenomeno della pirateria audiovisiva <br />
legittimerebbe il travalicamento di ogni diritto e libertà degli <br />
utenti. <br />
Non è così. <br />
Il diritto d'autore riveste una posizione di assoluta <br />
centralità nella società dell'informazione o nell'era dell'accesso per <br />
dirla con Jeremy Rifkin ma è pur sempre un diritto patrimoniale <br />
(almeno nella componente cara all'industria audiovisiva) che deve <br />
cedere il passo ‐ e non può travolgere ‐ diritti e libertà <br />
fondamentali della popolazione globale quale quello <strong>alla</strong> privacy e <br />
quella <strong>alla</strong> libertà di manifestazione del pensiero. <br />
Le tecnologie di filtraggio e monitoraggio degli utenti che <br />
nel memorandum si propone di far adottare da ISP e industria <br />
audiovisiva, invece, vanno proprio in questa direzione. <br />
La speranza, a questo punto, è che la <strong>Rete</strong> faccia quadrato <br />
attorno a se stessa e che la cultura giuridica del vecchio continente <br />
sia sufficientemente radicata da respingere questo attacco ai più <br />
elementari principi di civiltà prima ancora che di diritto. <br />
<br />
La privatizzazione dell’IP enforcement <br />
26 settembre 2008 <br />
Punto Informatico <br />
In poche ore la notizia dell’annullamento del <br />
provvedimento con il quale nell’agosto scorso la Procura della <br />
Repubblica di Bergamo aveva “vietato l’approdo” sulla baia dei <br />
pirati (thepiratebay.org) si è diffusa in <strong>Rete</strong> dando vita a reazioni <br />
entusiastiche di intensità pari a quelle di sdegno e delusione che <br />
avevano salutato la notizia del sequestro. <br />
Non si conoscono ancora le motivazioni sulla base delle <br />
quali i Giudici del Tribunale di Bergamo sono pervenuti <strong>alla</strong> <br />
decisione di questa mattina ed è, naturalmente possibile che tali <br />
62
motivazioni concernino la procedura piuttosto che il merito della <br />
questione. <br />
L’occasione, tuttavia, mi sembra opportuna per svolgere <br />
qualche considerazione su quanto sta accadendo sul terreno <br />
dell’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale. <br />
C’è, infatti, una sottile linea rossa che unisce il caso <br />
Thepiratebay, la vicenda Peppermint, la questione legata al venir <br />
meno dell’obbligo di apposizione del contrassegno SIAE della <br />
quale ci si è occupati nei giorni scorsi su queste pagine e la <br />
soluzione francese Olivennes – Sarkozy per la lotta <strong>alla</strong> pirateria <br />
audiovisiva on‐line. <br />
Il denominatore comune è, in tutti questi casi, <br />
rappresentato da un eccesso di privatizzazione dell’enforcement <br />
dei diritti di proprietà intellettuale. <br />
Nel caso Thepiratebay – ancorché gli esatti termini della <br />
vicenda non siano stati ancora accertati giudizialmente – è, ormai, <br />
pacifico che nel corso dell’esecuzione del sequestro sia stato <br />
ordinato – magari semplicemente per errore – agli Internet Service <br />
Provider italiani di reindirizzare il traffico degli utenti diretti <strong>alla</strong> <br />
baia dei pirati verso un’altra baia battente bandiera delle major. <br />
Al riguardo mi sembra ci sia poco da aggiungere a quanto <br />
spiegato in termini assai chiari da Matteo G. Flora in questo video 31. <br />
Nella vicenda Peppermint, egualmente, l’etichetta <br />
discografica tedesca aveva ben pensato di affidare l’attività <br />
investigativa propedeutica <strong>alla</strong> richiesta risarcitoria poi rivolta a <br />
migliaia di utenti di mezz’Europa ad una società investigativa <br />
privata svizzera, la Logistep AG salvo poi, ricorrere, all’Autorità <br />
giudiziaria per ottenere il “ricongiungimento” degli IP tracciati con <br />
i nominativi dei presunti pirati. <br />
In Francia Sarkozy ed Oliviennes si propongono di <br />
assicurare adeguata tutela ai titolari dei diritti di proprietà <br />
intellettuale imponendo agli Internet Service Provider – dei <br />
soggetti di diritto privato – di risolvere ex lege i contratti di <br />
connessione ad Internet di quegli utenti che – senza neppure <br />
bisogno di un processo dinanzi ad un’Autorità giurisdizionale – <br />
venissero colti con le mani nel barattolo della marmellata ops…con <br />
il mouse su un link che consenta il download di materiale protetto. <br />
Nel più recente affaire contrassegno SIAE, la società <br />
italiana di intermediazione dei diritti d’autore, difende, in proprio <br />
– e contro il volere e gli interessi delle stesse etichette <br />
<br />
<br />
31 Il riferimento è ad un video attraverso il quale Matteo G. Flora spiega come sia <br />
stato realizzato il redirect del quale si parla nel post. Il video è reperibile a questa <br />
URL: (http://it.youtube.com/watch?v=Yw3GswvJCXo). <br />
<br />
63
<br />
discografiche – una norma, pressoché unica in Europa, per effetto <br />
della quale, di fatto, è essa stessa a valutare preliminarmente la <br />
legittimità o illegittimità dell’utilizzo di una determinata opera <br />
dell’ingegno, pretendendo poi – ancora oggi – di rilasciare il <br />
contrassegno quasi si trattasse di un “visto si stampi”. <br />
Non è una mia conclusione ma il contenuto letterale dei <br />
commenti che la Commissione Europea ha trasmesso al Governo <br />
Italiano in relazione <strong>alla</strong> nuova proposta di regolamento relativo <br />
alle modalità di apposizione del contrassegno che il nostro Paese si <br />
è visto costretto a notificare a Bruxelles a seguito della Sentenza <br />
Schubert che ha accertato l’illegittimità della previgente normativa <br />
in materia. <br />
Si tratta di vicende assai diverse ma accomunate da un <br />
preoccupante comun denominatore: un’evidente privatizzazione <br />
della giustizia che, inesorabilmente, produce – almeno a livello di <br />
rischio – forme di grave violazione di diritti di rango pari‐oridinato <br />
rispetto a quelli di proprietà intellettuale: la privacy degli utenti <br />
nel caso PirateBay e Peppermint, la libertà di manifestazione del <br />
pensiero nella sua più moderna accezione di accesso <strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> nel <br />
caso della nuova disciplina francese sull’enforcement dei diritti <br />
d’autore e la libertà d’impresa nel caso del contrassegno SIAE. <br />
La questione non concerne, ovviamente, la commistione di <br />
interessi pubblici e privati sul tema della proprietà intellettuale; <br />
tale commistione è naturale e discende d<strong>alla</strong> natura stessa dei <br />
diritti d’autore. <br />
Il problema che sta emergendo con forza è, invece, un altro <br />
e concerne, piuttosto, la crescente privatizzazione dell’enforcement <br />
dei diritti di proprietà intellettuale nella fase investigativa, in <br />
quella dell’accertamento della violazione nonché in quella <br />
dell’eventuale irrogazione della sanzione. <br />
Negli ultimi mesi, sotto tale profilo, stiamo assistendo ad <br />
un processo di privatizzazione di attività che dovrebbero essere <br />
appannaggio esclusivo dell’autorità giudiziaria che non ha eguali in <br />
nessun altro settore dell’Ordinamento. <br />
In caso di furto di beni materiali il proprietario della cosa <br />
rubata non può farsi le indagini da solo o prestare strumenti di <br />
indagine <strong>alla</strong> polizia giudiziaria, nella circolazione dei beni <br />
materiali non c’è nessuna autorità – e tantomeno un’autorità non <br />
giurisdizionale ed espressione di interessi di parte – che “certifica” <br />
mediante l’apposizione di un’etichetta la liceità della provenienza <br />
del bene e, infine, in nessun caso di reato commesso con il mezzo <br />
della stampa si ordina allo stampatore di risolvere ex lege i <br />
contratti con l’editore precludendo, così, a quest’ultimo di arrivare <br />
con i suoi prodotti nelle edicole. <br />
64
<br />
Si tratta di un’anomalia grave le cui conseguenze sono <br />
sotto gli occhi di tutti. <br />
Sarebbe, tuttavia, troppo facile imputare le responsabilità <br />
esclusive di questo processo di privatizzazione‐degenerazione <br />
della giustizia all’industria discografica, <strong>alla</strong> SIAE o alle lobby che, <br />
in Francia, hanno dettato la loro legge all’Esecutivo. <br />
La questione è, infatti, più complessa: i portatori di diritti <br />
ed interessi sul mercato della proprietà intellettuale stanno <br />
riempiendo vuoti normativi relativi <strong>alla</strong> disciplina della <br />
circolazione dei contenuti digitali creati d<strong>alla</strong> pressoché totale <br />
assenza di una seria politica legislativa dell’innovazione e <br />
saturando spazi nell’attività di enforcement dei diritti di proprietà <br />
intellettuale che dovrebbero risultare già coperti dalle competenti <br />
Autorità cui andrebbero messi a disposizione mezzi e risorse <br />
proprie anziché costringerle ad elemosinare esperti, strumenti <br />
informatici e server da questo o quel soggetto privato. <br />
La lezione che da vicende come quella di The Piratebay – <br />
ma anche dalle altre sopra ricordate – credo vada tratta è che <br />
ferma restando la possibilità dei titolari dei diritti di agire sul <br />
piano civilistico per il risarcimento dei danni eventualmente <br />
sofferti, l’accertamento degli illeciti di carattere pubblicistico deve <br />
rimanere appannaggio esclusivo delle forze di polizia e <br />
dell’Autorità giudiziaria. <br />
<br />
Dal vostro inviato nella preistoria della proprietà <br />
intellettuale! <br />
26 giugno 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=317 <br />
<br />
Roma, Tempio di Adriano, 26 giugno 2008, ore 15.15, c’è il <br />
pubblico delle grandi occasioni ad ascoltare le parole di Denis <br />
Olivennes, Presidente della Fnac, direttore del Nouvel Observateur <br />
e, soprattutto, Presidente della Commissione francese per lo <br />
sviluppo e la protezione delle opere culturali nella rete. <br />
E’ lui che nel novembre dello scorso anno ha fatto da <br />
“notaio” – direi un po’ di parte – nella ratifica dello storico accordo <br />
tra l’industria francese dei contenuti, gli Internet Service provider <br />
e le istituzioni Francesi e che è poi stato l’ispiratore del disegno di <br />
legge che il ministro della Cultura Francese ha presentato nei <br />
giorni scorsi al Consiglio dei Ministri 32. <br />
<br />
32 Il testo integrale dell’accordo è disponibile a questa URL: <br />
http://lesrapports.ladocumentationfrancaise.fr/cgi‐<br />
bin/brp/telestats.cgi?brp_ref=074000726&brp_file=0000.pdf <br />
65
<br />
Si tratta, come ho già scritto – ma questo né Olivennes né <br />
nessun altro degli illustri relatori nel salotto del tempio di Adriano <br />
ieri lo ha detto – di un'iniziativa legislativa che ha formato oggetto <br />
di pesanti critiche da parte delle istituzioni europee e di non meno <br />
pesanti rilievi da parte del Consiglio di Stato francese. <br />
Tutto questo, tuttavia, non conta. <br />
Olivennes si dice convinto che il disegno di Legge in <br />
Francia sarà approvato entro dicembre ed invita l’Italia a seguire <br />
l’esempio dei cugini d’oltralpe. <br />
Dal salotto, il Presidente Assumma si complimenta ed <br />
annuisce e l’On. Carlucci – presente in qualità di membro della <br />
Commissione Cultura della Camera nonché (lo dice il Presidente <br />
Assumma) di “bella donna, madre di famiglia e soprattutto <br />
protettrice del diritto d’autore” – si spertica in parole di <br />
ammirazione verso l’opera di Olivennes salvo poi chiedere al <br />
patron della FNAC chiarimenti circa quanto accaduto in Francia <br />
(ma come avete fatto? C’è stato un accordo?), manifestando così <br />
una conoscenza quantomeno approssimativa dell’argomento di cui <br />
si discute. <br />
Qualche minuto dopo, tuttavia, l’On. Carlucci si riprende e, <br />
dando prova di grande decisionismo, dà forma e concretezza, in <br />
poche battute, al peggior incubo di tutti gli utenti italiani della <strong>Rete</strong> <br />
e di quanti sono convinti che Internet più che una minaccia per il <br />
patrimonio culturale, costituisca una grande opportunità.Ecco uno <br />
stralcio del suo intervento (parola più o parola meno perché ero <br />
troppo esterrefatto da quello che sentivo per prendere nota <br />
puntualmente): L’italia seguirà l’esempio francese tanto più che <br />
stiamo entrando nel semestre francese di presidenza dell’Unione <br />
Europea. <br />
Ho già chiesto al Presidente della commissione Cultura di <br />
promuovere un’indagine conoscitiva sulla pirateria in modo tale <br />
da poter poi procedere in tempi brevissimi, senza neppure <br />
sottoporre la questione alle due camere, all’approvazione di un <br />
disegno di legge sul modello di quello Sarkozy‐Olivennes. <br />
Certo bisognerà convincere le (cattivissime) telecoms a <br />
siglare un accordo analogo a quello firmato in Francia ma …si può <br />
fare. <br />
E’ questa la sintesi di un dibattito, per il resto, noioso, <br />
piatto, privo di stimoli: l’Italia vuole seguire l’esempio francese o <br />
meglio, i titolari dei diritti d’autore e, ancor di più, le società di <br />
intermediazione dei diritti vogliono seguire l’esempio francese ed <br />
il legislatore sembra pronto – come è sempre sin qui accaduto – ad <br />
appoggiarli in questa ennesima guerra santa contro i mulini a <br />
vento. <br />
66
La domanda nel titolo del convegno – creatività e cultura <br />
nel web: opportunità o minaccia? – suona retorica. Sulle poltrone <br />
bianche sono tutti convinti che il web costituisca solo una <br />
minaccia.Possibile. Ma viene da chiedersi: una minaccia per chi?. <br />
Per i fruitori di cultura o, piuttosto per le sole società di <br />
intermediazione dei diritti e per qualche produttore e distributore <br />
di contenuti meno lungimirante degli altri e meno pronto ad <br />
abbandonare i vecchi modelli di business e ad impiegare la <strong>Rete</strong> <br />
per distribuire le proprie opere in un mercato milioni di volte più <br />
grande di quello di un tempo? <br />
Antonello Busetto – responsabile degli affari istituzionali <br />
di Confindustria servizi innovativi e telematici – prova a rompere <br />
la cortina di affermazioni apodittiche e preconcette, ricordando <br />
che secondo dati del Censis l’utilizzo principale che gli italiani <br />
fanno di internet non è il download di opere protette ma l’On. <br />
Carlucci – nella sua qualità, questa volta, di mamma – lo corregge, <br />
o meglio, corregge il Censis:‐“Quelli sono i dati ufficiali! <br />
Sappiamo tutti che non sono attendibili. Io da mamma <br />
posso dire che vedo che mio figlio ed i suoi amici tendono ad <br />
utilizzare la <strong>Rete</strong> quasi esclusivamente per scaricare materiale <br />
protetto!”. <br />
Scriverei per ore di quello che ho sentito ieri: un <br />
linguaggio arcaico, concetti ed idee vecchie di dieci anni <br />
contrabbandate come soluzioni innovative e, soprattutto, assiomi e <br />
teoremi fondati esclusivamente su preconcetti ma…preferisco <br />
guardare avanti. <br />
Il momento è grave. <br />
Occorre organizzarsi, preparare una reazione equilibrata, <br />
ferma, decisa che senza rubare alcunché ai titolari dei diritti, tuteli, <br />
ad un tempo, l’accesso al patrimonio culturale globale cui ciascuno <br />
di noi ha diritto e, soprattutto, gli altri diritti fondamentali <br />
dell’uomo e del cittadino che la soluzione francese, ignora, <br />
travolge, dimentica…Sentiamoci, parliamone, in modo aperto, <br />
moderno, condiviso…la <strong>Rete</strong> non sarà il tempio di Adriano <br />
ma…anche qui è possibile confrontarsi e, forse, contribuire <strong>alla</strong> <br />
realizzazione di un futuro migliore rispetto a quello che i vecchi <br />
numi tutelari dell’industria audiovisiva vorrebbe consegnarci e <br />
consegnare alle generazioni che verranno… <br />
<br />
Diritto d'autore: serve una soluzione ma non quella francese <br />
23 giugno 2008 <br />
Punto Informatico <br />
<br />
<br />
<br />
67
<br />
La proprietà intellettuale è la protagonista indiscussa della <br />
società dell'informazione e non è possibile immaginare lo sviluppo <br />
culturale della comunità globale in assenza di un quadro di regole <br />
certo, chiaro ed univoco che tuteli adeguatamente i titolari dei <br />
diritti incentivandoli a continuare a creare nuove opere e che, ad <br />
un tempo, garantisca agli utenti legittimi di tali opere il diritto <strong>alla</strong> <br />
loro fruizione libera da ogni vincolo, legaccio, condizionamento o <br />
altro tipo di limite tecnico o giuridico. <br />
L'impianto della legge sul diritto d'autore ed i principi <br />
fondamentali sui quali essa è basata restano, a mio avviso, attuali e <br />
vanno rispettati e salvaguardati anche nell'Era dell'accesso: <br />
l'autore ha diritto a veder remunerato il suo sforzo creativo a <br />
fronte della messa a disposizione della collettività della propria <br />
opera. <br />
È, tuttavia, innegabile che le nuove tecnologie digitali e <br />
telematiche abbiano inciso ‐ e continuino ad incidere ‐ in maniera <br />
forte sulle dinamiche della produzione, distribuzione e fruizione <br />
dei contenuti digitali, imponendo un ripensamento radicale di <br />
metodi di business, abitudini di consumo e di talune disposizioni <br />
contenute nella vigente disciplina della materia. <br />
Le libere utilizzazioni, le modalità tecniche e negoziali di <br />
accesso ai contenuti digitali, i limiti al ricorso a misure tecniche di <br />
protezione da parte dei titolari dei diritti, l'enforcement dei diritti <br />
di proprietà intellettuale sono solo alcune delle materie in <br />
relazione alle quali la vigente disciplina ha manifestato segnali <br />
forti di inadeguatezza ed inidoneità. <br />
Il tema è complesso ed il contesto economico e tecnologico <br />
di riferimento è in continua evoluzione con la conseguenza che, <br />
probabilmente, nessuno, allo stato, dispone di "ricette magiche" in <br />
grado di risolvere i problemi sul tavolo: un'industria audiovisiva <br />
che denuncia ogni anno gravissime perdite ‐ vere, presunte o <br />
esagerate che siano ‐ a causa della pirateria e consumatori e <br />
fruitori di contenuti digitali costretti a subire ‐ consapevolmente <br />
ed inconsapevolmente ‐ monitoraggi di massa, forti limitazioni al <br />
proprio diritto <strong>alla</strong> privacy ed <strong>alla</strong> propria libertà di informazione <br />
ed inammissibili processi sommari. <br />
È difficile, in tale contesto, delineare possibili soluzioni ma <br />
la strada da seguire non può e non deve essere quella tracciata dal <br />
Governo francese nel disegno di legge che il Ministro della Cultura <br />
e della comunicazione ha presentato il 18 giugno al Consiglio dei <br />
Ministri perché esso muove da un presupposto inaccettabile: <br />
quello secondo cui i diritti patrimoniali d'autore andrebbero <br />
collocati in una posizione sovraordinata rispetto ad altri diritti e <br />
libertà fondamentali dell'uomo e del cittadino quali la libertà <br />
all'informazione ‐ nella sua duplice accezione di diffondere e <br />
68
<br />
ricercare informazioni ‐ ed il diritto <strong>alla</strong> riservatezza ed <strong>alla</strong> <br />
privacy 33. <br />
Si tratta di aspetti che hanno già portato le Istituzioni <br />
Europee prima ed il Consiglio di Stato francese poi a pronunciarsi <br />
in termini fortemente critici verso il disegno di legge francese. <br />
Il Governo, tuttavia, è sin qui andato per la sua strada e <br />
sussiste, sfortunatamente, il rischio concreto che l'esempio <br />
francese venga presto seguito anche dagli esecutivi e dai legislatori <br />
di altri Paesi, come conferma l'interesse delle società italiane di <br />
intermediazione dei diritti (SIAE ed AIE) e della FIMI per il <br />
pensiero del Sig. Olivennes, patron della FNAC ed ispiratore ‐ <br />
attraverso lo sciagurato accordo del novembre scorso ‐ del disegno <br />
di legge. <br />
È per questo che appare opportuno iniziare a riflettere su <br />
cosa non va della soluzione francese. <br />
Cominciamo dal principio. <br />
(a) Nel disegno di legge si muove dal presupposto che la <br />
maggior tutela dei titolari dei diritti ed il giro di vite nei confronti <br />
degli utilizzatori sarebbero giustificati dall'impegno <br />
"solennemente" assunto dai primi ‐ nell'ambito dello sciagurato <br />
accordo "Olivennes" ‐ ad ampliare l'offerta legittima di contenuti <br />
audiovisivi online ed a limitare l'uso di misure tecniche di <br />
protezione non interoperabili. <br />
Si tratta di un approccio non condivisibile né nel metodo <br />
né nei contenuti. <br />
Quanto al metodo perché pone sullo stesso piano <br />
"l'impegno solenne" assunto dalle major dell'audiovisivo ed il <br />
rigidissimo quadro sanzionatorio delineato contro gli utenti che <br />
dovessero scaricare illegalmente, per due o tre volte, anche una <br />
sola opera dell'ingegno. <br />
Al riguardo sarebbe stato almeno necessario imporre ex <br />
lege ai titolari dei diritti l'adozione di modelli di business e <br />
diffusione dei contenuti digitali online idonei a garantire un <br />
effettivo ampliamento dell'offerta legale e disincentivare così, in <br />
modo naturale, i consumatori dal ricorso al "mercato pirata". <br />
Quanto al contenuto perché ci si è accontentati di chiedere <br />
alle major dell'audiovisivo di accorciare di un mese e mezzo <br />
l'intervallo di tempo tra l'arrivo di un film nelle sale e la sua uscita <br />
su internet (da sette mesi e mezzo a sei!) e di rinunciare ‐ in modo <br />
<br />
33 Il testo del Disegno di Legge è reperibile a questa URL: <br />
http://www.legifrance.gouv.fr/html/actualite/actualite_legislative/protection_inte<br />
rnet.html <br />
69
<br />
peraltro del tutto generico ‐ all'utilizzo di misure tecniche di <br />
protezione non interoperabili in relazione alle opere musicali. <br />
Come se in cambio della generica promessa degli inventori <br />
a non richiedere brevetti per ritrovati non originali si <br />
ipotizzassero pesantissime pene detentive per gli eventuali <br />
contraffattori... <br />
(b) Il disegno di legge istituisce l'Alta Autorità per la <br />
diffusione delle opere e la protezione dei diritti su internet ed <br />
attribuisce a tale soggetto poteri di controllo e sanzionatori in <br />
relazione agli illeciti aventi ad oggetto i diritti d'autore in <strong>Rete</strong>. <br />
L'Alta Autorità disporrà di propri ispettori e potrà irrogare <br />
sanzioni che, in taluni casi ‐ duplice violazione dei diritti d'autore <br />
nel medesimo anno ‐ potranno essere costituite d<strong>alla</strong> sospensione <br />
dell'abbonamento ad Internet e dall'inibitoria al perfezionamento <br />
di un nuovo contratto per un periodo compreso tra tre mesi ed un <br />
anno. <br />
Le perplessità, concernono, ancora una volta tanto il <br />
metodo che il contenuto. <br />
L'idea di riconoscere ad un'Autorità indipendente ‐ <br />
esclusivamente per le questioni della <strong>Rete</strong> ‐ poteri <br />
paragiurisdizionali tanto pregnanti ed incisivi e suscettibili di <br />
limitare l'esercizio di libertà e diritti fondamentali degli utenti non <br />
appare condivisibile. <br />
Lo stesso Consiglio di Stato francese, infatti, ha fortemente <br />
criticato tale impostazione. <br />
Internet è solo un media ed il regime giuridico delle "cose <br />
della <strong>Rete</strong>" deve, necessariamente, essere lo stesso applicabile alle <br />
"cose del mondo fisico". <br />
Quanto ai contenuti, non può ipotizzarsi a fronte di una <br />
violazione dei diritti patrimoniali d'autore la protratta privazione <br />
del diritto all'uso delle tecnologie telematiche, tecnologie <br />
attraverso le quali oggi ‐ ed ancor più domani ‐ si esercitano diritti <br />
civili, si interagisce con la pubblica amministrazione, si accede a <br />
servizi di pubblica utilità, si diffondono ed acquisiscono <br />
informazioni e si intrattengono relazioni professionali e personali. <br />
Si tratta, evidentemente, di sanzioni sproporzionate <br />
rispetto <strong>alla</strong> gravità dell'illecito e, soprattutto, di un'impostazione <br />
sintomatica di quel convincimento ‐ cui si è già fatto cenno ‐ che <br />
pone il diritto patrimoniale d'autore al di sopra di ogni altro <br />
diritto. <br />
(c) Sebbene nel pressoché totale silenzio del disegno di <br />
legge, l'esercizio da parte dell'Alta Autorità dei poteri attribuitile <br />
ha per presupposto un ampio e massivo monitoraggio da parte di <br />
quest'ultima delle comunicazioni elettroniche poste in essere tra i <br />
70
<br />
consumatori e gli utenti al fine di identificare quelli aventi <br />
asseritamente per oggetto contenuti protetti da diritto d'autore. <br />
Si tratta di uno scenario di orwelliana memoria il cui <br />
impatto sul diritto <strong>alla</strong> privacy non appare attutito in maniera <br />
soddisfacente per il solo fatto che tali attività sembrano destinate <br />
ad essere poste in essere da un'Autorità indipendente. <br />
Anche sotto tale angolo di visuale il disegno di legge si <br />
presenta fondato su quel già denunziato approccio secondo il <br />
quale, in nome dei diritti di proprietà intellettuale, sarebbe lecito <br />
travolgere, tra gli altri, il diritto <strong>alla</strong> privacy di utenti e <br />
consumatori. <br />
Posizione difficile da sostenere in un Paese come l'Italia <br />
che si avvia a limitare le intercettazioni telefoniche in relazione a <br />
reati assai più gravi del download di un brano di Madonna ed a <br />
limitare i termini per il data retention di dati assai meno <br />
significativi di quelli relativi ai contenuti scambiati in <strong>Rete</strong> da <br />
milioni di utenti. <br />
C'è molto altro che non va nel disegno di legge francese, <br />
ma l'auspicio è che quanto sin qui evidenziato sia da solo <br />
sufficiente a scongiurare il rischio che qualcuno si innamori della <br />
soluzione francese che non risolverà nessun problema e condurrà <br />
esclusivamente ad una sempre più rigida e profonda frattura e <br />
contrapposizione tra titolari dei diritti e fruitori di cultura digitale. <br />
È facile prevedere che i primi ricorreranno intensamente <br />
ai nuovi strumenti di enforcement con l'illusione di difendere ‐ <br />
proprio come Don Chichotte nella celebre battaglia contro i mulini <br />
al vento ‐ posizioni di rendita e modelli di business superati dai <br />
tempi mentre i secondi utilizzeranno, in misura crescente, le nuove <br />
tecnologie per sottrarsi al controllo globale ed accedere in forma <br />
anonima ai contenuti digitali. <br />
Non è la <strong>Rete</strong> che vorrei, ma è quella nella cui direzione <br />
soffia il vento francese. <br />
<br />
P2P francese, un esempio da non imitare <br />
7 novembre 2008 <br />
Punto Informatico <br />
<br />
A distanza di meno di un anno da quando il 23 novembre <br />
del 2007 Denis Olivennes presentava all’Eliseo la sua ricetta per <br />
combattere la pirateria audiovisiva il senato francese ha <br />
71
<br />
approvato, nei giorni scorsi, in prima lettura, il progetto di legge <br />
destinato a dare attuazione in Francia a tale ricetta 34. <br />
Si tratta di una soluzione che, come è noto ai lettori di <br />
Punto Informatico, qualcuno sembra intenzionato ad importare <br />
nel nostro Paese e che è, pertanto, importante esaminare al fine di <br />
evidenziarne, sin d’ora, taluni aspetti che sollevano grosse <br />
perplessità con l’auspicio che ciò valga a far desistere il Governo <br />
d<strong>alla</strong> tentazione di seguire l’esempio dei cugini francesi. <br />
Cominciamo d<strong>alla</strong> filosofia della norma: la violazione dei <br />
diritti di proprietà intellettuale può comportare la sospensione – <br />
da un mese ad un anno – del diritto dell’utente di accedere ad <br />
Internet. <br />
Si tratta di una misura irragionevole e sproporzionata. <br />
L’accesso alle risorse di connettività costituisce oggi un <br />
diritto fondamentale dell’uomo e del cittadino, diritto che andrà, <br />
peraltro, progressivamente arricchendosi di contenuto in maniera <br />
direttamente proporzionata al crescere delle forme di utilizzo di <br />
internet quale strumento di esercizio di diritti civili e politici e di <br />
interrelazione tra cittadino e pubblica amministrazione. <br />
Basti pensare <strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> quale mezzo di accesso <br />
all’informazione ed al patrimonio culturale in digitale ma, anche, <br />
all’uso delle tecnologie informatiche e telematiche nei rapporti tra <br />
PA e cittadino così come ridisegnati dal Codice <br />
dell’amministrazione digitale. <br />
Privare una persona dell’accesso alle risorse di <br />
connettività, pertanto, nel secolo della <strong>Rete</strong>, vuol dire privarla <br />
dell’esercizio di una pluralità di diritti se non sovra‐ordinati <br />
rispetto a quello di proprietà intellettuale che si vorrebbe <br />
proteggere, almeno, pari‐ordinati. <br />
Già sotto tale profilo, pertanto, la proposta di legge <br />
francese sembra da respingere. <br />
Si tratta, tuttavia, di aspetti già trattati. <br />
La lettura del disegno di legge, rivela, tuttavia, ulteriori ed <br />
ancor più preoccupanti aspetti. <br />
C’è, innanzitutto, un profilo poco approfondito e, <br />
probabilmente, sottovalutato nella comunicazione “giornalistica” <br />
che ha, sin qui, accompagnato le vicende relative all’iniziativa <br />
francese: il progetto di legge non sanziona il soggetto che si rende <br />
autore – o che tale viene ritenuto – della violazione dei diritti di <br />
proprietà intellettuale ma, piuttosto, il titolare dell’abbonamento <br />
<br />
34 Il testo integrale del disegno di legge è disponibile a questa URL: <br />
http://www.legifrance.gouv.fr/html/actualite/actualite_legislative/protection_inte<br />
rnet.html <br />
72
<br />
ad Internet attraverso il quale si assume esser stata perpetrata la <br />
violazione. <br />
La proposta di legge, infatti, impone <strong>alla</strong> “persona titolare <br />
dell’accesso a servizi di comunicazione al pubblico in linea” – sia <br />
essa, dunque, un genitore, un datore di lavoro o, piuttosto, un <br />
amico che ospita in casa un altro amico ‐ l’obbligo di vigilare che <br />
tale accesso non sia utilizzato al fine di riprodurre, comunicare o <br />
mettere a disposizione del pubblico opere protette da diritto <br />
d’autore senza l’autorizzazione del titolare dei diritti. <br />
Il titolare dell’abbonamento ad internet potrà sottrarsi <strong>alla</strong> <br />
responsabilità derivante dall’eventuale violazione dei diritti <br />
d’autore posta in essere attraverso le proprie risorse di <br />
connettività solo qualora questi abbia adottato uno dei sistemi di <br />
protezione destinato ad essere “omologato” d<strong>alla</strong> costituenda <br />
Autorità, qualora l’utilizzo di dette risorse sia stato posto in essere <br />
“fraudolentemente” da una persona non posta sotto l’autorità o la <br />
sorveglianza del titolare dell’abbonamento – non dunque nel caso <br />
in cui si tratti di un genitore o del datore di lavoro – o, infine, <br />
nell’ipotesi di forza maggiore. <br />
Si tratta di una disposizione dirompente per l’equilibrio <br />
del sistema che, al fine di tutelare i diritti di patrimoniali d’autore, <br />
compie una pericolosa translazione della responsabilità dal <br />
presunto pirata a chi – inconsapevolmente – fornisce a <br />
quest’ultimo le necessarie risorse di connettività. <br />
In un sistema nel quale la responsabilità penale è <br />
personale prima di introdurre nuove posizioni di garanzia dalle <br />
quali far derivare ipotesi eccezionali di responsabilità per culpa in <br />
vigilando credo bisognerebbe pensarci in modo più serio ed <br />
approfondito. <br />
Senza contare che, per tale via, anziché spingere gli utenti <br />
<strong>alla</strong> più ampia condivisione possibile delle risorse di connettività, <br />
li si obbliga a farne un uso geloso e, forse, a farne a meno pur di <br />
non rischiare di incorrere nelle sanzioni previste d<strong>alla</strong> nuova <br />
disciplina. <br />
Sotto tale profilo mi sembra che il disegno di legge si <br />
commenti da solo: è un’iniziativa liberticida che – in nome della <br />
sacrosanta tutela dei diritti di proprietà intellettuale – rischia di <br />
produrre conseguenze devastanti in termini di digital divide, <br />
frenando anziché incentivare l’utilizzo delle risorse internet. <br />
Il problema è sempre lo stesso: continua a guardarsi <br />
all’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale in una <br />
prospettiva “copyright centrica”, quasi che vi siano norme nei <br />
nostri ordinamenti che consentano di porre il diritto d’autore in <br />
una posizione superiore rispetto a quella di altri diritti <br />
fondamentali dell’uomo e del cittadino. <br />
73
<br />
Un altro aspetto sul quale occorre riflettere è <br />
rappresentato d<strong>alla</strong> circostanza che l’intero impianto della nuova <br />
normativa riposa, evidentemente, su una forte compressione del <br />
diritto <strong>alla</strong> privacy di tutti gli utenti che sono destinati a veder <br />
monitorata ogni attività di scambio di contenuti digitali attraverso <br />
le proprie risorse di connettività. <br />
E’, infatti, evidente che solo per questa via la nuova <br />
autorità potrà individuare – o ritenere di individuare – eventuali <br />
condotte di violazione dei diritti d’autore. <br />
Il disegno di legge approvato nei giorni scorsi dal Senato <br />
francese, d’altra parte –proprio al fine di rendere efficace il nuovo <br />
meccanismo di enforcement dei diritti di proprietà intellettuale – <br />
riconosce <strong>alla</strong> Commissione per la protezione dei diritti costituita <br />
in seno all’Autorità e – quel che è peggio – agli ispettori che essa <br />
utilizzerà nell’esercizio delle proprie funzioni, il diritto di accedere <br />
direttamente e/o tramite i provider ad un enorme quantità di dati <br />
personali degli utenti. <br />
Si tratta di una compressione del diritto <strong>alla</strong> privacy senza <br />
precedenti che non appare giustificata dal rilievo esclusivamente <br />
economico degli interessi che si vorrebbero tutelare e che, in ogni <br />
caso, non può prescindere – come invece previsto nel disegno di <br />
legge approvato dal Senato francese – da un ordine di un’Autorità <br />
giudiziaria. <br />
Al riguardo sembra appena il caso di ricordare <br />
l’illuminante decisione della Suprema Corte tedesca del febbraio <br />
scorso 35 nonché il parere – benché secretato dal Governo ‐ che la <br />
stessa CNIL sembrerebbe aver rilasciato sul disegno di legge 36. <br />
Anche sotto tale profilo la soluzione francese rappresenta <br />
un pessimo esempio da non imitare. <br />
Tra i tanti di cui si potrebbe ancora parlare, vi è, poi, un <br />
altro aspetto da non sottovalutare. <br />
I provvedimenti sanzionatori – anche secondo l’ultima <br />
<strong>version</strong>e del disegno di legge approvato dal Senato – sono adottati <br />
d<strong>alla</strong> Commissione per la protezione dei diritti sebbene <br />
nell’ambito di una non meglio disciplinata procedura in <br />
contraddittorio con la conseguenza che al destinatario della <br />
sanzione non resterà che impugnare la decisione dinanzi ad <br />
un’Autorità giudiziaria ancora neppure individuata nel disegno di <br />
legge. <br />
<br />
35 Il testo integrale della decisione è disponibile a questa URL: <br />
http://www.visionpost.it/epolis/germania‐no‐al‐cyber‐spionaggio‐di‐stato.htm <br />
36 Cfr. <br />
http://www.cnil.fr/index.php?id=2535&news[uid]=590&cHash=773e5066a4 <br />
74
<br />
Ve lo immaginate voi il Sig. Rossi il cui figlio in un anno ha <br />
scaricato per due volte due cartoni animati da una piattaforma di <br />
P2P che, ricevuta la notifica di un provvedimento di sospensione <br />
dell’abbonamento ad internet per qualche mese, avvia, nel nostro <br />
Paese ‐ dove un giudizio dura tre o quattro anni e costa migliaia di <br />
euro – una causa di impugnazione avverso il provvedimento <br />
adottato d<strong>alla</strong> Commissione senza, peraltro, disporre – a distanza <br />
di mesi dall’episodio contestato – neppure di elementi di prova a <br />
discolpa sua e/o del figlio? <br />
Io francamente no. Parola di un avvocato che – pur di non <br />
confrontarsi con i costi e le lungaggini di un banale procedimento <br />
di opposizione ad una sanzione amministrativa – preferisce pagare <br />
le contravvenzioni per violazioni del codice della strada anche <br />
quando qualche vigile miope sostiene di averlo visto al centro di <br />
roma su una macchina che non possiede mentre si trovava a <br />
Parigi! <br />
A parte facili battute la declinazione della soluzione <br />
Sarkozy‐Olivennes contenuta nel disegno di legge mi sembra, sotto <br />
tale profilo, ancora lontana dal potersi ritenere in linea con quanto <br />
di recente stabilito dal Parlamento Europeo. <br />
L’elenco delle cose che proprio non vanno nella nuova <br />
strategia della lotta <strong>alla</strong> pirateria on‐line che emerge dal disegno di <br />
legge approvato nei giorni scorsi dal Senato francese potrebbe <br />
proseguire ancora a lungo ma, allo stato, forse è meglio sperare <br />
che il Governo italiano guardi più lontano di quello francese e non <br />
commetta l’errore di “barattare” la tutela della proprietà <br />
intellettuale con i diritti fondamentali dei cittadini. <br />
Sperare, naturalmente, non basta: occorrerà formulare <br />
proposte concrete, mature ed equilibrate a conferma che questo <br />
non è un Paese di pirati che merita di essere posto sotto stretta <br />
sorveglianza e privato dell’esercizio delle più elementari libertà <br />
dell’Era digitale. <br />
<br />
Il mercato dei contenuti digitali <br />
febbraio 2008 <br />
Internet Magazine <br />
<br />
Nelle ultime settimane il dibattito sul mercato dei <br />
contenuti digitali in <strong>Rete</strong> e sulle possibili strade da intraprendere <br />
per arginare il fenomeno della pirateria ed individuare un punto di <br />
equilibrio tra i contrapposti interessi è divenuto incandescente e, a <br />
tratti, difficile da seguire persino per gli addetti ai lavori. <br />
Tutto è cominciato con l’annuncio del Presidente della <br />
Repubblica Francese Sarkozy dell’avvenuto raggiungimento di un <br />
accordo tra Major dell’audiovisivo, ISP e Autorità, per la lotta <strong>alla</strong> <br />
75
<br />
pirateria audiovisiva che, in Francia, ha raggiunto dimensioni <br />
giudicate <strong>alla</strong>rmanti. <br />
La base di tale accordo sarebbe costituita dal risultato dei <br />
lavori di una commissione nominata dal Ministro della Cultura e <br />
della comunicazione e presieduta da Denis Olivennes. <br />
Secondo quanto sostenuto nel rapporto prodotto d<strong>alla</strong> <br />
Commissione la pirateria audiovisiva andrebbe combattuta con <br />
strumenti diversi – alcuni dei quali, occorre riconoscerlo, <br />
largamente condivisibili – ma un ruolo chiave dovrebbe essere <br />
affidato ad un diffuso utilizzo di differenti tecnologie di filtraggio <br />
dei contenuti digitali in <strong>Rete</strong>. <br />
Questo aspetto – ed alcuni altri passaggi del documento <br />
conclusivo dei lavori della commissione – hanno sollevato un <br />
vespaio di polemiche sulla stampa e tra gli addetti ai lavori. <br />
A gettare il primo cerino sulla polveriera dell’accordo <br />
Sarkozy‐Olivennes ci ha pensato il celebre quotidiano francese, Le <br />
Monde che nei giorni immediatamente successivi all’annuncio ha <br />
dedicato la sua seconda pagina ad un pezzo fortemente critico <br />
verso metodo e contenuti dell’iniziativa del Presidente francese. <br />
Innanzitutto il quotidiano contesta la scelta di affidare la <br />
direzione dei lavori di una commissione volta ad individuare una <br />
soluzione ad un problema come quello del mercato dei contenuti <br />
digitali ad un rappresentante tanto in vista di uno solo dei <br />
protagonisti di detto mercato come Denie Olivennes, Presidente <br />
della FNAC, colosso francese dell’industria dell’intrattenimento. <br />
Sarebbe, scrive Le Monde come affidare una riforma del <br />
mercato della grande distribuzione a Monsieur Michel‐Edouard <br />
Leclerc, patron dell’omonima catena di centri commerciali. <br />
Difficile dargli torto e non condividere tale perplessità. <br />
Passando dal metodo ai contenuti, poi, il quotidiano <br />
francese – uno dei più autorevoli nel mondo della stampa – avanza <br />
dubbi e perplessità circa la compatibilità delle tecniche di <br />
filtraggio di cui la Commissione Olivennes ha proposto l’adozione <br />
con il vigente quadro normativo e, soprattutto, circa la loro <br />
efficacia in un universo quale quello della circolazione dei <br />
contenuti digitali in cui la tecnologia antipirateria è destinata ad <br />
essere perennemente inseguita e superata dal progresso <br />
tecnologico. <br />
Proprio l’aspetto dell’opportunità di ricorrere a tecniche di <br />
filtraggio dei contenuti digitali per arginare il fenomeno della <br />
pirateria audiovisiva in <strong>Rete</strong> ha infiammato gli animi e riacceso il <br />
dibattito anche nel nostro Paese attraverso l’Appello lanciato da <br />
Leonardo Chiariglione al Vice‐Presidente del Consiglio Francesco <br />
Rutelli affinché il Governo italiano non segua l’esempio francese. <br />
76
<br />
All’appello hanno immediatamente aderito personaggi di <br />
primo piano (escluso il sottoscritto!) del mondo dell’informazione, <br />
del diritto, della politica, dei consumatori e dell’industria, tra i <br />
quali il Prof. Stefano Rodotà, già Garante della privacy, l’On. <br />
Fiorello Cortina, del Comitato consultivo per la Governance di <br />
Internet, Marco Fiorentino, Presidente dell’Associazione Italiana <br />
Internet Provider, Michele Ficara Manganelli, Presidente di <br />
Assodigitale, Marco Pierani, Responsabile degli affari istituzionali <br />
di Altroconsumo, Giuseppe Corasaniti, Magistrato e già Presidente <br />
del Comitato consultivo per il diritto d'autore e, ancora, Roberto <br />
Liscia Presidente, Netcomm ‐ Il Consorzio del Commercio <br />
Elettronico Italiano, Layla Pavone, Presidente IAB, Interactive <br />
Advertising Bureau Italia e Stefano Quintarelli, Imprenditore e <br />
blogger, pioniere di Internet. <br />
Il contenuto dell’appello, aperto ora all’adesione del <br />
popolo della <strong>Rete</strong> attraverso le pagine di Punto Informatico è <br />
chiaro: le nuove tecnologie devono consentire l’accesso di un <br />
numero sempre maggiore di utenti al patrimonio culturale globale <br />
nell’ovvio rispetto del diritto d’autore ma, ad un tempo, degli altri <br />
diritti e libertà fondamentali di utenti e consumatori. <br />
Trasformare la <strong>Rete</strong> in uno spazio di controllo globale di <br />
orwelliana memoria al solo fine di garantire i diritti patrimoniali <br />
d’autore delle major dell’audiovisivo costituisce la strada sbagliata <br />
e, quindi, un esempio che il legislatore italiano non può e non deve <br />
imitare perché, per tale via, si rischia di travolgere i diritti <br />
fondamentali degli utenti – quello <strong>alla</strong> privacy ed <strong>alla</strong> libertà di <br />
informazione nella duplice accezione di libertà di informare ed <br />
essere informati prima di ogni altro – in nome del diritto d’autore. <br />
E’ un po’ quello che è accaduto – per ragioni, tuttavia, più <br />
facili se non da condividere almeno da accettare – allorquando, <br />
dopo l’11 settembre del 2001, gli USA hanno lanciato la lotta senza <br />
confini al terrorismo: la <strong>Rete</strong> è cambiata, i nostri costumi ed <br />
abitudini sono cambiati, abbiamo visto comprimersi d<strong>alla</strong> sera <strong>alla</strong> <br />
mattina il nostro diritto di parlare, muoverci, viaggiare…per non <br />
parlare nel nostro diritto <strong>alla</strong> privacy. <br />
Ci pensavo ieri, in aeroporto, rientrando a Roma da <br />
Palermo mentre ai varchi di sicurezza dello scalo siciliano mi <br />
imponevano di lasciare a terra, per ragioni di sicurezza, un chilo di <br />
straordinaria ricotta con la quale avrei voluto riempire una <br />
quindicina di cannoli per far felici amici e parenti… <br />
La sicurezza nazionale – ammesso che questo sia il modo <br />
migliore per garantirla – vale inequivocabilmente di più della mia <br />
ricotta e del mio diritto a non vedere una persona che non conosco <br />
frugare nella mia borsa ed è, per questo che sebbene viva anche <br />
queste limitazioni come una sconfitta mi sforzo di comprenderle. <br />
77
<br />
Il caso della circolazione dei contenuti digitali in <strong>Rete</strong>, <br />
tuttavia, è diverso. <br />
Il diritto d’autore non può ritenersi, in nessun caso, sovra‐<br />
ordinato al diritto <strong>alla</strong> privacy ed <strong>alla</strong> libertà di manifestazione del <br />
pensiero di utenti e consumatori di contenuti digitali ed <br />
infrastrutture di comunicazione. <br />
La stessa commissione Olivennes, è stata costretta a <br />
prendere atto – all’esito dei propri lavori – che le diverse <br />
tecnologie di filtraggio (I.P., upload, download, fingerprint ecc.) <br />
allo stato non sono infallibili né neutre rispetto ai diritti di utenti e <br />
consumatori tanto che la loro generalizzata utilizzazione <br />
richiederebbe in Francia importanti interventi normativi e <br />
profondi ripensamenti di posizioni più volte espresse d<strong>alla</strong> <br />
Commissione Nazionale dell’informatica e delle libertà a proposito <br />
dell’inopportunità che soggetti privati – quali i titolari dei diritti – <br />
dispongano in modo sistematico e generalizzato di un gran <br />
numero di informazioni personali degli utenti. <br />
La proprietà intellettuale riveste un ruolo centrale nello <br />
sviluppo culturale ed economico di ogni Paese nella Società <br />
dell’informazione ma, occorre individuare la misura entro la quale <br />
l’esigenza di tutelarla può giustificare una compressione degli altri <br />
diritti e libertà fondamentali la cui attuazione è, egualmente, <br />
imprescindibile <strong>alla</strong> stregua di quanto disposto nella nostra Carta <br />
costituzionale. <br />
Proprio su questo terreno, nelle scorse settimana, il <br />
dibattito aperto dall’Appello di Leonardo Chiariglione si è fatto <br />
particolarmente vivace: da una parte la soluzione elaborata <br />
nell’ambito del progetto DMIN che contempla l’utilizzo diffuso di <br />
DRM interoperabili e rispettosi dei diritti fondamentali di utenti e <br />
consumatori e dall’altra le frange più radicali del popolo della <strong>Rete</strong> <br />
che contestano radicalmente la possibilità di far ricorso a tali <br />
tecnologie quali che siano tratti e caratteristiche tecno‐somatiche. <br />
Ho sempre creduto – nel difendere, ad esempio, a spada <br />
tratta il P2P – che le tecnologie siano neutre rispetto al diritto e <br />
che lecito, illecito, opportuno o non opportuno sia, piuttosto, il <br />
modo nel quale le stesse vengono utilizzate. <br />
Ritengo che tale approccio valga anche nel caso dei DRM. <br />
Farne a meno e poter contare in <strong>Rete</strong> su cultura digitale <br />
libera da ogni genere di vincolo o controllo costituisce, <br />
probabilmente, un sogno al quale è facile affezionarsi ma, <br />
sfortunatamente, lontano d<strong>alla</strong> realtà e come tale inattuabile. <br />
E’ un dato incontestabile quello secondo cui il valore <br />
dell’immateriale e dei diritti d’autore non appartiene, nella <br />
presente epoca storica, al bagaglio culturale del popolo della <strong>Rete</strong> <br />
che, a torto o a ragione (da un punto di vista giuridico certamente <br />
78
<br />
a torto) ha una scarsa propensione al riconoscimento di un <br />
corrispettivo per accedere ad un contenuto che può avere <br />
gratuitamente. <br />
In tali condizioni non si può razionalmente sostenere che <br />
si possa far a meno di sistemi di controllo e gestione dei diritti <br />
idonei a garantire ai titolari dei diritti d’autore la remunerazione <br />
cui essi hanno diritto. <br />
Si tratta, quindi, di scegliere se seguire la soluzione <br />
proposta da Monsieur Olivennes secondo il quale i DRM <br />
andrebbero progressivamente eliminati e sostituiti da tecniche di <br />
filtraggio generalizzato sui contenuti o, piuttosto, quella – peraltro <br />
come tutto su questa terra certamente perfettibile – proposta da <br />
Leonardo Chiariglione nel suo appello ed elaborata nel corso dei <br />
lavori di Dmin: utilizzo diffuso di un DRM interoperabile e <br />
rispettoso dei diritti degli utenti. <br />
Un naso elettronico nella mia ricotta, l’altro giorno, in <br />
aeroporto mi avrebbe dato fastidio ma, vi assicuro, meno di quanto <br />
mi è costato doverla lasciare al varco di sicurezza dopo averne <br />
lungamente sognato il sapore. <br />
<br />
Il popolo della <strong>Rete</strong>: un popolo di “scrocconi”? <br />
29 gennaio 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=245 <br />
<br />
L'articolo apparso questa mattina su Repubblica.it a firma <br />
di Ernesto Assante, inviato del quotidiano in quel di Cannes, non <br />
mi è piaciuto 37. <br />
<br />
37 Il contenuto dell’articolo di Roberto Assante pubblicato su Repubblica.it il 29 <br />
gennaio 2008 cui si fa riferimento nel post è quello che segue: <br />
Clicco, scarico e non pago <br />
Il sogno online della vita gratis <br />
dal nostro inviato ERNESTO ASSANTE <br />
Clicco, scarico e non pago. Il sogno online della vita gratis. <br />
CANNES ‐ Clicco, scarico, non pago. Tre semplici atti che hanno portato <strong>alla</strong> crisi, in <br />
pochi anni, un'intera industria, quella discografica, che inesorabilmente ha visto <br />
calare le vendite dei cd e crescere il consumo di musica gratis attraverso la rete. <br />
Clicco, scarico e non pago. Funziona anche per il cinema, per la tv, per i giornali, per <br />
il telefono, per i videogiochi: tutto quello che nel mondo reale ha un valore, che sia <br />
un oggetto o un servizio, qualcosa che può essere venduto e comprato, quando <br />
arriva in rete e si smaterializza, perde anche il suo valore economico. E tutto <br />
diventa gratuito. Si consuma musica, si fanno telefonate, si leggono giornali, si <br />
vedono film e programmi televisivi, si gioca e non si paga. <br />
Fino a ieri tutto questo era illegale, era pirateria. Oggi non è più così. I giornali <br />
online sono gratuiti, la telefonia via Internet è gratuita, la web tv è gratuita, stanno <br />
arrivando anche i primi film pagati interamente d<strong>alla</strong> pubblicità (il primo è "Voglio <br />
la luna", prodotto dal tour operator Hotelplan e da ieri approdato in alcune sale <br />
79
<br />
<br />
italiane, i biglietti, ovviamente gratuiti si possono prendere soltanto online sul sito <br />
del film). <br />
È la tecnologia digitale ad avere liberato questa possibilità. E' l'avvento di Internet e <br />
del World Wide Web ad aver reso possibile quanto solo fino a qualche anno fa <br />
sembrava assolutamente irrealizzabile. Portare legalmente contenuti gratuiti al <br />
pubblico. Offrire legalmente servizi gratuiti. Il primo terreno dove è avvenuta la <br />
svolta è quello della musica. Una rivoluzione vera e propria perché, a differenza <br />
della vecchia "pirateria" fisica, quella che ancora oggi porta nelle nostre strade <br />
milioni di copie di dischi copiati illegalmente e venduti a pochi euro, ha portato in <br />
pochissimo tempo milioni di persone a collegarsi <strong>alla</strong> rete e a condividere la loro <br />
musica in un modo che prima, semplicemente, non era possibile. E senza pagare <br />
nulla. <br />
Che si tratti di "furto" è evidente, copiare una canzone senza pagare i diritti <br />
d'autore significa semplicemente privare i musicisti dei frutti del loro lavoro. Ma ai <br />
frequentatori della rete il termine "furto" è sempre sembrato inappropriato. <br />
Innanzitutto perché nel "file sharing", nello scambio dei brani online, non c'è un <br />
oggetto fisico, non c'è un disco, non c'è qualcosa che materialmente passa da una <br />
mano all'altra, da una persona all'altra, nulla viene tolto a nessuno. E poi perché la <br />
copia digitale che viene creata, assolutamente identica all'originale, è frutto di un <br />
baratto, di uno scambio di brani, di files. Cosa che "moralmente" ha un'apparenza <br />
più accettabile. <br />
Per gli "scaricatori" della musica online il loro gesto non è molto diverso da quello <br />
che fanno ogni giorno quando ascoltano la musica, gratuitamente, accendendo la <br />
radio. Non sono loro i "ladri", insomma, semmai le aziende che gestiscono le reti, <br />
che producono i software, quelli che dai milioni di download quotidiani <br />
guadagnano traffico sui loro siti e pubblicità da vendere. E' da questa ipotesi che è <br />
partita Qtrax per portare, finalmente, nella legalità decine di milioni di persone che <br />
in tutto il mondo scaricano musica utilizzando i software di "file sharing" e le reti <br />
"peer to peer", annunciando la nascita del primo servizio legale di download <br />
musicale gratuito, interamente sostenuto d<strong>alla</strong> pubblicità. <br />
"La gente non vuole vivere nell'illegalità, la gente vuole la musica gratis", è la <br />
disarmante verità che Klepfisz, il boss della Qtrax, ha voluto sottolineare <br />
presentando la sua iniziativa. Che, però, ha annunciato troppo in fretta, essendo in <br />
realtà ancora priva del via libera definitivo da parte delle major discografiche, come <br />
hanno voluto sottolineare ieri sia la Warner, che la Universal che la Emi. <br />
Altri servizi già offrono musica gratuitamente, facendo pagare il conto agli <br />
investitori pubblicitari. Come Jamendo, che lavora sulla base delle nuove licenze <br />
Creative Commons, come We7, un sito realizzato niente di meno che da una delle <br />
grandi star del rock, Peter Gabriel, o il sito italiano Downlovers.it. <br />
Il mondo della rete, comunque, marcia in un'unica direzione, quella dei contenuti <br />
gratuiti. E non solo per quello che riguarda la musica. Uno degli alfieri di questa <br />
rivoluzione è Janus Friis, un giovanotto di Copenhagen che a soli 31 anni si trova ad <br />
essere miliardario e, allo stesso tempo, uno dei principali protagonisti dell'"era <br />
gratuita". Friis è l'inventore di KaZaA, uno dei più fortunati software di file sharing <br />
al mondo, ed è sempre lui ad aver creato Skype, basato sempre sul "peer to peer" <br />
ma destinato, in questo caso, a far telefonare gratuitamente gli utenti della rete. <br />
"Internet ha cambiato la mentalità della gente", dice Friis, che ora ha lanciato un <br />
nuovo sito, Joost, dove ad essere gratis sono i contenuti video. <br />
Online tutto diventa gratuito. Così oggi attraverso Internet è possibile leggere <br />
gratuitamente i giornali di tutto il mondo, dal New York Times a Wall Street Journal, <br />
da Le Monde a El Pais, e la diffusione delle testate online cresce ogni giorno di più, <br />
assieme al numero delle persone che le legge, come conferma il successo di <br />
Repubblica.it. Gratis è anche il software, non solo quello necessario al <br />
funzionamento di base del computer ma moltissime applicazioni per ogni tipo di <br />
80
<br />
Il ritratto del popolo della <strong>Rete</strong> che ne emerge è quello di <br />
una folla di scrocconi preoccupata di accedere a beni o servizi che <br />
fino a ieri ha pagato a caro prezzo "aggratis" e che starebbe, con il <br />
suo comportamento, mettendo in crisi l'industria della musica… <br />
In un passaggio del suo articolo poi Ernesto Assante si <br />
spinge a scrivere che sarebbe evidente che "copiare una canzone <br />
senza pagare i diritti d'autore" costituisce un "furto". <br />
Non è così evidente e…non lo è proprio in ragione dei <br />
molti modelli di distribuzione dei contenuti digitali alternativi a <br />
quello tradizionale di cui parla Assante. <br />
E' furto…se nessuno paga i diritti d'autore a fronte <br />
dell'utilizzo di un contenuto digitale protetto da parte di un utente <br />
ma, evidentemente, NON è furto se l'utente utilizza quel contenuto <br />
gratuitamente a fronte del pagamento dei diritti da parte del <br />
distributore… <br />
Qtrax ‐ ammesso che mai veda la luce ‐ i suoi figli ed <br />
antenati ne sono la conferma più evidente. <br />
Quanto <strong>alla</strong> disgrazia in cui sarebbe caduta l'industria <br />
musicale…mi sembra, francamente, che imputarla al popolo della <br />
<strong>Rete</strong> non sia corretto. <br />
Ammesso che di disgrazia possa parlarsi…la principale <br />
causa non vi è dubbio debba essere rintracciata nella scarsa <br />
<br />
necessità, d<strong>alla</strong> scrittura al disegno, come si può facilmente scoprire visitando il sito <br />
Oper Source Living (osliving. com), e grandi aziende come la Microsoft si sono <br />
dovute adeguare, diffondendo gratuitamente Explorer o Windows Media. <br />
E' gratis anche la televisione, quella di YouTube, con il suo gigantesco archivio di <br />
immagini di ogni epoca, e quella in diretta, offerta da siti come Coolstreaming, che <br />
attraverso il peer to peer consente di vedere sul computer le tv di mezzo mondo, <br />
calcio compreso. E ancora: si può telefonare gratis in tutto il pianeta con Skype, si <br />
possono vedere film corti e videoclip su siti come iFilm o film interi come su Joox. E <br />
si possono utilizzare centinaia di videogiochi, da quelli vecchi che si trovano su siti <br />
di "retrogaming" a quelli recenti che sono reperibili sui principali portali <br />
internazionali. <br />
Quello del "gratis" è un movimento che è partito d<strong>alla</strong> rete ma si sta <strong>alla</strong>rgando a <br />
dismisura. E' sempre il terreno della musica quello dove si sperimentano le <br />
soluzioni più innovative, come hanno dimostrato recentemente i Radiohead e i Nine <br />
Inch Nails, distribuendo i loro nuovi album attraverso Internet a offerta libera. Ma <br />
l'offerta si <strong>alla</strong>rga di giorno in giorno, anche in ambiti finora non toccati dai <br />
cambiamenti, e sono molti i gruppi di pressione che operano in questo senso, da <br />
quelli del Free Software Movement, a chi lavora nel campo del "copyleft", ovvero del <br />
cambiamento delle leggi sul copyright. "E' il diritto d'autore come fino ad oggi lo <br />
abbiamo inteso ad essere messo in discussione", ha detto il professor Lawrence <br />
Lessig, presentando al MidemNet di Cannes Creative Commons, il movimento da lui <br />
sostenuto per modificare i limiti che le norme del copyright impongono e che <br />
virtualmente mettono fuori legge milioni di utilizzatori di files audio e video del <br />
mondo: "Nessuno vuole essere un pirata ‐ ha sottolineato Lessig ‐ sono le regole che <br />
devono cambiare". <br />
81
<br />
capacità delle major di rinnovare i propri modelli di business e di <br />
aprirsi in modo concreto al mercato digitale… <br />
Le difficoltà frapposte da tre delle quattro sorelle (Warner, <br />
Universal ed Emi) al progetto Qtrax ne rappresenta un'importante <br />
conferma. <br />
Il mercato digitale rappresenta un'enorme oppotunità per <br />
tutti ‐ utenti e major ‐ e chi non sa coglierla non può poi imputare <br />
ad altri il proprio insuccesso. <br />
<br />
C’era una volta la Cultura digitale. <br />
26 settembre 2007 <br />
Vnunet.it <br />
<br />
Il titolo della Proposta di Legge n. 2221 all’esame della <br />
Commissione Cultura della Camera dei deputati, “Disposizioni <br />
sulla società italiana degli autori ed editori” già non lascia <br />
presagire nulla di buono ma, certamente, non consente neppure di <br />
ipotizzare che attraverso essa si stia per oscurare la cultura in <br />
digitale. <br />
Il 19 settembre 2007, tuttavia, in Commissione Cultura è <br />
stato approvato un emendamento attraverso il quale ci si prefigge <br />
di inserire dopo il comma 1 dell’art. 70 della Legge sul Diritto <br />
d’autore un comma 1 bis <strong>alla</strong> secondo il quale: “È consentita la <br />
libera pubblicazione attraverso la rete internet a titolo gratuito di <br />
immagini e musiche a bassa risoluzione o degradati, per uso <br />
didattico o enciclopedico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia <br />
a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività <br />
culturali, sentito il Ministro della pubblica istruzione e <br />
dell'università e della ricerca, previo parere delle Commissioni <br />
parlamentari competenti, sono definiti i limiti all'uso didattico o <br />
enciclopedico di cui al precedente periodo”. <br />
L’attuale primo comma ‐ vale la pena ricordarlo a <br />
beneficio dei non addetti ai lavori ‐ stabilisce che "Il riassunto, la <br />
citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro <br />
comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di <br />
critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché <br />
non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica <br />
dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca <br />
scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e <br />
per fini non commerciali”. <br />
Non serve essere fini giuristi per convenire sulla <br />
circostanza che l’emendamento introduce, in sostanza, una norma <br />
speciale volta a disciplinare i limiti di utilizzo delle opere <br />
dell’ingegno in <strong>Rete</strong> per finalità di critica, discussione, <br />
insegnamento o ricerca. <br />
82
<br />
Fuori dal giuridichese l’emendamento approvato in <br />
Commissione Cultura e sottoscritto, tra gli altri, dall’On. Folena e <br />
dall’On. Lussuria è volto a stabilire che in Internet può procedersi ‐ <br />
anche se per finalità di critica, discussione, ricerca o insegnamento <br />
‐ può procedersi <strong>alla</strong> pubblicazione di immagini e suoni solo se “a <br />
bassa risoluzione o degradati”. <br />
Difficile dire cosa intendessero esattamente i firmatari <br />
dell’emendamento con tale espressione ma, appare pacifico, che <br />
essi abbiano inteso far riferimento ai file di qualità scadente e non <br />
paragonabile a quella delle opere originarie. <br />
A prescindere, tuttavia, da tale aspetto ciò che preoccupa <br />
di più è l’interpretazione da dare all’emendamento nell’ambito di <br />
una lettura complessiva dell’art. 70 quale risulterà d<strong>alla</strong> eventuale <br />
definitiva approvazione della Proposta di Legge. <br />
Due le soluzioni astrattamente possibili, entrambe poco <br />
rassicuranti ed affatto condivisibili. <br />
La prima, la più rigorosa. È quella di ritenere che per <br />
effetto della nuova disposizione in <strong>Rete</strong> potrà procedersi <br />
all’utilizzo per finalità di critica e discussione o, comunque, per fini <br />
di ricerca o insegnamento solo ed esclusivamente di immagini e <br />
suoni di “scarsa risoluzione o degradati”. <br />
In questo caso la cultura in digitale rappresentata da altro <br />
genere di opera dell’ingegno si ritroverebbe ad essere <br />
definitivamente sottratta <strong>alla</strong> disponibilità del popolo della <strong>Rete</strong> e <br />
ritornerebbe, in via esclusiva, nella disponibilità dei soliti noti del <br />
mondo dell’editoria e dell’audiovisivo. <br />
La seconda opzione interpretativa ‐ quella preferibile in <br />
un’ottica di tutela degli utenti ‐ vuole che le opere dell’ingegno <br />
diverse dalle immagini e dai suoni continuino a poter essere <br />
utilizzate, per estratto e citazione, illimitatamente, anche in <strong>Rete</strong> <br />
per finalità di discussione e critica o piuttosto di ricerca o didattica <br />
mentre, le immagini ed i suoni si ritroverebbero sottratte al <br />
mondo digitale e ricondotte nel recinto delle major. <br />
E’ evidente che nessuno dei due scenari consenta di <br />
sorridere. <br />
Con la scusa di occuparsi di un ente inutile o quasi inutile <br />
nella società dell’informazione si è, evidentemente, finiti con il <br />
raccogliere inammissibili istanze di “pulizia culturale” al contrario, <br />
da parte dei soliti noti, sottraendo <strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> buona parte del suo <br />
immenso patrimonio culturale in digitale. <br />
<br />
Il furto di cultura… <br />
22 settembre 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=162 <br />
<br />
83
<br />
L'ho letto, l'ho riletto, sono tornato a rileggerlo sperando <br />
di non aver capito bene ma…sfortunatamente avevo capito <br />
benissimo… <br />
L'emendamento approvato in queste ore <strong>alla</strong> c.d. Legge <br />
Siae di riforma del diritto d'autore costituisce un autentico <br />
attentato all'utilizzo della <strong>Rete</strong> ‐ e più in generale delle nuove <br />
tecnologie ‐ come strumento di condivisione del patrimonio <br />
culturale. <br />
Ma andiamo con ordine a beneficio di chi, per sua fortuna, <br />
ha trascorso le ultime ore ignaro di quanto accaduto. <br />
L'attuale primo comma dell'art. 70 della Legge sul diritto <br />
d'autore, prevede che "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di <br />
brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono <br />
liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti <br />
giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza <br />
all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di <br />
insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre <br />
avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali”. <br />
Il principio del libero utilizzo di un’opera per finalità di <br />
critica, di discussione o, comunque, educative non soffre, dunque, <br />
ad oggi, alcuna limitazione né vincolo tecnologico o connesso <strong>alla</strong> <br />
tipologia di opera in questione. <br />
Con l’emendamento delle ultime ore, per contro, si <br />
vorrebbe inserire dopo il primo comma dell’art. 70 LDA un nuovo <br />
comma 1 bis, attraverso il quale prevedere che: “È consentita la <br />
libera pubblicazione attraverso la rete internet a titolo gratuito di <br />
immagini e musiche a bassa risoluzione o degradati, per uso <br />
didattico o enciclopedico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia <br />
a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività <br />
culturali, sentito il Ministro della pubblica istruzione e <br />
dell'università e della ricerca, previo parere delle Commissioni <br />
parlamentari competenti, sono definiti i limiti all'uso didattico o <br />
enciclopedico di cui al precedente periodo”. <br />
Il risultato della modifica ‐ lo dico a beneficio di chi non <br />
mastica il giuridichese (pessimo quello utilizzato dai redattori <br />
dell’emendamento!) ‐ è che, a fini di critica, discussione e didattica, <br />
da domani, in <strong>Rete</strong> si rischia di poter utilizzare solo musiche ed <br />
immagini per di più di serie B, se così può tradursi l’ambiguo <br />
riferimento <strong>alla</strong> “bassa risoluzione o degradati”. <br />
Quello in atto è un autentico Golpe culturale o, se preferite, <br />
un furto di cultura in danno degli utenti della <strong>Rete</strong> e delle altre <br />
tecnologie di comunicazione e condivisione. <br />
Non credo, d’altra parte, sia un caso che a manifestare <br />
entusiasmo per l’emendamento sia, allo stato, solo la FIMI, novella <br />
84
Robin Hood allo specchio che ruba al popolo della rete cultura per <br />
offrirla ai signori delle Major… <br />
Scusate lo sfogo, perdonate la lunghezza del post e, <br />
soprattutto, alzate la voce per riprenderci la Nostra cultura. <br />
Anche se Lorsignori dimostrano, ogni giorno di più, di non <br />
averlo capito la <strong>Rete</strong> e le nuove tecnologie dovrebbero servire a <br />
crescere ed ad accedere ad un più ampio patrimonio culturale e <br />
non a far diventare più ricchi sempre i soliti noti realizzando una <br />
pay for use society… <br />
<br />
Il furto di cultura…/2 <br />
23 settembre 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=162 <br />
<br />
Lasciate sedimentare le emozioni di ieri (tutte negative), <br />
cattive compagne di analisi giuridica sul testo dell'emendamento <br />
votato in Commissione <strong>alla</strong> proposta di legge SIAE di riforma del <br />
diritto d'autore, passo ad un paio di considerazioni più pacate… <br />
Do per letto il testo dell'emendamento e l'attuale primo <br />
comma dell'art. 70 LDA che trovate comunque nel post di ieri, qui <br />
sotto… 38 <br />
La disposizione, oggi ‐ cioé prima che Folena, Lussuria & c. <br />
pensassero di metterci le mani mal consigliati da FIMI (ben <br />
consigliati se la storia la si guarda dal lato dell'industria!) ‐ è di <br />
ampio respiro e straordinaria profondità giuridica e culturale: il <br />
principio è che le privative intellettuali non devono precludere la <br />
critica, la discussione, l'insegnamento e la ricerca e ciò a <br />
prescindere d<strong>alla</strong> tipologia di opera utilizzata a tal fine; sembra <br />
inutile ‐ ma forse non lo è, almeno per i Lorsignori del Palazzo ‐ <br />
ricordare che la cultura può estrinsecarsi attraverso ogni opera <br />
dell'ingegno. <br />
L'attuale primo comma dell'art. 70 è, quindi, previsione di <br />
compromesso, un compromesso giuridicamente elegante e di <br />
grande equilibrio. <br />
Lo sciagurato emendamento entra su questo capolavoro <br />
giuridico di altri tempi con la grazia di un elefante e ne sconvolge <br />
struttura e contenuti. <br />
Innanzitutto seleziona nel panorama delle diverse <br />
tipologie di opere cui si rifersice il primo comma dell'art. 70 solo <br />
due categorie: le immagini ed i suoni. Il perché di una simile scelta <br />
è un mistero ma…la scelta è, comunque, assurda perché in <strong>Rete</strong> ‐ e <br />
non solo in <strong>Rete</strong> ‐ circolano molte altre opere… <br />
<br />
<br />
38 Sulla carta il “prima” è più in alto del “dopo” con la conseguenza che il riferimento <br />
è al post sopra e non a quello che segue. <br />
85
<br />
Quid juris per le altre tipologie di opere? <br />
L'ambiguità che la norma creerebbe è enorme: (a) <br />
resterebbe applicabile il primo comma dell'art. 70 che, ad oggi, <br />
deve ritenersi disciplinare la materia; (b) la lettura a contrario del <br />
nuovo comma escluderebbe ogni utilizzabilità, ad esempio, delle <br />
opere letterarie in <strong>Rete</strong>…il furto di cultura, in questo caso, <br />
assumerebbe dimensioni irreparabili. <br />
Per questa sera potrebbe essere abbastanza ma…vi do <br />
un'altra perla di ignoranza informatica e giuridica… <br />
Che significa che, in <strong>Rete</strong>, per le finalità di cui sopra <br />
possono essere usate solo "immagini e suoni a bassa risoluzione o <br />
degradati"? <br />
Cominciamo con il dire che il periodo manifesta anche una <br />
crassa ignoranza grammaticale…perché gli aggettivi sono mal <br />
coniugati con i sostantivi e perché la "o" non c'entra proprio <br />
nulla… <br />
Ma pazienza che in parlamento, in molti, non sappiano <br />
scrivere non è una novità. <br />
Il punto è che la portata di espressioni come "bassa <br />
risoluzione" e "degradato" è ambigua, non definibile a priori, <br />
necessariamente in evoluzione perché ciò che ieri era ad alta <br />
definizione oggi deve definirsi a bassa risoluzione in ragione del <br />
progresso tecnico… <br />
Dovremmo ridere, ridere e ridere…ma la questione è <br />
troppo seria e viene più spontaneo manifestare rabbia ed <br />
indignazione anche perché, ancora una volta, il mondo <br />
dell'università e della ricerca non è stato consultato…ma, in fondo, <br />
c'era l'On Lussuria a far da garante scientifico ad una riforma che <br />
riguardo SOLO qualche milione di milioni di Gigabyte di cultura <br />
digitale, la nostra storia ed il nostro futuro… <br />
<br />
Il furto di cultura…/3 <br />
24 settembre 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=164 <br />
<br />
Non vorrei diventare noioso ma ho finalmente trovato un <br />
pò di tempo per sfogliare ‐ visto che non è ancora vietato d<strong>alla</strong> <br />
Legge sul diritto d'autore! ‐ gli scarni resoconti dei lavori della <br />
commissione cultura (magari fossero disponibili verbali audio, <br />
anche in "bassa risoluzione"…varrebbero, almeno, a regalare agli <br />
italiani qualche minuto di divertimento!) sullo sciagurato <br />
emendamento al quale ho dedicato gli ultimi post e vorrei <br />
condividere con tutti un paio di considerazioni tra il serio ed il <br />
faceto….non perché io sia in vena di umorismo ma perché l'ironia <br />
86
<br />
sembra l'unica possibile chiave di lettura dei lavori parlamentari <br />
attraverso i quali sta procedendo l'esame del DL CI 2221 39. <br />
Una prima osservazione nasce dal testo originario <br />
dell'emendamento così come presentato da Folena e Lussuria. <br />
Eccolo: <br />
1‐bis. È consentita la libera pubblicazione attraverso la <br />
rete internet a titolo gratuito di immagini e musiche a bassa <br />
risoluzione o degradati, per uso didattico o enciclopedico e solo <br />
nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro o abbia finalità <br />
commerciali. Per bassa risoluzione delle immagini si intende la <br />
risoluzione standard dei monitor per elaboratori elettronici in <br />
commercio e dimensioni non superiori a 500 punti per ciascuna <br />
dimensione. Per bassa risoluzione delle musiche si intende una <br />
frequenza di campionamento non superiore a 8 kilohertz. Ai <br />
medesimi usi sono consentite le riproduzioni di brani e citazioni di <br />
opere tali da non arrecare danno ai detentori dei diritti. <br />
In corsivo la parte poi modificata a seguito dell'invito in tal <br />
senso dell'On. Giulietti relatore del DL. <br />
Credo che sulla settimana enigmistica l'emendamento, in <br />
questa formulazione, verrebbe pubblicato nella vignetta SENZA <br />
PAROLE e, a mia volta, non ho parole… <br />
Nei prossimi giorni spero di poter condividere con voi <br />
delle immagini e dei suoni che rispondano alle caratteristiche <br />
tecniche "partorite" dal genio tecnico‐giuridico di Folena e <br />
Lussuria… <br />
E pensare che Lussuria, dopo le sue esperienze nel noto <br />
locale romano Mucca Assassina dovrebbe aver maturato una certa <br />
competenza almeno in materia di musica! <br />
Una seconda battuta perché definirla considerazione mi <br />
sembra offensivo per quest'ultimo termine. <br />
Guardate qui 40 quali sono stati i soggetti sentiti d<strong>alla</strong> <br />
Commissione nell'ambito dell'attività conoscitiva svolta: Il <br />
Presidente della SIAE, i rappresentanti della Federazione industria <br />
musicale italiana (FIMI) ‐ leggi quello stesso Presidente Mazza che <br />
guarda caso è stato tra i primi a manifestare entusiasmo per il <br />
mostruoso emendamento, i rappresentanti dell'Associazione <br />
supporti multimediali italiana (ASMI), il Sindacato nazionale <br />
<br />
39 I resoconti sono pubblicati a questa URL: <br />
http://www.camera.it/_dati/lavori/schedela/trovaschedacamera_wai.asp?PDL=22<br />
21 <br />
40 L’elenco <strong>completo</strong> dei soggetti sentiti è pubblicato a questa URL: <br />
http://www.camera.it/cartellecomuni/leg15/documenti/progettidilegge/AttivitaC<br />
onoscitive_wai.asp?ns=2&pdl=2221 <br />
87
<br />
scrittori nonché i rappresentanti del sindacato autonomo SIAE‐<br />
Conf.S.A.L.. <br />
Anche in questo caso la collocazione nel SENZA PAROLE <br />
sembra la più indicata ma ne voglio, comunque, aggiungere un <br />
paio che non sono quelle gridate nel recente V‐Day (anche se la <br />
tentazione è forte!)… <br />
Come è possibile in un Paese che si professa democratico <br />
mettere mano <strong>alla</strong> Legge sul Diritto d'autore, discutere di cultura, <br />
ricerca, critica, studio ed enciclopedie senza sentire gli utenti, i <br />
consumatori, l'università…? <br />
Voi che risposta vi date? <br />
<br />
Il vero problema del comma 1 bis dell’art. 70 LDA. <br />
11 gennaio 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=231 <br />
<br />
Ho appena letto un bell'articolo di Alessandro Longo su <br />
Repubblica.it a proposito della questione che nelle ultime ore sta <br />
appassionando la blogosfera e l'interessante post con il quale <br />
l'amico Daniele Minotti invita a considerare la vicenda con <br />
maggior serenità e senza posizioni precostituite di carattere "anti‐<br />
politico" 41. <br />
Il ragionamento di Daniele Minotti ‐ che è poi la <br />
traduzione in termini giuridici ‐ della posizione sin qui sostenuta <br />
dall'On. Folena è ineccepibile: il primo comma dell'art. 70 della <br />
Legge sul Diritto d'autore non consente, nella sua formulazione <br />
letterale, l'utilizzo né in <strong>Rete</strong> né fuori d<strong>alla</strong> rete di opere <br />
dell'ingegno in formato integrale mentre il nuovo comma 1 bis <br />
introdotto con l'emendamento Folena‐Lussuria consentirà la <br />
pubblicazione on‐line di "immagini e musiche" purché "degradate <br />
e a bassa risoluzione". <br />
Si tratta, dunque, scrive Minotti di un ampliamento delle <br />
libere utilizzazioni di materiale protetto via web. <br />
Se la questione viene posta in questi termini, Daniele <br />
Minotti ha ragione e con lui l'On. Folena. <br />
Passione per il diritto ed onestà intellettuale mi <br />
impongono di riconoscerlo anche se non credo di averlo mai <br />
negato. <br />
Il punto, tuttavia, è un altro. <br />
<br />
41 L’articolo di Alessandro Longo, pubblicato su Repubblica.it l’11 gennaio 2008 è <br />
pubblicato a questa URL: <br />
http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/scienza_e_tecnologia/diritti‐<br />
web/autore‐non‐profit/autore‐non‐profit.html <br />
88
<br />
Per quanto abbia cercato non ho, sin qui, trovato traccia di <br />
precedenti giurisprudenziali relativi a vicende nelle quali un <br />
titolare di diritti d'autore su "immagini o musiche" (non mi <br />
stancherò mai di ripetere che le parole in diritto ha un senso e che <br />
queste non si riferiscono a nessuna opera dell'ingegno o piuttosto <br />
a tante!) abbia contestato al titolare di un sito non avente carattere <br />
commerciale e/o fine di lucro l'utilizzo non autorizzato delle <br />
proprie "immagini o musiche". <br />
E' un dato che non può e non deve essere sottovalutato. <br />
Il contesto di riferimento nel valutare la portata e le <br />
conseguenze del nuovo comma 1 bis dell'art. 70 LDA è questo e <br />
non già quello ricavabile dal solo dato formale preso a parametro <br />
dall'On. Folena e dall'amico Daniele Minotti. <br />
La disciplina sul diritto d'autore ‐ così come evidenziato in <br />
più passaggi nell'imponente relazione conclusiva dei lavori della <br />
Commissione Gambino ‐ necessita di una complessa opera di <br />
adattamento, peraltro non sempre suscettibile di essere realizzata <br />
a livello nazionale, in considerazione del mutato contesto <br />
tecnologico nel quale i contenuti protetti vengono posti in <br />
circolazione e fruiti 42. <br />
Il nuovo comma 1 bis dell'art. 70 LDA, interviene, in tale <br />
magmatico contesto con la grazia di un elefante ed un <br />
approssimazione giuridica senza eguali (in termini di forma e <br />
contenuti) per il lungo elenco di ragioni già ampiamente illustrato <br />
in questo blog e da numerosi altri commentatori. <br />
All'indomani dell'entrata in vigore della nuova norma si <br />
formerà, certamente, quell'orientamento giurisprudenziale che <br />
oggi manca e che finirà con il restringere in modo imprevedibile <br />
(per colpa delle approssimazioni definitorie contenute nella <br />
norma) l'ambito delle libere utilizzazioni di opere protette sul <br />
web. <br />
Era opportuno ed anzi necessario attendere ‐ ma davvero <br />
e non a parole ‐ la conclusione dell'attività della Commissione <br />
Gambino, prendere atto delle proposte da questa formulate, <br />
studiare il contesto internazionale o, almeno europeo e poi <br />
disciplinare la materia… <br />
Nulla di tutto ciò è stato fatto e, francamente, non credo <br />
che oggi ci si possa trincerare dietro a considerazioni di carattere <br />
meramente formale per difendere un errore che non porterà <br />
vantaggi al la cultura digitale ma solo limiti, paletti, e briglie delle <br />
quali non si avvertiva davvero l'esigenza. <br />
<br />
42 Il testo della relazione Gambino è disponibile a questa URL: <br />
http://www.interlex.it/testi/pdf/lda_proposte.pdf <br />
89
<br />
E' per questo che, senza preconcetti politici né di altro <br />
genere, continuo a ritenere che l'iniziativa legislativa sfociata <br />
nell'emendamento dell'art. 70 LDA sia stata un errore grave sotto <br />
un profilo di politica legislativa prima e di diritto poi, ovvero, nella <br />
fase della traduzione in norma. <br />
<br />
Ancora due parole sulla norma “degradata°radante”. <br />
11 gennaio 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=230 <br />
<br />
Ricevuta la prima richiesta di precisazioni da parte <br />
dell’On. Folena mi ero ripromesso di rimanere in silenzio e lasciare <br />
che ciascuno si formasse il proprio convincimento anche perché la <br />
professione mi ha insegnato che innamorarsi di una causa e <br />
personalizzare una battaglia è il modo migliore per perderla…e <br />
questa è una causa che non si deve perdere 43. <br />
<br />
43 Il testo della precisazione ricevuta dall’On. Folena <strong>alla</strong> quale si fa riferimento nel <br />
post: <br />
"Mi dispiace che in rete si travisi in significato, giuridico e politico, dell'introduzione <br />
del nuovo comma 1bis nell'articolo 70 della legge sul diritto d'autore. <br />
Prima di tutto va rilevato che rimane in piedi, del tutto, il primo comma, il quale <br />
limita la riproduzione <strong>alla</strong> citazione e al riassunto e, quindi, non all'intera opera.In <br />
più il motivo della pubblicazione non può essere la mera illustrazione. Viceversa il <br />
nuovo comma 1bis estende e sottolineo questo aspetto la possibilità di <br />
pubblicazioni "libere" sia pure solo per siti didattici e scientifici all'intera opera <br />
(immagine o musica), anche se degradata. Cosa significa, in pratica? <br />
Se ho un blog didattico, un sito scientifico, a norma dell'articolo 70 non posso <br />
pubblicare opere coperte da altrui diritto d'autore, per intero. Ad esempio se ho un <br />
sito didattico sulla fotografia, non posso pubblicare un'opera di un grande fotografo <br />
come H.Newton né un file audio con una canzone di un cantante famoso, per esempio <br />
Vasco Rossi. Ma neppure la foto al microscopio di una cellula, se coperta da diritto <br />
d'autore. <br />
Con questa nuova norma, invece, previa definizione dei criteri da parte del ministero <br />
(noi avremmo voluto scriverli direttamente nella norma, ma abbiamo accettato una <br />
mediazione) questo sarà possibile. Ovviamente a certe condizioni (di qui la minore <br />
risoluzione o la degradazione) in modo tale che non si entri in contrasto con <br />
l'utilizzazione economica dell'opera stessa. Ad esempio, un file audio potrebbe essere <br />
messo a disposizione sul sito con una qualità non paragonabile a quella di un cd, ma <br />
comunque ascoltabile. O un immagine con dimensioni non utili <strong>alla</strong> riproduzione a <br />
stampa (quindi praticamente tutte le immagini del web). <br />
L'ispirazione è stata un disegno di legge dei Verdi proprio riguardo i siti didattici. <br />
Si può certo dissentire per la portata limitata dell'intervento, ma difatti non era certo <br />
quella la sede per una revisione del diritto d'autore complessivo. La commissione del <br />
professor Gambino era al lavoro e mai ci saremmo permessi di procedere senza prima <br />
aver acquisito i suoi risultati. <br />
Quindi tutto si può dire, ma non che questa novella restringa le libere utilizzazioni <br />
attuali. Semmai, di poco, le <strong>alla</strong>rga, venendo incontro all'esigenza di tanti docenti che <br />
hanno blog e siti didattici. Né può essere confusa con altre questioni (il diritto di <br />
panorama e il codice Urbani) che nulla hanno a che vedere con questa piccola <br />
piccolissima, ma comunque importante isola di libertà. <br />
90
<br />
Analogo proposito mi ha spinto ieri a soprassedere da una <br />
replica a caldo alle “controprecisazioni in prevenzione” diffuse in <br />
<strong>Rete</strong> e trasmessemi dall’Ufficio stampa dell’On. Folena per l’ipotesi <br />
in cui avessi deciso di pubblicare la posizione dell’On. Cortiana 44. <br />
<br />
Pietro Folena, Presidente della Commissione Cultura della Camera". <br />
44 Qui di seguito il botta e risposta Cortiana‐ Folena: <br />
Nel pomeriggio di oggi ho ricevuto una comunicazione dall'On. Cortiana contenente <br />
una puntuale replica alle precisazioni dell'On. Folena di ieri ed un'interessante <br />
proposta. Non ho avuto neppure il tempo di pubblicare questo documento che ho <br />
ricevuto dall'Ufficio stampa dell'On. Folena una replica "in prevenzione" per <br />
l'ipotesi in cui avessi pubblicato il contributo dell'On. Cortiana. <br />
Mi sembra la miglior conferma che ‐ quale che sia la ragione ‐ l'argomento è di <br />
grande interesse ed attualit <br />
Sono, pertanto, felice di pubblicare entrambi i documenti nell'ordine in cui li ho <br />
ricevuti e di mantenere aperto il dialogo. <br />
Da parte mia sto lavorando ‐ con gli strumenti del giurista e la preziosa <br />
collaborazione di irrinunciabili esperti di tecnologia ‐ ad individuare una soluzione <br />
interpretativa che, non appena il comma 1 bis dell'art. 70 LDA sarà legge di questo <br />
strano Paese, possa rappresentare un'ipotesi di compromesso tra i contrapposti <br />
interessi dei titolari dei diritti e del popolo della <strong>Rete</strong>. <br />
Spero di condividere con Voi al più presto tale soluzione per ricevere critiche ed <br />
adesioni. <br />
Scrive l'On. Cortiana: <br />
Una risposta a Folena e una proposta <br />
Nella nota del Presidente della Commissione Cultura della Camera relativa <strong>alla</strong> <br />
Legge di riforma della SIAE si definisce l'introduzione del comma 1‐bis come la <br />
costituzione di una "piccola ‐ piccolissima, ma comunque importante ‐ isola di <br />
libertà" il cui perimetro è stato definito attraverso l'interlocuzione esclusiva con i <br />
rappresentanti SIAE, FIMI, ASMI, il Sindacato nazionale Scrittori e il Sindacato <br />
Autonomo SIAE‐Conf.S.A.L., con le conseguenti "mediazioni accettate". Partiamo da <br />
qui: forse su Second Life è possibile una simile processo per la creazione di un'isola, <br />
ma non nello spazio di relazione che attraverso Internet si è sviluppato come <br />
impresa cognitiva collettiva. Qui c'è viralità non virtualità, qui la partecipazione <br />
informata ai processi regolamentari costituisce una pre‐condizione indispensabile <br />
affinché questi siano efficaci. Per questo il processo sulla Governance di Internet <br />
avviato dalle Nazioni Unite è un processo multistakeholder. Un tavolo aperto di <br />
confronto avrebbe ad esempio permesso alle commissioni presiedute dal Prof. <br />
Gambino e dal Prof. Rodotà di dare il proprio contributo. Si sarebbe così evitato <br />
l'equivoco ossimoro legato <strong>alla</strong> possibilità di riprodurre immagini a fini didattici e <br />
di ricerca scientifica a condizione che abbiano una bassa risoluzione e siano <br />
comunque degradate. Una non definizione del concetto di "immagine" nella rete <br />
digitale e la condizione di degradazione della stessa non lascia soltanto campo <br />
aperto a non chiare discrezionalità (e il Codice Urbani qui è assolutamente <br />
pertinente) ma sicuramente pregiudica la qualità della didattica e della ricerca. <br />
Peraltro proprio la SIAE già nel 2004 nel "Compendio delle Norme e dei Compensi <br />
di opere delle Arti Visive", nella Prima Sezione all'art.7.‐INTERNET precisava <br />
che:"Comunque la riproduzione delle immagini non dovrà eccedere i 72 DPI di <br />
risoluzione e dovrà essere di bassa qualità." Forse la mediazione parlamentare è <br />
consistita nell'introduzione aggiuntiva del concetto di "degrado"? <br />
Non ho trovato negli articolati dei disegni di legge dei Verdi la fonte di ispirazione <br />
di cui parla Pietro Folena comunque toccherà a loro chiarire. In ogni caso la portata <br />
dell'intervento di Riforma non risulta "limitata"dato che ora ogni controversia <br />
91
<br />
<br />
messa in atto d<strong>alla</strong> SIAE viene trasferita d<strong>alla</strong> giustizia amministrativa a quella <br />
ordinaria. <br />
Al fine di rimediare il pasticcio legislativo e il prevedibile arcobaleno <br />
giurisprudenziale conseguente, è utile e necessario fare entrare aria fresca <br />
all'interno della piccola‐piccolissima isola murata del degrado a bassa risoluzione, <br />
attraverso un processo partecipato da tutti gli stakeholder e con l'approvazione di <br />
un articolo che nella chiara definizione del dolo e della contraffazione armonizzi e <br />
coordini lo scombinato panorama legislativo che si sta venendo a creare. Poi <br />
speriamo che si possa aprire una stagione legislativa che consenta di definire <br />
proposte per cogliere le opportunità della società della Conoscenza così come <br />
l'Europa si è proposta con l'Agenda di Lisbona. <br />
Sen. Fiorello Cortiana ‐ Consulta sulla Governance di Internet <br />
******** <br />
Risponde l'On. Folena: <br />
Sono purtroppo costretto a replicare alle inesattezze dell'amico Cortiana. Mi <br />
dispiace che vengano da una persona competente in materia e con la quale ho <br />
collaborato in passato. <br />
Procediamo con ordine e in modo puntuale. <br />
Fiorello afferma:"Nella nota del Presidente della Commissione Cultura della <br />
Camera relativa <strong>alla</strong> legge di riforma della Siae si definisce l'introduzione del <br />
comma 1‐bis come la costituzione di una "piccola ‐ piccolissima, ma comunque <br />
importante ‐ isola di libertà" il cui perimetro è stato definito attraverso <br />
l'interlocuzione esclusiva con i rappresentanti Siae, Fimi, Asmi, il Sindacato <br />
nazionale Scrittori e il Sindacato Autonomo Siae‐Conf.Sal, con le conseguenti <br />
"mediazioni accettate". " <br />
Questo è inesatto. Sono stati auditi quei soggetti perché la legge riguardava la Siae, <br />
non il diritto d'autore. Siamo stati noi a premere per introdurre la piccola norma a <br />
favore dei blog didattici, scontrandoci con alcuni dei soggetti citati. <br />
Scrive ancora Cortiana: "Un tavolo aperto di confronto avrebbe ad esempio <br />
permesso alle commissioni presiedute dal Prof. Gambino e dal Prof. Rodotà di dare <br />
il proprio contributo. " <br />
Difatti noi abbiamo cercato di non ostacolare quel lavoro, evitando di mettere mani <br />
in modo pesante <strong>alla</strong> legge sul diritto d'autore. Ho incontrato appositamente <br />
Gambino proprio per assicurargli che la Commissione Cultura avrebbe aspettato <br />
senz'altro la conclusione dei lavori. Quella della commissione Gambino è stata ‐ e <br />
credo continuerà ad essere ‐ la sede "multistakeholder". Ora tocca al decisore <br />
politico intervenire sulla base di quei lavori, in raccordo con il prof. Gambino e la <br />
sua commissione che ci ha fornito materiali preziosi, idee e proposte di lavoro. <br />
Sempre Cortiana afferma: "Proprio la SIAE già nel 2004 nel "Compendio delle <br />
Norme e dei Compensi di opere delle Arti Visive", nella Prima Sezione all'art.7.‐<br />
INTERNET precisava che: "Comunque la riproduzione delle immagini non dovrà <br />
eccedere i 72 DPI di risoluzione e dovrà essere di bassa qualità." " <br />
Appunto è ciò che la Siae fa. Chiede un compenso, con tanto di tabella, anche ai siti <br />
didattici per la riproduzione di opere coperte da diritto d'autore. Ora, o meglio dopo <br />
il decreto attuativo del ministero, che dovrà essere approvato d<strong>alla</strong> nostra <br />
Commissione, non potrà più farlo, se tali immagini non avranno qualità tale da <br />
competere con l'uso commerciale (e sfido chiunque a sostenere che un'immagine <br />
sul web come di solito vengono pubblicate possa essere usata in un book <br />
fotografico). <br />
Cortiana: "Forse la mediazione parlamentare è consistita nell'introduzione <br />
aggiuntiva del concetto di "degrado"? " <br />
No, noi abbiamo cancellato il compenso, come ho spiegato. <br />
"Non ho trovato negli articolati dei disegni di legge dei Verdi la fonte di <br />
ispirazione di cui parla Pietro Folena; comunque toccherà a loro chiarire. " <br />
92
<br />
A questo punto, però, avverto l’insopprimibile esigenza <br />
(sbagliando dirà qualcuno!) di tornare sull’argomento perché <br />
l’ampia replica dell’On. Folena non solo non mi ha convinto ma, al <br />
contrario, mi ha confermato che la norma appena approvata ‐ e, <br />
probabilmente, prossima a divenire Legge nonostante l’estremo <br />
tentativo compiuto dall’On. Cappato che ha chiesto al Presidente <br />
della Repubblica di non firmarla – è tanto ambigua, mal pensata e <br />
mal scritta da non essere stata, evidentemente, ben compresa <br />
neppure dai suoi estensori e/o firmatari. <br />
Comincio da un dato che – da cittadino e non da giurista – <br />
non riesco ad accettare. <br />
L’On. Folena, tanto nelle prime precisazioni che nelle <br />
controprecisazioni di ieri si difende d<strong>alla</strong> contestazione di aver <br />
preteso (ovviamente non da solo ma in buona compagnia) di <br />
normare in una materia oggetto di approfondito esame e studio da <br />
parte della Commisione permanente sul diritto d’autore ora <br />
Presieduta dal Prof. Gambino e già presieduta dal Prof. Corasaniti, <br />
sostenendo di aver atteso la conclusione dei lavori di tale <br />
Commissione e di averne recepito idee e proposte. <br />
Scrive, infatti, l’On. Folena nelle Sue precisazioni dell’8 <br />
gennaio: <br />
“La commissione del professor Gambino era al lavoro e <br />
mai ci saremmo permessi di procedere senza prima aver acquisito <br />
i suoi risultati”. <br />
Continua, l’On. Folena nelle Sue controprecisazioni di ieri: <br />
“Ho incontrato appositamente Gambino proprio per <br />
assicurargli che la Commissione Cultura avrebbe aspettato <br />
senz'altro la conclusione dei lavori… con il prof. Gambino e la sua <br />
commissione che ci ha fornito materiali preziosi, idee e proposte di <br />
lavoro.”. <br />
<br />
DDL Senato 1461, Bulgarelli: "Art. 4. «È consentita la pubblicazione attraverso la <br />
rete internet a titolo gratuito di immagini a bassa risoluzione unicamente per uso <br />
strettamente didattico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro, <br />
fatto salvo il riconoscimento della paternità dell'opera». <br />
Faccio anche notare che la bassa risoluzione o la degradazione qualitativa è <br />
considerata da diversi giuristi americani uno degli elementi di valutazione nel fair <br />
use degli Stati Uniti, tanto richiamato e così poco conosciuto. Ad esempio è utile la <br />
lettura di questo saggio: http://www.copyright.iupui.edu/highered.htm <br />
Pareri simili si trovano anche su copyright.gov da parte di insigni giuristi, tecnici, <br />
docenti. Non ci siamo inventati nulla. <br />
In conclusione: si poteva fare di più? Forse sì. Si poteva fare meglio? Forse sì. Ma <br />
non s'è fatto male. Si può accusare Folena di tutto ma non di avere scritto la fine <br />
della libertà della rete. <br />
Pietro Folena, presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati. <br />
Il dibattito è politico e credo che sia opportuno lasciare a ciascuno formarsi il <br />
proprio convincimento. <br />
93
<br />
Mi sembra tutto molto difficile da credere. Storia e <br />
documenti dicono il contrario. <br />
La Commissione Gambino ha presentato i suoi lavori al <br />
Vice Presidente del Consiglio Francesco Rutelli il 18 dicembre ed il <br />
21 il testo del comma 1 bis da aggiungere all’art. 70 della LDA <br />
veniva approvato in via definitiva d<strong>alla</strong> Commissione Cultura del <br />
Senato, in poco meno di 30 minuti, senza discussione e nella <br />
medesima formulazione nella quale era già stato approvato <strong>alla</strong> <br />
Camera il precedente 25 ottobre. <br />
Come si può, in tali condizioni, sostenere seriamente di <br />
aver “acquisito i risultati” dei lavori della Commissione Gambino? <br />
Se storia e calendario non fossero sufficienti, tuttavia, <br />
basta scorrere il testo della Relazione conclusiva dei lavori della <br />
Commissione Gambino sino ad arrivare alle proposte di modifica <br />
dell’art. 70 LDA: nessuna ricorda neppure da lontano il monstrum <br />
giuridico concepito d<strong>alla</strong> Commissione Cultura. <br />
Le proposte formulate all’esito di un lavoro durato anni e <br />
che ha coinvolto oltre 100 esperti di diritto d’autore hanno <br />
tutt’altra filosofia, sono ispirate da diverse finalità, mostrano ben <br />
più ampio respiro e, soprattutto, sono formulate in termini assai <br />
più chiari. <br />
Credo che nessuno in Commissione Cultura abbia mai <br />
sfogliato quel documento ma…se anche lo ha fatto, non ha colto la <br />
sostanziale differenza tra ciò che si stava scrivendo al comma 1 bis <br />
dell’art. 70 LDA e le proposte formulate d<strong>alla</strong> Commissione <br />
Gambino. <br />
Errori e difese ostinate dei propri errori sono leciti, umani <br />
e comprensibili ma cercare, a tal fine, di piegare la realtà alle <br />
proprie esigenze difensive, francamente, non credo lo sia. <br />
Nelle “controprecisazioni” di ieri, l’On. Folena fa notare, <br />
inoltre, “che la bassa risoluzione o la degradazione qualitativa è <br />
considerata da diversi giuristi americani uno degli elementi di <br />
valutazione nel fair use degli Stati Uniti, tanto richiamato e così <br />
poco conosciuto. Ad esempio è utile la lettura di questo saggio: <br />
http://www.copyright.iupui.edu/highered.htm”. <br />
Sono senza parole e se il silenzio parlasse via internet <br />
userei quello… <br />
Non credo sia “didattico” né “scientifico” accostare l’italico <br />
nuovo comma 1 bis dell’art. 70 LDA al ben più civile principio del <br />
fair use di cui all’art. 107 del Copyright Act e ciò perché tale <br />
principio contrasta in modo insanabile con la norma appena <br />
approvata in Italia. Il fair use – lo si dice proprio nell’articolo <br />
richiamato dall’On. Folena – è un concetto elastico, aperto e <br />
flessibile, destinato, per sua natura, ad essere adattato dai Giudici <br />
alle diverse fattispecie. <br />
94
<br />
Al contrario, la norma di cui si discute, imbriglierà il <br />
Giudice al rispetto di oscure regole tecniche che verranno emanate <br />
nei prossimi mesi e che, per quanti sforzi si possa fare, non <br />
riusciranno certamente a disciplinare ogni possibile ipotesi né a <br />
dettare criteri univoci per tracciare una linea di demarcazione <br />
nitida e chiara tra utilizzi legittimi ed illegittimi, tra scopi didattici <br />
o scientifici ed altri scopi – sempre non commerciali – ma di <br />
diversa natura e, infine, tra immagini e musiche degradate o a <br />
bassa risoluzione e analoghi contenuti “non degradati” e a normale <br />
risoluzione. <br />
Immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate è <br />
espressione priva di significato e destinata a rimanere tale anche <br />
dopo il regolamento che dovrà essere varato nei prossimi mesi. <br />
Ho chiesto a Leonardo Chiariglione – che non credo abbia <br />
bisogno di presentazioni – di aiutarmi a dare un senso a tale <br />
riferimento. Questa è stata la risposta: <br />
“<strong>Guido</strong>, <br />
Il testo dell'emendamento approvato dal Senato relativo <br />
all'art. 70 dellaLegge sul diritto d'autore che fa riferimento a <br />
immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate non mi pare <br />
abbia molto senso pratico e mi chiedocome potrà essere gestito. La <br />
risoluzione di un'immagine è funzione del tempo: 10 anni fa avevo <br />
unadelle prime macchine fotografiche numeriche con una <br />
risoluzione di 320×240(75Kpixel) ed oggi parliamo di molti Mpixel. <br />
Quindi quello che è alto oggi èbasso domani. È questo che si vuole <br />
dire? Oppure si dice a priori quanti devono essere i pixel?Le tecniche <br />
di compressione giocano poi brutti scherzi. Uno degli ultimi <br />
miglioramenti della codifica audio si chiama "spectral band <br />
replication".Penso che, con un po' di lavoro, si potrebbe fare <br />
dell'ottimo audio che si potrebbe sostenere (immagino) in tribunale <br />
essere "a bassa risoluzione(frequenza di <br />
campionamento)".Leonardo” <br />
Non c’è molto da aggiungere. I parametri individuati al <br />
comma 1 bis dell’art. 70 LDA sono necessariamente relativi (come <br />
d’altra parte suggerisce la lingua italiana) e destinati ad una <br />
continua evoluzione. <br />
Forse, a questo punto, fallito ogni tentativo di confronto <br />
sui principi e tramontata ogni speranza di lasciare sulla porta del <br />
nostro Ordinamento quest’ennesima brutta norma, converrà <br />
iniziare a pensare a come trarre vantaggio – nei limiti, ovviamente <br />
del lecito ed al solo fine di accrescere la circolazione della cultura <br />
digitale in <strong>Rete</strong> – dalle sue numerose ambiguità. <br />
Ma di questo parliamo domani. <br />
<br />
95
<br />
Wikia campaigns per il Decreto sui limiti di uso delle opere <br />
via web. <br />
12 gennaio 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=233 <br />
<br />
Credo che il dibattito in merito all’emendamento Folena‐<br />
Lussuria all’art. 70 LDA abbia evidenziato l’esistenza di posizioni <br />
diverse sul problema delle libere utilizzazioni in <strong>Rete</strong> e, <br />
soprattutto, sull’opportunità di intervenire sulla materia ‐ che, <br />
certamente, necessita, con urgenza, di un profondo e radicale <br />
ripensamento ‐ con una norma – quale che ne sia il giudizio <br />
politico – mal scritta e destinata a creare ambiguità e problemi <br />
interpretative e di applicazione. <br />
Il confronto sul tema potrebbe, probabilmente, proseguire <br />
ancora per molto senza, tuttavia, nessuna concreta possibilità di <br />
modificare il corso degli eventi, apparendo ormai scontata – se non <br />
già avvenuta – la firma da parte del Capo dello Stato della nuova <br />
Legge. <br />
In tale contesto, sebbene a malincuore dopo aver <br />
contribuito a dar vita ed a tener vivo il dibattito, ritengo sia <br />
arrivato il momento di guardare avanti e cioè al decreto attraverso <br />
il quale andranno stabiliti i limiti d’uso di “immagini e musiche” sul <br />
web. <br />
Sarà difficile, con una norma secondaria, rimediare alle <br />
sviste formali ed agli errori sostanziali presenti – almeno su questo <br />
mi sembra vi sia una sostanziale convergenza di idee – nel testo <br />
della norma primaria ma, ritengo, abbiamo, tutti, il dovere di <br />
provarci. <br />
L’acceso dibattito sull’emendamento Folena‐Lussuria, <br />
peraltro, ha, a mio avviso, dimostrato che il Web italiano è ormai <br />
maturo per essere utilizzato quale naturale strumento di <br />
confronto, collaborazione e supporto all’attività politica. <br />
In questa prospettiva ho dedicato le ultime ore a <br />
predisporre una pagina sulla piattaforma Campaigns Wikia ‐ <br />
ultima creatura del fondatore della più nota Wikipedia – nata <br />
proprio allo scopo di consentire, promuovere e favorire il <br />
confronto politico. <br />
Ho pubblicato sulla pagina un primo schema di quello che <br />
potrebbe essere il Decreto Ministeriale cui il comma 1 bis dell’art. <br />
70 LDA demanda la definizione dei limiti d’uso di “immagini e <br />
musiche” in <strong>Rete</strong> nonché un elenco, non esaustivo, di fonti per <br />
96
<br />
approfondire il dibattito sulla questione e poter così partecipare <br />
attivamente <strong>alla</strong> modifica del testo del Decreto. 45 <br />
<br />
45 Il decreto di attuazione del comma 1 bis dell’art. 70, quando questo volume è dato <br />
alle stampe non è ancora stato pubblicato, la bozza di decreto a suo tempo <br />
predisposta e messa disposizione del pubblico per commenti, modifiche ed <br />
integrazioni è tuttora disponibile a questa URL: <br />
http://campaigns.wikia.com/wiki/Attivit%C3%A0_di_supporto_<strong>alla</strong>_redazione_del<br />
_Regolamento_di_attuazione_del_comma_1_bis_dell%E2%80%99art._70_LDA <br />
Questo è il testo della bozza come risultante dalle modifiche apportate d<strong>alla</strong> <br />
comunità telematica sino all’8 gennaio 2008: <br />
Decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della <br />
pubblica istruzione e il Ministro dell'università e della ricerca in attuazione <br />
del comma 1 bis dell’art. 70 della Legge n. 633 del 21 aprile 1941. <br />
Vista la legge 21 aprile 1941, n. 633, recante Protezione del diritto d'autore e di altri <br />
diritti connessi al suo esercizio ed in particolare l'art. 70; <br />
Vista la legge ..... recante disposizioni concernenti la Società italiana degli autori ed <br />
editori ed in particolare l’art. 2; <br />
Art. 1. Opere soggette all'eccezione. <br />
1. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, legge 21 aprile 1941, n. 633, si intendono per <br />
immagini tutte le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alle arti <br />
figurative di cui all’art. 1 della medesima legge e, in particolare, quelle della pittura, <br />
dell'arte, del disegno, compresa la scenografia nonché i disegni industriali che <br />
presentino di per sé carattere creativo e valore artistico e di architettura, le opere <br />
dell'arte cinematografica, muta o sonora, sempreché non si tratti di semplice <br />
documentazione protetta ai sensi delle norme del Capo V del Titolo II e, infine, le <br />
opere fotografiche e quelle espresse con procedimento analogo a quello della <br />
fotografia sempre che non si tratti di semplice fotografia protetta ai sensi delle <br />
norme del Capo V del Titolo II. <br />
2. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, legge 21 aprile 1941, n. 633, si intendono per <br />
musiche tutte le opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono <strong>alla</strong> <br />
musica di cui all’art. 1 della medesima legge e, in particolare, le opere e le <br />
composizioni musicali, con o senza parole, le opere drammatico‐musicali e le <br />
variazioni musicali costituenti di per sé opera originale di cui al n. 2 dell’art. 2 della <br />
stessa legge. <br />
3. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, legge 21 aprile 1941, n. 633, si intende per <br />
immagini e musiche anche l’opera risultante d<strong>alla</strong> inscindibile combinazione di una <br />
o più opere di cui ai commi precedenti, o parti di esse. <br />
Art. 2. Finalità d’uso delle opere rilevanti ai fini dell’eccezione. <br />
1. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, della medesima legge, si intende per uso <br />
didattico qualsiasi forma di utilizzo dell’opera a scopo illustrativo, di critica o <br />
discussione, finalizzata ad istruire o formare il pubblico attraverso le reti <br />
telematiche. <br />
2. Ai fini del comma 1 bis dell’art. 70, legge 21 aprile 1941, n. 633, si intende per uso <br />
scientifico qualsiasi forma di utilizzo dell’opera a scopo illustrativo, di critica o <br />
discussione, finalizzata a comunicare al pubblico attraverso le reti telematiche tesi <br />
di carattere scientifico o risultati di studi, analisi, ricerche e teorie aventi analogo <br />
carattere. Hanno carattere scientifico, ai fini del presente Decreto, studi, ricerche, <br />
saggi, compendi, teorie o tesi relative a qualsiasi area del sapere purché condotti o <br />
prodotti attraverso modelli cognitivi caratterizzati da rigore metodologico, <br />
precisione e sistematicità. <br />
3. Rientrano nella definizione di uso didattico o scientifico le attività funzionali o <br />
collaterali <strong>alla</strong> scienza, all'istruzione e <strong>alla</strong> formazione, quali, a titolo di esempio, la <br />
pubblicazione o redazione di enciclopedie, bibliografie, antologie, cataloghi, raccolte <br />
97
<br />
<br />
e compendi anche quando non svolte o coordinate direttamente da soggetti <br />
operanti nella funzione didattica, formativa o di ricerca. <br />
4. Non concorre a costituire il fine di lucro di cui al comma 1 bis dell’art. 70, legge <br />
21 aprile 1941, n. 633, l’eventuale ricorso da parte del soggetto pubblicante o del <br />
fornitore della piattaforma a forme di rimborso degli oneri di manutenzione e <br />
pubblicazione, quali, a titolo esemplificativo, l’apposizione di banner o l’iscrizione <br />
in circuiti pubblicitari, quando la pubblicazione delle opere protette sia accessoria <br />
ai contenuti resi disponibili. <br />
Art. 3. Formati di pubblicazione. <br />
1. Ai fini del comma 1 bis dell'art. 70 della legge 21 aprile 1941, si intende per <br />
immagine in bassa risoluzione: <br />
a) Per le opere delle arti figurative di cui al comma 1, art. 1 del presente Decreto: <br />
qualsiasi riproduzione non eccedente i 72 punti per pollice (dpi). <br />
b) Per le opere della cinematografia di cui al comma 1, art. 1 del presente Decreto: <br />
qualsiasi riproduzione non eccedente i 384 kbit/s. <br />
2. Ai fini del comma 1 bis dell'art. 70 della legge 21 aprile 1941, si intende per <br />
immagine degradata ogni opera di cui al comma 1, art. 1 del presente Decreto che, <br />
rispetto all’originale, presenti elementi di alterazione significativi, ivi compresa <br />
l'apposizione di marchi o scritte, ovvero effetti di alterazione della qualità visiva <br />
percepibile o dei colori e di distorsione. <br />
3. Ai fini del comma 1 bis dell'art. 70 della legge 21 aprile 1941, si intende per <br />
musica in bassa risoluzione o degradata qualsiasi riproduzione non eccedente i 96 <br />
kbit/s. <br />
4. Il Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica <br />
istruzione e il Ministro dell'università e della ricerca, previo parere delle <br />
Commissioni parlamentari competenti, aggiorna annualmente tramite decreto <br />
ministeriale i criteri e parametri di cui al presente articolo, tenendo in <br />
considerazione lo sviluppo tecnologico. <br />
Art. 4. Autorizzazione dell'avente diritto. <br />
1. Qualora le finalità didattiche o scientifiche richiedano qualità di riproduzione <br />
eccedenti i criteri di cui all'Art. 3 del presente Decreto, l'autorizzazione è richiesta <br />
secondo le seguenti modalità: <br />
a) se il titolare dei diritti sull’opera è iscritto <strong>alla</strong> Società Italiana Autori ed Editori <br />
(SIAE), il soggetto realizzatore o responsabile della pubblicazione richiede <br />
autorizzazione <strong>alla</strong> SIAE mediante fax o lettera raccomandata con avviso di <br />
ricevimento, ovvero corrispettivo telematico secondo la normativa vigente, <br />
indicando le modalità di pubblicazione dell’opera, il suo titolo, nonché i motivi per i <br />
quali è necessaria la pubblicazione in qualità eccedente. <br />
b) se il titolare dei diritti sull’opera non è iscritto <strong>alla</strong> SIAE, il soggetto realizzatore o <br />
responsabile della pubblicazione richiede autorizzazione all'avente diritto con le <br />
modalità di cui <strong>alla</strong> precedente lettera. <br />
2. Il destinatario della richiesta di cui al precedente comma può, entro trenta giorni <br />
dal ricevimento, richiedere chiarimenti o negare, con provvedimento motivato, <br />
l’autorizzazione qualora ritenga che la pubblicazione possa arrecare pregiudizio al <br />
titolare dei diritti. In caso di silenzio, decorso il predetto termine, l’autorizzazione si <br />
considera concessa. Qualora il destinatario richieda chiarimenti dovuti <strong>alla</strong> <br />
incompletezza della comunicazione, a seguito della successiva risposta del soggetto <br />
realizzatore o responsabile della pubblicazione dispone di ulteriori sette giorni per <br />
negare, sempre con provvedimento motivato, l’autorizzazione. In caso di silenzio, <br />
decorso tale termine, l’autorizzazione si considera concessa. <br />
3. L’autorizzazione di cui al comma 1 del presente articolo può essere negata solo <br />
qualora la pubblicazione dell'opera arrechi ragionevole pregiudizio ai diritti <br />
deetitolare. <br />
98
Chiunque, ovviamente, può intervenire sul testo, <br />
modificarlo e/o integrarlo lasciandovi commenti, critiche e/o <br />
suggerimenti. <br />
Egualmente l’elenco delle fonti attraverso le quali formarsi <br />
un’opinione sulle questioni sottese all’emendamento Folena‐<br />
Lussuria può essere, in ogni momento, integrato con il link ai <br />
contenuti da ciascuno sin qui prodotti o consultati. <br />
L’iniziativa non vuol essere un invito a ripensare i processi <br />
costituzionali di produzione normativa ma, semplicemente, un <br />
invito ad aprire il dibattito politico <strong>alla</strong> società civile utilizzando <br />
strumenti diffusi, economici ed <strong>alla</strong> portata di molti anche se non, <br />
sfortunatamente, di tutti. <br />
Inutile dire che starà al Governo ed alle Commissioni <br />
parlamentari competenti valutare se ed in che termini tener conto <br />
del testo che, nei prossimi giorni nascerà dal confronto telematico. <br />
<br />
Tiscali vs. SIAE: il problema c’è ma non è il “degrado”. <br />
8 settembre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=334 <br />
<br />
Non ho letto la Sentenza ma il fatto sembra abbastanza <br />
chiaro che se ne voglia leggere il trionfalistico comunicato sul sito <br />
della SIAE o, piuttosto, uno qualsiasi dei molti resoconti disponibili <br />
in <strong>Rete</strong>: Tiscali è stata condannata a 40 mila euro di multa per aver <br />
diffuso sul proprio sito riproduzioni di opere d'arte rientranti nel <br />
catalogo SIAE senza, tuttavia, aver stipulato con quest'ultima il <br />
relativo contratto di licenza 46. <br />
In <strong>Rete</strong>, ovviamente, già fioccano polemiche e riferimenti <br />
<strong>alla</strong> norma degradata introdotta nel gennaio di quest'anno al <br />
comma 1bis dell'art. 70 LDA. <br />
<br />
<br />
46 Questo il testo del comunicato stampa pubblicato sul web istituzionale della SIAE <br />
a questa URL: <br />
http://www.siae.it/edicola.asp?click_level=0500.0100.0200&view=4&open_menu=<br />
yes&id_news=7078 <br />
04‐Set Tribunale di Roma <br />
Opere d’arte: i provider devono ottenere la licenza Siae <br />
Il Tribunale di Roma, Sezione specializzata nella materia della Proprietà industriale <br />
ed intellettuale ha pronunciato una sentenza che è stata registrata lo scorso agosto, <br />
con la quale ha accolto le domande della Siae condannando la società Tiscali a <br />
rimuovere dal proprio sito Internet le immagini di opere dell’arte figurativa <br />
appartenenti al repertorio Siae che erano state riprodotte illecitamente ovvero <br />
senza licenza Siae. Il provider è stato inoltre condannato al risarcimento dei danni <br />
patrimoniali e <strong>alla</strong> pubblicazione della sentenza su due quotidiani nazionali. <br />
Per utilizzare opere delle arti visive protette d<strong>alla</strong> legge sul diritto d’autore e che <br />
siano state create da artisti che hanno affidato <strong>alla</strong> Siae la loro tutela, occorre <br />
ottenere preventivamente l’autorizzazione della Società prima che abbia luogo <br />
l’immissione in rete delle opere. <br />
99
<br />
Riferimenti comprensibili ma…questa volta il problema <br />
non è il degrado. <br />
La colpa di Tiscali, infatti, non sembrerebbe essere <br />
consistita nel non aver degradato le riproduzioni delle opere d'arte <br />
pubblicate sul proprio sito quanto, piuttosto, l'averlo fatto per <br />
scopo di lucro ed al di fuori del diritto di cronaca. <br />
Oggi le pagine di "Tiscali Arte" attraverso le quali le <br />
riproduzioni della discordia venivano diffuse al pubblico non sono <br />
più raggiungibili ma, attraverso la cache di Google ho dato <br />
un'occhiata <strong>alla</strong> struttura di quelle pagine che sembrerebbe <br />
ospitassero qualche icona ‐ probabilmente ingrandibile ma non <br />
credo riproducibile su tela, a olio o in alta definizione! ‐ di opere di <br />
pittori protagonisti di eventi e mostre in giro per l'Italia. <br />
Tutto qui? Non lo so ma prometto che cercherò di leggere <br />
la Sentenza e vi aggiornerò. <br />
Se così fosse, tuttavia, il problema sarebbe quello che mi <br />
sforzo di evidenziare sin da quando ‐ tra la fine dello scorso anno e <br />
l'inizio di questo ‐ il nostro Parlamento non ha trovato nulla di <br />
meglio da fare che occuparsi del degrado delle immagini <br />
pubblicate on‐line: occorre porre mano con urgenza <strong>alla</strong> disciplina <br />
delle utilizzazioni libere in <strong>Rete</strong>. <br />
Nel caso di specie, probabilmente, c'è poco da <br />
rimproverare al Giudice che ha applicato la legge così come a SIAE <br />
che ha svolto al meglio la sua funzione principale: tutelare i diritti <br />
dei propri rappresentati. <br />
E' la legge che va riscritta. <br />
Non si tutela la cultura digitale precludendo ad un <br />
provider ‐ piccolo o grande che sia ‐ di ospitare riproduzioni <br />
digitali ‐ necessariamente "degradate" rispetto agli originali ‐ al <br />
fine di pubblicizzare questa o quella mostra o, più semplicemente, <br />
di soddisfare la curiosità degli utenti circa il percorso artistico di <br />
questo o quel pittore. <br />
Ricominciamo a parlarne? In gioco c'è il futuro della <br />
cultura nella società dell'informazione. <br />
<br />
100
<br />
<br />
3. Copyright vs. Privacy <br />
Niente privacy, siete pirati! <br />
Il Caso Peppermint <br />
22 maggio 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?page_id=65 <br />
<br />
Il caso Peppermint è ormai noto al popolo della <strong>Rete</strong> e <br />
sembra inutile ripercorrerne nel dettaglio tutte le tappe. <br />
Ai fini delle brevi riflessioni giuridiche che seguono <br />
basterà ricordare che la storia ha avuto inizio da un’indagine <br />
condotta per conto di una piccola etichetta discografica tedesca, la <br />
Peppermint Jam Records Gmbh, da un’alttrettanto piccola agenzia <br />
investigativa svizzera, la Logistep AG, nei confronti di centinaia di <br />
migliaia di utenti ‐ non si conosce ancora il numero esatto ‐ delle <br />
più famose piattaforme di peer to peer. <br />
Tale attività nei mesi scorsi avrebbe consentito di <br />
individuare gli IP di circa 4000 utenti italiani che avrebbero reso <br />
disponibili nell’ambito dei circuiti del P2P alcuni brani musicali <br />
coperti da diritti d’autore della Peppermint. <br />
Muovendo da questo presupposto l’etichetta discografica <br />
tedesca ha chiesto al Tribunale di Roma, in via d’urgenza, ex 156 <br />
bis LDA156 bis LDA, di ordinare agli ISP che avevano in gestione <br />
gli IP di detti utenti di fornirle le generalità ed i recapiti di detti <br />
soggetti così da poter tutelare i propri diritti contro questi ultimi <br />
in sede giudiziaria. <br />
I Giudici del Tribunale di Roma hanno accolto tali richieste <br />
ordinando <strong>alla</strong> Telecom di comunicare <strong>alla</strong> Peppermint i <br />
nominativi ed i recapiti dei 4000 utenti. <br />
La Peppermint, ricevute dette informazioni, anziché <br />
avviare una dispendiosa serie di azioni legali contro i 4000 “pirati” <br />
ha fatto loro indirizzare da uno studio legale una lettera con la <br />
quale si propone di risolvere “bonariamente” la vicenda attraverso <br />
il pagamento di 330 Euro a fronte della rinuncia ad ogni azione sia <br />
in sede civile che penale. <br />
La vicenda solleva diversi dubbi e perplessità di ordine <br />
giuridico, tutti riconducibili ad un medesimo problema di fondo: <br />
l’esigenza di individuare un punto di equilibrio tra gli interessi dei <br />
titolari dei diritti d’autore e quelli degli utenti. <br />
Cominciamo dal principio. <br />
1. La Logistep AG ha trattato per settimane o forse mesi i <br />
dati personali di centinaia di migliaia di utenti di mezza Europa <br />
senza chiedere alcun consenso né prestare alcuna informativa. <br />
101
<br />
Le operazioni di monitoraggio poste in essere d<strong>alla</strong> <br />
Logistep AG si sono, almeno in parte, svolte sul territorio italiano <br />
con conseguente applicabilità della disciplian dettata dal Codice <br />
Privacy che non contempla la possibilità, per un soggetto privato, <br />
di porre in essere ‐ per di più attraverso strumenti automatizzati ‐ <br />
operazioni di trattamento di dati personali tanto ampie ed <br />
indiscriminate. <br />
Nessun dubbio, d’altra parte, può sussistere circa la <br />
circostanza che gli indirizzi IP acquisiti e catalogati d<strong>alla</strong> Logistep <br />
costituiscono dati personali degli utenti essendo agevolmente <br />
riconducibili <strong>alla</strong> loro identità. <br />
E’ da escludere, d’altra parte, che l’attività posta in essere <br />
d<strong>alla</strong> società svizzera rientri nella deroga di cui all’art. 24 del <br />
Codice Privacy che permette il trattamento di dati personali “per <br />
far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i <br />
dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo <br />
strettamente necessario al loro perseguimento”. <br />
Né la Logistep né la Peppermint, infatti, hanno ‐ almeno <br />
sino a questo momento ‐ utilizzato i dati raccolti per far valere “un <br />
diritto in sede giudiziaria”. <br />
La condotta delle due società, peranto, ribalta palesemente <br />
illecita sotto il profilo della vigente disciplina in materia di <br />
riservatezza. <br />
2. La Peppermint, peraltro, sta attualmente trattando dei <br />
dati personali dei 4000 utenti “spiati” d<strong>alla</strong> Logistep, nuovi ed <br />
autonomi rispetto a quelli originariamente acquisiti da <br />
quest’ultima. <br />
Tali dati, infatti, son oil risultato del data matching tra gli <br />
indirizzi IP, le informazioni relative alle pretese violazioni dei <br />
propri diritti d’autore ed i nominativi dei titolari delle utenze <br />
telefoniche corrispondenti a detti IP comunicatile d<strong>alla</strong> Telecom. <br />
E’ facile ipotizzare che molti di tali dati non siano corretti <br />
in quanto non sempre il titolare dell’utenze telefonica individuato <br />
attraverso la Telecom coinvciderà anche con il soggetto che ‐ <br />
secondo I dati acquisiti d<strong>alla</strong> Logistep ‐ avrebbe utilizzato una <br />
piattaforma di peer to peei attraverso un certo indirizzo IP. <br />
Sotto tale profilo, il trattamento che la Peppermint sta <br />
attualmente ponendo in essere, appare evidentemente illecito. <br />
3. Detto trattamento, d’altra parte, al pari di quello <br />
originariamente posto in essere ‐ e forse non ancora esauritosi ‐ <br />
della Logistep, avrebbe dovuto essere notificato al Garante ai sensi <br />
dell’art. 37, lett. D) del Codice privacy. <br />
L’omessa notifica al Garante, ai sensi dell’art. 163 del <br />
Codice comporta per il trasgressore una sanzione da 10 a 60 mila <br />
Euro. <br />
102
<br />
4. Le decisioni rese dal Tribunale di Roma sulla vicenda, <br />
dal canto loro, non appaiono scevre da errori ed equivoci <br />
interpretativi e sembrano porsi in contrasto con la disciplina <br />
europea in conformità <strong>alla</strong> quale, a leggere quanto scritto dai <br />
Giudici, invece essi avrebbero inteso interpretare la disciplina <br />
vigente. <br />
I Giudici del Tribunale di Roma, infatti, hanno ordinato <strong>alla</strong> <br />
Telecom di fornire <strong>alla</strong> Peppermint i dati dei 4000 utenti sulla base <br />
di quanto disposto dall’art. 156 bis della Legge sul diritto d’autore, <br />
secondo il quale “qualora una parte abbia fornito seri elementi dai <br />
quali si possa ragionevolmente desumere la fondatezza delle <br />
proprie domande ed abbia individuato documenti, elementi o <br />
informazioni detenuti d<strong>alla</strong> controparte che confermino tali indizi, <br />
essa può ottenere che il giudice ne disponga l'esibizione oppure <br />
che richieda le informazioni <strong>alla</strong> controparte. Può ottenere altresì, <br />
che il giudice ordini <strong>alla</strong> controparte di fornire gli elementi per <br />
l'identificazione dei soggetti implicati nella produzione e <br />
distribuzione dei prodotti o dei servizi che costituiscono <br />
violazione dei diritti di cui <strong>alla</strong> presente legge.” <br />
L’art. 156 bis LDA è stato, tuttavia, introdotto nel nostro <br />
Ordinamento in attuazione dell’art. 8 della Direttiva 2004/48/CE <br />
del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sul <br />
rispetto dei diritti di proprietà intellettuale secondo il quale “Gli <br />
Stati membri assicurano che, nel contesto dei procedimenti <br />
riguardanti la violazione di un diritto di proprietà intellettuale e in <br />
risposta a una richiesta giustificata e proporzionata del <br />
richiedente, l’autorità giudiziaria competente possa ordinare che <br />
le informazioni sull’origine e sulle reti di distribuzione di merci o <br />
di prestazione di servizi che violano un diritto di proprietà <br />
intellettuale siano fornite dall’autore della violazione e/o da ogni <br />
altra persona che: <br />
(omissis) <br />
c) sia stata sorpresa a fornire su scala commerciale servizi <br />
utilizzati in attività di violazione di un diritto; <br />
(omissis)”. <br />
L’art. 156 bis LDA, interpretato <strong>alla</strong> luce della richiamata <br />
disposizione della Direttiva UE, induce a ritenere che il Tribunale <br />
di Roma ha errato nell’ordinare a Telecom di fornire <strong>alla</strong> <br />
Peppermint i dati dei 4000 utenti, nell’ambito di un procedimento <br />
d’urgenza celebratosi in assenza di questi ultimi e, soprattutto, <br />
“non riguardante la violazione di un diritto di proprietà <br />
intellettuale” così come previsto nella disciplina Europea. <br />
Egualmente errata si presenta la decisione dei Giudici <br />
romani laddove hanno individuato in Telecom la “controparte” <br />
103
<br />
della Peppermint nonché un soggetto “sorpreso a fornire su scala <br />
commerciale servizi utilizzati in attività di violazione di un diritto. <br />
Su di un piano funzionale, infatti, la posizione di Telecom <br />
si pone in rapporto <strong>alla</strong> pretesa violazione dei diritti d’autore allo <br />
stesso modo di quella del produttore del sistema operativo <br />
utilizzato dagli utenti o, piuttosto, della società costruttrice del PC. <br />
L’attività di tali soggetti, infatti, ha consentito agli utenti di <br />
accedere ad una piattaforma di peer to peer. <br />
5. Poche sintetiche riflessioni, infine, merita la <br />
comunicazione ricevuta dai 4000 presunti “pirati” italiani nella <br />
quale ‐ giocando se non sull’equivoco almeno sull’ambiguità ‐ si <br />
mira a consentire all’etichetta discografica tedesca di portare a <br />
casa, in pochi giorni, utili probabilmente superiori a quelli raccolti <br />
nell’ultimo anno. <br />
Nella lettera, innanzitutto, si lascia intendere agli utenti <br />
che se pagheranno l’importo richiesto potranno dormire sonni <br />
tranquilli al riparo da azioni civili o penali. <br />
Sfortunatamente per gli utenti, tuttavia, il reato loro <br />
contestato ‐ messa a disposizione di opere protette dal diritto <br />
d’autore attraverso internet ‐ è procedibile d’ufficio con la <br />
conseguenza che, a prescindere da ogni iniziativa della Peppermint <br />
essi corrono, comunque, il rischio di verdersi trascinare davanti ad <br />
un giudice penale. <br />
Un altro aspetto della lettera che proprio non convince è la <br />
sicurezza manifestata dai legali della Peppermint circa la <br />
“colpevolezza” del destinatario in relazione alle condotte <br />
contestategli e circa l’affidabilità dei risultati acquisiti attraverso <br />
l’utilizzo del software della Logistep. <br />
Al riguardo sembra appena il caso di ricordare che l’esser <br />
titolari di un’utenza telefonica collegata ad un indirizzo IP <br />
asseritamente utilizzato per diffondere via internet qualche brano <br />
musicale non è sufficiente per sentirsi condannare al risarcimento <br />
del danno che un’etichetta discografica assume di aver sofferto né, <br />
tantomeno, per vedersi infliggere qualsivoglia sanzione penale. <br />
Egualmente che i dati raccolti d<strong>alla</strong> Logistep attraverso il <br />
proprio softwate possano spiegare una qualche efficacia <br />
nell’ambito di un giudizio civile o penale nel nostro Paese, è <br />
circostanza tutta da verificare <strong>alla</strong> stregua, tra l’altro, della vigente <br />
disciplina in materia di documento informatico. <br />
La difesa della proprietà intellettuale costituisce uno dei <br />
pilastri della società dell’informazione ma occorre garantirla nel <br />
rispetto dei diritti fondamentali degli utenti. <br />
<br />
Proprietà intellettuale vs. privacy <br />
13 maggio 2007 <br />
104
<br />
http://www.guidoscorza.it/?p=63 <br />
<br />
Non mi stancherò mai di ripetere che la disciplina sul <br />
diritto d’autore è una cosa seria e che ad essa è, in larga misura, <br />
affidata la crescita del patrimonio culturale di ogni Paese… <br />
Guai, tuttavia, a dimenticare che la proprietà intellettuale – <br />
specie se considerata sotto il profilo patrimoniale ‐ deve <br />
necessariamente cedere il passo davanti ai diritti fondamentali <br />
degli utenti. <br />
La vicenda che vede coinvolte la Peppermint Jam Records, <br />
la Telecom e 4000 utenti italiani e che sta dividendo il popolo della <br />
<strong>Rete</strong> è esemplare di un modo sbagliato di intendere il rapporto tra <br />
titolari dei diritti patrimoniali d’autore ed utenti. <br />
Qualche mese fa, la Peppermint Jam Records scopre <br />
attraverso un software le cui dinamiche di funzionamento non <br />
sono ancora chiare che circa 4000 utenti italiani avrebbero <br />
condiviso attraverso piattaforme di P2P opere musicali di sua <br />
“proprietà”, ne identifica gli IP e poi chiede al Tribunale di Roma di <br />
ordinare <strong>alla</strong> Telecom di fornirle nominativi ed indirizzi dei 4000 <br />
utenti. <br />
Il Tribunale di Roma accoglie il ricorso della Peppermint <br />
sulla base di quanto disposto dal nuovo art. 156 bis LDA ed ordine <br />
a Telecom di comunicare <strong>alla</strong> ricorrente i dati richiestile. <br />
Qualche giorno fa uno studio legale di bolzano indirizza <br />
una lettera ai 4000 utenti nella quale chiede loro di provvedere al <br />
pagamento di 330 euro allo scopo di evitare di essere denunciati in <br />
sede penale per l’illecito commesso. <br />
L’ordinanza del Tribunale di Roma è, probabilmente, <br />
corretta su di un piano rigorosamente giuridico in quanto <br />
attraverso essa è stata data piana attuazione <strong>alla</strong> disciplina di <br />
recente introdotta nel nostro Ordinamento all’art. 156 LDA. <br />
Dubbi e perplessità forti, tuttavia, solleva tale disposizione <br />
e la condotta posta in essere d<strong>alla</strong> Peppermint. <br />
E’ giusto comprimere così tanto il diritto <strong>alla</strong> privacy dei <br />
cittadini al fine di consentire ad un imprenditore di recuperare <br />
qualche migliaio di euro di corrispettivi per diritti d’autore? <br />
La mia risposta e no. La Vostra? <br />
<br />
<br />
La giustizia privata del titolare dei diritti. <br />
19 maggio 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=67 <br />
<br />
Il caso Peppermint è sintomatico di quanto urgente sia <br />
divenuto affrontare il problema della tutela dei diritti di proprietà <br />
105
<br />
intellettuale in una prospettiva diversa rispetto a quella che a sin <br />
qui ispirato gli interventi legislativi in ambito europeo e nazionale: <br />
quella del contemperamento degli interessi tra titolari dei diritti e <br />
diritti ‐ almeno fondamentali ‐ degli utenti. <br />
Nelle scorse settimane il popolo della <strong>Rete</strong>, le associazioni <br />
dei consumatori, politici illuminati e giuristi insigni avevano <br />
lanciato un grido se non di <strong>alla</strong>rme, almeno di viva preoccupazione <br />
per il rischio che attraverso la proposta di direttiva IPRED 2, <br />
riconoscendo ai titolari dei diritti la possibilità di cooperare nelle <br />
indagini si aprisse la strada, nel nostro Ordinamento, a forme di <br />
giustizia privata.Quanto accaduto nella vicenda Peppermint e le <br />
indagini condotte per mesi d<strong>alla</strong> Logistep Ag ‐ società investigativa <br />
svizzera ‐ dimostra che quell’<strong>alla</strong>rme non è futuro ma attuale e che, <br />
sfortunatamente, forme di giustizia privata si stanno sviluppando <br />
nel nostro Ordinamento sfruttando le innegabili ambiguità <br />
presenti nella disciplina della materia e ‐ occorre riconoscerlo con <br />
franchezza ‐ un inaccettabile formalismo da parte della <br />
Magistratura ordinaria che, almeno quando in gioco ci sono diritti <br />
fondamentali dei consumatori ed utenti ‐ dovrebbe il coraggio di <br />
andare al di là della lettera della norma. <br />
Mentre scrivo questo post mi fanno notare che il logo della <br />
Logistep ‐ quello raffigurato in apertura di questo Blog ‐ è il <br />
celebre batarang di Batman… <br />
La Logistep sta violando i diritti di proprietà intellettuale <br />
della Warner? <br />
Pare di si ma il punto è un altro. <br />
Batman, come è noto al grande pubblico, rappresenta una <br />
delle più riuscite incarnazioni del giustiziere privato che i suoi <br />
creatori hanno voluto agisca sempre in nome del bene e di <br />
interessi collettivi…Batman a parte ‐ o forse Batman compreso se <br />
non fosse solo un film ‐ la giustizia privata è uno dei fenomeni più <br />
pericolosi per la stabilità e l’equilibrio di un Paese <br />
democratico.Come si può, d’altra parte, chiedere a tanti genitori di <br />
attendere anni perché giustizia sia fatta per la perdita di un figlio <br />
in un incidente stradale provocato da un pirata della strada ed <br />
autorizzare poi il titolare dei diritti ‐ per pochi euro di preteso <br />
pregiudizio sofferto ‐ ad indagare da solo, spiare centinaia di <br />
migliaia di utenti e minacciarli in caso di mancata accettazione di <br />
un’iniqua e sbilanciata proposta transattiva? <br />
Dobbiamo continuare a parlarne per non abbassare la <br />
guardia… <br />
<br />
Non ci siamo! <br />
17 maggio 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=64 <br />
106
<br />
<br />
Torno sul caso Peppermint c. Telecom perché a distanza di <br />
ormai molti giorni da quando la notizia è rimbalzata in <strong>Rete</strong> i <br />
media tradizionali e le Istituzioni sembrano rimanere sorde <br />
all’appello del popolo della <strong>Rete</strong>. <br />
Giornali e televisioni hanno sostanzialmente ignorato la <br />
notizia mentre il Garante per il trattamento dei dati personali e la <br />
riservatezza è rimasto a gurdare… <br />
E pensare che l’Ufficio che fu di Stefano Rodotà negli ultimi <br />
mesi è invece intervenuto con incredibile solerzia a tutelare il <br />
diritto <strong>alla</strong> privacy di poco onorevoli Onorevoli “beccati” dalle Iene <br />
con il naso sporco di droga all’uscita del Parlamento e del Cavalier <br />
Berlusconi impegnato a dar prova di senile virilità con un pollaio <br />
di aspiranti “Letterine” o ‐ ma ormai fa lo stesso ‐ Onorevoli! <br />
Il problema è che nessuno interviene perché tutti <br />
muovono dal presupposto che gli utenti “spiati” sono “pirati”! <br />
Non ci siamo! Saranno anche Pirati ma un’etichetta <br />
discografica tedesca, in collaborazione con una società <br />
investigativa svizzera ha travolto il loro diritto <strong>alla</strong> Privacy…non si <br />
può restare a guardare. <br />
E’ una questione di civiltà giuridica e libertà fondamentali. <br />
Se hanno violato i diritti di proprietà intellettuali di questa <br />
o quell’etichetta pagheranno…ma questa non è una buona ragione <br />
per sospenderli dai diritti fondamentali che spettano a tutti i <br />
cittadini italiani. <br />
Li riconosciamo ogni giorno ad Onorevoli ladri, corrotti e <br />
corruttori, a mafiosi ed assassini. Un uploader di qualche bit di <br />
musica ha meno diritti? <br />
<br />
Soffia un vento nuovo sul Caso Peppermint <br />
30 maggio 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=86 <br />
<br />
In un articolo di questa mattina su Il Sole 24 Ore, Giovanni <br />
Buttarelli, Segretario Generale del Garante per il trattamento dei <br />
dati personali e della riservatezza conferma il fondamento dei <br />
dubbi e delle perplessità avanzate nelle ultime settimane a <br />
proposito del trattamento massiccio di dati personali svolto d<strong>alla</strong> <br />
Logistep, d<strong>alla</strong> Peppermint e d<strong>alla</strong> Techland in danno di decine di <br />
migliaia di utenti di piattaforme di peer to peer. <br />
L’intervento del Garante nei nuovi procedimenti pendenti <br />
dinanzi al Tribunale di Roma d<strong>alla</strong> Peppermint e d<strong>alla</strong> Techland, la <br />
lettera indirizzata nei giorni scorsi all’On. Fiorello Cortina ed ora <br />
l’articolo di Giovanni Buttarelli su Il Sole 24 ore…sembra che il <br />
vento stia cambiando e che nei prossimi giorni saranno “le <br />
107
<br />
compagne di merenda” a dover essere preoccupate nel sentir <br />
suonare il postino <strong>alla</strong> loro porta… <br />
Adesso tocca ad utenti e consumatori fare la loro parte, <br />
non “piegarsi” alle richieste dei legali della Peppermint e della <br />
Techland (se e quando arriveranno) e far valere i loro diritti in <br />
tutte le competenti sedi. <br />
Questa storia, sin qui, ha insegnato che “alzando la voce” in <br />
<strong>Rete</strong>, se si ha ragione, qualcosa si ottiene. <br />
<br />
Logistep/Il Garante Svizzero ed il Gruppo Art. 29 <br />
17 giugno 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=106 <br />
<br />
Nessuna novità nel senso tecnico del termine ma un <br />
approfondimento forse utile a chi sta seguendo la vicenda: la <br />
posizione del Garante Svizzero per il trattamento dei dati <br />
personali e la trasparenza sui rapporti tra tutela dei diritti di <br />
proprietà intellettuale e diritto <strong>alla</strong> privacy 47 e quella espressa, <br />
ormai nel lontano gennaio 2005, dal Gruppo Art. 29 dei Garanti <br />
Europei 48. <br />
Da entrambi i documenti emergono con chiarezza i dubbi <br />
e le perplessità che da mesi il popolo della <strong>Rete</strong> ‐ ora ascoltato ed <br />
ora non ascoltato ‐ solleva con forza… <br />
Peccato che benché da tempo ci si fosse resi conto <br />
dell'esigenza di individuare per legge un punto di equilibrio tra i <br />
contrapposti diritti ed interessi, il legislatore non abbia trovato il <br />
tempo di fare il suo dovere…forse, eccezion fatta per quello <br />
francese. <br />
Nella posizione del Gruppo Art. 29 vi segnalo in <br />
particolare il convincimento espresso dai Garanti Europei nel <br />
senso di ritenere che la Direttiva IPRED 1 non contenga deroghe <br />
<strong>alla</strong> disciplina in materia di trattamento di dati personali. <br />
Perché abbiamo enti istituiti per Legge a tutela di certi <br />
diritti che lanciano <strong>alla</strong>rmi ce restano inascoltati? <br />
<br />
Lo sciopero della ragione. <br />
23 giugno 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=110 <br />
<br />
<br />
47 La posizione è pubblicata a questa URL: <br />
http://www.edoeb.admin.ch/themen/00794/01124/01126/01127/index.html?la<br />
ng=it <br />
48 La posizione del Gruppo art. 29 è pubblicata a questa URL: <br />
http://ec.europa.eu/justice_home/fsj/privacy/docs/wpdocs/2005/wp104_fr.pdf <br />
108
<br />
Sono sempre stato un fiero sostenitore della cultura <br />
giuridica italiana ed ho sempre creduto che ‐ nonostante tante <br />
storture ‐ avessimo più da insegnare che da apprendere ma, la <br />
decisione resa nei giorni scorsi dal Giudice Lorenzo F. Garcia della <br />
Corte Federale del New Mexico in una vicenda giudiziaria analoga <br />
all'ormai celebre Caso Peppermint mi ha indotto a ricredermi… <br />
Richiesto, in via d'uregenza, di ordinare ad un'Università <br />
di comunicare <strong>alla</strong> RIIA ‐ l'associazione delle Major di oltreoceano ‐ <br />
i nominativi di alcuni studenti rei di aver condiviso brani musicali <br />
attraverso una piattaforma di P2P il Giudice Garcia ha respinto tale <br />
istanza sostenendo che sarebbe stato necessario "uno sciopero <br />
della ragione" per ritenere sussistente, in un caso del genere, il <br />
requisito dell'urgenza necessario ad emettere l'ordine richiesto. <br />
Secondo il Giudice americano, infatti, il danno lamentato <br />
dai discografici avrebbe natura patrimoniale e sarebbe, in quanto <br />
tale, sempre riparabile. <br />
Anche l'Ordinamento italiano richiede ai fini <br />
dell'emissione dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c. sin qui emessi <br />
dal Tribunale di Roma in favore della Peppermint e dei suoi <br />
compagni di merenda la sussistenza del c.d. periculum in mora <br />
ovvero di un pregiudizio imminente ed irreparabile che il <br />
ricorrente correrebbe qualora la sua istanza non venisse accolta… <br />
La ragione dei Giudici italiani, tuttavia ‐ per usare le parole <br />
di Garcia ‐ era evidentemente in scipero nel momento in cui hanno <br />
emesso i richiesti provvedimenti cautelari… <br />
Non c'è e non c'era nessuna urgenza nel soddisfare le <br />
richieste della Peppermint né, tale urgenza, poteva essere <br />
rntracciata nella circostanza che gli ISP avrebbero provveduto <strong>alla</strong> <br />
cancellazione dei dati…per porsi al riparo da tale rischio, infatti, <br />
sarebbe stato sufficiente ordinare a questi ultimi di conservarli! <br />
La famosa transazione proposta d<strong>alla</strong> Peppermint ai <br />
consumatori poteva attendere mentre il rispetto del diritto <strong>alla</strong> <br />
privvacy di questi ultimi avrebbe richiesto più attenta <br />
valutazione… <br />
L'augurio, a questo punto, è che nei successivi <br />
procedimenti qualcuno ricordi ai Giudici romani il monito del <br />
collega americano e la necessità di prestare maggiore attenzione <br />
nell'accogliere una domanda in via d'urgenza se…l'urgenza non <br />
esiste! <br />
<br />
Lo sciopero della ragione dilaga in Europa. <br />
8 luglio 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=116 <br />
<br />
109
<br />
Qualche settimana fa ho dedicato un post allo “sciopero <br />
della ragione” dei giudici italiani nel caso Peppermint. <br />
A leggere una recente decisione dei magistrati francesi <br />
della Corte d’Appello di Parigi temo, tuttavia, di dover prendere <br />
atto che lo sciopero della ragione nella magistratura europea stia <br />
dilagando… 49 <br />
I Giudici francesi, infatti, pronunciandosi in un <br />
procedimento promosso contro un soggetto reo di aver condiviso <br />
opere protette da diritto d’autore attraverso una piattaforma di <br />
P2P ed identificato attraverso il proprio indirizzo IP, hanno <br />
affermato che detto indirizzo non costituirebbe un dato personale <br />
non essendo suscettibile di consentire l’identificazione di una <br />
persona ma più semplicemente di una macchina. <br />
La decisione rischia di legittimare Peppermint ed i suoi <br />
compagni di merenda a proseguire nella loro attività di spionaggio <br />
di massa ma è giuridicamente inaccettabile. <br />
L’indirizzo IP è un dato personale in quanto esso consente <br />
l’individuazione di una persona fisica ovvero del suo assegnatario. <br />
Che poi tale persona sia un soggetto diverso all’autore di <br />
una determinata condotta e che l’IP non consenta di identificarlo, <br />
questo mi sembra sia un altro discorso. <br />
Come si fa in un procedimento intentato contro un <br />
soggetto identificato attraverso il tracciamento di un indirizzo IP a <br />
sostenere che tale indirizzo non consente di identificare una <br />
persona? <br />
Non capisco… <br />
Ma lo sciopero della ragione dilaga anche in Belgio dove i <br />
giudici ‐ in una sorta di viaggio nel tempo ‐ hanno riaffermato la <br />
responsabilità degli ISP per i contenuti condivisi in rete dagli <br />
utenti ed ordinato ad uno di essi di predisporre dei sistemi di <br />
filtraggio per evitare tali condotte… 50 <br />
Da non crederci! La non responsabilità degli ISP per le <br />
condotte riconducibili ai propri utenti è una delle più importanti <br />
conquiste di civiltà giuridica del diritto dell’Internet dell’ultimo <br />
decennio. <br />
Parliamone. <br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
49 Il testo integrale della decisione è pubblicato a questa URL: <br />
http://www.legalis.net/jurisprudence‐decision.php3?id_article=1955 <br />
50 Cfr. Post successivi. <br />
110
Oltre Peppermint: travolti i diritti fondamentali dei cittadini <br />
elettronici. <br />
20 luglio 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=127 <br />
<br />
Mentre il popolo della <strong>Rete</strong> (me compreso) guardava al <br />
caso Peppermint e tentava di salvaguardare il diritto <strong>alla</strong> privacy <br />
di migliaia di cittadini posto a repentaglio da un'azzardata <br />
iniziativa a tutela di qualche migliaia di euro di diritti di proprietà <br />
intellettuale, i Giudici del Tribunale di Bruxelles travolgevano, <br />
tutto d'un colpo, i diritti fondamentali (non solo <strong>alla</strong> privacy ma <br />
anche e soprattutto <strong>alla</strong> libertà di manifestazione del pensiero) di <br />
milioni di utenti europei pronunciando un provvedimento con il <br />
quale, per la prima volta nella storia dell'internet civile (o <br />
presunto tale) si ordina ad un ISP di adottare misure tecniche di <br />
filtraggio al fine di impedire lo scambio di materiale protetto da <br />
diritto d'autore nell'ambito delle piattaforme di Peer to Peer. <br />
Il contenuto della decisione ed i principi che vi sono <br />
stabiliti non possono non suscitare più che stupore indignazione 51. <br />
I Giudici, infatti, nella piena consapevolezza maturata <br />
all'esito di una consulenza tecnica d'ufficio che non esistono allo <br />
stato tecnologie idonee a garantire una puntuale attività di <br />
filtraggio tra condivisione di files leciti ed illeciti e che, pertanto, <br />
l'adozione di una simile tecnologia finirà, inesorabilmente, con il <br />
precludere a milioni di utenti la condivisione di contenuti non <br />
protetti da alcuna privativa, sono comunque giunti <strong>alla</strong> <br />
conclusione di ordinare <strong>alla</strong> SA Scarlet (già SA Tiscali) di dotarsi <br />
entro sei mesi del sistema di filtraggio Audible Magic idoneo, <br />
sebbene con una certa approssimazione (sic!), a filtrare le opere <br />
musicali presenti nel repertorio della SABAM, la società di <br />
intermediazione dei diritti d'autore belga. <br />
Nel provvedimento i Giudici scrivono a chiare lettere che <br />
la circostanza che detta misura tecnica rischierebbe di precludere <br />
la condivisione di contenuti leciti non può valere a far rinunciare <br />
<strong>alla</strong> possibilità di far cessare condotte di violazione dei diritti <br />
d'autore attraverso la sua adozione. <br />
Ma, i giudici belgi, si spingono oltre ed affermano che <br />
sarebbe difficile comprendere "in cosa il software di filtraggio <br />
violerebbe il diritto <strong>alla</strong> segretezza della corrispondenza o <strong>alla</strong> <br />
libertà di manifestazione del pensiero". <br />
Siamo davanti ‐ o almeno questo è il mio convincimento ‐ <br />
<strong>alla</strong> più grande operazione di web‐censura della storia ed è <br />
<br />
<br />
51 Il testo integrale della decisione è pubblicato a questa URL: <br />
http://www.juriscom.net/jpt/visu.php?ID=939 <br />
111
<br />
urgente intervenire prima che certe idee si radichino in altri Paesi <br />
Europei. <br />
Se esistesse una tecnologia per rendere impossibile agli <br />
utenti condividere SOLO files protetti ad altrui diritti d'autore in <br />
modo non autorizzato, sarei il primo a suggerirne l'adozione ma <br />
sin tanto che non sarà così, una sola parola libera censurata in una <br />
piattaforma di peer to peer vale più di milioni di brani musicali <br />
scambiati illegalmente… <br />
<br />
Filtro e a capo! <br />
28 ottobre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=369 <br />
<br />
Come ricorderanno i lettori più affezionati nel giugno del <br />
2007 il Tribunale di Bruxelles, accogliendo un ricorso in tal senso <br />
proposto d<strong>alla</strong> Sabam ‐ la SIAE belga ‐ aveva ordinato <strong>alla</strong> Scarlet ‐ <br />
uno dei più grandi ISP del Belgio ‐ di adottare, peraltro a proprie <br />
spese, un complesso sistema di filtraggio affinché i propri utenti <br />
non utilizzassero la connettività da essa fornita per condividere, <br />
comunicare e diffondere materiale protetto da diritto d'autore. <br />
Con la stessa decisione i Giudici avevano, inoltre, imposto <br />
<strong>alla</strong> Scarlet una penale piuttosto salata per ogni giorno di ritardo ‐ <br />
superiore ai sei mesi concessile ‐ con il quale essa avrebbe <br />
implementato la citata soluzione. <br />
All'epoca nel commentare la notizia scrivevo che la <br />
decisione era un brutto esempio di inciviltà giuridica perché in <br />
nome della tutela dei diritti patrimoniali d'autore di pochi si <br />
accettava il rischio ‐ attraverso il filtraggio ‐ di travolgere diritti <br />
fondamentali di molti. <br />
E' per questo che ho salutato con soddisfazione la notizia <br />
secondo la quale, il 22 ottobre scorso, lo stesso Tribunale, <br />
accogliendo un'istanza in tal senso proposta d<strong>alla</strong> Scarlet, ha preso <br />
atto che le soluzioni di filtraggio cui questa ha lavorato ‐ con i <br />
fornitori impostile nella citata decisione ‐ si sono, sin qui, rilevate <br />
inadeguate a risolvere il problema o perché filtravano <br />
indebitamente contenuti legalmente comunicati dagli utenti o <br />
perché non riconoscevano adeguatamente le impronte dei <br />
contenuti digitali protetti da diritti d'autore. <br />
Il Giudice, con lo stesso provvedimento, ha anche sollevato <br />
la Scarlet dall'obbligo di pagamento delle penali, riconoscendo che, <br />
evidentemente, l'impossibilità di attuare l'ordine a suo tempo <br />
indirizzatole non dipende d<strong>alla</strong> propria cattiva volontà né d<strong>alla</strong> <br />
mancanza di buona fede ma, piuttosto, da un limite tecnologico <br />
che, allo stato, appare difficilmente superabile. <br />
112
<br />
Filtro e a capo, direi…con la speranza che Lorsignori <br />
abbandonino definitivamente l'idea che filtrare sia la soluzione per <br />
risolvere i mali della cultura digitale. <br />
<br />
Vittoria! <br />
16 luglio 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=125 <br />
<br />
Il Tribunale di Roma, Giudice Dr.ssa Antonella Izzo ha <br />
respinto ‐ o così sembrerebbe dalle prime informazioni disponibili <br />
presso la cancelleria ‐ il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto d<strong>alla</strong> <br />
Techland SP ZO.O contro la Telecom Italia S.p.A. per l'ostensione <br />
dei nominativi di migliaia di utenti che avrebbero condiviso via <br />
P2P un celebre videogame prodotto d<strong>alla</strong> società polacca. <br />
Si tratta di uno dei primi procedimenti cautelari, <br />
nell'ambito dell'ormai famoso Caso Peppermint & C., nel quale il <br />
Garante per la Privacy, raccogliendo l'invito raccolto dal popolo <br />
della <strong>Rete</strong>, dagli addetti ai lavori e dalle associazioni dei <br />
consumatori, era intervenuto. <br />
Non conosco ancora il contenuto del provvedimento ma <br />
tutto lascia ritenere che il magistrato abbia fatto proprie le <br />
eccezioni sollevate dall'Avvocatura dello Stato per conto del <br />
Garante. <br />
Speriamo che sia così per poter gridare:‐ "Giustizia è <br />
fatta!". <br />
<br />
Giustizia è fatta: la privacy ha vinto! <br />
24 luglio 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=129 <br />
<br />
La lettura del provvedimento reso nei giorni scorsi dal <br />
Tribunale di Roma nel procedimento promosso d<strong>alla</strong> Peppermint e <br />
d<strong>alla</strong> Techland contro la Wind dissipa ogni dubbio circa le <br />
motivazioni che hanno determinato la disfatta dei titolari dei <br />
diritti e la vittoria degli utenti. <br />
Nell'Ordinanza il Dr. Costa del Tribunale di Roma ‐ facendo <br />
sue le eccezioni difensive sollevate dall'Ufficio del Garante per la <br />
Privacy ‐ scrive a chiare lettere che la Logistep ha trattato <br />
illecitamente i dati di migliaia di utenti facendosi <br />
ingiustificatamente schermo dell'art. 24 del Codice privacy e che, <br />
pertanto, detti dati (gli IP degli utenti) non avrebbero dovuto <br />
essere utilizzati in alcuna sede ivi inclusa quella giudiziaria. <br />
Nel provvedimento, peraltro, il Giudice chiarisce in modo <br />
esemplare che, egualmente, Peppermint e Techland ‐ anche a <br />
presciondere dall'origine dei dati acquisiti ‐ non hanno alcun <br />
diritto, <strong>alla</strong> stregua di quanto disposto d<strong>alla</strong> vigente disciplina in <br />
113
<br />
materia di privacy nelle comunicazioni elettroniche, di ottenere <br />
dai providers i dati personali dei propri utenti. <br />
Si tratta, ovviamente, solo di un provvedimento cautelare <br />
che non ha un peso maggiore di quelli sin qui resi dallo stesso <br />
Tribunale di Roma con i quali erano stati accolti i ricorsi della <br />
Peppermint ma, certamente, il rigore del ragionamento sviluppato <br />
nella motivazione dell'Ordinanza e la circostanza che, per la prima <br />
volta, il Giudice abbia avuto la possibilità di considerare le ragioni <br />
della Privacy sostenute dall'Ufficio del Garante, lascia ben sperare. <br />
Peppermint & C. ora sono avvertiti: le loro accuse <br />
all'indirizzo di migliaia di utenti sono fondate su dati che, domani ‐ <br />
un giudice penale o civile che sia ‐ con ogni probabilità <br />
dichiarerebbe radicalmente inutilizzabili. <br />
Buona giornata a tutti! <br />
<br />
Chi sono i pirati portati <strong>alla</strong> sbarra d<strong>alla</strong> Peppermint. <br />
27 luglio 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=132 <br />
<br />
Ho già scritto ed è stato già scritto in modo assai più <br />
Autorevole che uno degli aspetti più sconvolgenti del caso <br />
Peppermint è il presupposto da cui muovono gli accusatori <br />
secondo il quale i titolari della linea telefonica sarebbero i pirati da <br />
portare <strong>alla</strong> sbarra, persone che non avrebbero diritto <strong>alla</strong> privacy <br />
avendo gravemente violato i diritti d'autore su qualche bit di <br />
musica così e così distribuita dall'etichetta teutonica… <br />
Negli ultimi mesi ho raccolto direttamente ed attraverso <br />
gli amici di Altroconsumo decine di segnalazioni di presunti Pirati <br />
poco pirati. <br />
Ve ne racconto qualcuno un pò per far sorridere ed un pò <br />
per far cogliere la gravità dell'errore nel quale sono incorsi in casa <br />
Peppermint sovrapponendo il concetto di titolare di un'utenza <br />
telefonica e di utente di una piattaforma di Peer to peer… <br />
I nomi, a proposito di privacy, mi è sembrato opportuno <br />
mascherarli… <br />
(A) Ci sono, Alfa e Beta, padre e figlio: entrambi destinatari <br />
di una comunicazione del collega Otto. Il primo è intestatario di un <br />
contratto ADSL mentre il secondo è minorenne e, ovviamente, non <br />
è intestatario di alcuna linea telefonica! Da dove salta fuori il nome <br />
di Beta? Coma hanno fatto in casa Peppermint a disporre anche di <br />
questo nome? <br />
(B) C'è Gamma, non vedente ma titolare di una linea <br />
telefonica. Un altro pirata che, sfortunatamente per lui non utilizza <br />
piattaforme di Peer to peer. <br />
114
<br />
(C) C'è Delta che ha da poco perso il padre e che si è visto <br />
recapitare una delle migliaia di lettere firmate dal buon Otto nelle <br />
quali si da del pirata a suo padre… <br />
Ci sarebbe di che ridere se..non ci fosse da piangere per la <br />
superficialità ed il pressapochismo che ha contraddistinto <br />
l'iniziativa dei titolari dei diritti. <br />
Se il Garante ‐ come appare probabile ‐ confermerà che la <br />
condotta della Peppermint è stata illecita…credo che dovremo <br />
iniziare a pensare tutti insieme ad un lauto risarcimento da <br />
chiedere ai signori della casa discografica teutonica ed ai loro <br />
campagni di (video)gioco… <br />
Magari potremmo proporgli una transazione: distribuire <br />
musica gratuitamente per i prossimi 5 anni e impegnarsi a non <br />
ripetere certe brutte esperienze di schedatura di massa. <br />
Ci rivolgiamo ad un legale esperto di transazioni? Avete un <br />
nome da suggerirmi? <br />
<br />
Caso Peppermint: Giustizia è fatta…anzi quasi fatta. <br />
13 marzo 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=272 <br />
<br />
Il Garante della Privacy con un bel provvedimento <br />
pubblicato qualche ora fa ha scritto la parola fine ‐ o quasi fine ‐ al <br />
Caso Peppermint statuendo che la Peppermint Jam Records Gmbh, <br />
la Techlans sp.z.o.o e la Logistep Ag hanno illegittimamente <br />
trattato i dati personali di migliaia di utenti italiani delle <br />
piattaforme di peer to peer 52. <br />
<br />
52 Il testo integrale del provvedimento pronunciato dal Garante: <br />
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI <br />
NELLA riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del <br />
dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. <br />
Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale; <br />
VISTE le recenti ordinanze con le quali il Tribunale di Roma –come richiesto da <br />
questa Autorità – ha rigettato alcuni ricorsi con i quali le società Peppermint Jam <br />
Records GmbH (di seguito, Peppermint), casa discografica con sede in Germania e <br />
Techland sp. z. o.o. (di seguito, Techland), società che elabora e commercializza <br />
giochi elettronici avente sede in Polonia, intendevano ottenere da taluni fornitori di <br />
servizi di comunicazione elettronica la comunicazione delle generalità di soggetti <br />
ritenuti responsabili di aver scambiato file protetti dal diritto d'autore tramite reti <br />
peer to‐peer; <br />
RILEVATO che tali ricorsi si basavano sull'attività svolta per conto e su <br />
autorizzazione delle predette società da Logistep AG (di seguito, Logistep), società <br />
svizzera che, attraverso un'attività di monitoraggio delle reti peer‐to‐peer effettuata <br />
tramite un software proprietario, aveva individuato numerosi indirizzi Ip i cui <br />
titolari erano stati considerati responsabili della predetta condotta illecita; <br />
VISTA la nota del 25 maggio 2007 con la quale l'Autorità ha avviato accertamenti <br />
volti a verificare la liceità e la correttezza dei trattamenti di dati personali svolti <br />
115
<br />
<br />
dalle predette società, alle quali è stato quindi chiesto di comunicare ogni <br />
informazione e documentazione utile per valutare le modalità con le quali, anche <br />
avvalendosi dell'attività di altri soggetti, sono stati concretamente raccolti e <br />
utilizzati i dati personali di utenti identificati o identificabili; rilevato che con tale <br />
nota si è chiesta, altresì, collaborazione e cooperazione alle autorità di protezione <br />
dei dati personali dei Paesi nei quali risultano stabilite le società medesime <br />
(Repubblica federale tedesca, Polonia e Svizzera); <br />
VISTE le note del 18 giugno e del 5 luglio 2007 con le quali l'avv. Otto Mahlknecht, <br />
che ha curato gli interessi delle società Peppermint e Techland, nel richiamare le <br />
deduzioni formulate nei diversi procedimenti giudiziari, ha fornito altri elementi <br />
conoscitivi sul funzionamento del software utilizzato da Logistep nell'attività svolta <br />
su incarico delle altre due società, allegando la perizia di un esperto del settore; <br />
VISTA la nota del 19 giugno 2007 con la quale Logistep ha fornito altre informazioni <br />
in merito <strong>alla</strong> propria attività e ha comunicato l'avvio di un'attività di <br />
collaborazione con l'autorità svizzera di protezione dati finalizzata a verificare la <br />
liceità dell'attività svolta; <br />
VISTA la comunicazione del 20 giugno 2007 con la quale l'autorità polacca per la <br />
protezione dei dati ha rappresentato di aver effettuato un accertamento ispettivo e <br />
di aver rilevato che Techland non ha svolto direttamente le attività necessarie per <br />
individuare le persone che scambiano illecitamente su reti peer‐to‐peer il software <br />
da essa sviluppato, e che tali attività sono state svolte, su propria autorizzazione, da <br />
Logistep, nonché da Logistep Polska, e curate poi dallo studio legale italiano <br />
dell'avv. Otto Mahlknecht; <br />
VISTA la nota del 22 giugno 2007 dell'autorità per la protezione dei dati personali <br />
per la Bassa Sassonia; <br />
VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. <br />
196, di seguito, "Codice") e, in particolare, gli artt. 11, 13 e 122 del Codice; <br />
VISTA la documentazione in atti; <br />
VISTE le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. 15 del <br />
regolamento del Garante n. 1/2000; <br />
RELATORE il dott. Mauro Paissan; <br />
PREMESSO <br />
1. Oggetto del provvedimento <br />
Il presente provvedimento ha per oggetto la liceità e correttezza del trattamento di <br />
dati personali relativi a utenti identificabili operanti su reti peer‐to‐peer (di seguito, <br />
anche "p2p") che è stato effettuato a cura dapprima di Logistep AG e Logistep <br />
Polska su autorizzazione di Peppermint e Techland e, poi, presso il predetto studio <br />
legale italiano. Tale trattamento è avvenuto in due fasi: <br />
a) la prima, è consistita nella raccolta e nell'elaborazione automatizzata, anche <br />
nell'ambito di banche dati, di innumerevoli informazioni di carattere personale <br />
estratte tramite reti peer‐to‐peer per mezzo di un software denominato "file <br />
sharing monitor" (di seguito, fsm) utilizzato da Logistep; <br />
b) la seconda, si è basata sulla richiesta all'autorità giudiziaria italiana in sede <br />
civile di ordinare a taluni fornitori di servizi di comunicazione elettronica di <br />
rivelare le generalità degli intestatari degli interessati. A seguito di alcune prime <br />
pronunce del Tribunale di Roma che hanno provveduto in tal senso (cfr. causa <br />
Peppermint c/ Wind telecomunicazioni S.p.A., ordinanza del 18 agosto 2006 <br />
confermata, in sede di reclamo cautelare della Wind, con ordinanza del 22 <br />
settembre 2006 e, attualmente, in attesa che il giudice determini le modalità di <br />
attuazione dell'ordinanza di accoglimento; causa Peppermint c/Telecom Italia <br />
S.p.A., ordinanza del 28/29 novembre 2006, riformata in sede di reclamo della <br />
Peppermint con ordinanza del 9 febbraio 2007), il predetto legale ha inviato <br />
diverse centinaia di lettere a persone individuate quali intestatari di una linea di <br />
collegamento a Internet. Con tali lettere si è contestata la violazione dei diritti <br />
116
<br />
<br />
derivanti d<strong>alla</strong> produzione di fonogrammi e si è proposta una risoluzione bonaria, <br />
alternativa anche <strong>alla</strong> denuncia in sede penale, basata sul rispetto di alcune <br />
condizioni comprensive di un versamento di 330 euro. <br />
Il presente provvedimento non riguarda, invece, la connessa questione oggetto più <br />
specificamente delle predette controversie instaurate presso il Tribunale di Roma <br />
nelle quali si è costituito anche il Garante e in cui, a modifica del primo <br />
orientamento giurisprudenziale sopramenzionato, il Tribunale ha statuito che i <br />
fornitori di servizi di comunicazione elettronica, allo stato della legislazione <br />
vigente, non possono comunicare in sede giurisdizionale civile a Peppermint e <br />
Techland i nominativi degli interessati ritenuti responsabili di violazioni del diritto <br />
d'autore in rete. Ciò, stante la specifica disciplina della conservazione dei dati di <br />
traffico, prevista solo per finalità di accertamento e repressione di reati (art. 132 <br />
del Codice; cfr. causa Peppermint e Techland c/Wind Telecomunicazioni <br />
S.p.A.,ordinanza 14 luglio 2007; causa Peppermint e Techland c/ Telecom Italia <br />
S.p.A.,ordinanza 14 luglio 2007; causa Peppermint c/ Wind telecomunicazioni <br />
S.p.A., ordinanza 26 ottobre 2007; cfr.,anche, comunicato stampa del 17 luglio 2007, <br />
pubblicato sul sito web dell'Autorità). <br />
Tale profilo della comunicazione dei dati di traffico è stato esaminato, da ultimo, <br />
d<strong>alla</strong> Corte di giustizia delle Comunità europee la quale si è pronunciata su una <br />
questione per molti aspetti simile (sentenza 29 gennaio 2008, pronunciata nella <br />
causa C‐275/06 Promusicae c/ Telefonica de Espana Sau). <br />
La Corte ha confermato che il diritto comunitario consente agli Stati membri di <br />
circoscrivere all'ambito delle indagini penali o della tutela della pubblica sicurezza <br />
e della difesa nazionale ‐a esclusione, quindi, dei processi civili‐ il dovere di <br />
conservare e mettere a disposizione i dati sulle connessioni e il traffico generati <br />
dalle comunicazioni effettuate durante la prestazione di un servizio della società <br />
dell'informazione. La Corte ha rilevato che anche i dati di traffico conservati per <br />
finalità di fatturazione non possono essere utilizzati in "controversie diverse da <br />
quelle insorgenti tra i fornitori e gli utilizzatori, relative ai motivi della <br />
memorizzazione dei dati avvenuta per attività previste dalle disposizioni [dell'art. 6 <br />
della direttiva 2002/58/Ce]" (cfr. art. 123 del Codice); da ciò, ha escluso la <br />
possibilità che tali dati potessero essere messi a disposizione per controversie civili <br />
relative ai diritti di proprietà intellettuale (cfr. punto 48 della sentenza; artt. 15, n. <br />
2, e 18 della direttiva 2000/31/Ce relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della <br />
Società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato <br />
interno; artt. 8, nn. 1 e 2 direttiva 2001/29/Ce sull'armonizzazione di taluni aspetti <br />
del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione; art. 8 <br />
direttiva 2004/48/Ce sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale; artt. 17, n. 2 e <br />
47 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea). <br />
2. Risultanze istruttorie e funzionamento del software fsm <br />
Nelle centinaia di lettere inviate a utenti in Italia, il legale che ha agito per conto di <br />
Peppermint ha dichiarato che sulla base dei risultati acquisiti grazie al predetto <br />
software "antipirateria" appositamente realizzato, ritenuto di assoluta affidabilità e <br />
attendibilità, è stato possibile accertare che: <br />
<br />
* ciascun destinatario delle lettere aveva violato il diritto d'autore a partire d<strong>alla</strong> <br />
linea di rete Internet risultante nella rispettiva titolarità, mettendo indebitamente <br />
file musicali a disposizione di terzi; <br />
* ciò, risultava avvenuto mediante un software di condivisione contemporanea di <br />
file (c.d. peer‐to‐peer) che altri utenti risultavano aver utilizzato per connettersi al <br />
p.c. dei destinatari delle lettere e per scaricare i file musicali da una cartella a <br />
questo dedicata. <br />
Lo scambio di file via Internet rientra nella nozione di "comunicazione" anche <br />
quando ha per oggetto contenuti protetti dal diritto d'autore, tenuto conto che la <br />
117
<br />
<br />
nozione stessa include lo "scambio o la trasmissione di informazioni", "tramite un <br />
servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico", tra "un numero finito <br />
di soggetti" (cfr. art. 2, lettera d), primo periodo, della direttiva 2002/58/CE e art. 4, <br />
comma 1, lett. l) del Codice). Quest'ultimo riferimento tende a distinguere l'ambito <br />
delle "comunicazioni private" da quello delle "comunicazioni al pubblico". La <br />
circostanza che il sistema peer‐to‐peer consenta l'accesso a un numero <br />
potenzialmente elevato di utenti non rende "infinito", o del tutto indeterminabile, il <br />
numero dei soggetti della comunicazione. Quest'ultima, è infatti rivolta non a una <br />
platea indistinta di utenti, ma a soggetti delimitati che possono essere identificati. <br />
Manca, tra l'altro, la simultaneità e l'unicità della trasmissione che sono <br />
caratteristiche qualificanti di una "comunicazione al pubblico" (come è nel caso del <br />
"servizio di radiodiffusione" ‐c.d. broadcasting‐, espressamente escluso dall'ambito <br />
applicativo della nozione di comunicazione elettronica: cfr., anche, art. 4, comma 2, <br />
lett. a) del Codice). <br />
L'attività di ricognizione condotta da Logistep risulta essersi focalizzata su due <br />
importanti reti p2p, GNUtella e eDonkey e utilizzando il sistema software fsm, <br />
sviluppato integrando e modificando software liberamente disponibili sulla rete per <br />
collegarsi a reti p2p. <br />
Il software fsm consente: <br />
a) usuali operazioni effettuabili tramite i comuni client, eccettuata la condivisione <br />
di file eventualmente scaricati d<strong>alla</strong> rete; <br />
b) l'archiviazione a scopo di documentazione di tutte le informazioni usualmente <br />
caratterizzate da "volatilità", perché non necessarie una volta che la trasmissione <br />
dei file è avvenuta; <br />
c) di correlare le attività sulle reti p2p di un determinato utente al variare <br />
dell'indirizzo Ip assunto, nonché del provider utilizzato (il clock del programma <br />
risulta sincronizzato con una sorgente esterna, mentre viene tenuta traccia <br />
dell'identificativo Guid, generato al momento dell'inst<strong>alla</strong>zione dei client). <br />
In sostanza, il software fsm permette di tenere traccia della disponibilità in rete di <br />
un certo "contenuto"; di verificarne l'effettiva possibilità di acquisizione, <br />
effettuandone lo scaricamento (download), ovvero la copia in rete dalle aree di <br />
condivisione degli utenti che ospitano quel contenuto verso i propri computer; di <br />
verificarne la segnatura digitale con algoritmo SHA1 o MD5 (in dipendenza dal <br />
protocollo p2p utilizzato); di controllarne la diffusione, verificando l'esistenza di <br />
altre condivisioni presuntivamente riferibili a una pregressa attività di "download" <br />
(sul presupposto che la quasi totalità degli utenti che condividono uno specifico <br />
contenuto lo abbiano a loro volta acquisito da un'altra fonte nella rete, tranne <br />
eventualmente il soggetto che originariamente lo abbia messo per la prima volta in <br />
condivisione, con una specifica segnatura digitale). <br />
In particolare, il sistema fsm consente la raccolta dei seguenti dati: indirizzi Ip <br />
dell'offerente, il nome e il valore Hash del file, la misure del file, l'user name, il Guid, <br />
la data e l'ora del download. <br />
In altre parole, come emerge d<strong>alla</strong> stessa perizia prodotta dall'avv. Mahlknecht, il <br />
software fsm accerta da chi, e quando, viene offerto quale file per un downloading e <br />
da chi, quando e per quanto tempo viene effettivamente copiato tale file; riconosce i <br />
tentativi dei partecipanti di sistemi di condivisione file di modificare il loro <br />
indirizzo Ip; organizza tali informazioni in una banca dati. <br />
Anche se non risulta in atti che il sistema fsm svolga attività intrusive o inst<strong>alla</strong>zioni <br />
di software o di altri componenti sul terminale dell'utente che partecipa al file <br />
sharing, e sebbene non risultino allo stato significativi elementi di diversità nelle <br />
modalità di funzionamento di tale software rispetto ai normali client che agiscono <br />
sulle reti p2p, il trattamento svolto da Logistep su incarico di Peppermint e <br />
Techland non può comunque ritenersi lecito. <br />
3. Profili di illiceità e non correttezza del trattamento <br />
118
<br />
<br />
Il trattamento in questione è stato inizialmente effettuato a partire da un Paese (la <br />
Svizzera), dotata di una legge di protezione dei dati e che ha ratificato la <br />
Convenzione di Strasburgo n. 108/1981, e la cui autorità di protezione dei dati ne <br />
ha già dichiarato, per questa parte, l'illiceità. <br />
La Préposé fédéral à la protection des donne et à la transparence (PFPDT), con una <br />
recente pronuncia adottata all'esito di un procedimento avviato anche su impulso <br />
di questa Autorità, ha ritenuto che il trattamento svolto da Logistep su incarico di <br />
Peppermint e Techland e che ha riguardato anche informazioni memorizzate su p.c. <br />
di utenti italiani, ha violato alcuni princìpi fondamentali della legge federale sulla <br />
protezione dei dati personali (decisione del 9 gennaio 2008). <br />
E' risultato in particolare violato il principio di liceità (in ragione del fatto che la <br />
raccolta dei dati è stata effettuata in mancanza di una base legale esplicita). Si è <br />
ritenuto in secondo luogo violato il principio di finalità (in quanto la registrazione <br />
sistematica dei dati degli utenti ha perseguito scopi diversi da quelli tipici delle reti <br />
peer‐to‐peer). Non sono stati, altresì, rispettati i princìpi di buona fede e <br />
trasparenza, in quanto la raccolta dei dati è avvenuta senza che gli interessati <br />
potessero esserne consapevoli (sia per le circostanze nelle quali la raccolta è <br />
avvenuta, sia perché non informati) e i dati possono essere stati raccolti all'insaputa <br />
di abbonati che non sono, necessariamente, i soggetti coinvolti nello scambio dei <br />
dati. Infine, è risultato violato il principio di proporzionalità (in quanto il diritto <strong>alla</strong> <br />
segretezza delle comunicazioni è risultato limitabile solo nell'ambito di un <br />
bilanciamento con un diritto di pari grado e, quindi, allo stato, non per l'esercizio di <br />
un'azione civile). <br />
Non risultano in atti elementi più specifici di valutazione delle modalità di <br />
trattamento di dati che è stato effettuato a cura di Logistep Polska, il quale, qualora <br />
si sia svolto con le modalità sopraindicate, si è posto anch'esso in violazione dei <br />
princìpi di trasparenza, finalità, correttezza e buona fede richiamati sia d<strong>alla</strong> <br />
Convenzione di Strasburgo, sia d<strong>alla</strong> direttiva 95/46/Ce e d<strong>alla</strong> stessa disciplina <br />
nazionale di protezione dati (cfr. art. 5 Conv. n. 108/1981 cit., art. 6 direttiva <br />
95/46/Ce). <br />
I trattamenti in esame, effettuati in modo massivo e capillare per un periodo di <br />
tempo prolungato e nei riguardi di un numero elevato di soggetti, hanno consentito <br />
di tenere traccia analitica delle operazioni compiute da innumerevoli, singoli utenti <br />
relativamente a specifici contenuti protetti dal diritto d'autore. <br />
Per le modalità con le quali la raccolta dei dati è stata svolta, si è configurata <br />
un'attività di monitoraggio vietata a soggetti privati d<strong>alla</strong> direttiva 2002/58/Ce <br />
(art. 5; cfr. art. 122 del Codice). <br />
Le reti p2p sono finalizzate allo scambio fra utenti di dati e file per scopi <br />
sostanzialmente personali, mentre il software fsm "non è destinato allo scambio di <br />
dati, ma al monitoraggio ed <strong>alla</strong> ricerca di dati, che utenti di reti P2P mettono a <br />
disposizione a terzi" (cfr. nota del 5 luglio 2007 dell'Avv. Otto Mahlknecht). I dati <br />
che gli utenti mettono in rete possono essere utilizzati per le finalità per le quali <br />
tale pubblicazione avviene (cfr., fra gli altri, Provv. del 14 giugno 2007, doc. web n. <br />
1424068). L'utilizzo dei dati dell'utente delle reti peer‐to‐peer può, quindi, avvenire <br />
per le finalità sue proprie e non già, in modo non trasparente, per scopi ulteriori, <br />
quali quelli perseguiti da Logistep, Peppermint e Techland. <br />
Il trattamento è risultato viziato anche sotto il profilo della trasparenza e della <br />
correttezza, posto che non è stata fornita alcuna informativa preliminare agli utenti. <br />
D<strong>alla</strong> descrizione resa dalle società sul funzionamento del software fsm si è potuto <br />
rilevare che, mentre gli indirizzi Ip sono stati acquisiti da un terzo rispetto agli <br />
utenti (il tracker), gli altri dati (ossia, i file offerti in condivisione, data e ora del <br />
download) sono stati raccolti direttamente presso gli interessati. <br />
Il Tribunale di Roma ha riconosciuto, per tali informazioni, la natura di "dati <br />
personali" relativi a utenti identificabili i quali dovevano essere informati di tale <br />
119
<br />
Il Garante ‐ riservandosi, peraltro, di approfondire il <br />
profilo relativo all'invio da parte del legale della Peppermint delle <br />
famose proposte transattive ‐ ha ordinato alle tre società di <br />
sospendere immediatamente ogni ulteriore trattamento dei dati <br />
illegittimamente acquisiti e di cancellarli entro il 31 marzo 2008. <br />
E' una bella vittoria per il diritto <strong>alla</strong> privacy e per chi <br />
come Altroconsumo sin dall'inizio di questa vicenda si è schierato <br />
d<strong>alla</strong> parte degli utenti evidenziando, in ogni sede, come la tutela <br />
dei diritti di proprietà intellettuale non potesse giustificare il <br />
monitoraggio e la schedatura di massa degli utenti delle <br />
piattaforme P2P. <br />
E' una vittoria della <strong>Rete</strong> e non certo dei pirati come <br />
domani qualcuno si affretterà a sostenere. <br />
<br />
ulteriore e inatteso trattamento (v. anche Parere del Gruppo Art. 29 del 18 gennaio <br />
2005 in materia di diritti di proprietà intellettuale, nel quale è stato rilevato che <br />
nessun dato personale può essere raccolto senza che l'interessato sia correttamente <br />
e preventivamente informato, in maniera trasparente, sulle eventuali modalità di <br />
controllo e sull'identità del soggetto che lo effettua, prima che il trattamento abbia <br />
inizio e prima che l'interessato fornisca i dati personali attraverso il download <br />
Working document on data protection issues related to intellectual property rights <br />
‐ January 18, 2005 ‐ WP104.pdf). <br />
4. Conclusioni <br />
Come premesso, una seconda fase del trattamento dei dati connesso all'invio delle <br />
lettere è avvenuta nel territorio dello Stato, utilizzando dati personali relativi a <br />
persone identificabili e raccolti illecitamente. <br />
Si rende pertanto necessario, a definizione della complessa istruttoria preliminare, <br />
provvedere in ordine all'ulteriore utilizzazione di tali dati sul territorio dello Stato. <br />
Ciò, senza che occorra proseguire gli accertamenti per verificare anche se, e in quale <br />
misura, la disciplina italiana di protezione dei dati trovi in tutto o in parte <br />
applicazione anche <strong>alla</strong> prima fase di raccolta automatizzata dei dati, <strong>alla</strong> luce della <br />
disposizione normativa secondo cui la legge italiana si applica ai trattamenti <br />
effettuati da soggetti stabiliti nel territorio di un Paese non appartenente all'Unione <br />
europea il quale impieghi, per il trattamento, strumenti situati nel territorio dello <br />
Stato (quali i p.c. degli utenti italiani, dai quali Logistep ha chiaramente tratto gli <br />
indirizzi Ip: art. 5 del Codice). <br />
In ragione delle predette risultanze non possono che confermarsi le valutazioni di <br />
illiceità e non correttezza già tratteggiate nelle memorie di costituzione in giudizio <br />
nelle controversie dinanzi al Tribunale di Roma –e note alle controparti –, e <br />
conseguentemente disporsi il divieto nei confronti delle predette tre società di <br />
ulteriore utilizzazione dei dati personali raccolti illecitamente, nonché la loro <br />
cancellazione entro il termine del 31 marzo 2008. <br />
TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE <br />
ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. c) e 154, comma 1, lett. d) del Codice <br />
dispone, nei termini di cui in motivazione, nei confronti di Peppermint Jam Records <br />
GmbH, Techland sp. z. o.o. e Logistep AG, il divieto dell'ulteriore trattamento dei <br />
dati personali relativo a soggetti ritenuti responsabili di aver scambiato file protetti <br />
dal diritto d'autore tramite reti peer‐to‐peer e ne dispone la cancellazione entro il <br />
termine del 31 marzo 2008. <br />
Roma, 28 febbraio 2008 <br />
120
<br />
Finalmente, quindi, migliaia di utenti italiani potranno <br />
tirare un sospiro di sollievo e dormire sonni tranquilli: nessuno <br />
busserà <strong>alla</strong> loro porta con nuovo improbabili proposte transattive <br />
né denunce. <br />
I dati personali a suo tempo raccolti dalle società <br />
Peppermint. Techland e logistep, infatti, sono ormai inutilizzabili. <br />
La storia, tuttavia, non finisce qui: qualcuno, <br />
evidentemente, dovrà pagare lo stress, le umiliazioni ed i costi <br />
sopportati da migliaia di consumatori italiani per effetto <br />
dell'illegittima operazione lanciata dall'etichetta discografica <br />
tedesca e d<strong>alla</strong> software polacca e condotta dagli investigatori <br />
elettronici della Logistep. <br />
P.S. <br />
Forse il Collega Mahlknecht e la Logistep dovrebbero <br />
aggiornare i loro siti non dico per dar conto delle decisioni dei <br />
garanti svizzero e italiano ma, almeno, per sottrarsi ad ulteriori <br />
contestazioni…questa volta per pubblicità ingannevole! <br />
121
<br />
<br />
4. La libertà di manifestazione in <strong>Rete</strong>. <br />
Internet, <strong>free</strong> speech e webcensura. <br />
<br />
Liberi di pensare, liberi di bloggare!| <br />
Agosto 2008 <br />
Internet Magazine <br />
<br />
Sequestri di Blog, contestazioni per stampa clandestina, <br />
querele per diffamazione on‐line seguite da cause risarcitorie a sei <br />
zeri ed arresti di blogger sono ormai entrati a far parte della <br />
cronaca quotidiana della <strong>Rete</strong> in Cina come nel nostro Paese, negli <br />
Stati Uniti come in Afganistan. <br />
Cosa sta accadendo? Perché tanta crescente attenzione e <br />
tanto rigore nei confronti di chi utilizza Internet per far sentir la <br />
sua voce, per far conoscere il proprio pensiero o, piuttosto, per <br />
aprire un dibattito su questioni politiche, economiche o sociali? <br />
La libertà di manifestazione del pensiero non costituisce <br />
forse uno dei diritti inviolabili dell’uomo secondo la Dichiarazione <br />
universale dei diritti dell’uomo e del cittadino e le Carte <br />
Costituzionali di molti Paesi evoluti e, persino, di alcuni Paesi in via <br />
di sviluppo? <br />
Per rispondere a queste domande occorre partire da un <br />
presupposto inconfutabile: Internet è il più grande mezzo di <br />
comunicazione di massa della storia dell’umanità e ciò sia in <br />
termini di destinatari dell’informazione sia in termini di produttori <br />
di informazione anche perché le due categorie – nelle dinamiche <br />
dell’informazione on‐line ‐ coincidono perfettamente. <br />
In <strong>Rete</strong>, chiunque, in pochi click, può trasformarsi da <br />
lettore distratto di una testata on‐line, di un blog o di una bacheca <br />
elettronica in produttore di informazioni attraverso un blog, un <br />
commento, un annuncio o, piuttosto, una propria pagina web ed <br />
essere letto da un pubblico potenzialmente infinito e, comunque, <br />
migliaia di volte più ampio rispetto a quello dei lettori di <br />
quotidiani o degli spettatori dei TG nelle ore punta. <br />
Le dimensioni planetarie del fenomeno costituiscono, <br />
certamente, una delle principali ragioni di un tanto acceso <br />
confronto tra chi utilizza internet per diffondere informazioni, i <br />
Governi e la Magistratura di molti Paesi. <br />
Un post su un Blog ad alta visibilità può contribuire a <br />
formare o consolidare movimenti di opinioni, essere utilizzato per <br />
dar vita a manifestazioni e riempire piazze come insegnano la <br />
recente esperienza cinese o, piuttosto, la nostrana storia dei Vdays <br />
ma può anche servire per influenzare l’andamento di un mercato – <br />
122
<br />
basti pensare alle conseguenze di indiscrezioni sull’uscita di un <br />
nuovo modello di telefonino – o per condizionare l’andamento di <br />
governi o il successo di uomini politici. <br />
Tutto ciò non può non porre in <strong>alla</strong>rme un sistema che, <br />
sino a ieri, era abituato – anche nei regimi tradizionalmente <br />
considerati democratici – ad avere il controllo pressoché assoluto <br />
dell’informazione. <br />
Ma c’è di più. L’aspetto quantitativo non basta, infatti, a <br />
spiegare quanto sta accadendo. <br />
Ogni giorno nascono in <strong>Rete</strong> nuove e multiformi soluzioni <br />
idonee a consentire a chiunque di dire la sua su un dato problema <br />
o, piuttosto, a trasformarsi in reporter d’assalto ed a raccontare al <br />
mondo un suo viaggio, una sua esperienza o la vera storia di una <br />
guerra che si combatte in angoli remoti del pianeta. <br />
I blog, gli UGC – User Generated Content – le bacheche <br />
elettroniche, le mailing list, i siti personali e, per finire, Citizen <br />
News ‐ ultima creatura di casa Google che promette di trasformare <br />
chiunque in un giornalista ‐ mettono a dura prova l’elasticità della <br />
disciplina della materia che è interamente costruita – nella più <br />
parte dei Paesi – su una profonda distinzione tra l’informazione <br />
“professionale” e quella “amatoriale”. <br />
Un blogger, infatti, oggi, si rivolge ad un pubblico <br />
quantitativamente equivalente – ed anzi superiore ‐ a quello cui si <br />
rivolge una testata giornalista cartacea o, piuttosto, televisiva e, ad <br />
analogo pubblico si rivolge chiunque posti un video su YouTube o, <br />
piuttosto, “firmi” un servizio per Citizen News. <br />
Si tratta di un fenomeno senza precedenti che deve essere <br />
salutato con favore perché consente, oggi, per la prima volta nella <br />
storia dell’uomo, la piena attuazione di quella libertà di <br />
manifestazione del pensiero in relazione <strong>alla</strong> quale, solo qualche <br />
decennio fa, i Giudici della Corte Costituzionale erano costretti a <br />
scrivere che “che il diritto di libertà di diffusione del pensiero con <br />
qualsiasi mezzo, garantito dal primo comma dell'art. 21 Cost., non <br />
significa anche diritto di disporre di qualsiasi mezzo di diffusione del <br />
pensiero, ma soltanto diritto di diffondere il pensiero con i mezzi <br />
disponibili e in quanto disponibili (<strong>alla</strong> stessa maniera, ad es., che la <br />
libertà di domicilio non implica anche il diritto ad avere senz'altro <br />
un domicilio).”. <br />
Occorre, tuttavia, riconoscere che il progressivo <br />
ampliamento del popolo degli informations makers e, soprattutto, <br />
la circostanza che, oggi, tali soggetti dispongono di strumenti <br />
analoghi per potenzialità e forza di diffusione a quelli di cui <br />
dispongono i giornalisti di professione impone di rivedere e <br />
ripensare la disciplina sull’informazione nel suo complesso. <br />
123
<br />
L’incapacità dei Governi della più parte dei Paesi di <br />
cogliere il senso della rivoluzione delle dinamiche <br />
dell’informazione in atto e di riscrivere la disciplina applicabile a <br />
tale materia costituisce, certamente, una delle principali cause <br />
della stagione di grande tensione che stiamo vivendo. <br />
Nel regime tradizionale, infatti, la Legge, generalmente, <br />
accorda maggiori garanzie a editori e giornalisti professionisti <br />
rispetto a quelle riconosciute al semplice cittadino che voglia dire <br />
la sua, imponendo, tuttavia, ad un tempo, sulle spalle dei primi un <br />
regime di responsabilità per eventuali condotte illecite più <br />
rigoroso. <br />
Tale “doppio binario” trovava fondamento – cinquant’anni <br />
fa quando la disciplina sulla stampa tuttora in vigore ha visto la <br />
luce ‐ in un presupposto la cui attualità nell’Era di Internet non <br />
appare affatto scontata: i media professionali godono di maggior <br />
credibilità e, soprattutto, raggiungono un più ampio pubblico <br />
rispetto a quello raggiungibile da un cittadino qualunque. <br />
Tutto questo non è più, evidentemente, vero. <br />
In tale contesto è naturale – ancorché non condivisibile – <br />
la tentazione – ma forse bisognerebbe parlare di tendenza ‐ di <br />
Giudici ed Ordinamenti a trattare un blogger come un giornalista o, <br />
piuttosto, un UGC come Youtube da editore. <br />
Il punto è che un blog non è un giornale e un UGC non è un <br />
editore ma, sfortunatamente, questo non è scritto come dovrebbe <br />
nelle leggi vigenti nelle quali si fa fatica a trovare un adeguato <br />
inquadramento per i nuovi mezzi di informazione dell’Era di <br />
internet. <br />
Il caso di Citizen News – il nuovo canale di informazione <br />
“non professionale” lanciato da YouTube – è sintomatico. <br />
Youtube può esserne considerato editore e ritenuto, per <br />
ciò solo, soggetto <strong>alla</strong> vigente disciplina sull’editoria che gli <br />
imporrebbe, tra l’altro, di iscriversi presso il ROC – il Registro degli <br />
operatori della comunicazione ‐ tenuto presso l’Agcom? <br />
Youtube può essere chiamato a rispondere per eventuali <br />
diffamazioni poste in essere attraverso video pubblicati dai propri <br />
utenti nel canale Citizen news? <br />
Se si guarda <strong>alla</strong> direttiva sul commercio elettronico, la <br />
responsabilità dovrebbe essere di coloro che forniscono i <br />
contenuti. Ma siamo davvero sicuri che nessun giudice sia di altro <br />
avviso e ritenga che la questione debba essere regolata d<strong>alla</strong> <br />
disciplina sulla Stampa il cui ambito di applicazione ha, ormai, <br />
abbracciato anche l’informazione televisiva? <br />
La risposta all’applicabilità a CitizenNews della nuova <br />
disciplina sull’editoria e, conseguentemente, di quella sulla Stampa <br />
124
<br />
condiziona, ovviamente, in modo importante anche la risposta a <br />
tale ulteriore dubbio. <br />
Oggi YouTube – per porsi al riparo dalle contestazioni dei <br />
titolari dei diritti ‐ adotta in relazione ai contenuti protetti da <br />
diritti d’autore tecnologie di watermark che sebbene all’inizio <br />
erano state accolte con un po’ di scetticismo, sembra stiano dando <br />
degli ottimi risultati. <br />
Accertare una violazione di altrui diritti di proprietà <br />
intellettuale è, tuttavia, assai più semplice che valutare l’effettiva <br />
sussistenza di una diffamazione. <br />
Come si comporterà YouTube dinanzi <strong>alla</strong> notifica di chi <br />
assumesse di essere diffamato da un servizio in onda su <br />
CitizenNews ? <br />
Rimuoverà senza ritardo i contenuti oggetto di <br />
contestazione o, per farlo, attenderà un ordine dell’autorità <br />
giudiziaria? <br />
Nel primo caso il rischio è che Big G si ritroverà presto a <br />
mettere il bavaglio <strong>alla</strong> sua stessa creatura: chiunque, infatti, non <br />
voglia che certe verità vadano in giro per il mondo non dovrà far <br />
altro che scrivere ai gestori del Canale chiedendone la rimozione. <br />
Nel secondo caso, invece, difficile credere che CitizenNews <br />
non sarà ben presto destinatario di richieste risarcitorie milionarie <br />
da parte di chi sosterrà di esser stato diffamato da questa o quella <br />
notizia apparsa sul nuovo canale di YouTube e non esser neppure <br />
riuscito ad ottenerne la rimozione. <br />
Analoghe considerazioni valgono per la disciplina della <br />
blogosfera come insegna la recente vicenda della quale <br />
sembrerebbe essere rimasto vittima – il condizionale è dovuto <strong>alla</strong> <br />
circostanza che non si conoscono ancora le motivazioni della <br />
Sentenza resa dal Tribunale di Modica ‐ lo Storico siciliano Carlo <br />
Ruta che si è visto contestare il reato di stampa clandestina per <br />
aver aggiornato con periodicità regolare il proprio blog senza, <br />
tuttavia, provvedere <strong>alla</strong> sua registrazione nel registro della <br />
Stampa tenuto presso il tribunale. <br />
Se le motivazioni della Sentenza, come appare probabile, <br />
confermeranno quanto si è sin qui appreso, la decisione <br />
affermerebbe un principio importante che va ben al di là della <br />
singola vicenda e della pur grave condanna di un blogger: quello <br />
secondo cui anche i blog vanno registrati presso il registro della <br />
Stampa di cui <strong>alla</strong> Legge n. 47 del 1948 cui, negli ultimi <br />
cinquant’anni, è rimasta affidata la disciplina della materia <br />
nonostante gli importanti cambiamenti intervenuti nel mondo <br />
dell’informazione e della comunicazione. <br />
L’art. 16 della citata legge, infatti, stabilisce a chiare lettere <br />
che “Chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro <br />
125
<br />
periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta <br />
dall'art. 5, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa <br />
fino a lire 500.000”. <br />
L’art. 5 della stessa Legge, a sua volta, prevede che <br />
“Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia <br />
stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui <br />
circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi.”. <br />
Sarebbe bello bollare la decisione dei Giudici del Tribunale <br />
di Modica come un classico errore giudiziario ma, a prescindere <br />
dal fatto che, per farlo, occorrerà leggere le motivazioni della <br />
Sentenza occorre, sfortunatamente, riconoscere che la tesi <br />
dell’equiparazione di un blog ai giornali e periodici è meno <br />
peregrina – norme di legge <strong>alla</strong> mano – di quanto l’esperienza <br />
suggerirebbe a ciascuno di noi. <br />
Il comma 3 dell’art. 1 della bruttissima nuova legge <br />
sull’editoria (7 marzo 2001, n. 62), infatti, prevede che “Al <br />
prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all'articolo <br />
2 della legge 8 febbraio 1948, n. 47” e che “il prodotto editoriale <br />
diffuso al pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da <br />
una testata, costituente elemento identificativo del prodotto, è <br />
sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall'articolo 5 della <br />
medesima legge n. 47 del 1948.”. <br />
Il primo comma della stessa Legge contiene una <br />
definizione di prodotto editoriale omnicomprensiva secondo la <br />
quale “per “prodotto editoriale”, ai fini della presente legge, si <br />
intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il <br />
libro, o su supporto informatico, destinato <strong>alla</strong> pubblicazione o, <br />
comunque, <strong>alla</strong> diffusione di informazioni presso il pubblico con <br />
ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione <br />
sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o <br />
cinematografici.”. <br />
La nuova legge sull’editoria, dunque, prevede <br />
l’applicabilità dell’art. 2 della vecchia legge sulla stampa a tutti i <br />
siti internet destinati <strong>alla</strong> diffusione di informazioni e <br />
l’applicabilità altresì dell’art. 5 della stessa legge – quello appunto <br />
recante l’obbligo di registrazione presso i tribunali – dei soli siti <br />
internet destinati <strong>alla</strong> diffusione di informazioni contraddistinti da <br />
una testata e diffusi al pubblico con periodicità regolare. <br />
Il quadro normativo è completato d<strong>alla</strong> disposizione <br />
contenuta al comma 3 dell’art. 7 del Decreto Legislativo n. 70 del 9 <br />
aprile 2003 attraverso il quale è stata data attuazione <strong>alla</strong> Direttiva <br />
sul commercio elettronico. <br />
Secondo tale disposizione “la registrazione della testata <br />
editoriale telematica e' obbligatoria esclusivamente per le attività <br />
126
<br />
per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle <br />
provvidenze previste d<strong>alla</strong> legge 7 marzo 2001, n. 62”. <br />
Si tratta di una disposizione scritta in modo ambiguo e <br />
poco puntuale perché ha per oggetto un’entità – la “testata <br />
telematica” – diversa da quella oggetto della nuova disciplina <br />
sull’editoria – il “prodotto editoriale” – e perché fa generico <br />
riferimento ad una “registrazione” senza, tuttavia, chiarire se tale <br />
registrazione sia quella presso i Tribunali o, piuttosto, quella <br />
presso il ROC, Registro Unico degli Operatori della comunicazione. <br />
La differenza non è di poco conto. <br />
Se, infatti, la registrazione di cui all’art. 7 del D.Lgs. <br />
70/2003 è quella prevista all’art. 5 della Legge sulla Stampa i <br />
blogger italiani possono dormire sonni tranquilli e sentirsi liberi – <br />
anche laddove aggiornino quotidianamente i propri blog – di <br />
decidere se iscrivere o meno il proprio sito presso il registro della <br />
Stampa tenuto presso il Tribunale. <br />
Se, invece, il riferimento dovesse intendersi come rivolto <br />
al ROC, la questione sarebbe diversa e gli autori di blog a <br />
contenuto informativo che postano con “periodicità regolare” si <br />
ritroverebbero soggetti all’obbligo di iscrizione di cui <strong>alla</strong> Legge <br />
sulla Stampa e, qualora non vi provvedano esposti al rischio di <br />
sentirsi contestare il reato di stampa clandestina per quanto <br />
assurdo ciò possa sembrare. <br />
Dura lex sed lex e, per quanto sia difficile da accettare, <br />
l’attuale contesto normativo – caratterizzato da disposizioni <br />
ambigue e confuse varate da legislatori che hanno sempre <br />
manifestato scarso interesse per le questioni della <strong>Rete</strong> – legittima <br />
la magistratura a pervenire a conclusioni che, inesorabilmente, <br />
suonano censorie e contrarie all’esercizio, in Internet, della libertà <br />
di manifestazione del pensiero. <br />
Ma c’è di più. <br />
Mentre, infatti, un blogger – stante la possibile <br />
equiparazione del suo blog a giornali e periodici – rischia di <br />
vedersi contestare il reato di stampa clandestina, esso non può poi <br />
neppure fare affidamento sulle speciali garanzie che nel nostro <br />
Paese assistono la stampa: prima tra tutte l’insequestrabilità – se <br />
non in casi tassativamente individuati d<strong>alla</strong> legge – degli stampati. <br />
I frequenti episodi di sequestro di interi blog a causa di un <br />
post sommariamente giudicato da qualcuno offensivo dell’altrui <br />
immagine, nome o reputazione, sono, infatti, sotto gli occhi di tutti. <br />
A ciò si aggiunga che il blogger, qualora attraverso i suoi <br />
post diffami qualcuno, corre il rischio di vedersi contestata <br />
l’ipotesi aggravata del reato caratteristica di chi esercita <br />
professionalmente l’attività giornalistica. <br />
127
<br />
Troppa confusione e troppe ambiguità: occorrono, con <br />
urgenza, leggi nuove che riordinino le previsioni di quelle vecchie <br />
(e meno vecchie) <strong>alla</strong> luce del mutato contesto dell’informazione in <br />
<strong>Rete</strong> senza imbrigliare chi vuol far sentire la sua voce e, ad un <br />
tempo, garantendo a tutti la certezza di poter chiedere giustizia <br />
nell’ipotesi in cui altri offendano la propria immagine o <br />
reputazione. <br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
EMERGENZA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE. <br />
1° dicembre 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=211 <br />
<br />
In un bellissimo articolo su Punto Informatico Gaia Bottà <br />
da la notizia della recente sospensione dell'account utilizzato da <br />
un giovane blogger egiziano su Youtube per denunziare abusi e <br />
violenze perpetrati dalle forze dell'ordine locali 53. <br />
<br />
53 Qui di seguito il testo integrale dell’articolo di Gaia Bottà dal quale trae origine il <br />
mio post. E’ pubblicato a questa URL: http://punto‐<br />
informatico.it/2127874/PI/News/youtube‐censura‐antitortura.aspx <br />
YouTube censura la (anti)tortura <br />
Account sospeso. Era lo spazio su YouTube che l'attivista egiziano Wael Abbas <br />
utilizzava per denunciare abusi e violenze perpetrati d<strong>alla</strong> forze dell'ordine locali. <br />
Aveva postato presentazioni con oltre cento immagini, aveva pubblicato video a <br />
testimonianza delle violenze che si verificano nelle carceri egiziane. Dei documenti <br />
che aveva postato non resta nulla, risultavano sconvenienti, urtavano la sensibilità <br />
degli utenti del servizio di video sharing. <br />
"L'hanno chiuso ‐ ha spiegato Wael a Reuters ‐ e mi hanno inviato un'email dicendo <br />
che avrebbero sospeso il mio account perché erano stati raggiunti da molte <br />
segnalazioni riguardo ai contenuti". Le segnalazioni riguardavano in particolare i <br />
video che mostravano esplicitamente gli abusi, gli stessi contenuti per i quali Abbas <br />
aveva ricevuto minacce da parte delle forze dell'ordine locali. Gli stessi contenuti <br />
che avevano attirato l'attenzione della stampa internazionale, che avevano <br />
assicurato a Abbas un premio di International Center for Journalist, che hanno <br />
contribuito a sensibilizzare la società civile e a far arrestare gli aguzzini. <br />
Abbas insinua il dubbio che YouTube abbia rimosso il video a seguito delle <br />
pressioni del governo: i cittadini della rete egiziani stanno progressivamente <br />
sperimentando la libertà di espressione online, producendo contenuti spesso <br />
sgraditi alle autorità locali, facili ad arresti e violenze. <br />
Ma i blogger locali sono convinti che la rimozione del video non sia operato del <br />
governo. La sospensione dell'account sembra piuttosto frutto di un'applicazione del <br />
regolamento di YouTube, che proibisce di postare immagini di violenza gratuita. <br />
Immagini che vengono eventualmente rimosse non a priori ma a seguito di <br />
motivate segnalazioni inoltrate dagli utenti. I contenuti sarebbero troppo forti e <br />
128
<br />
Il blogger spiega <strong>alla</strong> Reuteirs che la chiusura gli è stata <br />
comunicata a mezzo mail da YouTube ed è stata giustificata con <br />
l'alto numero di segnalzioni ricevute nelle quali si denunciava la <br />
natura violenta dei contenuti resi disponibili. <br />
Nessun dubbio che le immagini fossero violente ‐ anche se <br />
non più di molte altre presenti ovunque su YouTube e fuori ‐ ma, <br />
sfortunatamente, erano vere… <br />
Violente e raccapriccianti sono anche le immagini delle <br />
persone costrette a buttarsi giù dalle torri gemelle senza speranza, <br />
l'11 settembre del 2001 ma…chi avrebbe il coraggio di rimuoverle <br />
d<strong>alla</strong> <strong>Rete</strong>, di renderle inaccessibili, di bollarle, semplicemente, <br />
come immagini sconvenienti? <br />
E' questo il punto sul quale dobbiamo riflettere: chi deve <br />
giudicare se un'immagine è opportuno o non opportuno che venga <br />
diffusa? <br />
In questo momento c'è troppa confusione al riguardo. <br />
<br />
Sarebbe facile addebitare la responsabilità della censura in <br />
danno del blogger egiziano a YouTube ma…sarebbe sbagliato. <br />
YouTube ha, evidentemente, agito mosso dal timore che <br />
qualora non lo avesse fatto avrebbe potuto essere chiamato a <br />
rispondere in conformità a quanto ambiguamente previsto nella <br />
normativa di molti Paesi per gli intermediari della comunicazione. <br />
Leggi e giurisprudenza, infatti, tendono, ormai, ad <br />
escludere la responsabilità dell'intermediario della comunicazione <br />
qualora ricevuta una segnalazione si attivi prontamente per <br />
rimuovere il contenuto segnalato come illecito. <br />
Il punto è che la natura e provenienza di tale segnalazione <br />
così come la valutazione circa l'illiceità della diffusione del <br />
contenuto sono declinate diversamente a seconda <br />
dell'Ordinamento e dell'orientamento giurisprudenziale preso in <br />
esame. <br />
<br />
impressionanti, ma "rimuoverli perché le persone trovano che la verità disturbi è <br />
inconcepibile", ha denunciato Elijah Zarwan, un altro attivista egiziano. <br />
Ma la violenza sbattuta online da Abbas è tutto fuorché gratuita: "L'obiettivo non è <br />
mostrare la violenza, ma mostrare la brutalità della polizia", spiegano i <br />
rappresentanti di Arabic Network for Human Rights Information. Concordano i <br />
netizen locali: "Hanno chiuso il canale di denuncia più importante ‐ scrive un <br />
blogger ‐ a YouTube dovrebbero andare fieri del fatto che gli attivisti egiziani che <br />
lottano contro la tortura abbiano scelto di esprimersi proprio lì". <br />
Sul web proliferano le proteste e gli appelli, anche a mezzo video. Anche se <br />
YouTube dovesse decidere di non tornare sui sui passi, la testimonianza di Wael <br />
Abbas sopravviverà <strong>alla</strong> sospensione dell'account: è stata fatta rimbalzare online <br />
dagli end intelligenti della rete. <br />
129
<br />
E' difficile indicare soluzioni per quello che costituisce, <br />
probabilmente, uno dei problemi più urgenti ed importanti della <br />
disciplina della <strong>Rete</strong>, ma il mio personale convincimento è che <br />
nessun contenuto debba essere rimosso d<strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> se il <br />
responsabile della pubblicazione è individuato o individuabile e se <br />
la rimozione non è disposta da un'autorità giudiziaria. <br />
Questa è la mia proposta di soluzione, non è detto che sia <br />
l'unica e non è detto che sia la migliore: <br />
1. Gli ISP e gli UGC non hanno alcun obbligo di <br />
sorveglianza sui contenuti immessi in <strong>Rete</strong> attraverso le proprie <br />
infrastrutture ed i propri servizi né alcuna responsabilità; <br />
2. Nel caso in cui chi vi ha interesse o la pubblica autorità <br />
ritenga la diffusione di un contenuto illecita o lesiva dei propri <br />
diritti può richiedere all'ISP o all'UGC di fornirgli ogni dato utile <br />
all'identificazione del soggetto; <br />
3. Se non sono in grado di identificare il soggetto in <br />
questione l'ISP e l'UGC devono provvedere all'immediata <br />
rimozione, a scopo cautelare, del contenuto, assumendosi, in caso <br />
contrario, ogni responsabilità; <br />
4. il segnalante o l'autorità pubblica indirizza una <br />
comunicazione al responsabile della pubblicazione del contenuto, <br />
rappresentandogli le ragioni per le quali ritiene che il contenuto <br />
medesimo debba essere rimosso e diffidandolo a provvedere in tal <br />
senso; <br />
5. il responsabile della pubblicazione può optare per la <br />
rimozione del contenuto ‐ anche senza riconoscere alcuna <br />
responsabilità ‐ o, piuttosto, per il mantenimento on‐line del <br />
contenuto stesso. <br />
6. in caso di mancata rimozione, <br />
sull'opportunità/necessità di procedere in tal senso si pronuncia <br />
l'autorità Giudiziaria ordinaria; <br />
7. all'esito del procedimento, nel caso in cui la <br />
pubblicazione del contenuto venga dichiarata illecita, il <br />
provvedimento viene notificato all'ISP o all'UGC che provvedono <br />
all'immediata rimozione. <br />
Solo così, a mio avviso, allontaneremo per sempre d<strong>alla</strong> <br />
<strong>Rete</strong> lo spettro della censura e riusciremo ad utilizzarne appieno le <br />
enormi potenzialità di mezzo di comunicazione di massa aperto <br />
<strong>alla</strong> comunità globale. <br />
Cosa ne pensate? "Il dibattito è aperto", come il mio primo <br />
Direttore, oltre 15 anni fa, aveva intitolato una mia rubrica di <br />
politica ed attualità. <br />
<br />
Bomba, genocidio, terrorista: ed adesso censurami! <br />
12 settembre 2007 <br />
130
<br />
http://www.guidoscorza.it/?p=157 <br />
<br />
Ho appena chiuso un pezzo sulla censura che uscirà sul <br />
prossimo numero di Internet Magazine nel quale, traendo spunto <br />
da alcuni recenti avvenimenti della <strong>Rete</strong>, metto in guardia dal <br />
rischio che nuove pericolose forme di censura si diffondano in <br />
Internet che il Commissario Frattini conferma ed anzi rafforza i <br />
miei peggiori sospetti. <br />
Secondo il nostro Commissario Europeo, infatti, <br />
bisognerebbe elaborare sistemi informatici di filtraggio ‐ ma è <br />
censura la parola più esatta! ‐ capaci di bloccare l'accesso in <strong>Rete</strong> a <br />
pagine contenenti espressioni come bomba, genocidio, strage o <br />
terrorismo… <br />
L'idea è irrealizzabile e preoccupante al tempo stesso. <br />
Irrealizzabile perché ben difficilmente un "filtro <br />
informatico" riuscirà a distinguere quando una delle predette <br />
parole è utilizzata in un contesto "a rischio" o, piuttosto, <br />
semplicemente al fine di narrare un evento storico o, piuttosto, un <br />
fatto di cronaca. <br />
Preoccupante perché la <strong>Rete</strong>, in questo momento, non ha <br />
davvero bisogno di altre stupide forme di censura che privano, in <br />
modo certi, i cittadini di una delle loro libertà fondamentali a <br />
fronte di un incerto beneficio per la collettività. <br />
Non avrei mai pensato, nel 2007, di sentire ancora un <br />
Commissario Europeo parlare di censura! <br />
<br />
La <strong>Rete</strong> clandestina… <br />
1° settembre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=331 <br />
<br />
Ho approfittato di un volo aereo di qualche ora per leggere <br />
le motivazioni della Sentenza con la quale il Tribunale di Modica <br />
ha condannato lo Storico Carlo Ruta per stampa clandestina 54. <br />
<br />
54 Il testo integrale della Sentenza: <br />
TRIBUNALE DI MODICA <br />
SENTENZA <br />
REPUBBLICA ITALIANA <br />
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO <br />
Il Giudice penale monocratico dr.ssa Patricia Di Marco, <strong>alla</strong> pubblica udienza <br />
dell’08.05.2008 ha pronunziato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la <br />
seguente: <br />
SENTENZA <br />
nei confronti di: <br />
Ruta Carlo, nato a Ragusa il 26.08.1953, residente in XXXXXXXXXXXXXXX <br />
n. 46 Libero Assente <br />
IMPUTATO <br />
131
<br />
<br />
del reato p. e p. dagli artt.5 e 16 della L. 08.02.1948 n. 47, per avere intrapreso la <br />
pubblicazione del giornale di informazione civile denominato “Accade in Sicilia” e <br />
diffuso sul sito internet www.accadeinsicilia.net senza che fosse stata eseguita la <br />
registrazione presso la cancelleria del Tribunale di Modica, competente per <br />
territorio per avere il Ruta comunicato al provider Tiscali il proprio indirizzo di <br />
posta elettronica in Pozzallo via Ungaretti n.46, con registrazione avvenuta in data <br />
16 dicembre 2003. In Pozzallo il 16.12.2003 e fino al 07.12.2004. <br />
Con la recidiva di cui all’art. 99 C.P. <br />
Con l’intervento del Pubblico Ministero dr.ssa V. Di Grandi V. Proc. O. <br />
del difensore dell’imputato, Avv. G. Di Pasquale <br />
Le parti hanno concluso come segue: <br />
Il Pubblico Ministero chiede la condanna dell’imputato <strong>alla</strong> pena di € 250,00 di <br />
multa. <br />
Il difensore dell’imputato chiede l’assoluzione perché il fatto non sussiste o per non <br />
averlo l’imputato commesso ed in subordine, ex art. 530, 2° co. c.p.p.. <br />
MOTIVAZIONE <br />
Ruta Carlo veniva citato a giudizio davanti al Tribunale di Modica in composizione <br />
monocratica con decreto emesso il 31.05.2006 dal Pubblico Ministero presso <br />
questo Tribunale per rispondere del reato di cui agli artt. 5 e 16 della legge n. 47 <br />
dell’8.02. 1948 meglio specificato in rubrica. <br />
All’udienza dcl 25.09.2007, <strong>alla</strong> presenza dell’imputato, dopo diversi rinvii dovuti <br />
ad impedimenti del difensore di fiducia dell’imputato, si dava inizio all’istruzione <br />
dibattimentale mediante l’esame dei testi indicati in lista dal P.M.. <br />
Alla stessa udienza l’imputato rendeva spontanee dichiarazioni. <br />
All’udienza del 29.01.2008 il Tribunale disponeva degli ulteriori accertamenti <br />
mediante la Polizia Postale di Catania relativamente <strong>alla</strong> cadenza con cui il sito <br />
veniva aggiornato e con cui venivano pubblicati gli articoli. Indi all’udienza dell’8 <br />
maggio 2008, dopo avere escusso l’Assistente della Polizia Postale di Catania Vito <br />
Latora, esaurita l’istruttoria dibattimentale, le parti formulavano ed illustravano le <br />
rispettive conclusioni come da verbale in atti. <br />
All’odierno imputato è stato contestato il reato di cui agli artt. 5 e 16 della L. n. 47 <br />
dell’8.02. 1948 per avere intrapreso la pubblicazione del giornale di informazione <br />
civile denominato “Accade in Sicilia” e diffuso, con registrazione avvenuta il <br />
16.12.2003, sul sito Internet WWW.accadeinsicilia.net. senza che fosse stata <br />
eseguita la registrazione presso la cancelleria del Tribunale di Modica, competente <br />
per territorio. <br />
In diritto occorre preliminarmente osservare che l’art. 5 della L. n. 47/1948 <br />
stabilisce che nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato <br />
preventivamente registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui <br />
circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi. Il successivo art. 16 dello stesso <br />
testo normativo punisce penalmente chiunque intraprenda la pubblicazione di un <br />
giornale ovvero di un periodico, senza che sia stata eseguita la suddetta <br />
registrazione. <br />
Va chiarito che il provvedimento di registrazione consiste in un mero controllo di <br />
legittimità della regolarità formale dei documenti prodotti e della rispondenza del <br />
loro contenuto alle disposizioni di legge. La registrazione di un periodico, quindi, <br />
non costituisce un limite preventivo <strong>alla</strong> libertà di stampa, essendo esclusa <br />
nell’emissione del suddetto provvedimento ogni valutazione discrezionale circa <br />
l’opportunità di consentire o meno la pubblicazione. <br />
La finalità della registrazione è unicamente quella di garantire la repressione degli <br />
abusi e di individuare i soggetti responsabili di eventuali illeciti commessi a mezzo <br />
stampa. Essa rappresenta soltanto una condizione di legittimità della pubblicazione, <br />
la cui mancanza dà luogo al reato di stampa clandestina. <br />
132
<br />
<br />
D’altro canto anche la Corte Costituzionale con sent. N. 2 del 1971 ha escluso che le <br />
disposizioni in esame compromettano le libertà riconosciute e garantite dall’art. 21 <br />
della Cost., avendo ivi affermato che l’obbligo della registrazione riguarda <br />
esclusivamente i giornali quotidiani o periodici, sicché non pone alcuno ostacolo a <br />
che un soggetto manifesti il proprio pensiero con singoli stampati o con numeri <br />
unici. <br />
Peraltro deve precisarsi che, sulla scorta di fondamentali enunciati del Giudice <br />
Costituzionale (sent. Cort. Cost. n. 826 del 14.07.1988), la nozione di libertà di <br />
manifestazione del pensiero fa oggi riferimento non solo <strong>alla</strong> libertà di colui che <br />
intende avvalersene in senso attivo, ma anche al diritto dei destinatari del <br />
messaggio comunicativo. <br />
Pertanto, al fine di assicurare un equilibrio tra queste due posizioni, entrambe <br />
costituzionalmente protette, appare legittimo l’intervento del legislatore volto a <br />
regolare l’esercizio dell’attività d’informazione. Ciò posto, occorre rilevare che, sino <br />
all’entrata in vigore della legge n. 62 del 2001, il prevalente orientamento <br />
giurisprudenziale aveva adottato un’interpretazione restrittiva dell’art. 1 della L. n. <br />
47 del 1948, ritenendo che, affinché una pubblicazione potesse essere ricompresa <br />
nella nozione di prodotto editoriale di cui <strong>alla</strong> citata disposizione, dovesse <br />
necessariamente sussistere il requisito ontologico della riproduzione del giornale <br />
su supporto cartaceo. <br />
Secondo tale orientamento veniva esclusa la possibilità di estendere ai giornali <br />
telematici le disposizioni relative <strong>alla</strong> registrazione previste per la stampa <br />
periodica. <br />
Infatti la Legge n. 47 del 1948 all’art. 1 statuiva che, ai fini della suddetta legge, per <br />
stampa o stampati dovessero considerarsi tutte le riproduzioni tipografiche o <br />
comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico chimici, in qualsiasi modo <br />
destinate <strong>alla</strong> pubblicazione <br />
Solo successivamente con la legge n. 62 del 2001 il legislatore ha esteso il concetto <br />
di prodotto editoriale, ricomprendendo in esso non solo il prodotto realizzato su <br />
supporto cartaceo, ma anche quello realizzato su supporto informatico destinato <br />
<strong>alla</strong> pubblicazione anche con mezzo elettronico, ed ha, conseguentemente, esteso <br />
l’applicazione degli artt. 2 e 5 della L. n. 47 del 1948 anche ai giornali e periodici c.d. <br />
telematici. Ed invero la nuova legge all’art. 1, comma 1°, statuisce che per prodotto <br />
editoriale, ai fini della presente legge, si intende il prodotto realizzato su supporto <br />
cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato <strong>alla</strong> <br />
pubblicazione o, comunque, <strong>alla</strong> diffusione di informazioni presso il pubblico con <br />
ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora e televisiva, <br />
con esclusione dei prodotti disco grafici o cinematografici” e stabilisce al successivo <br />
comma 3°che “al prodotto editoriale si applicano le disposizioni di cui all’art. 2 della <br />
legge 8 febbraio 1948 n. 47. I1 prodotto editoriale diffuso al pubblico con <br />
periodicità regolare e contraddistinto da una testata, costituente elemento <br />
identìficativo del prodotto, è sottoposto, altresì, agli obblighi previsti dall’art. 5 della <br />
medesima legge n. 47 del 1948”. <br />
A seguito dell’entrata in vigore della suddetta legge si sono affermati due <br />
contrapposti orientamenti interpretativi circa l’ambito di applicazione del <br />
menzionato testo normativo. Secondo l’interpretazione fornita da alcuni autori il <br />
regime prescritto dall’art. 1 della L. n. 62/2001 troverebbe applicazione solo per <br />
coloro i quali intendono usufruire delle agevolazioni previste d<strong>alla</strong> medesima legge. <br />
Diversamente secondo altra parte della dottrina e secondo la giurisprudenza di <br />
merito (Trib. Milano, Il sez. Civile, 10‐16 maggio 2006 n. 6127; Tribunale Salerno, <br />
16.03.2001; Tribunale Latina, 7.06.2001) la norma, che accomuna in un sistema <br />
unitario la carta stampata e i nuovi media, ha valore generale, così da poter <br />
affermare l’assoluta equiparabilità di un sito internet ad una pubblicazione a <br />
133
<br />
<br />
stampa, anche con riferimento ad un eventuale sequestro di materiale <br />
«incriminato». <br />
Questo giudicante ritiene di aderire al secondo orientamento dianzi illustrato in <br />
quanto lo stesso, oltre che più razionale da un punto di vista sistematico, appare <br />
peraltro confermato dal fatto che il titolo della legge del 2001 reca “Nuove norme <br />
sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche <strong>alla</strong> legge 5 agosto 1981, n. 416”, il <br />
che lascia intuire che l’intenzione del legislatore non fosse solo quella di dettare <br />
regole sulle provvidenze, ma anche di introdurre modifiche attinenti all’intero <br />
settore dell’editoria. <br />
Pertanto l’inciso contenuto nell’art. 1 della legge in esame “ai fini della presente <br />
legge” avrebbe valore generale e non limitato all’erogazione dei contributi. <br />
Orbene, <strong>alla</strong> luce della suddetta normativa, al prodotto editoriale, per come definito <br />
dal comma 1 dell’art. 1 della L. n. 62/2001, si applicano le disposizioni di cui all’art. <br />
2 della L. n. 47/1948, mentre i prodotti editoriali diffusi al pubblico con periodicità <br />
regolare e contraddistinti da una testata sono ulteriormente sottoposti agli obblighi <br />
previsti dall’art. 5 della medesima legge n. 47 del 1948. <br />
In sintesi devono essere inscritte, nell’apposito registro tenuto dai tribunali civili, le <br />
testate giornalistiche on‐line che abbiano le stesse caratteristiche e la stessa natura <br />
di quelle scritte o radio‐televisive e che, quindi, abbiano una periodicità regolare, un <br />
titolo identificativo (testata) e che diffondano presso il pubblico informazioni legate <br />
all’attualità. In particolare, le testate telematiche da registrare e perciò sottoposte ai <br />
vincoli rappresentati dagli articoli n. 2, 3 e 5 della L. n. 47/1948 sulla stampa sono <br />
quelle pubblicate con periodicità (quotidiana, settimanale, bisettimanale, <br />
trisettimanale, mensile, bimestrale) e caratterizzate d<strong>alla</strong> raccolta, dal commento e <br />
dall’elaborazione critica di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione <br />
interpersonale, d<strong>alla</strong> finalità di sollecitare i cittadini a prendere conoscenza e <br />
coscienza di fatti di cronaca e, comunque, di tematiche socialmente meritevoli di <br />
essere rese note. <br />
Ed è, altresì, ovvio che il richiamo contenuto nell’art. 1, comma 3, della L. n. <br />
62/2001 agli att. 2 e 5 della L. n. 47/1948 implica automaticamente il richiamo <br />
anche all’art. 16 della stessa legge e, quindi, alle sanzioni penali prescritte per <br />
l’ipotesi di inottemperanza alle disposizioni di cui agli artt. 2 e 5. Sicché l’art. 16 <br />
della legge sulla stampa si applica anche ai giornali telematici non già in via <br />
analogica, come da alcuni sostenuto, ma perché è lo stesso legislatore che rinvia a <br />
detta disposizione nel momento in cui impone alle testate periodiche l’obbligo della <br />
registrazione. <br />
D’altra parte diversamente opinando sarebbe irragionevole prevedere ed imporre <br />
anche ai periodici telematici gli stessi obblighi prescritti per la stampa ed escludere <br />
l’irrogazione delle sanzioni penali fissate per l’inosservanza dei suddetti obblighi. <br />
Detto quadro normativo, per quello che in questa sede interessa, non è stato <br />
intaccato dall’entrata in vigore del D.Lvo n. 70 del 2003, il quale, per come risulta <br />
d<strong>alla</strong> stessa rubrica del decreto, disciplina esclusivamente “i servizi della società <br />
dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio <br />
elettronico”. <br />
Le finalità della nuova normativa sono rese esplicite dal l° comma dell’art. 1 del <br />
d.lgs. n. 70/2003 e consistono nella promozione della libera circolazione dei servizi <br />
della società dell’informazione (SSI), e segnatamente nell’attività di commercio <br />
elettronico. <br />
Tale normativa, da un punto di vista oggettivo e per come stabilito dall’art. 2 dello <br />
stesso decreto, si riferisce a “qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale <br />
a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per <br />
via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”. <br />
Sostanzialmente, rientra nell’ambito regolato d<strong>alla</strong> nuova disciplina il c.d. <br />
commercio elettronico, inteso quale attività di contrattazione telematica e relative <br />
134
<br />
<br />
operazioni propedeutiche, oltre che qualsiasi tipo di servizio, che comunque <br />
costituisca un’ attività economica. <br />
In relazione, poi, all’ambito soggettivo di applicazione, tre sono le definizioni <br />
rilevanti. Il «prestatore», che viene definito, sempre dall’art. 2, come la persona <br />
fisica o giuridica che presta un servizio per la società dell’informazione (SSI); il <br />
«destinatario del servizi» quale soggetto che, a scopi professionali e non, utilizza un <br />
SSI, in particolare per ricercare o rendere accessibili informazioni; il <br />
«consumatore» come qualsiasi persona fisica o giuridica che agisca con finalità non <br />
riferibile all’attività commerciale, imprenditoriale o professionale eventualmente <br />
svolta. <br />
Deve di conseguenza concludersi che il decreto legislativo in parola regola <br />
esclusivamente l’attività di prestazione di servizi di informazione, resa dalle società <br />
di informazione e da coloro che prestano servizi per le suddette società, mentre non <br />
si applica al singolo che svolge l’attività d’informazione non in forma commerciale <br />
e, quindi, non in qualità di prestatore di servizi nel senso dianzi delineato. <br />
A tal fine va anche evidenziato che l’art. 1, ultimo periodo, della 1. n. 62/2001 <br />
risulta immutato e non è stato abrogato dal D.L.vo n. 70/2003, né la norma <br />
contenuta nel comma 3° dell’art. 7 può essere considerata norma di interpretazione <br />
autentica del citato art. 1 della 1. n. 62/2001, essendo il decreto legislativo in <br />
commento applicativo, nell’ambito dell’ordinamento interno, di una direttiva <br />
comunitaria, la quale, al momento della sua emanazione, non poteva, <br />
evidentemente, avere a riferimento la legislazione interna preesistente. <br />
L’orientamento che, al momento dell’entrata in vigore della 1.n. 62/2001, <br />
interpretava restrittivamente l’art. i, comma 3°ultimo periodo, della 1. n. 62/2001, <br />
affermando come in realtà tale norma sancisse l’obbligo di registrazione solo per le <br />
testate giornalistiche on‐line che volessero accedere ai finanziamenti statali, non è, <br />
dunque, condivisibile proprio in ragione dell’emanazione del D.L.vo n. 70/2003, il <br />
quale ha dovuto introdurre, successivamente ed all’uopo, una disposizione ad hoc, <br />
che, si ribadisce, non è di interpretazione autentica e che esenta d<strong>alla</strong> registrazione <br />
le testate editoriali telematiche riferibili alle società di servizi. <br />
Non può, quindi, sostenersi, sic et simpliciter, che l’art. 7, comma 3°, D.L.vo n. <br />
70/2003 abbia sostanzialmente sancito l’inoperatività dell’art. 1, comma 3°ultimo <br />
periodo, della 1. n. 62/2001, facendo salva solo la marginale ipotesi dell’accesso al <br />
finanziamento pubblico. Semmai al contrario, avuto riguardo all’oggetto della <br />
disciplina del D.L.vo n. 70/2003 ed <strong>alla</strong> portata generale dell’art. 1, commi 1 e 3, <br />
della 1. n. 62/2001, il complesso sistematico delle norme impone un’esegesi delle <br />
medesime nel senso che al singolo giornalista, che non svolge la propria attività in <br />
forma economica e che non presta servizi in favore di una società di informazione, <br />
non può applicarsi la disposizione di cui all’art. 7, comma 3, del D. Lvo n. 70/2003, <br />
che esonera d<strong>alla</strong> registrazione le testate editoriali telematiche che non intendono <br />
accedere alle provvidenze di cui <strong>alla</strong> legge n. 62/2001, perché tale disposizione <br />
riguarda solamente il c.d. prestatore di servizi, rimanendo conseguentemente il <br />
singolo giornalista sottoposto all’obbligo di cui all’art. 1, comma 3° ultimo periodo, <br />
della 1. n. 62/2001. <br />
A conferma di quanto sopra asserito (in operatività del comma 3°art. 1 L. n. <br />
62/2001) va ulteriormente chiarito che la registrazione cui fa riferimento l’art. 7, <br />
comma 3, del D. Lvo n. 70/2003 non può che essere quella da effettuarsi presso il <br />
Registro Operatori della Comunicazione (ROC), istituito con la L. n. 249 del 1997 <br />
(art. 16 L. n. 62/2001), e non quella da effettuarsi ai sensi dell’art. 5 della L. n. <br />
47/1948 (art. 1, comma 3, L. n. 62/2001), essendo la prima sostitutiva della <br />
seconda, ai sensi dell’art. 16 della L n. 62/2001, ed essendo tenute le società dei <br />
servizi di informazione, cui si applica il D. Lvo n. 70/2003 e fatta salva l’esenzione di <br />
cui all’art. 7, comma 3°,del D.L.vo n. 70/2003, all’iscrizione presso il suddetto <br />
registro, anche in funzione sostitutiva della registrazione prevista dall’art. 5 della 1. <br />
135
<br />
<br />
n. 47/1948, quale obbligo connesso al singolo servizio ex art. 7, comma 1°, del <br />
D.L.vo n. 70/2003 e ai sensi del combinato disposto dell’art. 16 della 1. n. 62/2001 <br />
con l’art. 1 comma 6 lett. a) numero 5) della L. 249/1997. Le stesse, infatti, <br />
rientrano tra i soggetti individuati all’uopo d<strong>alla</strong> legge del 1997 e cioè tra “i soggetti <br />
destinatari di concessione ovvero di autorizzazione in base <strong>alla</strong> vigente normativa <br />
da parte dell’Autorità o delle amministrazioni competenti, le imprese <br />
concessionarie di pubblicità da trasmettere mediante impianti radiofonici o tele <br />
visivi o da diffondere su giornali quotidiani o periodici, le imprese di produzione e <br />
distribuzione dei programmi radiofonici e tele visivi, nonché le imprese editrici di <br />
giornali quotidiani, di periodici o riviste e le agenzie di stampa di carattere <br />
nazionale, nonché le imprese fornitrici di servizi telematici e di telecomunicazioni <br />
ivi compresa l’editoria elettronica e digitale”. <br />
In conclusione, <strong>alla</strong> stregua della normativa introdotta con il D.L.vo del 2003, <br />
devono inscriversi nel Roc soltanto i soggetti editori che pubblicano una o più <br />
testate giornalistiche diffuse al pubblico con regolare periodicità per cui è previsto <br />
il conseguimento di ricavi qualora intendono avvalersi delle provvidenze previste <br />
d<strong>alla</strong> L. n. 62 del 7.03.2001 o che, comunque, ne facciano specifica richiesta. <br />
Tale differenziazione di trattamento per le società di servizi di informazione e per il <br />
prestatore di servizi che opera in favore della stessa, i quali qualora non intendano <br />
beneficiare del finanziamento pubblico sono esonerati dall’obbligo di iscrizione al <br />
Roc, si giustifica in considerazione del fatto che detti enti collettivi sono già <br />
sottoposti ad una normativa che consente facilmente di individuarli e, dunque, <br />
garantisce la trasparenza ed il controllo sullo svolgimento della loro attività (vedi <br />
appunto D. Lvo n. 70/2003 e segnatamente lo stesso art. 7, commi i e 2, che impone <br />
al prestatore l’obbligo di fornire una serie di dettagliate informazioni circa la <br />
propria attività). Una diversa interpretazione delle disposizioni in commento, a <br />
parere di questo Decidente, sarebbe suscettibile di irragionevolezza ed in contrasto <br />
con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. Difatti, qualora <br />
dovesse ritenersi che la disposizione di cui all’art. 7 comma 3 del D.Lvo n. 70/2003 <br />
abbia escluso l’obbligo della registrazione di cui all’art. 5 della L. n. 47/1948 per <br />
tutti coloro i quali pubblicano un periodico tramite la rete Internet, si creerebbe <br />
un’ingiustificata disparità di trattamento tra i giornalisti della carta stampata, i <br />
quali soli sarebbero costretti a rispettare il dettato della legge del 1948 sulla <br />
stampa, ed i giornalisti telematici i quali, invece, potrebbero pubblicare in rete <br />
senza alcuna limitazione e senza alcuna forma di controllo. <br />
Si aggiunga che proprio la pubblicazione di una pagina web rappresenta la forma <br />
più efficace e potenzialmente più insidiosa di diffusione di una notizia, dato o <br />
informazione, giacché tale “luogo” virtuale può essere visitato non solo da colui che <br />
è specificamente e direttamente interessato a conoscere una certa notizia, ma può <br />
essere visitato anche da soggetti che, inserendo uno o più termini in un motore di <br />
ricerca, vengono indirizzati al sito in oggetto. <br />
Al riguardo proprio la Suprema Corte in una recente sentenza ha rilevato come nel <br />
caso in cui un utente di Internet “crei o utilizzi uno spazio web, la comunicazione <br />
deve intendersi effettuata potenzialmente erga omnes (sia pure nel ristretto ‐ma <br />
non troppo ‐ ambito di tutti coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica e, <br />
nel caso di siti a pagamento, la legittimazione a connettersi)” (Cass. pen. 27 <br />
dicembre 2000). <br />
Tanto premesso in diritto, nel caso in esame risulta acclarata la sussistenza del <br />
reato contestato all’odierno imputato. <br />
D<strong>alla</strong> documentazione in atti emerge inequivocabilmente che l’imputato ha <br />
pubblicato sul sito internet denominato www.accadeinsicilia.net, un giornale che <br />
rientra nel paradigma del prodotto editoriale descritto dall’art. 1, comma 3, L. n. <br />
62/2001. <br />
136
<br />
<br />
In primo luogo è lo stesso imputato che, intitolando il proprio prodotto “Accade in <br />
Sicilia giornale di informazione civile”, ha definito e qualificato il proprio prodotto <br />
come giornale diretto a svolgere attività di informazione e, dunque, come prodotto <br />
editoriale. <br />
Ad ulteriore conferma che quanto pubblicato dal Ruta sul sito in parola sia un <br />
prodotto editoriale proviene dal contenuto degli articoli in esso pubblicati, i quali <br />
hanno ad oggetto fatti di cronaca locale, inchieste giudiziarie, testimonianze dirette <br />
e fatti storici (vedi: “omicidi Tumino e Spampinato”; “affare acqua e mafia”; <br />
8.08.2003 “emergenze e giustizia il questore Casabona viene trasferito da Ragusa “; <br />
29.06.2003 “caso Carbone‐Antonveneta. Nell’est siciliano si vilipende la legge fino <br />
<strong>alla</strong> vergogna”; 15.04.003 “Operazione privè negli iblei”). <br />
In secondo luogo, l’attività istruttoria ha consentito di accertare che il sito internet <br />
creato dall’imputato presentava le caratteristiche di un periodico per la <br />
sistematicità con cui veniva aggiornato e con cui venivano pubblicati gli articoli. <br />
Dalle pagine del suddetto giornale rinvenute d<strong>alla</strong> Polizia Postale di Catania e da <br />
quelle già acquisite al fascicolo per il dibattimento si evince chiaramente che gli <br />
articoli venivano pubblicati con cadenza giornaliera, dato peraltro confermato, <br />
come già anticipato, anche d<strong>alla</strong> denominazione data dallo stesso imputato di <br />
“Giornale” che letteralmente significa quotidiano di informazione” (vedi articoli <br />
datati 27.11.2004, 25.11.2004, 15.11.2004, 17.11.2004, 10.11.2004, 6.11.2004, <br />
3.11.2004, 1.11.2004, 30.10.2004, 28.10.2004, 14.10.2004, 13.10.2004). <br />
In conclusione, il prodotto pubblicato dal Ruta sul sito internet denominato <br />
WWW.accadeinsicilia.net si inquadra esattamente nell’ambito del prodotto <br />
editoriale di cui all’art. 1, commi 1° e 3°del D. lvo n. 62/2001 per la cui <br />
pubblicazione era necessaria la registrazione presso la cancelleria del tribunale, <br />
non operando nel caso di specie l’esenzione di cui all’art. 7, c. 3°,D. Lvo n. 70/2003 <br />
perché l’imputato non ha svolto l’attività d’informazione per cui è processo in <br />
forma commerciale o comunque economica, né ha operato quale prestatore di <br />
servizi per le società di servizi d’informazione. <br />
L’inottemperanza al predetto obbligo, in applicazione di principi di diritto sopra <br />
enunciati, integra il reato di cui all’art. 16 della L.n. 47/1948. <br />
In ultimo va chiarito che non assume rilevanza, al fine di escludere la penale <br />
responsabilità dell’imputato, l’affermazione resa dallo stesso in sede di spontanee <br />
dichiarazioni, secondo cui il prodotto dallo stesso pubblicato non fosse un <br />
quotidiano, ma semplicemente un “blog” inteso come diario di informazione civile. <br />
Al riguardo giova innanzitutto evidenziare che il “blog” è principalmente uno <br />
strumento di comunicazione ove chiunque può scrivere ciò che vuole e come tale <br />
può anche essere usato per pubblicare un giornale. <br />
Infatti un “blog” può anche essere utilizzato come metodo di presentazione di un <br />
giornale, cioè di una testata registrata con una sua linea editoriale, per coinvolgere <br />
il pubblico. <br />
Pertanto diverso può essere l’uso che si fa del blog nel senso che lo si può utilizzare <br />
semplicemente come strumento di comunicazione ove tutti indistintamente <br />
possono esprimere le proprie opinioni sui i più svariati argomenti ed in tal caso non <br />
ricorre certamente l’obbligo di registrazione, ovvero come strumento tramite il <br />
quale fare informazione. <br />
Nella fattispecie de qua, come risulta dalle pagine acquisite agli atti e come ha <br />
riferito il teste La Tora, per pubblicare degli articoli sul sito creato dal Ruta era <br />
necessario contattare costui e sottoporre <strong>alla</strong> sua preventiva valutazione l’articolo <br />
che si intendeva pubblicare. <br />
Pertanto appare evidente come il sito in questione non fosse un blog, al quale <br />
chiunque potesse accedere e partecipare al dibattito, ma era un vero e proprio <br />
giornale dotato di una testata e di un editore responsabile. <br />
137
<br />
Le conclusioni di tale decisione erano già note da tempo e <br />
non avevano mancato di sollevare molte perplessità anche se, <br />
probabilmente, la speranza di tutti era che ci si sbagliasse. <br />
Nessun errore, invece. Lo storico siciliano è stato <br />
condannato in quanto secondo i giudici avrebbe dovuto registrare <br />
presso il competente tribunale la testata "Accade in Sicilia" da esso <br />
edita attraverso il proprio blog all'indirizzo <br />
www.accadeinsicilia.net". <br />
Si sbaglierrebbe, tuttavia, ad archiviare semplicemente la <br />
questione parlando di una Sentenza sbagliata o di una "cantonata <br />
del giudice". <br />
Non è così: il Giudice date due soluzioni interpretative <br />
lasciate aperte d<strong>alla</strong> vigente disciplina sull'editoria (quella si <br />
scritta male e pensata peggio, da bocciare senza prova di appello <br />
come ho già scritto) ne ha scelta una incorrendo, probabilmente, in <br />
qualche leggerezza sulla quale tornerò nelle prossime ore. <br />
Proprio per questo, tuttavia, la situazione è più grave di <br />
quanto non sarebbe si trattasse "solo" di un errore giudiziario: il <br />
Caso Ruta ha portato <strong>alla</strong> ribalta un rischio che è noto agli addetti <br />
ai lavori sin dal 2001 ovvero quello che ‐ complice la brutta nuova <br />
legge sull'editoria (la 62/2001) da un giorno all'altro l'intera <strong>Rete</strong> <br />
avrebbe potuto essere ritenuta clandestina… <br />
I principi contenuti nella decisione del Tribunale di <br />
Modica, infatti, se rigorosamente interpretati non lasciano spazio <br />
<br />
A suggello e conferma di quanto sopra va, del resto, richiamato che lo stesso <br />
imputato ha definito la propria pubblicazione come “Giornale di informazione <br />
civile”. <br />
L’imputato va, quindi, condannato in ordine al reato allo stesso contestato. <br />
L’imputato appare meritevole della concessione delle attenuanti generiche attesa la <br />
sua incensuratezza. <br />
Così affermata la penale responsabilità di Ruta Carlo in ordine al reato ascrittogli, <br />
avuto riguardo ai criteri indicati dall’art. 133 c.p., riconosciute le attenuanti <br />
generiche per l’incensuratezza dell’imputato, si ritiene equo determinare la pena in <br />
€ 150,00 di multa (pena base € 225,00 di multa ridotta nella misura finale ex art. 62 <br />
bis c.p.). <br />
All’affermazione di responsabilità dell’imputato segue ex lege la condanna al <br />
pagamento delle spese processuali. Data la complessità delle questioni trattate è <br />
stato fissato in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione. <br />
P.Q.M. <br />
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.; <br />
dichiara Ruta Carlo colpevole del reato allo stesso ascritto e, concesse le attenuanti <br />
generiche, lo condanna <strong>alla</strong> pena di € 150 di multa oltre al pagamento delle spese <br />
processuali; visto l’art. 544 c.p.p.; <br />
fissa per il deposito della motivazione il termine di giorni novanta. <br />
Modica 8.05.2008 <br />
IL GIUDICE <br />
Patricia Di Marco <br />
138
<br />
alcuno a conclusioni diverse: ogni sito di informazione (cosa non è <br />
informazione nella Società dell'informazione?) deve essere <br />
registrato perché il suo titolare non corra il rischio di incorrere in <br />
una condanna analoga a quella inflitta a Carlo Ruta. <br />
Buon rientro dalle vacanze, dunque, da un sito <br />
clandestino! <br />
<br />
Perché quel blogger è stato condannato? <br />
17 giugno 2008 <br />
Punto Informatico <br />
<br />
La notizia ormai è nota: con una Sentenza dei giorni scorsi <br />
che, tuttavia, nessuno sembra aver ancora letto, il Tribunale di <br />
Modica avrebbe condannato Carlo Ruta – storico e blogger <br />
siciliano – per stampa clandestina. <br />
Se la notizia fosse confermata, la decisione affermerebbe <br />
un principio importante che va ben al di là della singola vicenda e <br />
della pur grave condanna di un blogger: quello secondo cui anche i <br />
blog vanno registrati presso il registro della Stampa di cui <strong>alla</strong> <br />
Legge n. 47 del 1948 cui, negli ultimi cinquant’anni, è rimasta <br />
affidata la disciplina della materia nonostante gli importanti <br />
cambiamenti intervenuti nel mondo dell’informazione e della <br />
comunicazione. <br />
L’art. 16 della citata legge, infatti, stabilisce a chiare lettere <br />
che “Chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro <br />
periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta <br />
dall'art. 5, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa <br />
fino a lire 500.000”. <br />
L’art. 5 della stessa Legge, a sua volta, prevede che <br />
“Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia <br />
stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui <br />
circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi.”. <br />
Il blog come un “giornale o periodico” dunque? <br />
La questione è al centro di un dibattito che negli ultimi <br />
anni si è riproposto all’attenzione degli addetti ai lavori con <br />
periodicità che si potrebbe definire regolare se non si corresse – <br />
così facendo ‐ il rischio di vedersi contestare il reato di stampa <br />
clandestina. <br />
Andiamo con ordine e cerchiamo di capire perché <br />
un’ipotesi quale quella dell’equiparazione di un blog ai giornali e <br />
periodici e meno peregrina – norme di legge <strong>alla</strong> mano – di quanto <br />
l’esperienza suggerirebbe a ciascuno di noi. <br />
Il comma 3 dell’art. 1 della bruttissima nuova legge <br />
sull’editoria (7 marzo 2001, n. 62) prevede che “Al prodotto <br />
editoriale si applicano le disposizioni di cui all'articolo 2 della <br />
139
<br />
legge 8 febbraio 1948, n. 47” e che “il prodotto editoriale diffuso al <br />
pubblico con periodicità regolare e contraddistinto da una testata, <br />
costituente elemento identificativo del prodotto, è sottoposto, <br />
altresì, agli obblighi previsti dall'articolo 5 della medesima legge n. <br />
47 del 1948.”. <br />
Il primo comma della stessa Legge contiene una <br />
definizione di prodotto editoriale omnicomprensiva secondo la <br />
quale “per “prodotto editoriale”, ai fini della presente legge, si <br />
intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il <br />
libro, o su supporto informatico, destinato <strong>alla</strong> pubblicazione o, <br />
comunque, <strong>alla</strong> diffusione di informazioni presso il pubblico con <br />
ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione <br />
sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o <br />
cinematografici.”. <br />
La nuova legge sull’editoria, dunque, prevede <br />
l’applicabilità dell’art. 2 della vecchia legge sulla stampa a tutti i <br />
siti internet destinati <strong>alla</strong> diffusione di informazioni e <br />
l’applicabilità altresì dell’art. 5 della stessa legge – quello appunto <br />
recante l’obbligo di registrazione presso i tribunali – dei soli siti <br />
internet destinati <strong>alla</strong> diffusione di informazioni contraddistinti da <br />
una testata e diffusi al pubblico con periodicità regolare. <br />
Il quadro normativo è completato d<strong>alla</strong> disposizione <br />
contenuta al comma 3 dell’art. 7 del Decreto Legislativo n. 70 del 9 <br />
aprile 2003 attraverso il quale è stata data attuazione <strong>alla</strong> Direttiva <br />
sul commercio elettronico. <br />
Secondo tale disposizione “la registrazione della testata <br />
editoriale telematica e' obbligatoria esclusivamente per le attività <br />
per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle <br />
provvidenze previste d<strong>alla</strong> legge 7 marzo 2001, n. 62”. <br />
Si tratta di una disposizione scritta in modo ambiguo e <br />
poco puntuale perché ha per oggetto un’entità – la “testata <br />
telematica” – diversa da quella oggetto della nuova disciplina <br />
sull’editoria – il “prodotto editoriale” – e perché fa generico <br />
riferimento ad una “registrazione” senza, tuttavia, chiarire se tale <br />
registrazione sia quella presso i Tribunali o, piuttosto, quella <br />
presso il ROC, Registro Unico degli Operatori della comunicazione. <br />
La differenza non è di poco conto. <br />
Se, infatti, la registrazione di cui all’art. 7 del D.Lgs. <br />
70/2003 è quella prevista all’art. 5 della Legge sulla Stampa i <br />
blogger italiani possono dormire sonni tranquilli e sentirsi liberi – <br />
anche laddove aggiornino quotidianamente i propri blog – di <br />
decidere se iscrivere o meno il proprio sito presso il registro della <br />
Stampa tenuto presso il Tribunale. <br />
Se, invece, il riferimento dovesse intendersi come rivolto <br />
al ROC, la questione sarebbe diversa e gli autori di blog a <br />
140
<br />
contenuto informativo che postano con “periodicità regolare” si <br />
ritroverebbero soggetti all’obbligo di iscrizione di cui <strong>alla</strong> Legge <br />
sulla Stampa e, qualora non vi provvedano esposti al rischio di <br />
sentirsi contestare il reato di stampa clandestina per quanto <br />
assurdo ciò possa sembrare. <br />
Dura lex sed lex e, per quanto sia difficile da accettare, <br />
l’attuale contesto normativo – caratterizzato da disposizioni <br />
ambigue e confuse varate da legislatori che hanno sempre <br />
manifestato scarso interesse per le questioni della <strong>Rete</strong> – legittima <br />
la magistratura a pervenire a conclusioni che, inesorabilmente, <br />
suonano censorie e contrarie all’esercizio, in Internet, della libertà <br />
di manifestazione del pensiero. <br />
Ma c’è di più. <br />
Mentre, infatti, un blogger – stante la possibile <br />
equiparazione del suo blog a giornali e periodici – rischia di <br />
vedersi contestare il reato di stampa clandestina, esso – come <br />
dimostra un altro recente episodio di mala giustizia (http://punto‐<br />
informatico.it/2314627/PI/News/Sequestrato‐un‐altro‐blog‐<br />
italiano/p.aspx) – non può poi neppure fare affidamento sulle <br />
speciali garanzie che nel nostro Paese assistono la stampa: prima <br />
tra tutte l’insequestrabilità – se non in casi tassativamente <br />
individuati d<strong>alla</strong> legge – degli stampati. <br />
A ciò si aggiunga che il blogger, qualora attraverso i suoi <br />
post diffami qualcuno, corre il rischio di vedersi contestata <br />
l’ipotesi aggravata del reato caratteristica di chi esercita <br />
professionalmente l’attività giornalistica. <br />
Troppa confusione e troppe ambiguità: occorrono, con <br />
urgenza, leggi nuove che riordinino le previsioni di quelle vecchie <br />
(e meno vecchie) <strong>alla</strong> luce del mutato contesto dell’informazione in <br />
<strong>Rete</strong> senza imbrigliare chi vuol far sentire la sua voce e, ad un <br />
tempo, garantendo a tutti la certezza di poter chiedere giustizia <br />
nell’ipotesi in cui altri offendano la propria immagine o <br />
reputazione. <br />
E’ un discorso complesso che tocca, tra gli altri, il tema <br />
della tradizionale distinzione tra chi fa professionalmente <br />
informazione e chi, più o meno assiduamente, utilizza le nuove <br />
risorse telematiche per dire la sua. <br />
Entrambe le categorie di soggetti debbono avere eguali <br />
responsabilità ed eguali garanzie o, piuttosto, come accade oggi, è <br />
giusto continuare a far pesare maggiori responsabilità sui <br />
professionisti dell’informazione garantendo, tuttavia, a questi <br />
ultimi anche maggiori garanzie? <br />
<br />
Blog e censura preventiva: una brutta storia. <br />
10 giugno 2008 <br />
141
<br />
http://www.guidoscorza.it/?p=311 <br />
<br />
Leggo sulle pagine di Punto Informatico l'ennesima brutta <br />
storia di netcensura: un blogger critica (non so se a torto o a <br />
ragione) le capacità politiche di un Consigliere Comunale e <br />
quest'ultimo, per tutta risposta, lo querela per diffamazione <br />
chiedendo ed ottenendo il sequestro preventivo dell'intero blog e <br />
non del solo post incriminato 55. <br />
Non conosco la vicenda, non ho avuto modo di leggere il <br />
post incriminato, non so dire se ed in che misura il suo contenuto <br />
fosse diffamatorio e, francamente, non mi interessa… <br />
Il punto è un altro: sequestrare un blog per oscurare un <br />
post è esattamente come chiudere una televisione per un servizio <br />
asseritamente diffamatorio mandato in onda nel corso di un TG. <br />
Quello in atto è un autentico attentato <strong>alla</strong> libertà di <br />
manifestazione del pensiero: anche l'autore di un reato di <br />
diffamazione ‐ ammesso anche che il reato venga mai accertato ‐ <br />
ha il diritto di continuare a dire la sua ed esprimere il proprio <br />
pensiero senza limitazioni o censure diverse da quelle dettate <br />
dalle regole vigenti. <br />
Cosa fare per fare per reagire dinanzi ad una delle più <br />
gravi forme di attentato alle libertà civili del popolo della <strong>Rete</strong>? <br />
Agire con l'unica arma che in certi ambienti, sfortunatamente, <br />
incute timore: il risarcimento dei danni contro chiunque abbia <br />
illegittimamente ‐ per incompetenza o ignoranza delle dinamiche <br />
della <strong>Rete</strong> ‐ privato un libero cittadino della più sacra tra le sue <br />
libertà: quella di manifestazione del pensiero. <br />
Chissà che qualcuno non si senta diffamato da questo post <br />
e…non decida di sequestrarlo preventivamente dandomi così <br />
l'occasione di passare dalle parole ai fatti…;) <br />
<br />
Non è l’anonimato la soluzione <strong>alla</strong> webcensura. <br />
17 marzo 2007 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=52 <br />
<br />
Un articolo pubblicato in questi giorni su Repubblica <br />
riferisce di uno studio svolto d<strong>alla</strong> Open Net iniziative secondo il <br />
quale oltre due dozzine di Paesi al mondo utilizzerebbero forme di <br />
<br />
55 Il testo dell’articolo che si riferisce al sequestro preventivo del blog di Antonino <br />
Monteleone (http://www.antoninomonteleone.it/) è pubblicato a questa URL: <br />
http://punto‐informatico.it/2314627/PI/News/sequestrato‐un‐altro‐blog‐<br />
italiano.aspx <br />
142
censura più o meno trasparenti, precludendo ai propri cittadini di <br />
accedere a talune risorse telematiche (youtube, wikipedia ecc.) 56. <br />
Secondo quanto emerso dal medesimo studio, tuttavia, il <br />
popolo della <strong>Rete</strong> reagirebbe <strong>alla</strong> censura cercando di eluderla <br />
attraverso sistemi che aggirano i filtri all'accesso e rendono <br />
anonimi gli utenti. <br />
Credo si sia tutti d'accordo che la censura alle idee ed alle <br />
informazioni che circolano in rete è il più grave attentato alle <br />
libertà fondamentali dei cittadini che un Paese possa porre in <br />
essere e che tale condotta andrebbe condannata d<strong>alla</strong> comunità <br />
internazionale con sanzioni gravi e convincenti. <br />
Non credo, tuttavia, che rendersi anonimi e girare attorno <br />
all'ostacolo sia la soluzione per liberare la <strong>Rete</strong> dallo spettro della <br />
censura. <br />
L'anonimato non è mail l'affermazione di un diritto né una <br />
forma di esercizio di una libertà…essere anonimi, nel web come <br />
nel mondo reale, significa non esistere e chi non esiste non è <br />
titolare di alcun diritto. <br />
Il primo passo contro la censura…è presentarsi, in massa, <br />
con il proprio nome e cognome alle porte della <strong>Rete</strong>, farsi <br />
riconoscere e chiedere di entrare, pronti, ovviamente, ad <br />
assumersi le proprie responsabilità. <br />
<br />
PDL Levi: attenti <strong>alla</strong> trappola della demagogia… <br />
16 novembre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=384 <br />
<br />
Sto leggendo da più parti commenti catastrofici sul <br />
disegno di legge (RI)presentato dall'On. Levi 57. <br />
Grillo grida allo scandalo e prevede la fine della <strong>Rete</strong> se il disegno <br />
di legge dovesse essere approvato. <br />
Non sono d'accordo salvo che non si voglia affrontare la <br />
questione in maniera demagogica e tirare giù d<strong>alla</strong> soffitta il <br />
vecchio discorso secondo il quale la <strong>Rete</strong> costituisce un universo <br />
parallelo a quello reale che ben può vivere e crescere nell'anarchia. <br />
Ho letto e riletto il disegno di legge e lo trovo orribile: è <br />
scritto male e propone una riforma della disciplina dell'editoria <br />
fondata su concetti e principi più vecchi ed anacronistici di quelli <br />
<br />
<br />
56 Il testo dell’articolo è pubblicato a questa URL: <br />
http://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/scienza_e_tecnologia/liberta‐<br />
web/liberta‐web/liberta‐web.html <br />
57 Il testo integrale del disegno di legge presentato dall’On. Levi è pubblicato a <br />
questa URL: <br />
http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori/schedela/apriTelecomando_wai.asp?cod<br />
ice=16PDL0014370 <br />
143
<br />
sui quali riposano le attuali confuse ed ambigue disposizioni di <br />
legge. <br />
Ci sono previsioni in materia di diritto d'autore (che ci <br />
fanno li dentro?) che forse sono state dettate all'On. Levi da <br />
qualche suo avo che non è mai entrato in <strong>Rete</strong>: <br />
Art. 4. <br />
(Rassegne stampa). 1. I soggetti che attraverso la sola <br />
riproduzione di articoli quotidiani o periodici realizzano rassegne <br />
stampa, ivi comprese quelle ad uso interno, sono tenuti a <br />
riconoscere i diritti degli autori degli articoli riprodotti e degli <br />
editori delle testate da cui gli articoli sono tratti. <br />
ma…le ragioni per le quali si grida allo scandalo proprio <br />
non le capisco. <br />
Ho provato a spiegare qui, in estrema sintesi, il mio punto <br />
di vista. <br />
Il punto è questo: blog come questo non saranno soggetti <br />
in nessun caso all'obbligo di registrazione mentre blog come <br />
quello che tengo in collaborazione con un soggetto che svolge <br />
imprenditorialmente attività editoriale si. <br />
Forse anche il blog di BeppeGrillo sarà soggetto a <br />
registrazione e con lui quello di Antonio Di Pietro ma, <br />
francamente, non ci vedo niente di strano. <br />
Onori ed oneri…direi. <br />
Facciamo attenzione <strong>alla</strong> demagogia. Il popolo della <strong>Rete</strong> <br />
per essere credibile deve usare le risorse di Internet in modo <br />
intelligente, per conoscere, capire, confrontarsi ed assumere <br />
posizioni consapevoli. Siamo tanti ed in tanti (forse troppi) <br />
ambiscono a guidarci. <br />
<br />
Non salvate questo blog! <br />
25 novembre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=388 <br />
<br />
Era da qualche giorno che avrei voluto affrontare <br />
l'argomento ma non sono, fin qui, riuscito a trovare il tempo di <br />
leggere la valanga di bit che hanno accompagnato il ritiro del DDL <br />
Levi e la presentazione della Proposta di Legge Cassinelli subito <br />
battezzata dallo stesso autore ‐ con operazione che si fa fatica a <br />
non trovare "politica" nel senso deteriore del termine ‐ "salva <br />
blog". <br />
Il titolo di questo post riassume il mio pensiero: se questo <br />
blog deve essere salvato da una proposta di legge come quella…per <br />
favore LASCIATELO MORIRE…tanto morirebbe comunque! <br />
Inutile girarci attorno: la proposta non mi piace, è scritta <br />
male, pensata peggio e presentata al popolo della <strong>Rete</strong> con una <br />
144
<br />
demagogia seconda solo a quella con la quale Beppe Grillo difende <br />
se stesso fingendo di difendere la <strong>Rete</strong>… <br />
Tornerò su questi argomenti appena possibile con un <br />
articolo che spero di trovare il tempo di scrivere per Punto <br />
informatico. <br />
Qui appunto alcune suggestioni: <br />
1. Quando ho letto il titolo dell'articolo di Punto sull'idea <br />
di Cassinelli di far emendare on‐line la propria proposta di legge <br />
ho gioito. Poi sono andato a vedere di che si trattava e mi sono <br />
incazz… L'emendabilità on‐line proposta dall'On. Cassinelli si <br />
esaurisce in un indirizzo e‐mail al quale inviare suggerimenti! <br />
Stiamo scherzando o provando a prendere in giro la <strong>Rete</strong>? Il <br />
popolo della <strong>Rete</strong> non ha biosgno di un invito per mandare una <br />
mail ad un Onorevole all'indirizzo di posta elettronica che gli <br />
paghiamo assieme ad un PC ed ad ogni genere di risorse di <br />
connettività e comunicazione. Mai sentito parlare di piattaforme <br />
WIKI? Forse usarne una come tante volte si è già fatto attaccando <br />
meno manifesti sulle pareti della <strong>Rete</strong> sarebbe stato apprezzabile. <br />
2. Chiunque abbia scritto la proposta di legge ignora le più <br />
elementari regole di tecnica della normazione. Come si fa a <br />
dedicare un intero comma ad elencare i presupposti in presenza <br />
dei quali un prodotto editoriale on‐line deve essere registrato ed il <br />
comma successivo ad elencare quelli in presenza dei quali quello <br />
stesso prodotto NON deve essere registrato. O i presupposti di cui <br />
al primo comma sussistono o, se non sussistono, va da se, che la <br />
registrazione non è necessaria. Ogni altra previsione produce solo <br />
inutili elementi di ambiguità. <br />
3. Veniamo al contenuto. Mi sembra assurdo che nel 2008 <br />
possa ancora discutersi di editoria cartacea ed editoria on‐line e <br />
prevedere per le due pretese forme di editoria regole diverse. <br />
Significa non aver compreso il senso del cambiamento. Non si <br />
salvano i blog dettando delle regole speciali per essi ma, più <br />
semplicemente, prendendo atto che dal 1948 ad oggi il mondo <br />
dell'informazione è stato rivoluzionato e che occorre, con urgenza, <br />
mettere mano prima <strong>alla</strong> legge sulla stampa e poi <strong>alla</strong> disciplina <br />
sull'editoria per adeguarle ai tempi senza, peraltro, pretendere di <br />
distinguere a seconda l'attività informativa e/o editoriale venga <br />
realizzata con un mezzo o con un altro. <br />
<br />
Internet è libera! <br />
1° dicembre 2008 <br />
Punto Informatico <br />
<br />
Ho dedicato le ultime ore <strong>alla</strong> lettura dei verbali del <br />
dibattito svoltosi in seno all’Assemblea Costituente tra il 12 ed il <br />
145
<br />
19 gennaio del 1948 e delle relazioni al disegno di legge sulla <br />
stampa presentato dal Governo, all’epoca presieduto dall’On. De <br />
Gasperi e poi modificato d<strong>alla</strong> Commissione per la Costituzione <br />
dell’Assemblea Costituente. <br />
Quell’attività condusse poi all’approvazione della <br />
disciplina sulla stampa tuttora in vigore. <br />
Sono documenti che temo conoscano pochi di coloro che – <br />
fuori e dentro il Parlamento – oggi animano il dibattito <br />
sull’opportunità e le forme di un intervento normativo che valga <br />
ad “ammazzare” i blog o piuttosto a “salvarli”. <br />
E’ un errore perché significa pretendere di capire il <br />
presente e disciplinare il futuro ignorando il passato e <br />
rinunciando, quindi, ai preziosi suggerimenti della storia e di <br />
quell’emozionante esperienza politica che fu l’assemblea <br />
costituente. <br />
Solo l’ignoranza delle ragioni che indussero la stessa <br />
Assemblea Costituente a disciplinare – prima ed in luogo di altre – <br />
la materia della stampa in uno con una diffusa tendenza <strong>alla</strong> <br />
demagogia ed all’assunzione di posizioni ideologiche precostituite, <br />
giustificano, infatti, la povertà dei temi e delle questioni poste al <br />
centro del dibattito che si sta svolgendo nelle ultime settimane <br />
attorno al tema della nuova disciplina sui prodotti editoriali on‐<br />
line. <br />
Al centro di tale dibattito – si potrebbe definire sua <br />
protagonista esclusiva – vi è ormai da mesi la questione <br />
dell’opportunità o meno di prevedere un obbligo di registrazione <br />
dei blog presso il ROC, il Registro degli operatori della <br />
comunicazione. <br />
In tale contesto, ogni disposizione di legge che sembri <br />
introdurre tale obbligo viene immediatamente additata come <br />
liberticida e respinta dal popolo della <strong>Rete</strong> mentre ogni previsione <br />
di segno diverso – o almeno apparentemente di segno diverso – <br />
viene applaudita e battezzata ‐ o “auto battezzata” ‐ addirittura <br />
“salva blog”. <br />
L’equazione secondo la quale l’obbligo di registrazione di <br />
taluni prodotti editoriali telematici costituirebbe una gravissima <br />
limitazione della libertà di manifestazione del pensiero on‐line, <br />
francamente, non mi convince affatto. <br />
Il primo comma dell’art. 1 della Legge sulla Stampa – <br />
ripristinando un principio sancito oltre un secolo prima con lo <br />
Statuto Albertino – stabilisce che “La Stampa è libera”. <br />
La Relazione della Commissione dell’Assemblea <br />
Costituente sul disegno di legge in materia di stampa, si apre, <br />
d’altra parte, proprio chiarendo che tale disegno “è inteso a ridare <br />
finalmente la libertà <strong>alla</strong> stampa italiana, in obbedienza al <br />
146
<br />
principio che è stato solennemente affermato dall’Assemblea <br />
costituente nell’art. 16 del progetto di costituzione (n.d.r. poi <br />
divenuto l’art. 21)…dopo (che nella) parentesi fascista e dopo il <br />
crollo del regime, nel periodo armistiziale il decreto legislativo 14 <br />
gennaio 1944 n. 13, più volte prorogato e ancora vigente, stabilì il <br />
sistema della autorizzazione del Prefetto per la pubblicazione di <br />
giornali od altri scritti periodici in cui vengano riportate notizie od <br />
opinioni politiche”. <br />
Lo scopo perseguito con la legge sulla stampa era, dunque, <br />
quello di dare concreta attuazione <strong>alla</strong> libertà di manifestazione <br />
del pensiero eppure nessuno dei membri dell’apposita <br />
sottocommissione dell’assemblea costituente ritenne che inserire <br />
in tale legge un obbligo di registrazione avrebbe finito con il <br />
restringere anziché rafforzare tale libertà. <br />
A proposito dell’obbligo di registrazione delle testate <br />
presso i Tribunali, infatti, si legge nella stessa relazione di <br />
accompagnamento al disegno di legge che quest’ultimo avrebbe <br />
previsto “una forma di registrazione che non ha carattere <br />
limitativo e non presenta pericolo di ingerenza da parte del potere <br />
esecutivo nel permettere o negare la pubblicazione di giornali o <br />
periodici” e ancora “si è detto – e l’espressione è in sostanza felice <br />
– che si tratta qui di un’anagrafe della stampa periodica che può <br />
essere opportuna e anzi necessaria sotto molti aspetti, senza che <br />
per questo venga ad incidere sul libero esercizio della funzione <br />
giornalistica.”. <br />
La relazione prosegue poi chiarendo che “Questo “stato <br />
civile” della stampa regola l’atto di nascita, il mutamento di stato, <br />
la cessazione del giornale, non altro”. <br />
Interessante è leggere alcuni ulteriori riferimenti contenuti nella <br />
Relazione di accompagnamento dell’originario disegno di legge <br />
presentato dal Governo De Gasperi all’Assemblea Costituente <br />
laddove si riferisce che “scopo di un ordinamento della stampa, in <br />
regime democratico, non può essere che l’equilibrio tra l’esigenza <br />
della libertà e quella, non meno inderogabile, di reprimere gli <br />
abusi” e si aggiunge, quindi, che “nell’ordine giuridico, come <br />
nell’ordine morale, non può esistere libertà senza responsabilità, <br />
ed è questo principio che costituisce la base degli ordinamenti più <br />
progrediti di paesi nei quali la libertà di stampa, trovò la più <br />
costante e sicura attuazione”. <br />
Nelle centinaia di pagine di verbali delle sedute <br />
dell’Assemblea Costituente nelle quali per sette giorni si svolse un <br />
acceso dibattito sul disegno di legge in materia di Stampa, vi sono <br />
solo pochi accenni al tema della registrazione delle testate mentre <br />
vi sono stimolanti ed accese discussioni in merito all’idoneità del <br />
disegno di legge che ci si accingeva a varare ad affrontare nel <br />
147
<br />
migliore dei modi il tema del “diritto al sapere” dei cittadini, quello <br />
dell’indipendenza dei mezzi di informazione dal potere politico, <br />
quello del finanziamento delle più piccole realtà editoriali e quello, <br />
più generale, dell’esigenza di garantire che né il potere politico né <br />
quello economico influenzassero la libertà del giornalista e del <br />
cittadino, rispettivamente, di scrivere e leggere ciò che <br />
effettivamente accadeva nel mondo e non già ciò che altri <br />
avrebbero voluto imporre di scrivere e leggere. <br />
Sfogliare quei documenti fa apparire incredibilmente <br />
sterile e privo di una reale utilità il dibattito delle ultime settimane <br />
in relazione all’opportunità di imporre o meno a chi realizzi un <br />
prodotto editoriale on‐line di registrarsi presso il ROC. <br />
Il punto non è questo. <br />
La <strong>Rete</strong> è cresciuta ed i blog ed i siti di informazione <br />
rappresentano, oggi, in tutto il mondo il principale strumento di <br />
esercizio della libertà di manifestazione del proprio pensiero nella <br />
sua duplice accezione: libertà di informare e libertà di essere <br />
informati o, come si diceva, nel corso dei lavori dell’assemblea <br />
costituente “diritto al sapere”. <br />
Si tratta, tuttavia, di uno scenario che va difeso dalle <br />
ingerenze e dall’evidente irresistibile tentazione che i poteri <br />
politici ed economici di sempre, hanno – e non esitano a <br />
manifestare – di controllare la <strong>Rete</strong> e mettere un bavaglio a quanti <br />
la utilizzano per informare ed informarsi fuori dal coro. <br />
Sequestri di blog, procedimenti per diffamazione a mezzo <br />
internet e condanne per stampa clandestina in un contesto <br />
normativo grigio e nebuloso hanno, infatti, sfortunatamente <br />
segnato la storia moderna dell’informazione on‐line. <br />
Non serve, dunque, perder tempo a ragionare <br />
sull’opportunità o meno della registrazione ma, piuttosto, esigere <br />
per ogni strumento di informazione on‐line garanzie e mezzi di <br />
sostentamento analoghi a quelli che l’Assemblea costituente si <br />
preoccupò di garantire <strong>alla</strong> Stampa. <br />
L’insequestrabilità di ogni prodotto editoriale telematico, <br />
l’accessibilità da parte di chiunque voglia intraprendere un’attività <br />
di informazione on‐line a risorse economiche ed informatiche <br />
sufficienti a consentirgli di realizzare il proprio intendimento ed il <br />
diritto di ogni cittadino italiano di ottenere – oggi e non nel <br />
domani promesso dalle grandi compagnie di TLC – a casa propria <br />
l’accesso all’infrastruttura di <strong>Rete</strong> necessaria ad esercitare il <br />
proprio “diritto di sapere” senza essere penalizzato dal fatto di <br />
vivere in un’area in cui portare la banda larga è “anti‐economico”. <br />
E’ di questo che mi piacerebbe si parlasse nel dibattito di <br />
questi giorni sulla disciplina dell’informazione on‐line. <br />
148
<br />
Il problema della registrazione è un falso problema che <br />
non risolve le preoccupazioni che quanti hanno a cuore la sorte <br />
dell’informazione on‐line dovrebbero nutrire e che, d’altra parte, si <br />
risolve con una norma più equilibrata di quelle che si sono sin qui <br />
proposte presi d<strong>alla</strong> foga del momento: basterebbe una norma che <br />
chiarisca che <strong>alla</strong> registrazione si possa procedere on‐line ed in <br />
pochi click nello stesso momento in cui si apre il proprio blog, che <br />
la registrazione è completamente gratuita (niente marche né <br />
balzelli), che non vi sono requisiti né limiti di sorta per ottenerla e <br />
che l’AGCOM potrà comunicare i dati acquisiti a seguito della <br />
registrazione esclusivamente all’Autorità giudiziaria nell’ambito di <br />
un procedimento avente ad oggetto l’eventuale responsabilità <br />
penale per il reato di diffamazione del titolare del blog o del sito <br />
internet di informazione. <br />
Comprendo perfettamente la posizione di chi ritiene che la <br />
<strong>Rete</strong> debba essere libera ma, come insegnano i padri della <br />
Costituzione, non c’è libertà senza responsabilità ed è sacrosanto <br />
che chi esercitando una propria libertà ne abusi in danno altrui si <br />
faccia carico dell’eventuale responsabilità da accertarsi, peraltro, <br />
nell’ambito di un processo che la stessa carta costituzionale <br />
vorrebbe fosse sempre giusto ed equo. <br />
Internet è libera! Difendiamola senza perderci in <br />
chiacchiere né lasciarci strumentalizzare da chi ama la demagogia <br />
o il proprio interesse più della <strong>Rete</strong>. <br />
149
<br />
<br />
<br />
5. L’anonimato in Internet. <br />
Mr. Nobody non ha diritti! <br />
Uno, nessuno, centomila: l’enigma dell’anonimato in <strong>Rete</strong>. <br />
1° dicembre 2005 <br />
Telejus <br />
<br />
1. Quali siano le origini di Internet è un dato che <br />
appartiene ormai al bagaglio culturale di ciascuno di noi così come <br />
<strong>alla</strong> nostra esperienza quotidiana appartiene la consapevolezza di <br />
quali dimensioni e quale portata il fenomeno abbia assunto <br />
nell’ultimo decennio. <br />
La <strong>Rete</strong> delle reti nata da un progetto militare statunitense <br />
sotto il nome di ARPANET si è rapidamente lasciata alle spalle le <br />
sue origini ed ha altrettanto velocemente travalicato limiti e <br />
confini connaturati a dette origini divenendo, probabilmente, uno <br />
dei fenomeni destinati a caratterizzare più incisivamente il XXI <br />
secolo. <br />
Internet “travalica i confini degli stati nazionali, supera le <br />
barriere doganali, elimina le differenze culturali tra i popoli, svolge <br />
un compito importantissimo per il destino dell’umanità giacché essa <br />
realizza un rapporto sul piano mondiale tra gli uomini di ogni <br />
specie, crea o certifica l’esistenza di un senso comune dell’umanità, <br />
per cui ogni uomo può riconoscersi in un altro uomo” scriveva <br />
Vittorio Frosini in uno dei suoi ultimi lavori sull’argomento <br />
sottolineando la natura metapolitica del fenomeno ed aggiungendo <br />
poi come tali notazioni evidenziassero “dei caratteri dell’Internet <br />
che sconvolgono alcune vedute dottrinarie tradizionali anche se ne <br />
confermano delle altre giacché l’Internet ha creato l’immagine di un <br />
libero mercato senza confini quale le più ardite teorie economiche <br />
non configuravano che come ipotesi di scuola. Essa ha insieme <br />
realizzato una forma di società anarchica consistente in rapporti tra <br />
i singoli individui in piena libertà”. <br />
E’ chiaro che il fenomeno Internet ha profondamente <br />
trasformato le nostre abitudini di vita e di lavoro apportando <br />
enormi cambiamenti – sino a ieri difficilmente immaginabili – al <br />
nostro modo di rapportarci agli altri, di acquistare e vendere beni <br />
e servizi nonché di coltivare amicizie e relazioni di affari. <br />
Trasformazioni così importanti e complesse comportano <br />
inevitabilmente nuovi problemi e nuove sfide per coloro cui spetta <br />
il compito di definire, sviluppare ed applicare nuove regole e <br />
discipline. <br />
150
<br />
Superato qualche tentennamento e fatta eccezione per <br />
alcune sacche di resistenza nell’ambito delle quali continua a <br />
ritenersi che il fenomeno debba restare sottratto ad ogni <br />
regolamentazione ed affidato al caos primordiale da cui è <br />
originato, il mondo giuridico appare, attualmente, concorde nella <br />
volontà di assicurare che i diritti, gli interessi, i principi ed i valori <br />
affermatisi nel corso degli anni possano essere conservati e <br />
mantenuti saldi ed inalterati anche nella c.d. società <br />
dell’informazione della quale Internet costituisce indiscusso <br />
protagonista. <br />
Diverse, tuttavia, come spesso accade, sono le soluzioni <br />
prospettate per pervenire a tale risultato. <br />
Si tratta di un problema che diviene, ogni giorno, più serio <br />
ed urgente in maniera direttamente proporzionale al progressivo <br />
trasferimento nell’ambito telematico – vorremmo dire nel <br />
cyberspazio se utilizzando tale espressione non corressimo il <br />
rischio di richiamare <strong>alla</strong> mente quei caratteri di extra‐<br />
territorialità o sovranazionalità che rappresentano la matrice di <br />
quelle sacche di resistenza cui si è già fatto cenno – di affari, <br />
interessi economici, pubblici e privati, rapporti e relazioni in <br />
ambito personale, commerciale, politico ed industriale. <br />
Tra i tanti problemi e le molte questioni di <br />
regolamentazione aperte dallo sviluppo inarrestabile del <br />
fenomeno Internet ve ne è una in relazione <strong>alla</strong> quale gli <br />
ordinamenti dei diversi Paesi nell’ultimo decennio hanno <br />
conosciuto cicli di grande attenzione puntualmente seguiti da <br />
periodi di altrettanto intenso torpore: l’anonimato in Internet. <br />
Appartiene all’esperienza quotidiana di chiunque abbia un <br />
minimo di confidenza con l’attuale realtà informatica e telematica <br />
la consapevolezza e coscienza di quanto facile – allo stato attuale – <br />
sia per ciascuno di noi accedere ad Internet e navigare in <strong>Rete</strong> con <br />
l’assoluta serenità di non poter essere rintracciati da nessuno a <br />
prescindere d<strong>alla</strong> natura e gravità delle nostre azioni telematiche. <br />
Illuminanti per certi aspetti e inquietanti sotto altri sono le <br />
pagine nelle quali Raoul Chiesa aka Nobody, uno dei più noti <br />
hacker italiani della prima ora, raccconta le scorribande sue e dei <br />
suoi compagni di avventura nei meandri telematici della <strong>Rete</strong> a <br />
partire d<strong>alla</strong> seconda metà degli anni ’80 sino ai giorni nostri; nel <br />
titolo del contributo sono già, probabilmente, contenuti i termini <br />
della questione: io ero Nobody e tutte le notti me ne volavo in <br />
Francia, via Qatar. <br />
Non si tratta di racconti romanzati né di fantascienza ma, <br />
piuttosto, di una realtà preoccupante con la quale ormai da anni si <br />
confrontano – con alterne fortune – le forze dell’ordine, la <br />
magistratura ed i legislatori del mondo intero. <br />
151
<br />
L’anonimato assoluto rappresenta, infatti, una condizione <br />
originale del cyberspazio che è suscettibile di vanificare ogni <br />
principio, regola e disciplina giuridica rendendola, di fatto, <br />
inapplicabile. <br />
Ogni qualvolta, tuttavia, ci si trova ad affrontare il <br />
problema ed a prospettare possibili soluzioni idonee a limitare o <br />
eliminare la possibilità di accedere <strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> coperti da quel manto <br />
invisibile oggi garantito da un contesto tecnico e normativo che <br />
consente a ciascuno – nel varcare il confine del cyberspazio – di <br />
assumere l’identità e le sembianze che preferisce senza lasciare <br />
sulla porta nessuna traccia in grado di svelare – neppure in ipotesi <br />
del tutto eccezionali – la propria reale identità, da più parti <br />
vengono paventati rischi inaccettabili in termini di violazione della <br />
privacy e di restrizione della libertà di manifestazione del pensiero <br />
nonché delle nuove libertà informatiche e digitali. <br />
Nelle pagine che seguono cercheremo di spiegare, per un <br />
verso, per quali ragioni i paventati conflitti tra contrapposti <br />
interessi tutti egualmente meritevoli di tutela siano più apparenti <br />
che reali e come, in ogni caso, il rischio di tali conflitti non possa <br />
rallentare né impedire l’assunzione di una decisione che appare <br />
ormai divenuta obbligata ed improcrastinabile quale quella di <br />
imporre in <strong>Rete</strong> almeno la regola del c.d. anonimato protetto <br />
consistente nel riconoscimento a ciascuno del diritto di navigare in <br />
<strong>Rete</strong> indossando la maschera che preferisce ma ciò solo dopo aver <br />
consegnato <strong>alla</strong> frontiera del cyberspazio – in modo sicuro ed <br />
incontrovertibile – la propria reale identità. <br />
Dirimere questa questione è di fondamentale importanza <br />
per lo sviluppo della <strong>Rete</strong>; d<strong>alla</strong> scelta per l’una o per l’altra <br />
soluzione dipende, in buona sostanza, il futuro di internet quale <br />
immenso e sconfinato parco giochi nel quale intrecciare ed <br />
intessere relazioni personali e commerciali più o meno autentiche <br />
ma ben difficilmente serie e durature o, piuttosto, quale nuovo <br />
efficace e affidabile mezzo di comunicazione rivoluzionario, duttile <br />
e idoneo ad essere utilizzato con serenità e fiducia in contesti <br />
economici, giuridici, finanziari e personali. <br />
2. Si è già anticipato che una delle maggiori resistenze <strong>alla</strong> <br />
costituzione di un contesto normativo nel quale l’anonimato <br />
assoluto sia bandito dal cyberspazio è tradizionalmente <br />
rappresentata da pretese superiori esigenze di tutela della <br />
riservatezza. <br />
In questa prospettiva, da più parti, si è sostenuto e si <br />
sostiene che l’anonimato – e i diversi strumenti tecnico‐giuridici <br />
attraverso cui esso può essere garantito in ambito telematico – <br />
rappresenterebbe una delle migliori e più efficaci difese rispetto a <br />
152
<br />
tutta una serie di rischi di lesione della privacy degli utenti della <br />
<strong>Rete</strong>. <br />
In altre parole, inferiore sarebbe la quantità di dati <br />
personali posti in circolazione in internet, minori sarebbero, di <br />
conseguenza, le possibilità che detti dati siano esposti al rischio di <br />
indebito trattamento per finalità illecite o, comunque, non <br />
autorizzate. <br />
Si tratta di affermazione in linea di principio certamente <br />
condivisibile e, d’altro canto, ormai recepita nel nostro <br />
ordinamento – al pari di quanto avvenuto in quello comunitario – <br />
attraverso l’art. 3 del nuovo Codice in materia di protezione dei <br />
dati personali (Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196) che <br />
sotto la rubrica “principio di necessità nel trattamento dei dati” <br />
stabilisce che “i sistemi informativi e i programmi informatici sono <br />
configurati riducendo al minimo l’utilizzazione di dati personali e <br />
dati identificativi, in modo da escluderne il trattamento quando le <br />
finalità perseguite nei singoli casi possono essere realizzate <br />
mediante, rispettivamente, dati anonimi od opportune modalità che <br />
permettano di identificare l’interessato solo in caso di necessità”. <br />
Non sembra, tuttavia, che detto principio possa essere <br />
portato sino all’estrema conseguenza di giustificare e, anzi, in <br />
taluni casi, persino promuovere forme di anonimato assoluto in <br />
Internet e la diffusione di strumenti volti a garantirlo quali <br />
appositi software anonimizzanti, gestori di servizi di <br />
reindirizzamento anonimo di informazioni e/o di inoltro anonimo <br />
di corrispondenza elettronica. <br />
Si è già da più parti rilevata l’opportunità e, per taluni <br />
versi l’urgenza, di individuare un momento di compromesso tra il <br />
diritto <strong>alla</strong> privacy di ciascun utente della rete e le esigenze di <br />
natura pubblica e privata – talvolta preminenti – relative <strong>alla</strong> <br />
repressione di diverse tipologie di condotte criminose poste in <br />
essere attraverso la <strong>Rete</strong> o, più semplicemente, di violazioni di <br />
altrui diritti di privativa realizzate sotto il comodo schermo di <br />
insuperabili maschere telematiche. <br />
In tale prospettiva, già da tempo, nell’ambito del Gruppo di <br />
Lavoro per la tutela delle persone fisiche con riguardo al <br />
trattamento dei dati personali istituito con la Direttiva 95/46/CE <br />
del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995 si è <br />
preso atto che “sussiste un consenso generale sul fatto che l'attività <br />
su Internet non può sottrarsi ai principi giuridici fondamentali che <br />
vengono normalmente applicati. Internet non può costituire una <br />
zona franca dove le regole della società non vengono applicate. <br />
D'altronde, le possibilità degli Stati e delle autorità <br />
pubbliche di limitare i diritti degli individui e controllare <br />
comportamenti potenzialmente illegali non dovrebbero essere più <br />
153
<br />
ampie nel quadro di Internet di quanto possano esserlo nel mondo <br />
fuori della rete. <br />
L'esigenza che le limitazioni ai diritti e alle libertà <br />
fondamentali siano debitamente giustificate, necessarie e <br />
proporzionate <strong>alla</strong> luce degli altri pubblici obiettivi, deve valere <br />
anche nel ciberspazio.” e che “l'anonimato non è adatto in tutte le <br />
circostanze” e che “stabilire le circostanze in cui l'opzione <br />
dell'anonimato è opportuna e quelle in cui non lo è, comporta un <br />
attento confronto fra i diritti fondamentali, non solo nei confronti <br />
della riservatezza, ma anche della libertà di espressione, e altri <br />
importanti obiettivi politici come la prevenzione del crimine.”. <br />
Pur muovendo da tali premesse largamente condivisibili, <br />
tuttavia, in tale sede si è poi pervenuti a talune conclusioni più <br />
difficilmente condivisibili secondo cui “la possibilità di scegliere di <br />
restare anonimi” sarebbe “essenziale ai fini della tutela per i singoli, <br />
sulla rete dello stesso grado di riservatezza esistente attualmente <br />
fuori d<strong>alla</strong> rete” o secondo la quale “l’invio di posta elettronica, il <br />
navigare tra i siti della rete e l’acquisto di merci e servizi attraverso <br />
internet dovrebbero essere tutti possibili in via anonima” o infine <br />
“gli strumenti anonimi per accedere a Internet (ad esempio chioschi <br />
pubblici di internet, carte di accesso prepagate) e gli strumenti <br />
anonimi di pagamento sono due elementi essenziali per un vero <br />
anonimato sulla rete”. <br />
Si tratta, di considerazioni che inducono a qualche <br />
riflessione. <br />
A ben vedere, infatti, il nostro Ordinamento non sembra <br />
contemplare tali forme di diritto all’anonimato né il <br />
riconoscimento di un simile diritto potrebbe essere dedotto d<strong>alla</strong> <br />
circostanza che – fuori d<strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> – vengano tradizionalmente <br />
tollerate talune situazioni fattuali – e non giuridiche – che <br />
consentono di porre in essere condotte – peraltro di limitata <br />
portata giuridica, economica e sociale – non già restando anonimi <br />
o dissimulando la propria identità ma, più semplicemente, senza <br />
dichiararla in modo esplicito il che, se non ci inganniamo, è cosa <br />
comunque diversa da quel diritto a nascondersi, mascherarsi o <br />
travisarsi che si vorrebbe divenisse la regola nel cyberspazio. <br />
Ci si riferisce ad attività quali il passeggiare tra i negozi, <br />
sfogliare un libro in una libreria o, piuttosto, spedire una lettera <br />
senza indicare il mittente. <br />
Tali condotte, tuttavia, per un verso sono evidentemente <br />
dotate di una potenzialità lesiva di gran lunga inferiore a quella <br />
assunta da chi acceda in Internet in totale anonimato e, per altro <br />
verso, sono caratterizzate da un anonimato di minore intensità <br />
non mancando, comunque, nel mondo degli atomi, tutta una serie <br />
di elementi idonei a consentire – almeno in ipotesi eccezionali – di <br />
154
<br />
risalire più o meno agevolmente all’autore di una determinata <br />
condotta. <br />
Sotto altro profilo si è pure rilevato che l’anonimato in <br />
Internet costituirebbe tra l’altro garanzia e baluardo rispetto <strong>alla</strong> <br />
libertà di manifestazione del pensiero e, più in generale, <br />
all’esercizio di tutta una serie di ulteriori analoghe libertà. <br />
Al riguardo scrive Autorevole dottrina “a me serve avere <br />
tutela dell’anonimato, a me serve la tutela della riservatezza, della <br />
privacy, non per isolarmi ma per partecipare. Solo se sono certo del <br />
mio anonimato potrò partecipare senza timore di essere <br />
discriminato o stigmatizzato a gruppi di discussione in <strong>Rete</strong> su temi <br />
politicamente sgraditi al potere dominante in un certo momento. <br />
Solo se avrò la certezza di non essere discriminato, potò denunziare <br />
gli abusi magari nel luogo dove io stesso lavoro”. <br />
Appare un dato di fatto difficilmente controvertibile quello <br />
secondo cui riconoscere ad ogni cittadino la possibilità di scrivere <br />
sulle mura telematiche della <strong>Rete</strong> il suo pensiero a proposito di <br />
questo o quell’orientamento politico o, piuttosto, di questo o <br />
quell’imprenditore senza che alcuna traccia possa consentire a <br />
chicchessia di risalire <strong>alla</strong> propria identità costituisce il modo <br />
migliore, più sicuro e più efficace per garantirgli tale possibilità al <br />
riparo da ogni ritorsione e conseguenza pregiudizievole. <br />
Non siamo, tuttavia, d’accordo che ciò abbia qualcosa a che <br />
vedere con la libertà di manifestazione del pensiero. <br />
La storia antica e moderna insegna che tale libertà, nella <br />
sua accezione più ampia è la prima ad essere travolta e soppressa <br />
all'indomani dell'instaurazione di ogni regime non democratico e <br />
la prima a comparire quando un popolo inizia il suo cammino <br />
verso la democrazia; essa, consacrata per la prima volta in un testo <br />
di legge in Gran Bretagna nella Magna Charta del 1215 è stata poi <br />
sancita ‐ con disposizione di straordinaria chiarezza ‐ dall'articolo <br />
11 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 26 <br />
agosto 1789, secondo cui "la libera comunicazione dei pensieri e <br />
delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell'uomo" e "ogni <br />
cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente <br />
salvo a rispondere dell'abuso di questa libertà nei casi determinati <br />
d<strong>alla</strong> legge". <br />
La stessa libertà di manifestazione del pensiero ‐ a <br />
conferma della sua centralità in tutti gli ordinamenti democratici ‐ <br />
è stata poi solennemente proclamata nella Dichiarazione <br />
universale dei diritti dell'uomo approvata dall'Assemblea generale <br />
delle Nazioni unite il 10 dicembre 1948 attraverso le previsioni <br />
degli articoli 18 e 19 secondo cui "ogni individuo ha diritto <strong>alla</strong> <br />
libertà di pensiero, di coscienza e di religione..." e "<strong>alla</strong> libertà di <br />
opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato <br />
155
<br />
per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere <br />
informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a <br />
frontiere". <br />
Nella stessa prospettiva è pure già stato rilevato che “la <br />
libertà di manuifestazione del pensiero assume una funzione <br />
portante nell’ordinamento, ben espressa dalle metafore descrittive <br />
d’uso comune ‘pietra angolare’ del sistema (Corte Costituzionale, <br />
sentenza del 1969, n. 84) ‘chiave della democrazia’ (Corte <br />
Costituzionale, Sentenza del 1974, n. 25)” e che “il principio sancito <br />
dall’art. 21 della costituzione è riconosciuto quale fondamento del <br />
sistema e centro della costellazione di libertà; senza la libertà di <br />
manifestazione del pensiero, le altre libertà sancite d<strong>alla</strong> <br />
costituzione non potrebbero sussistere o risulterebbero svuotate di <br />
effettivo contenuto”. <br />
In tale contesto ruolo e funzioni della libertà di <br />
manifestazione del pensiero per la stessa esistenza – in Internet – <br />
di un ordine democratico non possono, evidentemente essere <br />
disconosciute, ma la strada dell’anonimato quale strumento di <br />
garanzia di tale libertà non appare quella corretta. <br />
Già nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino <br />
del 26 agosto 1789 la qualificazione della libertà di manifestazione <br />
dei pensieri e delle opinioni quale “uno dei diritti più preziosi <br />
dell’uomo” veniva indissolubilmente legata in un binomio <br />
inscindibile nel conseguente obbligo di ciascun cittadino di <br />
“rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati d<strong>alla</strong> <br />
legge”. <br />
Non solo, dunque, l’anonimato non può rappresentare <br />
un’efficace garanzia rispetto all’esercizio della libertà di <br />
manifestazione del pensiero ma, al contrario, esso costituirebbe, <br />
sotto tale profilo, una scelta dirompente in quanto suscettibile di <br />
spezzare quel binomio indissolubile (libertà‐responsabilità) sul <br />
quale posa l’intero sistema della libertà di manifestazione del <br />
pensiero recepito nel nostro come in tanti altri Ordinamenti. <br />
Riconoscere a cybernavigatori mascherati la possibilità di <br />
manifestare liberamente il proprio pensiero in una realtà globale, <br />
acefala, multiforme ed eterogenea quale quella della <br />
comunicazione telematica significa semplicemente legittimare <br />
condotte potenzialmente lesive di altrui diritti ed interessi nella <br />
piena consapevolezza che i soggetti lesi o danneggiati da eventuali <br />
abusi si ritroveranno poi privati – almeno de facto – di ogni <br />
possibilità di azione e reazione per l’insuperabile difficoltà di <br />
imputazione della condotta lesiva della propria dignità, della <br />
propria reputazione, del proprio onore o, più semplicemente – ma <br />
la questione non è secondaria in un ambito che si avvia a divenire <br />
156
<br />
sede privilegiata di scambi e transazioni commerciali di rilevante <br />
entità – dei propri interessi privati ed economici. <br />
D’altro canto la responsabilità patrimoniale e quella <br />
personale di carattere penale costituiscono paradigmi insuperabili <br />
ed insostituibili nella dinamica di ogni rapporto civile, sociale ed <br />
economico e, per questo, esse non sembrano poter essere <br />
cancellate – in ambito telematico – così come accadrebbe nel caso <br />
in cui tra i c.d. nuovi diritti informatici dovesse essere riconosciuto <br />
anche quello all’anonimato. <br />
E’ sin troppo facilmente prevedibile – ed appartiene anzi <br />
già <strong>alla</strong> nostra esperienza quotidiana – che l’impossibilità di <br />
imputare determinate condotte al loro autore spingerebbe i <br />
soggetti lesi a cercare di individuare in direzioni diverse ed a <br />
differenti livelli della dinamica della comunicazione altri soggetti <br />
verso i quali rivolgere le proprie pretese risarcitorie o nei <br />
confronti dei quali indirizzare azioni di responsabilità civile e <br />
penale. <br />
Ciò apre, evidentemente, le porte ad un’altra delle <br />
questioni giuridiche più delicate e complesse che il fenomeno <br />
Internet ha posto all’attenzione del mondo giuridico: la <br />
responsabilità degli intermediari della comunicazione. <br />
Si tratta di un problema legato a doppio filo non solo al <br />
tema dell’anonimato in Internet ma anche alle altre questioni che <br />
con tale tema si intersecano e cui già si è fatto cenno: la privacy in <br />
ambito telematico e la libertà di manifestazione del pensiero nel <br />
cyberspazio. <br />
Affrontare in modo esaustivo tale argomento è <br />
incompatibile con le esigenze di sintesi proprie di questo scritto e, <br />
pertanto, ci sia consentito rinviare ai preziosi ed ampi contributi <br />
già prodotti da Autorevole dottrina, limitandoci, in questa sede, ad <br />
evidenziare e tracciare le linee di correlazione tra detta questione <br />
e quella della quale ci stiamo occupando all’unico fine di <br />
evidenziare come riconoscere l’anonimato in Internet rischia di <br />
voler dire – per quanti sforzi si possano fare per scongiurare tale <br />
eventualità – introdurre pericolose forme di responsabilità degli <br />
intermediari della comunicazione e, per questa via, altrettanto <br />
inquietanti e preoccupanti scenari di orwelliana memoria e <br />
fenomeni – più o meno trasparenti – di natura censoria. <br />
Proprio parlando della possibilità di far ricadere sugli <br />
intermediari della comunicazione eventuali responsabilità di <br />
quanto avviene sulle reti Autorevole dottrina ha già rilevato come <br />
ciò farebbe nascere diversi problemi tecnici ma, soprattutto, <br />
rischierebbe di creare una situazione in cui il gestore, per evitare <br />
una pesante responsabilità per danno, si potrebbe trasformare nel <br />
più severe dei censori dando così vita ad una “censura di mercato <br />
157
<br />
ancor più capillare e penetrante di quelle tradizionalmente affidate <br />
ad organi pubblici e, nella sostanza, ineludibile” . <br />
L’attività svolta dagli intermediari della comunicazione è, <br />
infatti, insopprimibile in ogni dinamica della comunicazione <br />
telematica e, pertanto, tali soggetti sono coinvolti – almeno da un <br />
punto di vista strettamente tecnico informatico – in ogni condotta <br />
di diffusione/acquisizione di contenuti che si consumi attraverso <br />
le risorse di Internet. <br />
A ciò deve essere aggiunto che gli intermediari della <br />
comunicazione – e in particolare l’acces provider – sono collocati <br />
in una posizione strategiaca nella dinamica della comunicazione, <br />
trovandosi prioprio lungo il confine tra il cyberspazio ed il c.d. <br />
mondo reale; essi costituiscono la porta di accesso necessitata ed <br />
ineliminabile a Internet ed ad un tempo e conseguentemente <br />
l’ultimo anello di congiunzione tra la nuova realtà telematica ed il <br />
mondo reale. <br />
Si tratta, peraltro, di soggetti cui ‐ a differenza di quanto si <br />
vorrebbe riconoscere ai propri utenti – è preclusa la possibilità di <br />
nascondersi, celarsi o disssimulare la propria reale identità <br />
essendo loro, anzi, espressamente richiesto di presentarsi e <br />
registrarsi in appositi albi ed elenchi tenuti da diverse Pubbliche <br />
Autorità a seconda degli Ordinamenti di riferimento. <br />
In tale contesto è sin troppo evidente l’esistenza di una <br />
diffusa tentazione ‐ che pervade i parlamenti, i governi, la <br />
magistratura, le forze dell’ordine ed i semplici utenti – di bussare <br />
alle porte degli intermediari della comunicazione per imporre o <br />
chiedere aiuto, collaborazione o supporto nell’individuazione dei <br />
responsabili di questa o quella condotta illecita posta in essere nel <br />
cyberspazio e, talvolta, per sancire, accertare o far valere forme di <br />
responsabilità più o meno oggettiva laddove vana sia risultata la <br />
possibilità di rintracciare ogni diverso responsabile della condotta <br />
incriminata. <br />
Insufficienti in tale prospettiva appaiono le petizioni di <br />
principio pur contenute in diverse disposizioni di legge nazionali e <br />
comunitarie ‐ da ultimo, ad esempio, nella disciplina sul <br />
commercio elettronico ‐ con riferimento all’esclusione di ogni <br />
responsabilità degli intermediari della comunicazione – sebbene <br />
subordinatamente al ricorrere di determinate condizioni – in <br />
relazione alle condotte poste in essere dai propri utenti. <br />
E’ sufficiente sfogliare alcuni recentissimi provvedimenti <br />
normativi e porre attenzione a talune altrettanto recenti iniziative <br />
imprenditoriali assunte da intermediari della comunicazione di <br />
grande fama e notorietà per rendersi conto che dette petizioni di <br />
principio non valgono ad appagare la naturale esigenza di <br />
imputazione di ogni condotta giuridicamente rilevante – lecita o <br />
158
<br />
illecita – ad un determinato soggetto né a superare e travolgere il <br />
principio della responsabilità patrimoniale o personale di <br />
carattere penale di cui sono permeati – sebbene con sfumature <br />
diverse – tutti gli Ordinamenti giuridici. <br />
Basti pensare – guardando <strong>alla</strong> realtà italiana – <strong>alla</strong> Legge <br />
21 maggio 2004, n. 128 ‐ Con<strong>version</strong>e in legge, con modificazioni, <br />
del decreto‐legge 22 marzo 2004, n. 72, recante interventi per <br />
contrastare la diffusione telematica abusiva di materiale <br />
audiovisivo, nonché a sostegno delle attività cinematografiche e <br />
dello spettacolo che pone a carico degli intermediari della <br />
comunicazione – ferma in astratto la loro irresponsabilità sancita <br />
da ultimo nella disciplina di attuazione della direttiva comunitaria <br />
in materia di commercio elettronico – l’obbligo di comunicare “le <br />
informazioni in proprio possesso utili all'individuazione dei gestori <br />
dei siti e degli autori delle condotte segnalate” nonché quello di <br />
porre in essere “tutte le misure dirette ad impedire l’accesso ai <br />
contenuti dei siti ovvero a rimuovere i contenuti medesimi”. <br />
La stessa disposizione, peraltro, sanziona la violazione di <br />
tali obblighi con una sanzione amministrativa pecuniaria da <br />
50.000 euro a 250.000 euro. <br />
Non è questa la sede per soffermarsi ad analizzare la <br />
portata e le possibili gravi ricadute – sotto il profilo della libertà di <br />
manifestazione del pensiero – delle richiamate disposizioni di <br />
legge ma sembra, sin d’ora, possibile rilevare come previsioni di <br />
tale tenore finiscano inevitabilmente con il far rientrare d<strong>alla</strong> <br />
finestra forme di responsabilità – benché indiretta – degli <br />
intermediari della comunicazione spingendo, così, tali soggetti <br />
all’adozione di politiche rigide e restrittive circa la libertà dei <br />
propri utenti di comunicare al pubblico telematico – attraverso i <br />
propri servizi – contenuti anche solo potenzialmente illeciti. <br />
Non differenti preoccupazioni, d’altro canto, si registrano <br />
spingendo lo sguardo al di là dei confini nazionali. <br />
E’, infatti, delle ultime ore la notizia che British Telecom – <br />
uno dei più grandi fornitori di accesso <strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> operante sul <br />
territorio Europeo – sta per lanciare il progetto Cleanfeed <br />
attraverso il quale il provider intende bloccare l’accesso dei propri <br />
utenti ai siti – da esso autonomamente censiti – contenenti <br />
materiale pedopornografico. <br />
Si tratta di un’iniziativa ovviamente difficile da contestare in <br />
considerazione delle nobili finalità che mira a raggiungere ma che, <br />
tuttavia, desta più di una perplessità sotto il profilo della <br />
legittimità ed opportunità delle modalità con le quali la British <br />
Telecom si prefigge di pervenire a tale risultato. <br />
Anche se non si conoscono ancora i dettagli della <br />
piattaforma informatica che verrà a tal fine utilizzata è, infatti, <br />
159
<br />
evidente che per un verso essa comporterà inevitabilmente <br />
un’attività – più o meno trasparente – di monitoraggio della <br />
navigazione di tutti gli utenti che accederanno ad internet <br />
attraverso detto provider e, per altro verso, essa richiederà una <br />
costante attività di valutazione del contenuto dei siti esistenti in <br />
rete al fine di predisporre e mantenere costantemente aggiornata <br />
la black list dei siti che British Telecom riterrà essere connotati da <br />
contenuti pedopornografici. <br />
Entrambi i casi appena richiamati appaiono, dunque, <br />
sintomatici di quanto si è andati sin qui dicendo: l’anonimato <br />
assoluto degli utenti spinge l’Autorità a rivolgere le proprie <br />
attenzioni sugli intermediari della comunicazione e questi ultimi a <br />
tutelarsi ponendo in essere iniziative censorie che, quand’anche <br />
nobili ed apprezzabili sotto il profilo teleologico risultano, <br />
comunque, pericolose in relazione a possibili attentati <strong>alla</strong> privacy <br />
degli utenti nonché <strong>alla</strong> libertà di manifestazione del pensiero. <br />
In tale contesto appare urgente tornare a riflettere sulla <br />
possibilità di eliminare <strong>alla</strong> radice ogni forma di anonimato <br />
assoluto in internet e sostituirla, almeno, con formule di <br />
anonimato c.d. relativo nell’ambito delle quali potrebbe <br />
riconoscersi agli utenti di agire in <strong>Rete</strong> in modo anonimo o sotto <br />
identità dissimulate a condizione che sia poi eventualmente <br />
possibile – per finalità del tutto eccezionali e particolari quali, ad <br />
esempio, quelle di giustizia – risalire <strong>alla</strong> vera identità dell’autore <br />
della condotta. <br />
Al contrario di quanto da più parti frequentemente si <br />
prospetta si tratterebbe di una soluzione connotata da grani <br />
istanze liberali e ciò soprattutto in considerazione dei paventati <br />
rischi connessi all’opposto scenario con il quale ci stiamo già <br />
confrontando. <br />
Solo per questa via appare possibile auspicare che in un <br />
domani non troppo lontano Internet si scrolli definitivamente di <br />
dosso quell’immagine di sconfinato campo da gioco pieno di <br />
insidie e pericoli che, sino ad oggi ha impedito il diffondersi di un <br />
utilizzo maturo e consapevole delle risorse telematiche <br />
relegandole ad un ruolo che ne mortifica grandemente le reali <br />
ambizioni, attitudini e potenzialità. <br />
Chi rompe paga ci è stato insegnato sin da bambini e non <br />
c’è alcuna buona ragione per fare a mano di questa elementare <br />
regola di civiltà prima ancora che giuridica nel cyberspazio. <br />
<br />
Mr. Nobody non ha nessun diritto. <br />
1° aprile 2008 <br />
Punto Informatico <br />
<br />
160
<br />
Nelle ultime settimane la vicenda che ha visto <br />
contrapposta Wikipedia al Sindaco di Firenze ha riacceso il <br />
dibattito – in realtà mai completamente sopito ‐ sull’anonimato in <br />
<strong>Rete</strong>: da una parte quanti si dicono convinti che l’anonimato <br />
costituisca un diritto fondamentale ed inviolabile degli utenti e <br />
dall’altra quanti, invece, si dichiarano pronti a rinunciarvi 58. <br />
La questione è complessa e costituisce, probabilmente, <br />
uno dei problemi di maggior rilievo che i legislatori di tutti i Paesi <br />
saranno chiamati ad affrontare nei prossimi anni. <br />
Nessun Ordinamento giuridico, infatti, può prescindere <br />
d<strong>alla</strong> necessità di imputare ad un soggetto determinato ogni <br />
condotta giuridicamente rilevante nonché i suoi effetti e <br />
conseguenze, si tratti di responsabilità civile, penale o <br />
amministrativa o, piuttosto, dell’assegnazione di un premio, del <br />
riconoscimento di un diritto o del pagamento di un credito. <br />
E’ ovvio, d’altra parte, che in caso di impossibilità di <br />
identificare l’autore della condotta, nella più parte dei casi, si <br />
rende necessario ricorrere a meccanismi sussidiari di imputazione <br />
degli effetti e delle conseguenze della condotta medesima. <br />
L’anonimato in <strong>Rete</strong>, secondo i sostenitori di tale teoria, <br />
rappresenterebbe un diritto‐presupposto per l’esercizio di altri <br />
diritti e libertà fondamentali quali, ad esempio, la libertà di <br />
manifestazione del pensiero con la conseguenza che eliminando il <br />
primo si comprimerebbe anche la seconda. <br />
Si tratta di una conclusione, probabilmente, corretta sotto <br />
un profilo pratico ma difficile da condividere in termini giuridici e, <br />
soprattutto, nell’ambito di un ragionamento de iure condendo e di <br />
lungo periodo anche perché essa costituisce la risposta ad un <br />
problema posto in termini inesatti. <br />
La questione, infatti, a mio avviso – se la si vuol porre in <br />
termini giuridici e non piuttosto in termini “romantici” ‐ non è se <br />
sia opportuno sopprimere il diritto all’anonimato in <strong>Rete</strong> <br />
costringendo tutti ad agire a volto scoperto ma, piuttosto, se un <br />
simile diritto possa, effettivamente, ritenersi sussistere. <br />
La mia risposta a tale quesito è negativa. <br />
Mr. Nobody – utente mascherato della <strong>Rete</strong> – non è titolare <br />
di alcun diritto e, tantomeno, di quello a mantenere celata la <br />
propria identità. <br />
Il ragionamento <strong>alla</strong> base di tale conclusione può seguire <br />
percorsi logici diversi: muovere d<strong>alla</strong> nozione di cittadino quale <br />
titolare dei diritti, dall’imprescindibilità della manifestazione della <br />
propria identità ai fini dell’esercizio di un diritto o, piuttosto, <br />
<br />
58 Cfr. pag. 32 <br />
161
<br />
dall’imprescindibile esigenza che all’esercizio di ogni diritto o <br />
libertà faccia da contraltare l’assunzione di obblighi e/o eventuali <br />
responsabilità. <br />
Proviamo a partire proprio da quest’ultima <br />
considerazione. <br />
L’art. 11 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del <br />
cittadino del 26 agosto 1789, prevede che "la libera comunicazione <br />
dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi <br />
dell'uomo" e "ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, <br />
stampare liberamente salvo a rispondere dell'abuso di questa <br />
libertà nei casi determinati d<strong>alla</strong> legge”. <br />
La responsabilità nelle ipotesi di abuso è, dunque, il <br />
contraltare della libertà e, tale responsabilità, presuppone, <br />
evidentemente, l’imputabilità ad un cittadino determinato <br />
dell’abuso medesimo. <br />
Già sotto tale profilo, pertanto, l’idea che si possa <br />
“pretendere” di esercitare un diritto o una libertà sottraendosi, ex <br />
ante, all’eventuale successiva responsabilità mi sembra, <br />
francamente, assai poco convincente. <br />
Ma vi sono altre ragioni che mi portano a ritenere che non <br />
vi sia spazio né in <strong>Rete</strong> né fuori della <strong>Rete</strong> per un diritto <br />
all’anonimato. <br />
La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo <br />
approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite il 10 <br />
dicembre 1948 stabilisce che "ogni individuo ha diritto <strong>alla</strong> libertà <br />
di pensiero, di coscienza e di religione..." e "<strong>alla</strong> libertà di opinione <br />
e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la <br />
propria opinione…”. <br />
E’ ovvio che se l’esercizio della libertà di opinione dovesse <br />
o potesse avvenire in forma anonima non avrebbe avuto alcun <br />
senso rafforzare tale libertà fondamentale con il diritto a non <br />
essere molestato in ragione del suo esercizio. <br />
Ancora una volta, dunque, la libertà di opinione non <br />
sembra essere riconosciuta né riconoscibile a Mr. Nobody. <br />
La libertà di manifestazione del pensiero, il diritto <strong>alla</strong> <br />
privacy, quello al lavoro o quello <strong>alla</strong> salute ed ogni altro diritto o <br />
libertà fondamentale competono al cittadino, identificato da un <br />
nome e da un cognome quale appartenente ad un certo Stato ed <br />
Ordinamento e non certamente ad un sedicente Mr. Nobody, <br />
incappucciato che si rifiuti di svelare la propria identità mentre <br />
esige di esercitare i propri diritti o libertà. <br />
Contro l’idea di un anonimato assoluto in <strong>Rete</strong>, d’altra <br />
parte, non militano solo ragioni giuridiche. <br />
Gli ultimi anni, nel corso dei quali l’anonimato si è imposto <br />
come standard de facto con poche eccezioni hanno, infatti, <br />
162
<br />
evidenziato che l’impossibilità di imputare una condotta ad un <br />
determinato soggetto, innesca meccanismi complessi quali forme <br />
di monitoraggio di massa, attribuzioni di responsabilità agli ISP o, <br />
piuttosto, agli UGC. <br />
Persecuzioni e caccia alle streghe in luogo <br />
dell’individuazione puntuale ed indolore dell’autore della condotta <br />
incriminata. <br />
D’altra parte l’idea che per poter esercitare una libertà <br />
fondamentale quale, ad esempio, quella di opinione occorra <br />
nascondersi, mi sembra che abbia il sapore della sconfitta più che <br />
quello della vittoria come sostenuto da quanti ritengono che <br />
l’anonimato costituisca un presupposto per l’esercizio di altre <br />
libertà. <br />
Qual è la soluzione dunque? <br />
A mio avviso l’anonimato protetto. Ciascun utente sarebbe <br />
libero di agire in rete “mascherato” dietro ad un nick ma, prima di <br />
entrare, dovrebbe lasciare all’ISP le sue generalità nella <br />
consapevolezza che solo l’Autorità giudiziaria potrà accedervi nel <br />
caso in cui si renda responsabile o vi sia il fondato sospetto si sia <br />
reso responsabile di una serie di illeciti ritenuti dal legislatore di <br />
particolare gravità. <br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
Mr. Nobody non ha diritti (ma anche doveri). <br />
5 aprile 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=281 <br />
<br />
Nei giorni scorsi sono intervenuto in un bel dibattito che <br />
Punto Informatico ha aperto e continua ad ospitare sull'anonimato <br />
in <strong>Rete</strong>. <br />
Il titolo del mio articolo come, peraltro, quello del mio post <br />
"Mr. Nobody non ha diritti" chiariva e chiarisce senza bisogno di <br />
altre parole il mio punto di vista: il diritto all'anonimato (assoluto) <br />
non dovrebbe trovare cittadinanza in <strong>Rete</strong> (ed a ben vedere <br />
neppure fuori). <br />
Proponevo e continuo a proporre un anonimato protetto: <br />
la libertà di agire in <strong>Rete</strong> sotto qualsiasi nick ma a condizione di <br />
lasciare alle porte del cyberspazio ‐ agli ISP ‐ la propria identità <br />
reale cui le sole Pubbliche Autorità dovrebbero poter accedere <br />
nell'ipotesi in cui Mr. (quasi) Nobody si macchiasse di colpe gravi. <br />
163
<br />
Si tratta, peraltro, di una soluzione già proposta molto <br />
tempo fa da Stefano Rodotà. <br />
Tale proposta che io ritengo una precondizione <br />
ineliminabile per uno sviluppo civile, democratico ed economico <br />
della <strong>Rete</strong> ha, probabilmente, riscosso più critiche che consensi. <br />
Lo trovo naturale e non ne sono stupito: la libertà (quella <br />
assoluta) è piu romantica anche della più flebile ed elastica delle <br />
regolamentazioni. E' un'aspirazione naturale dell'uomo. Il diritto <br />
(in ogni epoca e regime) è sempre e comunque, in un modo o <br />
nell'altro, imposto ed è raro e difficile che sia effettivamente <br />
NATURALE. <br />
Nelle critiche, c'è un argomento, più ricorrente degli altri: <br />
l'anonimato come derivazione del diritto <strong>alla</strong> privacy. <br />
E' una posizione che non mi convince. <br />
Una cosa è sostenere che ciascuno abbia il diritto di <br />
controllare il trattamento da parte di altri dei propri dati personali <br />
incluso il proprio nome e cognome e, dunque, anche di inibire a <br />
terzi il trattamento ‐ inteso come semplice acquisizione ‐ di tali <br />
dati mentre altra cosa è riconoscere a ciascuno il diritto di agire <br />
senza assumersi alcuna responsabilità per le proprie condotte <br />
legittimandolo a rimanere nascosto sotto un cappuccio. <br />
Qui il diritto <strong>alla</strong> privacy o, forse, <strong>alla</strong> riservatezza deve <br />
cedere il passo all'esigenza che l'Autorità applichi le regole che <br />
ciascun Ordinamento secondo dinamiche ‐ sfortunatamente ‐ più o <br />
meno democratiche si da. <br />
Non si può derivare ‐ come, in queste ore, fanno in molti ‐ <br />
un principio generale da un'eccezione. <br />
Mi rendo conto anche io che in taluni regimi e momenti <br />
storici parlare in forma anonima può essere l'unico modo di <br />
parlare ma per un blogger che così facendo viene posto in <br />
condizione di raccontare la verità ci sono decine di migliaia di <br />
pirati e criminali che indossano lo stesso cappuccio dell'anonimato <br />
e pongono in essere condotte non meritevoli né di tutela né di <br />
garanzia. <br />
Non è marciando per le strade di una città a volto coperto <br />
e con la certezza di non essere riconosciuti che ci si batte per la <br />
democrazia o, almeno, non è questo che insegna la storia. <br />
E', per questo, che pur essendo convinto che Internet <br />
possa contribuire ‐ più di quanto non abbia già fatto sin qui ‐ <strong>alla</strong> <br />
democrazia globale ‐ sono ad un tempo certo che la strada perché <br />
ciò avvenga non è quella di rendere anonimo il popolo della <strong>Rete</strong> <br />
ma, al contrario, quella di dargli un'identità, di consentire a <br />
ciascuno, in <strong>Rete</strong>, di affermare ed esprimere appieno al propria <br />
personalità. <br />
164
<br />
La moltiplicazione dei blog, degli spazi di discussione, di <br />
riviste telematiche "accessibili" ad un pubblico che, sino a ieri, non <br />
poteva ambire ad accedere ai media tradizionali per far conoscere <br />
la propria opinione, gli strumenti di democrazia elettronica ‐ <br />
sfortunatamente ancora troppo poco utilizzati ‐ il social web, <br />
questa sono, a mio avviso, gli strumenti telematici che possono <br />
affermare la democrazia anche dove ancora non c'è. <br />
Blogger più o meno noti hanno già costretto politici illustri <br />
a giustificarsi, a chiedere scusa a cambiare strada, filmati diffusi <br />
dagli UGC fanno tremare governi e regimi. <br />
L'anonimato assoluto non serve per affermare la libertà <br />
anzi esso costituisce una sconfitta: VOGLIO poter esercitare i miei <br />
diritti di cittadino globale NONOSTANTE le mie opinioni e NON <br />
VOGLIO dovermi NASCONDERE per esercitarle. <br />
Allo Stato, quindi, non chiedo di garantire il mio <br />
anonimato assoluto ma, semplicemente, di pormi in condizione di <br />
sentirmi libero in <strong>Rete</strong> e fuori d<strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> anche ‐ ed anzi <br />
soprattutto ‐ mentre affermo appieno la mia personalità come <br />
inscindibile alchimia di convinzioni politiche, ideologiche e <br />
religiose ed a prescindere da ogni considerazione di razza, sesso o <br />
estrazione sociale. <br />
Egalité era la parola che risuonava negli anni della <br />
rivoluzione francese e che oggi è scritta nelle Carte costituzionali <br />
di tutti i Paesi che ambiscono a definirsi civili. <br />
Che bisogno ci sarebbe di sancire un DIRITTO <br />
ALL'UGUAGLIANZA se tutti fossimo UGUALI perché coperti da uno <br />
stesso cappuccio? <br />
165
<br />
<br />
6. Web privacy. <br />
Contrappunti digitali. <br />
La tecno fobia clicca sempre due volte. <br />
1° agosto 2008 <br />
Punto Informatico <br />
<br />
Il Garante per la tutela della privacy e della riservatezza <br />
nelle scorse settimane ha avvertito che fisserà regole chiare e <br />
piuttosto restrittive per lo sbarco in Italia del servizio Google <br />
street view: oscuramento del volto delle persone, mascheramento <br />
delle targhe, non identificabilità dei comportamenti umani e, <br />
infine, adeguata informazione circa le riprese in corso attraverso le <br />
Google Car. <br />
Sto facendo un po’ di zapping in TV: un servizio sulle <br />
prime code ai caselli autostradali per l’esodo estivo e un altro sulle <br />
“domeniche ecologiche” nelle principali città italiane con immagini <br />
di repertorio, un programma di viaggi e turismo <strong>alla</strong> scoperta di <br />
strade, piazze e monumenti delle nostre città d’arte. <br />
Migliaia e migliaia di fotogrammi di targhe, volti di <br />
persone ben visibili, frammenti di vita comune: coppie e famiglie <br />
in partenza per questa o quella località, anziani rimasti in città e <br />
cittadini e stranieri a passeggio per le vie delle nostre città per <br />
mano, da soli o piuttosto abbracciati. <br />
Eppure io non ho mai visto la troupe di un’emittente <br />
televisiva preceduta da un gobbo con la gigantografia di <br />
un’informativa sulla privacy o, piuttosto, le immagini di viaggiatori <br />
e passanti rese irriconoscibili attraverso accorgimenti digitali o, <br />
magari, i numeri delle targhe dei veicoli in coda al casello <br />
mascherati elettronicamente. <br />
Perché in TV tutto va bene e nel web bisogna prestare <br />
tanta attenzione? <br />
Sul web certi “fotogrammi” diventano “eterni” mi si dirà e, <br />
dunque, è più facile che un utente di Google street view riconosca <br />
in un’immagine il suo vicino di casa a passeggio con la moglie di <br />
quanto non lo sia in un servizio televisivo da pochi minuti. <br />
Ma basta una differenza “quantitativa” di questo genere <br />
per giustificare una risposta giuridica tanto diversa nei due casi? <br />
Il Governo propone di stampigliare le impronte digitali di <br />
tutti i cittadini italiani sulle carte d’identità mettendo così in <br />
circolazione su un supporto fisico un dato biometrico e, dunque, <br />
un frammento unico ed irripetibile dell’identità di ogni individuo e, <br />
i più, rimangono a guardare non rendendosi conto o, più <br />
probabilmente, fingendo di non rendersi conto che così facendo si <br />
166
<br />
espone ad un rischio incontrollabile la titolarità di uno dei dati <br />
personali più preziosi per ciascuno di noi e si corre il rischio di <br />
condannare qualcuno – per il fatto solo di aver perso la propria <br />
carta d’identità – a fare i conti vita natural durante con “un altro se <br />
stesso” in giro per il mondo. <br />
Ad un tempo, però, preoccupazioni legate <strong>alla</strong> necessaria <br />
tutela della privacy e dell’identità personale hanno precluso di <br />
utilizzare i dati biometrici per l’attivazione dei dispositivi di firma <br />
digitale. <br />
La biometria, infatti, avrebbe consentito di “attaccare” il <br />
dispositivo di firma al braccio dell’individuo e di ricreare così nel <br />
mutato contesto tecnologico la medesima situazione fattuale <br />
caratteristica della sottoscrizione autografa. <br />
L’aver accantonato tale eventualità ha fatto si che, oggi, ci <br />
si debba accontentare di una semplice presunzione legale: quella <br />
secondo cui il dispositivo deve ritenersi utilizzato, salvo prova <br />
contraria, dal suo titolare. <br />
Difficile, ancora una volta, resistere dal domandarsi il <br />
perché di tante preoccupazioni – probabilmente corrette – quando <br />
si parla di bit e di tanta “leggerezza” quando si tratta del mondo <br />
degli atomi. <br />
Qualche mese fa, come ricorderanno i lettori di Punto <br />
Informatico, ha fatto scalpore la decisione dell’Agenzia delle <br />
entrate di pubblicare on‐line i dati relativi ai redditi dei <br />
contribuenti italiani. <br />
L’Agenzia, come tempestivamente accertò il Garante per la <br />
privacy, aveva sbagliato e violato la disciplina vigente a tutela, <br />
appunto, della privacy e della riservatezza. <br />
D’accordo, ma quei dati erano pubblici ed avrebbero <br />
dovuto essere resi accessibili – magari con modalità tecniche <br />
diverse e meno “generaliste” – anche attraverso gli strumenti <br />
telematici. <br />
E’ bastato paventare l’eventualità che in futuro ciò avrebbe <br />
potuto accadere perché il Palazzo – dopo aver lasciato la disciplina <br />
di riferimento eguale a se stessa per oltre un trentennio – si <br />
determinasse ad agire d’urgenza modificando radicalmente ‐ <br />
attraverso l’art. 42 del Decreto Legge n. 112/2008 (avente ad <br />
oggetto “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la <br />
semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza <br />
pubblica e la perequazione Tributaria“) – il regime di pubblicità di <br />
quei dati e precludendone in modo pressoché assoluto la <br />
comunicazione e diffusione. <br />
Il legislatore, dunque, non ha dettato così come sarebbe <br />
stato lecito attendersi nuove modalità per l’accesso attraverso i <br />
nuovi strumenti telematici di quei dati da parte dei cittadini ma ha, <br />
167
<br />
piuttosto, preferito sottrarli quanto più possibile dal mondo dei <br />
bit. <br />
Ancora un esempio prima di trarre qualche conclusione. <br />
La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del <br />
cittadino, la nostra costituzione e quella di centinaia di altri Paesi, <br />
Leggi, Giudici e sentenze – sebbene con intensità e determinazione <br />
diversa a seconda di regimi ed epoche storiche – ricordano da <br />
decenni che la libertà di manifestazione del pensiero costituisce <br />
una pietra angolare di ogni ordinamento democratico e che il suo <br />
esercizio deve essere garantito ad ogni cittadino, tra l’altro, quale <br />
insopprimibile strumento di affermazione ed estrinsecazione della <br />
propria personalità. <br />
La limitatezza dei canali di accesso ai media ha, tuttavia, <br />
sino a ieri inesorabilmente compresso il pieno esercizio di tale <br />
libertà da parte dei più consegnando l’informazione nelle mani di <br />
pochi. <br />
Oggi, finalmente, esiste un media ontologicamente diverso <br />
da tutti quelli che l’hanno preceduto e, per questo, in grado di <br />
offrire a chiunque – o almeno a quanti hanno la fortuna di <br />
appartenere <strong>alla</strong> c.d società dei 2/3 ovvero degli “intrerconnessi” – <br />
la possibilità di esercitare tale libertà. <br />
In tale contesto dalle leggi, dai politici e dai giudici ci si <br />
sarebbe attesi una convinta difesa dei nuovi canali di esercizio <br />
della libertà di manifestazione del pensiero: nessuna deroga ai <br />
principi generali secondo cui l’esercizio di ogni libertà deve finire <br />
laddove rischia di ledere quella altrui e chiunque deve rispondere <br />
delle conseguenze delle proprie condotte ma, ad un tempo, <br />
nessuna limitazione all’esercizio di tale libertà in nome di regole <br />
vecchie e superate d<strong>alla</strong> tecnologia. <br />
Ma il mondo dei bit, ancora, una volta ha dato vita ad una <br />
reazione difficilmente spiegabile. <br />
Blogger condannati per stampa clandestina senza che <br />
nessuno abbia mai loro imposto alcuna registrazione, Blog <br />
sequestrati per aver ospitato quello che era già stato scritto su <br />
quotidiani senza che nulla del genere accadesse e, per finire, il più <br />
grande UGC del mondo sul banco degli imputati per non aver <br />
impedito – senza che nessuna norma glielo imponesse ed in una <br />
condizione di oggettiva impossibilità tecnologica – che qualche <br />
ragazzino postasse, tra milioni di video, anche un filmatino <br />
realizzato con un videofonino che non avrebbe mai dovuto essere <br />
diffuso perché racconta una scena di vita triste ma <br />
drammaticamente autentica consumatasi in un’aula scolastica. <br />
C’è un filo comune che corre lungo questi episodi e c’è un <br />
analogo preoccupante modo di guardare al futuro che li collega. <br />
168
<br />
Non so dire cosa sia ma, a me sembra, possa parlarsi di <br />
tecno‐fobia o schizofrenia legislativa o, forse, più semplicemente <br />
scarsa consapevolezza del nuovo mondo che, questa volta, non è <br />
dall’altra parte dell’oceano ma lontano solo pochi click dai nostri <br />
Parlamenti e dalle aule di giustizia. <br />
<br />
Redditi online: l’incertezza del diritto. <br />
2 maggio 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=291 <br />
<br />
Si è scritto molto nelle ultime ora circa l'ormai nota <br />
vicenda della pubblicazione sul sito dell'Agenzia delle Entrate dei <br />
redditi di tutti i cittadini italiani e si è da più parti gridato allo <br />
scandalo in relazione <strong>alla</strong> scelta del vice‐ministro uscente di <br />
rendere, d'un colpo, accessibile il database dell'Agenzia delle <br />
Entrate 59. <br />
E' ovvio che quanto accaduto è suscettibile di due diversi <br />
livelli di lettura: uno politico ed uno strettamente giuridico. <br />
Politicamente ci si deve chiedere se si è trattato di una <br />
scelta opportuna o, piuttosto, inopportuna. <br />
Non ho competenze o strumenti per rispondere a questa <br />
domanda e, quindi, non posso che esprimere il mio pensiero come <br />
hanno fatto già in molti: ci sono milioni di dati in possesso della <br />
nostra Pubblica Amministrazione che sarebbe più importante <br />
rendere accessibili ai cittadini ma, sin qui, nessuno ha mai pensato <br />
di metterli on‐line…penso, ad esempio, ai segreti di Stato sulle <br />
stragi di Stato ed ai parenti delle vittime che da decenni chiedono, <br />
almeno, di conoscere il perché di tanto dolore… <br />
La pubblicazione dei redditi degli italiani, in confronto, mi <br />
sembra un inutile esercizio voyeristico le cui conseguenze <br />
pratiche, peraltro, appaiono difficili da valutare. <br />
Credo, in ogni caso, che una decisione ‐ opportuna o <br />
inopportuna che fosse ‐ tanto nuova non andasse presa mentre il <br />
vice‐ministro si avviava a passare il testimone al suo successore. <br />
Giuridicamente, la questione, è diversa e, a differenza delle <br />
valutazioni politiche, può e deve essere ancorata a ragionamenti <br />
ed elementi certi, puntuali ed inequivoci. <br />
Sfortunatamente, tuttavia, sin qui non è stato così. <br />
<br />
59 Il provvedimento con il quale è stata disposta la pubblicazione delle dichiarazioni <br />
dei redditi 2005 è disponibile a questa URL: <br />
http://www.giurdanella.net/file_sito/agenzia_entrate_5308.pdf <br />
169
<br />
L'intervento del Garante per la privacy sebbene <br />
ineccepibile sotto il profilo della tempestività è stato <br />
approssimativo e poco puntuale sotto quello dei contenuti 60. <br />
<br />
60 Il testo del provvedimento di inibitoria pronunciato dal Garante per la tutela dei <br />
dati personali il 30 aprile 2008: <br />
Pubblicazione Internet degli elenchi dei contribuenti da parte dell'Agenzia delle <br />
entrate ‐ 30 aprile 2008 <br />
IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI <br />
Nella riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. <br />
Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe <br />
Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale; <br />
VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. <br />
196); <br />
VISTO l'art. 69 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall'art. 19 <br />
della legge 30 dicembre 1991, n. 413, che disciplina la pubblicazione degli elenchi <br />
dei contribuenti; <br />
VISTO che il predetto art. 69, comma 6, prevede, ai fini della consultazione dei <br />
predetti elenchi, il loro deposito, per la durata di un anno, sia presso l'ufficio <br />
dell'amministrazione finanziaria, sia presso i comuni interessati; <br />
RILEVATO che il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 5 <br />
marzo 2008, che individua le modalità e i termini di formazione degli elenchi <br />
relativi all'anno di imposta 2005, ha disposto una diversa modalità di pubblicazione <br />
di tali elenchi in un'apposita sezione del sito internet <br />
http://www.agenziaentrate.gov.it; <br />
RILEVATO altresì che tali elenchi, suddivisi in relazione agli uffici dell'Agenzia delle <br />
entrate territorialmente competenti, sono liberamente consultabili anche con la <br />
possibilità di salvarne una copia con funzioni di trasferimento file; <br />
CONSIDERATO che il citato art. 69, come già rilevato più volte da questa Autorità, <br />
costituisce, ai sensi dell'art. 19, comma 3, del Codice, la base giuridica per <br />
pubblicare elenchi dei contribuenti, recando "una precisa scelta normativa di <br />
consultabilità da parte di chiunque di determinate fonti" "operata per favorire una <br />
trasparenza in materia di dati raccolti d<strong>alla</strong> pubblica amministrazione attraverso le <br />
dichiarazioni fiscali" (v. Provv. 17 gennaio 2001, doc. web n. 41031, Provv. 2 luglio <br />
2003, doc. web. n. 1081728, nonché Provv. 18 ottobre 2007, doc. web. n. 1454901); <br />
RILEVATO che, "come è desumibile dai numerosi pronunciamenti di questa <br />
Autorità in materia di trasparenza, non vi è incompatibilità tra la protezione dei <br />
dati personali e determinate forme di pubblicità di dati previste per finalità di <br />
interesse pubblico o della collettività" (v., in particolare, Provv. del 2 luglio 2003, <br />
cit.); <br />
<br />
CONSIDERATO tuttavia che il legislatore ha demandato all'Amministrazione <br />
finanziaria esclusivamente il compito di formare annualmente gli elenchi dei <br />
contribuenti e che il regime di pubblicità è invece direttamente prescritto per legge <br />
(art. 69, comma 6, cit.); <br />
RILEVATO che, all'esito di una preliminare verifica effettuata da questa Autorità, la <br />
pubblicazione dei predetti elenchi attraverso il sito web <br />
http://www.agenziaentrate.gov.it risulta allo stato non conforme <strong>alla</strong> normativa di <br />
settore; <br />
CONSIDERATO che il Garante, ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. c) e 154, <br />
comma 1, lett. a) e d) del Codice, può, anche d'ufficio, disporre il blocco e adottare <br />
altri provvedimenti previsti d<strong>alla</strong> disciplina applicabile al trattamento dei dati <br />
personali; <br />
170
<br />
La questione, peraltro, non era nuova all'Ufficio del <br />
Garante che l'aveva già affrontata in diverse precedenti occasioni <br />
giungendo, peraltro, a conclusioni parzialmente differenti da <br />
quella cui è giunto nel provvedimento del 30 aprile 61. <br />
Il punto è questo: la disciplina fiscale (art. 69 del D.P.R. <br />
600/1973) prevede un regime di pubblicità per i dati relativi ai <br />
redditi dei contribuenti italiani, stabilendone, altresì termini e <br />
modalità di comunicazione e diffusione al pubblico 62. <br />
<br />
RILEVATA la necessità di chiedere ulteriori chiarimenti e di invitare in via <br />
d'urgenza l'Agenzia a sospendere nel frattempo la pubblicazione dei dati personali <br />
contenuti negli elenchi dei contribuenti sopra menzionati tramite il sito web <br />
http://www.agenziaentrate.gov.it, nelle more della definizione degli ulteriori <br />
accertamenti da parte di questa Autorità; <br />
RISERVATA la formulazione in altra sede di un invito ai mezzi di informazione a <br />
non divulgare i dati estratti dagli elenchi resi disponibili in Internet dall'Agenzia <br />
con le predette modalità; <br />
VISTA la documentazione in atti; <br />
VISTE le osservazioni dell'Ufficio, formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. <br />
15 del regolamento del Garante n. 1/2000 del 28 giugno 2000; <br />
Relatore il prof. Francesco Pizzetti; <br />
TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE <br />
ai sensi dell'art. 154, comma 1, lett. d), del Codice, chiede ulteriori chiarimenti e <br />
invita l'Agenzia delle entrate a sospendere nel frattempo la pubblicazione degli <br />
elenchi dei contribuenti tramite il sito web http://www.agenziaentrate.gov.it. <br />
61 I precedenti provvedimenti del Garante sono richiamati nel provvedimento <br />
riportato nella nota precedente. <br />
62 Questa la normativa di riferimento: <br />
Dpr 600 del 1973 <br />
Articolo 69 <br />
Pubblicazione degli elenchi dei contribuenti. <br />
1. Il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione degli elenchi dei <br />
contribuenti il cui reddito imponibile è stato accertato dagli uffici delle imposte <br />
dirette e di quelli sottoposti a controlli globali a sorteggio a norma delle vigenti <br />
disposizioni nell'ambito dell'attività di programmazione svolta dagli uffici nell'anno <br />
precedente. <br />
2. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in <br />
contestazione e devono essere indicati, in caso di rettifica, anche gli imponibili <br />
dichiarati dai contribuenti. <br />
3. Negli elenchi sono compresi tutti i contribuenti che non hanno presentato la <br />
dichiarazione dei redditi, nonché i contribuenti nei cui confronti sia stato accertato <br />
un maggior reddito imponibile superiore a euro 5.164,57 e al 20 per cento del <br />
reddito dichiarato, o in ogni caso un maggior reddito imponibile superiore a euro <br />
25.822,84. <br />
4. Il centro informativo delle imposte dirette, entro il 31 dicembre dell'anno <br />
successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, forma, per <br />
ciascun comune, i seguenti elenchi nominativi da distribuire agli uffici delle imposte <br />
territorialmente competenti: <br />
a) elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione dei <br />
redditi; <br />
b) elenco nominativo dei soggetti che esercitano imprese commerciali, arti e <br />
professioni. <br />
171
<br />
E' innegabile che la pubblicazione on‐line costituisca una <br />
modalità di diffusione non conforme <strong>alla</strong> citata disposizione di <br />
legge con la conseguenza che, <strong>alla</strong> stregua di quanto previsto <br />
dall'art. 19 del codice privacy, essa deve considerarsi illecita. <br />
Il Garante, pertanto, avrebbe dovuto pronunciarsi con <br />
maggior perentorietà e, anziché, limitarsi ad "invitare", inibire <br />
all'Agenzia delle Entrate la prosecuzione del trattamento <br />
(diffusione). <br />
Non mi sembra, infatti, che la questione richieda maggior <br />
approfondimento. <br />
Il problema, tuttavia, dal punto di vista giuridico, ora, è un <br />
altro: centinaia di migliaia di persone hanno avuto accesso ‐ nelle <br />
poche ore in cui ciò è stato possibile ‐ ai dati relativi al reddito dei <br />
contribuenti italiani. <br />
Mentre vi scrivo sto scaricando via p2p centinaia di file <br />
contenenti tali dati e non sono, evidentemente, il solo… <br />
<br />
5. Con apposito decreto del Ministro delle finanze sono annualmente stabiliti i <br />
termini e le modalità per la formazione degli elenchi di cui al comma 4. <br />
6. Gli elenchi sono depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da <br />
parte di chiunque, sia presso lo stesso ufficio delle imposte sia presso i comuni <br />
interessati. Per la consultazione non sono dovuti i tributi speciali di cui al D.P.R. 26 <br />
ottobre 1972, n. 648. <br />
7. Ai comuni che dispongono di apparecchiature informatiche, i dati potranno <br />
essere trasmessi su supporto magnetico ovvero mediante sistemi telematici. <br />
Dpr 633 del 1972 <br />
Articolo 66 Bis <br />
Pubblicazione degli elenchi di contribuenti. <br />
Il Ministro delle finanze dispone annualmente la pubblicazione di elenchi di <br />
contribuenti nei cui confronti l'ufficio dell'imposta sul valore aggiunto ha proceduto <br />
a rettifica o ad accertamento ai sensi degli articoli 54 e 55. Sono ricompresi <br />
nell'elenco solo quei contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione <br />
annuale e quelli d<strong>alla</strong> cui dichiarazione risulta un'imposta inferiore di oltre un <br />
decimo a quella dovuta ovvero un'eccedenza detraibile o rimborsabile superiore di <br />
oltre un decimo a quella spettante. Negli elenchi deve essere specificato se gli <br />
accertamenti sono definitivi o in contestazione e deve essere indicato, in caso di <br />
rettifica, anche il volume di affari dichiarato dai contribuenti. <br />
Gli uffici dell'imposta sul valore aggiunto formano e pubblicano annualmente per <br />
ciascuna provincia compresa nella propria circoscrizione un elenco nominativo dei <br />
contribuenti che hanno presentato la dichiarazione annuale ai fini dell'imposta sul <br />
valore aggiunto, con la specificazione, per ognuno, del volume di affari. Gli elenchi <br />
sono in ogni caso depositati per la durata di un anno, ai fini della consultazione da <br />
parte di chiunque, sia presso l'ufficio che ha proceduto <strong>alla</strong> loro formazione, sia <br />
presso i comuni interessati. Per la consultazione non sono dovuti i tributi speciali di <br />
cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 648. <br />
Gli stessi uffici pubblicano, inoltre, un elenco cronologico contenente i nominativi <br />
dei contribuenti che hanno richiesto i rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto e di <br />
quelli che li hanno ottenuti. <br />
172
<br />
Che potrò o dovrò farne? E cosa dovranno farne quanti, <br />
prima di me, li hanno scaricati direttamente dal sito delle Agenzie <br />
delle entrate? <br />
Su molti quotidiani on‐line e su migliaia di siti, oggi, sono <br />
snocciolati, comunicati, diffusi e commentati questi dati. E' lecito? <br />
La legge ‐ quella fiscale intendo ‐ non lo dice ed il Garante <br />
dela privacy ha sin qui taciuto. <br />
La mia personale opinione è che la pubblicazione via <br />
internet di tali dati, allo stato, debba essere considerata illecita in <br />
quanto non "coperta" da alcuna disposizione di legge e relativa a <br />
dati di cui ‐ sebbene attraverso il provvedimento interlocutorio del <br />
30 aprile ‐ il Garante ha vietato la diffusione on‐line. <br />
E' ovvio, tuttavia, che occorre una regola ‐ ex lege o <br />
attraverso un provvedimento del Garante ‐ chiara ed universale <br />
altrimenti, nei prossimi mesi, sui giornali, in televisione, in <strong>Rete</strong>, <br />
nei tribunali e nell'ambito dei più diversi rapporti tra privati questi <br />
dati verranno continuamente utilizzati e ci ritroveremo, ogni volta, <br />
a chiederci se ed in che limiti tali dati possono essere archiviati, <br />
comunicati o, piuttosto, diffusi. <br />
Questo è il problema oggi sul tavolo ed è un problema <br />
serio che va risolto ed affrontato senza perder tempo a riflettere su <br />
ciò che è accaduto in quella ‐ benedetta o maledetta ‐ mattina del <br />
30 aprile… <br />
Che ne pensate? <br />
<br />
Redditi online: attenti alle cure più dannose del male. <br />
4 maggio 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=292 <br />
<br />
L'errore ‐ possiamo chiamarlo così, quale che sarà la <br />
qualificazione giuridica che al fatto daranno nelle prossime ore <br />
l'Autorità Garante e la Magistratura ‐ commesso dall'Agenzia delle <br />
Entrate il 30 aprile ha generato reazioni incontrollate ed <br />
incontrollabili che anziché spegnere l'incendio lo stanno <br />
alimentando. <br />
La cura proposta rischia, però, di risultare più dannosa del <br />
male. <br />
E' pacifico, ormai, che l'Agenzia delle Entrate non avrebbe <br />
dovuto procedere <strong>alla</strong> pubblicazione via internet dei redditi dei 38 <br />
milioni di contribuenti italiani ma da qui a parlare di richieste <br />
risarcitorie mulitimiliardarie e di sequestri nelle case delle <br />
centinaia di migliaia di utenti che nella mattinata del 30 aprile <br />
hanno scaricato sui propri PC i dati resi disponibili dallo Stato il <br />
passo è lungo. <br />
173
<br />
Una richiesta risarcitoria di 520 Euro per ogni <br />
contribuente che si è visto pubblicare on‐line il proprio reddito per <br />
un totale di 20 miliardi di euro è, probabilmente, un buon claim <br />
pubblicitario ed un eccezionale titolo ad effetto per chiunque sia <br />
<strong>alla</strong> ricerca di facile notorietà ma non ha, evidentemente, alcun <br />
fondamento giuridico. <br />
Quale sarebbe il danno sofferto da ciascuno dei 38 milioni <br />
di contribuenti italiani per il solo fatto dell'avvenuta pubblicazione <br />
del proprio reddito relativo al 2005? Quale il criterio di <br />
determinazione della misura del risarcimento? Chi l'ha detto che <br />
tutti i contribuenti italiani sono contrari <strong>alla</strong> pubblicazione on‐line <br />
dei propri redditi e determinati, pertanto ‐ ammesso anche che ne <br />
sussistessero i presupposti ‐ ad agire per il risarcimento dei danni <br />
sofferti? <br />
Tanto per cominciare il 68% degli oltre 100 mila italiani <br />
che hanno, sin qui, risposto al sondaggio promosso da <br />
Repubblica.it ha mostrato di condividere la scelta dell'Agenzia <br />
delle Entrate 63. <br />
68 mila contribuenti X 520 Euro = 35.360.000 Euro. Briciole in <br />
confronto <strong>alla</strong> richiesta risarcitoria di 20 miliardi che si vorrebbe <br />
avanzare ma briciole significative del fatto che non ci si può ergere <br />
a "rappresentanti" di tutti ed interpreti della volontà popolare con <br />
tanta leggerezza. <br />
E' fuor di dubbio che quanto accaduto sia un fatto grave <br />
ma proprio tale gravità dovrebbe spingere tutti a contribuire, con <br />
responsabilità ed equilibrio <strong>alla</strong> ricerca di una soluzione piuttosto <br />
che <strong>alla</strong> solita italica corsa all'aggiudicazione di effimera notorietà <br />
mediatica. <br />
Ieri è stato quel che è stato e nessuno ricondurrà mai più i <br />
dati relativi al reddito 2005 dei contribuenti italiani nelle segrete <br />
camere dell'Agenzia delle Entrate né in quelle ‐ invero meno <br />
segrete ‐ dei Comuni ma, domani, è un altro giorno ed è urgente <br />
individuare una soluzione idonea a prevenire prevedibili abusi di <br />
tali dati e, soprattutto, a distinguere l'abuso dall'uso lecito che <br />
degli stessi dati i cittadini hanno il diritto di fare. <br />
La legge (art. 69 D.P.R. 600/1973) riconosce a chiunque il <br />
diritto di accedere ai dati relativi al reddito dei contribuenti <br />
italiani a prescindere da qualsivoglia valutazione circa la <br />
meritevolezza dell'interesse che spinge il singolo all'accesso. <br />
<br />
63 I risultati aggiornati del sondaggio condotto da La Repubblica sono pubblicati a <br />
questa URL: <br />
http://www.repubblica.it/speciale/poll/2008/economia/contionline_risultato.htm<br />
l <br />
174
<br />
La detenzione di tali dati ‐ a condizione, ovviamente, che non se ne <br />
faccia un uso illecito ‐ è, dunque, da ritenersi perfettamente <br />
conforme <strong>alla</strong> disciplina vigente senza che, in senso contrario, <br />
possa valere un criterio quantitativo secondo il quale ritenere <br />
lecita la detenzione di un modesto quantitativo di dati ed illecita la <br />
detenzione della totalità. <br />
Mi riesce difficile qualificare come illecita la raccolta di tali <br />
dati effettuata dai cittadini italiani attraverso il sito dell'Agenzia <br />
delle Entrate e, in ogni caso, mi sembra irragionevole ordinare a <br />
quanti hanno scaricato tali dati di distruggerli e, eventualmente, <br />
andarli a richiedere presso gli uffici della stessa Agenzia o, <br />
piuttosto, presso i Comuni. <br />
Spetterà, in ogni caso, al Garante ‐ in conformità a quanto <br />
disposto dall'art. 17 del Codice Privacy ‐ stabilire eventuali misure <br />
e modalità attraverso le quali i dati acquisiti dall'Agenzia delle <br />
Entrate potranno essere trattati. <br />
In tale prospettiva occorrerebbe, peraltro, tener presente <br />
che la disciplina fiscale sull'accesso ai dati dei contribuenti <br />
andrebbe, a ben vedere, reinterpretata <strong>alla</strong> luce di quanto oggi <br />
previsto nel Codice dell'Amministrazione digitale che, come è noto, <br />
sancisce il diritto dei cittadini di accedere alle informazioni rese <br />
disponibili d<strong>alla</strong> Pubblica Amministrazione attraverso gli <br />
strumenti informatici e telematici. <br />
Non sarebbe, pertanto, peregrina, domani, l'istanza di un <br />
cittadino che dopo aver cancellato i dati scaricati nella mattinata <br />
del 30 aprile dal sito dell'Agenzia delle Entrate, richiedesse a <br />
quest'ultima di trasmetterglieli nuovamente, a mezzo posta <br />
elettronica o altro canale telematico. <br />
Troppo facile, in questo contesto, imputare gravi <br />
responsabilità agli utenti che oggi dispongono di quei dati e <br />
minacciare sanzioni e sequestri. <br />
La questione è un'altra e, quanto accaduto, ci costringe ad <br />
affrontarla: il regime della pubblicità dei dati detenuti d<strong>alla</strong> <br />
pubblica amministrazione nella società dell'Informazione o ‐ per <br />
dirla con le parole di Jeremy Rifkin ‐ nell'Era dell'Accesso non può <br />
più farsi scudo della difficoltà pratica che la burocrazia ed il regime <br />
cartaceo della documentazione amministrativa hanno sin qui <br />
posto sulle spalle di chi a quei dati aveva diritto di accedere. <br />
Il fatto che ieri in pochi si recassero presso l'Agenzia delle <br />
Entrate o presso i competenti comuni a chiedere di conoscere il <br />
reddito di amici e parenti non significa che l'accesso a quei dati <br />
potesse considerarsi ristretto o, addirittura, illecito. <br />
Oggi, pubblico ‐ in assenza di ulteriori restrizioni <br />
determinate ex lege ‐ significa effettivamente accessibile da <br />
chiunque anche via web. <br />
175
<br />
<br />
Redditi online/3: A ben vedere non è così semplice… <br />
5 maggio 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=293 <br />
<br />
Lo riconosco ho semplificato troppo un problema <br />
complesso e pur sforzandomi di rimanere obiettivo mi sono <br />
lasciato trascinare dal vasto movimento di opinione (giuridica e <br />
politica) contrario <strong>alla</strong> scelta operata d<strong>alla</strong> Agenzia delle Entrate. <br />
A ben vedere credo che <strong>alla</strong> questione possa e debba <br />
guardarsi in maniera meno conservatrice e soprattutto, <br />
sforzandosi di prescindere dal contigente. <br />
L'Agenzia delle Entrate nel rispondere al Garante per la <br />
Privacy questo pomeriggio ha, sostanzialmente, individuato il <br />
fondamento della propria decisione nel Codice <br />
dell'Amministrazione digitale che ‐ come, peraltro, ricordavo nel <br />
mio post di ieri ‐ in effetti, prevede che le Pubbliche <br />
Amministrazioni siano tenute a rendere accessibili i "dati pubblici" <br />
attraverso strumenti informatici e telematici. <br />
Continuo a pensare che l'Agenzia delle Entrate abbia <br />
peccato di leggerezza nello stabilire le modalità di pubblicazione <br />
dei redditi dei 38 milioni di contribuenti italiani ‐ come ho scritto <br />
sin dall'inizio e come spiega bene Andrea Monti ‐ ma inizio a <br />
ritenere che l'errore non sia consistito nella scelta dello strumento <br />
telematico e che, anzi, i dati di cui stiamo parlando, oggi, debbano <br />
essere conoscibili attraverso tale strumento benché, <br />
probabilmente, non in maniera "centralizzata" ed a cura <br />
dell'Agenzia ma in maniera decentralizzata ed a cura delle singole <br />
amministrazioni periferiche (uffici delle imposte e comuni) <br />
individuate dall'art. 69 del D.P.R. 600/1973. <br />
A tale conclusione mi conduce l'analisi del quadro <br />
normativo cui è affidata la disciplina della materia <strong>alla</strong> luce delle <br />
importanti novità ‐ sebbene troppo spesso dimenticate ‐ introdotte <br />
nell'ordinamento con il Codice dell'Amministrazione Digitale. <br />
Il punto è esattamente questo: in che misura le <br />
disposizioni di legge introdotte con il CAD hanno inciso sulle <br />
norme previgenti? <br />
L'art. 1 del CAD chiarisce che per "dato pubblico" debba intendersi <br />
quello "conoscibile da chiunque". <br />
La definizione coincide esattamente con quella contenuta <br />
all'art. 69 del D.P.R. 600/1973 con la conseguenza che, allo stato, <br />
non vi è spazio per ritenere che i dati relativi al reddito dei <br />
contribuenti italiani non siano dati pubblici almeno limitatamente <br />
all'intervallo temporale nell'ambito del quale la norma ne consente <br />
la consultabilità, appunto, da parte di chiunque. <br />
176
<br />
Numerose disposizioni del CAD ‐ tra le quali l'art. 50 ‐ <br />
prevedono, inoltre, che le PA debbano ‐ e non semplicemente <br />
possano ‐ porre a disposizione dei cittadini i dati pubblici da esse <br />
detenuti "con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della <br />
comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione" <br />
sebbene "alle condizioni fissate dall'ordinamento, da parte delle <br />
altre pubbliche amministrazioni e dai privati" nonché nei limiti di <br />
"conoscibilità dei dati previsti dalle leggi e dai regolamenti" e dalle <br />
norme in materia di protezione dei dati personali. <br />
L'art. 69 del D.P.R. 600/1973 stabilisce che gli elenchi <br />
contenenti i redditi dei contribuenti italiani siano "depositati per la <br />
durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, <br />
sia presso lo stesso ufficio delle imposte sia presso i comuni <br />
interessati". <br />
Non mi sembra azzardato, francamente, ritenere che la <br />
locuzione "presso", successivamente all'entrata in vigore del CAD <br />
debba essere interpretata come se si riferisse anche ai siti internet <br />
dei citati uffici (imposte e comuni interessati). <br />
Ogni diversa lettura della norma, infatti, finirebbe con il <br />
risultare incompatibile rispetto alle previsioni contenute nel <br />
codice dell'amministrazione digitale con la conseguenza di dover <br />
ritenere la norma tacitamente abrogata ‐ almeno in quella parte ‐ <br />
per effetto di una norma successiva e relativa <strong>alla</strong> stessa materia. <br />
Il problema non riguarda solo l'art. 69 del D.P.R. 600/1973 <br />
relativo ai dati dei redditi dei contribuenti italiani ma, più in <br />
generale, ogni norma che pur sancendo la conoscibilità da parte di <br />
chiunque di un dato in possesso della PA non riconosca poi ai <br />
cittadini il diritto di accedervi attraverso strumenti informatici o <br />
telematici. <br />
Mi sembra che, <strong>alla</strong>rgando l'angolo di visuale si riesca a <br />
guardare al problema in termini squisitamente giuridici ed in <br />
modo scevro dai condizionamenti legati al particolare carattere <br />
dei dati oggetto della vicenda che ha visto protagonista l'Agenzia <br />
delle Entrate. <br />
La conclusione cui si perviene seguendo tale <br />
ragionamento è, dunque, che, forse, l'Agenzia delle Entrate ha, <br />
effettivamente, violato la vigente disciplina sulla privacy per le <br />
modalità prescelte in relazione <strong>alla</strong> pubblicazione dei dati dei <br />
redditi degli italiani (accesso indiscriminato sul proprio sito e <br />
download di interi archivi) ma, quei dati ‐ almeno sin tanto che il <br />
legislatore non ne modificherà il regime di pubblicità ‐ devono, <br />
comunque, essere resi disponibili attraverso internet da parte dei <br />
soggetti ai quali l'Agenzia delle Entrate li ha trasmessi (uffici <br />
territoriali delle imposte e comuni). <br />
177
<br />
Si tratta, a mio avviso, di una conclusione di cui il Garante <br />
per la Privacy dovrà tener conto nell'intervenire sulla questione e <br />
ciò con particolare riferimento <strong>alla</strong> posizione di tutti quegli utenti <br />
che oggi dispongono dei dati a suo tempo scaricati dal sito <br />
dell'Agenzia delle Entrate ed intendono utilizzarli. <br />
Tale utilizzo <strong>alla</strong> luce di quanto ho cercato di riassumere <br />
sin qui, mi sembra, infatti ‐ lo scrivevo già ieri ‐ lecito almeno in <br />
astratto e salvo verificare l'illiceità di talune particolari forme di <br />
utilizzo. <br />
Sarebbe un peccato se preoccupati di difendere la <br />
riservatezza dei nostri redditi ci lasciassimo passare davanti un <br />
treno sul quale viaggia un importante principio di civiltà giuridica <br />
quale quello dell'utilizzabilità degli strumenti telematici ai fini <br />
dell'accesso ai documenti pubblici della PA. <br />
<br />
Quei redditi devono tornare online 64 <br />
8 maggio 2008 <br />
Punto Informatico <br />
<br />
È di poche ore fa il provvedimento con cui il Garante sulla <br />
privacy si è pronunciato in ordine <strong>alla</strong> pubblicazione su Internet <br />
dei dati fiscali dei contribuenti italiani cui ha proceduto il 30 aprile <br />
scorso l'Agenzia delle Entrate 65. <br />
<br />
64 L’articolo è stato scritto con il Collega Carmelo Giurdanella. <br />
65 Il testo del provvedimento reso dal Garante per il trattamento dei dati personali <br />
l’8 maggio 2008: <br />
Redditi on line: illegittima la diffusione dei dati sul sito Internet dell'Agenzia delle <br />
entrate ‐ 6 maggio 2008 <br />
G.U. n. 107 dell'8 maggio 2008 <br />
IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI <br />
NELLA riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del <br />
dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. <br />
Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale; <br />
VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. <br />
196); <br />
VISTA la disciplina che regola la pubblicazione degli elenchi nominativi dei <br />
contribuenti che hanno presentato le dichiarazioni ai fini dell'imposta sui redditi e <br />
dell'imposta sul valore aggiunto; rilevato che su questa base gli elenchi sono <br />
formati annualmente e depositati per un anno, ai fini della consultazione da parte di <br />
chiunque, presso i comuni interessati e gli uffici dell'Agenzia competenti <br />
territorialmente; rilevato che con apposito decreto devono essere stabiliti <br />
annualmente "i termini e le modalità" per la loro formazione (art. 69 d.P.R. 29 <br />
settembre 1973, n. 600, come mod. dall'art. 19 l. 30 dicembre 1991, n. 413; art. 66 <br />
bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633); <br />
VISTO il provvedimento con il quale l'Agenzia delle entrate ha attuato tale <br />
disciplina per il 2005 disponendo che gli elenchi, distribuiti ai predetti uffici <br />
dell'Agenzia e trasmessi ai comuni mediante sistemi telematici, siano altresì <br />
pubblicati nell'apposita sezione del sito Internet dell'Agenzia <br />
178
<br />
<br />
http://www.agenziaentrate.gov.it "ai fini della consultazione" "in relazione agli <br />
uffici dell'Agenzia delle entrate territorialmente competenti" (Provv. Direttore <br />
dell'Agenzia 5 marzo 2008 prot. 197587/2007); <br />
VISTO il provvedimento del 30 aprile 2008 con il quale questa Autorità, appena <br />
avuta notizia di tale diffusione in Internet e avendo ritenuto sulla base di una <br />
verifica preliminare che essa non risultava conforme <strong>alla</strong> normativa di settore, ha <br />
invitato in via d'urgenza l'Agenzia a sospenderla; <br />
RILEVATO che con tale provvedimento il Garante ha anche invitato l'Agenzia a <br />
fornire ulteriori chiarimenti che, sollecitati con nota dell'Autorità del 2 maggio, <br />
sono pervenuti nel termine indicato (nota Agenzia 5 maggio 2008 n. 2008/68657); <br />
esaminate le deduzioni formulate e la documentazione allegata; <br />
RILEVATO dalle segnalazioni pervenute e dagli elementi acquisiti nell'istruttoria <br />
preliminare che la diffusione in Internet a cura direttamente dell'Agenzia, <br />
contrariamente a quanto da questa sostenuto nella predetta nota, contrasta con la <br />
normativa in materia, in quanto: <br />
1) il provvedimento del Direttore dell'Agenzia poteva stabilire solo "i termini e le <br />
modalità" per la formazione degli elenchi. La conoscibilità di questi ultimi è infatti <br />
regolata direttamente da disposizione di legge che prevede, quale unica modalità, la <br />
distribuzione di tali elenchi ai soli uffici territorialmente competenti dell'Agenzia e <br />
la loro trasmissione, anche mediante supporti magnetici ovvero sistemi telematici, <br />
ai soli comuni interessati, in entrambi i casi in relazione ai soli contribuenti <br />
dell'ambito territoriale interessato. Ciò, come sopra osservato, ai fini del loro <br />
deposito per la durata di un anno e della loro consultazione ‐senza che sia prevista <br />
la facoltà di estrarne copia‐ da parte di chiunque (art. 69, commi 4 ss., d.P.R. n. <br />
600/1973 cit.; v. anche art. 66 bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633); <br />
2) il Codice dell'amministrazione digitale, invocato dall'Agenzia a sostegno della <br />
propria scelta, incentiva l'uso delle tecnologie dell'informazione e della <br />
comunicazione nell'utilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia, il <br />
Codice stesso fa espressamente salvi i limiti <strong>alla</strong> conoscibilità dei dati previsti da <br />
leggi e regolamenti (come avviene nel menzionato art. 69), nonché le norme e le <br />
garanzie in tema di protezione dei dati personali (artt. 2, comma 5 e 50 d.lg. 7 <br />
marzo 2005, n. 82); <br />
3) la predetta messa in circolazione in Internet dei dati, oltre a essere di per sé <br />
illegittima perché carente di una base giuridica e disposta senza metterne a <br />
conoscenza il Garante, ha comportato anche una modalità di diffusione <br />
sproporzionata in rapporto alle finalità per le quali l'attuale disciplina prevede una <br />
relativa trasparenza. I dati sono stati resi consultabili non presso ciascun ambito <br />
territoriale interessato, ma liberamente su tutto il territorio nazionale e all'estero. <br />
L'innovatività di tale modalità, emergente dalle stesse deduzioni dell'Agenzia, non <br />
traspariva d<strong>alla</strong> generica informativa resa ai contribuenti nei modelli di <br />
dichiarazione per l'anno 2005. L'Agenzia non ha previsto "filtri" nella consultazione <br />
on‐line e ha reso possibile ai numerosissimi utenti del sito salvare una copia degli <br />
elenchi con funzioni di trasferimento file. La centralizzazione della consultazione a <br />
livello nazionale ha consentito ai medesimi utenti, già nel ristretto numero di ore in <br />
cui la predetta sezione del sito web è risultata consultabile, di accedere a <br />
innumerevoli dati di tutti i contribuenti, di estrarne copia, di formare archivi, <br />
modificare ed elaborare i dati stessi, di creare liste di profilazione e immettere tali <br />
informazioni in ulteriore circolazione in rete, nonché, in alcuni casi, in vendita. Con <br />
ciò ponendo anche a rischio l'esattezza dei dati e precludendo ogni possibilità di <br />
garantire che essi non siano consultabili trascorso l'anno previsto d<strong>alla</strong> menzionata <br />
norma; <br />
4) infine, va rilevato che questa Autorità non è stata consultata preventivamente <br />
dall'Agenzia stessa, come prescritto rispetto ai regolamenti e agli atti <br />
179
<br />
<br />
amministrativi attinenti <strong>alla</strong> protezione dei dati personali (art. 154, comma 4, del <br />
Codice); <br />
CONSIDERATO che, sulla base delle motivazioni suesposte, non risulta lecita la <br />
predetta forma di pubblicazione degli elenchi; <br />
CONSIDERATO pertanto che, a conferma della sospensione già effettuata, va inibita <br />
all'Agenzia la diffusione ulteriore in Internet dei predetti elenchi con le modalità <br />
sopra indicate, nonché la loro diffusione in modo analogo per i periodi di imposta <br />
successivi al 2005 in carenza di un'idonea base normativa e della preventiva <br />
consultazione del Garante (artt. 143, comma 1, lett. c) e 154, comma 1, lett. a), b) e <br />
d), del Codice); <br />
CONSIDERATO che con contestuale altro provvedimento va contestata all'Agenzia <br />
la violazione amministrativa per l'assenza di un'idonea e preventiva informativa ai <br />
contribuenti interessati (artt. 13 e 161 del Codice); <br />
CONSIDERATO che coloro che hanno ottenuto i dati dei contribuenti provenienti, <br />
anche indirettamente, dal menzionato sito Internet, non possono metterli <br />
ulteriormente in circolazione stante la violazione di legge accertata con il presente <br />
provvedimento; considerato che tale ulteriore loro messa in circolazione ‐in <br />
particolare mediante reti telematiche o altri supporti informatici‐ configura un fatto <br />
illecito che, ricorrendo determinate circostanze, può avere anche natura di reato <br />
(artt. 11, commi 1, lett. a) e 2, 13, 23, 24, 161 e 167 del Codice); rilevata pertanto la <br />
necessità di favorire la più ampia pubblicità al presente provvedimento; <br />
CONSIDERATO che restano tuttavia impregiudicate le altre forme di legittimo <br />
accesso agli elenchi consultabili da chiunque presso comuni interessati e uffici <br />
dell'Agenzia competenti territorialmente, ai fini di un loro legittimo utilizzo anche <br />
per finalità giornalistiche; <br />
CONSIDERATO che, qualora il Parlamento e il Governo intendessero porre mano a <br />
una revisione normativa della disciplina sulla conoscibilità degli elenchi dei <br />
contribuenti anche in rapporto all'evoluzione tecnologica, si porrà l'esigenza di <br />
individuare, sentita questa Autorità, opportune soluzioni e misure di protezione per <br />
garantire un giusto equilibrio tra l'esigenza di forme proporzionate di conoscenza <br />
dei dati dei contribuenti e la tutela dei diritti degli interessati; <br />
VISTE le osservazioni dell'Ufficio, formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. <br />
15 del regolamento del Garante n. 1/2000 del 28 giugno 2000; <br />
Relatore il prof. Francesco Pizzetti; <br />
TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE: <br />
1) a conferma della sospensione della pubblicazione degli elenchi nominativi per <br />
l'anno 2005 dei contribuenti che hanno presentato dichiarazioni ai fini dell'imposta <br />
sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. <br />
c) e 154, comma 1, lett. a), b) e d), del Codice, inibisce all'Agenzia di: <br />
a) diffondere ulteriormente in Internet detti elenchi con le modalità che il <br />
presente provvedimento ha stabilito essere in contrasto con la disciplina di settore <br />
attualmente vigente; <br />
b) diffonderli in modo analogo per i periodi di imposta successivi al 2005, in <br />
carenza di idonea base normativa e della preventiva consultazione del Garante; <br />
2) manda all'Ufficio di contestare all'Agenzia, con contestuale provvedimento, la <br />
violazione amministrativa per l'assenza di un'idonea e preventiva informativa ai <br />
contribuenti interessati; <br />
3) dispone che l'Ufficio curi la più ampia pubblicità del presente provvedimento, <br />
anche mediante pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana, al <br />
fine di rendere edotti coloro che hanno ottenuto i dati dei contribuenti provenienti, <br />
anche indirettamente, dal sito Internet dell'Agenzia, della circostanza che essi non <br />
possono continuare a metterli in circolazione stante la suesposta violazione di legge <br />
e che tale ulteriore messa in circolazione configura un fatto illecito che, ricorrendo <br />
determinate circostanze, può avere anche natura di reato. <br />
180
<br />
Le conclusioni cui è pervenuto il Garante sono <br />
sostanzialmente in linea con quanto era nell'aria ormai da giorni: <br />
l'Agenzia delle Entrate ha violato la disciplina vigente in materia di <br />
privacy e riservatezza procedendo <strong>alla</strong> pubblicazione a mezzo <br />
Internet di dati che avrebbe, invece, dovuto limitarsi a trasmettere <br />
ai comuni ed ai propri uffici sul territorio. <br />
Muovendo da tali conclusioni, il Garante ha quindi inibito <br />
all'Agenzia delle Entrate ogni ulteriore diffusione in Internet degli <br />
elenchi contenenti il reddito dei contribuenti relativo al 2005 <br />
nonché ai successivi periodi di imposta e "ammonito" quanti siano <br />
frattanto entrati in possesso di tali elenchi a non porli <br />
ulteriormente in circolazione. <br />
La decisione è condivisibile nelle conclusioni cui attraverso essa si <br />
perviene a proposito della sostanziale illegittimità della condotta <br />
dell'Agenzia delle Entrate ma lascia perplessi circa alcuni passaggi <br />
logici della motivazione e, soprattutto, alcuni principi di più ampio <br />
respiro che, attraverso essa, l'Autorità sembrerebbe voler <br />
affermare. <br />
Secondo il Garante, infatti, l'illegittimità della condotta <br />
dell'Agenzia delle Entrate deriverebbe d<strong>alla</strong> circostanza che il <br />
Codice Privacy autorizzerebbe le pubbliche amministrazioni <strong>alla</strong> <br />
comunicazione e diffusione dei dati solo laddove espressamente <br />
previsto d<strong>alla</strong> legge e l'art. 69 del D.P.R. 600/1973 non <br />
prevederebbe, tra le forme di conoscibilità degli elenchi dei redditi <br />
dei contribuenti, la diffusione online. <br />
L'Agenzia delle Entrate avrebbe, pertanto, dovuto astenersi dal <br />
procedervi. <br />
In tale ragionamento, tuttavia, il Garante omette, a nostro avviso, <br />
di tenere nella debita considerazione quanto previsto dal Codice <br />
dell'amministrazione digitale, quasi che le norme in esso <br />
contenute dovessero ‐ per rango o per volontà del legislatore ‐ <br />
cedere il passo, in ogni caso, a quelle dettate dal Codice Privacy. <br />
Tale posizione non convince in quanto sembra caratterizzata da un <br />
approccio eccessivamente conservatore e privacy‐centrico, se ci si <br />
perdona il neologismo. <br />
1. Tanto per cominciare, sembra utile ricordare che i dati relativi al <br />
reddito dei cittadini italiani sono dati pubblici. <br />
Lo stabilisce senza tema di smentite il combinato disposto degli <br />
artt. 69 del d.p.r. 600/1973 e 1, lett. n) del Codice <br />
dell'Amministrazione Digitale. <br />
La prima delle due citate disposizioni, al sesto comma chiarisce <br />
che gli elenchi dei redditi dei contribuenti "sono depositati per la <br />
durata di un anno, ai fini della consultazione da parte di chiunque, <br />
sia presso lo stesso ufficio delle imposte sia presso i Comuni <br />
181
<br />
interessati" mentre la seconda stabilisce che per "dato pubblico" <br />
deve intendersi "il dato conoscibile da chiunque". <br />
Tale aspetto appare, invero, sottovalutato nel provvedimento del <br />
Garante. <br />
2. È vero che l'Art. 69 del D.P.R. 600/1973 non contempla tra le <br />
modalità attraverso le quali garantire a chiunque l'accesso agli <br />
elenchi dei redditi dei contribuenti la pubblicazione di tali dati su <br />
Internet. Forse, tuttavia, sarebbe stato utile, per il Garante, <br />
interrogarsi sul carattere tassativo o meno delle modalità di <br />
accesso previste da tale disposizione e, soprattutto, sull'eventuale <br />
necessità di considerare integrata detta norma ‐ al pari di ogni <br />
altra di analogo tenore ‐ dalle disposizioni contenute nel codice <br />
dell'Amministrazione digitale. <br />
Quanto al primo aspetto appare utile ricordare che il Tar <br />
Lombardia, in una decisione del 9 gennaio 1981, chiamato a <br />
pronunciarsi sulla legittimità della pubblicazione da parte di un <br />
comune di un opuscolo contenente i redditi dei cittadini residenti <br />
nel proprio territorio ha già avuto occasione di stabilire che "L'art. <br />
69 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, che prevede il deposito degli <br />
elenchi dei contribuenti al fine di consentirne a chiunque la <br />
consultazione, non preclude altre forme di pubblicità idonee a <br />
perseguire lo scopo di pubblica utilità di una corretta informazione <br />
dei cittadini, conformemente ad una delle finalità della riforma del <br />
settore, che si prefiggeva, tra l'altro, una maggiore trasparenza del <br />
rapporto tributario attraverso controlli svolti anche mediante più <br />
ampie forme partecipative". <br />
Certo si tratta solo di una pronuncia di un Giudice amministrativo, <br />
ma non può negarsi che essa sta a significare che una lettura meno <br />
conservatrice della disciplina fiscale in materia di accesso ai <br />
redditi dei contribuenti è possibile. L'aspetto, a nostro avviso, più <br />
rilevante è, tuttavia, il secondo ovvero l'impatto che le disposizioni <br />
del codice dell'amministrazione digitale hanno avuto sulla <br />
disciplina previdente. <br />
L'art. 2 del CAD stabilisce che "Lo Stato, le Regioni e le autonomie <br />
locali assicurano la disponibilità, la gestione, l'accesso, la <br />
trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell'informazione in <br />
modalità digitale e si organizzano ed agiscono a tale fine <br />
utilizzando con le modalità più appropriate le tecnologie <br />
dell'informazione e della comunicazione" ed il successivo art. 12, <br />
c.5, prevede che "Le pubbliche amministrazioni utilizzano le <br />
tecnologie dell'informazione e della comunicazione, garantendo, <br />
nel rispetto delle vigenti normative, l'accesso <strong>alla</strong> consultazione, la <br />
circolazione e lo scambio di dati e informazioni, nonché <br />
l'interoperabilità dei sistemi e l'integrazione dei processi di <br />
servizio fra le diverse amministrazioni". <br />
182
<br />
Si tratta di disposizioni di legge successive all'art. 69 del D.P.R. <br />
600/1973 così come modificato d<strong>alla</strong> legge 30 dicembre, 1991, n. <br />
413 e di pari rango, con la conseguenza che esse vanno ad <br />
integrare ogni disposizione previgente. <br />
Difficile, in tale contesto normativo, non nutrire almeno il sospetto <br />
che la disposizione contenuta nel sesto comma dell'art.69 del <br />
D.P.R. 600/1973, secondo cui gli elenchi dei dati vanno depositati <br />
presso i Comuni interessati, debba intendersi riferita anche ai siti <br />
internet di tali Comuni. <br />
3.La conclusione cui si perviene seguendo tale ragionamento è che, <br />
allo stato, non sembra possibile considerare tout court illegittima <br />
la pubblicazione online degli elenchi dei redditi dei contribuenti <br />
italiani che, anzi, appare ‐ almeno laddove operata dai singoli <br />
Comuni e dagli uffici territoriali dell'Agenzia delle Entrate ‐ un atto <br />
dovuto al quale la pubblica amministrazione non può sottrarsi. <br />
Si potrà ‐ ed anzi si dovrà, come opportunamente ricorda il <br />
Garante ‐ semmai discutere delle modalità più idonee per evitare <br />
eventuali trattamenti di tali dati eccedenti i limiti di conoscibilità <br />
fissati dall'art. 69 del D.P.R. 600/1973 (pubblicazione dei dati <br />
tramite formati elettronici non manipolabili, esclusione delle <br />
funzioni di stampa e di salvataggio su PC, necessità di <br />
identificazione del cittadino italiano tramite codice fiscale o carta <br />
d'identità elettronica) ma non si può obiettare nulla circa <br />
l'esistenza di un diritto <strong>alla</strong> conoscibilità di tali dati e men che mai, <br />
nell'era della comunicazione digitale, all'utilizzo di Internet quale <br />
canale privilegiato di diffusione delle comunicazioni e di dati <br />
pubblici, ferma restando, semmai, solo la sanzionabilità di un uso <br />
illecito degli stessi. <br />
Nel plaudire, dunque, al Garante per la tempestività dell'intervento <br />
e per aver, una volta di più, ricordato la centralità del diritto <strong>alla</strong> <br />
privacy nel nostro Ordinamento, non ci si può sottrarre dal <br />
manifestare preoccupazione per il rischio che i principi generali <br />
sanciti nel provvedimento di questa mattina finiscano ‐ <br />
unitamente all'iniziativa azzardata e caratterizzata da inscusabile <br />
leggerezza dell'Agenzia delle Entrate ‐ con lo svuotare di <br />
significato le norme attraverso le quali il Codice <br />
dell'Amministrazione Digitale ha inteso, finalmente, riconoscere ai <br />
cittadini il pieno ed effettivo diritto all'accesso dei dati pubblici <br />
detenuti d<strong>alla</strong> Pubblica amministrazione. <br />
Il CAD non interviene sul regime di pubblicità dei dati della PA ma, <br />
più semplicemente, impone a quest'ultima di utilizzare anche le <br />
nuove tecnologie per consentire ai cittadini di accedere a dati già <br />
dichiarati pubblici d<strong>alla</strong> disciplina vigente. <br />
L'auspicio ‐ espresso in termini non provocatori ma reali ‐ è che <br />
"passata la bufera" il Garante detti, a tutti i Comuni ed agli uffici <br />
183
<br />
dell'Agenzia delle Entrate sul territorio, regole e direttive per <br />
rendere accessibili online gli elenchi della discordia nel rispetto, <br />
ovviamente, della privacy. <br />
Non servono, infatti, nuove norme ma solo una puntuale e <br />
prudente applicazione di quelle vigenti. <br />
<br />
La (in)certezza del diritto (<strong>alla</strong> privacy). <br />
25 maggio 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=303 <br />
<br />
Il Ministro Brunetta ha lanciato l'operazione trasparenza <br />
pubblicando i redditi e le percentuali di assenteismo dei <br />
dipendenti del proprio ministero 66. <br />
Ideologicamente lo condivido ma…giuridicamente sono smarrito. <br />
Nelle scorse settimane mi sono ritrovato in minoranza a <br />
sostenere che i dati pubblici relativi al reddito dei cittadini italiani <br />
dovevano tornare on‐line sebbene con modalità diverse da quelle <br />
prescelte dall'Agenzia delle Entrate. <br />
Il Garante è stato durissimo contro l'Agenzia delle Entrate <br />
e velocissimo nell'accertare l'illegittimità di quanto avvenuto 67. <br />
Le procure della Repubblica di mezza Italia mi sembrano <br />
intenzionate ad usare il pugno di ferro contro quanti continuano <br />
ad utilizzare quei DATI PUBBLICI dopo averli acquisiti in modo <br />
(solo) FORMALMENTE difforme da quanto previsto d<strong>alla</strong> <br />
disciplina vigente. <br />
La legge va rispettata anche quando è scritta male e peggio <br />
ancora coordinata con altre disposizioni contenute, ad esempio, <br />
nel Codice dell'Amministrazione digitale. <br />
Lo capisco e, sebbene a fatica, lo accetto. <br />
Con qualche amico sto presentando un'istanza di accesso <br />
per via telematica ai dati relativi ai redditi di tutti i residenti ad un <br />
paio di comuni italiani sulla base della disciplina contenuta nel <br />
CAD. Stiamo a vedere cosa ci risponderanno… <br />
Leggo ora su Repubblica.it che la decisione del Ministro <br />
Brunetta sarebbe stata assunta nel rispetto della disciplina sulla <br />
Privacy! <br />
Mi sono perso qualcosa? <br />
Mi auguro che ciò significhi che il Ministro Brunetta abbia <br />
chiesto a tutti i propri dirigenti il consenso a procedere in tal <br />
senso, prestando loro adeguata informativa anche in relazione alle <br />
<br />
66 A questa URL sono disponibili i dati dei redditi dei dirigenti del Ministero della <br />
Funzione pubblica: <br />
http://www.innovazionepa.it/ministro/trasparenza/retribuzioni.htm <br />
67 Cfr. nota n. 65 <br />
184
<br />
modalità di diffusione dei dati: un PDF scaricabile da chiunque mi <br />
sembra, francamente, eccessivo! <br />
Permarrebbe, peraltro, qualche problemino sulla libertà di <br />
un consenso richiesto da un Ministro ad un proprio dirigente Wink <br />
e sulla diffusione ‐ inevitabile ‐ di quei dati anche all'estero, <br />
circostanza che, nel noto caso dell'Agenzia delle Entrate, tanto <br />
aveva fatto agitare il Garante! <br />
Spero che questi consensi siano stati richiesti e, mi <br />
piacerebbe, che il Garante lo chiarisse in un proprio comunicato <br />
stampa perché, in assenza, quanto sta accadendo sarebbe <br />
difficilmente comprensibile. <br />
La Legge non credo dica che i dati sui redditi di un <br />
dirigente del Ministero della Funzione Pubblica sono più pubblici <br />
di quelli di tanti altri dirigenti (e non) italiani. <br />
In assenza del consenso degli interessati, parlerei di <br />
grande (IN)CERTEZZA del diritto e non credo di dover essere io a <br />
ricordare quali sono le conseguenze che si producono allorquando <br />
non vi è più certezza circa le conseguenze giuridiche di un'azione o <br />
omissione. <br />
<br />
La (IN)certezza del diritto/ UPDATE <br />
27 maggio 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=304 <br />
<br />
In un post di qualche ora fa sul Blog di Anna Masera de La <br />
Stampa leggo alcuni "virgolettati" del Ministro Brunetta che mi <br />
lasciano perplesso. <br />
Dice Brunetta "L’operazione….«è ’in progress’, e forse qualche f<strong>alla</strong> <br />
è possibile, ma abbiamo voluto farla subito". <br />
Ho già scritto altre volte che l'agire della PA ‐ specie ad <br />
alto livello ‐ non può essere ispirato al principio del work in <br />
progress e che la PA non può accettare neppure a livello di "dolo <br />
eventuale" che in decisioni tanto importanti vi siano delle "falle". <br />
Aspettare un paio di settimane e verificare il quadro <br />
giuridico di riferimento non credo avrebbe danneggiato l'efficacia <br />
dell'Operazione Trasparenza che l'Italia attende da decenni! <br />
Il Ministro, poi prosegue ricordando che l'operazione è <br />
stata realizzata "sulla base delle leggi vigenti e dopo un confronto <br />
con il Garante della privacy, anche per evitare equivoci come in <br />
tempi recenti per ministeri più pesanti» . <br />
Un paio di annotazioni. <br />
Ho già espresso qualche perplessità sul fatto che la <br />
disciplina vigente legittimi i singoli Ministeri ‐ nella loro qualità di <br />
datori di lavoro dei dirigenti pubblici ‐ a diffondere via internet ed <br />
185
<br />
in formato pdf i dati dei redditi. Forse, a tutto voler concedere, la <br />
legge riconoscere tale funzione all'Agenzia delle Entrate…Wink <br />
Quanto al "confronto con il Garante"…considerato che <br />
stiamo parlando dell'OPERAZIONE TRASPARENZA sarebbe <br />
interessante conoscere il parere del Garante e le sue motivazioni <br />
nelle quali, immagino, si spiegano le differenze tra questa vicenda <br />
e quella relativa all'OPERAZIONE TRASPARENZA lanciata qualche <br />
settimana fa dall'Agenzia delle Entrate. <br />
Ma il Ministro è prodigo di spiegazioni ed aggiunge: "i dati <br />
personali «sono stati autorizzati spontaneamente da ogni <br />
dirigente. C’è stato solo qualche piccolo nervosismo, che si è poi <br />
risolto con totale condivisione". <br />
Scrivevo ieri che ho qualche perplessità anche sulla libertà <br />
di un consenso espresso da un dirigente ‐ credo, peraltro, con <br />
contratti in scadenza ‐ nelle mani del Suo Ministro. <br />
Le parole del Ministro mi sembrano confermare queste <br />
mie perplessità attraverso il riferimento ai "piccoli <br />
nervosismi…poi risolti con totale condivisione". <br />
Lascio a voi la traduzione dal linguaggio ISTITUZIONALE a quello <br />
GIURIDICO delle parole del Ministro.Wink <br />
Immagino, ovviamente, che il Ministero abbia fornito ai <br />
propri dirigenti una puntuale informativa relativa anche alle <br />
modalità di diffusione dei dati… <br />
Per evitare fraintendimenti ci tengo a ribadire che la <br />
trasparenza è un valore in cui credo ma, allo stesso tempo, non <br />
posso accettare che l'espressione trasparenza ‐ in un'accezione, <br />
peraltro, ancora solo promozionale (non mi si venga a dire che la <br />
pubblicazione di quei numeri aggiunge qualcosa alle possibilità di <br />
controllo di un cittadino sull'agire della PA) ‐ sia usata come un <br />
grimaldello per scardinare regole e principi. <br />
<br />
Redditi online, spazio all'Operazione Chiarezza 68 <br />
6 giugno 2008 <br />
Punto Informatico <br />
<br />
Nei giorni scorsi si è fatto un gran parlare dell’Operazione <br />
Trasparenza lanciata dal Ministro Brunetta anche se nessuno ne <br />
conosce con esattezza i termini in mancanza della pubblicazione <br />
del provvedimento con il quale la stessa è stata disposta. <br />
Da quanto è dato comprendere dalle dichiarazioni rese dal <br />
Ministro nella conferenza stampa del 24 maggio, tuttavia, <br />
l’Operazione dovrebbe consistere nella pubblicazione sul sito <br />
<br />
68 L’articolo è stato scritto con il collega Ernesto Belisario <br />
186
<br />
internet del Ministero per la Pubblica Amministrazione e <br />
l’Innovazione dei dati del personale, organigrammi, numero dei <br />
dirigenti, retribuzioni lorde, telefono, email e curriculum vitae dei <br />
dirigenti nonché dei tassi di assenza per ufficio. <br />
Con una lettera dello scorso 30 maggio, inoltre, il Ministro <br />
Brunetta ha invitato i suoi colleghi di Governo a seguire l’esempio. <br />
L’idea è buona ma le modalità con cui è stata attuata <br />
lasciano perplessi soprattutto perché l’iniziativa cade a poche <br />
settimane di distanza dal gran baccano sollevato d<strong>alla</strong> <br />
pubblicazione on‐line dei redditi dei contribuenti italiani e d<strong>alla</strong> <br />
decisione con la quale il Garante per la Privacy ha accertato <br />
l’illegittimità del provvedimento con il quale il Direttore Generale <br />
dell’Agenzia aveva disposto la pubblicazione degli elenchi. <br />
In quell’occasione si disse che il fatto che i dati dei redditi <br />
dei contribuenti italiani fossero pubblici non ne legittimava, <br />
comunque, la pubblicazione on‐line. <br />
Oggi, il Ministro Brunetta, nel lanciare la sua “Operazione <br />
Trasparenza” dichiara di agire nel rispetto della disciplina vigente <br />
e delle indicazioni del Garante per la protezione dei dati personali. <br />
Difficile contraddirlo in assenza di un provvedimento che <br />
chiarisca quali dati esattamente formeranno oggetto di <br />
pubblicazione e con quali modalità e, soprattutto, in mancanza di <br />
una richiesta di parere formale al Garante che, sin qui, sembra <br />
essersi limitato ad “annuire tacitamente con il capo”. <br />
Proviamo a vederci chiaro lanciando – ci sia consentito un <br />
gioco di parole – “un’Operazione Chiarezza”. <br />
La disciplina sulla privacy stabilisce – lo ha ricordato il <br />
Garante nel citato provvedimento nel Caso redditi on‐line –che le <br />
pubbliche amministrazioni possano procedere <strong>alla</strong> comunicazione <br />
e diffusione di dati personali solo ed esclusivamente quando <br />
previsto da una norma di legge e con le modalità e nei termini da <br />
essa dettati. <br />
In tale contesto è evidente che in assenza di un’adeguata <br />
copertura normativa l’iniziativa del Ministro Brunetta – per <br />
quanto giusta e meritevole di approvazione – non potrebbe aver <br />
seguito ponendosi, altrimenti, in contrasto con la vigente disciplina <br />
in materia di Privacy ed imponendo al Garante – così come <br />
accaduto nel Caso Redditi on‐line – di intervenire per porvi fine. <br />
Vediamo, dunque, cosa dice la legge. <br />
L’art. 54 del Codice dell'Amministrazione Digitale (D. Lgs. <br />
n. 82/2005) obbliga – e non già semplicemente permette le <br />
Pubbliche Amministrazioni a pubblicare sul proprio sito internet <br />
“l'organigramma, l'articolazione degli uffici, le attribuzioni e <br />
l'organizzazione di ciascun ufficio” ma anche “i nomi dei dirigenti <br />
responsabili dei singoli uffici” e “l’elenco <strong>completo</strong> delle caselle di <br />
187
<br />
posta elettronica istituzionali attive, specificando anche se si tratta <br />
di una casella di posta elettronica certificata”. <br />
Nessun dubbio, quindi, sul fatto che la pubblicazione di tali <br />
dati, cui il Ministro Brunetta ha annunciato di voler procedere <br />
nell’ambito dell’Operazione Trasparenza sia lecita. <br />
Occorre, tuttavia, chiarire – nell’ambito della nostra <br />
piccola Operazione Chiarezza – che, in questo caso, non si tratta di <br />
scelte politiche discrezionali ma, più semplicemente, di necessaria <br />
applicazione di prescrizioni di legge vigenti. <br />
Tanto per intenderci non pubblicare questi dati sul sito di <br />
ogni Ministero (e, più in generale, di ogni altra PA) costituirebbe <br />
un’aperta violazione del Codice dell’Amministrazione Digitale che, <br />
per quanto dimenticata, è una legge – peraltro ormai <br />
anagraficamente matura – di questo Paese. <br />
In questo senso è difficile comprendere – da un punto di vista <br />
giuridico s’intende – il senso dell’invito rivolto dal Ministro <br />
Brunetta ai suoi colleghi di Governo affinché seguano il suo <br />
esempio e pubblichino tali dati on‐line. <br />
L’invito è fuori posto. Al riguardo, al massimo, si sarebbe <br />
potuto comprendere un richiamo al rispetto della normativa <br />
vigente. Non bisogna più convincere nessuno sui benefici che <br />
cittadini e PA ricaverebbero dall’attuazione del CAD e non è più <br />
tempo di discorsi autoreferenziali. <br />
Le norme ci sono ormai: bisogna soltanto farle applicare e, <br />
se non danno buona prova di sé, modificarle. <br />
Discorso diverso merita, invece, la questione della <br />
pubblicazione delle retribuzioni (lorde) dei dirigenti del Ministero <br />
della Pubblica Amministrazione e Innovazione e, nella misura in <br />
cui gli altri Ministri raccoglieranno l’invito del collega Brunetta, <br />
quelli dei dirigenti di tutti gli altri Ministeri e delle relative <br />
strutture collegate. <br />
Al riguardo l’art. 1, comma 593, della Legge Finanziaria <br />
2007 (Legge n. 296/2006) dispone la necessaria e preventiva <br />
pubblicazione via web della retribuzione dei dirigenti delle <br />
pubbliche amministrazioni il cui incarico sia stato conferito ai <br />
sensi dell'art. 19, comma 6, D. Lgs. n. 165/2001 nonché dei <br />
consulenti, dei membri di commissioni e di collegi e dei titolari di <br />
qualsivoglia incarico corrisposto dallo Stato, da enti pubblici o da <br />
società a prevalente partecipazione pubblica non quotate in borsa. <br />
Ancora una volta la legge non permette la pubblicazione <br />
on‐line delle retribuzioni dei soggetti individuati nella norma ma <br />
la impone e, ancora una volta, pertanto, l’Operazione Trasparenza <br />
– ammesso che tutti i dirigenti di cui si discute siano stati nominati <br />
ai sensi del richiamato comma 6, art. 19, D. Lgs. n. 165/2001 – <br />
188
<br />
costituirebbe semplicemente un’Operazione di applicazione della <br />
disciplina vigente. <br />
Se, invece, uno o più dei dirigenti cui si riferiscono i redditi <br />
già pubblicati o quelli che verranno pubblicati nelle prossime <br />
settimane non fosse stato nominato <strong>alla</strong> stregua della richiamata <br />
disposizione, mancherebbe una norma di copertura per l’iniziativa <br />
del Ministro Brunetta che, di conseguenza, dovrebbe astenersi dal <br />
provvedervi in assenza di esplicito e libero consenso da parte di <br />
tutti i dirigenti rilasciato dopo prestazione di adeguata informativa <br />
sui termini e le modalità di pubblicazione dei propri redditi. <br />
Il Ministro Brunetta, in effetti, nella sua conferenza stampa <br />
ha dichiarato – quasi a mettere le mani avanti – di aver agito con il <br />
consenso dei suoi dirigenti, consenso acquisito dopo qualche <br />
iniziale “resistenza”. <br />
Il consenso prestato da un dirigente nelle mani del suo <br />
Ministro, tuttavia, fa sorgere qualche perplessità sotto il profilo <br />
della sua effettiva “libertà”. <br />
L’Operazione Trasparenza, a regime, dovrebbe vedere la <br />
pubblicazione anche dei curricula dei dirigenti e dei dati relativi al <br />
raggiungimento degli obiettivi; anche in questo caso l’unica strada <br />
praticabile e legittima dal punto di vista giuridico è quella che <br />
prevede che l’Amministrazione richieda agli interessati il <br />
necessario consenso, così come prescritto dal Codice Privacy. <br />
A voler seguire la strada indicata dal Ministro Brunetta, <br />
quindi, appare opportuno dettare regole nuove che chiariscano i <br />
rapporti tra il regime di pubblicità e conoscibilità dei dati e la <br />
disciplina sulla privacy. <br />
In mancanza è prevedibile che le iniziative avviate da <br />
politici e dirigenti illuminati saranno destinate a fallire perchè <br />
bloccate dalle difficoltà nell’acquisizione di tutti i consensi <br />
necessari e dal contenzioso che potrebbe derivarne. <br />
Frattanto spetta al Garante per la protezione dei dati <br />
personali verificare che tutto, nell’ambito dell’Operazione <br />
Trasparenza si stia svolgendo effettivamente nel rispetto della <br />
disciplina vigente e ciò a tutela della certezza del diritto che non <br />
può e non deve essere posta nel dubbio attraverso l’assunzione di <br />
posizioni o orientamenti ondivaghi e difficilmente giustificabili in <br />
assenza di motivazioni puntuali, rigorose e, soprattutto, <br />
trasparenti. <br />
Se la regola dettata dal Codice Privacy è – come il Garante <br />
ha insegnato nel Caso Redditi on‐line – che la Pubblica <br />
Amministrazione può comunicare o diffondere dati personali solo <br />
in presenza di una norma di legge che a ciò la autorizzi e con le <br />
modalità previste da detta norma, l’Autorità non può oggi lasciare <br />
che in assenza di adeguata copertura normativa – nel solo nome di <br />
189
un generico obiettivo trasparenza – i redditi di migliaia di dirigenti <br />
pubblici finiscano on‐line in file pdf destinati ad appartenere per <br />
sempre <strong>alla</strong> <strong>Rete</strong> globale. <br />
Non si tratta di chiedersi se è giusto o ingiusto o, piuttosto, <br />
di interrogarsi sull’opportunità politica del gesto ma, <br />
semplicemente, di chiarire, una volta di più, che le regole sono <br />
regole e che vanno rispettate in ogni contesto e stagione politica. <br />
Ci sia consentita un’ultima annotazione: la pubblicazione <br />
delle retribuzioni lorde dei dirigenti dei ministeri italiani riveste <br />
ben poca utilità e rischia anzi di risultare fuorviante in assenza <br />
della pubblicazione di adeguati indici di misurazione del <br />
complesso dei fringe benefits di cui ciascuno di tali soggetti può <br />
effettivamente disporre (auto, telefonini, pc, connessione ad <br />
internet ecc..). <br />
Operazione Chiarezza appunto. <br />
<br />
Privacy e social network <br />
25 ottobre 2008 <br />
http://www.guidoscorza.it/?p=368 <br />
<br />
La privacy degli utenti di Facebook e MySpace e più in <br />
generale delle decine di piattaforme di Social Network forma <br />
oggetto di una delle risoluzione adottate nell'ambito della 30° <br />
conferenza mondiale dei Garanti per la protezione dei dati <br />
personali e la riservatezza svoltasi dal 15 al 17 ottobre a <br />
Strasburgo. <br />
I 70 garanti nella Risoluzione richiamano l'attenzione di <br />
utenti, social network providers e governi sui rischi connessi alle <br />
dinamiche di circolazione dei dati personali nell'ambito delle <br />
piattaforme di social network 69. <br />
<br />
<br />
69 Il testo integrale della risoluzione: Risoluzione sulla tutela della privacy nei <br />
servizi di social network (*) <br />
Autorità proponente: Autorità per la protezione dei dati e l'accesso alle <br />
informazioni dello Stato di Berlino – Germania <br />
Co‐sponsor: <br />
Commission nationale de l'informatique et des libertés (CNIL) – Francia <br />
Autorità federale per la protezione dei dati e l'accesso alle informazioni – <br />
Germania <br />
Garante per la protezione dei dati personali – Italia <br />
Autorità per la privacy – Nuova Zelanda <br />
Autorità federale per la protezione dei dati e le informazioni – Svizzera <br />
Risoluzione <br />
I servizi di social network (1) sono divenuti estremamente popolari negli ultimi <br />
anni. Fra l'altro, si tratta di servizi che offrono agli abbonati la possibilità di <br />
interagire attraverso profili personali generati autonomamente, il che favorisce la <br />
comunicazione di dati personali relativi agli abbonati, ma anche a soggetti terzi, in <br />
una misura che non ha precedenti. I servizi di social network offrono una gamma <br />
190
<br />
<br />
del tutto nuova di opportunità comunicative e di interazione in tempo reale <br />
attraverso ogni possibile tipologia di informazioni, ma l'utilizzo di questi servizi <br />
può comportare rischi per la privacy sia degli utenti sia di terzi. I dati personali <br />
divengono infatti disponibili pubblicamente e in modo globale, secondo schemi <br />
qualitativi e quantitativi che non hanno precedenti, anche attraverso enormi <br />
quantità di foto e video digitali. <br />
C'è il rischio di perdere il controllo dell'utilizzo dei propri dati una volta pubblicati <br />
in rete. Il fatto che si tratti di servizi operanti attraverso una "comunità" di utenti <br />
può far pensare che la situazione non sia molto diversa dal condividere <br />
informazioni con un gruppo di amici nel mondo reale; in realtà, le informazioni <br />
contenute nel proprio profilo possono raggiungere l'intera comunità degli abbonati <br />
al servizio – talora in numero di diversi milioni. <br />
Attualmente non vi sono che scarse tutele rispetto <strong>alla</strong> riproduzione dei dati <br />
personali contenuti nei profili‐utente; possono essere copiati da altri membri della <br />
rete, o da terzi non autorizzati esterni <strong>alla</strong> rete, e quindi venire utilizzati per <br />
costruire profili personali oppure essere ripubblicati altrove. Talora risulta assai <br />
difficile, o addirittura impossibile, ottenere la totale cancellazione dei propri dati da <br />
Internet una volta che essi siano stati pubblicati. Anche dopo la cancellazione dal <br />
sito originario (ad esempio, un servizio di social network), possono esisterne copie <br />
in mano a soggetti terzi o ai fornitori del servizio di social network. Inoltre, i dati <br />
personali contenuti nei profili possono "filtrare" d<strong>alla</strong> rete se sono indicizzati da un <br />
motore di ricerca, mentre alcuni fornitori di questi servizi consentono a terzi di <br />
accedere ai dati relativi agli utenti attraverso API (interfacce di programmazione <br />
applicazioni), cosicché tali soggetti terzi sono liberi di disporre dei dati in <br />
questione. <br />
Fra gli esempi di utilizzo ulteriore dei dati, possiamo citare la prassi invalsa presso <br />
molti uffici del personale di varie aziende di ricercare i profili‐utente relativi a <br />
candidati all'assunzione o singoli dipendenti. Secondo quanto riferito d<strong>alla</strong> stampa, <br />
un terzo dei responsabili delle risorse umane ammette di utilizzare informazioni <br />
tratte da servizi di social network, ad esempio per verificare o completare le <br />
informazioni fornite dai candidati all'assunzione. <br />
Le informazioni contenute nei profili‐utente e i dati di traffico sono utilizzati anche <br />
dai fornitori di servizi di social network per l'invio di messaggi mirati di marketing <br />
ai rispettivi utenti. <br />
E' molto probabile che in futuro si manifestino altre modalità di utilizzo dei dati <br />
contenuti nei profili‐utente. <br />
Fra gli altri rischi specifici per la privacy e la sicurezza già oggi individuati, <br />
possiamo ricordare l'incremento del rischio di furti di identità favorito d<strong>alla</strong> diffusa <br />
disponibilità dei dati personali contenuti nei profili‐utente e d<strong>alla</strong> "cattura" di tali <br />
profili ad opera di terzi non autorizzati. La 30ma Conferenza Internazionale delle <br />
autorità per la protezione dei dati e della privacy ricorda che tali rischi hanno già <br />
formato oggetto di analisi nel documento "Relazione e Linee‐Guida sulla Privacy nei <br />
Servizi di Social Network ("Memorandum di Roma")" adottato durante la 43ma <br />
riunione dell'International Working Group on Data Protection in <br />
Telecommunications (3‐4 marzo 2008), nonché nel Position Paper n. 1 dell'ENISA <br />
dedicato a "Security Issues and Recommendations for Online Social Networks" <br />
(ottobre 2007). <br />
Le Autorità per la protezione dei dati e della privacy riunitesi in occasione della <br />
Conferenza Internazionale sono convinte, in primo luogo, della necessità di <br />
condurre un'approfondita campagna informativa che investa tutti i soggetti <br />
pubblici e privati: dalle autorità di governo alle istituzioni scolastiche, dai fornitori <br />
di servizi di social network alle associazioni di utenti e consumatori, nonché le <br />
stesse autorità, al fine di prevenire i molteplici rischi associati all'utilizzo dei servizi <br />
di social network. <br />
191
<br />
<br />
Raccomandazioni <br />
Tenuto conto della particolare natura dei servizi in oggetto, e dei rischi per la <br />
privacy delle persone nel breve e nel lungo periodo, la Conferenza sottopone le <br />
seguenti raccomandazioni agli utenti ed ai fornitori di servizi di social network: <br />
Utenti dei servizi di social network <br />
I soggetti interessati al benessere degli utenti dei servizi di social network, ivi <br />
compresi i fornitori di tali servizi, i governi, e le autorità per la protezione dei dati, <br />
dovrebbero contribuire ad educare gli utenti <strong>alla</strong> tutela dei dati personali che li <br />
riguardano, trasmettendo i messaggi di seguito indicati: <br />
1. Pubblicazione delle informazioni <br />
Gli utenti di servizi di social network dovrebbero valutare con attenzione se e in <br />
quale misura pubblicare dati personali in un profilo creato su tali servizi. Occorre <br />
tenere presente che le informazioni o le immagini pubblicate potrebbero <br />
riemergere in tempi successivi – ad esempio, in occasione della presentazione di <br />
una domanda d'impiego. Soprattutto, i minori dovrebbero evitare di fornire <br />
l'indirizzo o il numero telefonico di casa. <br />
Sarebbe opportuno valutare se utilizzare nel profilo uno pseudonimo anziché il <br />
nome reale. Tuttavia, gli utenti devono ricordare che la tutela offerta dall'utilizzo di <br />
pseudonimi è piuttosto limitata, in quanto altri potrebbero individuare chi vi si cela <br />
dietro. <br />
2. La privacy degli altri <br />
Gli utenti devono rispettare la privacy altrui. Occorre particolare attenzione se si <br />
pubblicano dati personali relativi a soggetti terzi (comprese foto con o senza <br />
didascalie o etichette) senza il consenso di tali soggetti. <br />
Fornitori dei servizi di social network <br />
I fornitori dei servizi di social network sono tenuti ad operare nell'interesse delle <br />
persone che utilizzano i loro servizi. Oltre a rispettare la normativa in materia di <br />
protezione dei dati, dovrebbero mettere in pratica anche le raccomandazioni di <br />
seguito indicate: <br />
1. Norme e standard in materia di privacy <br />
I fornitori devono rispettare gli standard in materia di privacy vigenti nei Paesi ove <br />
operano. A tale scopo, dovrebbero consultarsi, se necessario, con le autorità per la <br />
protezione dei dati. <br />
2. Informazioni relative agli utenti <br />
I fornitori dei servizi di social network devono informare gli utenti in merito al <br />
trattamento dei dati personali che li riguardano, secondo modalità trasparenti e <br />
corrette. Inoltre, devono fornire informazioni veritiere e comprensibili sulle <br />
conseguenze derivanti d<strong>alla</strong> pubblicazione di dati personali in un profilo, nonché <br />
sugli altri rischi in materia di sicurezza e sulla possibilità che soggetti terzi <br />
(comprese, ad esempio, le forze dell'ordine) accedano legalmente a tali dati. <br />
L'informativa deve indicare anche le modalità per una corretta gestione dei dati <br />
personali relativi a terzi che siano contenuti nei singoli profili‐utente. <br />
3. Controllo da parte degli utenti sui dati che li riguardano <br />
E' necessario che i fornitori potenzino ulteriormente la capacità degli utenti di <br />
decidere l'utilizzo dei dati contenuti nei rispettivi profili per quanto riguarda i <br />
membri della comunità. Devono consentire agli utenti di limitare la visibilità <br />
dell'intero profilo, nonché di singoli dati contenuti nel profilo o ottenuti attraverso <br />
funzioni di ricerca messe a disposizione della comunità. <br />
Inoltre, i fornitori devono consentire agli utenti di decidere sugli utilizzi ulteriori <br />
dei dati di traffico e dei dati contenuti nei rispettivi profili – ad esempio, per quanto <br />
riguarda attività di marketing. Come minimo, devono offrire la possibilità di negare <br />
il consenso (opt‐out) rispetto all'utilizzo dei dati non sensibili contenuti nel profilo, <br />
e prevedere un consenso previo (opt‐in) rispetto all'utilizzo di dati di natura <br />
192
<br />
La risoluzione richiama, sostanzialmente,il contenuto del <br />
memorandum già approvato a Roma nell'ambito della 43° riunione <br />
del Gruppo di lavoro sulla protezione dei dati nelle <br />
telecomunicazioni nel marzo di quest'anno 70. <br />
Trovo giusto ed opportuno che i garanti richiamino <br />
l'attenzione degli attori del social networking sui rischi connessi a <br />
<br />
sensibile contenuti nel profilo (ad esempio, dati relativi ad opinioni politiche o <br />
all'orientamento sessuale) nonché rispetto ai dati di traffico. <br />
4. Impostazioni di default orientate <strong>alla</strong> privacy <br />
Inoltre, i fornitori devono prevedere impostazioni di default orientate a favorire la <br />
privacy degli utenti per quanto riguarda le informazioni contenute nei singoli <br />
profili. Le impostazioni di default sono essenziali ai fini della tutela della privacy; è <br />
noto come solo una minoranza degli utenti che aderiscono ad un determinato <br />
servizio si preoccupi di modificare tali impostazioni. Le impostazioni in oggetto <br />
devono essere particolarmente restrittive se il servizio di social network è <br />
destinato o rivolto a minori. <br />
5. Sicurezza <br />
I fornitori devono continuare a potenziare e garantire la sicurezza dei sistemi <br />
informativi, impedendo accessi abusivi ai profili‐utente, utilizzando standard <br />
riconosciuti per quanto concerne la programmazione, lo sviluppo e la gestione delle <br />
rispettive applicazioni, e ricorrendo a verifiche e certificazioni indipendenti. <br />
6. Diritti di accesso <br />
I fornitori devono riconoscere alle persone (siano esse membri del servizio o meno) <br />
il diritto di accedere e, se necessario, apportare modifiche a tutti i dati personali <br />
detenuti dai fornitori stessi. <br />
7. Cancellazione dei profili‐utente <br />
I fornitori devono permettere agli utenti di recedere facilmente dal servizio, <br />
cancellando il rispettivo profilo ed ogni contenuto o informazione da essi <br />
pubblicato attraverso il servizio di social network. <br />
8. Utilizzo di pseudonimi <br />
I fornitori devono consentire la creazione e l'utilizzo, in via opzionale, di profili <br />
basati su pseudonimi e promuovere il ricorso a tale modalità opzionale. <br />
9. Accesso da parte di soggetti terzi <br />
I fornitori devono prendere misure atte ad impedire che soggetti terzi possano <br />
raccogliere attraverso dispositivi di spidering e/o scaricare (o raccogliere) in massa <br />
i dati contenuti nei profili‐utente. <br />
10. Indicizzazione dei profili‐utente <br />
I fornitori devono garantire che i dati relativi agli utenti siano navigabili da parte <br />
dei motori di ricerca soltanto con il previo consenso espresso ed informato da parte <br />
del singolo utente. Deve essere prevista per default la non‐indicizzazione dei profili‐<br />
utente da parte dei motori di ricerca. <br />
__________________________________________ <br />
(*) Traduzione non ufficiale <br />
(1) "Un servizio di rete sociale (social network) consiste in via primaria nella <br />
costruzione e nella verifica di reti sociali online rivolte a comunità di soggetti che <br />
condividono interessi e attività, o che sono interessati ad esplorare gli interessi e le <br />
attività altrui […]. Si tratta di servizi che, per la massima parte, sono gestiti <br />
attraverso il web ed offrono diverse modalità di interazione fra gli utenti […]." <br />
Tratto da Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Social_network_service <br />
70 Il testo integrale del memorandum è pubblicato a questa URL: <br />
http://www.datenschutz‐<br />
berlin.de/attachments/461/WP_social_network_services.pdf?1208438491 <br />
193
<br />
questa nuova straordinaria forma di socialità globale e <br />
sull'esigenza di rispettare scrupolosamente la vigente disciplina a <br />
tutela del diritto <strong>alla</strong> privacy degli utenti mentre mi lascia <br />
perplessa l'idea secondo la quale i social network providers <br />
sarebbero tenuti ‐ stando a quanto recita testualmente la <br />
risoluzione adottata a Strasburgo ‐ ad adeguarsi oltre che <strong>alla</strong> <br />
vigente normativa anche ad un decalogo di nuove regole dettate <br />
dai settanta garanti. <br />
Non entro nel merito di tali regole (lo farò più avanti) ma <br />
mi limito ad una considerazione di merito: in assenza di una <br />
precisa scelta di politica legislativa un intervento dei Garanti su <br />
una questione tanto delicata quale quella delle dinamiche di <br />
funzionamento del social networking è pericoloso perché nelle <br />
comunità virtuali si confrontano diritti ed interessi diversi e ben <br />
più complessi rispetto <strong>alla</strong> pur seria "Questione privacy". <br />
Un problema su tutti: è necessario limitare la libertà di <br />
autoderminazione degli utenti in relazione <strong>alla</strong> messa a <br />
disposizione dei propri dati personali? <br />
E' una risposta che, personalmente, non so ancora darmi e, <br />
francamente, credo che sia necessario approfondire l'analisi <br />
fenomenologica del social networking e delle sue possibili linee di <br />
evoluzione prima di pretendere di dare risposte normative o <br />
regolamentari. <br />
Mi piace ricordare che già Seneca aveva intuito che l'uomo <br />
è un animale sociale e che le persone non sono fatte per vivere da <br />
sole. <br />
Le comunità virtuali danno, dunque, concretezza ad <br />
un'ineliminabile aspirazione umana. <br />
E' possibile che il bene della comunità globale esiga il <br />
contenimento di tale naturale aspirazione così come è possibile il <br />
contrario… <br />
<br />
Sui social network si pronunci la storia <br />
28 ottobre 2008 <br />
Punto Informatico <br />
<br />
Nel corso della 30° Conferenza internazionale dei Garanti per la <br />
protezione dei dati personali e la privacy svoltasi tra il 15 ed il 17 <br />
ottobre scorsi a Strasburgo è stata, tra le altre, adottata una <br />
Risoluzione sulla protezione della vita privata nei servizi di social <br />
network. <br />
La risoluzione muove dal presupposto – peraltro già puntualmente <br />
delineato nel Memorandum di Roma stilato nell’ambito della 43° <br />
riunione del Gruppo di lavoro internazionale sulla protezione dei <br />
dati nelle telecomunicazioni del 3‐4 marzo scorsi – secondo il <br />
194
<br />
quale le piattaforme di social network se da un lato offrono ai <br />
propri utenti una possibilità di interagire e scambiarsi <br />
informazioni senza precedenti nella storia, dall’altro, espongono <br />
questi ultimi ad una grave minaccia della vita privata loro e dei <br />
terzi. <br />
Si tratta di un’analisi sostanzialmente condivisibile. <br />
L’impatto positivo di tale fenomeno sulla società contemporanea <br />
appare innegabile: per la prima volta nella storia dell’uomo, <br />
ciascun individuo è posto nell’effettiva condizione di manifestare <br />
liberamente il proprio pensiero, estrinsecare appieno la propria <br />
personalità ed interagire con altri individui senza barriere di <br />
carattere sociale, economico, geografico o culturale. <br />
E’, d’altro canto, circostanza egualmente incontestabile quella <br />
secondo cui nell’ambito dei social network circoli e venga <br />
quotidianamente scambiata una mole di informazioni attinenti <br />
all’identità personale degli utenti che non ha precedenti nella <br />
storia. <br />
Le conclusioni cui sono pervenuti i 70 Garanti riuniti a Strasburgo, <br />
tuttavia, sollevano qualche perplessità. <br />
Se, infatti, può convenirsi con i richiami contenuti nella <br />
Risoluzione all’esigenza che tutti gli attori operanti sul campo del <br />
social networking debbano svolgere un’opera di sensibilizzazione <br />
degli utenti – soprattutto di quelli minori o, comunque, più giovani <br />
– circa le conseguenze della condivisione di informazioni personali <br />
nell’ambito delle comunità virtuali ed al puntuale rispetto della <br />
normativa a tutela della privacy attualmente vigente, meno <br />
condivisibile appare la “responsabilità speciale” posta in capo ai <br />
social network providers così come il principio secondo il quale <br />
questi ultimi “oltre al rispetto della legislazione sulla protezione <br />
dei dati” dovrebbero, “egualmente attuare” ulteriori <br />
raccomandazioni dettate dai settanta garanti. <br />
Tali raccomandazioni concernono, tra l’altro, l’esigenza per i <br />
provider di social network, operanti in diversi Paesi, di adeguarsi <br />
<strong>alla</strong> disciplina sulla tutela della privacy in vigore in ciascun Paese <br />
nel quale erogano i propri servizi, quella di informare gli utenti <br />
circa le modalità con le quali vanno trattati i dati di soggetti terzi <br />
nonché quella di consentire agli utenti di restringere le modalità e <br />
l’ambito di diffusione dei dati personali contenuti nei propri <br />
profili, precludendone, ad esempio, l’indicizzazione da parte dei <br />
motori di ricerca e, dunque, l’accessibilità dei profili da parte di <br />
soggetti estranei <strong>alla</strong> piattaforma. <br />
Nella Risoluzione, si raccomanda, inoltre, ai social network <br />
providers, di ispirare le impostazioni predefinite delle proprie <br />
piattaforme al massimo rispetto della vita privata degli utenti e dei <br />
terzi, di consentire sempre agli utenti – ed anzi di incoraggiare – <br />
195
<br />
l’utilizzo di uno pseudonimo e di limitare l’indicizzazione da parte <br />
dei motori di ricerca dei profili degli utenti salvo che questi ultimi <br />
non abbiano dato esplicita autorizzazione in tal senso. <br />
Si tratta di raccomandazioni che muovono da un principio lasciato <br />
sullo sfondo della Risoluzione di Strasburgo ma evidenziato con <br />
grande chiarezza nell’ambito del Memorandum di Roma: “With <br />
respect to privacy, one of the most fundamental challenges may be <br />
seen in the fact that most of the personal information published in <br />
social network services is being published at the initiative of the <br />
users and based on their consent. While ”traditional” privacy <br />
regulation is concerned with defining rules to protect citizens <br />
against unfair or unproportional processing of personal data by the <br />
public administration (including law enforcement and secret <br />
services), and businesses, there are only very few rules governing the <br />
publication of personal data at the initiative of private individuals, <br />
partly because this had not been a major issue in the “offline world”, <br />
and neither on the Internet before social network services came into <br />
being… At the same time, a new generation of users has arrived: The <br />
first generation that has been growing up while the Internet already <br />
existed. These “digital natives” have developed their own ways of <br />
using Internet services, and of what they see to be private and what <br />
belongs to the public sphere. Furthermore they – most of them being <br />
in their teens – may be more ready to take privacy risks than the <br />
older “digital immigrants”. In general, it seems that younger people <br />
are more comfortable with pubishing (sometimes intimate) details <br />
of their lives on the Internet. Legislators, Data Protection Authorities <br />
as well as social network service providers are faced with a situation <br />
that has no visible example in the past. While social network services <br />
offer a new range of opportunities for communication and realtime <br />
exchange of any kind of information, the use of such services can also <br />
lead to putting the privacy of its users (and of other citizens not even <br />
subscribed to a social network service) at risk.“. <br />
In tale contesto la perplessità principale che la recente Risoluzione <br />
di Strasburgo solleva concerne proprio l’opportunità – nella <br />
dichiarata assenza di una preliminare scelta di politica legislativa – <br />
che le Autorità Garanti della privacy e della riservatezza <br />
intervengano a regolamentare le dinamiche e lo sviluppo delle <br />
nuove comunità virtuali incidendo, persino, sul diritto di <br />
autoderminazione degli utenti circa la diffusione di porzioni più o <br />
meno rappresentative della propria identità personale. <br />
Non si tratta di un giudizio di merito ma, piuttosto, di una <br />
valutazione di metodo. <br />
Il contenuto del diritto <strong>alla</strong> privacy, infatti, non è statico ma, per <br />
sua natura, destinato a mutare in relazione ad una molteplicità di <br />
fattori storici, sociologici, culturali, politici e, persino, geografici <br />
196
<br />
con l’ovvia conseguenza che se i c.d. “digital natives” attribuiscono <br />
a tale diritto un’intensità ed un contenuto diverso da quello <br />
attribuitogli nella presente epoca storica, non è detto che sia giusto <br />
o opportuno condizionarne lo sviluppo imponendo l’applicazione <br />
al futuro di regole provenienti dal passato. <br />
In epoche storiche non troppo lontane ed in Paesi divisi dal <br />
vecchio continente solo da qualche miglia marina si attribuiva ‐ e si <br />
attribuisce tuttora – alle espressioni “pubblico” e “privato” <br />
significati assai diversi da quelli diffusi nella nostra società e sui <br />
quali riposa l’attuale diritto <strong>alla</strong> privacy. <br />
Forse, dinanzi <strong>alla</strong> rivoluzione pacifica del Social Networking – <br />
nuovo mezzo di attuazione di un’antica aspirazione di tutti gli <br />
uomini che già Lucio Anneo Seneca definiva animali sociali non <br />
fatti per viver da soli – il legislatore, ed ancor più le Autorità di <br />
regolamentazione, dovrebbero far un passo indietro e lasciare che <br />
la storia faccia il suo corso e che siano i processi sociologici <br />
naturali a definire il contenuto di valori e diritti quale quello <strong>alla</strong> <br />
privacy. <br />
Non si tratta di abbandonare centinaia di milioni di utenti delle <br />
piattaforme di Social Network al loro destino o di disinteressarsi <br />
della tutela del loro sacrosanto diritto <strong>alla</strong> privacy ma, più <br />
semplicemente, di scongiurare il rischio che il diritto positivo <br />
condizioni così tanto prepotentemente l’evoluzione e lo sviluppo <br />
di nuove forme di socialità che non sta al legislatore di oggi <br />
giudicare, condannare o assolvere. <br />
<br />
197
<br />
<br />
198