SI È TENUTA DAL 24 LUGLIO AL 9 SETTEMBRE PRESSO IL ...
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DIBATTITO<br />
Informare senza insultare<br />
graffiare senza volgarità<br />
È nello spirito dell’invettiva che si modula,<br />
ancora oggi, la vita sociale del nostro<br />
Paese. E mondi paralleli come<br />
cultura, politica, scienza si contaminano<br />
con il principio dei vasi comunicanti.<br />
a pagina 2 u Angelo Di Marino<br />
Bimestrale di cultura, arti visive, spettacolo e nuove tecnologie creative<br />
INTERVIEWS<br />
Mina Gregori rivela<br />
i segreti del Caravaggio<br />
Distinguendosi per la signorile eleganza e un’ammirabile<br />
tenacia, la massima esperta del Merisi,<br />
accogliendoci nella sua dimora fiorentina, racconta<br />
gli esordi del suo amore per l’arte segnato<br />
da Roberto Longhi.<br />
a pagina 12 u Luca Mansueto<br />
Un anno fa moriva<br />
Ugo Marano<br />
anno I<br />
numero 2<br />
settembre-ottobre 2012<br />
direttore<br />
Massimo Bignardi<br />
distribuzione<br />
gratuita<br />
FIGURE<br />
Marano è stato da uomo e da artista ancorato<br />
al disciplinare della vita; l’ha pensata e<br />
vissuta al passato, al presente, al futuro ma,<br />
sempre, con «l’irrealizzabile desiderio di ritrovare,<br />
di fermare o di inaugurare il tempo».<br />
a pagina 14 u Ciro Manzolillo<br />
Berlino. Da est a ovest<br />
lungo e oltre la U5<br />
METROPOLIS<br />
Una metropoli che si spande in largo e in lungo in<br />
continuo mutamento, tuttavia sembra che proprio<br />
la U5 abbia il compito di riunire definitivamente la<br />
città e riportarla agli antichi splendori prussiani e a<br />
quelli contemporanei dell’Urban Art.<br />
a pagina 21 u Maria Chiara Gasparini<br />
“Veh qui cogitatis inutile”. Io ve l’ho detto, guai a voi che pensate cose inutili. Italia, io te l’ho detto, non manca da me, ma da te, che non vuoi il rimedio (Savonarola)<br />
P<br />
roverò a riassumere il registro entro il quale si muove la traccia di questo nuovo numero di gea-<br />
Art, il terzo, affidandomi ai suggerimenti del vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli.<br />
Alla voce si legge: «INVETTIVA /invet’tiva/ [vc. dotta, lat. Tardo invectīva(m), sottinteso ora-<br />
tiōne(m) ‘(discorso) aggressivo’, da invěhere ‘inveire’ ] s.f. Parola o discorso violento e aggressivo<br />
destinato a riprendere, denunciare, criticare q.c. o qc.: scagliare, lanciare unʼ- ; sono famose le invettive<br />
di Dante. <strong>SI</strong>N. Apostrofe, diatriba, filippica». C’è tutto quanto occorre per poter mettere sul tavolo<br />
le carte: dalle “tremende invettive” di frate Girolamo Savonarola che, da secoli, le effigi marmoree declamano<br />
mute nelle piazze tra Ferrara e Firenze alle pagine di storie di un passato che non dobbiamo<br />
dimenticare, come il ricordo dei giorni nel campo di sterminio nazista di Görlitz del compositore Olivier<br />
Messiaen, al pericolo di una cronaca infarcita di “offese” e “volgarità” che alimenta l’attualità dalla quale<br />
dobbiamo prendere le distanze. Che cos’è l’invettiva nel mondo dell’etere? Cos’è nella politica? Cosa<br />
permane di essa nella cultura? Un discorso violento, se pur aggressivo, destinato, però, a riprendere,<br />
a denunciare, criticare di cui oggi c’è tanto bisogno? Oppure un gratuito espediente crudele e cinico<br />
per eliminare la “controparte”, attingendo al repertorio dell’ingiuria?<br />
Massimo Bignardi<br />
Tremende invettive<br />
Scommesse e futuro<br />
l’Emilia dopo il terremoto<br />
geaArt dedica un inserto all’Emilia ferita, ad un territorio orgoglioso<br />
e carico di speranza. Una parola quest’ultima che ha<br />
tradotto futuro fin dalle prime ore. Intorno ad esso convergono<br />
queste pagine che hanno raccolto narrazioni e testimonianze, di<br />
giovani e meno giovani, dal mondo delle istituzioni e della cultura<br />
in senso lato. Non è fare il punto della situazione, né tirare<br />
somme, compito non nostro e peraltro difficilissimo. È invece<br />
aprire un ulteriore spiraglio alle riflessioni ed al confronto.<br />
Ada Patrizia Fiorillo u a pagina 15
carte sul tavolo<br />
“Veh qui cogitatis inutile”. Io ve lʼho detto, guai a voi che pensate cose inutili. Italia, io te lʼho detto, non manca da me, ma da te, che non vuoi il rimedio (Savonarola)<br />
L’invettiva<br />
all’italiana<br />
in tutti i menù<br />
L’informazione<br />
non obbliga l’insulto<br />
né la volgarità<br />
di ANGELO DI MARINO<br />
Tutto partì una sera di gennaio di quasi trent’anni fa. Era il<br />
1984, da meno di un lustro era attiva la terza rete della<br />
Rai, la riforma sapeva ancora di fresco. Sul secondo canale<br />
tirava molto Blitz, contenitore nato per dare fastidio<br />
alla già consolidata Domenica In…, autentica corazzata<br />
della Rai. In studio Gianni Minà e Stella Pende che nella sua rubrica<br />
Sotto a chi tocca intervista Leopoldo Mastelloni, collegato da “Bussoladomani”<br />
di Camaiore. L’attore napoletano, nel bel mezzo della<br />
diretta, bestemmia. Panico sul volto di Minà, il collegamento si<br />
chiude. Da quella sera Mastelloni e la Pende non misero più piede in<br />
tivù per anni. Sempre da quella sera del 22 gennaio 1984 la bestemmia,<br />
la parolaccia, l’invettiva entrano d’autorità nel dibattito culturale<br />
del Paese. E, di conseguenza, nelle pagine dei giornali.<br />
Quello che il mondo dei media aveva per decenni evitato, condannato,<br />
emarginato si trovò invece ad essere d’improvviso sdoganato.<br />
Bestemmiare in televisione equivaleva all’antico “lo ha detto la<br />
radio” o al mai tramontato “è scritto sul giornale”. La vicenda, in realtà,<br />
finì nelle aule di tribunale ed arricchì i rotocalchi ed i quotidiani<br />
di estenuanti confronti sull’accaduto. La trasgressione di un trasgressivo,<br />
sciorinata al di fuori delle regole, diventò notizia. Anzi,<br />
essa stessa norma. Da raccontare sin nei minimi particolari, con una<br />
morbosità che manco la cronaca nera più efferata aveva meritato.<br />
Non sappiamo quanto di consapevole ci sia stato nel costruire quella<br />
sera un delitto perfetto come pochi. Sul pavimento insanguinato<br />
caddero pudore e buonsenso. Nelle mani la pistola fumante della<br />
bestemmia. Segno dei tempi, si disse anche. Forse. Di sicuro il Paese<br />
si spaccò, perché la blasfemia pronunciata nel giorno del Signore<br />
nell’Italia dei Papi assunse un peso, una potenza inarrivabile. Ecco<br />
cosa accadde: gli schemi dell’equilibrio secolare tra proibito e lecito<br />
precipitarono in un attimo. Come se in un sussulto improvviso tutti<br />
fossero stati autorizzati a bestemmiare, lanciare invettive, dire e scri-<br />
vere espressioni irripetibili. In contesti dove tutto questo non era (e<br />
non è) ammissibile. Mai avremmo pensato che il turpiloquio divenisse<br />
uno degli elementi della mediaticità, della politica, dell’informazione<br />
nel nostro Paese.<br />
Pensate a una generazione come quella di chi scrive. Il presupposto<br />
era (e resta) informare senza insultare, parlare senza offendere,<br />
graffiare senza volgarità. E pensate anche a una parola, una sola:<br />
casino. Mai cotanta trisillaba aveva trovato spazio nel lessico ufficiale,<br />
mai era stata stampata dai rulli di una rotativa, nessuno l’aveva<br />
mai sentita in radio o in televisione. D’un botto e senza alcun preavviso,<br />
eccola divenire d’uso comune. Un’altra barriera caduta, un<br />
altro piccolo muro di Berlino sgretolato dalla smania di essere<br />
“avanti”, di stupire, sbalordire chi ascolta, chi legge, chi guarda.<br />
Non sembri blasfemia a questo punto tirare in ballo il Padre della<br />
lingua italiana. Precursore dei tempi e critico inarrivabile, Dante Alighieri<br />
scrive il Canto Sesto del suo Purgatorio pensando proprio all’invettiva.<br />
Definisce l’Italia serva, nave senza guida, bordello.<br />
Affondando la penna nella carne come uno stiletto, il Sommo si infervora<br />
e se la prende con i Potenti, i politici e arriva a chiedere conto<br />
e ragione al Signore dei mali di cui è afflitta l’umanità in perenne<br />
conflitto con se stessa. L’invettiva all’Italia, declinata in un crescendo<br />
drammatico che trascina anche il lessico in forme ardite e fuori convenzione,<br />
spiega molte cose. Svela la nostra vera indole, risentendo<br />
dell’indolenza e della falsa indulgenza manifestata verso il prossimo.<br />
Caratteri su cui si fonda nei secoli un’Italia unita ma mai coesa.<br />
“E’ nello spirito di quell’invettiva che si modula, ancora oggi, la<br />
vita sociale del nostro Paese”. “E mondi paralleli come cultura, politica,<br />
scienza si contaminano con il principio dei vasi comunicanti”.<br />
Che nel caso specifico diventano tracimanti. Inquinamenti che altro<br />
non sono che esempi lampanti e mai fulgidi di scadimento etico.<br />
Perché parlare, scrivere, informare, riportare senza regole è esercizio<br />
Il tempo scorre e talvolta soccorre<br />
Fra’ Girolamo ci guarda<br />
da cinque secoli:<br />
proclami ed esempi<br />
di noi contemporanei<br />
di FEDERICO NAVARRA<br />
eato il predicatore! Degenerazioni della<br />
BChiesa, inutilità dei parlamenti, meretricio<br />
e vizi – spesso capitali – dei singoli e nelle loro<br />
forme associate! Ma a rinfrancare lo spirito<br />
due passi per andare dal convento di San<br />
Marco a Santa Maria del Fiore ed il placido<br />
lung’Arno. La nobiltà d’animo allora come<br />
oggi si scontrava con l’ignobiltà umana ma<br />
non tutto è ora come allora: chi infatti troverebbe<br />
ad ascoltare? Quali gli oggetti del suo<br />
predicare? E quanti decibel e che sgargianti<br />
colori? E privo di un consulente di mercato?<br />
Svanita (o quanto meno sopita) la predica in<br />
cornu epistulae et evangeli, tradotta dal tubo<br />
catodico ai cristalli liquidi passando per il plasma,<br />
fiorisce ora nella rete, piazza virtuale<br />
senza tempo (e spazio) ed ospita i temi del<br />
presente sia esso molto prossimo (lavoro che<br />
non essendoci non permette di diventare nobili)<br />
sia un po’ futuro (quale Terra lasciare ai<br />
nostri figli sebbene i nipoti siano lontani). Assente<br />
la sacralità del luogo e la dimensione<br />
escatologica (tamen infinitum era pur sem-<br />
2 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
pre spazio!) nella quale venivano proiettati i<br />
più terreni (e terricoli) temi di umana apprensione,<br />
cede così l’attualità di quest’ultimi: diviene<br />
pertanto necessario sostenerla (se non<br />
fabbricarla) con astuzia e furbizia, ammiccando<br />
qua e là e con buona pace se poi la<br />
cornice è più grande del quadro. Cornice che<br />
ne è pur sempre parte, contribuendo a defi-<br />
nire l’identità del quadro stesso: potrebbe suscitare<br />
qualche malessere in un araldo spirituale<br />
sopravvissuto il pagano ardore di manifestazioni<br />
di piazza davanti i Templi della Finanza<br />
ma anche il domenicano predicò innanzi<br />
al Palazzo della Signoria. Per avere<br />
un’identità necesse habere corpus ed una<br />
volta possedutolo bisogna dargli una voce:<br />
non sufficit tuttavia, occorre farla ascoltare.<br />
Gli ultimi arrivati (giovani? basta l’anagrafe<br />
per indicare gli esclusi o non completamente<br />
inclusi? E gli espulsi? E i riottosi ad includersi?)<br />
nell’avere particolarmente a cuore questa carenza<br />
esistenziale che un buon lavoro oblierebbe<br />
in più di un caso, tentano d’aggredire<br />
la vita per ritagliarsi il posto che meritano sul<br />
proscenio, con clamore e battaglie di principi,<br />
manifestando e sfilando, migrando e solidarizzando.<br />
Si disse che la virtù sola dà la forza:<br />
la fortezza non viene dal corpo in quanto<br />
corpo e c’è chi trovò il tempo della riflessione<br />
certamente più silente che urlante, in apparenza<br />
fragile e senile che trasse però linfa dall’immaginare<br />
– in questo futuro contemporaneo<br />
– la propria dimensione negli spazi interiori<br />
ed in quelli esteriori, urbani ed iper-urbani,<br />
dove il cogitato prendeva (e dava)<br />
continuamente forma.<br />
Siamo or dunque grati al santo e non rammarichiamoci<br />
oltre modo dell’infausta sorte<br />
che ci costringe a vivere tempi così tremendi<br />
ed oscuri: «Tyger! Tyger! Burning bright, in<br />
the forests of the night…».<br />
da fuorilegge. E dove non arriva la bestemmia, la parolaccia, l’invettiva<br />
elevata a simbolo di libertà (?) ci pensa la volgarità a rendere la<br />
strada senza ritorno.<br />
Da tempo, ormai, siamo costretti a confrontarci con titoli di giornali<br />
urlanti, zeppi di doppi sensi e di sconcerie lessicali. Rappresentano<br />
la clava nelle mani di chi va a caccia di prede e non certo di<br />
lettori. Di adepti prima ancora che di sodali. Dietro a invettive forti e<br />
linguaggi grevi si nascondono idee deboli, impalpabili. Che hanno bisogno<br />
di essere urlate, distorte per prendere forza. Armi improprie,<br />
mulinate ad altezza d’uomo. Provate a leggere chi tira la volata a<br />
piazzisti della politica, come quelli toccatici negli ultimi vent’anni.<br />
Caratteri cubitali a tutta pagina con tre, massimo quattro parole una<br />
più pesante dell’altra.<br />
A sostenere tale mole di piombo, sommari anche di tre righe fittissime<br />
in cui la notizia scompare per far spazio a ragionamenti teorici<br />
che portano all’inevitabile conclusione: la colpa è sempre degli<br />
altri. La fragilità in casi come questi diventa il punto di partenza. Il panegirico<br />
che ne scaturisce ha ancor più debolezza del già esile pensiero.<br />
Il titolo, invece, è una bastonata. Ordito per far male, non certo<br />
per ragionare. Se è quindi questo il nostro Purgatorio, molto meno<br />
poetico di quello illustrato dal Sommo, non c’è che da aspettarsi l’Inferno.<br />
No, non può essere così. Conosciamo giovani leve che hanno<br />
molta più etica di quanti li hanno preceduti. E se raccontare senza insultare<br />
è un dovere, stare lontani dal disperato esercizio dell’immoralità<br />
non rappresenta altro che obbligo personale. Ultima frontiera<br />
della coscienza prima del baratro, pullulante di anime che non provano<br />
alcun rimorso. E se il pudore ha il sapore della vetustà, il senso<br />
dell’etica resta valore senza tempo. Al quale tutti dobbiamo garantire<br />
un futuro.<br />
Le pagine sono illustrate da disegni e tecniche miste dell’artista MARTINA CELI<br />
nel prossimo numero<br />
Luce&luci nuove “realtà” che modellano<br />
la città contemporanea e,<br />
al tempo stesso, la nostra immaginazione.<br />
Luci di superficie e luce<br />
dell’anima si rincorrono senza dar<br />
vita ad ombre in un breve viaggio<br />
che geaArt propone nei luoghi,<br />
nelle idee, negli sguardi di sociologi,<br />
storici, urbanisti e scrittori. All’interno<br />
un’intervista ad Alberto<br />
Abruzzese. La controcopertina è<br />
di Nicola Salvatore.<br />
geaArt non ha fini di lucro. La collaborazione<br />
è da ritenersi completamente<br />
a titolo gratuito, sotto<br />
qualsiasi aspetto, comprese le attività<br />
di Direzione e Redazione. Gli<br />
articoli e i lavori pubblicati riflettono<br />
esclusivamente il pensiero dei<br />
loro autori, che ne sono unici responsabili<br />
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e editoriale del giornale. Attività<br />
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D.P.R. 26-10-1972 n. 633 e successive<br />
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Bimestrale di cultura, arti visive,<br />
spettacolo e nuove tecnologie creative<br />
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84123 Salerno<br />
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Registrata presso il Tribunale di Salerno<br />
n. 6/2012 del 17.05.2012<br />
Foto in prima pagina,<br />
I sermoni di Savonarola (ph © Tauro, 2012)<br />
“Veh qui cogitatis inutile”. Io ve lʼho detto, guai a voi che pensate cose inutili. Italia, io te lʼho detto, non manca da me, ma da te, che non vuoi il rimedio (Savonarola)<br />
Invettiva contro lo spaccio dei lettori<br />
Quoniam non cognovi litteraturam, introibo in potentias Domini (Ps 70, 15-16)<br />
di GABRIELE FRASCA<br />
La letteratura, così com’è nata,<br />
unitamente alla parola<br />
stessa che la designa, grosso<br />
modo tre secoli fa fra Francia<br />
e Inghilterra, continua a svolgere,<br />
persino oggi che parrebbe confinata<br />
nel negozio del rigattiere, il cómpito<br />
che le fu assegnato in culla, quando<br />
ancora se ne stava avvinghiata al suo<br />
gracile gemello, il copyright, che avrebbe<br />
però, una volta cresciuto, avuto ben<br />
più fortuna di lei, estendendo il suo diritto<br />
di nascita in ogni campo di quella<br />
vaporosa schiuma tipografica che si<br />
chiama libero pensiero. Più che di un<br />
cómpito, si tratta in verità di un mandato<br />
(o se volete di una lettera di cambio),<br />
e la letteratura, da quando è apparsa<br />
come un evento di Badiou (qualcosa<br />
in soprannumero cui mancava solo<br />
un nome), non ha mai smesso di adempierlo:<br />
delimitare e periodizzare per<br />
un’intrapresa di anonimi una messa-instato<br />
fantasmatica, almeno quanto il discorso<br />
che (non) regola l’economia. È la<br />
solita logica che regola il capitale: separare<br />
qui (un terzo stato da un eventuale<br />
quarto, al quale lasciare in eredità il proprio<br />
destino innominabile) per ricongiungere<br />
altrove. Batte e ribatte lo stesso<br />
chiodo, sin dal suo nascere, la letteratura,<br />
che è quello di dare un nome a<br />
chi non ne ha, Robinson Crusoe o Moll<br />
Flanders; batte e ribatte, ed è per questo<br />
che stupisce, e stupefà. La classe innominabile<br />
che si sarebbe poi letta<br />
borghesia (per istupidirsene), e il collante<br />
di stupori ancora senza etichetta<br />
che sarebbe stato detto letteratura, i<br />
nomi, come càpita in simili circostanze,<br />
se li sono dati l’uno all’altro.<br />
Attualmente, certo, se pure continua<br />
a svolgere il suo mandato, è indubbio<br />
che la letteratura, strictu sensu, lo faccia<br />
su scala ridotta, ma comunque in buona<br />
compagnia, vale a dire con quell’allegra<br />
famigliola di strumenti di comunione<br />
ben più generalisti, dei quali fra<br />
l’altro ritiene (e non a torto) di essere la<br />
primogenita (per inciso: ogni medium<br />
che voglia essere di massa, deve innanzi<br />
tutto dirsi familista, quanto l’economia<br />
che, è noto, lo denuncia persino nel suo<br />
etimo quanto non sia altro che una faccenda<br />
di casa, e uno sporco segretuccio).<br />
Ma se credete che la lallazione<br />
letteraria, come tutte le altre coccole<br />
mediali (al bambino, quando lo si bam-<br />
boleggia, non è giusto il suo nome, o la<br />
pletora dei suoi soprannomi, che gli si<br />
ripete ipnoticamente?), sia nient’altro<br />
che un po’ d’intrattenimento («è sempre<br />
festa nell’asilo globale», notava<br />
acutamente McLuhan), vi sbagliate di<br />
grosso. Da quando ha ricevuto il suo<br />
nome dalla classe cui ha dato un nome,<br />
non c’è mai stato niente come il sistema<br />
letterario che abbia fatto filare dritti<br />
come sonnambuli. Solitamente verso il<br />
baratro. E per due motivi: innanzi tutto<br />
perché è esattamente il modo in cui le<br />
logiche del capitale, partendo dalla<br />
prima catena di montaggio (che è<br />
quella della tipografia) si sono annesse<br />
l’al di là verso cui ha sempre spinto<br />
l’arte del discorso (per «arte del discorso»,<br />
a scanso di equivoci, intendo<br />
tutti i sistemi «narrativi» nati per avversare<br />
la frase idiota, in senso etimologico,<br />
che ogni parlante, appena immesso<br />
nel linguaggio, deve ripetere per legarsi<br />
al destino designato; da questo<br />
punto di vista, non c’è alcuna differenza<br />
fra l’Iliade, la Commedia, o un canto<br />
popolare: puntano tutti verso un al di là<br />
dell’idiozia). E poi perché al sistema letterario<br />
il cosiddetto liberismo, già nelle<br />
sue fasi sorgive, ha chiesto niente di<br />
meno che assorbire il soprannaturale<br />
(pochi ricordano che una delle questioni<br />
principali di Robinson Crusoe, presunto<br />
alfiere dell’empirismo dominante, sia<br />
quella di trovare sulla sua isola deserta<br />
tracce della presenza di Dio), per svincolare<br />
per così dire l’economia da un’ingerenza<br />
tanto ingombrante. Alla crisi<br />
della fede nel soprannaturale, la letteratura<br />
ha supplito con un sistema di credenze<br />
a tempo («fin quando siete qui,<br />
credete a quello che vi dico», ripete<br />
dalle pagine del suo volume, e di tutti i<br />
suoi sequel, il solito Robinson). La letteratura,<br />
primogenita col copyright del<br />
pensiero liberale, non può dunque che<br />
tornare ad avanzare la richiesta propria<br />
di chi le assicurò i natali: «datemi credito».<br />
E credere, sia pure per una momentanea<br />
sospensione del giudizio, è<br />
già obbedire e combattere.<br />
Il mondo conteso dalle nazioni nelle<br />
ultime due guerre (trovatemi una sola<br />
nazione, non dico uno stato, che non<br />
nasca, o quanto meno si riconosca, in<br />
un romanzo), visto quanto l’economia<br />
liberale non gradisce confini (e non assicura<br />
dunque appartenenze), da dove<br />
avrebbe potuto del resto mai stagliarsi,<br />
se non dalle pagine della letteratura?<br />
HIC SUNT LEONES<br />
afonia e stipsi<br />
dell’invettiva politica<br />
L’invettiva ai tempi dell’ideologia<br />
aveva dignità e spessore<br />
DI <strong>AL</strong>ESSANDRO LIVRIERI<br />
C’<br />
Persino coloro che si sono correttamente<br />
definiti nel secolo scorso dittatori,<br />
non hanno fatto altro, incantati<br />
come a loro volta erano, che sentirsi<br />
«dittare dentro» storie, per significarle<br />
ad altri, a che altri le significassero. Il rinnovato<br />
Impero di Roma, il Millennio del<br />
Terzo Reich, la Grande Madre Russia...<br />
Vi potrà sembrare strano, ma per<br />
quanto Goebbels abbia saputo come<br />
erano una volta gli anni eroici. Quelli<br />
(almeno per me) delle botte coi fascisti.<br />
Esercizio – ex post – vacuo ma generoso e<br />
con qualche ragione storica. Poi venne l’eclisse.<br />
La sera del 3 luglio 1992, a Salerno, dopo<br />
il voto parlamentare che tutelava Craxi in<br />
nome e per conto delle guarentigie parlamentari,<br />
nugoli di fascisti e comunisti (presagi<br />
della loro imminente superfluità storica) vennero<br />
a gridare per strada «fuori il bottino,<br />
dentro Bettino». Quella sera le botte furono<br />
serrate e amare. Le diedi e le presi! Non per<br />
difendere Craxi quanto un’idea di politica.<br />
Che era si, talvolta, crudele anzi truculenta<br />
ma che rifiutava la “ratio” della distruzione<br />
vicendevole. Era venuto, quindi, il tempo dell’invettiva<br />
che demonizzava. Trasfigurava l’avversario<br />
non per costruire sorti magnifiche e<br />
progressive ma per distruggere senza ricostruire,<br />
a prescindere da qualsivoglia ripartenza<br />
e per pianificare la prospettiva del nulla:<br />
la seconda Repubblica! L’invettiva politica ha<br />
logiche ed essenzialità, ovvero è una sfida<br />
(come Savonarola) o una sollecitazione (Nenni),<br />
un obbligo morale della denuncia (Matteotti),<br />
uno sprone all’arte del riformismo (La<br />
Malfa). Talvolta rasenta anche la burla guittesca.<br />
Negli anni Sessanta, nel Vallo del Diano<br />
(Salerno), un parlamentare socialista si presentava<br />
ai comizi con un gallo sulla spalla alla<br />
cui zampa erano connessi fili elettrici collegati<br />
ad una batteria. Quando l’invettiva diventava<br />
ultimativa, qualcuno tracimava una scossa al<br />
pochi piegare all’ideologia nazista la radiofonia<br />
(e con minore «genialità» il cinema),<br />
Hitler, basterebbe dare un’occhiata<br />
al sua guardaroba, resta il personaggio<br />
di un mediocre romanzo di formazione.<br />
E se vi va di pensare all’oggi,<br />
badate che la televisione con i suoi<br />
show sgangherati non regola flussi di<br />
voti; se mai, e se proprio, lo fa la sua fiction<br />
(che, ci intendiamo, è letteratura<br />
gallo che, giustamente, cantava. E la folla delirava!<br />
Scontri ideologici? Macché! Disbrighi<br />
di collegio elettorale che, però, rappresentavano<br />
ruralità democratica e temperie dei<br />
tempi. Dialettiche forti, cioè, su cui si è snodata<br />
la crescita culturale, sociale e civile di<br />
tutto il Mezzogiorno. Diciamolo forte! L’invettiva<br />
ai tempi dell’ideologia aveva dignità e<br />
spessore. Anche la sua declinazione finale:<br />
l’omicidio politico, tratteggiava tragiche gran-<br />
carte sul tavolo<br />
latu sensu). Quiz e ballerine, per fare un<br />
esempio lampante, non hanno nulla a<br />
che fare con quello che si è definito berlusconismo;<br />
le vite dei santi teletrasportati<br />
fin nel nostro salotto dalle retrovie<br />
siderali, magari qualcosa in più.<br />
Ma via, mi si potrebbe obiettare, mica<br />
tutta la letteratura, quella del sistema<br />
letterario in atto, si identifica alla solo<br />
fiction televisiva, o si riduce, che so, alla<br />
saga di vampiri tormentati dall’angoscioso<br />
dubbio se succhiare il sangue o<br />
schiacciarsi ancora i brufoli, se mai per<br />
una massa di adolescenti (o di lettori<br />
sempre adolescenti) ai quali, in tempo<br />
di crisi economica, neanche par vero di<br />
assicurare una vita da non-morti! Eppure<br />
anche su questo (sempre penultimo)<br />
caso letterario potremmo riflettere,<br />
dal momento che questi discendenti<br />
efebici di Nosferatu sono perfetti<br />
per il mondo che stiamo consegnando<br />
ai loro lettori: improduttivi come il ben<br />
più tenebroso progenitore rumeno, ma<br />
al contrario di costui capaci di procrastinare<br />
praticamente in eterno il consumo<br />
per cui sono nati. Una crisi è una<br />
crisi, e produce sempre il suo immaginario.<br />
Ma concediamo almeno questo:<br />
la letteratura in atto non si riduce mica<br />
ai soli casi letterari. Del resto il sistema<br />
letterario, per funzionare, deve ammettere<br />
per lo meno, una doppia velocità. E<br />
se riuscite a far svettare il capo al di là<br />
delle pile dei libri di successo, nelle megalibrerie<br />
la trovate pure da qualche<br />
parte quella letteratura che è stato necessario<br />
di contro definire «seria» (ma il<br />
«serio», suggeriva Lacan, è il «seriale»),<br />
che poi è quella di cui si occupa- no le<br />
pagine appena un po’ più austere dei<br />
giornali, le trasmissioni radiofoniche da<br />
salotto, le briose televendite di Fazio e<br />
le estenuanti sagre cittadine. E non è<br />
questo già un segno, ne avessimo ancora<br />
bisogno, di come funziona il sistema<br />
letterario? C’è poco da girarci intorno,<br />
vampiri o non vampiri, si appartiene<br />
tutti alla stessa famiglia di morti viventi;<br />
e se il teenager è stato per anni,<br />
già all’indomani della seconda guerra<br />
mondiale, il consumatore ideale, e a<br />
tutti è stato chiesto di restare adolescenti<br />
nello spaccio delle merci (culturali<br />
o meno), ebbene in tempo di recessione,<br />
e di scarsità di risorse, è fin troppo<br />
facile capire quanto sia il consumatore<br />
a dover essere consumato. Non si vendono<br />
libri nei megastore, ve ne sarete<br />
resi conto da un pezzo, ma lettori.<br />
diosità shakespeiriane. Cosa dice, infatti,<br />
Saint-Just l’archetipo dei giacobini alla requisitoria<br />
contro il Re? «Il cittadino Luigi Capeto<br />
può anche vivere, ma Luigi XVI deve morire<br />
non per il suo agire amministrativo ma in<br />
quanto usurpatore». L’invettiva era preludio<br />
alla costruzione disperata del nemico come<br />
simbolo ma, nel contempo, riconoscimento<br />
dialettico dell’avversario. Dai giacobini (che<br />
erano grandi) si è passati allo scherno plurale,<br />
alla denigrazione gratuita. Allo sberleffo<br />
senza giusta causa. Certo! Se i “Partiti sono<br />
partiti per non tornare più” a che serve l’invettiva<br />
se non nei termini dello sfogatoio? E,<br />
smarriti i luoghi dell’organizzazione democratica<br />
della contraddizione e del conflitto,<br />
quale prateria migliore del Web che più anonimo<br />
e violento non si può? Oltre il merito del<br />
“grillismo” (talvolta condivisibile) e fatta la<br />
tara dello straniamento civile da cui nasce e<br />
naturalmente si incanala per morire, il Vaffa-<br />
Day altro non è che un’ordalia post-moderna.<br />
Una Formidabile stipsi culturale che (dentro e<br />
oltre il Web) finisce il lavoro di Berlusconi. Non<br />
più cittadini, nemmeno sudditi, ma soggetti<br />
afoni di audience, sondaggi e riempitori di<br />
piazze più o meno virtuali. Oltre il confine dell’attuale<br />
aggregazione sociale si scivola (come<br />
nelle mappe latine dove l’ignoto si raccontava<br />
con hic sunt leones) fra lande desolate, barbari<br />
e barbarie. Non si “invettiva” ma si grida<br />
al vento, pervenendo al traguardo malinconico<br />
e depresso della clamorosa inutilità.<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 3
teatro contemporaneo<br />
I miei personaggi vogliono vivere e si evitano, queste sono persone che urtano contro le pareti (B. M. Koltès)<br />
Sono le parole, i corpi e l’energia<br />
degli attori a riempire<br />
d’immagini lo spazio scenico<br />
Incontro<br />
con un uomo<br />
straordinario<br />
Peter Brook<br />
Classe 1925. Dopo una brillante laurea ad Oxford in<br />
letteratura comparata, iniziò ad occuparsi di teatro,<br />
a sentir lui, più per caso e per necessità economiche che<br />
per un interesse profondo: la sua passione dichiarata era<br />
infatti il cinema. Ciò non gli impedì di avere, a soli <strong>24</strong><br />
anni, l’incarico di direttore artistico al Covent Garden di<br />
Londra, impegno che abbandonerà molto presto per tornare<br />
alla prosa, lavorando con i più grandi attori inglesi<br />
del tempo (John Gielgud, Lawrence Olivier e soprattutto<br />
Paul Scofield) e occupandosi sia del teatro elisabettiano<br />
sia di autori contemporanei. La tournée europea di Tito<br />
Andronico nel 1955 rivelerà Peter Brook, già molto noto<br />
in Gran Bretagna, al resto d’Europa. Pioniere del teatro<br />
sperimentale, prima in Inghilterra e poi a Parigi, si dedica<br />
occasionalmente anche al cinema. Dopo un cortometraggio<br />
realizzato quando è ancora studente e quando<br />
ha già debuttato come regista teatrale, dirige L. Olivier in<br />
Il masnadiero (1953) che trae dalla Beggar's Opera di J.<br />
Gay. Qualche anno dopo firma la regia di Moderato cantabile<br />
(1960), lungo monologo interiore tratto da un romanzo<br />
di M. Duras, e di Il signore delle mosche (1963), da<br />
W. Golding, in cui utilizza attori non professionisti e due<br />
camere a mano. Inoltre, lo spettacolo, che passa per il rifiuto<br />
di ogni inutile decoro scenografico, segna una tappa<br />
fondamentale nel suo percorso artistico e in quello del<br />
teatro occidentale contemporaneo: lo spazio scenico diviene<br />
“vuoto”, saranno le parole, i corpi e l’energia degli<br />
attori a riempirlo d’immagini; il confronto con alcune,<br />
grandi tradizioni teatrali extraeuropee può dirsi già iniziato.<br />
Traspone per lo schermo opere già realizzate a teatro<br />
(Marat-Sade, 1967, dal dramma di P. Weiss; Re Lear,<br />
1971; La Tragédie de Carmen, 1983). Ispirandosi al misticismo<br />
orientale, realizza quindi Incontri con uomini straordinari<br />
(1979), dal libro di G.I. Gurdijeff, e Il Mahabharata<br />
(1989), versione cinematografica del kolossal teatrale<br />
tratto dall'antico poema epico indiano e adattato dallo<br />
stesso Brook con J.C. Carrière. In Riccardo III - Un uomo,<br />
un re (1996) di A. Pacino, interpreta se stesso.<br />
TizDiMu<br />
4 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
Il lungo viaggio<br />
di Mamadou Dioume<br />
Il segno inconfondibile di Peter Brook traspare<br />
dalla disarmante semplicità e dalla raffinata<br />
ricercatezza formale delle sue messinscene<br />
di ATT<strong>IL</strong>IO BONADIES<br />
Peter Brook si recò nel suo paese per<br />
conoscerlo e vedere i suoi personaggi<br />
sul palco del Teatro Nazionale del Senegal.<br />
Era il marzo del 1984 e da<br />
quel momento per Mamadou<br />
Dioume è cominciato un nuovo viaggio col teatro,<br />
nello sconfinato palcoscenico del mondo.<br />
La prima tappa è il Festival di Avignone del 1985<br />
dove Peter Brook presenta la versione teatrale<br />
di nove ore del Mahabharata (grande poema<br />
dei Bharata) tratto dal più importante poema<br />
epico indiano, in lingua sanscrita. Mamadou è<br />
Bhima, figlio del vento, dalla forza prodigiosa<br />
che uccide elefanti ma che, come tutti gli eroi<br />
del poema, è chiamato a rispondere delle sue<br />
azioni davanti al tribunale degli uomini senza<br />
poter contare sull’aiuto degli dei. Ha molti compagni<br />
di viaggio (tra cui il nostro compianto Vittorio<br />
Mezzogiorno) che lo affiancheranno coi<br />
loro personaggi, sui più prestigiosi palcoscenici<br />
del mondo a raccontare, per quattro favolosi<br />
anni avventure, battaglie, guerre, magie, sfide<br />
ai dadi ed intermezzi giocosi di un’umanità<br />
senza confini che parla, tra tante razze e tanti<br />
suoni, la stessa lingua dei sogni. Ed il viaggio collettivo<br />
col Mahabharata continua su altri palcoscenici,<br />
attraverso la versione televisiva di sei ore<br />
e quella cinematografica (presentata con<br />
grande successo alla Mostra del Cinema di Venezia)<br />
di poco più di tre, tutte in lingua inglese.<br />
La disarmante semplicità, la raffinata ricercatezza<br />
formale e l’intensa suggestione dinamica<br />
delle diverse messinscene portano l’inconfondibile<br />
segno del genio di Peter Brook. Ed il cammino<br />
di Mamadou, insieme col grande maestro<br />
del teatro del Novecento, continua fino al 1991<br />
nel Woza Albert e nella Tempesta di Shakespeare<br />
con la quale ritorna anche ad Avignone.<br />
Da questo momento il viaggio comune con<br />
Peter Brook si interrompe: Mamadou riprende<br />
da solo il cammino su altri palcoscenici…<br />
Poco più di vent’anni dopo, in una torrida<br />
estate romana, lo ritroviamo nei laboratori dell’Accademia<br />
del Teatro Senza Tempo mentre<br />
parla sottovoce ad una quindicina di facce accese<br />
e rapite, sedute a semicerchio attorno a lui.<br />
Sono i nuovi allievi di un viaggio di formazione<br />
che continua da decenni, in Italia ed in Europa,<br />
per rivelare e scoprire nuove identità e nuove<br />
coscienze per un teatro che da tempo ha smarrito<br />
accordi e corrispondenze con l’uomo e col<br />
mondo. L’attore è un mestiere che non si impara,<br />
ma si coltiva quotidianamente analizzando<br />
se stessi. Recitare è tirar fuori le cose che giacciono<br />
dentro di noi, scavare nel profondo dei<br />
nervi, delle viscere e della carne alla ricerca dell’ignoto.<br />
Il personaggio ti rivela quello che tu<br />
non sei, anche la belva che è in te. Il corpo è la<br />
prima memoria, quella affettiva, quello stesso<br />
corpo che assorbe poi tutte le cose vissute. Il<br />
teatro è cultura, è universale e deve necessariamente<br />
collegarsi alla natura, non deve far incontrare<br />
un popolo ma raccontare l’umanità<br />
con tutta la sua straordinaria ricchezza di canti,<br />
suoni, leggende, ma anche di terrificanti trage-<br />
die. Perciò nei sette giorni di laboratorio e per<br />
oltre sette ore (serali e notturne), sotto lo<br />
sguardo compiaciuto dell’organizzatore di masterclass<br />
Riccardo Balestra, il lavoro sul corpo è la<br />
faticosa pratica prevalente che Mamadou suggerisce<br />
agli allievi con suggestiva persuasione<br />
emotiva e con straordinaria leggerezza esemplificativa<br />
(a dispetto della sua mole imponente).<br />
Massimo (Max) Giudici (cofondatore con Mamadou<br />
di Atelier Teatro a Milano) condivide con<br />
lui la guida agli esercizi e spesso lo sostituisce,<br />
con grande consapevolezza metodologica e naturale<br />
padronanza tecnica. La respirazione,<br />
compiuta in varie posture, deve essere totale e<br />
coinvolgere tutti gli organi e tutti i sensi: l’attore<br />
ascolta intensamente il proprio respiro e comincia<br />
a sentirne l’effetto a partire dalla punta dei<br />
piedi e poi, in collegamento sinergico, con tutti<br />
gli altri membri del corpo, esterni ed interni. Nell’identificarli<br />
progressivamente, l’allievo deve imparare<br />
a riconoscere la specificità dei tre punti<br />
di eruzione: i piedi, il coccige, la pancia. Talvolta<br />
egli rimane sdraiato supino su un bastone di<br />
legno che percorre la spina dorsale, partendo<br />
dal coccige fino alla testa, respirando profondamente<br />
e facendo prolungati vocalizzi su una sola<br />
nota. Altre volte, invece, stando sdraiato su palle<br />
da tennis posizionate sulla schiena e sulla testa,<br />
infine su una parete verticale, conquistata faticosamente<br />
a testa in giù con i movimenti degli<br />
arti inferiori, dei glutei e delle spalle. Ma il bastone<br />
serve anche come supporto essenziale<br />
negli esercizi delle arti marziali, che disciplinano<br />
e potenziano la vitalità ed il dinamismo dell’attore<br />
e che vengono proposti anche come pratica<br />
collettiva sinergica di conquista e gestione dello<br />
spazio scenico. Va da sé che gli esercizi non sono<br />
finalizzati all’apprendimento delle discipline<br />
orientali di pratica guerriera, ma devono servire<br />
a far esplodere i conflitti dentro il corpo dell’attore<br />
sul palcoscenico. E talvolta è lo stesso Mamadou<br />
che interviene per segnalare esercizi<br />
eseguiti male o qualche sofferenza corporea di<br />
un organo palpando, con mano o piede la parte<br />
interessata, col frequente rischio di qualche lacrima<br />
o strillo di natura femminile. La scoperta e<br />
la conquista di sé non può essere indolore. Ma<br />
ogni giorno c’è anche il momento liberatorio del<br />
canto popolare (africano) in coro, nella lingua<br />
dell’infanzia del mondo e del battere ritmico<br />
delle mani sul corpo, in una ritrovata danza tribale<br />
di gruppo, sotto la guida dello sciamano<br />
Mamadou.<br />
Il richiamo e la seduzione da parte di autori<br />
ed opere teatrali - come pure dei grandi maestri<br />
- avviene quotidianamente e non sempre in maniera<br />
programmata, perché risponde ad invocazioni<br />
sotterranee ed implicite che la situazione<br />
performativa in atto suggerisce. Oltre al mostro<br />
sacro Brook, ritornano spesso Shakespeare, Stanislavski,<br />
Grotowski, Artaud con tutta la potenza<br />
esplosiva ed immaginifica «dei segnali<br />
lanciati da dietro alle fiamme». Particolarmente<br />
esemplificativi, per la sua visione del teatro, sono<br />
il testo e l’autore su cui Mamadou concentra lo<br />
Nella foto in alto:<br />
Un momento “sofferto“<br />
del laboratorio<br />
Sopra: Il sorriso di Mamadou<br />
studio più specifico da parte degli allievi: Quai<br />
Ouest (1985) di Bernard-Marie Koltès. «I miei<br />
personaggi vogliono vivere e si evitano, queste<br />
sono persone che urtano contro le pareti».<br />
Chissà anche quanto di autobiografico c’è nella<br />
splendida sintesi descrittiva che Koltès fa dei<br />
protagonisti del suo dramma, a proposito della<br />
sua breve e tormentata esistenza di scrittore visionario<br />
e bord-line (morto di Aids a 41 anni).<br />
Quai Ouest si caratterizza per uno stile che riesce<br />
ad unire, in maniera magistrale, la lingua<br />
parlata alla letteratura più raffinata, affrontando<br />
la dolorosa condizione degli immigrati privi di<br />
permesso di soggiorno, in un presente caratterizzato<br />
da stridenti contraddizioni. Per gli allievi<br />
ore ed ore di lettura e di studio a memoria di alcuni<br />
brani del testo per poi arrivare ad occupare,<br />
nell’ultimo giorno del corso, lo spazio scenico<br />
come in un dipinto, facendo esplodere la loro<br />
energia vitale ed iconoclasta: «La tua vita, negro,<br />
vale meno di quella di una gallina; non te la sei<br />
meritata, la vita; è come se non fossi mai esistito».<br />
Il sipario si chiude, per Mamadou riprende<br />
il viaggio, prima in Sicilia e poi, a fine<br />
ottobre, presso gli allievi del Distretto Cinema di<br />
Torino. Buon viaggio, Mamadou, ché la leggerezza<br />
sia sempre a te compagna…<br />
teatro contemporaneo<br />
I miei personaggi vogliono vivere e si evitano, queste sono persone che urtano contro le pareti (B. M. Koltès)<br />
Il teatro di Brook tra répétition, répresentation e assistance<br />
Una “corda tesa” tra l'immaginazione e la poesia, scaturita da un “impulso uniforme”<br />
Era il 1943 quando esordì con il Dr. Faustus di Christopher<br />
Marlowe al Torch Theatre di Londra. Peter Brook, ha realizzato<br />
complessivamente 47 spettacoli teatrali ed ha ricevuto<br />
più di 30 importanti riconoscimenti in ogni parte<br />
del mondo, tra gli altri il Premio Europa per il Teatro a Taormina<br />
nel 1989, dopo aver messo in scena in lingua inglese The tragedy<br />
of Hamlet, nel teatro Bouffes du Nord, da lui stesso diretto. Il<br />
suo interesse non si ferma al teatro elisabettiano, ma si rivolge ai<br />
maggiori autori contemporanei. Avrà modo di lavorare con John<br />
Gielgud e Paul Scofield (due dei più grandi attori britannici). Come<br />
dirà egli stesso il suo lavoro teatrale scaturisce da un “impulso informe”,<br />
senza alcuna tecnica. Lavorando, però, molto sugli attori,<br />
che a suo parere dovranno sentirsi liberi di dare tutto il loro apporto<br />
allo spettacolo. Sarà proprio lui, il regista, ad indirizzarli poi sulla<br />
“retta via”. Il regista infatti sarà colui che Dirige: cioè che prende<br />
decisioni e guida l’attore. «La corda tesa è l’immagine che meglio<br />
rappresenta la mia idea di teatro – commenta Peter Brook –. Ma<br />
non voglio insegnare nulla, non sono un maestro, non ho teorie».<br />
Solo suggestioni, come la corda che non c’è. «Per trovare l’equilibrio<br />
un funambolo deve tener conto di due cose: avere ben presente il<br />
punto d’arrivo e allo stesso tempo badare ai lati. Oscillare senza mai<br />
perdere di vista la meta. Altrimenti cade. Vale in teatro come nella<br />
vita e nella politica». Ma in teatro, perché quel filo diventi visibile<br />
serve un altro elemento: «L’immaginazione, il muscolo che muove<br />
tutto». Il teatro di Brook è un teatro vuoto, essenziale, fatto di poche<br />
cose. Eppure questa nudità e questo vuoto iniziano pian piano a<br />
popolarsi, a materiare una storia, ad abitare gli spazi, ad assumere<br />
sensi di volta in volta diversi ma tutti perfettamente veri, per cui una<br />
gruccia può essere una gruccia, ma nel momento successivo diventa<br />
un telefono, e non stupisce, perché è un teatro che si costruisce<br />
Gli ultimi successi presenti in libreria<br />
LE NOVITÀ EDITORI<strong>AL</strong>I DEGLI ULTIMI ME<strong>SI</strong>, inerenti al teatro annoverano biografie di sceneggiatori,<br />
retroscena di spettacoli che sono passati alla storia e luci ed ombre di grandi autori. In questo<br />
filone si inserisce il testo di Pietro Saddio, dal titolo Ettore Petrolini. El rey della rissa. Il libro<br />
è incentrato sulla figura di Petrolini, grande artista ancora oggi ricordato per aver saputo incarnare<br />
e raccontare vizi e pregi del popolino che lo ringraziò erigendolo a divo. Si racconta<br />
dell’autore come fautore di vecchie regole che ingabbiavano il teatro tra la fine dell’Ottocento<br />
e l’inizio del Novecento, ripercorrendone il percorso umano ed artistico a circa settant’anni<br />
dalla sua scomparsa. E ancora Ombre magiche. Dietro le quinte del Petruzzelli di Marina Itolli<br />
e Giancarlo Fundarò: l’emozione della nascita di una nuova opera lirica, dal fascino della messa<br />
in scena alle prove di recitazione e d’orchestra, dalla realizzazione della scenografia all’incanto<br />
di una nuova creazione che prende forma; raccontato attraverso l’occhio attento e vigile al<br />
quale non sfugge alc0un particolare del fotografo Giancarlo Fundarò che nella primavera 2011<br />
ha potuto seguire presso il Teatro Petruzzelli di Bari, tutte le fasi delle prove per l’opera contemporanea<br />
Lo stesso mare. Altri due testi che approfondiscono determinati aspetti sono:<br />
Dive e maestri di Gosett Philip che racconta i successi e le evoluzioni dell’opera lirica e La commedia<br />
greca e la storia di Franca Perusino e Maria Colantonio: uno sguardo alla commedia e<br />
all’oratoria politica nel teatro di Aristofane.<br />
Angela Casale<br />
L’autunno accende le luci sul palcoscenico<br />
La crisi e i tagli non abbassano il sipario: la risposta è un fitto programma di appuntamenti<br />
LA STAGIONE TEATR<strong>AL</strong>E È <strong>AL</strong> VIA: nonostante la crisi e i tagli che ormai da<br />
tempo costringono il settore culturale a limitare sempre di più le proprie<br />
offerte, si riesce anche quest’anno a proporre un cartellone prestigioso e di<br />
sicuro interesse. La programmazione in abbonamento del Teatro Nuovo di<br />
Napoli vedrà alternarsi in scena artisti già fortemente riconosciuti da pubblico<br />
e critica quali Enzo Moscato, Isa Danieli, Carlo Cecchi, Silvio Orlando,<br />
Stefano Accorsi, Marco Martinelli, Glauco Mauri e Roberto Sturno, Ottavia<br />
Piccolo, Alfonso Santagata, Roberto Herlitzka, Claudio Di Palma e, fuori abbonamento,<br />
un progetto del regista Antonio Latella. Programma ricco per<br />
questa stagione anche al Teatro Argentina di Roma, la seconda firmata da<br />
Gabriele Lavia in qualità di direttore del Teatro di Roma. Un cartellone che<br />
comprenderà oltre venti spettacoli, a partire dal 22 settembre con L’Ecole des<br />
Maitres, del regista argentino Rafael Spregelburd. Respiro internazionale a<br />
partire dal 26 settembre e fino al 15 novembre 2012 con un ciclo di spettacoli<br />
in partnership con il Romaeuropa Festival 2012. A Milano, la più grande<br />
delle sale del Piccolo ospita un calendario di grandi produzioni internazionali,<br />
dal ritorno di Slava alle regie di Luca Ronconi, agli spettacoli di Bob Wilson,<br />
Gabriele Lavia, Edward Hall, Luc Bondy, fino alla grande danza. Invece,<br />
al Piccolo Teatro Grassi dal 16 ottobre Glauco Mauri e Roberto Sturno in<br />
Quello che prende gli schiaffi: la parabola di un giusto in un mondo difficile.<br />
Intanto, con orgoglio il Teatro Massimo di Palermo presenta la nuova stagione<br />
2012 che si conferma fra le più ricche d’Italia, vantando un ampio programma<br />
di opere e balletti. Il teatro palermitano, la più grande istituzione<br />
culturale del sud Italia, è un innovativo modello gestionale in quanto ha registrato<br />
grande successo con un continuo incremento del pubblico: ampio<br />
spazio al repertorio più amato, ma anche a importanti titoli di forte valenza<br />
culturale e storica, cui si affiancano alcune rarità, secondo un criterio di scelta<br />
che in questi anni ha imposto il Teatro Massimo all’attenzione anche della<br />
critica mondiale.<br />
Carmela Citro<br />
dentro l’azione scenica, e da essa trae la sua necessità. È un teatro<br />
che si alimenta di immaginazione e poesia. È la parola che dà forma<br />
anche a quello che non c’è, è lo sguardo denso degli attori, i loro<br />
gesti pieni e fatti di pura energia poetica, di presenza potentissima.<br />
Inoltre, le tre parole che danno vita all’evento teatrale per Brook<br />
sono: répétition, répresentation, assistance. Tre parole dal francese,<br />
tre elementi, ciascuno necessario perché l’evento prenda vita: répétition,<br />
la ripetizione, sarebbero le prove, dove l’attore cerca di migliorarsi;<br />
répresentation, rappresentazione, è la messa in scena,<br />
l’elemento mortale della ripetizione si perde nella serata della<br />
“prima”; assistance, l’assistere, che permette alla rappresentazione<br />
di aver luogo nel modo esatto: l’attore non potrà fare tutto da solo,<br />
servirà una attenta e coinvolta, ma straniante, partecipazione del<br />
pubblico.<br />
Tiziana Di Muro<br />
Mauri-Sturno: da Krapp<br />
a Senza parole<br />
di Samuel Beckett<br />
GLAUCO MAURI E ROBERTO STURNO portano in<br />
scena quattro celebri atti unici beckttiani<br />
con l’intento di far capire al pubblico<br />
che non è Beckett ad essere difficile e complicato,<br />
ma che difficile e complicata è la<br />
vita stessa. Atto senza parole e L’ultimo nastro<br />
di Krapp, due testi relativamente brevi<br />
al confronto di altri famosi capolavori, sono<br />
forse le opere che più chiaramente esprimono<br />
alcuni aspetti del mondo di Beckett.<br />
Nello stupito, grottesco silenzio del primo,<br />
l’uomo beffato e ingannato dalla vita che<br />
sembra sempre soccorrerlo ma poi sempre<br />
lo delude, trova la sua commovente dignità<br />
nel rifiuto e in una voluta solitudine. Nel<br />
secondo, il vecchio Krapp ascolta una bobina<br />
registrata molti anni prima, la sera del<br />
suo trentanovesimo compleanno. Riaffiorano<br />
persone, visi ormai sbiaditi dal tempo,<br />
si riscoprono sentimenti e tra questi, ormai<br />
dimenticata, una storia d’amore, “quando<br />
la felicità era forse ancora possibile”. Il nastro<br />
finisce e Krapp rimane disperatamente<br />
solo nel buio della sua “vecchia tana” piena<br />
di bobine che raccontano la storia della sua<br />
vita ma che finiranno col rimanere vuote,<br />
esaurite di ricordi. Improvviso dell’Ohio. Un<br />
uomo (il Lettore) legge un libro ad un altro<br />
uomo (l’Ascoltatore) per aiutarlo a sopportare<br />
il dolore di un’assenza (una moglie<br />
morta o forse abbandonata). Il testo che il<br />
Lettore legge si riferisce alla vita dell’Ascoltatore:<br />
essi infatti non sono due persone<br />
ma un unico uomo che, in un fantastico<br />
sdoppiamento, sembra – con l’ascoltarsi –<br />
cercare una speranza di sollievo al dolore.<br />
Respiro. Un cumulo di macerie. Pochi secondi:<br />
è la vita. La vita che passa tra il<br />
primo vagito e l’ultimo respiro.<br />
Glauco Mauri e Roberto Sturno<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 5
proscenio<br />
È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere ogni tanto, galantuomo sempre (L. Pirandello)<br />
L’ossessione<br />
in scena<br />
Edito da Demian, il volume<br />
Teatro contemporaneo rivela<br />
il talento di Fabrizio Romagnoli<br />
La finzione del palcoscenico può essere la via più sicura, per quanto<br />
tortuosa, per arrivare alla verità o a ciò che più le somiglia. Il teatro<br />
nasce in effetti da un bisogno essenzialmente educativo, dall’esigenza<br />
di condurre la coscienza a superare ciò che l’esperienza<br />
intercetta per esaminare, comprendere e smascherare. Fabrizio Romagnoli<br />
(nella foto a lato) ha sempre guardato a questo aspetto,<br />
come ben dimostra Teatro contemporaneo, la raccolta di tre atti unici<br />
edita da Demian che rappresenta una sfida impegnativa per tutti coloro<br />
che vogliano cimentarsi con l’arte della recitazione. Filo conduttore<br />
dei copioni è l’ossessione, quel vincolo malato ma saldissimo che<br />
unisce i personaggi in una prigione mentale prima ancora che materiale.<br />
Attraverso una scrittura di abbagliante crudeltà, attenta a<br />
porre in luce ogni sfumatura dell’animo, l’autore esprime il peso di<br />
una disappartenenza che si manifesta solo nelle forme della riflessione<br />
speculare. Le figure attorno a cui ruotano le vicende non riconoscono<br />
più i loro interlocutori, eppure non possono fare a meno di<br />
veder riflesso in loro ciò che non vorrebbero mai ammettere. La narrazione<br />
in Fino alla fine, Lei…Lui…Loro e Una lunga attesa è un falso<br />
movimento: nonostante tutto e tutti, non si sfugge alla mente.<br />
A Torino con Jurij Ferrini<br />
In programma<br />
il Rodaggio<br />
matrimoniale<br />
di Williams<br />
ennesee Williams è un autore capace di mettere a nudo i senti-<br />
Tmenti con una sagacia rara, intessendo l’azione narrativa a distanze<br />
siderali da qualsiasi forma di compiacimento o di abile ricatto<br />
psicologico. Appare dunque naturale che la vita matrimoniale, spesso<br />
simile a un falso equilibrio, abbia suscitato la sua attenzione. Rodaggio<br />
matrimoniale, che George Roy Hill aveva portato nel 1962 sul<br />
grande schermo con Anthony Franciosa e Jane Fonda, è una commedia<br />
che non è mai stata rappresentata in Europa e ha colpito per<br />
la sua attualità Jurij Ferrini, che si era già cimentato con successo di<br />
pubblico e critica con il capolavoro dello scrittore Zoo di vetro. Nel<br />
duplice ruolo di regista e protagonista, Ferrini ha al suo fianco Fulvio<br />
Pepe, Eva Cambiale e Isabella Macchi. L’opera sarà in scena presso il<br />
Teatro Gobetti di Torino dal 27 novembre al 2 dicembre e si basa sull’intreccio<br />
di due vicende accomunate dalla difficoltà di comunicare i<br />
sentimenti. Una giovane coppia è costretta a fare i conti con la mancanza<br />
di fiducia: il futuro incerto che li sovrasta e un’empatia che fatica<br />
a farsi strada impediscono di condividere in modo profondo le<br />
ansie per poi neutralizzarle. Due coniugi maturi invece vivono il proprio<br />
conflitto su di una base educativa: hanno infatti opinioni radicalmente<br />
opposte sulla maniera di rapportarsi con il figlio. Non è<br />
azzardato guardare ai quattro personaggi come alle stagioni diverse<br />
del medesimo malessere che nasce da una visione problematica dell’unione.<br />
L’autore non rinuncia comunque alla sua tagliente ironia.<br />
g.c.<br />
Nella foto: Jurij Ferrini<br />
6 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
La sagacia di Un marito di Italo Svevo<br />
Un invito a rileggere un copione poco noto e di metodica crudeltà<br />
di GEMMA CRISCUOLI<br />
Esistono molti modi di sferrare un’invettiva.<br />
Si può avanzare con la potenza<br />
di una corazzata, sfoderando<br />
tutte le proprie armi senza preoccuparsi<br />
di apparire violenti o irriguardosi,<br />
colpendo l’avversario a viso aperto. È poi<br />
possibile ispirare con arti sottili il risentimento<br />
del pubblico verso l’oggetto dell’attacco, lasciando<br />
che altri scendano in campo a schierarsi<br />
contro ciò che va combattuto. Una terza strada<br />
consiste nell’agire sottotraccia, nel manifestare<br />
il proprio pensiero fingendo di assumere in toto<br />
le convenzioni del fronte opposto per poi scardinarle<br />
dall’interno con un paziente lavoro di<br />
decostruzione. Quest’ultimo modo di agire si riscontra<br />
in un capolavoro che si presta a continue<br />
rivisitazioni e riscoperte, nonostante<br />
detrattori e sostenitori continuino a dividersi in<br />
folte schiere: Un marito di Italo Svevo. L’opera,<br />
oggetto di numerosi rimaneggiamenti e riscritture<br />
fino al 1903, pur essendo già conclusa nel<br />
1895, è un potente atto d’accusa contro la società<br />
borghese e la sua abitudine a definire, irreggimentare,<br />
catalogare, incasellare. È uno<br />
squarcio impietoso che si apre nella più rispettabile<br />
delle istituzioni, la famiglia, roccaforte di<br />
Dal 21 novembre a Milano<br />
Le Troiane<br />
di Euripide<br />
un dramma<br />
senza tempo<br />
arà il Teatro Carcano di Milano ad accogliere il 21 novembre la<br />
Sprima delle Troiane, capolavoro euripideo che impreziosì il V secolo<br />
a.C. e ha ancora tanto da dire a dispetto del tempo che passa. Lo<br />
spettacolo resterà in programma fino al 2 dicembre. Guardando alla<br />
traduzione di Caterina Barone, Marco Bernardi dirige Carlo Simoni,<br />
Patrizia Milani, Sara Bertelà, Corrado D’Elia in un allestimento che si<br />
avvale delle scene di Gisbert Jaekel, dei costumi di Roberto Banci,<br />
delle luci di Lorenzo Carlucci. Il dolore che sgorga dal testo è quello<br />
irreparabile di chi sa di non avere più nulla da difendere. Troia è ridotta<br />
a un cumulo di macerie, i corpi abbandonati raccontano violenza e<br />
desolazione, le protagoniste della vicenda – Ecuba, Andromaca, Elena<br />
– attendono di essere destinate ai vincitori che le tratteranno come<br />
degli oggetti. Eppure esiste una grandezza che non può essere calpestata<br />
dalle armi, come ricorda Cassandra, la vergine invasata che<br />
narra ciò a cui nessuno crede per volere del dio a cui si negò. La figlia<br />
di Priamo, che sa bene di andare incontro a un sanguinoso destino,<br />
espone la semplice verità: i Greci devono all’inganno la loro vittoria,<br />
mentre i Troiani hanno lottato con tutto il coraggio di cui sono stati<br />
capaci. I vincitori sono morti lontano dalla patria, i vinti hanno avuto<br />
almeno il rispetto e l’amore dei congiunti. Mai sconfitta è stata così<br />
nobile, mai il sangue è bastato a se stesso: chi ha portato la morte soccomberà<br />
a sua volta, perché, come è detto nel prologo, chi calpesta<br />
città e tombe segna la propria perdita.<br />
red. proscenio<br />
Nella foto: Carlo Simoni<br />
uno status più che amoroso connubio. L’incongruenza<br />
degli assunti dettati dal senso comune<br />
si manifesta in tutta la sua evidenza con un crescendo<br />
implacabile. L’avvocato Federico Arcetri,<br />
che si è risposato con Bice dopo aver ucciso la<br />
prima moglie Clara per vendicare il proprio<br />
onore, rispondendo così in pieno al codice comportamentale<br />
dell’epoca, riceve la visita della<br />
madre dell’uccisa, Arianna, nome antifrastico<br />
perché non libera dal labirinto di pensieri nefasti,<br />
ma vi conduce il suo interlocutore. È lei infatti<br />
a riferirgli che alcune lettere rivelano un interessamento<br />
della moglie per un altro uomo; il protagonista<br />
rischia di rivivere il medesimo incubo.<br />
Nulla è però come sembra. Federico pare un<br />
uomo incapace di rimorsi, ma è torturato dal<br />
pensiero della felicità perduta con il colpo inferto<br />
a Clara. La madre di quest’ultima, che si presenta<br />
come acerrima nemica, nutre in realtà nei<br />
confronti del genero un affetto profondo e contrastato,<br />
proprio di chi vorrebbe avere accanto<br />
un figlio e non può coronare questo desiderio.<br />
Bice ha creato nell’amico Paolo Mansi l’illusione<br />
che potesse nascere qualcosa tra loro per ingelosire<br />
il marito sempre più indifferente, per poi<br />
comprendere che solo la viltà le ha impedito di<br />
consumare il tradimento. L’avvocato, che a sua<br />
volta desidera finalmente riconoscere una geni-<br />
Fino al 4 novembre all’Eliseo<br />
John Gabriel<br />
Borkman<br />
dal 16 ottobre<br />
a Roma<br />
trice in Arianna, l’unica del cui giudizio gli importi,<br />
rinuncerà a qualunque proposito di vendetta<br />
perché preoccupato unicamente della<br />
saldezza della propria unione in società e alimenterà<br />
con la complicità di Bice la finzione che<br />
l’originario nucleo composto da lui, dalla prima<br />
moglie e dall’anziana donna sia ricomposto. Le<br />
maschere si susseguono e si sfaldano in un continuo<br />
rovello di pensieri e ansie che rendono incongrue<br />
tutte le risposte dettate da un atteggiamento<br />
“razionale”. I benpensanti non possono<br />
che essere d’accordo con Arcetri, con la<br />
sua capacità di nascondere la polvere sotto il<br />
tappeto. Le consuetudini della vita civile risultano<br />
ridicoli scheletri che restano lì a confermare<br />
il fallimento di chi ha creduto di poter essere<br />
davvero padrone della propria identità. L’assurdo<br />
si nasconde tra le pieghe del consueto per prosperare<br />
senza interferenze. Ricreare ciò che non<br />
può tornare è una nevrosi che prospera al riparo<br />
dell’onorabilità. L’equilibrio è il velo fragile e ombroso<br />
dietro cui traspare il rimosso, l’inconfessabile,<br />
il funambolismo di una mente che preferisce<br />
un miraggio al reale. Si osservano le proprie<br />
ferite e Federico coglie nel segno dicendo: «Io<br />
stesso sono la malattia. Guarirò morendo».<br />
Nella foto: Italo Svevo<br />
omprendere il peso dei propri limiti e guardare in faccia un falli-<br />
Cmento sono scelte che richiedono, volenti o nolenti, enorme coraggio.<br />
Appare difficile ammettere che il peggior nemico possa<br />
annidarsi troppo facilmente nel cuore, dove si preferirebbe leggere<br />
soltanto un appagante senso di superiorità. John Gabriel Borkman di<br />
Henrik Ibsen, che Piero Maccarinelli dirigerà al Teatro Eliseo di Roma<br />
dal 16 ottobre al 4 novembre con Massimo Popolizio, Lucrezia Lante<br />
della Rovere, Manuela Mandracchia e Mauro Avogadro, racconta il disagio<br />
di un vinto che non intende ammettere la sconfitta e si ritrova<br />
in una rete di rancori e disillusioni. Borkman, che pur essendo ormai<br />
in rovina continua a credersi una sorta di mago dell’alta finanza, non<br />
è il solo a misurarsi con una realtà impietosa. Il suo amico Foldal, che<br />
non lo ha messo al bando al pari dei rispettabili conoscenti, è autore<br />
di un testo mai pubblicato e quindi a sua volta relegato in una sorta<br />
di fermo-immagine in cui la potenza non si traduce mai in atto. La<br />
moglie e l’amante del protagonista, sorelle non solo nel senso più<br />
chiaro del termine, si sono legate a un uomo che non le ha comunque<br />
amate come avrebbero desiderato. Le figure sul palcoscenico<br />
sono tutte in qualche modo inchiodate a un passato che non accetta<br />
di essere sepolto e torna a inquinare la vita a ogni passo. La scrittura<br />
di Ibsen asciuga ogni enfasi, mescola con rara sagacia il tragico e il comico,<br />
l’ambizione e la sua negazione, l’orgoglio e la violenza che si<br />
cela sotto vesti edificanti. Un’opera quanto mai attuale.<br />
red. proscenio<br />
Nella foto: Lucrezia Lante della Rovere<br />
Olivier Messiaen<br />
e il superamento<br />
dell’abisso<br />
Il Quatuor pour la fin du temps,<br />
ispirato dall’Apocalisse, inaugurò<br />
un “tempo” mitico di speranza<br />
per i sopravvissuti dei lager nazisti<br />
di MIKE <strong>SI</strong>VERS*<br />
e scritto durante la mia prigionia, il Quatuor<br />
pour la fin du temps ebbe la sua prima esecuzione<br />
nello Stalag VIII A, il 15 gennaio 1941.<br />
Questo accadeva a Görlitz, in Slesia, con un<br />
«Concepito<br />
freddo atroce. Lo Stalag era sepolto sotto la neve.<br />
Eravamo trentamila prigionieri (francesi per la maggior parte, con qualche<br />
polacco e belga). Suonavamo su strumenti di fortuna: il violoncello<br />
di Etienne Pasquier aveva solamente tre corde, i tasti del mio pianoforte<br />
verticale si abbassavano e non si rialzavano... Mi avevano affibbiato un<br />
vestito verde completamente stracciato e ai piedi calzavo zoccoli di<br />
legno. Il pubblico comprendeva persone di ogni ceto sociale: sacerdoti,<br />
medici, piccolo borghesi, militari di carriera, operai, contadini...».<br />
Con queste parole, tratte da Hommage à Olivier Messiaen, è lo stesso<br />
compositore a raccontarci le condizioni in cui si svolse l’anomala prima<br />
di quella che è una delle sue poche composizioni cameristico-strumentali.<br />
Il problema nell’affrontare la musica di Olivier Messiaen è quello<br />
della “contingenza”, o meglio: del rapporto più o meno stridente tra<br />
la contingenza (naturale, storica o personale) e l’eternità, l’atemporale<br />
trascendente. E questo è tanto più vero per uno dei suoi brani più significativi,<br />
il Quatuor pour la fin du temps, che di contingenza è quasi<br />
forzatamente nutrito, di contingenza è sostanziato, ma dalla contingenza<br />
è sfuggito, sia per le pulsioni che lo animarono, sia perché divenuto<br />
un esempio di “mito d’oggi”, con tutta l’ambiguità che il mito ha<br />
assunto su di sé in un ambito di relativismo, cifra stilistica di Messiaen.<br />
Le circostanze della composizione partirono da una situazione drammatica<br />
per determinarne una eroica, dunque mitica, ma l’operazione in<br />
sé fu determinante e superò l’ambito della contingenza storica per trovare<br />
un “tempo” di speranza oltre l’abisso della “fine del Tempo” di chi<br />
APPUNTAMENTI con la grande lirica italiana<br />
A Pechino al tempo<br />
delle favole<br />
Il teatro Comunale di Firenze<br />
ripropone la Turandot firmata<br />
da Zhang Yimou e Zubin Mehta<br />
di IDA PARO<br />
scatola sonora<br />
Lasciate andare e' canti figurati, e cantate e' canti fermi ordinati dalla Chiesa (Savonarola, 5 marzo 1496)<br />
sopravviveva nel campo di prigionia, così come nell’Europa dilaniata<br />
dalla guerra. Un’operazione determinante, indipendentemente dal materiale,<br />
per il suo trattamento, per la sua forma, che ne fa una delle più<br />
grandi invettive contro la guerra, negazione dell’Uomo, mai pronunciate.<br />
Ed ecco un altro impulso mitologizzante: Barthes asserisce che “il<br />
mito è una parola”, non intesa nel senso usuale del termine, è “un<br />
modo di significare, una forma, un sistema di comunicazione”. Il mito<br />
è forma e il Quatuor è una macchinazione divina che vive della sua<br />
forma, della sua struttura (temporale). Il Quatuor pour la fin du temps<br />
prende forma da questo brano dell’Apocalisse, tradotto in un linguaggio<br />
musicale, come dice il compositore stesso, “dall’essenza immateriale,<br />
spirituale e cattolica”: «Vidi poi un altro angelo, possente,<br />
discendere dal cielo: era avvolto in una nube e l’arcobaleno cingeva il<br />
suo capo; la sua faccia brillava come il sole; le sue gambe sembravano<br />
due colonne di fuoco [...] Posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla<br />
terra, emise un grido fortissimo, simile al ruggito del leone [...] Quindi<br />
l’angelo che prima aveva visto posarsi sul mare e sulla terra levò la mano<br />
destra verso il cielo e giurò nel nome di Colui che vive nei secoli dei secoli,<br />
Colui che ha creato il cielo e ciò che esso contiene, la terra e quanto<br />
essa contiene, il mare e ciò che esso contiene: ‘Non vi sarà più alcun indugio,<br />
ma quando il settimo angelo, farà udire il suono della sua<br />
tromba, allora sarà consumato il mistero di Dio [...]» Ap. 10, 1-7. La dimensione<br />
spazio-temporale si dilata all’infinito nell’ascolto. Il numero<br />
dei movimenti risponde a una logica ben precisa: sette è il numero perfetto<br />
nella Bibbia, il sabato è il giorno della santificazione, il giorno di<br />
riposo dopo la creazione del mondo, prolungata all’ottavo giorno, il<br />
giorno della lux æterna. È l’alba, tra le tre e le quattro del mattino, si<br />
sentono gli assoli dell’usignolo o dell’uccello notturno tra gli alberi: il si-<br />
Torna sul palcoscenico del Teatro Comunale<br />
di Firenze dal 27 novembre al 5 dicembre<br />
quella Turandot pucciniana, diretta da Zubin<br />
Mehta con la regia di Zhang Yimou che, osannata<br />
fin dal Maggio del 1997, ha conosciuto<br />
numerose riprese a Firenze e in Italia e le indimenticabili<br />
recite nella Città Proibita di Pechino.<br />
Di alto livello gli interpreti con Turandot che<br />
avrà la voce di Jennifer Wilson ed Elena Ponkratova,<br />
protagonista del secondo cast, il ruolo<br />
di Calaf, sarà, invece, diviso tra Jorge de Leòn<br />
e Rubens Pellizzari, mentre, quello di Liù tra<br />
Ekaterina Scherbaschenko e Serena Daolio. La<br />
parte strumentale, che sarà interpretata dall’Orchestra<br />
del Maggio è elaboratissima. Puccini<br />
si serve praticamente di due orchestre.<br />
Una, infatti è collocata in scena e include<br />
trombe, tromboni, percussioni e un organo.<br />
Per il resto l’organico è completo in ogni rango,<br />
per schizzare l’atmosfera attraverso effetti coloristici<br />
violenti e preziosi, sei trombe, quattro<br />
tromboni, di cui uno basso, tamburo di legno,<br />
gong grave e nella lunghissima lista anche due<br />
saxophoni alti, che legheranno il loro timbro<br />
misterioso e dolcissimo al coro delle voci bianche,<br />
doppiandoli dal dietro le quinte, allorché<br />
entrano in scena, nascosti, nel momento che<br />
precede l’entrata della principessa. Dal palco<br />
intoneranno, infine la melodia con cui l’imperatore<br />
si congeda, distillando aromi e spezie cinesi<br />
e siamesi, prima che la partitura esca allo<br />
scoperto splendente di impasti ferrigni.<br />
LO SCAFF<strong>AL</strong>E della lirica<br />
Floria Tosca<br />
tra Sardou e Bonino<br />
Tradotto da Einaudi il testo<br />
del drammaturgo francese<br />
al quale si ispirò Puccini<br />
di LORENZO DE DONATO<br />
ANTICA BOTTEGA D’ARTE DEL RAME “GIUSEPPE CELENTANO”<br />
di Vittorio Villari S.R.L. Sorta nel XVII secolo in Penta - Sa<br />
Complementi d’arredo, arredamento su misura,<br />
esecuzione su disegno del cliente, illuminazioni, bomboniere<br />
Eravamo trentamila prigionieri<br />
Suonavamo su strumenti di fortuna<br />
il violoncello di Etienne Pasquier<br />
aveva solamente tre corde<br />
i tasti del mio pianoforte verticale<br />
si abbassavano e non si rialzavano...<br />
lenzio del Paradiso è allo stesso tempo la celeste armonia precosmica (Liturgie<br />
de cristal). Nelle brevi sezioni estreme di Vocalise, pour l’Ange qui<br />
announce la fin du temps c’è il richiamo all’Angelo che scende dal cielo,<br />
il “luogo” dell’Eterno, mentre nella parte centrale il pianoforte esegue<br />
accordi dal suono perlato (“accordi blu-arancio”, come li chiama Messiaen).<br />
Il terzo movimento, Abîme des oiseaux, è dedicato al clarinetto<br />
solo. L’abisso è il Tempo che viene prima del tempo; gli uccelli stanno<br />
in contrasto col tempo perché desiderano la Luce, il clarinetto con le sue<br />
innumerevoli sonorità, le sue infinite “voci”, si pone alla sua disperata<br />
e continua ricerca. Lo scherzo (Intermède) conduce alla prima Louange<br />
à l’Eternité de Jésus: Gesù (violoncello) è il Verbo in principio, in un clima<br />
di distacco totale dal ritmo dei quattro strumenti all’unisono (Danse de<br />
la fureur, pour le sept trompettes) che riproducono la sonorità monolitica<br />
in fortissimo della settima tromba, con un’aumentazione del tema<br />
e cambi di registro. Fouillis d’arcs-en-ciel, pour l’Ange qui announce la<br />
fin du temps richiama certi passaggi del secondo movimento: appare<br />
l’Angelo nel tumulto del cielo che annuncia la fine dei tempi; per la seconda<br />
volta (non a caso) una Louange a l’Immortalité de Jésus, un lungo<br />
movimento per violino e pianoforte: è l’altro aspetto di Gesù, «vero Dio<br />
e vero uomo»: il verbo si è fatto carne, uomo, ma allo stesso tempo<br />
morte della morte per il nuovo Patto. La lenta salita verso i registri acuti<br />
del violino è la lenta ascesa della creatura al suo Creatore, della carne<br />
nella Carità, verso il Tempo di Dio. L’ “irregolarità” formale e strutturale<br />
si aggiunge alle tante “irregolarità” manipolatorie del materiale musicale,<br />
quasi a voler riaffermare: «Il mondo ha perfezioni per mostrare<br />
che è l’immagine di Dio, e ha imperfezioni per mostrare che è “soltanto”<br />
l’immagine di Dio». (Pascal).<br />
* già assistent Berklee College of Music Boston<br />
’arte nel suo mistero / le diverse bellezze<br />
«L insiem confonde; / ma nel ritrar costei /<br />
il mio solo pensier, Tosca, sei tu!». L’impetuosa<br />
figura di Tosca e la sua tragica sorte percorrono<br />
più d’un secolo vantando una storia multiforme,<br />
di generi e mezzi di rappresentazione.<br />
Victorien Sardou, drammaturgo francese del<br />
Secondo Impero e della Terza Repubblica ottiene<br />
lentamente con essa un’ampia popolarità:<br />
dopo i primi infausti tentativi, attraversando<br />
il Vaudeville e la satira politica, giunge all’elaborazione<br />
del dramma storico che gli garantirà<br />
l’elezione all’Académie Française nel<br />
1877. Il suo successo teatrale è garantito dall’irresistibile<br />
protagonismo della stella francese<br />
Sarah Bernhardt (nella foto), per la quale l’autore<br />
aveva già scritto Fedora. La Tosca, è cucito<br />
sulla Bernhardt Sardou è uno specialista della<br />
tecnica drammaturgica, della costruzione di intrecci<br />
di forte impatto emotivo e del mescere<br />
efficacemente la storia alla finzione narrativa.<br />
L’atmosfera capitolina del dramma, ancora<br />
calda della battaglia di Marengo offre la scena<br />
al tormentato amore di Tosca e Cavaradossi,<br />
intrecciando potere, religione, rivoluzione, patriottismo<br />
e anelito di libertà. Einaudi ripropone<br />
il testo del drammaturgo francese, a cura di<br />
Guido Davico Bonino, ponendolo a confronto<br />
con il libretto di Illica e Giocosa, al servizio della<br />
melodia di Giacomo Puccini, fornendo le chiavi<br />
al lettore per capire la forza di entrambe le scritture<br />
teatrali, così simili e così diverse.<br />
Lavorazione<br />
artistica del rame<br />
e ottone sbalzato,<br />
inciso e patinato<br />
con antiche<br />
tecniche<br />
artigianali<br />
Via Ponte Don Melillo - Loc. Pastenelle<br />
84084 Fisciano (Sa) Tel. e Fax. 089 8283202<br />
e-mail: vittorio.villari@alice.it<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 7
danza<br />
Ogni fase del movimento […], rivela un aspetto della nostra vita interiore (R.Laban)<br />
Lottare per affermarsi<br />
come professionisti<br />
sulla scena odierna<br />
Cosa significa<br />
essere<br />
una danzatrice<br />
contemporanea?<br />
di GISELDA RANIERI*<br />
Per me significa fare un lavoro bellissimo: seguire la passione<br />
di una vita (ho iniziato a danzare all’età di cinque<br />
anni), quello per cui ho studiato da sempre e che ha influenzato<br />
la scelta del mio percorso di studi (sono specializzata<br />
in Discipline dello spettacolo dal vivo presso il<br />
DAMS di Bologna). Una passione che, giorno per giorno,<br />
si è trasformata in lavoro. E c’è bisogno di questa per superare<br />
le difficoltà spesso implicate nel mestiere: bisogna<br />
lottare per vedersi affermati come professionisti al pari di<br />
altri tipi di lavori; perciò preferisco sottolineare la parola<br />
“lavoratore” e “professionista” ed evitare il più possibile<br />
quella di “artista”, per far guadagnare al danzatore una<br />
posizione al pari di tutti gli altri mestieri e fargli ottenere<br />
l’attenzione dovuta. La domanda che mi viene rivolta più<br />
di frequente è: «Ma ti pagano per farlo?». E non parlo<br />
dello sconosciuto che incontri casualmente per strada, ma<br />
anche delle persone a te vicine (familiari, amici, a volte gli<br />
stessi fidanzati, ma in quest’ultimo caso è forse meglio<br />
trovarsi un compagno che capisca subito che vita lo<br />
aspetta!) che non riescono a capire fino in fondo in cosa<br />
consista questo lavoro e , soprattutto, come si possa vivere<br />
con esso. Del resto non hanno tutti i torti, sia perché<br />
spesso più che vivere si sopravvive – ma mi pare un’odierna<br />
condizione comune della mia generazione e ormai<br />
anche di quella precedente – sia perché finché la società<br />
e le istituzioni per prime, non capiranno che la cultura non<br />
è solo beni da preservare, ma campo economico in cui investire,<br />
capace di generare denaro e contribuire all’economia<br />
del Paese, allora noi tersicorei saremo sempre<br />
relegati alla figura di eterni giovani appassionati e sgambettanti.<br />
Essere danzatore oggi significa abbracciare la vita<br />
della mobilità e della precarietà economica; fare una scelta<br />
specifica che inevitabilmente condiziona la vita lavorativa<br />
e sentimentale. Forse non dovrebbe essere neppure un lavoro<br />
(nell’antichità il danzatore è una figura quasi sacra,<br />
capace di contattare un’alterità che lo avvicina al divino e<br />
per questo sostenuto dalla comunità), ma siccome viviamo<br />
nel 2012, in questo tipo di società (capitalistica,<br />
consumistica, che premia un risultato/prodotto immediato<br />
piuttosto che la qualità del processo che porterà a risultati<br />
futuri e duraturi...), è bene aprire gli occhi il prima possibile<br />
e pensare al lavoro del danzatore più vicino al saper<br />
fare pratico dell’artigiano che non all’artista bohemién fin<br />
de siècle dedito alla ricerca intellettuale e all’esperienza<br />
sensoriale del vivere. O meglio, nel nostro mestiere che è<br />
un mestiere artistico, il sapere intellettuale dovrebbe unirsi<br />
e fondersi con quello pratico che si apprende attraverso<br />
l’esempio educativo e l’esperienza personale. Sudore e<br />
gioia, rabbia e amore, lotta e passione, questo per me significa<br />
essere una danzatrice contemporanea oggi.<br />
*Danzatrice delle Compagnie UBIdanza<br />
e <strong>AL</strong>DES/Roberto Castello<br />
Nella foto in alto:<br />
Giselda Ranieri e Guandalina Di Marco, Compagnia<br />
UBIdanza in Principesse. Villa Bombrini, Genova<br />
(ph.© Marco Pezzati)<br />
8 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
Città ‘visibilmente’ danzanti<br />
sullo sfondo dell’attualità<br />
Corpi Urbani 2012 – Il Festival Internazionale<br />
di Danza in Paesaggi Urbani di Genova<br />
si propone quale pregnante evento dell’anno<br />
REDAZIONE DANZA<br />
città che non si cancella<br />
dalla mente è come<br />
un’armatura o reticolo nelle<br />
«Questa<br />
cui caselle ognuno può disporre<br />
le cose che vuole ricordare:<br />
nomi di uomini illustri, virtù, numeri,<br />
classificazioni vegetali e minerali, date di battaglie,<br />
costellazioni, parti del discorso. Tra ogni nozione e<br />
ogni punto dell’itinerario potrà stabilire un nesso<br />
di affinità, o di contrasto, che serva da richiamo<br />
istantaneo alla memoria». È così Italo Calvino, in<br />
Le città invisibili, che descriveva la città e la memoria<br />
di Zora. La città – poiché reticolo di ricordi e richiamo<br />
della memoria – è il luogo del viaggio,<br />
personaggio/interprete del nostro vissuto; essa si<br />
modifica, in quanto spazio/scena, a seconda del<br />
personale stato d’animo e del bisogno di espressione,<br />
assumendo – di volta in volta – un nuovo significato<br />
e perciò un “nuovo ricordo”. Ecco che<br />
l’arte, il teatro e soprattutto la danza trovano nella<br />
città il luogo primordiale nel quale esprimersi, su<br />
cui disegnare e con il quale interloquire: uno spazio<br />
che contiene il performer e il pubblico, un<br />
luogo comune ad entrambi ma, al tempo stesso,<br />
“ri-creato”. Sotto questo aspetto lavora l’Associazione<br />
culturale ARTU - Arti per la Rinascita e la Trasformazione<br />
Urbana di Genova - già responsabile<br />
del progetto euroregionale di danza contemporanea<br />
nello spazio pubblico “Luoghi comuni” gemellato<br />
con Torino, Marsiglia, Avignone, Villeurbanne<br />
e Rillieux la Pape - giunta quest’anno alla X<br />
Edizione del Festival “Corpi Urbani”, svoltosi lo<br />
scorso 6-7-8- settembre nella città di Genova, con<br />
chiusura a Finale Ligure il 9 settembre. Un festival<br />
importante e di grande spessore internazionale,<br />
che richiama ogni anno un pubblico vasto ed eterogeneo<br />
grazie a forti collaborazioni: 19 spettacoli<br />
con 35 artisti di compagnie italiane e straniere.<br />
«L’arte può e deve rappresentare un valore aggiunto<br />
nei processi di trasformazione urbana in<br />
corso – spiega la direttrice artistica del Festival<br />
Corpi Urbani Eliana Amadio –. Gli artisti invitati al<br />
festival sono in alcuni casi già impegnati in forme<br />
d’arte meno diffuse e conosciute, e comunque<br />
sensibili ai percorsi creativi orientati alla sperimentazione<br />
di nuovi linguaggi. La maggior parte sono<br />
selezionati in altri festival del network internazionale<br />
CQD, e dalle professionalità emergenti nel<br />
mondo della danza sul territorio italiano e genovese.<br />
Idealmente, vogliamo favorire lo scambio tra<br />
diverse esperienze artistiche, provenienti da luoghi<br />
e culture differenti, e la nascita di nuove forme di<br />
contaminazione e cooperazione culturale e artistica».<br />
Nell’anteprima a Palazzo Ducale vi è stata la<br />
presentazione del progetto europeo Least Common<br />
Multiple e della rivista Dancing Cities, la mostra<br />
fotografica dal titolo Sei, più happening &<br />
installazione di Elena Cavallo. Lo stesso Palazzo Ducale<br />
ha visto le perfomance di Andrea Gallo Rosso<br />
in Occhi, Claudia Caldarano in Dialogo Tonie,<br />
Chiara Frigo in Suite-hope, Cristiano Fabbri in Affetti<br />
e il taiwanese Shang-Chi Sun in Traverse. Nel<br />
Parco Villa Duchessa di Galliera a Voltri la creazione<br />
ideata nell’ambito del progetto di scambio internazionale<br />
“Dance Channels” dal titolo Temporary<br />
maps, che ha visto la partecipazione di coreografi<br />
e danzatori inglesi, spagnoli e italiani e ha affrontato<br />
il tema del passaggio del tempo legandolo ad<br />
una visione personale e straniata della città: una<br />
mappa temporanea in cui sogni e ricordi personali<br />
ridisegnano il paesaggio urbano trasformando tutti<br />
noi in surreali turisti. La settecentesca Villa Bombrini<br />
a Cornigliano, situata nell’area ponente di Genova,<br />
ha fatto da teatro al sorprendente pas de<br />
deux tra un danzatore e una scavatrice Transports<br />
Exceptionnels, presentato dalla Compagnia francese<br />
Beau Geste che, dopo seicento repliche della<br />
sua performance, riesce a incantare gli astanti,<br />
avanti alla leggerezza e la potenza del gesto del<br />
danzatore e della “sua compagna”: la scavatrice si<br />
libera dalla sua veste simbolica propria della società<br />
contemporanea, scavalcando la pretesa di mostrarsi<br />
secondo l’obiettivo di superare l’idea tradizionale<br />
secondo cui l’opera d’arte occupa un livello<br />
di realtà sovratemporale e trascendente propria<br />
degli artisti dell’arte povera. Essa danza. Ed è attraverso<br />
l’atto del danzare, muovendosi nello spazio,<br />
costruendo lineari geometrie e vorticosi<br />
avvitamenti, che conquista portandoci in una realtà<br />
fantastica e mostrando, nell’incontro con il<br />
danzatore, la sua “anima” fragile chiusa in un<br />
corpo di macchina. E ancora le performance di Cristiano<br />
Fabbri/Koinégenova, dei Tecnologia Filosofica,<br />
di Andrea Gallo Rosso e Nicola Marrapodi,<br />
degli spagnoli Senza Tempo e, soprattutto, della<br />
Compagnia Ubidanza di Aline Nari.<br />
Per quest’ultima la scalinata di Villa Bombrini è<br />
stato il terreno dei giochi coreografici di Principesse<br />
(on stairs). Nuova creazione in divenire della coreografa<br />
Aline Nari, Principesse (in versione urbana<br />
per solo due interpreti) è altresì una tappa del progetto<br />
Stars on stairs che sarà presentato nel quadro<br />
di Métamorphoses, evento ideato da Lieux Public<br />
– Centre National de Création nell’ambito di Marseille-Provence<br />
2013, Capitale Europea della Cultura.<br />
“Principesse” sono le giovani donne di oggi,<br />
sognatrici disilluse e combattive che cadono, si rialzano,<br />
hanno il coraggio di nuovi sogni. Aline Nari<br />
è coreografa, danzatrice e studiosa di letteratura e<br />
teatro. Di formazione classica e contemporanea inizia<br />
l’attività professionale nel 1993 e lavora a lungo<br />
nella Compagnia Sosta Palmizi danzando sia con<br />
Raffaella Giordano sia con Giorgio Rossi. Debutta<br />
come coreografa nel 2000 con Danze minute e da<br />
allora crea diversi spettacoli e fonda con Davide<br />
Frangioni l’Associazione UBIdanza. Il nome unisce<br />
il latino ubi (congiunzione temporale o avverbio di<br />
stato in luogo) alla parola danza ad indicare che<br />
“danza” è per noi un concetto aperto (dove/<br />
quando), una sfida da accettare di fronte ad un panorama<br />
culturale e ad esigenze individuali sempre<br />
mutevoli. UBIdanza/Nari-Frangioni si indirizza verso<br />
la ricerca di un linguaggio attento al dialogo con la<br />
scena contemporanea, in cui la danza sia libera di<br />
contaminarsi con altri codici e di aprirsi alla relazione<br />
con l’altro, confrontandosi con l’esperienza di<br />
artisti di diversa provenienza geografica e culturale.<br />
Il movimento delle Principesse – Giselda Ranieri e<br />
Guendalina Di Marco – è ‘corposo’, rotondo, attento<br />
e conciso (visibile è il lavoro della coreografa<br />
Nella foto in alto: Transports<br />
Exceptionnels, Compagnie<br />
Beau Geste, Villa Bombrini<br />
Genova (ph © Marco Pezzati)<br />
Sopra: Attorno al Cuore<br />
di Cristiano<br />
Fabbri-Koinègenova<br />
Villa Bombrini, Genova<br />
(ph © Marco Pezzati)<br />
Aline Nari, Davide Frangioni<br />
Compagnia UBIdanza<br />
(ph © M. Mirabella)<br />
nel lavoro di sottrazione del superfluo) e fortemente<br />
lirico. Per “corposo” intendo vissuto, nella<br />
maniera in cui Rudolf Laban parlava di movimento<br />
“fatto”: «Il movimento – scriveva il danzatore ungherese<br />
nel suo L’arte del movimento del 1950 –<br />
ha una qualità che non è il suo aspetto utilitaristico<br />
e visibile, ma la sua sensazione. Si devono fare i<br />
movimenti, così come si devono ascoltare i suoni,<br />
per apprezzare pienamente il loro potere e il loro significato».<br />
La traccia poetica di “Principesse” accompagna<br />
la performance, rivelandosi via via e<br />
mostrandosi nella sua lettura dolcemente femminea.<br />
La scalinata di Villa Bombrini diventa ulteriore<br />
protagonista dell’esibizione, là dove le danzatrici<br />
cadono, rotolano, si rialzano, salgono, corrono,<br />
scherzano: snocciolano la loro storia in maniera<br />
leggera e divertente, caricando lo spazio attraverso<br />
i loro gesti, dialogando tra di loro e con il pubblico<br />
a cui è concesso il miglior luogo di osservazione.<br />
«Per leggere una città basta cercare le sue scale –<br />
spiega la coreografa Aline Nari –. Sedetevi in fondo<br />
ad una scalinata, guardate semplicemente i passanti<br />
che scendono e avrete già uno spettacolo coreografico<br />
in divenire». Principesse sarà in scena il<br />
14 ottobre a Venaria Reale (To) all’interno del progetto<br />
Stars on stairs di Jany Jeremy.<br />
Per informazioni su spettacoli, stage e laboratori<br />
http://www.ubidanza.com.<br />
La danza<br />
irlandese<br />
fra tradizione<br />
e contemporaneità<br />
Dalla “Ceili dancing”<br />
che si incontra nei pub<br />
ai ritmati Festival che animano<br />
un pomeriggio d’estate<br />
di ROBERTA BIGNARDI<br />
Forse è attraente per il suo essere così ospitale e – al tempo<br />
stesso – selvaggia, per quei valori così legati alla tradizione<br />
ma sorprendentemente aperti all’incontro con il “nuovo” e<br />
allo scambio reciproco. La terra d’Irlanda è bella! Il suo essere<br />
così misteriosa, tutta avvolta da un clima rigido che le ha consentito<br />
nella storia di preservare la sua identità, gli immensi spazi e le tradizioni,<br />
la rende ancora più affascinante. Nel mio soggiorno a Dublino<br />
e nel viaggio per la verdeggiante isola, ho avuto l’impressione per qualche<br />
istante che il tempo si fosse fermato mentre tutt’intorno, dal Donegal<br />
a Cork, da Galway alle Isole Aran, risuonavano i ritmi frenetici<br />
che accompagnano una danza corposa e vissuta, specchio teatrale della<br />
comunità, strumento di ribellione. Una sensazione che ti avvolge rapidamente<br />
quando entri nei pub di una qualsiasi cittadina e quando senti<br />
suonare il fiddle per le strade di Dublino: non si riesce a restare indifferenti<br />
e, mentre sorseggi una “spumosa” Guinnes, vieni rapito da un<br />
vortice contagioso. La danza, allora, diventa una sorta di luogo di scambio<br />
sociale, un momento di pura gioia dove potersi abbandonare. Portavoce<br />
di una tradizione secolare, la danza in Irlanda ha da sempre<br />
avuto un posto di primo ordine. I balli più famosi – come le Ceili dancing,<br />
Set dancing e Step dancing – si diffusero grazie all’immigrazione<br />
(che si ebbe soprattutto a metà Ottocento a causa della nota carestia<br />
delle patate) soprattutto in U.K., America, Canada, Australia e Nuova<br />
Zelanda. Oggi la danza tradizionale incontra quella moderna e contemporanea<br />
ritagliando, così, uno spazio sempre più importante all’interno<br />
dei numerosi festival che animano la “sorridente” estate<br />
irlandese: un’importante apertura, infatti, si è avuta da parte del Governo<br />
e del pubblico verso i suoi aspetti contemporanei, come strumento<br />
per indagare la realtà, specchio di riflessione per comprendere<br />
noi stessi. Un esempio è il “Kilkenny Festival”, che si è tenuto dal 10 al<br />
19 agosto nella graziosa cittadina a sud-est dell’Irlanda, con la pièce<br />
Swimming with my mother, vincitrice del “Fringe First Awards” all’Edimburgh<br />
Festival: un duetto tra l’acclamato coreografo irlandese<br />
David Bolger e sua mamma Madge di 78 anni, ex insegnante di nuoto.<br />
Nella performance dai tratti lievi e pacati, pervasa da una profonda dolcezza,<br />
il coreografo studia, riflette, confronta nello spazio teatrale,<br />
quella qualità del movimento, reso in precedenza, dalla pressione dell’acqua.<br />
Altro importante esempio è di sicuro il “Fringe Festival di Du-<br />
DANZA /1 Al Teatro Comunale da ottobre<br />
Ferrara<br />
una bella<br />
stagione di danza<br />
Uno sguardo critico<br />
sul momento<br />
ma anche alla tradizione<br />
danza<br />
Ogni fase del movimento […], rivela un aspetto della nostra vita interiore (R. Laban)<br />
blino”, in calendario lo scorso settembre, da sempre efficiente per la sua<br />
organizzazione, il programma artistico e per il livello tecnico: artisti irlandesi<br />
di livello internazionale hanno “occupato” tutta la città mostrando<br />
il lato più “creativo-contemporaneo” dell’arte irlandese, da<br />
Castle Street al Green Street Court House, da Temple Bar alla St. Patrick’s<br />
Cathedral con performances di teatro, danza e musica contemporanea.<br />
Allo slogan Occupy your imagination il pubblico si è riversato<br />
nelle strade, seguendo gli artisti nei parchi, vedendoli esibirsi nei teatri<br />
e nei luoghi “insoliti”. Tra tutte ricordiamo alcune rappresentazioni<br />
quali: An Outside Understanding del gruppo Croi Glan Integrated<br />
Dance, dove due danzatori, uno con una disabilità e l’altro senza, esplorano<br />
le loro lotte interne in un emozionante momento di danza; Codes<br />
dei Midaspaces con una breath-taking fusion digitale tra la danza, la<br />
musica e le proiezioni luminose; lo struggevole e sofisticato Dogs con<br />
Emma Martin Dance; il viscerale teatro-danza di Drenched con l’irlandese<br />
Luke Murphy; il magico ed emozionante Constellations dei Paper<br />
Dolls; Wildflowers di Arcane Collective dove il danzatore Oguri e il percussionista<br />
Adam Rudolph si sono esibiti in una serata di improvvisazione<br />
di musica e danza.<br />
E se la Dance House, in Foley Street, è di sicuro il tempio della danza<br />
contemporanea, dove trovare seminari, corsi, eventi e residenze per gli<br />
artisti, il “Dublin Dance Festival” è il più importante evento tersicoreo<br />
nel calendario artistico irlandese. Ogni anno a maggio, il Festival unisce<br />
Teatro Comunale di Ferrara presenta i grandi<br />
nomi, le nuove leve e le firme più innovative<br />
della coreografia internazionale. La stagione si<br />
aprirà proprio con il Festival di Danza Contemporanea<br />
martedì 9 ottobre: la Bill T. Jones / Arnie<br />
Zane Dance Company ritorna nella città estense<br />
con la ricostruzione di tre lavori di Bill T. Jones e<br />
Arnie Zane che hanno portato il gruppo al successo<br />
internazionale e rinnovato profondamente<br />
la coreografia americana negli anni ‘80. Una riflessione<br />
sul passato arriva anche con Duetto,<br />
pièce che Virgilio Sieni e Alessandro Certini realizzarono<br />
nel 1989 per la Compagnia Parco Butterfly,<br />
presentata a Ferrara il 6 dicembre<br />
nell’ambito del progetto RIC.CI - Reconstruction<br />
Italian Contemporary Choreography. In prima<br />
nazionale anche la proposta della Compagnie La<br />
Baraka / Ballet Contemporain d’Alger del coreografo<br />
franco-algerino Abou Lagraa, che il 23 ottobre<br />
presenterà Univers… l’Afrique. Il Festival di<br />
danza contemporanea sarà quest’anno particolarmente<br />
attento a quella italiana con l’Aterballetto,<br />
nel suo Alice nel paese delle meraviglie (3<br />
novembre), l’Accademia Teatro alla Scala (17 novembre)<br />
e la settima edizione rassegna “Fuoristrada”,<br />
promossa dalla rete Anticorpi. E ancora<br />
la tradizione classica con il Balletto di San Pietroburgo<br />
nello Schiaccianoci (9 gennaio), al passionale<br />
tango di Miguel Angel Zotto e la sua<br />
compagnia (16 febbraio) per chiudere con la<br />
Compagnia internazionale Ailey II (16 aprile), costituita<br />
dallo stesso Alvin Ailey nel 1974 e da allora<br />
affermatasi come una delle più rappresentative<br />
compagnie degli Stati Uniti. Per informazioni:<br />
http://www.teatrocomunaleferrara.it/.<br />
di GABRIELE ESPO<strong>SI</strong>TO<br />
Nella foto: Ailey II La compagnia Ailey II<br />
(ph. ©Eduardo Patino)<br />
di BRUNO DE MARCO<br />
All that we can do<br />
in punta di piedi<br />
fino a novembre<br />
Al via la 27ª edizione<br />
del Romaeuropa<br />
Festival 2012<br />
insieme danzatori e coreografi da ogni angolo del mondo per far incontrare<br />
la vibrante danza contemporanea e il pubblico irlandese.<br />
Dall’11 al 26 maggio scorsi si è svolta l’ottava edizione, che è stata scandita<br />
da varie aree, quali “Opening Performances”, “Family Spectacular”,<br />
“Festival Performances”, “Off Stage-On Street”, “Dance on Film”,<br />
“Master Classes” e “Meet the Artists”. La precedente edizione ha<br />
aperto con due performance coinvolgenti: Body and Forgetting (in<br />
prima mondiale) di Liz Roche Company e The Wake di Sarah Dowling.<br />
Ospite d’onore del Dublin Dance Festival è stata la Trisha Brown Dance<br />
Company con un mix di brani storici e famosi della coreografa americana.<br />
Dopo nove anni dalla sua nascita, nell’agosto del 2011, Julia Carruthers<br />
ha preso il ruolo di direttore artistico, dopo aver trascorso<br />
maggior parte della sua carriera in Inghilterra. Nei prossimi anni il DDF<br />
continuerà a partecipare ai due network, E-Motional Bodies & Cities e<br />
Aerowaves. Assieme alle loro consolidate partnerships di casa, questi<br />
due network rappresentano un grande supporto per i danzatori e i coreografi<br />
in Irlanda. Il fine è quello di provocare e far nascere nuove risposte<br />
nei confronti della danza contemporanea. La mission del DDF è<br />
quella di essere presente in un panorama di danza internazionale e promuovere<br />
il meglio della coreografia contemporanea e dei suoi artisti, sviluppando<br />
un pubblico sempre più importante in Irlanda. «Noi crediamo<br />
– mi conferma la direttrice artistica Julia Carruthers – che l’Irlanda possa<br />
essere un internazionale punto di vista per i cambiamenti artistici e la<br />
loro collaborazione. Noi abbiamo un ruolo preciso che è quello di sviluppare<br />
e supportare la coreografia irlandese con strade pratiche. Attraverso<br />
il lavoro del Festival, aspiriamo a creare un incremento di<br />
opportunità per il pubblico. Le relazioni internazionali, consuete e miracolose<br />
della danza ha raccolto insieme artisti provenienti da 17 Paesi<br />
per mostrare al pubblico di Dublino cosa sta succedendo insieme sia a<br />
casa loro sia nel panorama internazionale».<br />
Il nuovo programma sarà disponibile da Natale su http://www.dublindancefestival.ie/index.php<br />
Nella foto: Trisha Brown Dance Company in Set and Reset<br />
Dublin Festival 2012 (ph. © Julieta Cervantes)<br />
Constellations, Company- PaperDolls<br />
subjects Karen Anderson, Fringe Dublin Festival 2012<br />
(ph© Malcolm McGettigan)<br />
DANZA /2 In corso a Roma la kermesse internazionale<br />
utto quello che noi possiamo fare» è<br />
«Tl’invito che il “Romaeuropa Festival”<br />
rivolge quest’anno al suo pubblico, sensibile<br />
all’urgenza della creazione artistica protagonista<br />
di una società che cambia: 9<br />
prime italiane, 1 prima europea e 5 prime<br />
assolute in programma fino al 25 novembre<br />
in otto suggestivi luoghi della città (Opificio<br />
Telecom Italia, Teatro Argentina,<br />
Palladium Università Roma Tre, Teatro Eliseo,<br />
Auditorium Conciliazione, Teatro Vascello,<br />
Auditorium Parco della Musica,<br />
Brancaleone).<br />
Un programma che include da Akram<br />
Khan, che lo scorso 26 settembre ha presentato<br />
al Teatro Argentina il suo nuovo<br />
spettacolo Desh allo storico ospite del Festival,<br />
Bill T. Jones, alle due donne coreografe<br />
che affrontano i riti e le smanie della<br />
vita quotidiana, Sasha Waltz e Constanza<br />
Macras. E ancora: la più importante compagnia<br />
di danza israeliana, Batsheva Dance<br />
Company diretta dal coreografo Ohad Naharin,<br />
l’italiano Virgilio Sieni che ha scelto i<br />
palcoscenici di Romaeuropa per la prima<br />
romana del suo ultimo lavoro, De Anima,<br />
mentre dalla Spagna arrivano per la prima<br />
volta in Italia le nuove proposte di Daniel<br />
Abreu, Animal e Muriel Romero e Pablo Palacio<br />
con Stocos.<br />
Infine, interviste agli artisti, estratti video,<br />
approfondimenti e pillole dell’archivio storico<br />
saranno disponibili sul nuovo canale<br />
Romaeuropa WEB tv da settembre su romaeuropa.net.<br />
Nella foto: Bill T. Jones/Arnie<br />
Zane Dance Company<br />
in Story / Time<br />
(ph© byPaul B.Goode)<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 9
arte moderna<br />
Ma, dopo Rembrandt e Frans Hals, questo van der Meer è uno dei primi maestri di tutta la scuola olandese? (T. Thoré-Bürger)<br />
Una finestra<br />
sui cortili<br />
dell’Olanda<br />
In scena alle Scuderie<br />
del Quirinale la quotidianità<br />
della vita interpretata<br />
dalla pittura al tempo di Vermeer<br />
di ANNA SEMPERLOTTI<br />
romano celebrerà i fasti della grande pittura<br />
olandese del Seicento inaugurando la stagione espositiva<br />
delle Scuderie del Quirinale con la mostra “Vermeer.<br />
Il secolo d’oro dell’arte olandese” a cura di Arthur<br />
L’autunno<br />
K. Wheelock (National Gallery di Washington), Walter<br />
Liedtke (Metropolitan Museum di New York) e Sandrina Bandera (Soprintendente<br />
di Milano). Fino al 20 gennaio 2013 i grandi artefici della<br />
fioritura artistica di Delft accompagneranno il visitatore nelle strade,<br />
nei cortili, nelle perdute consuetudini quotidiane della cittadina dell’Olanda<br />
meridionale, fucina di creatività a cavallo tra la prima e la seconda<br />
metà del XVII secolo. Di questa pittura di genere, intima,<br />
costellata da discrete presenze umane è maestro Johannes Vermeer<br />
(1632-1675), di cui per la prima volta in Italia sono esposte insieme<br />
otto delle tele che fanno parte del suo ristretto corpus di opere certe,<br />
in prestito dalle più prestigiose collezioni d’arte internazionali. La sua<br />
arte è rimasta nell’ombra finché, ai primi del Novecento, un estimatore<br />
d’eccezione come Marcel Proust fa di lui il pittore prediletto di<br />
Swann, il protagonista della Recherche. Le vicende che riguardano la<br />
sua attività artistica restano fino ad oggi piuttosto frammentarie e incerte.<br />
Il padre, documentato come mercante d’arte, organizza aste<br />
Caravaggio torna a casa<br />
Messina mostra<br />
la Resurrezione<br />
di Lazzaro dopo<br />
il restauro romano<br />
Dopo sette mesi di cura, presso l’ISCR del Ministero per i Beni Culturali,<br />
il Museo “Maria Accascina” di Messina espone, fino a novembre,<br />
uno dei più importanti dipinti eseguiti in Sicilia dal Caravaggio,<br />
La Resurrezione di Lazzaro. In mostra sono presenti pannelli didattici<br />
che illustrano le fasi del restauro, realizzato grazie all’Associazione Culturale<br />
Metamorfosi che ne ha curato l’esposizione a Roma presso Palazzo<br />
Braschi. La tela è annunciata in un contratto del 6 dicembre 1608<br />
nell’intenzione del mercante Giovanni Battista de’ Lazzari di costruire<br />
a sue spese la cappella maggiore della chiesa dei Padri Crociferi e decorarla<br />
con un quadro. Doveva effigiare Maria col Battista e altri santi,<br />
ma nell’atto di consegna (10 luglio 1609) è indicata come di mano di<br />
“fra Michelangelo Caravagio militis Gerosolimitanus”. Rimase sull’altare<br />
fino al 1866, poi approdò nel Museo Civico di Messina nel 1879<br />
e da lì, dopo il terremoto del 1908, nella sede attuale. L’esecuzione<br />
della tela segue a stretto giro Il Seppellimento di santa Lucia di Siracusa.<br />
Dal gesto del Cristo indicante Lazzaro per richiamarlo alla vita, ripreso<br />
dalla Vocazione di san Matteo della chiesa romana di San Luigi dei<br />
Francesi, si espande una luce, assolutamente fisica, che coincide con<br />
quella soprannaturale, la stessa che trascorre dalle teste dei gruppi di<br />
figure presenti fino al corpo riportato alla vita di Lazzaro. Caravaggio<br />
ha voluto enfatizzare fino all’estremo il momento decisivo del fluido<br />
energetico che passa dalla mano di Gesù a quella di Lazzaro.<br />
(l.m.)<br />
Nella foto: Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro (part.), 1609<br />
olio su tela, Messina, Museo Regionale<br />
10 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
nella locanda di cui è proprietario e, benché non commerci in opere<br />
di particolare pregio, intesse rapporti con artisti ed estimatori, favorendo<br />
l’inclinazione di Vermeer alla pittura e il continuo aggiornamento<br />
sui fermenti artistici della città di Delft. Le prime prove su tela,<br />
per le quali tuttavia non c’è unanimità d’attribuzione, sono ben lontane<br />
dal Vermeer ormai noto al grande pubblico, il giovane pittore<br />
mostra infatti una predilezione per i soggetti sacri e mitologici utilizzando<br />
una pennellata e uno stile compositivo tipici della pittura italiana,<br />
conosciuta forse nell’ambito del florido mercato d’arte di<br />
Amsterdam, dove Arthur Wheelock ritiene si sia svolta, almeno in<br />
parte, la sua formazione. Per la Santa Prassede (1655), della collezione<br />
Piasecka Johnson, presente in mostra, ha addirittura un preciso<br />
modello di riferimento nel dipinto, di medesimo soggetto, realizzato<br />
dall’italiano Felice Ficherelli (1605–1660). Nel giro di qualche anno, la<br />
svolta stilistica è netta: Vermeer si apre al nuovo e dipinge La stradina<br />
(1657), del Rijksmuseum di Amsterdam, una sorta di quadro nel quadro<br />
i cui piani di rappresentazione sono molteplici. Qui l’artista comincia<br />
a curiosare nei cortili interni, dietro le finestre, in silenzio per non<br />
turbare lo svolgimento delle mansioni domestiche. Nessuna sbavatura<br />
aneddotica o divertente siparietto rendono effimero l’attimo furtivo<br />
fermato dal pittore sulle tele, la luce calda del mutevole cielo olandese<br />
unifica gli elementi armonizzando quella “grana burrosa” dei colori<br />
elogiata due secoli più tardi dai fratelli Goncourt. Oltre alle opere del<br />
maestro olandese, si ammirano una cinquantina di dipinti di suoi contemporanei,<br />
come Pieter de Hooch (1629-1684), nativo di Rotterdam<br />
e trasferitosi a Delft nel 1654, con il quale Vermeer si muove in parallelo.<br />
Autore di celebri interni organizzati in successione prospettica,<br />
come ne La camera da letto (1660), fa delle costruzioni spaziali il suo<br />
interesse predominante, le figure che le albergano non sono curate<br />
nelle fisionomie né tradiscono sfumature emotive. Proprio nella definizione<br />
della componente psicologica degli effigiati si distingue invece<br />
la pittura di Gerard ter Borch (1617-1681), non è certo il lussuoso soggiorno<br />
con caminetto che interessa lo spettatore de La curiosità (1660),<br />
bensì lo spavaldo salto della ragazzina sul predellino per spiare il contenuto<br />
di una lettera. Si annoverano anche opere di Carel Fabritius<br />
(1622-1654), Nicolaes Maes (1634-1693), e ancora Gerrit Dou (1613-<br />
1675), patriarca della Scuola dei Fijnschilders, Frans van Mieris (1635-<br />
1681), Gabriel Metsu (1629-1667), Jacob Ochtervelt (1634-1682).<br />
Mostra dossier<br />
Nella foto in alto: Johannes Vermeer, La stradina di Delft<br />
1657, olio su tela, Amsterdam, Rijksmuseum<br />
Il Canton Ticino<br />
omaggia<br />
il pittore ticinese<br />
Pier Francesco Mola<br />
La Pinacoteca Züst di Rancate nel Canton Ticino offre al visitatore,<br />
fino al gennaio 2013, un omaggio al pittore ticinese Pier Francesco<br />
Mola (1612-1666), artista che ha inciso profondamente sulle sorti della<br />
pittura romana alla metà del Seicento. Nato a Coldrerio (Mendrisiotto),<br />
Mola raggiunge nel 1616 il padre Giovan Battista, architetto della camera<br />
apostolica, al quale rimane legato fino al 1633. Non abbiamo certezze<br />
sulla sua formazione, tranne i racconti degli scrittori d’arte Giovan<br />
Battista Passeri e Lione Pascoli, i quali ci informano del suo apprendistato<br />
presso le botteghe di Prospero Orsi e del Cavalier d’Arpino (c.1625-<br />
1626), lavorando con Francesco Albani e viaggiando tra 1633 e 1649<br />
fra Veneto, Lombardia ed Emilia. Rientrando a Roma, (c.1647), egli ha<br />
avuto come committenti importanti casate come i Pamphili, Chigi, Omodei<br />
e Costaguti. Nel quattrocentesimo anniversario della nascita, la mostra,<br />
curata da Laura Damiani Cabrini, presenta tele e disegni che<br />
dialogano con le opere permanenti nelle sedi dello Stato del Cantone Ticino<br />
e nel Museo Cantonale di Lugano. A sancire la rivalutazione critica<br />
del Mola hanno contribuito gli studi di Cocke (1972), della Sutherland<br />
Harris (1974) e del Genty (1979), sfociati nell’importante mostra del<br />
1989 al Museo di Lugano, oltre alle acquisizioni da parte del Cantone<br />
Ticino di opere del Mola come Suonatore di viola da gamba, nel 1977,<br />
e nel 1984 della Sfida tra Apollo e Marsia, mentre il Museo Cantonale<br />
possiede oggi il San Girolamo in meditazione, capolavoro della maturità.<br />
(l.m.)<br />
Nella foto: Pier Francesco Mola, Giovane suonatore di viola da gamba<br />
(part.), 1635-1666, olio su tela, Lugano, Museo Cantonale d’Arte<br />
Francesco Guardi tra “capricci” e “visioni”<br />
Venezia svela<br />
il rivale del Canaletto<br />
Nel terzo centenario della nascita di Francesco Guardi<br />
(1712-1793), il Museo Correr di Venezia dedica all’ultimo<br />
grande vedutista del Settecento una mostra<br />
monografica, dal 29 settembre 2012 al 6 gennaio 2013,<br />
con lo scopo di illustrare la complessa produzione artistica<br />
del maestro lagunare. La mostra, con ordinamento<br />
sia cronologico sia tematico, si sviluppa attraverso selezionati<br />
dipinti e disegni, all’interno di un corpus assai<br />
vasto ed eterogeneo che annovera le magnifiche vedute<br />
di Venezia e i fantasiosi capricci della maturità, ma<br />
soprattutto presenta al grande pubblico le opere giovanili<br />
di figura e le scene di interni. Queste ultime, come<br />
il Ridotto e il Parlatorio delle monache di San Zaccaria<br />
ora a Ca’ Rezzonico, si ispirano alla pittura di costume di<br />
cui Pietro Longhi (1702-1785) è il massimo esponente a<br />
Venezia. Francesco impara il mestiere stando a contatto<br />
con il fratello Gianantonio (1699-1760) quando quest’ultimo<br />
eredita la bottega alla morte del padre Domenico<br />
(1678-1716). Francesco inizia dipingendo figure di<br />
sotto in su, sospese con leggerezza e composizioni dal<br />
tocco multiplo, tutte macchie luminose di una sorprendente<br />
intensità; le vedute giovanili e i paesaggi di fantasia,<br />
i “capricci”, riecheggiano le composizioni di<br />
Canaletto (1697-1768) e Michele Marieschi (1710-1743).<br />
La stesura pittorica è fluida e controllata, ancora lontana<br />
da quella frizzante e stenografica che lo renderà<br />
celebre, ad esempio nei Grandi Paesaggi dell’Ermitage<br />
dove l’elemento naturale è trasfigurato da vibranti e irreali<br />
effetti luministici, mentre veri e propri capolavori<br />
tra i “capricci” sono i due grandi Paesaggi fantastici del<br />
Metropolitan Museum di New York. Queste tele sintetizzano<br />
tutti i caratteri dell’artista: le sintesi nervose<br />
della scrittura, i vapori d’ombra e di luce che si alternano<br />
sulle rovine, i paesaggi, le figurette, una poesia di visionario,<br />
fra le più alte tra i pittori vedutisti coevi. Il<br />
segno veloce, che è stato proprio del Magnasco, è applicato<br />
con gravità alle vedute e al paesaggio lagunare<br />
con le sue case popolari, con le immagini delle cose consunte<br />
dall’usura degli elementi, immagini di accento<br />
preromantico, nostalgico, completamente estraneo al<br />
Canaletto.<br />
Luca Mansueto<br />
Nella foto: F. Guardi, Il Bucintoro a San Nicolò del Lido<br />
(part.) 1775-1778, olio su tela, Parigi, Louvre<br />
I tesori della Banca<br />
A Prato la Popolare<br />
di Vicenza<br />
apre la sua<br />
collezione d’arte<br />
Il Palazzo degli Alberti, già del casato Magini, oggi sede della Banca<br />
Popolare di Vicenza, ha concluso l’opera di restyling per armonizzare<br />
le esigenze operative con quelle museali. La Galleria ospita, oltre alle<br />
opere pratesi, anche un nutrito nucleo di tele appartenenti alla Scuola<br />
fiorentina del Seicento, annoverando Francesco Furini, Carlo Dolci e<br />
Volterrano. La visita al Palazzo merita anche solo per la presenza di ben<br />
due capolavori assoluti dell’arte italiana: il dipinto di Giovanni Bellini<br />
raffigurante Il Crocifisso con cimitero ebraico e la superba tela della Coronazione<br />
di spine di Caravaggio. Quest’ultima, grazie a recenti indagini,<br />
ha avuto la piena conferma dell’autografia del Merisi il quale, in<br />
una sua lettera autografa, informa di averla dipinta per Massimo Massimi<br />
a Roma prima del 1605. «Caravaggio – afferma Mina Gregori –<br />
volle impersonare nel Cristo l’umiliazione connaturata alla condizione<br />
umana in un sostanziale pessimismo enunciato con stoico distacco».<br />
Il dipinto di Bellini, uno dei massimi pittori della pittura veneta tra ‘400<br />
e ‘500, raffigura il Cristo immerso nell’assolata campagna veneta sul<br />
cui fondo si ravvisa la torre di piazza e la facciata del Duomo di Vicenza.<br />
Antonio Paolucci annovera quest’opera «tra i venti quadri più<br />
belli e più commoventi del mondo, un capolavoro di sublime poesia».<br />
Dalla visita non si potrà eludere la Madonna col bambino di Filippo<br />
Lippi dalla quale si staglia grazie ai delicati toni del rosa e avorio degli<br />
incarnati, oltre che per il blu oltremarino della veste.<br />
(l.m.)<br />
Nella foto: Caravaggio, Coronazione di Spine (part.), c.1602<br />
olio su tela, Prato, Palazzo Alberti<br />
Il pubblico è protagonista<br />
alla Strozzina di Firenze<br />
NESSUNO <strong>SI</strong> AZZARDA A MANGIARE IN UN MUSEO,<br />
qualcuno prova ancora a toccare le<br />
tele. Ma oltre alle norme del vivere civile,<br />
quali sono le regole per guardare un’esposizione<br />
d’arte contemporanea? Il Dipartimento<br />
Educazione e Mediazione CCC<br />
Strozzina prova a spiegarlo attraverso il<br />
progetto “Visitatori emancipati”, un percorso<br />
sperimentale in mostra per adulti che<br />
invita lo spettatore a essere maggiormente<br />
consapevole di ciò che osserva, per diventare<br />
fruitore attivo. Reverenza e scetticismo<br />
verso le opere vengono accantonati a favore<br />
di una sana e auspicabile curiosità e<br />
voglia di partecipare. I mediatori del Centro<br />
di Cultura Contemporanea, aggiornati sui<br />
più recenti studi sull’educazione museale,<br />
sono impegnati nella progettazione di percorsi<br />
dialogici, in cui si abbandona la tradizionale<br />
visita frontale a vantaggio di un<br />
confronto con il pubblico che porta tra le<br />
sale espositive il suo bagaglio culturale,<br />
come un valore aggiunto. Oggi la didattica<br />
non è più dedicata solo ai bambini: tra i<br />
compiti del mediatore c’è la comprensione<br />
delle peculiarità dei visitatori (età, competenze,<br />
ruolo sociale...). Al fine di garantire<br />
un’esperienza che non si riduca a originale<br />
“passeggiata culturale”, vengono organizzati<br />
quattro appuntamenti laboratoriali, a<br />
cadenza mensile, per avvicinarsi a questa<br />
delicata questione in maniera sperimentale,<br />
proponendo diversi momenti di riflessione<br />
sul ruolo del pubblico nel contesto di una<br />
mostra di arte contemporanea. Giovedì 25<br />
ottobre il primo appuntamento. Si prosegue<br />
il 29 novembre, il 20 dicembre e il <strong>24</strong><br />
gennaio 2013. Tutti gli appuntamenti<br />
hanno inizio alle 21,00. L’attività è gratuita<br />
ed è necessaria la prenotazione: didatticastrozzina@palazzostrozzi.org<br />
Claudia Gennari<br />
arte istituzioni<br />
Un nuovo edonismo, questa volta su basi di massa, pervade la città contemporanea (G. Amendola)<br />
Al teatro fiorentino Obihall “Il palcoscenico verticale”<br />
<strong>SI</strong> È <strong>TENUTA</strong> <strong>D<strong>AL</strong></strong> <strong>24</strong> <strong>LUGLIO</strong> <strong>AL</strong> 9 <strong>SETTEMBRE</strong> <strong>PRESSO</strong> <strong>IL</strong> TEATRO FIORENTINO OBIH<strong>AL</strong>L la mostra “Il<br />
palcoscenico verticale”, nata intorno all’idea di sipario, non più semplice diaframma<br />
fra pubblico ed espressione ma oggetto artistico che si intreccia con musica,<br />
video e fotografia, ribadendo la contaminazione tanto cara ai linguaggi della contemporaneità.<br />
Quattro artisti italiani quali Aldo Mondino, Carla Accardi, Getulio Alviani<br />
e Mimmo Paladino hanno reinterpretato sulla scia italiana dei sipari dipinti, la<br />
loro idea di sipario, portando alla nascita della collezione di sipari d’artista del Teatro<br />
Obihall. Aldo Mondino con Applausi è stato il primo ad accogliere l’idea nel<br />
2005, due anni più tardi Carla Accardi con Sipario Rossooro, segue nel maggio del<br />
2010 Getulio Alviani con il suo gioco di bianchi e neri Permutabile Negativopositivo<br />
(nella foto) e per finire Mimmo Paladino con Attori, utilizzato il 19 gennaio 2012 per<br />
il concerto della Bandanardò. Curata da Marco Meneguzzo, la mostra ha ospitato<br />
una sezione video allestita in collaborazione con “Lo schermo dell’arte” che illustra<br />
il modo di lavorare dei singoli artisti e il loro rapporto con alcuni musicisti, fra i quali<br />
Franco Battiato, Brian Eno e Lucio Dalla. A completare l’esposizione è stata la galleria<br />
fotografica di ritratti d’artisti contemporanei di Maria Mulas che ha dato il suo<br />
personale contributo ritraendo gli artisti dei sipari in mostra.<br />
Tommaso Capecchi<br />
A Napoli un ciclo di conferenze per sottolineare il valore civile dell’arte<br />
Ai “Martedì” si discute di pittura figurativa, paesaggio e identità nazionale con Settis e Caglioti<br />
Roberto Longhi ha scritto che «ogni italiano dovrebbe<br />
imparar da bambino la storia dell’arte come una lingua<br />
viva, se vuole aver coscienza intera della propria Nazione».<br />
Proprio da questo concetto prende ispirazione<br />
il ciclo di conferenze: “I martedì dell’arte - Lezioni napoletane<br />
sull’altra lingua degli italiani: arte figurativa, paesaggio e<br />
identità nazionale”. Il ciclo di lezioni, tenute da storici dell’arte<br />
come Salvatore Settis e Francesco Caglioti, si concluderà il 27 novembre,<br />
con l’intento di riflettere sul valore civile dell’arte. Gli incontri,<br />
ospitati dal Teatrino di Corte del Palazzo Reale di Napoli,<br />
sono organizzati dalla Fondazione Napoli Novantanove, con il sostegno<br />
dell’ANISA (Associazione Nazionale Insegnanti di Storia dell’Arte)<br />
e l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. «Nella<br />
tradizione italiana, e prima ancora in quella classica – spiegano gli<br />
organizzatori del progetto –, l’arte figurativa non è mai stata un<br />
Convegni. In “scena”<br />
la Tribuna degli Uffizi<br />
L PRINCIPE DELLA TRIBUNA. Collezionismo, storio-<br />
“Igrafia artistica e immagini della sovranità medicea”<br />
è il titolo del convegno internazionale che dal 29<br />
novembre al 1° dicembre si svolgerà presso il Kunsthistorisches<br />
Institut di Firenze, in cooperazione con Antonio<br />
Natali (Uffizi) e Massimiliano Rossi (Università del<br />
Salento). La recente presentazione del restauro della<br />
Tribuna buontalentiana degli Uffizi, cuore della Galleria,<br />
si colloca all’interno del progetto Nuovi Uffizi e<br />
conclude l’intenso mese che l’ha vista protagonista di<br />
epocali interventi di riallestimento. Gli studiosi che parteciperanno<br />
a questo incontro, grazie alle scoperte documentarie<br />
e a quest’ultimo restauro, intendono<br />
riconsiderare la dimensione celebrativa e architettonica<br />
della Tribuna, la genesi tipologica e la «campionatura<br />
superlativa» (Barocchi) dei dipinti.<br />
l.m.<br />
A Torino si parla<br />
di computer graphic<br />
TREDICE<strong>SI</strong>MA EDIZIONE DEL CONVEGNO INTERNA-<br />
ZION<strong>AL</strong>E DI COMPUTER GRAPHIC,“View Conference”,<br />
manifestazione cresciuta nel corso degli<br />
anni e partita dalla semplice idea di rivolgersi e<br />
aggiornare non solo gli addetti ai lavori sulle applicazioni<br />
del digitale. Coscienti che i media interattivi<br />
non siano più utilizzati unicamente per<br />
la rielaborazione d’immagini fotografiche o delle<br />
animazioni 2D e 3D per film e videogiochi, come<br />
più comunemente si crede. Attraverso la voce<br />
di grandi ospiti internazionali ma anche workshop<br />
e stand espositivi, fra il 16 e il 19 ottobre,<br />
nell’ambito della rassegna TorinoIncontra, presso<br />
gli spazi del Centro Congressi, sarà possibile<br />
scoprire quanto la digitalizzazione investa la nostra<br />
stessa quotidianità.<br />
m.f.<br />
fatto privato, né tanto meno un’evasione nella neutralità morale<br />
dell’estetica: almeno quanto la letteratura, l’arte ha invece strutturato<br />
e rappresentato il pensiero e l’identità civile del nostro Paese.<br />
Chi passeggia nel cuore delle nostre città, avverte che la bellezza<br />
che lo circonda è inseparabile dal senso di cittadinanza, di giustizia<br />
e di vita morale che quasi informano ogni pietra e ogni statua. La<br />
forma dei luoghi è stata anche la forma della comunità civile e la<br />
forma morale dei cittadini. E il discorso sull’arte è sempre stato un<br />
discorso sull’interesse pubblico, non sull’intrattenimento privato:<br />
una altissima linea plurisecolare che è sfociata nella Costituzione,<br />
grazie alla quale la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio<br />
storico e artistico della Nazione». Il compito degli storici dell’arte<br />
deve essere quello di permettere ai cittadini di riappropriarsi del patrimonio<br />
culturale del Paese, riconoscendo in esso una delle specificità<br />
che lo rende unico al mondo e percependolo come parte<br />
&<br />
Perepepè alla Fondazione<br />
Pescheria di Pesaro<br />
FINO <strong>AL</strong> 21 OTTOBRE, PERCOR<strong>SI</strong> TRA MU<strong>SI</strong>CA,<br />
TEATRO, CINEMA, PAROLA, IMMAGINE E CIBO.<br />
Una manifestazione artistica che anima la<br />
città e promuove l’incontro in tutte le sue<br />
varie forme. Un lavoro in divenire, i cui eventi<br />
saranno costruiti e creati direttamente dai<br />
partecipanti. A piazza del Suffragio s’incontreranno,<br />
tutte le sere, cittadini e associazioni<br />
per raccontarsi i modi dell’abitare la città;<br />
mentre per Mitologie Urbane, progetto di residenza<br />
per giovani artisti, gli argomenti verteranno<br />
sui temi del territorio. Diaries 365, è<br />
infine, la mostra fotografica che racconta Pesaro,<br />
attraverso gli scatti realizzati uno al<br />
giorno per un anno. Courtesy ph Federico<br />
Tamburini.<br />
m.l.p.<br />
integrante della propria storia di italiano. Le giovani generazioni<br />
potranno così ricercare nell’arte le radici della propria storia e della<br />
propria civiltà. La Fondazione Napoli Novantanove, costituita da<br />
Maurizio Barracco e Mirella Stampa Barracco nel 1984, con l’intento<br />
di contribuire attivamente alla promozione del patrimonio<br />
culturale attraverso la formazione permanente, anche in questa occasione<br />
ha voluto coinvolgere non solo la cittadinanza che vorrà<br />
partecipare alle conferenze, ma anche gli istituti scolastici nazionali,<br />
attraverso un concorso rivolto alle scuole primarie e secondarie,<br />
chiamate a riflettere sul tema: “L’altra lingua degli italiani”, con<br />
l’obiettivo di formare nei ragazzi una nuova consapevolezza del<br />
Bene Culturale.<br />
Maggiori informazioni sul sito della Fondazione Napoli Novantanove:<br />
www.napolinovantanove.org.<br />
Angela Della Corte<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 11
interviews<br />
Il primo documento è lʼopera (R. Longhi)<br />
In alto e sopra:<br />
Mina Gregori<br />
Mina Gregori è nata a Cremona<br />
nel 19<strong>24</strong>. È professoressa<br />
emerita di Storia dell'Arte<br />
Moderna presso l’Ateneo di<br />
Firenze, già ordinaria dal 1973<br />
al 1999. Direttrice della rivista<br />
“Paragone”, presiede la<br />
Fondazione di Studi di Storia<br />
dell'Arte “Roberto Longhi”.<br />
Specialista della pittura<br />
lombarda tra Sei e Settecento,<br />
compreso Caravaggio del quale<br />
è la massima esperta vivente,<br />
i naturalisti bresciani e la scuola<br />
bergamasca, come Fra’ Galgario<br />
e Moroni. Ha curato oltre cento<br />
mostre tra le quali: “Il Cigoli e il<br />
suo ambiente”, 1959; “Il<br />
Morazzone”, 1962; “Giovanni<br />
da San Giovanni”, 1978;<br />
“Giovan Battista Moroni”, 1979;<br />
“Raffaello a Firenze”, 1984;<br />
“I Campi e la cultura artistica<br />
cremonese nel Cinquecento”,<br />
1985; “Caravaggio e il suo<br />
tempo”, 1985; “Il Seicento<br />
fiorentino”, 1986; “Sofonisba<br />
Anguissola e le sue sorelle”,<br />
1994. Nella sua vasta<br />
bibliografia si segnalano:<br />
Il Cerano, 1964; Giacomo Ceruti,<br />
1982; Uffizi e Pitti. I dipinti delle<br />
Gallerie Fiorentine, 1994, oltre<br />
alle collane “I centri della<br />
pittura lombarda”, 1986-1999;<br />
“Pittura murale in Italia”, 1995-<br />
1998 e “Fasto di corte.<br />
La decorazione murale nelle<br />
residenze dei Medici e dei<br />
Lorena”, 2005-2009. Per i meriti<br />
dei suoi studi ha ricevuto<br />
l’onorificenza di Cavaliere di<br />
Gran Croce Ordine al Merito<br />
della Repubblica Italiana (1996)<br />
e la Legion d'Onore della<br />
Repubblica Francese (1999).<br />
12 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
L’occhio educa la mente<br />
del bravo conoscitore<br />
Memorie degli anni di formazione ed attualità<br />
della storia dell’arte nell’intervista a Mina Gregori<br />
intervista di LUCA MANSUETO<br />
Cremonese di origine ma fiorentina<br />
d’adozione, Mina Gregori è fra le<br />
maggiori studiose di Caravaggio. Allieva<br />
di Roberto Longhi, da lui ha<br />
ereditato l’interesse per il pittore<br />
lombardo, su cui ha organizzato mostre e conferenze,<br />
scritto libri e saggi. Tra le rassegne da lei<br />
curate sul pittore fondamentale è quella del<br />
1991 “Michelangelo Merisi da Caravaggio.<br />
Come nascono i capolavori” in cui ha spiegato il<br />
metodo di lavoro dell’artista. Ha partecipato alle<br />
celebrazioni per i quattrocento anni della morte<br />
del Merisi curando la mostra “Caravaggio e la<br />
modernità. I dipinti della Fondazione Longhi” e<br />
collaborando a “Caravaggio e caravaggeschi a<br />
Firenze”.<br />
Come era la sua famiglia e come si è sviluppata<br />
la sua passione per la storia dell’arte?<br />
Provengo da una famiglia in cui da generazioni<br />
la musica ha avuto un ruolo assai significativo.<br />
La mia vita è iniziata con otto ore ogni giorno di<br />
pianoforte di una zia pianista che sentivo dalla<br />
stanza dove studiavo. La mia fortuna è stata<br />
quella di ricevere una formazione liceale d’eccellenza<br />
grazie all’incontro con il prof. Alfredo Puerari<br />
che insegnava letteratura italiana e storia<br />
dell’arte, un connubio perfetto. Già al liceo classico<br />
adottavo un mio metodo attributivo che<br />
consisteva nel non guardare i nomi degli autori<br />
per indovinarli. All’Università di Firenze mi distinguevo<br />
nelle esercitazioni d’attribuzione, un<br />
approccio critico che riconobbi in Longhi il quale<br />
insegnava a Bologna, dove mi recai per seguire le<br />
sue lezioni e seminari, non prima di avergli comunicato<br />
la mia intenzione recandomi direttamente<br />
nella sua casa fiorentina con una bicicletta<br />
prestata da un’amica.<br />
Che personalità era Roberto Longhi?<br />
A lezione notai che parlava come scriveva, con<br />
la stessa eleganza. La storia dell’arte per lui era<br />
collegata alla letteratura e da questa era nobilitata.<br />
Da lui ho appreso l’approccio, l’esposizione<br />
e la scrittura che erano non solo da storico dell’arte,<br />
ma da letterato. Longhi era una personalità<br />
molto calma, distaccata, ma ogni qualvolta<br />
apriva bocca si imparava. È morto nel 1970, ma<br />
la Fondazione fu da lui creata quando ancora era<br />
vivo nell’intento di fare scuola, selezionando giovani<br />
studiosi italiani e stranieri. Dopo la sua<br />
morte, la moglie Anna Banti ha diretto la Fondazione<br />
per quindici anni ed è stata fondamentale<br />
nel mantenere viva l’istituzione. Mi teneva<br />
vicina perché pensava che dopo la morte di Francesco<br />
Arcangeli e di Carlo Volpe, solo io potessi<br />
assicurare la continuità.<br />
Cosa vuol dire essere longhiano e qual è il<br />
metodo che lei insegna per essere ottimi conoscitori<br />
d’arte?<br />
Il metodo longhiano consiste nell’approccio visivo<br />
delle opere, cioè non partire dai documenti<br />
o dalle letture, questi strumenti del secondo momento<br />
dell’indagine longhiana, ma iniziare sempre<br />
dall’oggetto che ti guida. Come affermava<br />
Longhi: “Il primo documento è l’opera”. La curiosità<br />
di conoscere è lo stimolo fondamentale<br />
per lo storico dell’arte. Viaggiare e vedere le<br />
opere dal vivo è il divertimento sportivo del nostro<br />
lavoro di conoscitori. Ricordo che un giorno<br />
entrai a lezione e dissi: “Basta andare in biblioteca!”.<br />
I ragazzi mi guardarono con stupore, e<br />
aggiunsi: “Andate troppo in biblioteca, ma non<br />
abbastanza nei musei!”.<br />
Oggi lei è universalmente riconosciuta<br />
come la massima studiosa esistente su Caravaggio,<br />
ma come è nato lo studio e la scoperta<br />
di questo personaggio?<br />
Sono inciampata con Caravaggio. Non osavo<br />
avvicinarmi al Merisi, era argomento di Longhi e<br />
di Mahon. Io ero giovane, ma un giorno ho scoperto<br />
un Caravaggio, il Cavaliere di Malta nei depositi<br />
di Palazzo Pitti. Così mi ritrovai coinvolta,<br />
impiegai degli anni per pubblicarlo, per approfondire<br />
tutto il suo periodo tardo, poco conosciuto<br />
in quanto si studiava soprattutto il periodo<br />
giovanile del maestro.<br />
Esistono oggi nell’attività di Caravaggio<br />
zone d’ombra e incognite ancora da studiare<br />
e approfondire, alla luce di nuove attribuzioni,<br />
alcune discutibili?<br />
Oggi c’è una difficoltà metodologica: è vista<br />
con sospetto l’attività attribuzionistica da coloro<br />
i quali vengono chiamati “restrizionisti” ovvero<br />
chi vorrebbe conoscere il Merisi solo per le opere<br />
citate dalle fonti del Seicento. Non c’è dubbio<br />
che Caravaggio non ha una stilistica a cui appoggiarsi<br />
e questo fa sì che sia difficile studiarlo,<br />
ma anche riconoscere la bontà degli studi che<br />
altri fanno. C’è pertanto una situazione di stallo<br />
tra “restrizionisti” ed “espansionisti”, io vado<br />
avanti per la mia strada e il tempo giudicherà.<br />
Quanto vengono in aiuto della ricerca le<br />
indagini scientifiche?<br />
Per quanto io creda nell’occhio, oggi non si<br />
può più fare a meno delle indagini scientifiche,<br />
come radiografie e riflettografie che ci consentono<br />
di conoscere l’iter attraverso il quale il pittore<br />
arriva alla realizzazione dell’opera. Queste<br />
consentono di scoprire i segreti pittorici più nascosti,<br />
a corredo della lettura in superficie dell’opera.<br />
Dedicando una vita all’arte e all’insegnamento,<br />
quali cambiamenti ha riscontrato e<br />
quale consiglio lascia ai giovani storici dell’arte?<br />
Oggi gli studenti hanno tutti gli strumenti<br />
messi a disposizione, ma anche un quadro storico-critico<br />
più ampio rispetto alla mia generazione.<br />
Oggi la letteratura su tutti gli argomenti è<br />
cresciuta, ragione per cui c’è un’iperspecializzazione.<br />
La crescita delle voci bibliografiche ha portato,<br />
ritengo impropriamente, i giovani a concentrare<br />
gli studi nella ricerca settoriale, invece<br />
questi devono avere una conoscenza vasta, io<br />
dico almeno del secolo del proprio argomento in<br />
cui si lavora, la priorità della ricerca è conoscere<br />
rapporti e relazioni tra pittori, opere ed il loro<br />
contesto.<br />
Nei Sassi a Matera proposte della giovane scultura italiana<br />
iovani scultori e residenze per artisti, è questa la<br />
Gformula scelta per la 27ª edizione de “Le Grandi<br />
Mostre nei Sassi di Matera” inaugurata, in ritardo, nei<br />
primi giorni di settembre nel complesso monastico di<br />
Madonna delle Virtù e di San Nicola dei Greci. La collettiva<br />
dal titolo “Periplo della Scultura Italiana Contemporanea<br />
3” curata da Giuseppe Appella e Marta<br />
Ragozzino, è divisa in più sedi: il citato complesso monastico<br />
che da decenni ospita ogni estate grandi mostre<br />
dedicate alla scultura contemporanea, il MUSMA,<br />
acronimo di Museo della Scultura Contemporanea Matera<br />
e il Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna<br />
della Basilicata a Palazzo Lanfranchi. In esposizione<br />
opere di: Giorgio Andreotta Calò (Venezia 1979), Francesco<br />
Arena (Torre Santa Susanna 1978), Giuseppe Capitano<br />
(Campobasso 1974), Alice Cattaneo (Milano<br />
1976), Emmanuele De Ruvo (Napoli 1976), Francesco<br />
Gennari (Pesaro 1973), Perino & Vele (Ermanno Perino,<br />
New York 1973 - Luca Vele, Rotondi 1973), Donato Piccolo<br />
(Roma 1976), Luca Trevisani (Verona 1979), Nico<br />
Vascellari (Vittorio Veneto 1976), Antonella Zazzera<br />
(Todi 1976). Una scelta che, non poteva essere diversamente,<br />
tiene fuori tanti altri nomi di rilievo della scena<br />
artistica, soprattutto quei nomi meno presenti nei cir-<br />
cuiti oramai abusati delle fiere d’arte ma anche delle<br />
mostre veicolate dall’economia del mercato. Mancano<br />
all’appello figure, per fare dei nomi, quali Paolo Radi,<br />
Emanuela Fiorelli, Franco Fienga, Silvia Venturi, Marina<br />
Fulgeri, insomma nomi che certamente potevano contribuire<br />
ad allargare il dibattito proposto dai curatori,<br />
sui linguaggi. Resta, al di là dei suggerimenti, un’occasione<br />
importante che offre uno spaccato della situazione<br />
italiana, insistendo sui giovani e, soprattutto,<br />
continuando caparbiamente a tenere alto il contributo<br />
che Matera in questi anni ha dato al dibattito critico in<br />
Italia. A tale prospettiva operativa si collega anche l’esigenza<br />
– si legge in catalogo – di porsi in relazione al<br />
«percorso di candidatura della città di Matera a Capitale<br />
Europea della Cultura nel 2019, per il quale è fondamentale<br />
che la città dei Sassi diventi sempre di più un<br />
vitale centro di produzione culturale ed artistica». La<br />
mostra è visitabile fino al 27 novembre.<br />
Per informazioni: info@musma.it - w.w.w.musma.it<br />
v.m.<br />
Nella foto: Emmanuele De Ruvo, Hypermnetic British<br />
Café – construction, legno, ceramica, argento<br />
specchio e zucchero, 2010<br />
arte contemporanea<br />
Tra le prime persone che incontrai a Venezia nel 1946 vi fu un artista di nome Vedova (P. Guggenheim)<br />
Santiago, Peggy Guggenheim collezionista d’avanguardie<br />
Al Centro Cultural Palacio la Moneda in mostra le opere di una incredibile “passione” per il contemporaneo<br />
Il 26 agosto 1978, per celebrare i suoi ottanta anni, il direttore<br />
dell’Hotel Gritti di Venezia offrì a lei e ai suoi ospiti una cena. Per<br />
renderle omaggio c’era una bandiera con scritto, oltre al suo nome,<br />
«All’ultima Dogaressa». Oggi la figura di Peggy Guggenheim è presentata<br />
per la prima volta in Cile, su invito del Ministro della Cultura,<br />
grazie ad una mostra promossa dal Centro Cultural Palacio la Moneda di<br />
Santiago dal 30 ottobre al 28 febbraio 2013. La mostra dal titolo “Peggy<br />
Guggenheim, collezionista d’avanguardie” propone un’ottantina di capolavori,<br />
tra dipinti e sculture, che ripercorrono l’esperienza della collezionista<br />
e provenienti dalle raccolte di New York e di Venezia. Un percorso<br />
espositivo che concentra l’attenzione sulle avanguardie degli anni Dieci,<br />
con opere dei principali esponenti del Cubismo, dell’Astrattismo, del Surrealismo,<br />
dell’Espressionismo astratto americano e dell’arte europea e americana<br />
post-belliche, proponendo inoltre una sezione di documenti che<br />
Centre Pompidou<br />
incontro sull’Arte Povera<br />
I N<br />
IT<strong>AL</strong>IA, NEGLI ANNI SESSANTA l’Arte Povera è<br />
una risposta alla società dei consumi che altrove<br />
si era espressa com’è noto in Pop Art o<br />
in estetiche che comunque accettavano la nascita<br />
di una civiltà urbana centrata sul kitsch.<br />
Contro una posizione feticista dell’idea di oggetto<br />
artistico, i protagonisti del movimento<br />
concepiscono l’opera d’arte non come fatto<br />
concluso ma come organismo vitale che si<br />
nutre del tempo e del suo inevitabile deterioramento.<br />
Il 21 novembre alle ore 19 il Centre<br />
Pompidou accoglierà due dei principali protagonisti<br />
del movimento per un incontro che ripercorrerà<br />
la storia di una delle più significative<br />
esperienze artistiche della scena italiana.<br />
a.o.<br />
Napoli, laboratori<br />
della scrittura<br />
R IPARTONO<br />
Laboratori<br />
del contemporaneo<br />
nell’antico convento<br />
È rivolta ai giovani studenti<br />
l’iniziativa al “FRAC” di Baronissi<br />
DI GIADA C<strong>AL</strong>IENDO<br />
ricostruiscono i momenti salienti della carriera della Guggenheim e il suo<br />
“amore” per Venezia. «Non sono mai stata – scrive nella sua autobiografia<br />
– in una città capace di darmi lo stesso senso di libertà di Venezia. [Essa]<br />
non è solo la città della libertà e della fantasia, ma è anche la città del piacere<br />
e della gioia. Non ho mai visto piangere nessuno qui, se non a un funerale».<br />
È una mostra che si inscrive nel vasto programma di manifestazioni<br />
promosse in più sedi dalla Fondazione per il 2012; tra queste “Dimensione.<br />
‘Al velodromo’ di Jean Metzinger" curata da Rylands ed Weddigen;<br />
"I giganti dell’Avanguardia: Miró, Mondrian, Calder e le Collezioni Guggenheim"<br />
curata di Luca Massimo Barbero e infine la retrospettiva di Capogrossi.<br />
Era il 1938 quando inaugura la Guggenheim Jeune, galleria<br />
d’avanguardia a Londra, con la supervisione dell’amico Marcel Duchamp<br />
e dedica la mostra di apertura a Jean Cocteau. Da allora prende l’abitudine<br />
di acquistare almeno un’opera da ogni esposizione realizzata: un modo<br />
I LABORATORI DI SCRITTURA CREATIVA<br />
“Lalineascritta” organizzati dall’associazione<br />
Aldebaran Park, diretta dalla napoletana<br />
Antonella Cilento che, in vent’anni di<br />
attività come autrice, giornalista, sceneggiatrice<br />
e tutor scolastico, ha definito un metodo<br />
per insegnare a scegliere le proprie storie e a<br />
tradurle in narrazione perchè, sosteneva Raymond<br />
Carver, «le parole sono tutto ciò che<br />
abbiamo, perciò è meglio che siano quelle<br />
giuste». Il primo laboratorio di scrittura narrativa<br />
inizierà in ottobre e terminerà a dicembre<br />
con un primo trimestre dal titolo Dalla<br />
pagina bianca al racconto, tenuto dalla stessa<br />
Cilento.<br />
C on<br />
m.f.<br />
A Padova in mostra<br />
i disegni di Fabrizio Plessi<br />
D <strong>AL</strong><br />
il nuovo anno scolastico per i giovanissimi<br />
studenti delle ultime classi delle scuole<br />
elementari e delle medie di Baronissi, l’arte contemporanea<br />
non sarà più così distante. Da novembre<br />
al FRAC – Fondo Regionale d’Arte<br />
Contemporanea (museo d’interesse regionale),<br />
partiranno gli incontri e i laboratori didattici proiettati<br />
ad educare i giovani all’arte contemporanea,<br />
ai suoi aspetti storici, a quelli creativi e<br />
alle tecniche. Il progetto dal titolo “Il FRAC in<br />
erba”, sostenuto dalla Regione Campania, con<br />
l’apporto della Provincia di Salerno e del Comune<br />
di Baronissi, si iscrive nel più ampio programma<br />
“Un museo incontro al futuro: la<br />
promozione tra rete e didattica” rivolto alla conoscenza<br />
e allo studio del patrimonio acquisito<br />
in questi anni dalla struttura museale, situata<br />
nel cuore della Valle dell’Irno. Il programma prevede,<br />
inoltre, l’attivazione online del catalogo<br />
delle proprietà museali. Il progetto didattico “Il<br />
FRAC in erba” si rivolge essenzialmente agli studenti<br />
della fascia di istruzione elementare e<br />
media, sollecitando e sviluppando, in itinere,<br />
momenti di incontro con giovani interessati all’arte<br />
contemporanea. Il target guarda ad<br />
un’età compresa fra i 5 e i 12 anni e prevede<br />
una pianificazione progettuale lungo tre direttive:<br />
un primo approccio all’arte attraverso la<br />
manipolazione semplice di materiale artistico;<br />
conoscenza dell’arte attraverso alcuni cenni storici<br />
con particolare attenzione alle personalità<br />
attive in ambito regionale; approfondimento<br />
dei temi con il confronto ravvicinato con le<br />
27 OTTOBRE 2012 <strong>AL</strong> 13 GENNAIO 2013,<br />
il Palazzo della Ragione di Padova ospiterà<br />
l’evento espositivo dal titolo “Fabrizio<br />
Plessi. Il flusso della Ragione”, curato da Annamaria<br />
Sandonà. La mostra offrirà una panoramica<br />
dell’attività creativa dell'artista<br />
emiliano, partendo da disegni progettuali,<br />
esposti per la prima volta al pubblico, fino a<br />
giungere alla grande videoinstallazione, collocata<br />
nel Salone dell’antico Palazzo, che riprodurrà<br />
suoni e visioni degli elementi naturali<br />
quali l’acqua e il fuoco, cifre riconoscibili dei<br />
suoi lavori. Plessi instaura, in maniera armonica,<br />
un dialogo tra la memoria del passato e<br />
l’immaginario tecnologico presente.<br />
per non deludere gli artisti che non vendevano nulla, ma forse, senza esserne<br />
del tutto consapevole, per creare la base della sua collezione. Con lo<br />
scoppio della Seconda Guerra mondiale Peggy si trasferisce in America<br />
portando con sé l’artista Max Ernst e la sua collezione che arriva intatta a<br />
New York nel luglio del 1941. Qui fonda la galleria Art of This Century che<br />
ha subito un notevole successo: gran parte degli artisti che tratta sono europei<br />
fuggiti dalla guerra ma anche giovani artisti americani alle loro prime<br />
personali, Pollock, Motherwell, Baziotes, Still. Finita la guerra Peggy decide<br />
di tornare in Europa e nell’unica città che l’ha sempre colpita: Venezia.<br />
È il luogo più adatto, dove creare la seconda parte della propria vita.<br />
Alla XXIV Biennale è invitata ad esporre la sua intera collezione. La sua è<br />
un’esistenza straordinaria che intreccia le vicende delle neoavanguardie,<br />
respirando l’aria di quelle storiche da lei tanto amate.<br />
Federica Pace<br />
a.r.<br />
opere – dipinti, disegni, sculture e grafiche –<br />
della collezione permanente del Museo-FRAC<br />
di Baronissi. L’obbiettivo, si legge nelle note che<br />
accompagnano il progetto, è contribuire alla divulgazione<br />
della cultura artistica contemporanea<br />
della regione Campania, da sempre al<br />
centro degli studi e delle ricerche del FRAC, divenuti<br />
cifra del patrimonio artistico museale accresciuto<br />
negli anni a seguito di cospicue<br />
acquisizioni e donazioni. «Valorizzare e far conoscere<br />
la notevole collezione permanente<br />
composta da un vasto fondo di disegni nonché<br />
da numerose opere pittoriche, scultoree e fotografiche<br />
e la produzione con i new media, di<br />
A Benevento: Navarra<br />
taccuino eoliano<br />
Complessa la mostra che Enzo Navarra propone<br />
come evento inaugurale dell’Arte<br />
Studio-Gallery di Benevento: una installazione<br />
organizzata intorno al tema del viaggio,<br />
dello Stromboli e della sua mitologia. Alle pareti<br />
della piccola galleria gli acquerelli, le matite,<br />
i pastelli realizzati dall’artista nel corso<br />
del soggiorno sulla piccola isola dell’arcipelago<br />
delle Eolie in estate; mentre sulla parete,<br />
frontale all’ingresso, un taglio ricorda la sciara<br />
che sparge l’essenza del racconto nei lapilli<br />
che animano il pavimento. All’esterno un<br />
boato “avverte” ed “accompagna” il visitatore.<br />
«Sullo sfondo c’è lo Stromboli – scrive Bignardi<br />
–, ovvero il vulcano e la sua aria di<br />
antica divinità greca; la spiaggia di pietre e<br />
ciottoli neri di Ficogrande; poi il giardino<br />
l’Aquilone, per Enzo una sorta di Giverny<br />
arabe, messo su e curato da Francesco e dai<br />
suoi collaboratori nel pianoro che porta alle<br />
pendici della montagna fumante. […] I fogli di<br />
carta fatta a mano, ruvidi e ricchi di cotone,<br />
assorbenti pronti a trattenere ogni sbavatura<br />
di colore e di acqua, dichiarano il desiderio di<br />
concorrere, con la sabbia, la pomice polverizzata<br />
e la cenere, nel dare materie e spessori<br />
all’immagine. Dentro, nel rettangolo bianco,<br />
segni obliqui trascrivono il gesto della mano<br />
mentre descrive la sciara che scivola verso il<br />
mare, portando con sé lapilli infuocati, pietre<br />
che vanno ad arricchire lo specchio azzurro<br />
che incornicia il vulcano». Indubbiamente la<br />
pittura gioca il suo ruolo, con la capacità di<br />
evocare i luoghi toccando rapidamente la retina<br />
e l’emozione, suggerendo colori di atmosfere<br />
che difficilmente Navarra fa sfuggire; lo<br />
fa senza indugiare sulla forma narrativa, a<br />
volte distraendosi dalla sintassi, ossia affiancando<br />
colori di diversa luminosità, accentuando<br />
il carattere cromatico del rosso a<br />
discapito del viola, delle sfumature del grigio<br />
che disperde nel bianco del fondo».<br />
g.c.<br />
noti artisti contemporanei del Mezzogiorno<br />
d'Italia vuol dire – spiega Giovanni Moscatiello,<br />
sindaco di Baronissi – accendere l’interesse delle<br />
nuove generazioni rispetto alla storia della Campania<br />
e quindi la loro stessa immensa cultura».<br />
Le attività che saranno svolte, condividendo il<br />
cronoprogramma discusso ed organizzato preventivamente<br />
con i dirigenti scolastici e i professori<br />
degli istituti coinvolti, seguiranno due<br />
precise linee: una rivolta alla “didattica dell’immagine”,<br />
una a quella della “forma”. L’idea di<br />
fondo è partire dalla percezione della realtà con<br />
tutti i suoi limiti per giungere a comprendere le<br />
infinite possibilità immaginative e quindi espressive<br />
attraverso l’utilizzo di diverse tecniche.<br />
«È un progetto che risponde agli intenti programmatici<br />
del FRAC sin dalla sua costituzione<br />
nel 2002, mostrando – evidenzia Domenico De<br />
Chiara, responsabile dell’area Cultura del Comune<br />
– una volontà di intervenire concretamente<br />
nel territorio, in linea con la programmazione<br />
di eventi, le mostre collettive, le numerose<br />
antologiche che hanno caratterizzato e<br />
caratterizzano i primi dieci anni di vita della<br />
struttura. Una scelta che risponde alla necessità<br />
di un continuo e rinnovato rapporto con il pubblico,<br />
mirando ad un aggiornamento dei servizi<br />
museali e delle offerte».<br />
Sopra: Errico Ruotolo, Figura, (particolare)<br />
1960-61, Fondo “Disegno”, Museo-FRAC<br />
A lato: Peter Ruta, Venezia, 1957, Fondo<br />
“Disegno”, Museo-FRAC<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 13
figure<br />
Artista del nuovo secolo capace di riflessione simbolica e concettuale (G. Dorfles)<br />
Il mondo di Ugo? Segni, disegni<br />
scritture e corpi trasportati dal mare<br />
Il 15 ottobre di un anno fa moriva lo scultore Ugo Marano<br />
protagonista di una delle pagine più significative dell’arte italiana<br />
di MAS<strong>SI</strong>MO BIGNARDI<br />
Sono certo che esporre nella città culla del Rinascimento<br />
italiano, non l’avrebbe minimamente<br />
scomposto, anzi sarebbe stata un’ulteriore occasione<br />
per misurare la tenuta delle sua creatività,<br />
proporsi nel confronto con scultori che sapevano<br />
essere architetti ed architetti che conoscevano la materia e<br />
le manualità del “fare arte”. Eppure la mostra, organizzata<br />
lo scorso febbraio dalla galleria fiorentina “Otto luogo dell’arte”<br />
a pochi mesi dalla morte, ci ha preso di più perché si<br />
è fatta largo nella nostra mente, con prepotenza, la sua assenza,<br />
evidenziando con cruda realtà il senso di smarrimento<br />
che ancora oggi ci avvolge. L’artista, diceva Picasso,<br />
non scompare, non si eclissa dietro la tenda diafana della<br />
morte; vive con il corpo della sua esperienza, della sua capacità<br />
di aver tradotto ed intrecciato – di questo Ugo ne era<br />
pienamente ed testardamente convinto – le armoniche capacità<br />
dell’immaginario, vale a dire di essere con i sogni nello<br />
specchio dell’Io collettivo, di sentire la forza della collettività<br />
nei miti che la animano e al tempo stesso di affidare il suo<br />
essere presente alle opere. Marano è stato, da uomo e da<br />
artista, ancorato al disciplinare della vita; l’ha pensata e vissuta<br />
al passato, al presente, al futuro e sempre con «l’irrealizzabile<br />
desiderio di ritrovare, di fermare o di inaugurare il<br />
tempo» (Augé).<br />
Lo ha fatto anche quando il suo lavoro, nell’accezione<br />
dell’esperienza formale, sembrava dichiararsi contro la modernità<br />
colpevole di aver appianato ogni insorgenza dei miti<br />
La parola<br />
come progetto<br />
di “nuova città”<br />
Tra gli scritti dell’artista di Cetara<br />
un’eredità per i cittadini di domani<br />
di PASQU<strong>AL</strong>E RUOCCO<br />
14 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
dell’origine; lo ha fatto con il recupero delle manualità e con<br />
esse delle materie attinte dall’orizzonte lontano della comunità<br />
mediterranea, in primis la ceramica per lui «arte<br />
maestra». Scelte nelle quali si scorge, nei primi anni Ottanta,<br />
il desiderio che Ugo manifesta di riprendere il filo tripolare<br />
dell’immaginario, di posizionarlo in direzione di un sentimento<br />
“umanistico” dell’uomo contemporaneo. La sua<br />
proposta non lascia spazi all’incertezza dell’identità o a febbrili<br />
esitazioni del pensiero: va detto che tutto ciò accadeva<br />
in un preciso momento, in quel decennio della cultura artistica<br />
italiana ed internazionale tutta proiettata verso il<br />
trionfo dell’apparenza, della smodata corsa ad azzerare ogni<br />
vitalità, qualsiasi volontà d’impegno, proprio dei decenni<br />
precedenti. Nel suo studio di Capriglia amavo dondolarmi<br />
sulla Sedia del pensiero, una delle sue sculture/design più significative,<br />
con la quale abilmente Ugo pone a registro alcune<br />
speculazioni formali che sono proprie dello scultore,<br />
senza rinunziare al linguaggio del design. Identica scelta che<br />
si registra in Uovo del Paradiso, un tavolo in ferro e mosaico<br />
ove si incrociano presente, storia e immaginazione, mito e<br />
creatività, e non poteva essere diversamente se pensiamo<br />
che in quegli stessi anni – fine dei Settanta – Ugo lavora al<br />
restauro dei mosaici del transetto del Duomo di Salerno e a<br />
quelli della facciata della cattedrale amalfitana.<br />
«Pensare ed essere» è il punto focale del rapporto che<br />
Marano ha tessuto con l’infinito spazio dell’universo: esso<br />
racchiude ed esprime un processo di pensiero, vale a dire un<br />
modo di essere nuovi che negli anni della nostra amicizia,<br />
quattro decenni, ha saputo senza artifici offrirmi con la dia-<br />
esperienza artistica di Ugo Marano si può<br />
L’ riassumere in la «vita e i suoi giorni». La vita<br />
con la sua altalenante luminosità ha fatto da registro<br />
ad un vasto programma di lavoro che, nell’arco<br />
di oltre cinque decenni, ha caratterizzato<br />
la sua esperienza di scultore, di mosaicista, di ceramista,<br />
di operatore culturale incentrato sulla<br />
possibilità di recupero di un primigenio rapporto<br />
uomo/natura. Esperienza che nel tempo si è<br />
fatta riflessione sul ruolo dell’artista nella società<br />
contemporanea in relazione all’idea di museo<br />
come a quella di fabbrica, ad un inserimento,<br />
cioè, più concreto nel contesto della comunità.<br />
Penso al progetto “Museo Vivo” sviluppato tra<br />
il 1972 ed il 1976, al “Museo Città Creativa” a<br />
Rufoli realizzato nel 1996 assieme alla Fontana<br />
Felice di Salerno, e ancora al piano strategico per<br />
la città di Copparo, nel ferrarese alla Piazza dei<br />
Flauti e il Tavolo del Paradiso alle pendici del<br />
Monte Cervati, nel Parco Nazionale del Cilento<br />
e del Vallo di Diana. Estendere lo sguardo su<br />
tutto si corre il rischio di cadere anzitempo nelle<br />
dinamiche della storia mentre quella di Marano<br />
è una presenza ancora viva, fremente, con la<br />
quale poter ancora dialogare, riflettere sulle trasformazioni<br />
dell’odierna crisi della società, sempre<br />
più espressione di una visione edonistica e<br />
spettacolare della vita. È in tal senso che mi<br />
preme ricordare uno scritto del 1986, pubblicato<br />
in Ugo Marano. Parlo d’artista dal titolo “14<br />
ANNI PRIMA DEL DUEM<strong>IL</strong>A OH NON È AN-<br />
CORA LA FINE! me lo ha detto un angelo, del<br />
lettica che è propria di chi cerca il colloquio, l’incontro.<br />
Rileggendo, a distanza di tempo, gli scritti di quegli anni<br />
e confrontandoli con quelli che hanno concretato l’idea di<br />
una nuova “città”, si rileva la capacità dell’artista di mantenere<br />
fede al suo originario progetto teorico, senza farsi mai<br />
giudice, senza cedere alla tentazione di proporsi come controparte.<br />
In alto da sinistra: Casa mia, 1993, fotografia di Pino Musi<br />
Ugo Marano e vasi maestosi<br />
La sedia del pensiero, primi anni Ottanta<br />
Ugo Marano e il vaso colmo d’amicizia<br />
in una foto di Pino Musi, 1993<br />
A lato: Marano alla galleria Taide, Mercato San Severino 1973<br />
Sopra: Menna, Marano, Sanguineti, Tommaso Binga e Luciana<br />
Sanguineti, Ceramica Rifa, Molina di Vietri 1973<br />
1986, testo della conferenza tenuta all’Accademia<br />
di Belle Arti di Reggio Calabria. Una riflessione<br />
sul finire del Novecento e l’inizio del XXI<br />
secolo, del nuovo millennio, nonché sulla crisi<br />
della città «ESPRES<strong>SI</strong>ONE – scrive Marano – DI<br />
OCCUPAZIONE SELVAGGIA/ DEGLI SPAZI DI IN-<br />
TIMITÀ NATUR<strong>AL</strong>E», per la quale gli artisti non<br />
lavorano più se non per autocelebrarsi, incapaci<br />
di creare nuovi linguaggi e suggerire modi di vivere.<br />
Per questo addita gli effetti corrosivi dei<br />
mezzi di comunicazione di massa, causa del generale<br />
depauperamento della cultura, dell’impoverimento<br />
«dell’intelligenza e della genialità<br />
comune», proclamando il suo j’accuse contro<br />
una classe politica degenerata e farneticante,<br />
nonché una critica tagliente nei confronti di un<br />
sistema dell’arte che sembra soffrire un processo<br />
di banalizzazione, un allontanamento dallo<br />
spessore e dalla complessità del reale.<br />
Ma non è ancora – suggerisce l’artista – la fine<br />
basterebbe «RIPRENDERE A VIVERE CON<br />
AMORE/ E A COMUNICARE CON SEMPLICITÀ<br />
[…] CHIUDERE I TELEVISORI E NON DROGAR<strong>SI</strong><br />
DI INFORMAZIONI VIOLENTE/ RIPRENDERE A<br />
LEGGERE TESTI DI POE<strong>SI</strong>A/ E LIBRI LIBERI/ BASTA<br />
COMINCIARE A GUARDARE COI PROPRI<br />
OCCHI/ E A SOGNARE COL PROPRIO CER-<br />
VELLO».<br />
È l’eredità che Ugo Marano ci ha lasciato, a<br />
noi cittadini del domani, responsabili e protagonisti<br />
di un futuro da costruire con il pensiero, con<br />
l’anima.<br />
La voce alta<br />
di una lingua<br />
innovativa<br />
della ceramica<br />
contemporanea<br />
di CIRO MANZOL<strong>IL</strong>LO<br />
ell’antica Torre di guardia vi-<br />
Ncereale di Cetara, restaurata<br />
nella prospettiva di accogliere il<br />
museo civico, da novembre sarà<br />
visitabile l’intera collezione dei<br />
grandi piatti che, tra il 1972 e il<br />
1975 e poi fino al 2001, hanno<br />
dato vita all’esperienza del Museo<br />
Vivo, ideata e realizzata da Ugo<br />
Marano. «È questo un ulteriore<br />
momento – afferma il sindaco di<br />
Cetara Secondo Squizzato – di<br />
una strategia culturale che mira a<br />
trasmettere alle nuove generazioni<br />
quanto è stato prodotto in<br />
questo angolo nascosto del Mediterraneo,<br />
soprattutto alla capacità<br />
di Ugo Marano di farsi interprete<br />
di un nuovo linguaggio della ceramica».<br />
Le sale allestite con opere<br />
date in comodato dalla moglie<br />
Stefania e dai figli Enrica, Giuseppe<br />
e Paolo, scandiscono una<br />
dopo l’altra i tempi narrativi di un<br />
racconto nato nel 1972 nella piccola<br />
fabbrica di ceramica Rifa di<br />
Matteo Rispoli a Molina di Vietri.<br />
Agli inizi degli anni Settanta, in<br />
risposta alla crisi che vive, sul<br />
piano ideativo, la ceramica vietrese<br />
sempre maggiormente rigirata<br />
nelle declinazioni stanche<br />
indicate dalla critica come lo ‘stile<br />
Vietri’, Ugo Marano dà vita al progetto<br />
Museo Vivo. La prospettiva<br />
è quella di sollecitare, rileva Bignardi,<br />
«un coinvolgimento interdisciplinare,<br />
attraverso una<br />
proposta di libera creatività che<br />
vede coinvolte figure di operatori<br />
culturali diverse tra loro, in un laboratorio<br />
di ceramica al quale Marano<br />
affida la prospettiva di farsi<br />
possibile realtà di un museo della<br />
ceramica degli ultimi decenni<br />
del Ventesimo secolo».<br />
Dal 1972 al 1976, Marano invita<br />
a lavorare presso la Rifa di Matteo<br />
Rispoli a Molina di Vietri, artisti<br />
quali Giulio Turcato, Renato Guttuso,<br />
Amerigo Tot, Antonio Petti,<br />
Antonio Franchini, Gelsomino<br />
D'Ambrosio, Mario Chiari, Mario<br />
Carotenuto, Gianni Ballarò, Tomaso<br />
Binga, Melchiode, l’architetto<br />
Alberto Cuomo insieme ad<br />
intellettuali come Eduardo Sanguineti,<br />
Giulio Carlo Argan, Filiberto<br />
Menna, Giordano Falzoni e<br />
il musicista Stockhausen impegnato<br />
al Teatro San Carlo di Napoli,<br />
opere esposte, insieme ad<br />
altre, nella Torre. Su questa traccia<br />
prosegue il racconto proposto dall’allestimento<br />
delle sale, con la<br />
prospettiva di dar vita ad un vettore<br />
immaginativo che interpreti<br />
la disponibilità e duttilità ad articolare<br />
nel territorio una risposta<br />
rivolta alle nuove generazioni.<br />
Guardando<br />
al domani<br />
Un boato a precedere quei pochi interminabili secondi<br />
nei quali tutto sembrava perduto. Per diversi è stato<br />
così. Tanti o pochi non è dato dirlo. Vite umane hanno<br />
pagato il prezzo più estremo ai movimenti di una terra<br />
in ribellione, rimasta silente, nella sua pianeggiante<br />
estensione, per secoli. Quindi inaspettato il suo serpeggiare, sconquassante,<br />
e per chi è rimasto il prezzo non è stato a buon mercato.<br />
Danni morali e materiali. geaArt, per la sensibilità di chi la dirige e<br />
del suo staff, dedica questo inserto speciale all’Emilia ferita, ad un<br />
territorio orgoglioso e carico di speranza. Una parola quest’ultima<br />
che ha tradotto futuro fin dalle prime ore. Intorno ad esso convergono<br />
infatti queste pagine che hanno raccolto narrazioni e testimonianze,<br />
di giovani e meno giovani, dal mondo delle istituzioni e<br />
della cultura in senso lato. Non è fare il punto della situazione, né tirare<br />
somme, compito non nostro e peraltro difficilissimo. È al contrario<br />
aprire un ulteriore spiraglio alle riflessioni ed al confronto. Un<br />
accesso dal quale incoraggiare nuove opportunità e sfide. In realtà<br />
distruzione ed opportunità, crisi e sue sfide non sembrerebbero di<br />
per sé individuare dialoghi del tutto amicali. Eppure è proprio dalla<br />
soglia del baratro che molto spesso si risale la china, si cercano e si<br />
concretizzano risvolti o, almeno, questo è quanto vogliamo prefigurarci,<br />
perché soprattutto la parola crisi non sia solo lo spauracchio<br />
frenante, il limite al rischio, o ancor peggio la copertura all’alibi. Di<br />
crisi se ne parla ormai, nel mondo, da lungo tempo, ahimè innanzi-<br />
Le Alpi, si sa,<br />
sono un muro di sasso,<br />
una diga confusa, fanno tabula rasa<br />
di noi che qui sotto,<br />
lontano, più in basso,<br />
abbiamo la casa;<br />
la casa ed i piedi in questa spianata<br />
di sole che strozza la gola alle rane,<br />
di nebbia compatta, scabrosa,<br />
stirata che sembra di pane<br />
ed una strada antica<br />
come l’uomo marcata<br />
ai bordi dalla fantasie di un duomo<br />
e fiumi, falsi avventurieri<br />
che trasformano<br />
i padani in marinai non veri...<br />
di ADA PATRIZIA FIOR<strong>IL</strong>LO<br />
tutto in termini numerici anche se dietro vi si celano altre inquietudini,<br />
ovvero ancora crisi, evidenti quelle di valori etici e morali, del<br />
resto non dal denaro del tutto indipendenti. L’economia, meglio sarebbe<br />
parlare di finanza, rimane pertanto al primo posto delle analisi<br />
di politici e specialisti, ultimo il summit autunnale di Cernobbio<br />
che ne ha passato in rassegna minuziosamente le problematiche, ricordandosi<br />
alfine che alle parole ripresa, futuro, prospettive si legano<br />
anche i giovani. Quelli cioè che devono sfidare, rischiare, ma<br />
soprattutto espatriare. Per il mondo in crisi verrebbe da aggiungere.<br />
Come se il nostro Paese non avesse bisogno di essi. Come se l’immenso<br />
sforzo di istruzione e formazione dei nostri Atenei, anche<br />
questi in dipendenza assoluta dai numeri, di ogni specie, fosse indirizzato<br />
alla sola certezza, ormai acquisita, del precariato. Che fare?<br />
Dal fronte dell’Emilia sono ancora i numeri a parlare, in questo caso<br />
da una prospettiva diversa. Ad una stima di metà estate, secondo i<br />
dati riportati dal “Corriere della Sera” del 29 luglio, il 61% delle imprese<br />
distribuite tra i territori di Sant’Agostino, Cento, Bondeno, Medolla,<br />
Mirandola ed altri ce l’ha fatta, previo l’impegno di giornate<br />
disegnate in un continuum senza sosta, di domeniche annullate, di<br />
ferie cancellate, a riconquistare un dialogo con il mercato, con i fornitori<br />
ed i compratori, prevedendo da un ottimistico angolo di visuale,<br />
condiviso da una buona fetta di imprenditori, ma anche<br />
Emilia sdraiata fra i campi e sui prati,<br />
lagune e piroghe delle terramare,<br />
guerrieri del Nord dai capelli gessati,<br />
ne hai visti passare!<br />
Emilia allungata fra l’olmo e il vigneto,<br />
voltata a cercare quel mare mancante<br />
e il monte Appennino rivela<br />
il segreto e diventa un gigante.<br />
Lungo la strada fra una piazza<br />
e un duomo<br />
hai messo al mondo<br />
questa specie d’uomo:<br />
vero, aperto, finto, strano, chiuso,<br />
anarchico, verdiano...<br />
brutta razza, l’emiliano!<br />
Inserto coordinato da Maria Letizia Paiato<br />
Emilia sognante fra l’oggi e il domani,<br />
di cibo, motori, di lusso e balere,<br />
Emilia di facce, di grida,<br />
di mani, sarà un grande piacere<br />
vedere in futuro da un mondo lontano<br />
quaggiù sulla terra una macchia di verde<br />
e sentire il mio cuore che batte più piano<br />
e là dentro si perde...<br />
passeggia un cane<br />
e abbaia al vento un uomo...<br />
Ora ti saluto, è quasi sera, si fa tardi,<br />
si va a vivere o a dormire<br />
da Las Vegas a Piacenza,<br />
fari per chilometri<br />
ti accecano testardi,<br />
ma io sento che hai pazienza,<br />
dovrai ancora sopportarci...<br />
Emilia<br />
Francesco Guccini<br />
Scommesse e futuro: una terra dopo il terremoto<br />
artigiani e commercianti grandi e piccoli, il raggiungimento, alla soglia<br />
del 2017, di una potenzialità produttiva più forte di prima. Resta<br />
quel 39% che ha risentito maggiormente dei danni, delle inadeguatezze<br />
che, nel positivo bilancio del soccorso emergenza, pure ci<br />
sono state, ma soprattutto degli intralci legislativi, dello scarso sostegno<br />
delle banche. Per essi il 2017 è un traguardo troppo lontano,<br />
così come lo è per i giovani, dal momento che questa sembra essere<br />
anche la data nella quale potrebbe concretizzarsi l’avanzata proposta<br />
di riforma per coloro che, pur giovani, perdono il lavoro. Un’età<br />
di “mezzo” ancor più inquietante per il reinserimento in un ciclo<br />
economico. Ma economia, molto ci suggerisce il taglio di interesse<br />
di queste pagine, non è solo impresa nei settori di servizio (comparti<br />
dal biomedicale alla meccanica, all’agroalimentare). Economia è<br />
anche quell’immenso patrimonio di risorse che coniuga il concetto<br />
allargato di bene culturale, ovvero tradizioni, storia, pensiero, arte,<br />
architettura, parte insomma di quell’eredità da cogliere con la sensibilità<br />
del presente, ma soprattutto del futuro. Vale qui la pena, per<br />
chi si avvia e per chi prosegue, di scavare e di sfidare, arrovellarsi ed<br />
impegnarsi, con la grinta e la forza che si hanno ad una giovane età,<br />
perché una perdita si trasformi in una conquista, un vuoto in una<br />
crescita. Come farlo non spetta a noi dirlo. Che siano start up o contratti<br />
di formazione, progetti individuali o aggregazioni di cervelli,<br />
tanto può servire ad inventarsi un domani perché il vuoto, come<br />
sanno bene gli scultori, è anch’esso una forma.<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 15
Emilia allungata fra lʼolmo e il vigneto, voltata a cercare quel mare mancante e il monte Appennino rivela il segreto e diventa un gigante… (F. Guccini)<br />
L’Università<br />
tra realismo<br />
dei bilanci<br />
e impegni<br />
per il futuro<br />
A colloquio<br />
con il Rettore<br />
dell’Ateneo<br />
ferrarese professor<br />
Pasquale Nappi<br />
di LINDA GEZZI<br />
Incontro il prof. Pasquale Nappi nella sede provvisoria<br />
della Facoltà di Architettura, sistemazione<br />
resasi necessaria a causa dei danni subiti<br />
dal Palazzo Renata di Francia, sede storica del<br />
Rettorato. È un momento di pausa tra i suoi innumerevoli<br />
impegni, segnato da grande cordialità e<br />
disponibilità. Un clima che rende gradevole la nostra<br />
chiacchierata anche su temi scottanti, come quelli<br />
che incrociamo. L’aria anche il suo sorriso benevolo<br />
sono rassicuranti.<br />
Trascorsi alcuni mesi dal sisma che ha colpito<br />
Ferrara, quale bilancio si sente di fare riguardo<br />
la difficile situazione dell’Università? Ad oggi a<br />
che punto è la messa in sicurezza degli istituti<br />
presenti in città?<br />
Il terremoto ha colpito l’Università mentre quest’ultima<br />
era alle prese con una situazione particolarmente<br />
critica e impegnativa. Difatti, nel corso degli<br />
ultimi tempi il sistema universitario nazionale è stato<br />
interessato dapprima dal decreto “Brunetta”, di riforma<br />
delle pubbliche amministrazioni; successivamente<br />
la legge n. <strong>24</strong>0 del 2010, la “Legge Gelmini”,<br />
ha richiesto uno straordinario impegno per l’opera di<br />
adeguamento alle tante prescrizioni in essa contenute.<br />
Durante il medesimo periodo, i finanziamenti<br />
pubblici alle università sono stati sensibilmente ridotti.<br />
L’Università di Ferrara ha tempestivamente posto in<br />
essere tutte le azioni che le hanno consentito di rispettare<br />
le tante prescrizioni normative, ci siamo impegnati<br />
intensamente per razionalizzare e migliorare<br />
ulteriormente le attività di ricerca, di didattica e i servizi<br />
agli studenti. È quindi evidente che il terremoto è<br />
sopraggiunto in un momento decisamente impegnativo,<br />
costringendoci a rallentare, e in qualche caso<br />
a sospendere temporaneamente, le tante e diverse<br />
azioni che stavamo compiendo.<br />
Volendo descrivere più precisamente quali sono<br />
state le conseguenze degli eventi sismici iniziati il 20<br />
maggio scorso, bisogna ricordare che l’Università di<br />
Ferrara ha la prerogativa di poter disporre, per lo svolgimento<br />
delle proprie attività, di un vasto e importante<br />
patrimonio immobiliare (in parte proprio, più<br />
spesso in concessione) costituito da molti edifici storici,<br />
talvolta assoggettati a vincolo artistico, e da edifici<br />
di costruzione più recente. Ovviamente gli edifici<br />
più antichi, quasi sempre palazzi appartenuti a nobili<br />
famiglie ferraresi, hanno risentito maggiormente del<br />
terremoto e i rilievi effettuati hanno decretato l’inagibilità<br />
di quattro importanti edifici. Così, Palazzo Renata<br />
di Francia, sede del Rettorato e delle principali<br />
attività amministrative, Palazzo Strozzi, pure sede di<br />
uffici amministrativi, Palazzo Tassoni e Palazzo Gulinelli,<br />
sedi della Facoltà di Lettere e Filosofia risultano<br />
totalmente o parzialmente inagibili. Ma anche edifici<br />
più recenti hanno subito danni che, pur non impedendo<br />
di continuarne l’utilizzo, richiedono interventi<br />
di ripristino. Abbiamo cercato di reagire il più rapidamente<br />
possibile e credo che ci siamo riusciti, grazie all’impegno<br />
davvero straordinario di tutti. Ad oggi,<br />
siamo in grado di svolgere tutte le nostre attività in<br />
massima sicurezza, tanto che il prossimo anno accademico<br />
ci vedrà impegnati ad offrire la stessa offerta<br />
didattica dello scorso anno.<br />
La presenza di tanti Colleghi esperti nelle più diverse<br />
discipline – dagli ingegneri ai medici, dagli ar-<br />
16<br />
chitetti agli storici dell’arte, ecc. –, unitamente ad<br />
una efficiente e ramificata organizzazione tecnica e<br />
amministrativa, ci hanno consentito di rispondere agli<br />
eventi con una rapidità ed una efficienza maggiore<br />
di altre amministrazioni pubbliche che non possono<br />
contare sulle stesse prerogative.<br />
Non solo, la nostra Università ha messo a disposizione<br />
delle istituzioni sul territorio, in particolare della<br />
Protezione Civile dell'Emilia-Romagna e della Direzione<br />
Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici<br />
dell'Emilia-Romagna, le proprie competenze ed attrezzature<br />
– in particolare quelle dei Dipartimenti di<br />
Architettura e di Ingegneria e del Laboratorio Tekne-<br />
Hub della Rete Alta Tecnologia dell'Emilia-Romagna<br />
- per affrontare le situazioni di emergenza, messa in<br />
sicurezza, ricostruzione e restauro. Alcuni Colleghi<br />
partecipano al gruppo di lavoro costituito dalla Protezione<br />
Civile della Regione Emilia Romagna e dal Dipartimento<br />
di Protezione Civile Nazionale (DPC),<br />
denominato “gruppo liquefazione” col compito di<br />
valutare in tempi rapidi gli effetti che la liquefazione<br />
degli strati di sabbia piuttosto superficiali hanno prodotto<br />
sugli edifici di interi quartieri. I nostri Scienziati<br />
della terra hanno organizzato incontri con il pubblico<br />
per spiegare i fenomeni sismici. Desidero anche ricordare<br />
l’impegno profuso da molti medici specializzandi<br />
della nostra Facoltà di medicina e chirurgia, in<br />
particolare pediatri e geriatri, prestando la propria attività<br />
presso alcuni campi attrezzati di zone maggiormente<br />
colpite dal sisma.<br />
Un capitolo a parte merita poi il tema, particolarmente<br />
critico in questo momento storico, concernente<br />
le risorse necessarie a realizzare i tanti interventi<br />
necessari. A differenza che per il resto, le situazione<br />
finanziaria dell’Università di Ferrara, pur essendo positiva<br />
e ampiamente in attivo, non ci consente di affrontare<br />
da soli gli ingenti esborsi previsti, che si<br />
attestano ad oltre 17 milioni di euro. Auspico, quindi<br />
di poter conoscere al più presto quali saranno le risorse<br />
sulle quali contare al fine di poter programmare<br />
con precisione gli importanti interventi di recupero e<br />
restauro del nostro patrimonio immobiliare.<br />
Focalizzando per un attimo l’attenzione sulle<br />
sedi storiche, crede che gli eventi sismici abbiano<br />
seriamente compromesso la presenza di<br />
studenti, per il prossimo anno accademico, nel<br />
nostro ateneo?<br />
Una delle principali caratteristiche della nostra Uni-<br />
versità è di essere fortemente attrattiva per gli studenti<br />
che vengono da fuori regione, che rappresentano<br />
oltre il 60% degli iscritti, la gran parte dei quali<br />
vivono a Ferrara durante il periodo degli studi universitari.<br />
Da questo punto di vista, il rischio di una diminuzione<br />
delle immatricolazioni esiste ed è comprensibile<br />
ponendosi nell’ottica di un genitore che<br />
deve contribuire a scegliere la sede dove il proprio figlio<br />
dovrà trascorrere i prossimi anni della propria vita.<br />
Non potendo ovviamente disporre degli eventi naturali,<br />
posso solo esprimere la speranza che continui<br />
l’assenza di repliche degli eventi sismici. Oramai è trascorso<br />
un lungo periodo senza scosse significative e<br />
la vita in città e nelle sedi universitarie ha ripreso la<br />
sua consueta intensità, soprattutto per quanto riguarda<br />
la vita e le abitudini dei giovani.<br />
Quindi oggi gli studenti iscritti all’Università di Ferrara<br />
frequentano unicamente strutture del tutto agibili.<br />
Inoltre, anche per andare incontro alle difficoltà<br />
determinate dall’attuale situazione di crisi economica,<br />
l’Università di Ferrara ha deciso di lasciare inalterate le<br />
tasse di iscrizione e ha previsto molte ipotesi di sgravi<br />
e esenzioni.<br />
Oggi le facoltà umanistiche appaiono poco attrattive<br />
per un giovane che intenda approcciarsi<br />
a tali discipline, perché disilluso in partenza su<br />
un possibile sbocco lavorativo. Non crede che i<br />
fatti del terremoto possano aprire una riflessione<br />
nel ripensare ad alcune figure professionali<br />
che operano in questo ambito, al fine di non<br />
disperdere il senso delle proprie radici culturali?<br />
Insomma non crede che i giovani andrebbero<br />
stimolati, così che la difficoltà possa diventare<br />
una prospettiva?<br />
Sempre più spesso la scelta del corso di studi è guidata<br />
dalle opportunità lavorative a cui il relativo titolo<br />
da accesso. Se oggi le discipline umanistiche sono<br />
meno attrattive per i giovani è perché il mercato del<br />
lavoro non offre posti che richiedono il titolo corrispondente.<br />
Non credo che sia sufficiente stimolare i<br />
giovani ad intraprendere studi umanistici o ripensare<br />
alcune figure professionali. Credo invece che occorre<br />
agire sulla causa piuttosto che sull’effetto, e quindi<br />
investire di più sia da parte pubblica che da parte privata<br />
sul nostro patrimonio culturale e storico-artistico,<br />
perché credo che sia l’unica strada per aumentare le<br />
opportunità lavorative. Indubbiamente, peraltro,<br />
negli ultimi anni le humanities hanno goduto di minore<br />
attenzione a beneficio delle discipline tecnicoscientifiche.<br />
Tale fenomeno ha avuto una indubbia<br />
accelerazione in conseguenza della gravissima crisi<br />
economico finanziaria che stiamo attraversando. Attualmente,<br />
anche il quadro UE presenta quella che è<br />
stata definita una significativa deriva tecnocratica,<br />
basti considerare gli obiettivi e le parole chiave di HO-<br />
RIZON 2020 e la palestra di esercitazione creata con<br />
le nuove regole dei bandi PRIN e FIRB 2012 (ma<br />
anche molti altri segnali). A mio modo di intendere<br />
occorre dedicare la massima attenzione a questo fenomeno.<br />
Se le ragioni per cui la scelta è stata operata<br />
sono comprensibili, occorre avere consapevolezza dei<br />
rischi che si corrono. E il primo rischio da scongiurare<br />
riguarda la perdita o, quanto meno, la depressione di<br />
quell’enorme patrimonio rappresentato dalla humanities,<br />
parte fondante la tradizione e l’identità di gran<br />
parte dei Paesi europei e in particolar modo dell’Italia.<br />
Quale speranza si sente di dare alla nostra<br />
Università per il prossimo futuro?<br />
Nel corso degli ultimi anni la nostra Università è<br />
stata seriamente colpita da terremoti legislativi, finanziari<br />
e fisici. Ora abbiamo bisogno di consolidare<br />
i nuovi assetti, di riorganizzarli in modo più preciso.<br />
Abbiamo bisogno di stabilità e di certezze. Soprattutto<br />
sulle risorse e sul reclutamento. Lo sforzo riformatore<br />
compiuto e tutti i successi raggiunti e<br />
riconosciuti rischiano di essere irrimediabilmente<br />
compromessi alla luce del taglio complessivo subìto<br />
dal sistema universitario italiano nel triennio 2010-<br />
2012 che non ha eguali nel contesto internazionale:<br />
toccherà il 12% che diviene il 18% se vi si aggiungono<br />
gli effetti dell’inflazione.Le università italiane si<br />
stanno svuotando, sia di docenti che, in misura per<br />
ora inferiore, di studenti. Anche gli Atenei più virtuosi,<br />
come il nostro, nel corso degli ultimi tre anni<br />
hanno potuto accedere ad un turn over limitato al<br />
50%. Da ultimo, il decreto sulla spending review per<br />
il prossimo triennio fissa la percentuale del turn over<br />
nelle università a livello nazionale al 20%, e ciò condurrà<br />
ad un’ulteriore, forse esiziale, riduzione dell’organico<br />
nel giro di pochi anni. Desidero evidenziare<br />
che l’Università è l’unica amministrazione pubblica<br />
per la quale esiste oramai da alcuni anni un sistema<br />
di valutazione dei risultati conseguiti che condiziona<br />
in parte l’entità dei finanziamenti ricevuti; parimenti<br />
è la sola amministrazione che è sottoposta da oramai<br />
quattro anni a quella che oggi viene chiamata spending<br />
review. Tagliare il superfluo e il sovrabbondante<br />
è giusto, infierire su un corpo già allo stremo rischia<br />
di avere un effetto fatale. Di fronte a un panorama<br />
del genere, il futuro è nel lavoro continuo e nella volontà<br />
di sopravvivenza. L’Università di Ferrara è disponibile<br />
ad aprire una discussione con tutti i soggetti<br />
istituzionali che condividano l’importanza dell’alta<br />
formazione per la costruzione di un Paese competitivo<br />
e nuovamente in crescita, con lo scopo di fornire<br />
proposte per un nuovo modello di sviluppo attraverso<br />
il sistema universitario.<br />
In alto: particolare della facciata del Palazzo Renata<br />
di Francia sede del Rettorato dell’Università di Ferrara<br />
Sopra a sinistra: cumulo di macerie a Cavezzo<br />
Sopra a destra: cumulo di macerie dopo<br />
la demolizione del municipio di Sant’Agostino<br />
Nella pagina a destra: campanile della chiesa<br />
di Sant’Agostino<br />
Intervista all’assessore regionale professor Patrizio Bianchi<br />
Investire sull’educazione<br />
sulla formazione, sul pensiero<br />
a cura di MARIA LETIZIA PAIATO<br />
Itragici eventi del sisma dello scorso<br />
maggio hanno riportato all’attenzione<br />
della politica regionale il tema<br />
dei beni culturali e in generale della<br />
cultura. In un territorio, come quello<br />
emiliano, da sempre virtuoso circa la tutela<br />
del patrimonio artistico, si è tuttavia registrato<br />
un distacco fortissimo tra la cittadinanza<br />
e i luoghi del proprio vissuto. La<br />
nuova scottante realtà è stata al centro del<br />
lungo colloquio avuto con il professor Patrizio<br />
Bianchi, Assessore Scuola, formazione<br />
professionale, università e ricerca,<br />
lavoro della Regione Emilia Romagna, al<br />
quale abbiamo rivolto alcune specifiche<br />
domande sul ruolo che l’università e la ricerca<br />
scientifica giocheranno nell’immediato<br />
futuro.<br />
Significative alcune dichiarazione<br />
degli amministratori locali dei centri<br />
più colpiti, a favore dell’abbattimento<br />
e ricostruzione dei beni pericolanti e<br />
più compromessi per creare una<br />
nuova socialità. Tale pensiero non<br />
nuoce al vivere sociale?<br />
Innanzitutto mi si permetta di ricordare<br />
che il 17 settembre, a quattro mesi dalla<br />
prima scossa, le scuole hanno ripreso la<br />
loro regolare attività in tutta la regione e<br />
nella stessa area del terremoto, solo una<br />
decina di scuole hanno ritardato di alcuni<br />
giorni l'avvio delle lezioni e molte faranno<br />
doppi turni per poche settimane; l'ultima<br />
scuola prefabbricata sarà consegnata il 15<br />
ottobre e quindi contiamo che per la fine<br />
di ottobre, a cinque mesi dalla prima<br />
scossa si sia tornati a regime. Certamente<br />
rimane da fare moltissimo e questo richiederà<br />
anni, ma forte è il segno di una comunità<br />
che il terremoto non ha<br />
decomposto ma anzi ancor più compattato.<br />
Questo è il risultato, non solo di una<br />
tradizione consolidata di forte senso civico,<br />
ma anche della scelta di volere come commissario<br />
il presidente della Regione assieme<br />
con tutti i sindaci ed i presidenti<br />
delle province, senza discontinuità nel rapporto<br />
tra cittadini ed istituzioni. Questa<br />
continuità ha mantenuto forte anche il legame<br />
fra comunità e luoghi del proprio<br />
vissuto, rifiutando la costruzione di new<br />
town e lavorando fin da subito per il recupero<br />
dei centri storici; se sono stati realizzati<br />
abbattimenti, è stato solo laddove si<br />
sono ravvisati problemi non differibili di si-<br />
curezza, con la impossibilità di ricorrere ad<br />
altri modi di recupero.<br />
Una nuova “socialità” può essere<br />
immaginata senza cancellare necessariamente<br />
il passato? Essa non dovrebbe<br />
crearsi a partire dai luoghi di<br />
formazione per eccellenza? La scuola<br />
e l’Università per esempio.<br />
Questi mesi hanno dimostrato come<br />
l'aver scelto fin da subito di recuperare i<br />
centri storici nella loro totalità, non museificandoli,<br />
ma riprendendo quel percorso di<br />
qualificazione già avviato in passato, stia<br />
pagando in termini di gestione dell'emergenza<br />
e in termini di ricostruzione. La<br />
scuola è stata la priorità assoluta della ricostruzione,<br />
scelta questa che si sta dimostrando<br />
elemento chiave per la difesa<br />
prima, poi per il rilancio del senso di comunità.<br />
Le università stanno contribuendo<br />
a questo sforzo, anche se debbo riconoscere<br />
non sempre con quella funzione di<br />
leadership che ci si poteva attendere.<br />
Durante il concerto per l’Emilia dello<br />
scorso 25 giugno, il Presidente Errani<br />
ha dichiarato dal palco di voler ricostruire,<br />
e che non saranno compiuti gli<br />
errori commessi all’Aquila. Quando si<br />
parla di ricostruzione – di questi giorni<br />
la notizia del decreto del senato sullo<br />
spending review che assegna 6 miliardi<br />
per la ricostruzione di scuole,<br />
ospedali, case ed edifici pubblici –, si<br />
intende anche, secondo il Suo punto<br />
di vista, quella di una identità storica?<br />
Non abbiamo compiuto gli errori de<br />
L'Aquila. Se vi è stato un elemento che ha<br />
caratterizzato questi giorni è stata la riscoperta<br />
dell'orgoglio di appartenenza, che è<br />
divenuto un tutt'uno con il recupero dei<br />
beni culturali- i castelli, le chiese, i palazzi,<br />
che sono stati vissuti come elementi costitutivi<br />
della identità collettiva. Sono molte<br />
le storie, ma ricordo solo Pieve di Cento,<br />
al recupero del Crocefisso e dei quadri<br />
della Collegiata, operate con straordinaria<br />
capacità dalla Soprintendenza, dai Vigili<br />
del Fuoco, dai Carabinieri, ha partecipato<br />
tutto il paese e quando il Crocefisso è<br />
stato portato al sicuro nel Museo del Novecento<br />
– museo voluto da un privato, ma<br />
a disposizione della comunità – questa traslazione<br />
– non trasloco – è avvenuto con<br />
una processione in cui tutto il paese, con<br />
tutte le autorità, ha partecipato.<br />
In questo senso la Regione Emilia<br />
Romagna, in particolare il Suo asses-<br />
Il dramma del sisma offre stimoli per ripensare a talune professioni che potrebbero giocare un ruolo importante per l’immediato futuro<br />
112, 27, 82, 415. Non sono i numeri di una lotteria ma quelli delle<br />
chiese, campanili e delle canoniche danneggiate dal sisma, così come dei<br />
dipinti, sculture e arredi liturgici recuperati dalle macerie. A due mesi dalla<br />
tragedia, Il bilancio sul patrimonio artistico stilato dalla Direzione Regionale<br />
per i Beni Culturali e Paesaggistici, mostra un quadro palesemente<br />
drammatico. Il colpo inferto alla storia dell’arte è durissimo: oltre seicento<br />
i beni lesionati. E su molti edifici, ancora si attende la sentenza di vita o<br />
morte che, come una spada di Damocle, pende sull’identità storica dei<br />
piccoli centri che si snodano lungo la provinciale che collega Ferrara a<br />
Modena. Percorrendo l’entroterra s’intravedono campanili e torri medioevali<br />
diroccate, facciate di chiese e castelli rinascimentali distrutti. Tuttavia,<br />
il terremoto fa riscoprire una provincia che non è anonima o vive<br />
all’ombra delle città capoluogo, ma che pulsa di vita propria, custode di<br />
innumerevoli capolavori. Opere e monumenti che, segnalati come “minori”<br />
o del tutto esclusi dai manuali, sono motivo di orgoglio civico per<br />
le popolazioni che in essi si riconoscono, in quanto testimoni di quella<br />
sensibilità artistica diffusa e capillare che da secoli contraddistingue il nostro<br />
Paese. Incombe inevitabile sull’Emilia il fantasma dell’Aquila, spettro<br />
della cinica speculazione edilizia, sostenuta da una politica compiacente<br />
e scellerata, e della chiusura dei centri storici. Demolire o no? I soldi sono<br />
insufficienti, manca personale, si cercano volontari ovunque e subito è<br />
polemica. È l'ex sovrintendente Elio Garzillo, oggi ad Italia Nostra, a sollevarla.<br />
Troppa leggerezza nelle demolizioni e ritardi organizzativi. Oltre<br />
al caso del Municipio di Sant’Agostino, è quello dell’abbattimento del<br />
campanile di Buonacompra a scatenarne l’ira, a suo avviso solo bisognoso<br />
di piccoli interventi di messa in sicurezza. Un modus operandi che<br />
sa di “pulizia etnica”, dichiara sulle pagine de “Il Giornale” del 21 luglio,<br />
e che apre la strada ad ulteriori possibili demolizioni. Accuse prontamente<br />
respinte dalla soprintendenza regionale che difende il proprio operato<br />
soprattutto circa le tempistiche. Effettivamente, nei giorni appena suc-<br />
sorato, può potenziare il ruolo di coordinamento<br />
che già svolge tra gli<br />
enti che si occupano di istruzione e<br />
formazione e la cittadinanza? In questa<br />
ottica, Cultura e Economia, possono<br />
andare di pari passo, anche e<br />
soprattutto, in tempi di crisi?<br />
La regione ha svolto il proprio ruolo di<br />
coordinamento, come sempre nel rispetto<br />
delle competenze e delle autonomie delle<br />
scuole e delle università. In particolare nell'ambito<br />
della formazione, abbiamo avviato<br />
da due anni e consolidato in questi<br />
mesi un sistema integrato di formazione<br />
tecnica superiore, che colma il vuoto di<br />
profili intermedi che oggi costituiscono il<br />
vero perno dello sviluppo produttivo e<br />
dello stesso processo di rapida globalizzazione<br />
della nostra economia. Il riposizionamento<br />
del Paese a livello globale del<br />
resto può avvenire solo investendo in educazione<br />
– come del resto la Banca d'Italia<br />
continua a ripetere, ricordando che le statistiche<br />
internazionali segnalano invece<br />
che l'Italia è il paese occidentale che<br />
spende meno in educazione e cultura ed<br />
ha i livelli educativi più scadenti.<br />
La Regione potrebbe farsi tramite<br />
con la Comunità europea per il finanziamento<br />
di progetti specifici per la<br />
costituzione di gruppi operativi che<br />
coinvolgano gli studenti sia durante lo<br />
svolgimento del corso di laurea, sia<br />
dopo, come possibile stimolo a un<br />
proseguo negli studi? Potrebbe essere,<br />
a Suo avviso, una possibile<br />
strada che faccia della ricostruzione<br />
un processo virtuoso mirato a rilanciare<br />
il ruolo dell’Università?<br />
La regione gestisce i fondi strutturali europei<br />
e da tempo ha sostenuto i progetti<br />
d'innovazione delle università, sia con<br />
massicci investimenti in ricerca, sia con<br />
progetti didattici finalizzati, ad esempio<br />
connessi con i dottorati. In questa fase,<br />
d'intesa con le università stiamo operando<br />
per mirare con più attenzione queste risorse<br />
verso i temi della ricostruzione. Certamente<br />
queste azioni possono essere un<br />
volano per il rilancio del ruolo delle università,<br />
tuttavia siamo rispettosi delle loro<br />
autonomie e quindi ci attendiamo dagli<br />
atenei iniziative concrete che indichino<br />
come essi, e non solo singoli docenti, vogliano<br />
partecipare fattivamente a questo<br />
grande cantiere civile, già ampiamente in<br />
movimento.<br />
Emilia restaurata<br />
Emilia ritrovata<br />
cessivi la prima scossa era già operativa una squadra formata da 22 architetti<br />
e 19 storici dell'arte, esperti nominati per le primissime verifiche.<br />
E alla data del 23 maggio era anche già stato individuato, in Palazzo Ducale<br />
a Sassuolo (MO), il punto di raccolta per le opere d’arte provenienti<br />
dalle chiese e dagli edifici crollati. Tra le prime a essere ricoverate l’Incoronazione<br />
della Vergine fra i santi Geminiano e Felice opera di Bernardino<br />
Loschi, il cui salvataggio, operato dai Vigili del Fuoco del nucleo Saf di<br />
Genova è, a dir poco, ardimentoso. Il trittico, fino a quel momento conservato<br />
nella parrocchiale di San Felice, chiesa quasi completamente distrutta,<br />
oltre ai danni conseguenti il sisma, resta in balia dell’incessante<br />
pioggia che nei giorni successivi si abbatte sul territorio. Ma, il 25 maggio<br />
la cinquecentesca pala è salva e già in viaggio verso Sassuolo. E in<br />
tempi record, all’ospedale dell’arte si ricovera una Madonna con Bambino<br />
del Guercino, un Crocifisso gotico del Quattrocento e alcune tele del Crespi<br />
e di Vellani. Ulteriore segno di sensibilità e velocità sui tempi, la soprintendenza<br />
lo da avvallando taluni progetti atipici, che nel<br />
coordinamento con le associazioni, FAI e Italia Nostra, sono espressione<br />
della volontà di un superamento delle polemiche e aprono la strada a<br />
nuove modalità lavorative circa gli interventi di restauro. Così nella chiesa<br />
di S. Maria in Vado a Ferrara è allestito il laboratorio che opererà sulla settecentesca<br />
statua della Vergine di Andrea Ferreri. Precipitata dal timpano<br />
la notte del 20 maggio, allo stato attuale essa si presenta frammentata<br />
in ben trecento pezzi. È Italia Nostra, rappresentata da Chiara Toschi Ca-<br />
valiere, ad accogliere e finanziare il progetto promosso dall’artista Maurizio<br />
Camerani, seguito dal benestare della soprintendenza e della Curia. Un<br />
artista contemporaneo in dialogo con un’opera del passato, per la quale<br />
mette in campo la propria professionalità cui concorre quella tecnico-scientifica<br />
della restauratrice Ilaria Cavallari. I lavori, tuttavia, partiranno ufficialmente<br />
solo in ottobre, quando la temperatura esterna (sotto i ventiquattro<br />
gradi per agire su blocchi di pietra arenaria) permetterà di procedere ai<br />
consolidamenti. Camerani in questo progetto, con grande sensibilità e lo<br />
sguardo ben fisso sull’avvenire, ha pensato anche ai giovanissimi, coinvolgendo<br />
nell’operazione gli studenti dell’Istituto d’Arte Dosso Dossi. È da<br />
iniziative come queste che vanno colti stimoli per il ripensamento di talune<br />
professioni e il ruolo che queste potrebbero giocare anche nella ripresa<br />
economica del Paese. Artisti compresi, la cui sensibilità e formazione rappresentano<br />
un’indispensabile e utile chiave d’interpretazione per la comprensione<br />
delle alchimie proprie all’atto creativo. In questi ultimi giorni<br />
arrivano altrettante notizie positive. Partono ufficialmente i restauri su 1089<br />
opere fra quelle alloggiate a Sassuolo, su cui interverranno tre restauratori<br />
dell’Istituto di Conservazione di Roma e dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze<br />
sostenuti da una ventina tra allievi e apprendisti. Restano, invece, ancora<br />
privi di un indirizzo preciso i restauri sulle architetture, di cui si saprà<br />
qualcosa soltanto in autunno, augurandoci che non arrivi poi tanto in<br />
fretta il torpore invernale a rallentare le cose. Apre frattanto i battenti il<br />
MAGI di Pieve di Cento, presentando le opere recuperate dalla Collegiata<br />
di Santa Maria Maggiore. È l’esempio di una comunità che, nell’ostinazione<br />
di trattenere sul territorio i propri tesori, lancia un messaggio fortissimo.<br />
Essa contrappone allo sradicamento la cultura storica, nei cui valori,<br />
compresi quelli artistici, si riconosce. Valori di una tradizione innervata di<br />
senso presente con il quale cifra la propria identità.«La storia siamo noi.<br />
Nessuno si senta escluso».<br />
m.l.p.<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 17
Emilia allungata fra lʼolmo e il vigneto, voltata a cercare quel mare mancante e il monte Appennino rivela il segreto e diventa un gigante… (F. Guccini)<br />
Gusci vuoti<br />
e sistemi fragili<br />
di V<strong>AL</strong>ERIA TAS<strong>SI</strong>NARI<br />
l terremoto che ha iniziato a colpire l’Emilia e la Pianura Pa-<br />
Idana dal 20 maggio scorso ha provocato gravi fratture, superficiali<br />
e profonde, non solo dal punto di vista geologico. Questo<br />
sisma radicalmente destabilizzante, i cui effetti sono ancora attivi<br />
dentro la terra ma soprattutto intorno a noi, sembra infatti<br />
aver provocato la rottura di un sistema di equilibri la cui precarietà<br />
era da molto tempo nascosta dalle consuetudini, dalle convenzioni<br />
e da un’apparente “buona educazione” nelle relazioni<br />
sociali e culturali, immediatamente collassata alle prime scosse,<br />
proprio come le costruzioni più fragili. Lo abbiamo visto in certi<br />
campi per terremotati, dove Italiani e “non Italiani”dovevano<br />
utilizzare servizi e postazioni marcatamente separati; lo abbiamo<br />
sentito nella proclamazione di gerarchie di priorità nelle quali al<br />
primo posto c’era sempre e solo una certa economia; lo abbiamo<br />
vissuto nei comportamenti quotidiani di quanti hanno subito<br />
provato ad approfittare del danno, o a lavarsene le mani. Anche<br />
da noi, sì, anche nella favolosa Emilia dell’accoglienza, dei valori<br />
condivisi, della legalità, dell’arte diffusa. Questa Emilia bella che<br />
naturalmente esiste e prevale, dentro la quale ne cova però<br />
un’altra, venuta fuori come la liquefazione del terreno: cupa,<br />
inaspettata ma non del tutto sconosciuta. In questo scenario ambivalente,<br />
in tensione tra la reazione positiva che il trauma ha<br />
messo in movimento e ciò che fermenta nell’ombra, si pone pienamente<br />
anche la questione dei beni culturali. La questione, più<br />
che la situazione, perché, se i danni subiti dal patrimonio sono<br />
ormai quasi completamente censiti, l’inquieto interrogativo su<br />
come si stia evolvendo la mentalità comune rispetto all’enorme<br />
problema del recupero e dei restauri rivela ampie zone di ambiguità.<br />
Mentre sul piano materiale lo sciame sismico sta continuando<br />
ad agire sommessamente, l’onda lunga degli effetti<br />
psicologici destabilizzati non si attenua: dalla levata di forconi di<br />
chi chiede ai politici demolizioni cieche ed immediate per sbloccare<br />
la viabilità, allo sconsolato lamento di chi vede tutto perduto;<br />
dalla granitica indifferenza di chi ostenta di ignorare le<br />
proprie responsabilità, all’attivismo ingenuo di chi pensa di poter<br />
sopperire alle mancanze delle istituzioni agendo da solo, senza<br />
mezzi e senza guida. Dopo la messa in sicurezza e la rimozione<br />
degli arredi mobili più importanti – azioni che da un lato hanno<br />
visto l’appassionato impegno degli operatori delle Sovrintendenze<br />
e dei Vigili del Fuoco, ma dall’altro hanno causato l’impulsivo<br />
allontanamento delle opere d’arte dalle comunità a cui<br />
appartengono – moltissimi i edifici storici sono stati lasciati in un<br />
limbo di transenne e divieti che durerà molti anni. E chi ha visto<br />
il volto fantasmatico dell’Aquila sa cosa vuol dire veder lasciar<br />
dissolvere la memoria dietro uno scenario di tubi innocenti. Così<br />
il panorama dei beni architettonici, pesantemente compromesso<br />
in molti centri storici e nelle campagne, si mostra ora con la sua<br />
evidenza desolante di inutilizzabili gusci rotti, di edifici tempestivamente<br />
svuotati dei loro contenuti più preziosi e lasciati,<br />
ormai da mesi, a galleggiare in uno stato di sospensione silenziosa<br />
che già sembra accarezzare l’oblio. Con la complicità di<br />
un’estate arida, che ha reso apparentemente meno colpevoli i<br />
ritardi e le indecisioni, decine e decine di chiese scoperchiate, palazzi<br />
squarciati e casali dai tetti accasciati sono rimasti esattamente<br />
come erano dopo la seconda scossa del 29 maggio,<br />
esposti all’oltraggio dei piccioni, che hanno liberamente nidificato<br />
negli interni, e aperti alle intemperie, che presto arriveranno<br />
a devastare. Certamente c’erano altre priorità: la sicurezza, l’economia,<br />
gli alloggi, il culto, la scuola (a favore della quale in meno<br />
di due mesi sono stati trovati centossessantasei milioni di euro).<br />
Ma resta stupefacente quanto il problema della tutela e salvaguardia<br />
di ciò che è rimasto del nostro patrimonio storico sia per<br />
il momento passato in seconda battuta, come se il suo recupero<br />
non potesse essere parte integrante di un piano di rilancio economico,<br />
di difesa dei valori sociali, educativi e spirituali delle comunità,<br />
e non fosse nemmeno un passaggio fondamentale per<br />
la restituzione alla vivibilità di paesi e città. Fortunatamente esistono<br />
anche situazioni emblematiche dell’esistenza di una volontà<br />
nobile e poetica di uscire dalla logica meramente<br />
funzionale dell’emergenza, come testimoniano i volontari che<br />
raccolgono e spazzolano le pietre degli edifici crollati (nella speranza<br />
di poter ricostruire la Torre di Finale Emilia o l’Oratorio Ghisileri<br />
a San Carlo), muovendosi con gesti tanto catartici e dolenti<br />
da ricordare una celebre performance in cui Marina Abramovic<br />
ripuliva una catasta di ossa. Ma troppi sono ancora i nodi irrisolti,<br />
preoccupanti e poco spiegabili. Ad esempio risponde a logiche<br />
che nemmeno i fedeli sembrano comprendere la scelta della<br />
Curia che, senza manifestare alcuna intenzione di ripristinare i<br />
propri edifici di pregio, nelle diocesi più colpite ha rapidamente<br />
predisposto ingenti investimenti (mediamente cinquecentomila<br />
euro per ogni parrocchia) per allestire strutture lignee temporanee<br />
per il culto. E se, nell’omertoso silenzio della politica e<br />
delle istituzioni, sono i parrocchiani stessi a contrastare con forza<br />
tanti discutibili progetti di prefabbricati, invocando che tutte le<br />
risorse siano invece subito utilizzate per i restauri delle chiese storiche,<br />
forse qualcosa si sta veramente spezzando, all’interno di sistemi<br />
più fragili di quanto ci saremmo aspettati. Ecco perché,<br />
mentre piccole scosse continuano a lavorare sotto e sopra la superficie,<br />
il livello di attenzione deve restare ero molto alto anche<br />
negli occhi e nella memoria.<br />
18 gea<br />
Art numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
Diamo un passato<br />
al contemporaneo<br />
Quale prospettiva<br />
per il patrimonio artistico<br />
per le iniziative culturali<br />
per le nuove generazioni?<br />
di LINDA GEZZI<br />
Ore 4,04 del mattino. Un enorme boato fa tremare l’Emilia.<br />
Il tempo pare essersi fermato in quell’alba del 20<br />
maggio scorso quando la terra decide che è ora di alzarsi<br />
e di guardare il mondo da un’altra prospettiva: dal<br />
basso, dal pavimento dove si ammassano cumuli di macerie.<br />
Le strade sono transennate, uomini al lavoro armati di paletta indicano<br />
deviazioni possibili, percorsi alternativi sono da scegliere.<br />
Numerose persone abitano case nuove, le tende, nelle loro non possono<br />
più stare. I bambini, inconsciamente felici, com’è proprio della<br />
loro innocente età, festeggiano l’anticipata estate.<br />
Improvvisamente tutto cambia, cambiano le priorità e in un attimo<br />
iniziano i bilanci: le vittime, i crolli. A tutto ciò si aggiunga la terribile decisione,<br />
che spetta a chi di competenza, dello scegliere cosa salvare e<br />
cosa demolire. Le vittime in questo caso sono i beni culturali. Moltissime<br />
le chiese danneggiate, i monumenti inagibili giudicati pericolanti per la<br />
pubblica sicurezza e forse, in alcuni casi, con eccessiva fretta demoliti.<br />
La televisione racconta tutto ciò ma racconta anche della difficile situazione<br />
in cui versa la Grecia, del fatto che probabilmente per l’Europa<br />
sarebbe più comodo, per quel che concerne una ripresa generale, estrometterla.<br />
«La Grecia fuori dall’Europa?» questa la domanda più frequente<br />
del momento. La risposta possibile è soltanto una, irrevocabile<br />
e insindacabile: «No». La Grecia costituisce le fondamenta del nostro<br />
ieri, è la nostra storia ed è per questo che non possiamo fare a meno<br />
di lei. Lasciando da parte riflessioni di tipo economico, la sollecitazione<br />
risulta – a mio avviso – interessante e potrebbe essere applicata anche<br />
alla tematica dei beni culturali. Non intendo giudicare decisioni ormai<br />
prese, né fare l’elenco dei meriti e dei demeriti al riguardo, solo stimolare<br />
una riflessione sul fatto che forse domina una carenza di affezione<br />
in molte persone nei confronti delle proprie radici, della propria storia.<br />
Il mondo dell’arte ci ha donato “ferite” memorabili che al di là di un apparente<br />
follia celano significati inestimabili. Lo stesso non si può dire<br />
della ferita, tutt’oggi aperta e sanguinante, presente in piazza Marconi<br />
a Sant’Agostino. In questo piccolo paesino, nel 1864, venne edificato<br />
il municipio e per anni e anni è stato il simbolo della comunità locale,<br />
luogo prediletto per feste e ricevimenti che erano soliti tenersi nel salone<br />
consiliare il cui soffitto era decorato da una pittura risalente ai primi<br />
anni Venti dello scorso secolo. Sono bastati pochissimi secondi per cancellare<br />
centocinquanta anni di storia. La comunità si è divisa tra chi era<br />
favorevole all’abbattimento («era un dovere farlo ed era inevitabile, è<br />
stato triste ma doveroso») e chi, invece, si è battuto fino all’ultimo per<br />
impedirlo («le bombe si usano in guerra, non siamo in guerra»). E mentre<br />
tremende invettive colpiscono chi ha difeso a spada tratta il municipio<br />
c’è chi compila, sia pur in lacrime, l’elenco delle opere da<br />
abbattere. Una verità assoluta non può esistere ma di fronte alla domanda:<br />
«Cosa resta oggi di quella storia?» la risposta è una sola: «Non<br />
resta niente». Abbiamo il dovere di dare un passato al contemporaneo,<br />
di salvaguardare la nostra storia e le nostre radici e questo per non<br />
perderci per sempre. Si può ancora farlo, anche a Sant’Agostino dove<br />
cumuli di macerie in attesa di essere rimossi giacciono (alla data del 9<br />
agosto vedi immagine) “impacchettati” al suolo, avvolti dal classico<br />
lenzuolo bianco, il cencio della morte. Cencio che chi scrive propone di<br />
lasciare a futura memoria, macerie comprese; si interpelli Christo e mai<br />
l’artista bulgaro rifiuterà il suo genio per simile impresa. In questo modo,<br />
pur avendo distrutto il passato, avremo costruito il futuro.<br />
di FEDERICA ZABARRI<br />
All’ombra dei portici bolognesi, Concetto Pozzati ci accoglie<br />
nel suo studio: un’infilata di stanze ricche di libri, colori, pennelli<br />
e poi bozzetti e opere di un’energia straordinaria si susseguono<br />
in un crescendo di emozioni, che ci accompagnano<br />
per tutta l’intervista.<br />
Maestro Pozzati, nonostante le sue origini non siano emiliano-romagnole,<br />
questo territorio è sempre stato per lei un riferimento.<br />
Qual è il suo rapporto con questa terra?<br />
È vero. Io mi sento bolognese a tutti gli effetti. Mi sento talmente bolognese<br />
che a suo tempo fui piacevolmente ‘ricattato’ da questa città. Da Parigi<br />
sentivo che Bologna mi chiamava: in quel momento era fantastica. Si<br />
viveva in maniera deliziosa, non c’era orario, la notte si discuteva, c’erano ristoranti<br />
sempre aperti e si stava insieme tra poeti, scrittori, letterati. Si leggevano<br />
poesie, si parlava di libri, delle mostre viste. Allora era, secondo me,<br />
una delle città più vive d’Italia: Roma era stupendamente mondana, con il<br />
suo asse Roma - New York, Milano tutta professionale con quello Milano -<br />
Londra. Noi eravamo in mezzo. (…) Erano gli anni in cui iniziò a circolare la<br />
rivista “Officina”, fondata tra gli altri da Pasolini, che ci diede grande energia.<br />
Personaggi come Francesco Lionetti, Pietro Bonfiglioli, Roberto Roversi,<br />
lo stesso Pasolini erano qui a Bologna, tutta una generazione con la quale<br />
passavo il mio tempo di ragazzo, ad ascoltarli.<br />
Mentre oggi? Sono molto cambiate le cose?<br />
Adesso è tutto più difficile, ma è il mondo dell’arte intero ad essere mutato,<br />
non solo Bologna. La crisi è molto pesante ed il mercato è più bloccato<br />
che mai. Non mancano le possibilità di esporre, ma il mercato sembra tutto<br />
spostato tra l’America e l’Inghilterra seguendo solo le logiche dei grossi in-<br />
Quel che resta del municipio di Sant’Agostino dopo la demolizione<br />
Una terra che non si piega<br />
Raccogliere<br />
schedare, catalogare<br />
la memoria<br />
di CARLA DI FRANCESCO*<br />
Per la vastità dell’area colpita e la gravità dei danni sappiamo già<br />
che saranno necessari decenni, ma il patrimonio sarà restaurato<br />
anche con le integrazioni ricostruttive necessarie là dove si siano verificati<br />
crolli estesi. È di fatto con questa finalità che si provvede, edificio<br />
per edificio, alla raccolta delle macerie con conseguente<br />
catalogazione dei materiali da costruzione: un lavoro che stiamo affrontando<br />
anche con il contributo di volontari qualificati e associazioni.<br />
Probabilmente alcune delle chiese e campanili crollati per intero<br />
sono da considerarsi perduti per sempre: tuttavia in casi come questi<br />
le decisioni non potranno non tenere conto del desiderio delle popolazioni<br />
che da questi beni si sentono fortemente rappresentate.<br />
Con il decreto legge 74, poi divenuto legge, sono stati assegnati 5 milioni<br />
di euro che non sono certo sufficienti a sostenere la lunga e complessa<br />
fase di ricostruzione che sarà necessaria. Si tratta infatti di<br />
intervenire su 1730 beni (tutelati con specifico provvedimento o tutelati<br />
ope legis) colpiti spesso in modo grave e il cui danno può essere<br />
stimato ben oltre i 2 miliardi. È stata inoltre rivolta una specifica richiesta<br />
al Fondo di Solidarietà della Comunità Europea, ma l’importo,<br />
qualora accettata la richiesta, non potrà superare il 5% del danno<br />
stimato. La Direzione Regionale e le Soprintendenze stanno svolgendo<br />
sul territorio un grandissimo lavoro non solo sui beni immobili<br />
ma anche su quelli storico-artistici. Sono 1086, provenienti da 79<br />
siti diversi, gli oggetti e le opere d’arte tratte in salvo per essere ricoverate<br />
e poi restaurate a cura dell’Istituto Superiore per la Conservazione<br />
ed il Restauro e dell’Opificio delle Pietre Dure, presso le sale del<br />
piano terreno del Palazzo Ducale di Sassuolo attrezzate in poche settimane<br />
di formidabile lavoro con tutte le strumentazioni utili ad un<br />
primo soccorso. Il Centro realizzato a Palazzo Ducale è la risposta propositiva<br />
e pronta ad una terra che ha scosso le case, le fabbriche, i<br />
monumenti e l’animo delle persone ma non ha piegato la loro proverbiale<br />
forza di volontà e il desiderio, che è in tutti noi, di rinascere.<br />
*Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici<br />
dell’Emilia Romagna<br />
In alto: macerie dell’Oratorio di Ghisiglieri Alta<br />
Sull’originarietà, cioè l’origine e l’originalità<br />
L’Emilia nello sguardo di Concetto Pozzati, tra memoria e drammatica realtà<br />
vestitori, della pubblicità e della moda. Adesso posso dire: purtroppo. Purtroppo<br />
ho amato Bologna, perché in molti sono dovuti andarsene per avere<br />
successo e oggi la sensazione è che la città stia diventando sempre più<br />
‘stretta’.<br />
Con i recenti avvenimenti sismici, la maggior parte del patrimonio<br />
artistico-architettonico emiliano ha subito ingenti danni, se non la<br />
totale distruzione. Quali sfide crede, si troverà ad affrontare oggi il<br />
nostro territorio?<br />
Credo ci siano due grandi elementi di cui tener conto, due elementi forti,<br />
impressionanti, che sono poi anche le linee interne a tutto il mondo dell’arte:<br />
l’originarietà, cioè l’origine, e l’originalità. Originarietà vuol dire andare alle<br />
fonti, andare alla storia e quindi conservare la memoria e allora restaurare. Il<br />
che non vuol dire riparare una crepa, o riedificare semplicemente un muro,<br />
ma significa prima di tutto, sopra ogni cosa, ristabilire i valori, atto civile che<br />
va sempre perseguito. Però credo che vada anche considerata quella parte<br />
di contemporaneità e di moderno che va inevitabilmente ad inserirsi nella<br />
parte della restaurazione. Questa è la grande difficoltà nel fare architettura<br />
moderna in un centro storico, perché bisogna essere dei ‘colossi’ per capire<br />
veramente certe cose, per avere una forte visione d’insieme. E questo è un<br />
problema molto grande. Come metti a posto l’antico con il moderno? Una<br />
città non è certo come un percorso di un museo a sale. Come sarà l’impatto?<br />
Il problema nostro è proprio questo chiasmo, in questo incrocio tra la rappresentazione<br />
e la presentazione. Una frase che io credo ci faccia ancora<br />
sperare è di un grande vecchio e anche insopportabile come de Chirico: «Andare<br />
oltre la crosta del mondo». Molti artisti sono ‘diventati il mondo’, sono<br />
diventati molto importanti, ma quanti di loro sono andati oltre?…<br />
In alto: Pablo Picasso<br />
Massacre en Corée<br />
18 gennaio 1951, Olio su<br />
compensato, cm 110 x 210<br />
Al centro: Pablo Picasso<br />
Paul en arlequin<br />
19<strong>24</strong>, Olio su tela, cm 130 x 97,5<br />
In basso: Pablo Picasso<br />
Nu couché<br />
4 avril 1932, Olio su tela,<br />
cm 130 x 161,7<br />
Opere del Musée National<br />
Picasso di Parigi © Succession<br />
Picasso by <strong>SI</strong>AE 2012<br />
Bari, Castello Normanno-Svevo<br />
Bonnard, Signac e Matisse<br />
llestita fino al 28 ottobre al Castello<br />
ANormanno-Svevo di Bari la mostra<br />
“Dopo l’Impressionismo. Il nuovo sguardo<br />
sulla natura in tre opere di Bonnard, Signac<br />
e Matisse” s’inscrive nel progetto pluriennale<br />
“Viaggio in Italia. Capolavori dai<br />
musei del mondo”, promosso dalla Direzione<br />
Generale per la Valorizzazione del<br />
Patrimonio Culturale in collaborazione con<br />
l’Alef. Un progetto che mira alla fruizione<br />
di capolavori di istituzioni internazionali e alla valorizzazione di<br />
siti italiani. Il museo partner dell’edizione 2012 è la Fondazione<br />
Bemberg di Toulouse che ha prestato alcuni tra i suoi capolavori<br />
a tre castelli italiani: tre dipinti di Lucas Cranach il Vecchio al Castello<br />
di Miramare; opere fiamminghe alla Rocca di Gradara e i dipinti<br />
di Bonnard, Signac e Matisse al Castello di Bari. Opere che<br />
testimoniano di un nuovo modo di trascrivere la luce e il colore<br />
all’indomani dell’impressionismo. In mostra Il ponte dei Santi<br />
Padri di Bonnard, cifrata da una semplificazione formale di gusto<br />
Nabis; Alberi in fiore di Signac, dichiara l’impronta neoimpressionista<br />
e pointillista. Infine Matisse con La falesia di Aval e il cottage<br />
a Etretat, un ritratto di vita quotidiana dei pescatori di Etretat<br />
accesao da una gamma di colori puri e freddi. L’allestimento<br />
scelto suggerisce un senso di isolamento delle tre opere dall’ambiente<br />
che le accoglie; cioè rinuncia a dialogare con il luogo, con<br />
le dissonanze tra la monocromia della pietra, la policromia delle<br />
ceramiche esposte nella sala. Diciamo è stata un’ulteriore occasione<br />
mancata di far dialogare la storia.<br />
Valentina Murgia<br />
In alto: Paul Signac, Alberi in fiore<br />
(particolare), fine XIX secolo<br />
Firenze più sedi<br />
Film Festival sulle arti visive<br />
i terrà dal 21 al 27 novembre a Firenze<br />
Sla V edizione del Festival Internazionale<br />
di Film sulle Arti Visive Contemporanee,<br />
nella storica sala del Cinema Odeon,<br />
presso Cango Cantieri Goldonetta ed altri<br />
luoghi della città. Quest’anno importanti<br />
novità; oltre agli approfondimenti sulle<br />
pratiche dell’arte di oggi raccolti nella sezione<br />
“Festival Talks”, ci saranno progetti<br />
come “Focus On”, sezione dedicata ad un celebre artista internazionale<br />
che sarà ospite del festival e VI<strong>SI</strong>O – European Workshop<br />
on Artists’ Cinema, rivolto a 15 giovani artisti under 35 che<br />
affronteranno la selezione per il Young Talents Award del Festival<br />
Kino derKunst di Monaco di Baviera (<strong>24</strong>-28 aprile 2013). Nelle<br />
sezioni “Sguardi” e “Cinema d’Artista”, importanti anteprime<br />
nazionali come Opalka. One Life, OneOeuvre (fotografia) di Andrzej<br />
Sapija, riflessione sul tempo e i tempi, UnfinishedSpaces di<br />
Alysa Nahmias e Benjamin Murray, indagine sulla storia (e la conclusione)<br />
dell’ambizioso progetto di Fidel Castro e Ernesto Che<br />
Guevara, la National Art Schools di Cuba degli architetti Garatti,<br />
Gottardi e Porro. Da rilevare anche le opere di Corinna Beltz sull’artista<br />
Gerard Richter e di Khaled Hourani e RashidMasharawi<br />
con Picasso in Palestina. Sono da rilevare inoltre, la proiezione<br />
del vincitore del Turner Prize Gilliam Wearing con Self Made, Piattaforma<br />
Luna prodotto da Maurizio Cattelan e Il Capo di Yuri<br />
Ancarani. Nel corso del Festival sarà proiettato il vincitore del<br />
“Premio Lo Schermo dell’Arte” 2011, Incompiuto siciliano. La<br />
trasformazione del reale del gruppo Alterazioni Video.<br />
Tommaso Capecchi<br />
A Bologna<br />
arte contemporanea<br />
Lʼarte è una bugia che ci fa intuire la verità, perlomeno la verità che ci è dato di comprendere (Picasso)<br />
Il rivoluzionario consapevole<br />
Pablo Picasso torna a Milano<br />
Dopo le esposizioni del 1953 e del 2001 oltre duecento<br />
opere provenienti dal celebre Museo parigino<br />
a lui dedicato in mostra a Palazzo Reale fino a gennaio<br />
di MARINA LA MANNA<br />
Con le armi del disegno e del colore Picasso<br />
si proponeva di portare avanti la<br />
sua personale rivoluzione (ci perdoni<br />
Camus per aver conferito al termine<br />
tale accezione positiva) perché la conoscenza<br />
degli uomini e del mondo lo conducesse,<br />
giorno dopo giorno, alla conquista della vera libertà.<br />
Sin dai suoi primi esordi pittorici, quando la<br />
«mancanza di imperizia ed innocenza», come egli<br />
racconta, lo rendeva già abile con gli strumenti pittorici<br />
al punto da disegnare con una tale precisione<br />
accademica che quasi lo spaventava, Picasso non<br />
ha mai esitato a pensare e ripensare il suo vocabolario<br />
artistico declinandolo di volta in volta con esiti<br />
sorprendenti. È nel nome di Picasso che Palazzo<br />
Reale riapre i suoi spazi al maestro spagnolo, ospitando<br />
a Milano, fino al 6 gennaio 2013, l’imponente<br />
retrospettiva che conterà oltre duecento<br />
capolavori provenienti da Parigi.<br />
Curata da Anne Baldassari, direttrice del Musée<br />
National Picasso, la mostra è stata possibile grazie<br />
alla momentanea chiusura per lavori di ristrutturazione<br />
della sede parigina. L’antologica offre così<br />
l’opportunità di seguire il percorso artistico di questo<br />
protagonista indiscusso dell’arte del XX secolo.<br />
Nato nel 1881 a Malaga, fanciullo dal talento precoce,<br />
entra a soli tredici anni all’Accademia di Belle<br />
Arti di Barcellona, proseguendo quindi gli studi a<br />
Madrid. L’atmosfera di Parigi, dove si reca per la<br />
prima volta nel 1900, inciderà profondamente sulla<br />
sua evoluzione artistica. L’excursus cronologico dispiegato<br />
nell’allestimento della mostra traccia le<br />
tappe principali della produzione di Picasso, dalla<br />
Celestina del 1904, avvolta nel blu paradigmatico<br />
del periodo in cui le sue tele si popolavano di figure<br />
figlie di un’umanità dolente, a opere come Uomo<br />
con il mandolino (1911), Chitarra (1913) e Bicchiere<br />
e pipa, cifra e lettere (1914), che narrano lo sviluppo<br />
del Cubismo, destinato a segnare profondamente<br />
la cultura del XX secolo. Gertrude Stein, sua grande<br />
amica e collezionista, scriveva di come il Cubismo<br />
fosse già un «prodotto naturale della Spagna», nato<br />
in alcuni paesaggi dipinti da Picasso nella sua terra<br />
natale, memori della lezione dell’ultimo Cézanne e<br />
di certe forme di scultura iberica, ma ancora lontani<br />
da qualsiasi contaminazione con l’arte negra.<br />
L’elenco delle opere esposte contempla, naturalmente,<br />
altri capolavori eccellenti che testimoniano<br />
anche il cambio di rotta dell’artista prima che il Cubismo<br />
si configurasse come una «dittatura [che] pesava<br />
su Montmartre e Montparnasse», secondo le<br />
parole di Jean Cocteau: in Ritratto di Olga (1918),<br />
Paul come Arlecchino (19<strong>24</strong>) e ancora nella celebre<br />
gouache Due donne che corrono sulla spiaggia (La<br />
corsa) del 1922 si concretizzano la nuova grammatica<br />
del ritorno alla verosimiglianza dell’immagine e,<br />
ancora, la lezione della tradizione artistica italiana,<br />
assimilata da Picasso durante il viaggio del 1917<br />
nella penisola e visibile nella solida muscolatura delle<br />
sue possenti figure che stupiscono per la leggiadria<br />
dei loro movimenti in corsa. E non mancano i dipinti<br />
ispirati dalle sue muse, amori e amanti, tra cui il famoso<br />
Ritratto di Dora Maar (1937), dalle dita affilate<br />
e lo sguardo aperto su visuali contrastanti. L’esibizione<br />
di Palazzo Reale dispiega anche una grande<br />
quantità di sculture, fotografie, disegni, libri illustrati<br />
e stampe, configurandosi come un vero e proprio<br />
excursus cronologico sulla produzione di Picasso,<br />
mettendo a confronto le tecniche e i mezzi espressivi<br />
con i quali l’autore si è cimentato nella sua lunga<br />
carriera. «La collezione del Musée Picasso – scrive la<br />
curatrice nel catalogo – rappresenta dunque il lavoro<br />
picassiano in progress, i suoi imprevisti, i suoi<br />
balzi in avanti o le sue resipiscenze, i suoi meandri<br />
e i suoi ripiegamenti. Vi si può osservare la pittura<br />
che diventa scultura, e viceversa, nell’invenzione di<br />
dimensioni intermedie». Palazzo Reale accoglie,<br />
dunque, per la terza volta «l’opera geniale e fondativa<br />
di Pablo Picasso, dopo le grandi mostre del<br />
1953 e del 2001», ha detto l’assessore alla Cultura<br />
Stefano Boeri. E alla mostra del 1953 sarà dedicata<br />
una sezione, curata da Francesco Poli e ampiamente<br />
documentata, che raccoglie le testimonianze<br />
di un evento che ebbe una portata culturale<br />
e ideologica straordinaria, quando la grande tela di<br />
Guernica (1937) venne esposta per la prima volta in<br />
Italia grazie all’intervento di Attilio Rossi che convinse<br />
Picasso a spostarla dal MoMA di New York<br />
alla Sala delle Cariatidi, con le sue architetture ancora<br />
sconvolte per le offese subite dalla città in seguito<br />
ai bombardamenti aerei durante la guerra.<br />
L’antologica si configura dunque come un grande<br />
ritorno a Milano del maestro spagnolo. L’occasione<br />
di poter meditare sull’opera di un artista consapevole<br />
di aver vissuto appieno la sua epoca assimilandone<br />
voracemente lo spirito del tempo: «Tutto<br />
quello che io ho sempre fatto – scrive Picasso – era<br />
fatto per il presente e con la speranza che rimanesse<br />
sempre nel presente. […] Ogni volta che<br />
avevo qualcosa da dire l’ho detto come credevo di<br />
doverlo dire».<br />
Lo stile tra Writing e Street Art<br />
idea si collega a quella di Francesca<br />
L’ Alinovi, che aveva concepito “Arte<br />
di frontiera – New York Graffiti”, realizzata<br />
solo dopo la sua morte a cura della<br />
Galleria d’Arte Moderna di Bologna, nel<br />
1984.<br />
La città è stata la prima in Italia, e tra le<br />
prime in Europa, ad ospitare le opere di<br />
Keith Haring, Jean-Michel Basquiat e<br />
Kenny Scharf, della Scuola di New York. A quasi trent’anni di<br />
distanza Fabiola Naldi e Claudio Musso spingono di nuovo Bologna<br />
all’avanguardia di un rinnovamento, attraverso i linguaggi<br />
contemporanei. Anzi, fanno di più. Una mostra site<br />
specific, dialogo aperto tra la città e la società, perché la ragion<br />
d’essere del Writing e della Street Art sta proprio nel rapporto<br />
con quei muri che la strutturano e la costruiscono, una<br />
città.<br />
“Frontier – La linea dello stile” è un progetto articolato in<br />
due fasi, una operativa affidata a 13 artisti italiani e stranieri,<br />
tra questi Phase II, Eron, Honet, Does, Cuoghi Corsello, M-City,<br />
Daim, Rusty, i quali hanno lavorato sui muri dell’edilizia residenziale<br />
pubblica bolognese dialogando con la strada e sulla<br />
strada, attraverso il Writing e la Street Art.<br />
La seconda fase, più istituzionale, sarà affidata al MAMbo,<br />
che organizzerà un convegno internazionale nel gennaio<br />
2013, al fine di storicizzare e contestualizzare l’importanza, il<br />
ruolo e l’evoluzione di queste due discipline.<br />
Barbara Olivieri<br />
In alto: Eron per FRONTIER<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 19
arte contemporanea<br />
Sono colpito da quelle persone che sanno creare nuovi spazi con le parole giuste (A. Warhol)<br />
FOSDINOVO Residenze di artisti contemporanei nella magia della Toscana<br />
Un Castello<br />
in “Movimento”<br />
fra passato<br />
e futuro nel cuore<br />
della Lunigiana<br />
di FEDERICA PACE<br />
Giunta alla quarta edizione, anche quest’anno,<br />
da maggio ad ottobre, si rinnova l’iniziativa<br />
culturale del Castello Malaspina di Fosdinovo<br />
in provincia di Massa - Carrara. Il Castello, di<br />
cui la prima documentazione risale al IX secolo,<br />
è un monumento simbolo di quest’area della Toscana,<br />
racchiusa tra il litorale tirreno, le colline della<br />
Lunigiana e le Alpi Apuane. Celebre per aver ospitato<br />
Dante durante il suo esilio, diventa oggi un luogo di produzione<br />
e d’incontro fra artisti e scrittori, centro di condivisione<br />
di differenti linguaggi contemporanei.<br />
L'idea del progetto “Castello in Movimento” nasce nel<br />
2008 con l'obiettivo di fare del Castello Malaspina di Fosdinovo<br />
un luogo di pensiero e di produzione, sede di iniziative<br />
condivise e promotore di progetti internazionali.<br />
Sono invitati ad abitarlo scrittori di ogni nazionalità, un artista<br />
internazionale e, nel corso dell’estate, sono organizzati<br />
laboratori, giornate di studio aperte al pubblico,<br />
spettacoli di teatro ed eventi di musica e danza contemporanea.<br />
Ogni anno l’attenzione della residenza per autori<br />
è focalizzata su un paese ospite, del quale si intende<br />
offrire una panoramica letteraria. Questa edizione è dedicata<br />
all’Argentina. Oltre a scrittori argentini che abitano il<br />
Castello dandosi il cambio nel periodo di residenza, sono<br />
invitati altri autori scelti per la particolare rilevanza internazionale.<br />
Perseguendo l’obiettivo di diffusione della letteratura<br />
20 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
italiana contemporanea, accanto alla residenza degli scrittori<br />
si affianca un programma di residenza per traduttori<br />
curato da Theodora Delavault. Il traduttore invitato quest’anno,<br />
di madrelingua inglese, è Richard Dixon.<br />
Non sono tuttavia trascurati gli scrittori italiani al quale<br />
è riservato un progetto del tutto particolare: un comitato<br />
di suggeritori indica cinque scrittori sotto i quaranta anni<br />
invitati in residenza. Gli scrittori italiani lavorano a un racconto<br />
scritto nel Castello in <strong>24</strong> ore, oggetto poi di una lettura<br />
pubblica. L’insieme dei racconti va a formare il quarto<br />
quaderno di Castello in Movimento.<br />
Sotto la direzione artistica di Alberto Salvadori, si svolge<br />
il programma della residenza per artisti. Un artista viene<br />
quindi invitato a vivere nel Castello per alcuni mesi e dal<br />
dialogo con il luogo nasce la sua opera che viene esposta<br />
e lasciata come traccia del suo passaggio. Quest’anno partecipa<br />
l’artista danese Tue Greenfort, la cui opera va a far<br />
parte della collezione permanente assieme a quelle di<br />
Anna Franceschini, di Emanuele Becheri e Flavio Favelli,<br />
che, con Riccardo Benassi, l’hanno preceduto, nel progetto<br />
di residenza.<br />
Artista ospite è invece Francesco Gennari invitato per un<br />
mostra aperta per tutta la stagione estiva.<br />
Da non trascurare è l’attività che, dall’ormai decennale<br />
collaborazione fra il Castello di Fosdinovo e Lunatica Festival,<br />
porta in scena la danza contemporanea. Per saperne<br />
di più www.castellodifosdinovo.it<br />
Parigi, Musée d’Art Moderne<br />
Segni della guerra: Francia 1938-1947<br />
Dal 12 ottobre al 17 febbraio, il Musée<br />
d’Art Moderne de la Ville de Paris indaga<br />
con la mostra “L’art en guerre- France<br />
1938-1947 -De Picasso à Dubuffet” una<br />
pagina della storia francese che pone le<br />
basi dell’arte contemporanea occidentale.<br />
L’esposizione getta uno sguardo<br />
completo sullo scenario artistico francese,<br />
sulle evoluzioni o involuzioni che<br />
gli anni del secondo conflitto mondiale e<br />
le pressioni dell’occupazione nazista<br />
hanno esercitato nei repertori stilistici e<br />
formali dei principali protagonisti delle<br />
avanguardie in Francia e nei risultati delle<br />
successive ricerche pittoriche.<br />
Milano, Galleria Credito Valtellinese<br />
Orma dopo orma, andare e tornare<br />
Un’opera di Andrea Dalla Barba<br />
L’Associazione illustratori italiani unitamente<br />
alla Fondazione Gruppo Credito<br />
Valtellinese di Milano bandisce, nel 2011,<br />
un concorso i cui esiti confluiranno, dal<br />
19 ottobre al 2 dicembre 2012 presso la<br />
Galleria del suddetto Gruppo, nella retrospettiva<br />
“LE METAMORFO<strong>SI</strong> DEL VIAG-<br />
GIATORE. Stati mentali, onirici e reali del<br />
partire e del tornare”, dove l’affascinante<br />
e intrigante tema del viaggio è raccontato<br />
da fumetti, carnet de voyage, illustrazioni<br />
e schizzi. Ogni autore “narra” i propri<br />
spostamenti in terre più o meno lontane<br />
senza scordare i viaggi forse più interessanti:<br />
quelli della mente.<br />
Salerno, Punto Einaudi<br />
“Una volta”, memorie di Marco Natale<br />
Dal 6 ottobre al 2 novembre a Napoli, poi<br />
a Salerno dal 10 novembre al 27 dicembre,<br />
Marco Natale, artista partenopeo<br />
classe 1975, porta in mostra le opere del<br />
ciclo, avviato nel 2009 “Una volta”. Suggestionato<br />
dal tema della memoria,<br />
mosso dall’interesse per la storia, Natale<br />
guardando ad una pratica molto in uso<br />
nelle esperienze attuali, indaga il valore<br />
evocativo di vecchie stampe fotografiche,<br />
un repertorio ritrovato tra le immagini di<br />
famiglia, ingrandite e modificate attraverso<br />
interventi pittorici e di acidi corrosivi.<br />
Il risultato è un casellario di immagini<br />
latenti riportate all’orizzonte.<br />
Oliviero Toscani a Pescara<br />
I volti del mondo nei click del fotografo<br />
Oliviero Toscano<br />
Berlingeri a Catanzaro e Padova<br />
Le tele piegate e la fisicità del gesto<br />
Doppio appuntamento, nell’autunno<br />
del 2012, con l’artista calabrese Cesare<br />
Berlingeri. Ad aprire la stagione espositiva<br />
sarà la Fondazione Rocco Guglielmo<br />
che, in collaborazione con Hub<br />
Calabria, la sezione dedicata ai giovani<br />
artisti calabresi, presenterà ad ottobre,<br />
presso la Casa della Memoria e la<br />
Chiesa di Sant'Omobono di Catanzaro,<br />
una serie di opere che riassumono il linguaggio<br />
artistico di Berlingeri. Dal 7 dicembre<br />
al 27 gennaio 2013 il Centro<br />
culturale Altinate/San Gaetano di Padova,<br />
ospiterà un’antologica a cura di<br />
Luca Beatrice.<br />
in vetrina<br />
Jean Fautrier, Testa d’ostaggio n.1<br />
(particolare), 1944<br />
Marco Natale, Una volta, tecnica mista<br />
su stampa fotografica<br />
«La fotografia, come l’arte, è movimento<br />
da fermo, l’artista è un nomade mentale<br />
che si muove e si sposta non con il suo<br />
corpo ma con il peso della materia con la<br />
quale realizza le sue opere». Con queste<br />
parole Achille Bonito Oliva presenta la<br />
mostra “Razza Umana”, vera e propria<br />
galleria infinita di ritratti di varia e anonima<br />
umanità realizzati nel corso di questi<br />
anni da Oliviero Toscani. È una viva<br />
rappresentazione della coesistenza e, al<br />
tempo stesso, delle differenze tra individui<br />
che abitano la sfera chiamata mondo.<br />
Fino al 20 ottobre in Piazza della Rinascita<br />
a Pescara.<br />
Cesare Berlingeri, Giallo piegato, 2003<br />
olio su tela piegata, coll. priv.<br />
HANNO COLLABORATO: Linda Gezzi, Ardesia Ognibene,<br />
Pasquale Ruocco, Maria Letizia Paiato, Annamaria Restieri<br />
Berlino. Da est<br />
a ovest<br />
lungo e oltre la U5<br />
Tendenze artistiche e maestosi<br />
progetti architettonici<br />
fra Alexanderplatz<br />
e la Porta di Brandeburgo<br />
di MARIACHIARA GASPARINI<br />
Icavalli della quadriga sulla porta di Brandeburgo rivolgono lo<br />
sguardo a est verso Alexanderplatz, quasi a voler rincorrere i turisti<br />
che si affollano lungo il largo viale Unter den Linden che nasconde<br />
il proseguimento della linea 5 della metropolitana<br />
berlinese (U-Bahn). La U5 al momento si allunga solo nella Berlino<br />
est fino a Hönow; nonostante la fitta rete di linee raggiunga ogni<br />
angolo della città e il muro sia caduto più di venti anni fa, il tratto fra le<br />
più importanti zone dell’ex DDR e la BRD è ancora in costruzione. In superficie,<br />
da entrambi i lati, maestose architetture si susseguono l’una<br />
dopo l’altra per incontrarsi nella Museuminsel [isola dei musei], patrimonio<br />
Unesco dal 1999. Alexanderplatz sembra ancora lontana dall’aristocratica<br />
porta di Brandeburgo, tuttavia proprio la Berlino est negli<br />
ultimi vent’anni è diventata la zona più dinamica e produttiva della città.<br />
Gallerie d’arte, negozi di moda vintage, circhi ambulanti notturni di circensi<br />
catalani e bistrò in stile parigino affollano le strade e i vicoli di Saint<br />
Nikolai e della zona circostante Warschauer Strasse. Lasciandosi alle<br />
spalle punk e gruppi heavy metal si prosegue lungo le provvisorie pensiline<br />
di legno e cemento che raggiungono la Schlossplatz, ovvero Il<br />
grande spazio verde che dallo scorso anno ospita l’Humboldt Box; architettura<br />
contemporanea e museo provvisorio che informa del grande<br />
progetto museale in apertura nel 2016 - si spera!- e che un tempo ospitava<br />
il Berliner Stadschloss [Palazzo della città di Berlino].<br />
Chiamato Humboldt Forum, il nuovo edificio affiancherà il Duomo e<br />
gli altri musei statali di Berlino appartenenti alla Fondazione del patrimonio<br />
culturale Prussiano, e combinerà assieme i mancanti Museum für<br />
Asiatische Kunst [Museo di Arte Asiatica], l’Etnologisches Museum<br />
[Museo di Etnologia], l’Università Humboldt e la Zentral und Landesbibliothek<br />
Berlin [Biblioteca Centrale e Regionale di Berlino]. I primi due<br />
dovranno spostarsi infatti da Dahlem-Dorf, nella parte sud-ovest della<br />
città, nonché nel campus della Freie Universität [Libera Università],<br />
aperta nel 1948 come contro-risposta alla più prestigiosa e severa Humboldt<br />
nella zona est. Tutto ben presentato nel Humboldt Box, caleidoscopio<br />
temporaneo di quello che vuole essere il più grande progetto<br />
culturale europeo. Rifacimento dell’antico palazzo barocco distrutto nel<br />
1950 per ordine di Walter Ulbricht, Capo del Concilio di Stato dell’allora<br />
Repubblica Democratica di Germania e del partito comunista,<br />
l’Humbolt Forum porterà alla luce tesori unici mai visti prima, molti dei<br />
quali sopravvissuti ai bombardamenti della seconda guerra mondiale.<br />
Proseguendo oltre l’Altes Museum [Museo Vecchio] si arriva all’Alte<br />
Nationalgalerie [Vecchia Galleria Nazionale], dalla quale si intravede la<br />
nuova sinagoga dalle cupole dorate. L’edificio ristrutturato nel 1995<br />
sorge sulla strada più famosa e turistica di Berlino: la Oranienenburg<br />
Strasse. La strada è da sempre rinomata per le passeggiate di prostitute<br />
succinte in shorts e stivaloni di lattice, perfettamente integrate fra<br />
i locali, i bar e i turisti che vi sostano fra una galleria e un caffè, probabilmente<br />
più incuriositi dal mix socio-culturale che da una presunta sacralità<br />
ebraica. Quasi all’incrocio con la Friedrichstrasse si incontra la<br />
Tacheles. Ex magazzino in fase di demolizione, questa fatiscente “casa<br />
d’arte” è gestita da un collettivo di artisti liberi che spaziano dalla<br />
La nuova<br />
Potsdamer<br />
Platz<br />
Il Sony Center<br />
Nel 19<strong>24</strong> veniva istallato il primo semaforo<br />
d’Europa, da allora Postdamer Platz ha subito<br />
distruzioni e rinnovamento imposti dai governi<br />
tedeschi dell’ultimo secolo. Su un progetto<br />
d’insieme di Renzo Piano questo ex crocevia è<br />
oggi uno dei maggiori centri d’attrazione turistica<br />
che ospita il Beischeim Center, il Daimlercrysler<br />
Contemporary e il Daimlercity. Qui si<br />
trova anche il Sony Center. Con una piazza centrale<br />
coperta da una tenda di vetro, questa architettura<br />
contemporanea, luogo di ritrovo<br />
popolare, ospita anche il Filmmuseum Berlin e la<br />
Kaisersaal, sala neo-roccocò dell’ex Hotel Explande,<br />
opera prebellica spostata dalla posizione<br />
originale, è diventata uno dei ristoranti più<br />
creativi di Berlino.<br />
Nella foto: Sony Center, Postdamer Platz, Berlin<br />
Lungo<br />
la via<br />
della seta<br />
fino a Berlino<br />
stampa, ai gioielli creati con posate riciclate, a vere e proprie sculture in<br />
metallo nell’area espositiva esterna, dietro all’edificio. Tra bambini multietnici<br />
i che scorrazzano liberi fra un ingresso e l’altro, e genitori dalla<br />
mani sporche d’arte può capitare di trovarsi coinvolti in collettivi gay, politici,<br />
animalisti, new age o semplicemente intellettuali. Non importa il<br />
gruppo, la nazione o il colore a Berlino ognuno fa quello che vuole,<br />
passando da un estremo all’altro senza pensarci troppo su! A Berlino si<br />
diventa artisti facilmente e viene da chiedersi se davvero sia tutta arte<br />
quella che si vede!<br />
Oltrepassati i ristoranti asiatici dai grandi ombrelloni colorati e continuando<br />
sulla Friedrichstrasse si taglia di nuovo per la Unter den Linden.<br />
Il paesaggio cambia, i negozi si allargano, gli interni mostrano un design<br />
moderno e curato, e la merce esposta è decisamente più firmata<br />
che vintage. I palazzi antichi riportano alla mente antiche nobiltà prussiane<br />
e improvvisamente il contesto “hippy 2000” svanisce per dare<br />
spazio ai grandi magazzini francesi Galerie Lafayette. Il Französische<br />
Dom [Duomo francese] e il Deutscher Dom [Duomo tedesco], entrambi<br />
costruiti all’inizio del XVIII secolo e rinomati per splendide cupole a gallerie<br />
progettate da Carl von Gontard sembrano lontano dal moderno<br />
contesto artistico berlinese; più in linea con lo stile monumentale della<br />
Staatopera o dell’Università Humboldt che vanta nomi come Engel,<br />
Marx, i fratelli Grimm, Albert Heinstein e Max Planck. Opere di restauro<br />
hanno riportato allo splendore di un tempo marmorei colonnati e statue<br />
di bronzo, eppure cartelli anticapitalisti, antieuropei o forse solo anti<br />
crisi non mancano. «Politischer Krieg ist Krieg!» [La guerra politica è<br />
guerra!] è solo uno dei tanti slogan abbandonati dopo una delle varie<br />
proteste quotidiane lungo il grosso viale che porta alla quadriga.<br />
Questa Berlino est sembra lontana dai movimenti finanziari di Francoforte,<br />
sembra lontana dalla cattolica e tradizionale Baviera; forse più<br />
vicina ad un contesto sociopolitico-artistico come quello di piazza del<br />
Gesù nuovo a Napoli. Seguendo i numerosissimi Ampelmann (uomo<br />
semaforo, indiscusso logo della città) sui vari souvenir che si affollano<br />
Èuno dei tesori più importanti al mondo<br />
quello portato a Berlino dalle quattro spedizioni<br />
prussiane nel bacino del Tarim, in Cina. Gli<br />
archeologi Grünwedel e Van le Coq all’inizio<br />
del secolo scorso ritornarono con pitture murarie,<br />
sculture, utensili, manoscritti e frammenti<br />
tessili da Kizil a Turfan, lungo la Via della seta<br />
settentrionale. Conservati nel Museo di arte<br />
asiatica a Dahlem- Dorf , queste collezioni includono<br />
esempi di cultura cinese, uigura, tocaria<br />
e di altre popolazioni che seguirono le vie del<br />
Buddhismo quanto quelle del Manicheismo o<br />
del Nestorianesimo. La magnifica collezione tessile<br />
e alcuni dipinti ancora mai esposti faranno<br />
parte di una delle istallazioni permanenti del<br />
futuro Humboldt Forum.<br />
Nella foto: Museo di Arte Asiatica, Dahlem Dorf, Berlin<br />
La RAW<br />
Il tempio<br />
dell’Est<br />
nell’attualità<br />
metropolis<br />
Parigi è sempre Parigi e Berlino non è mai Berlino! (J. Lang)<br />
acronimo RAW sintetizza il più lungo Rei-<br />
L’ chsbahnausbesserungswerk ovvero officina<br />
di riparazioni della Reichsbahn (Ferrovie dello<br />
Stato) distrutta dopo la riunificazione del paese.<br />
Dal 1999 l’associazione RAW - Tempel ha affittato<br />
alcune sale dell’ex officina per creare progetti<br />
interculturali. Seguendo la scia dei graffiti,<br />
in linea con la lo stile dell’ est, si raggiunge la<br />
RAW dalla fermata della S-Bahn (metropolitana<br />
extraurbana tedesca) di Warschauer Strasse. Locali<br />
e ristoranti etnici si susseguono uno dopo<br />
l’altro ravvivando la vita notturna della capitale<br />
sulla Revalstrasse. La Raw è rinomata soprattutto<br />
per club quali il Cassiopea, dall’ampio programma<br />
musicale nonostante il discutibile audio,<br />
e il mercato domenicale delle pulci.<br />
Nella foto: Murales al RAW, Friedrichshain, Berlin<br />
A lato: Humboldt Box, Schlossplatz<br />
In alto: Quadriga sulla Porta di Brandeburgo<br />
Sopra: Linea U5 in costruzione lungo la Unter der Linden<br />
Testi e immagini ©Mariachiara Gasparini, 2012<br />
verso e oltre la porta di Brandeburgo, si arriva alla quadriga. L’Ambasciata<br />
americana e l’Accademia di Belle Arti l’affiancano e si affacciandosi<br />
sulla Pariser Platz; nonostante le architetture moderne, essenziali e<br />
luminose, è l’immancabile caffetteria Starbuck che ricorda davvero la<br />
fine della guerra e la liberazione. Segno di globalizzazione mondiale la<br />
catena americana è riuscita a varcare anche le porte della Città Proibita<br />
a Pechino. La sua Trinacria verde è il marchio costante di scambio di doveri<br />
e piaceri internazionali risolti in un espresso un po’ troppo lungo e<br />
un frappuccino, variante postmoderna di un cappuccino freddo.<br />
La porta di Bradeburgo segna la storia tedesca: la fine dell’Impero<br />
Prussiano, dell’entrata nazista, di quella comunista e la rinascita di un<br />
città che da appena vent’anni sembra essere tornata libera. La porta<br />
segna anche l’ingresso all’ex Berlino ovest e alle grandi architetture contemporanee<br />
che emergono a destra e sinistra dell’ex Reichstag [parlamento<br />
del Reich tedesco], oggi Bundestag [parlamento federale<br />
tedesco]. Rinnovato nel 1995, il parlamento viene quest’anno celebrato<br />
in un film di circa trenta minuti proiettato sui i muri del Marie Elisabeth<br />
Lüders Haus, edificio inaugurato nel 2003 che ospita la biblioteca del<br />
parlamento e che ha preso parte dello spazio dedicato al Parlamento<br />
degli alberi, opera dell’artista Ben Wagin dedicata ai morti al muro di<br />
Berlino. Lo spettacolo di luci e musiche che accompagna la proiezione<br />
del film al calare del sole, intitolato Dem deutschen Volke. Eine parlamentarische<br />
Spurensuche. Vom Reichstag zum Bundestag [Al Popolo<br />
tedesco. Un viaggio attraverso la storia parlamentare, dal Reichstag al<br />
Bundestag] è uno dei migliori esempi di visual art berlinesi, affascinante<br />
quanto l’oramai famoso memoriale dell’Olocausto, labirinto di steli che<br />
occupa lo spazio adiacente l’Ambasciata americana proseguendo per<br />
la “nuova” Postdamer Platz.<br />
Berlino prosegue, in largo e in lungo in continuo mutamento, tuttavia<br />
sembra che proprio la U5 abbia il compito di riunire definitivamente<br />
la città e riportarla agli antichi splendori prussiani e a quelli contemporanei<br />
dell’urban art europea.<br />
Le “strade”<br />
dell’arte<br />
contemporanea<br />
no-stop<br />
Tutta la zona circostante Rosenthler Platz è<br />
un continuo susseguirsi di gallerie e negozi<br />
di arte contemporanea. Si è appena conclusa<br />
alla Deschler Gallery, lungo la Auguststrasse, la<br />
mostra “Broken Heroes” (Eroi infortunati) di Patricia<br />
Waller. Eroi dei fumetti come sculture di<br />
maglia presentati accidentati: dall’ Uomo Ragno<br />
impigliato nella propria rete al Superman distrutto<br />
contro un muro. Di diverso tipo la mostra<br />
di Tanja Koljonen e Jaana Maijala alla<br />
Gallery Taik, sulla Bergstrasse. In “Repetitive gestures”<br />
(Gesti ripetitivi) sono stati presentati alcune<br />
delle opere della cosiddetta “Scuola di<br />
Helsinki”; nuovo movimento di fotografia scandinavo<br />
che propone metodi espressivi naturali<br />
e di cooperazione con altre forme d’arte.<br />
Nella foto: Patricia Waller, Sperman, Deschler Gallery<br />
Auguststrasse, Berlin<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 21
architettura/design/ambiente<br />
La coscienza dipende dallʼimmaginazione e lʼimmaginazione occupa un posto centrale nellʼanima (J. Hillman)<br />
Nella Villa Romana<br />
di Minori<br />
le videoinstallazioni<br />
di Studio Azzurro<br />
Il progetto “Ozi marittimi”<br />
per il rilancio di simili vestigia<br />
della Costa d’Amalfi<br />
di PAOLA CONGIUSTÌ<br />
Nel cuore del piccolo centro urbano di Minori si trova<br />
un prezioso complesso archeologico. Si tratta di una<br />
villa romana costruita durante il principato di Tiberio<br />
tra il 14 a C. e il 37 d.C. Aperta al pubblico dal 1954,<br />
è il monumento simbolo delle ville d’otium romane<br />
sulla Costa d’Amalfi. Questo tratto di costa, con le sue insenature e il<br />
paesaggio selvatico era il luogo ideale per costruire una villa d’ozio. Il<br />
ricco cittadino romano vi veniva a trascorrere un periodo di riposo lontano<br />
dagli affari e dalla vita tumultuosa della città; dedicandosi ,da<br />
solo o con pochi amici, alla lettura, alla composizione di testi, agli<br />
studi, alla meditazione e al buon cibo. In questo contesto abitativo si<br />
realizzava il c.d. otium letteratum: una vera e propria filosofia di vita,<br />
generata dal culto delle virtù e dai piaceri del buon vivere.<br />
Uno stile di vita, quello delle ville gentilizie romane, che Studio Azzurro,<br />
gruppo di ricerca artistica di livello internazionale nel settore<br />
delle installazioni multimediali, propone negli spazi della villa romana<br />
di Minori facendo rivivere con suggestioni di luci, racconti sonori e<br />
proiezioni di immagini, le abitudini degli antichi romani. Le stanze<br />
sono animate da ombre, colori, suoni, come se la villa fosse nuovamente<br />
in attività. Sarà possibile assistere a riti propiziatori, alla preparazione<br />
del banchetto e anche a una tempesta notturna. Studio<br />
Azzurro prendendo spunto da testi letterari e iconografie antiche<br />
gioca ancora con la magia delle immagini per evocare, dall’alba fino<br />
al calar del sole, la vita quotidiana sulle sponde della Costiera Amalfitana.<br />
Continum vitae, l’ intervento artistico di Studio Azzurro, rientra nel<br />
progetto ideato dal Comune di Minori - finanziato dalla regione Campania<br />
e dalla Soprintendenza de Beni Archeologici - che è “Ozi marittimi,<br />
le ville romane della Costa d’Amalfi”. Un vero e proprio<br />
itinerario turistico culturale che mette insieme il Comune di Minori –<br />
soggetto capofila – con il territorio di Vietri sul Mare, di Positano e di<br />
Tramonti, dove sono presenti altre abitazioni romane. Lo scopo di questo<br />
ambizioso progetto, che si presenta però tutto in salita per una<br />
serie di problemi strutturali della villa, è di rinnovare l’offerta turistica.<br />
Rendendo permanente il percorso espositivo delle installazioni multimediali,<br />
si spera di riaccendere l’interesse anche sull’importante attività<br />
del Museo Archeologico di Minori, di cui la villa romana fa parte.<br />
Sui Musei e sui progetti artistici in Italia, rivolgiamo qualche domanda<br />
a Leonardo Sangiorgi di Studio Azzurro.<br />
Secondo alcuni critici e storici dell’arte i Musei sono diventati<br />
involucri vuoti o addirittura dei Luna-Park; e si teme una deriva<br />
definitiva di questa istituzione. Ma Studio Azzurro sta rivolgendo<br />
le sue idee progettuali proprio sui musei: i “ Musei<br />
Tematici”.<br />
Parlerei a questo proposito dei “Musei di Narrazione”. Sono Musei<br />
che hanno la particolarità di non esporre apparentemente niente ma<br />
di attingere a quella grande mole di beni culturali immateriali che sono<br />
Il filo di Ulassai<br />
Il Museo Stazione<br />
dell’Arte<br />
e i suoi nuovi<br />
viaggiatori<br />
Ulassai, provincia (ancora per poco) ogliastrina. Millecinquecento<br />
anime circa e la Fondazione Museo Stazione dell’Arte nata nel<br />
2006 dopo la donazione dell’ormai novantenne Maria Lai al proprio<br />
paese natio di 120 opere. Eppure il progetto dell’artista sarda ha radici<br />
più lontane, nell’idea che l’arte sia anche educazione alla convivenza<br />
civile e all’accettazione della diversità ed è soprattutto per questo che<br />
già dagli anni Settanta, tornata alle pendici delle sue grotte, avvia una<br />
serie di attività che faranno di questo piccolo paese un museo a cielo<br />
aperto per le cui strade si dipana un percorso di opere che sotto forma<br />
di gioco spiega l’arte contemporanea mediante un filo unico che non<br />
è solo quello dei telai rivisitati dalla Lai, ma è sopra ogni cosa un filo metaforico<br />
che unisce la cultura moderna con la tradizione rendendo consapevoli<br />
gli uomini di una propria partecipazione attiva alla storia.<br />
Stesso filo che riconduce a quei tre edifici che sul finire dell’Ottocento<br />
furono costruiti come capolinea di un treno che, in dodici ore da Cagliari<br />
portava fino all’entroterra sardo. Un luogo espositivo che oggi,<br />
nonostante le fatiche di un’economia instabile, propone un orario continuato<br />
di apertura su un calendario che copre tutto l’anno, esponendo<br />
le opere della Lai a rotazione ma anche promuovendo e curando mostre<br />
di artisti noti, pièces teatrali, concerti e accogliendo, infine, nel periodo<br />
invernale le scolaresche di tutta l’isola, portando avanti quel<br />
progetto didattico intrapreso dalla stessa Maria Lai.<br />
Marcella Ferro<br />
Nella foto: Maria Lai, Fiabe intrecciate, 2007 Ulassai<br />
Museo Stazione dell’Arte<br />
22 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
la memoria, i ricordi, le testimonianze che costituiscono il bene comune,<br />
il valore artistico storico in questi musei, prezioso e insostituibile<br />
perché esposto grazie al meccanismo del “dono” fatto da coloro<br />
che le narrazioni le hanno profondamente vissute. I Musei di Narrazione<br />
non sono involucri vuoti, anzi essendo dei grandi convogliatori<br />
di emozioni, sono pieni di pubblico e delle loro esperienze. Non sono<br />
dei Luna Park, perché nei nostri Musei Narrativi, ma direi da sempre,<br />
Studio Azzurro, in tutte le sue opere e realizzazioni non ha mai esibito<br />
la tecnologia come spettacolo ma anzi occultandola accuratamente<br />
l’ha utilizzata per creare suggestioni nella quale il visitatore, vivendo<br />
in prima persona un’esperienza, non si trova come nei musei tradizionali,<br />
con un “punto di vista”, di fronte ad un opera ma, coinvolto<br />
come visit-attore, agisce dentro l’opera stessa.<br />
Alcuni progetti come Valentia Sensibile, a Vibo Valentia, o il<br />
Museo della Mente, a Roma, stentano a partire. Pare non si riesca<br />
a superare il giorno della cerimonia di inaugurazione!<br />
Colpa del catering?<br />
In un certo senso si! Ovviamente non parlo in senso gastronomico,<br />
quello nel bene o nel male, è sempre apprezzato. Parlerei più in generale<br />
del senso del “nutrimento”culturale, del sentire profondamente<br />
la necessità dell’alimento culturale, adoperandosi per<br />
cibarsene, accostandosi a una mensa collettiva aperta a tutti i gusti e<br />
ai molteplici sapori. A parte la metafora culinaria, cito un’altra cosa<br />
che mi ha colpito con grande emozione, in questo periodo di italica<br />
crisi. Subito dopo il terribile tsunami, il Governo Giapponese diffuse<br />
un comunicato nel quale dichiarava l’intenzione di mantenere in calendario<br />
e realizzare, compatibilmente all’agibilità del territorio, tutti<br />
gli eventi culturali programmati in quel periodo. Non posso fare a<br />
meno di ammirare questa scelta; una grande dichiarazione di investimento<br />
sulla cultura e di fiducia nel ritenere la cultura, uno dei motori<br />
principali non solo per una ripresa economica ma anche di ricostruzione<br />
di un patrimonio ambientale e di una ricostituzione dell’ anima<br />
identitaria.<br />
Il progetto “Ozi marittimi” è ammirevole e va salutato con ottimismo,<br />
ma il rilancio del patrimonio archeologico costiero forse richiede<br />
Arte in pinacoteca a Follonica<br />
Un'installazione<br />
multimediale<br />
per “La Città<br />
Visibile 2012”<br />
Giunge al termine “La Città Visibile 2012”, mostra diffusa che racconta<br />
Grosseto e la Maremma contemporanea: un modo di porre<br />
nei registri dell’attualità un percorso narrativo dei luoghi e del territorio.<br />
Le metamorfosi e le nuove percezioni dell'urbano sono al centro<br />
del progetto, che per circa un mese, attraverso esposizioni d'arte, di fotografia<br />
e di architettura, conferenze e seminari, ha presentato un'immagine<br />
nuova del territorio, lontana dagli stereotipi da cartolina.<br />
Follonica raccoglie il testimone da Massa Marittima e Magliano: la pinacoteca<br />
ospita rappresentazioni di una città aperta e solidale, opere<br />
inedite e work in progress, lavori di documentazione ed esperienze di<br />
arte relazionale. Inaugura il 12 ottobre l'installazione multimediale Cemento<br />
Armato, un progetto di Emilio e Andrea Gozzi. Le fotografie di<br />
Emilio ritraggono i grattaceli in cemento sorti negli anni più bui della<br />
speculazione. Andrea, musicista e ricercatore, interpreta le immagini in<br />
bianco e nero con suoni e filmati che ne sottolineano il significato. Il<br />
video si sviluppa per sovrapposizioni, associazioni di idee, sguardi di<br />
viandanti che attraversano la città e come se tra i due artisti si fosse instaurato<br />
un dialogo creativo su un territorio comune, quello urbano:<br />
luogo per antonomasia dell’idea di presente. Il suono è stato registrato<br />
in tempo reale, adoperando un software appositamente sviluppato a<br />
tal fine. Durante l'inaugurazione, sarà condotto un dibattito sul ruolo<br />
delle istituzioni e delle associazioni nella gestione e promozione dell'arte<br />
sociale.<br />
Claudia Gennari<br />
Nella foto: Emilio e Andrea Gozzi, Cemento Armato, fotografia<br />
qualche sforzo in più. A mio parere, esso potrà costituire una vera attrattiva<br />
turistica culturale, quando l’opinione pubblica sarà persuasa<br />
che la tecnologia più spettacolare stia andando di pari passo ad un<br />
umano impegno di conservazione e manutenzione del siti stessi. Mi<br />
chiedo, la tecnologia più sofisticata potrà convivere con una terribile<br />
umidità? Potrà distrarci dai mosaici che si staccano come bottoni o<br />
dalle pareti che si scrostano sulle nostre teste? Spenti tutti gli interruttori<br />
e i riflettori, la magia scomparirà e si sentirà la goccia sul pavimento<br />
e lo sbriciolarsi degli intonaci. Questa è la realtà del nostro<br />
otium che è inerzia, è indolenza , è pigrizia.<br />
Nelle foto: La rappresentazione teatrale che Studio Azzurro<br />
ha messo in scena il 29 aprile nel patio della villa<br />
Daniel Buren a Scolacium<br />
Il passato<br />
rivive<br />
nel corpo<br />
di forme nuove<br />
Daniel Buren è il protagonista della settima edizione di “Intersezioni”,<br />
la rassegna di scultura che, dal 2005, si tiene durante il<br />
periodo estivo nel parco archeologico di Scolacium a Roccelletta di Borgia.<br />
Il progetto dal titolo “Costruire sulle vestigia: impermanenze.<br />
Opere in situ”, in mostra finio al 14 ottobre 2012, è stato curato da Alberto<br />
Fiz su due sedi espositive: il museo MARCA di Catanzaro, dove<br />
sono esposti disegni che mostrano gli aspetti strutturali, gli esiti spaziali<br />
e le dinamiche relazionali a cui sono sottoposte le sue opere e i centri<br />
nevralgici del sito archeologico. Ad accogliere lo spettatore, file di ulivi<br />
perfettamente allineati, i cui basamenti circolari a bande verticali bianche<br />
e verdi, abbracciano gli enormi tronchi, conferendo loro un aspetto<br />
monumentale. L’artista francese, crea un’interazione tra natura, storia<br />
e contemporaneità, evidenziata dagli inserti in plexiglass che ricoprono<br />
la fenditura dell’abside e l’oculo della Basilica bizantina. La distanza tra<br />
mondo antico e contemporaneo viene annullata sia dall’elementarità<br />
plastica e spaziale della Cabane éclatée, un fabbricato caratterizzato da<br />
pannelli metallici riflettenti e alternati a superfici piane blu, gialle, nere<br />
e rosse, sia dalla sinergia linguistica che le 53 colonne lignee a strisce<br />
bianche e rosse instaurano con i resti dell’antico colonnato del Foro. La<br />
reinvenzione spaziale si coglie nella struttura in alluminio riflettente<br />
posta al centro del Teatro, che duplica la visione offrendo nuovi scenari<br />
e possibilità narrative.<br />
Annamaria Restieri<br />
Nella foto: Daniel Buren, Cabane éclatée aux 4 couleurs, 2012<br />
Parco Archeologico di Scolacium<br />
di GIUSEPPE DI MURO<br />
molto Venezia perché è unica. Ma Napoli in<br />
qualche modo rappresenta forse meglio di ogni<br />
altra città l’idea stessa che ha animato questa<br />
Biennale. Un luogo ideale, un “Common<br />
«Amo<br />
Ground” dove le bellezze della natura e la ricchezza<br />
della cultura hanno sempre dovuto fare i conti con le contraddizioni<br />
e i conflitti, più o meno violenti, della società». Così conclude<br />
l’intervista che l’architetto londinese David Chipperfield (1953), direttore<br />
della tredicesima Biennale d’Architettura di Venezia, ha rilasciato<br />
a Stefano Bucci ed apparsa sulle colonne della “Lettura” supplemento<br />
domenicale del “Corriere della Sera”.<br />
La città di Partenope per le sue contraddizioni, gli accesi conflitti sociali,<br />
ma anche per le sue bellezze e la vivacità culturale, esplicita sinteticamente<br />
il tema scelto da Chipperfield sul quale ha chiamato a<br />
confrontarsi sessantasei progetti realizzati da architetti, fotografi, artisti,<br />
critici e studiosi. Il “Common Ground”, ossia il terreno comune dell’architettura,<br />
potrebbe essere quindi, il prendersi cura della bellezza del<br />
mondo costruendo con dignità e collettiva responsabilità. Ciò guardando<br />
al destino del paesaggio, al riuso e ad un futuro sostenibile, così<br />
come nell’utopia teorica di William Morris ben chiarita in L’arte e la<br />
bellezza della terra (1881). Una scelta di campo oramai obbligata e<br />
che necessariamente deve puntare al recupero dell’intesa tra professione<br />
e società, riconsiderando interlocutori privilegiati i cittadini e i<br />
molti partecipanti al processo di costruzione della città.<br />
David Chipperfield, in conferenza stampa – la prima è stata organizzata<br />
alla Facoltà di Architettura di Valle Giulia –, presentando il tema<br />
scelto ha invitato gli architetti a lasciare a casa Narciso e a focalizzare<br />
l’attenzione sulle preoccupazioni e sui dubbi che l’architettura vive in<br />
questo momento, così particolare per l’intero sistema, per il globale<br />
processo di sopravvivenza. «Cerchiamo di capire, ha affermato, come<br />
il lavoro degli architetti incide sulla società, al di là dei personali percorsi<br />
professionali. Raccontate le vostre ansie, non mostrate solo le vostre<br />
glorie». L’invito è a lasciare nei propri cassetti «i vostri landmark e portate<br />
un vostro contributo personale alla definizione di un programma<br />
innovativo che dimostri che l’architettura è una disciplina collettiva».<br />
Ideali sui quali l’architetto inglese ha costruito la sua identità e la sua<br />
fama internazionale, pensando all’architettura come disciplina che si<br />
interroga sugli elementi che la compongono, ma anche sulle finalità<br />
che persegue, sui vincoli che la condizionano, sugli strumenti con cui<br />
Calatrava disegna<br />
la struttura<br />
nello spazio<br />
La trasposizione dal progetto<br />
esecutivo a quello cantierabile<br />
DI ANTONIO GIULIANO<br />
Nessun particolare significato dovrebbe essere collegato al nome di una città (R. Musil)<br />
In Laguna le forme<br />
della tredicesima<br />
Biennale<br />
di Architettura<br />
“Common Ground”, terreno comune<br />
per riaffermare una cifra<br />
culturale costituita non solo<br />
da singoli talenti ma anche<br />
da un ricco patrimonio di idee<br />
differenti riunite in un’unica storia<br />
essa agisce nei luoghi, negli spazi, nelle “architetture”. Molti degli invitati<br />
hanno risposto presentando proposte originali e installazioni realizzate<br />
espressamente per questa Biennale, coinvolgendo e condividendo<br />
il proprio progetto con altri colleghi, proprio nello spirito del<br />
“Common Ground”. In mostra a Venezia, dallo scorso agosto, 118<br />
presenze le cui opere disegnano un unico percorso espositivo distribuito<br />
su 10mila metri quadri che, dal Padiglione Centrale ai Giardini va<br />
all’Arsenale. Ai Giardini oltre ai 29 padiglioni storici dei Paesi stranieri,<br />
sono stati allestiti il Palazzo delle Esposizioni e l’ex Padiglione Italia, al<br />
cui interno l’ala Pastor è stata completamente ristrutturata per fare<br />
posto alla nuova sede della Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti<br />
Contemporanee (ASAC). Si tratta di uno straordinario allestimento che<br />
offre elevati standard di consultazione, con attrezzate sale di lettura per<br />
il pubblico. Il Padiglione Italia (ampliato da 800 a 1.800 mq), che si af-<br />
«L<br />
a scultura è alla base della mia ricerca<br />
formale, al servizio sia della mia architettura<br />
che della mia ingegneria», Santiago<br />
Calatrava, architetto-ingegnere catalano.<br />
Lavorando con materiali più diversi, dal<br />
marmo all’ebano, dall’argento alla ceramica,<br />
ha realizzato opere che sembrano anticipare<br />
i suoi progetti, dalle piccole unità statiche di<br />
grande eleganza e raffinatezza, ad arditi<br />
frammenti di materiali pesanti che sfidano<br />
le leggi dell’equilibrio.<br />
Santiago Calatrava archistar del movimento<br />
contemporaneo capace di controllare<br />
e mettere a sistema la componente<br />
statica e quella estetica, realizzando opere<br />
senza limitazioni linguistiche ed espressive. I<br />
simboli della sua architettura sono le infrastrutture,<br />
ed in particolare ponti progettati<br />
in tredici paesi dei Mondo, tra i quali: ponte<br />
Alamillo (Siviglia, 1992), ponte Alameda<br />
(Valencia, 1995), ponte De La Mujer (Buenos<br />
Aires, 1998). Tra gli ultimi il ponte pedonale<br />
della Costituzione a Venezia, opera<br />
nella quale la struttura è portata al limite e<br />
“messa a nudo”, evidenziandone l’elevata<br />
componente estetica. Nel 2008 è stato inaugurato<br />
il quarto ponte del Canal Grande di<br />
Venezia, dopo quello dell’Accademia, di<br />
Rialto e degli Scalzi, il ponte della Costituzione<br />
che collega piazzale Roma con la stazione<br />
ferroviaria Venezia – Santa Lucia.<br />
La forma del ponte, lungo 81 metri e altezza<br />
massima 10 metri, è ad arco ribassato,<br />
scelta che implica un sistema di sostegno<br />
con forti spinte laterali sulle sponde, distribuite<br />
in direzione tangenziale al terreno e<br />
non perpendicolarmente, scelta che ha<br />
comportato una fondazione composta da<br />
un plinto sotterraneo e da una parte fuori<br />
terra a forma di cuneo.<br />
Ulteriore complicazione del sistema statico<br />
di scarico è data dal disegno della pianta che<br />
si allarga al centro (larghezza da ml 6,00 a<br />
ml 9,00), scelta che consente la sosta ai pedoni<br />
senza intralciarne il passaggio.<br />
La struttura del ponte è costituita da una<br />
serie di elementi tubolari in acciaio, che uniti<br />
ricordano la costolatura di una “spina dorsale";<br />
le 74 vertebre sono di dimensioni diverse<br />
e sono state saldate fra loro in tre<br />
“conci” distinti. I materiali utilizzati sono<br />
l’acciaio, verniciato rosso, per la struttura; il<br />
vetro, la pietra d’Istria e Trachite Grigia Classica<br />
di Montemerlo per i pavimenti; il vetro<br />
e l’ottone per i corrimano, all’interno sono<br />
stati installati dei led.<br />
La realizzazione del progetto di Calatrava<br />
ha incontrato molte difficoltà a partire dalla<br />
cifra stanziata in seguito all’appalto (vinto a<br />
ribasso), che successivamente è quasi quadruplicata.<br />
I problemi sopraggiunti nel corso della<br />
realizzazione dell’opera sono sostanzialmente<br />
quattro e sono a stretto contatto con<br />
l’incapacità previsionale di alcuni attori coinvolti:<br />
“stato geologico dei muri di sponda”,<br />
architettura<br />
faccia da un lato sulle Gaggiandre e sulle Tese cinquecentesche e dall’altro<br />
sul Giardino delle Vergini, è stato “rimmaginato” dall’installazione<br />
paesaggistica a firma dello studio inglese Gustafson-Porter.<br />
Diciotto gli eventi ufficiali e le mostre collaterali accolte in città, proposti<br />
da enti e istituzioni nazionali e internazionali. Con il taglio etico<br />
suggerito dal tema di quest’anno, si torna quindi a parlare di architettura,<br />
spiega Paolo Baratta, presidente della Biennale, per sostenere gli<br />
architetti ad uscire dalla crisi d’identità che stanno vivendo e, al tempo<br />
stesso, offrire al pubblico la possibilità di guardare dentro l’architettura,<br />
renderla familiare e scoprire che a essa si può chiedere qualcosa,<br />
creando un’interazione pronta ad individuare e a “risolvere” le esigenze<br />
di organizzazione dello spazio in cui viviamo. Il contributo che<br />
la Biennale può dare, continua Baratta, è rimediare allo scollamento tra<br />
architettura e società civile. Nella kermesse veneziana un ruolo determinante<br />
è quello offerto dai Padiglioni delle 55 Nazioni partecipanti,<br />
con mostre che rispondono alle prospettive di curatori diversi. Per la<br />
prima volta sono presenti i Padiglioni dell’Angola, della Repubblica del<br />
Kossovo, del Kuwait e del Perù. Il Leone d’Oro alla carriera è andato all’architetto<br />
portoghese Álvaro Joaquim de Melo Siza Vieira, meglio<br />
noto come Álvaro Siza (1933): riconoscimento che non è un atto dovuto<br />
a uno degli interpreti più noti dell’architettura contemporanea,<br />
bensì il riconoscimento collettivo, di un’intera vita dedicata totalmente<br />
all’architettura come pratica artistica, come interpretazione soggettiva<br />
e critica del mondo. Riconoscimento che si affianca ai successi avuti in<br />
occasione di concorsi internazionali, ai numerosi premi – l’“Alvar<br />
Aalto” e il “Pritzker” – o agli innumerevoli studi e pubblicazioni a lui<br />
dedicati e soprattutto alle sue grandi opere in Europa: dalla ricostruzione<br />
del Chiado a Lisbona alla Scuola di Setubal, al Museo di Santiago<br />
di Compostela, ai quartieri residenziali in Olanda eccetera.<br />
Eccezionale disegnatore e abile progettista ma soprattutto intellettuale<br />
che ha avuto la capacità di resistenza in un Paese isolato culturalmente<br />
e distrutto economicamente dalle guerre coloniali volute dall’ultimo<br />
regime fascista. Il Leone d’Oro alla carriera è stato istituito nel 1996, e<br />
conferito in quell’edizione a Oscar Niemeyer assieme a Ignazio Gardella<br />
e a Philip Johnson; poi negli anni è andato a Renzo Piano, a Paolo<br />
Soleri, a Jørn Utzon, a Richard Rogers nel 2006, allo storico James Ackerman,<br />
a Frank Gehry nel 2008 e, di recente a Rem Koolhaas e Kazuo<br />
Shinohara.<br />
Nella foto in alto: Sede di Piquadro a Silla di Gaggio Montano (BO)<br />
progettata dall'architetto Karim Azzabi<br />
molto più fragile del previsto (risultato di<br />
un’indagine tardiva); “inadeguatezza della<br />
soluzione strutturale del ponte”, con la conseguente<br />
necessità di irrobustire alcune<br />
parti; “ritrovamento di reperti archeologici”;<br />
“assenza di soluzioni di fruibilità da parte dei<br />
disabili”, problema risolto con l’installazione<br />
di un’ovovia, elemento costato € 1.043.<br />
603,04. Le responsabilità del ritardo e dell’aumento<br />
dei costi è stato attribuito di volta<br />
in volta ai differenti attori del processo progettuale.<br />
Questo è solo uno dei tanti esempi che ci<br />
impone un atteggiamento diverso nel rapporto<br />
tra ideazione e realizzazione, portando<br />
a dare una nuova interpretazione al passaggio<br />
dall’idea progettuale al governo dei diversi<br />
saperi tecnici, aggiungendo un ulteriore<br />
livello di progettazione dopo quello esecutivo,<br />
la progettazione cantieristica.<br />
Il progetto esecutivo non dà “informazione”<br />
sufficienti per la completa cantierizzazione<br />
dell’opera e per l’organizzazione del<br />
processo costruttivo, fornendogli scarsi strumenti<br />
di controllo; l’ingegnerizzazione del<br />
progetto è la trasposizione analitica del rapporto<br />
tra la tipologia di lavoro ed il tempo di<br />
esecuzione, che consente di determinare i<br />
vari punti della corretta collocazione spaziotemporale<br />
del cantiere.<br />
Nella foto: Santiago Calatrava<br />
Ponte della Costituzione, 2008, Venezia<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 23
scritture<br />
Etica ed estetica sono tuttʼuno (L. Wittgenstein)<br />
Un’etica per il mondo globalizzato<br />
L’alleanza di filosofia e religione per un futuro pacifico, equo e sostenibile<br />
di ERWIN BADER*<br />
Nell’ambito dell’etica, ossia<br />
di quel sapere che è alimentato<br />
dalla consapevolezza<br />
dei principi morali,<br />
filosofia e religione si incontrano.<br />
È proprio in forza di principi<br />
universalmente applicabili che nel 1993,<br />
a Chicago, Hans Küng insieme ai rappresentanti<br />
del “Parlamento delle Religioni<br />
del Mondo”, ha discusso e<br />
formulato un ethos che superi le differenze<br />
più significative tra le diverse confessioni<br />
religiose. La sintesi di questi<br />
principi costituisce la Dichiarazione di<br />
un’etica globale. Si tratta di un documento estremamente stimolante<br />
anche per ripensare lo stesso compito attuale della riflessione<br />
filosofica. La questione fondamentale dell’etica è bene espressa<br />
dalla domanda kantiana: «Che cosa devo fare?». La risposta di<br />
Kant, nella sua formulazione più concisa, è: «agisci in modo che la<br />
massima della tua volontà possa valere come principio di una legislazione<br />
universale». Ossia, i principi etici in base ai quali il singolo<br />
agisce, devono corrispondere a principi universali. Peraltro, risulta<br />
intuitivamente evidente che il riconoscimento della dignità intrinseca<br />
di ciascuna persona e di diritti uguali e inalienabili per tutti i<br />
membri della famiglia umana è il fondamento della libertà, della<br />
giustizia e della pace nel mondo. Ci si potrebbe spingere a riformulare<br />
la risposta all’interrogativo kantiano in questo modo: «agisci<br />
in modo che i principi del tuo ethos possano essere riconosciuti<br />
da ogni abitante del pianeta come i principi di un’etica universale».<br />
Tale ethos universale è la “regola aurea”, ricercata da tempo immemorabile,<br />
in grado di unire tutte le tradizioni religiose e culturali<br />
del mondo.<br />
Un ethos per il mondo intero<br />
Già Niccolò Cusano, che considerava l’etica dal punto di vista del<br />
diritto naturale, osservava che i principi morali sono essenzialmente<br />
identici in tutte le religioni. Se la giustizia e la reciprocità sono due<br />
fondamenti dell’etica, le religioni - a dispetto delle loro differenze,<br />
in particolare di culto – risultano simili sul piano morale. L’etica globale<br />
non è altro che lo sviluppo moderno di questa consapevolezza.<br />
Grazie ai grandi incontri interreligiosi sta avanzando la consapevolezza<br />
dell’esigenza di un ethos globale riconosciuto. Il processo che<br />
investe il nostro mondo tecnicamente ed economicamente globalizzato,<br />
con le sue opportunità e i suoi problemi, e le attuali minacce<br />
per la sopravvivenza del pianeta, rendono essenziale la<br />
riaffermazione di un ethos comune. È la prima volta che sulla terra<br />
vengono poste le basi per la nascita di una umanità pacifica. «L’ordine<br />
planetario ha avuto già luogo», ebbe occasione di affermare<br />
Ernst Jünger, e riferendosi a ciò il filosofo del diritto René Marcic ha<br />
osservato che per prepararsi a questo ordine esistente è necessario<br />
«il suo riconoscimento, la sua dichiarazione». Tale riconoscimento<br />
giuridico è la Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite, che<br />
ha ricevuto la sua base pratica, il suo fondamento etico, con la Dichiarazione<br />
di un’etica globale. Quest’ultimo documento prende le<br />
mosse dal progetto lanciato da Hans Küng nel 1990. Se si vuole, la<br />
filosofia diviene in tal modo sapere pratico e acquista il potere di<br />
plasmare la realtà.<br />
Elogio dell’invettiva<br />
e dell’insulto<br />
Regole per polemizzare<br />
senza risultare sgradevoli<br />
nelle diatribe quotidiane<br />
di LUCIA D’AGOSTINO<br />
<strong>24</strong> geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
È possibile la pace nel mondo?<br />
La pace è una condizione osservabile dall’esterno, ma che richiede<br />
un requisito interiore, spirituale ed etico. Per la realizzazione vera e<br />
propria di un mondo pacifico è dunque necessaria un’istanza morale.<br />
Senza etica non vi è giustizia e non vi è pace. L’ethos è un bene<br />
spirituale, ma un bene spirituale esiste solo quando si manifesta, cioè<br />
si realizza in azioni concrete e visibili. La Dichiarazione di un’etica globale<br />
richiede perciò una estensione a tutti gli esseri umani e le sue<br />
norme devono essere applicabili reciprocamente. L’adesione incondizionata<br />
e coerente a questi principi risiede nella coscienza degli individui.<br />
La Dichiarazione pertanto non è efficace perché è emanata<br />
da un’autorità, come una direttiva statale, bensì perché i valori etici<br />
in essa contenuti e le sue strutture logiche si presentano come evidenti,<br />
e soprattutto perché attraverso essa le persone si impegnano<br />
in modo coerente ad affermare le istanze espresse nei loro antichi valori.<br />
In tutte le scuole del mondo dovrebbe essere insegnata un’etica<br />
globale e ogni anno in tutto il mondo dovrebbe esser consacrata una<br />
giornata ai diritti umani. Pierre Teilhard de Chardin ha affermato che<br />
l’ordine planetario è presente nell’unità futura del genere umano.<br />
D’altra parte, però, vi sono molte obiezioni possibili e molte esperienze<br />
negative che possono far dubitare che il genere umano raggiunga<br />
mai una tale unità.<br />
invettiva, proprio per la sua natura e<br />
L’ il suo utilizzo nel discorso, chiama in<br />
causa la letteratura, dove questa figura<br />
retorica è – ed è stata – utilizzata non soltanto<br />
nei suoi tratti polemici, puramente<br />
negativi, ma anche nella sua accezione<br />
costruttiva, poiché è pur sempre attraverso<br />
parola che spesso i contrasti trovano<br />
la loro composizione.<br />
Tuttavia nella società contemporanea,<br />
in cui i mezzi di supporto all’espressione<br />
polemica sono più immediati e diretti –<br />
come giornali e new-media –, è altrettanto<br />
vero che l’invettiva si manifesta<br />
senza alcuna regola, trasformando molto<br />
facilmente l’attacco in una pura offesa.<br />
Ci viene in aiuto, allora, un libello di piacevolissima<br />
e agile lettura di Liang Shiqiu<br />
dal titolo La nobile arte dell'insulto, pubblicato<br />
da Einaudi e curato da Gianluca<br />
Magi con prefazione di Michele Serra.<br />
Perché se non si è perso l’uso, e il<br />
gusto, dell'invettiva per contrastare le ingiustizie<br />
e i disagi di una società complessa<br />
come quella in cui viviamo, sono<br />
andati scemando i principi basilari per polemizzare<br />
ad un livello che non scada nel<br />
turpiloquio. L’intento ultimo di questa<br />
trattazione secondo Liang Shiqui, giornalista<br />
e traduttore (Pechino1902-Taipei<br />
1987), è che «l’insulto si fonda sul principio<br />
etico per cui ci si dovrebbere rendere<br />
conto se una persona meriti o meno<br />
Etica mondiale o caos<br />
di essere insultata». Già questo apre un<br />
mondo altro sullo stile e la filosofia di vita<br />
orientale in cui le tattiche di scontro sono<br />
basate sulla sottrazione di azioni e parole<br />
L’introduzione alla Dichiarazione, cioè al documento di base<br />
dell’etica globale, inizia con i risultati scioccanti di un sondaggio:<br />
«Il mondo è in agonia. L’agonia è così pervasiva e urgente che<br />
siamo costretti a denunciarla in modo tale che la profondità di<br />
questo dolore possa essere chiara. La pace ci sfugge, il pianeta<br />
viene distrutto, i vicini vivono nella paura, le donne e gli uomini<br />
si sono allontanati gli uni dagli altri, i bambini muoiono. Tutto ciò<br />
è terribile! Noi condanniamo lo sfruttamento dell’ecosistema». È<br />
indubbio il disorientamento generale; la capacità di distinguere<br />
giusto e sbagliato sembra essersi persa. Si assiste ad una assenza<br />
di “etica vissuta”. Viviamo una crisi economica globale, una crisi<br />
finanziaria, una crisi ecologica, e non da ultimo anche una crisi<br />
politica. Si ha l’impressione oggi, soprattutto in Europa, che molte<br />
persone non vogliano avere nulla a che fare con la religione cristiana<br />
e la sua etica, in particolare con la sua promozione della responsabilità<br />
sociale. La non-virtù sembra essere la nuova virtù, ha<br />
scritto di recente Heiko Ernst. Si ha l’impressione che le massime<br />
basate sulle ultime tendenze della speculazione finanziaria siano<br />
dominanti nel mondo.<br />
Dal punto di vista filosofico ed etico un’economia stabile non<br />
può di certo basarsi sull’avarizia, sull’invidia e sul vizio. Piuttosto,<br />
l’“amorale” tendenza a massimizzare i profitti, indipendentemente<br />
dall’ambiente e dalle esigenze dei poveri conduce alla distruzione<br />
dell’ambiente, all’ingiustizia e, infine, al caos. Tutte le<br />
strutture economiche che non contribuiscono all’erosione ma sviluppano<br />
e mantengono la nostra esistenza si basano esclusivamente<br />
su un’etica vissuta, che presuppone un’economia attiva,<br />
ma non inquinata dalla corruzione e dalla speculazione come accade<br />
oggi. Le regole fondamentali menzionate dalla Dichiarazione<br />
di un’etica globale, corrispondono non soltanto ai precetti<br />
giudaico-cristiani, ma esprimono in modo ottimale anche le convinzioni<br />
di coloro che sono religiosamente neutrali. Ora, vi è la<br />
necessità di diffondere il riconoscimento di queste regole, in<br />
primo luogo presso le persone che hanno responsabilità pubblica,<br />
poi mediante una loro concretizzazione formale. Si arriverà a questa<br />
unità o rimarrà la disunità che conduce alla guerra e alla distruzione?<br />
Senza un ethos comune che rispetta i valori<br />
fondamentali di tutte le religioni e delle scuole di pensiero non religiose,<br />
non è possibile alcuna riforma della società globale, dell’economia<br />
e della politica. Questo richiede anche un dialogo<br />
sincero tra le religioni nel rispetto della rispettiva tradizione religiosa,<br />
ma nella consapevolezza che la loro motivazione e forza<br />
proviene soprattutto dalla capacità di rispondere alle preoccupazioni<br />
comuni e alle urgenze etiche. Non c’è pace mondiale senza<br />
pace religiosa, non c’è pace religiosa senza dialogo tra le religioni.<br />
L’etica globale è naturalmente in continuo mutamento, sempre<br />
nuove idee sono incluse in essa, tuttavia la base resta la stessa. La<br />
questione centrale è il reciproco riconoscimento e la pari dignità<br />
di tutte le persone e la necessità di una reciproca considerazione,<br />
senza distinzione di razza, religione, sesso o età. Senza un generale,<br />
globale riconoscimento di quei valori che sono affermati in<br />
un’etica globale, la sopravvivenza dell’umanità non è affatto garantita.<br />
*Professore di filosofia all’Università di Vienna<br />
(traduzione dal tedesco di A. M. Vitale)<br />
non strettamente necessarie, e, addirittura,<br />
sui silenzi. Mettere a proprio agio<br />
l’avversario evitando che si renda conto<br />
dall’inizio che lo si sta criticando, in modo<br />
tale che il suo viso «viri dal bianco al<br />
rosso, dal rosso al violaceo, infine dal violaceo<br />
al grigio plumbeo. Questo è il più<br />
alto grado nell’arte dell’insulto».<br />
È importante una ironia sottile e un<br />
umorismo caustico, oltre che una buona<br />
dose di conoscenza di se stessi e degli<br />
altri. Poiché bisogna anche sapersi ritirare<br />
quando la situazione lo richiede ed è irrimediabilmente<br />
compromessa. Regole<br />
come quella di servirsi «di espressioni e<br />
maniere eleganti […] in una lingua infinitamente<br />
sottile il cui senso rimanga implicito»,<br />
stemperano i “bollenti furori”,<br />
così frequenti nelle diatribe odierne, con<br />
grazia e leggerezza.<br />
Perché il principio generale è quello di<br />
riflettere «almeno un istante prima di insultare<br />
qualcuno», e, soprattutto, di<br />
avere sangue freddo e contegno pacat,o<br />
perché, afferma Shopenauer ne L’Arte di<br />
insultare (Adelphi), citando Vincenzo<br />
Monti: «Le ingiurie assomigliano alle processioni<br />
religiose: ritornano sempre al<br />
luogo onde sono partite»<br />
Liang Shiqui, La nobile arte dell’insulto<br />
curato da Gianluca Magi<br />
edizioni Einaudi<br />
L’Austria<br />
degli anni Trenta<br />
crocevia<br />
di culture<br />
Un volume su filosofia<br />
politica, arte<br />
tra le due guerre<br />
di FRANCESCO <strong>AL</strong>IBERTI<br />
La sensazione di vivere in un’età di transizione, non<br />
costituisce un fatto inedito. È dalla fine del XIX secolo<br />
che si susseguono fasi di intensa riflessione sul tema<br />
della decadenza. Ogni epoca di passaggio impone un<br />
conflittuale interrogarsi sulla possibilità di un nuovo<br />
ordine di senso e sulla pertinenza delle responsabilità al suo interno:<br />
è ciò che accade un secolo fa a Vienna, capitale di uno<br />
stato sovranazionale multietnico, erede nello spirito della civitas<br />
romana e capace di accogliere al suo interno la diversità antropologica<br />
e culturale delle genti tedesche, magiare, slave, latine.<br />
Motivati da destabilizzanti insorgenze di ordine nazionalistico,<br />
intellettuali e politici furono chiamati da un profondo senso di necessità<br />
storica a riflettere sul destino dell’Impero asburgico, e<br />
dopo l’abdicazione di Carlo I e la proclamazione della repubblica,<br />
ritennero opportuno proseguire il loro impegno per il perseguimento<br />
della stabilità, principio determinante anche in un ordinamento<br />
repubblicano per far fronte alla minaccia del<br />
totalitarismo. L’Anschluss, l’annessione alla Germania nazista, e<br />
la seconda guerra mondiale travolsero la repubblica ma l’eredità<br />
degli anni Trenta non andò perduta e finì per caratterizzare le<br />
più disparate visioni del mondo nel XX secolo. Sulla Vienna tra<br />
le due guerre, la cui ricchezza culturale è ben rappresentata da<br />
figure quali quelle di Robert Musil, Ludwig Wittgenstein, Oskar<br />
Kokoschka, Arnold Schönberg, Karl Kraus, getta ora luce il volume<br />
curato da Francesco Saverio Festa, Erich Fröschl, Tommaso<br />
La Rocca, Luigi Parente, Giusi Zanasi Das Österreich der dreißiger<br />
Jahre und seine Stellung in Europa, pubblicato dall’editore Peter<br />
Lang. Esso raccoglie i contributi di studiosi europei che hanno<br />
indagato aspetti diversi di quella straordinaria vicenda storica,<br />
dalla filosofia alla letteratura, dalla musica alla politica. La psi-<br />
SCIENZA E F<strong>IL</strong>OSOFIA. Gli errori di Darwin<br />
Ripensare<br />
l’evoluzione<br />
naturale<br />
La selezione<br />
casuale e il progetto<br />
intelligente<br />
La selezione naturale è il meccanismo<br />
con cui avviene la differenziazione delle<br />
specie e mediante il quale si ha un progressivo<br />
e cumulativo aumento della frequenza<br />
degli individui con caratteristiche<br />
ottimali per l'ambiente. Gli individui di una<br />
stessa specie si differenziano l'uno dall'altro<br />
per il “genotipo” (patrimonio genetico di<br />
un individuo) e per i caratteri morfofisiologici.<br />
La teoria della selezione naturale sostiene<br />
che in seguito alle mutazioni genetiche<br />
casuali che si manifestano nelle generazioni<br />
successive, vengano favorite,<br />
“selezionate”, quelle mutazioni che conducono<br />
gli individui ad avere caratteristiche<br />
più vantaggiose in determinate condizioni<br />
ambientali, individuando così un vantaggio<br />
adattativo in termini di sopravvivenza<br />
e di riproduzione. Massimo Piattelli<br />
Palmarini e Jerry Fodor, nel volume Gli errori<br />
di Darvin (Feltrinelli, Milano), cercano<br />
di “smontare” alcuni assunti fondamentali<br />
della teoria della selezione naturale. Escludendo<br />
la possibilità, come dimostrano le<br />
recenti ricerche nel campo della biologia<br />
molecolare e della genetica, che le variazioni<br />
genetiche siano dovute all’ambiente,<br />
vie- ne messo in discussione anche il loro<br />
carattere aleatorio. Escludere la casualità,<br />
non significa tuttavia per Piattelli Palmarini<br />
e Fodor sposare l’idea di un “progetto intelligente”.<br />
Essi sono infatti convinti che<br />
una teoria «pienamente naturalistica» sia<br />
altrettanto «pienamente ateista»: nel mi-<br />
gliore dei casi Dio è un illusione, nel peggiore<br />
è una superstizione. Ora, chi sostiene<br />
l’equazione tra naturalismo e ateismo, lo<br />
fa oggi proprio avvalendosi di quel modello<br />
della teoria dell’evoluzione che Palmarini<br />
e Fodor sottopongono a critica. Se<br />
infatti il caso non è così preminente nell’evoluzione<br />
dei viventi, allora tutte le argomentazioni<br />
della non esistenza di Dio<br />
che si fondavano sulla origine casuale delle<br />
forme viventi crollano. Proprio su questa<br />
base, non è convincente l’assunto, sostenuto<br />
da Palmarini e Fodor, che il naturalismo<br />
debba necessariamente condurre<br />
all’ateismo. Un tale assunto, a ben vedere,<br />
non è verificabile scientificamente. La verità<br />
scientifica si fonda su ipotesi che, come<br />
dimostra anche questo volume, possono e<br />
devono di volta in volta essere revisionate<br />
e magari anche contraddette dalle nuove<br />
scoperte. La modalità responsabile di chi<br />
fa ricerca scientifica dovrebbe essere di<br />
specificare che il professato ateismo è una<br />
congettura, non invece spacciarlo come<br />
frutto della ricerca scientifica. Potrebbe altrimenti<br />
sorgere il dubbio che quello che si<br />
propaganda come verità scientifica non è<br />
un servizio reso alla scienza, ma è un’altra<br />
forma di quel fondamentalismo e settarismo<br />
che la scienza stessa intende combattere.<br />
Alfonso Salvatore<br />
Nella foto: Massimo Piattelli Palmarini<br />
coanalisi, a cui è dedicato un saggio di Marcella d’Abbiero, irrompe<br />
nel dibattito culturale costringendo a tener conto della<br />
realtà inconscia in quanto autentico campo delle pulsioni dell’io;<br />
la riflessione filosofica di Wittgenstein, su cui si sofferma Michele<br />
Ranchetti, si concentra sull’analisi del linguaggio. Una intera sezione<br />
è dedicata alle straordinarie esperienze letterarie: dalla<br />
nuova immagine dell’uomo che emerge ne L’uomo senza qualità<br />
di Musil, sino alla potente ironia di Kraus. Alla seconda scuola<br />
musicale viennese di Schönberg, Alban Berg e Anton Webern è<br />
dedicato un bel saggio di Enrica Lisciani Petrini. Significativa è la<br />
ricostruzione di Flavia Monceri dello sforzo dei teorici delle<br />
scienze sociali per la comprensione dell’idealtipo umano che la<br />
sociologia presuppone. Sul piano politico, la cui importanza è<br />
sottolineata da Francesco Saverio Festa, emergono elaborazioni<br />
di pensiero all’altezza dei tempi nuovi: dall’individualismo liberale,<br />
a cui sono dedicati i contributi di Dario Antiseri e Raimondo<br />
Cubeddu, al socialismo austromarxista, su cui si soffermano Nicolao<br />
Merker, Tommaso La Rocca, Arno Münster, fino al cattolicesimo<br />
politico, approfondito nei saggi di Erwin Bader e Angelo<br />
Maria Vitale. Tutti tentativi di ripensare in Europa la civitas maxima<br />
imperiale come compagine plurinazionale e sovranazionale<br />
capace di preservare contenuti politico-istituzionali il più possibile<br />
condivisi. Arricchiscono il volume una tavola rotonda, in cui appaiono<br />
tra gli altri interventi di Biagio De Giovanni, Mario Tronti,<br />
Ugo Perone e una sezione di testimonianze, che si apre con un<br />
ritratto dell’attivista politico antinazista Hugo Pepper, sapientemente<br />
tracciato da Erich Fröschl.<br />
In alto: Oskar Kokoschka, Veduta di Vienna<br />
(part.) 1931, Kunsthistorisches Museum<br />
filosofia/estetica<br />
Etica ed estetica sono tuttʼuno (L. Wittgenstein)<br />
Convegni. Sulla filosofia del bello e dell’arte<br />
L’estetica dell’Occidente<br />
tra tarda antichità e Rinascimento<br />
La storia della filosofia dell’arte presenta un profilo particolarmente complesso.<br />
Essa si intreccia infatti, in modo inestricabile, con la storia della<br />
cultura, delle produzioni artistiche e del pensiero dell’Occidente. A questa vicenda,<br />
ai suoi molti volti, è dedicato il Convegno dal titolo “L'estetica nell’Occidente<br />
tardo-antico, medievale e umanistico” che si terrà presso<br />
l’Università di Salerno dal 17 al 19 dicembre 2012, promosso dal Dottorato<br />
di ricerca in “Filosofia, scienza e cultura dell’età tardo-antica, medievale e<br />
umanistica”. L’articolazione del<br />
tema si estende ad argomenti<br />
relativi alla filosofia del bello e<br />
dell'arte tra la tarda-antichità<br />
greca e l’età dell’Umanesimo e<br />
del Rinascimento. Della storia<br />
dell’estetica in questo assai<br />
ampio spettro temporale e culturale<br />
verranno presi in esame<br />
molteplici aspetti e problemi.<br />
Dalla tradizione neoplatonica,<br />
che ha in Plotino e Proclo i suoi<br />
punti di riferimento, alla riflessione<br />
di Agostino e dei Padri<br />
della Chiesa; dalla lunga stagione<br />
del pensiero medioevale,<br />
nella quale spiccano le<br />
figure di Anselmo d’Aosta, di<br />
Tommaso d’Aquino, di Giovanni<br />
Duns Scoto, fino alle<br />
concezioni di epoca rinascimentale.<br />
Della straordinaria esperienza speculativa dell’Umanesimo e del<br />
Rinascimento saranno portate alla luce le riflessioni di Leon Battista Alberti,<br />
maturate in stretto rapporto con le sue esperienze nell’ambito dell’architettura;<br />
di Agostino Nifo; di Egidio da Viterbo, una delle personalità più influenti<br />
nel mondo culturale e artistico del Cinquecento, legato a poeti come<br />
Giovanni Pontano e Iacopo Sannazaro, e a pittori come Michelangelo e Raffaello.<br />
Il convegno vedrà la partecipazione di studiosi provenienti da università<br />
italiane ed europee. Tra questi: Giulio d’Onofrio (Università di<br />
Salerno), Anca Vasiliu (Université Paris IV Sorbonne), Alessandro Ghisalberti<br />
(Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), Armando Bisogno (Università<br />
di Salerno), Leonardo Sileo (Pontificia Università Antonianum), Concetto<br />
Martello (Università di Catania), Michele Abbate (Università di Salerno),<br />
Alessandro Musco (Università di Palermo), Valeria Sorge (Università di Napoli<br />
Federico II), Giovanna Giardina (Università di Catania).<br />
Francesco D’Agostino<br />
Due scritti di Vladimir Jankelevitch. L’uomo fra temporalità e finitudine<br />
L’irripetibilità dell’esistenza umana<br />
di LORENZO DE DONATO<br />
Sono stati pubblicati da Einaudi<br />
due testi del filosofo<br />
francese Vladimir Jankelevitch<br />
Il non-so-che e il<br />
quasi-niente e Da qualche<br />
parte nell’incompiuto (una intervista<br />
fattagli dall’allieva e scrittrice Béatrice<br />
Berlowitz), curati e introdotti da<br />
Enrica Lisciani Petrini. Jankelevitch,<br />
filosofo ebreo di origine russa naturaliz-<br />
zato francese, scomparso negli<br />
anni ottanta, pensatore originale e<br />
indipendente, difficilmente inquadrabile<br />
in una corrente filosofica, si<br />
è occupato di musica e critica musicale,<br />
ma ha anche elaborato una visione<br />
del mondo che costituisce una<br />
vera e propria filosofia della quotidianità,<br />
una filosofia dell’esistenza in<br />
cui ogni essere umano, riflettendo<br />
sulla propria vita e sul proprio esistere,<br />
può riconoscersi. Il filosofo<br />
francese muove dall’idea bergsoniana<br />
che l’esistenza sia durata, flusso<br />
temporale, divenire in continuo<br />
mutamento e in continuo movimento<br />
in cui è impossibile individuare il<br />
principio primo della realtà o l’essenza<br />
ultima delle cose. La conclusione<br />
di tale ragionamento è che<br />
tutto - la realtà, la vita umana - sia<br />
imperscrutabile, ineffabile, sfuggente,<br />
e proprio per quest’assenza di regole<br />
e sistemi normativi l’uomo ha<br />
totale libertà nell’agire e piena responsabilità<br />
delle proprie azioni:<br />
l’ineffabile quindi non è l’effimero,<br />
poiché non conduce al relativismo e<br />
allo scetticismo, ma ad un possibile<br />
impegno anche sul piano etico e politico.<br />
Si tratta di una “leggerezza”,<br />
per parafrasare lo scrittore Milan<br />
Kundera (che in un suo romanzo incarna<br />
la filosofia di Jankelevitch senza<br />
citarlo), che a lungo andare diventa insostenibile<br />
e si trasforma in “pesantezza”.<br />
Quella di Jankelevitch è anche<br />
una filosofia della parola, perché l’autore<br />
ebreo gioca con le parole, attua<br />
una moltiplicazione e variazione di parole<br />
ed espressioni, quasi dei giochi linguistici<br />
volti a cercare di cogliere e<br />
capire questo ineffabile che è il nostro<br />
stare al mondo, il nostro esistere. Il<br />
«non-so-che» indica la temporalità, la<br />
finitudine dell’uomo, la morte. La<br />
morte è un’esperienza eccezionale e<br />
misteriosa, è letteralmente inesperibile,<br />
è cioè un’esperienza che non si<br />
può vivere se non morendo. Un<br />
qualcosa di assolutamente irrevocabile<br />
e irreversibile. Jankelevitch si occupa<br />
della vita concreta, delle esperienze,<br />
del vissuto di ognuno di noi,<br />
dell’ineffabilità, dell’indescrivibilità<br />
del nostro esser vivi. È per questo<br />
che nel suo pensiero troviamo amalgamati<br />
Dostoevskij, Proust, Montaigne,<br />
Pascal, Rilke, Baudelaire, la poesia,<br />
la musica, poiché sono tutte suggestioni<br />
che aiutano a completare<br />
questa nostra incompletezza. Il tempo<br />
scorre inesorabile, la vita è irreversibile,<br />
noi esseri umani siamo<br />
creature consumate dal tempo: Jankelevitch<br />
riflette anche su questo,<br />
sull’attimo, sull’istante, sull’occasione,<br />
mediante la nozione di «maipiù».<br />
Ogni cosa avviene soltanto una<br />
volta e mai più, ciò che si è vissuto<br />
una volta non lo si potrà mai più rivivere.<br />
Il «mai-più» consiste nell’unicità<br />
e irripetibilità di ogni singolo<br />
momento della nostra esistenza e<br />
nell’infinita nostalgia che cala su di<br />
noi per ciò che di unico e irripetibile<br />
abbiamo vissuto. Altro concetto portante<br />
è il «quasi-niente»: la vita non<br />
è né essere, né non-essere, ma un<br />
sentiero di mezzo, un qualcosa di intermedio,<br />
cioè il divenire, una ontofania<br />
continua, il manifestarsi continuo<br />
e ininterrotto dell’essere. Jankelevitch<br />
ci parla dunque della categorica<br />
unicità di ogni istante della<br />
nostra vita e della sua splendida e<br />
terribile irripetibilità e irreversibilità.<br />
Nella foto: Vladimir Jankelevitch<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 25
cinema<br />
Il modo migliore di guardare un film è quello di farlo diventare unʼesperienza personale (M. Antonioni)<br />
Escluso dai Premi Spring Breakers<br />
di Harmony Korine<br />
Il cinema<br />
che (non) vince<br />
Èdifficile che a un festival del cinema – per di più, se importante<br />
come quello di Venezia – si possa riscontrare<br />
unanimità assoluta sul verdetto della giuria nell’assegnazione<br />
del Leone d’Oro. Perfino l’anno scorso, quando il<br />
terremoto sublime del Faust di Sokurov scosse il Lido negli<br />
ultimi giorni della rassegna, svettando altissimo su tutti gli<br />
altri film in concorso, alcuni spettatori e alcuni giornalisti<br />
rimasero legati a visioni precedenti, scettici sulla maestà<br />
assoluta di un film epocale. Ancora, c’è chi, a due anni di<br />
distanza, non ha finito di rammaricarsi per la vittoria di<br />
Somewhere nel 2010; oppure, data la presenza in concorso<br />
di Bella addormentata di Marco Bellocchio, è tornato<br />
d’attualità il torto da lui subito nel 2003, quando<br />
Buongiorno, notte era effettivamente meritevole del massimo<br />
riconoscimento ma dovette accontentarsi del premio<br />
alla sceneggiatura. Quest’anno, la giuria presieduta<br />
da Michael Mann, ha deciso di premiare Pietà di Kim Kiduk,<br />
non il migliore in concorso, nonostante alcune innegabili<br />
qualità, dovute alla sapienza di un regista che<br />
infonde un personal touch in ogni film che realizza. Almeno<br />
altri quattro o cinque autori avrebbero meritato il<br />
Leone al posto del cineasta coreano: Assayas, con il suo<br />
Après Mai, ha vinto il Leone per la sceneggiatura, Ulrich<br />
Seidl ha ricevuto il Gran Premio per Paradies: Glaube (attaccato<br />
da Militia Christi), a Paul Thomas Anderson è andato<br />
il Leone d’Argento per The Master (attaccato, invece,<br />
da Scientology), Mendoza è stato ignorato, come pure il<br />
sorprendente Betrayal di Kirill Serebren- nikov. Ma è grave<br />
che questa giuria abbia sprecato la chance di consacrare<br />
un nuovo autore e, con lui, un modo autenticamente<br />
‘contemporaneo’ di fare cinema: parlo di Harmony Korine,<br />
e del suo Spring Breakers. In uno dei padiglioni del<br />
palazzo del Casinò, Paolo Mereghetti, incontrato di corsa<br />
tra una proiezione e l’altra, metteva sull’attenti: “Non cascateci”.<br />
Eppure, questo film ha elementi estetici che<br />
Mann avrebbe potuto apprezzare, e una certa distanza<br />
concettuale che, invece, è nelle corde di Garrone. La storia<br />
si basa su un’ossatura di semplicità quasi irrisoria: le vacanze<br />
di primavera di quattro dissolute studentesse<br />
americane, intercettate da un anfitrione molto particolare,<br />
il rapper-gangster-dj-spacciatore Alien, interpretato da<br />
James Franco, disinvolto con i denti di platino, la muscolatura<br />
possente e i dreadlock. Costui coinvolge le ragazzine<br />
in una spirale corrotta, di cui il regista predispone<br />
avvisaglie grazie a un sapiente montaggio del suono in<br />
cui le musiche degli Skrillex e il suono del caricatore di una<br />
pistola punteggiano le azioni delle ragazze fin dall’inizio<br />
del film, costruito su magistrali successioni di scene-madri,<br />
tra le quali resterà negli annali l’esecuzione di Everytime di<br />
Britney Spears, che a un primo impatto susciterebbe risate,<br />
ma è invece un apologo della vacuità e dell’effimero,<br />
dispiegato anche attraverso una sceneggiatura interamente<br />
costruita su slang e frasi fatte.<br />
Elio Di Pace<br />
Nella foto in alto: James Franco è Alien in Spring Breakers<br />
26 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
Bella Addormentata:<br />
tra eutanasia e libertà di scelta<br />
Dopo tante polemiche è stato presentato<br />
alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia<br />
il film di Marco Bellocchio ispirato al caso Englaro<br />
di MANUELA NASTRI<br />
La 69a Mostra d’Arte Cinematografica<br />
di Venezia si è conclusa l’8 settembre<br />
con il trionfo di Pietà del<br />
coreano Kim Ki-duk, già vincitore di<br />
un Leone d’Argento nel 2004, con<br />
Ferro 3 – La Casa vuota, film che gli diede popolarità,<br />
sebbene già da anni egli avesse conquistato<br />
la critica internazionale. Insieme a lui,<br />
la giuria, presieduta da Michael Mann, ha premiato<br />
The Master di Paul Thomas Anderson<br />
(Leone d’Argento), A Paradies: Glaube di Ulrich<br />
Seidl (Premio speciale della Giuria), Philip<br />
Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix (Coppa<br />
Volpi per la migliore interpretazione maschile),<br />
Hadas Yaron (Coppa Volpi per la migliore interpretazione<br />
femminile), Fabrizio Falco (Premio<br />
Marcello Mastroianni), Olivier Assayas<br />
(Premio per la migliore sceneggiatura), Daniele<br />
Ciprì (Premio per il migliore contributo tecnico).<br />
Quest’edizione, senz’altro significativa, perché<br />
ha visto il ritorno di Alberto Barbera alla direzione<br />
della kermesse dopo dieci anni di assenza<br />
(in cui si sono succeduti Moritz De<br />
Hadeln e Marco Müller), è stata, però, anche<br />
degna di nota per il cinema italiano che, magro<br />
di riconoscimenti di un certo rilievo (a parte Fabrizio<br />
Falco e Daniele Ciprì), ha sfornato in<br />
tutte le sezioni ottime produzioni, dando prova<br />
della sua dinamicità e voglia di resistere alla crisi<br />
economico-culturale che da anni assilla l’industria<br />
del settore. In particolare, si è riscontrato<br />
con piacere il ritorno ai dialetti, presenti in svariate<br />
pellicole: il sardo in Bellas Mariposas (Salvatore<br />
Mereu), il napoletano ne L’Intervallo<br />
(Leonardo di Costanzo) e Il gemello (Vincenzo<br />
Marra), il siciliano in È stato il figlio (Daniele<br />
Ciprì), senza considerare ovviamente il romanesco<br />
di Un giorno Speciale di Francesca Comencini<br />
che sempre è ritenuto l’idioma ufficiale<br />
del nostro cinema. La pellicola italiana più<br />
attesa di quest’edizione, però, è stata Bella Addormentata<br />
non solo perché Marco Bellocchio<br />
è il nostro regista di punta, ma anche o soprattutto<br />
perché già in fase di preproduzione e<br />
produzione questo progetto ha scatenato una<br />
polemica che ne ha messo a rischio la realizzazione.<br />
Il film, infatti, girato in Friuli Venezia Giulia,<br />
s’ispira alla vicenda di Eluana Englaro per<br />
riflettere sul tema dell’eutanasia in Italia, tra libertà<br />
di scelta, fede cattolica e legislazione.<br />
Non è, però, un film sugli ultimi giorni di vita di<br />
Eluana (spentasi il 9 febbraio 2009, in una clinica<br />
di Udine, dopo diciassette anni di coma<br />
vegetativo, a seguito dell’interruzione dell’alimentazione<br />
forzata), né tanto meno sulla campagna<br />
contro l’accanimento terapeutico portata<br />
avanti da suo padre Bettino e fortemente disapprovata<br />
dal mondo cattolico. Il caso di<br />
Eluana fa, infatti, solo da sfondo a vari episodi<br />
che s’intersecano: quello di un senatore del<br />
Pdl, che ha aiutato sua moglie a morire ed ora<br />
è in crisi di coscienza alla vigilia del voto che<br />
dovrebbe decidere le sorti della Englaro (voto<br />
che in effetti non ci fu, perché la donna decedette<br />
prima che si ricorresse alle urne) tra li-<br />
bertà di opinione e adesione alle scelte del partito;<br />
sua figlia, attivista cattolica pro-vita è in<br />
conflitto ideologico col padre, finché non s’innamora<br />
di un manifestante del gruppo opposto;<br />
un’attrice di successo (interpretata da<br />
Isabelle Huppert) che abbandona tutto, compresi<br />
marito e figlio, per dedicarsi anima e<br />
corpo alla giovane figlia in coma, pregando e<br />
aspettando fiduciosa in un miracolo; una tossicodipendente<br />
che tenta svariate volte il suicidio,<br />
ma viene salvata e accudita notte e giorno<br />
da un medico che le impone, quasi, di vivere,<br />
facendole cambiare idea. Bella addormentata,<br />
tuttavia, sarà menzionato nella storia del cinema<br />
italiano, prima ancora che per il suo indiscusso<br />
valore estetico, per le tremende<br />
invettive che ha subito durante le riprese. Istituzioni<br />
locali, infatti, temevano che la sceneggiatura<br />
di Bellocchio mettesse in cattiva luce il<br />
territorio che aveva all’epoca accolto Eluana<br />
per i suoi ultimi giorni. Questi attacchi sono durati<br />
alcuni mesi, ma fortunatamente il cineasta<br />
piacentino è riuscito a terminare il suo lavoro<br />
che, come si accennava, solo trasversalmente<br />
rinvia al fatto di cronaca (che qui viene evocato<br />
attraverso materiale di repertorio: le news dei<br />
tg che contestualizzano gli eventi storicamente<br />
tra il 3 e il 9 febbraio 2009). A queste accuse<br />
vanno, inoltre, fatte corrispondere le polemiche<br />
in chiusura della Mostra del Cinema. In<br />
una lunga intervista sul “Corriere della sera”<br />
dell’11 settembre, firmata da Giuseppina<br />
Manin, a riscontro del misero bottino della cinematografia<br />
italiana a Venezia, si ipotizza che<br />
i film italiani siano troppo autoreferenziali e per<br />
questa ragione non corrisponderebbero ai<br />
gusti di una giuria internazionale che, conseguentemente<br />
non li apprezzerebbe abbastanza<br />
da premiarli, preferendone altri. Sicché Bellocchio<br />
s’innervosisce e dichiara che sarà l’ultimo<br />
festival a cui parteciperà. Questa ipotesi è parzialmente<br />
vera: basti ricordare che all’estero,<br />
come al Festival di Cannes, sembrano favorite<br />
le pellicole italiane che fanno diretto appiglio a<br />
tematiche prettamente interne (Il Divo di Paolo<br />
Sorrentino; Gomorra di Matteo Garrone sono<br />
forse gli esempi più calzanti e dimostrano<br />
come anche film autoreferenziali possano vincere<br />
premi prestigiosi). Il caso di Marco Bellocchio<br />
non è da meno: alcuni dei suoi ultimi<br />
lavori, L’ora di religione, Buongiorno, notte, Il<br />
regista di Matrimoni (qui addirittura il punto di<br />
riferimento è il romanzo di Manzoni), Vincere,<br />
sono strettamente legati alla storia e alla cultura<br />
italiana e, ciò nonostante, hanno avuto<br />
grandissimo apprezzamento da parte della critica<br />
e del pubblico, anche fuori dei confini nazionali.<br />
Bella Addormentata affronta i temi<br />
dell’eutanasia, la dolce morte, l’accanimento<br />
terapeutico, la libertà di scelta che sono questioni<br />
che non riguardano solo l’Italia e che il<br />
cinema ha trattato svariate volte, basti citare<br />
Mare dentro dello spagnolo Alejandro Amenábar<br />
o Million Dollar Baby dello statunitense<br />
Clint Eastwood, entrambi del 2004. Solo Bel-<br />
Nella foto in alto:<br />
Toni Servillo<br />
e Alba Rohrwacher<br />
Sopra tre immagini di<br />
Bella Addormentata<br />
locchio avrebbe potuto raccontare questa storia,<br />
affrontare questa tragedia umana con<br />
tanta delicatezza e commozione. Effettivamente,<br />
per quanto il regista possa ispirarsi a un<br />
caso di cronaca, il tema principale del suo film<br />
resta il senso della vita, che egli tratta con la<br />
sua poetica e grande sensibilità, realizzando un<br />
film intellettualmente onesto, senza ideologismi,<br />
condanne, dinanzi a un dramma che ha<br />
sconvolto un’intera nazione. Troviamo tutto il<br />
suo cinema in questa pellicola, sia dal punto di<br />
vista stilistico che figurativo, e gli stessi protagonisti<br />
sembrano la diretta evoluzione dei personaggi<br />
della sua filmografia: ci sono le crisi di<br />
Alessandro dei Pugni in Tasca, c’è Aldo Moro<br />
che si salva sul finale di Buongiorno notte, c’è<br />
la coerenza coi propri ideali di Ernesto Picciafuoco<br />
de L’ora di religione… C’è lo sguardo distaccato<br />
di un regista che non prende mai<br />
posizione, né politica, né religiosa e l’argomento<br />
presentato con estrema umanità e compassione.<br />
Di fronte alla malattia di un proprio<br />
caro non c’è ideologia che tenga, in quanto<br />
come dice sul finale del film Maria, il personaggio<br />
interpretato da Alba Rohrwacher,<br />
"l'amore cambia il modo di vedere, non è vero<br />
che acceca".<br />
Grace, la favola di una persona perbene<br />
La principessa Kelly: mix di tenacia, classe, bellezza e passione<br />
di ADRIANA APICELLA<br />
Dal maestro del brivido Alfred Hitchcock<br />
è stata considerata<br />
“Ghiaccio bollente” per la sua algida<br />
bellezza e la sua fortissima<br />
sensualità; per l’attore Bing Crosby<br />
è stata la ”Regina delle nevi”; per Frank Sinatra<br />
è stata una “Donna nata per essere<br />
principessa”, per l’immaginario collettivo l’incarnazione<br />
di una favola: è Grace Patricia Kelly, principessa<br />
nel cinema e nella vita della quale<br />
vedremo presto nelle sale il film Grace di Monaco<br />
(incentrato sul momento cruciale della sua<br />
vita e cioè sposare Ranieri oppure continuare la<br />
sua carriera cinematografica) con la regia di Oliver<br />
Dahan e Nicole Kidman nei panni della principessa.<br />
Nata a Philadelphia, terza di quattro figli,<br />
con un padre, John Brendan Kelly Senior, con la<br />
vittoria nel sangue - 2 medaglie d’oro alle Olimpiadi,<br />
specialità canottaggio, ed una fortuna milionaria<br />
costruita da solo nell’edilizia - una madre,<br />
Margaret Mayer, di origini tedesche con un passato<br />
da modella ed un primato come prima insegnante<br />
donna di educazione fisica alla<br />
University of Pennsylvania, una strada, “Kelly<br />
Drive”, intitolata al fratello John Junior, ed uno<br />
zio, “George”, commediografo e vincitore di un<br />
Ciak… in evoluzione<br />
Cosa vedremo<br />
nelle sale<br />
cinematografiche<br />
italiane<br />
The Best Offer<br />
Diretto da Giuseppe Tornatore (nella foto) ha un cast internazionale:<br />
Geoffrey Rush, Donald Sutherland e Jim Sturgess. Prodotto dalla<br />
Paco Cinematografica ha un budget superiore ai 15 milioni di euro<br />
ed è girato tra Milano, Trieste, Bolzano e Vienna. Il soggetto del film<br />
è una storia d’amore ambientata nel mondo delle aste internazionali.<br />
Eva contro Eva<br />
Diretto dall’esordiente Sophie Chiarello, prodotto dalla Medusa Film<br />
e dalla Agidi di Paolo Guerra, è una commedia con protagonisti Angela<br />
Finocchiaro e Giovanni Storti (trio Aldo, Giovanni e Giacomo).<br />
Bianca come il latte, rossa come il sangue<br />
Diretto da Giacomo Campiotti è tratto dall’omonimo romanzo di<br />
Alessandro D’Avenia. Prodotto dalla Lux Vide con Rai Cinema ed il<br />
sostegno della Film Commission Torino Piemonte è girato a Torino e<br />
vede Luca Argentero nei panni di un professore attorno al quale ruotano<br />
le vicende di alcuni ragazzi. Nel cast anche Filippo Scicchitano<br />
(Scialla) ed Aurora Ruffino (La solitudine dei numeri primi).<br />
La grande bellezza<br />
Diretto da Paolo Sorrentino, è una coproduzione tra Italia (Indigo Film<br />
e Medusa Film) e Francia (Babe Films e Pathé). Ambientato e girato<br />
a Roma, gode del sostegno del Fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo<br />
del Lazio, vede affiancati nella recitazione Toni Servillo, Carlo<br />
Verdone e Sabrina Ferilli. Scritto dallo stesso Sorrentino e da Umberto<br />
Contarello.<br />
adap.<br />
premio Pulitzer, la riservata ragazza di buona famiglia<br />
dimostra da subito un forte senso della<br />
competizione e moltissima voglia di farcela tanto<br />
che dopo il diploma si trasferisce a New York per<br />
frequentare l’American Academy of Dramatic<br />
Arts. L’alta, bionda, bella ed elegante Grace grazie<br />
al suo essere in così forte contrasto con le bellezze<br />
giunoniche del tempo e all’imprinting<br />
familiare, costruito su di una sana determinazione,<br />
fin dalla sua prima apparizione diventa<br />
l’icona dell’immaginario maschile e femminile. La<br />
sua, seppur breve, vita è degna di un copione cinematografico,<br />
suddivisa in un primo e in un secondo<br />
tempo ed un sequel nascosto. Il primo<br />
tempo è caratterizzato dalla sua gioventù, dal<br />
cinema, dal successo. Nonostante la forte opposizione<br />
della sua ricca famiglia al suo desiderio di<br />
lavorare nella settima arte, Grace riuscì ad ottenere<br />
un piccolo ruolo nel film La quattordicesima<br />
ora di Henry Hathaway mentre l’anno seguente<br />
era già co-protagonista nel western Mezzogiorno<br />
di Fuoco diretto da Fred Zinnemann a<br />
fianco di Gary Cooper e nel 1953 con Mogambo<br />
diretto da John Ford con Clark Glabe ed Ava Gardner<br />
guadagnò la nomination all’Oscar come migliore<br />
attrice non protagonista. Poi arrivò<br />
Hitchcock per il quale interpretò tre film: Il delitto<br />
perfetto, La finestra sul cortile e Caccia al ladro<br />
Miglior film nazionale<br />
L’intervallo<br />
di Di Costanzo<br />
Napoli nobilita<br />
la Mostra di Venezia<br />
che, girato nel Principato di Monaco, le portò<br />
l’amore, l’incontro con il suo futuro marito, il<br />
principe Ranieri. Da qui ha inizio il secondo<br />
tempo quello della sua vita di moglie , madre e<br />
principessa monegasca impegnata quotidianamente<br />
a valorizzare il ruolo internazionale di un<br />
Principato che l’ha adottata ed amata fin dalla<br />
sua prima apparizione con l’appellativo di Capo<br />
di Stato regnante sui cuori della gente. Ed infine<br />
il sequel segreto: Rearrenged/Cambio di programma<br />
(diretto da Robert Dornhelm), la pellicola<br />
mai ultimata a causa della sua scomparsa<br />
prematura, avutasi trent’anni fa il 14 settembre<br />
1982. Quasi a beffeggiare la sorte, Rearrenged<br />
(del quale si sa solo che fosse un thriller molto vicino<br />
allo stile hitchcockiano, ambientato tra Nizza<br />
e Montecarlo con Grace nel ruolo di se stessa, e<br />
cioè principessa di Monaco) sembra abbia voluto<br />
profetizzare il cambio di programma nella vita<br />
della principessa Kelly, donandole il risalto senza<br />
tempo delle favole. La fiaba reale dell’eroina<br />
Grace è tra le più commoventi e brillanti dei nostri<br />
tempi, perché ci presenta una donna umana,<br />
semplice, forte, con saldi principi e senza alcuna<br />
paura di cambiare il proprio percorso di vita<br />
ascoltando, sempre, la voce del suo cuore.<br />
A lato: La principessa Grace Kelly<br />
l miglior film italiano visto alla Mostra di Venezia è l’opera prima –<br />
Inel campo della fiction – di un documentarista napoletano, laureato<br />
all’Orientale, trasferitosi in Francia e poi approdato in Cambogia,<br />
dove, insieme al collega Rithy Pahn, ha aperto una scuola di<br />
“cinéma verité”. Il suo nome è Leonardo Di Costanzo, ischitano del<br />
1958, e il titolo del piccolo, grande film che ha favorevolmente sorpreso<br />
la giuria della sezione ‘Orizzonti’ (presieduta da Pierfrancesco<br />
Favino, e composta, tra gli altri, anche da Shekar Kapur e Amir Naderi)<br />
è L’intervallo. Il produttore, Carlo Cresto Dina, ha già impresso<br />
il suo nome su un esordio registico notevole, Corpo celeste, di Alice<br />
Rohrwacher. Ha fatto centro ancora una volta, allestendo per Di Costanzo<br />
una produzione internazionale cui hanno collaborato Svizzera,<br />
Germania e la benemerita rete francese ARTE (che, detto per<br />
inciso, è anche il ‘committente’ del film trionfatore di ‘Orizzonti’: Tre<br />
sorelle, del cinese Wang Bing). Scegliendo una duplice semplicità di<br />
scrittura - visiva, di matrice quasi loachiana, resa alla perfezione con<br />
camera a mano e luci naturali dall’eclettico Luca Bigazzi, e dialogica,<br />
con l’utilizzo di un napoletano con i suoi più audaci costrutti grammaticali,<br />
con cui i due giovani protagonisti si sentono a proprio agio<br />
– il regista mette in scena quella che potrebbe essere una fedele trasposizione<br />
cinematografica di certe atmosfere che in letteratura ha<br />
offerto Erri De Luca (viene in mente Il giorno prima della felicità).<br />
e.d.p.<br />
Thy Womb<br />
di Brillante Mendoza<br />
Come Lav Diaz nel 2011<br />
arriva dalle Filippine<br />
un gioiello della settima arte<br />
Non sono pochi i critici che avrebbero voluto vincitore della 69esima edizione della<br />
Mostra di Venezia Thy Womb, di Brillante Mendoza, grande escluso dal palmares<br />
dei Leoni. La cinepresa del regista filippino, già premio alla regia a Cannes nel 2009<br />
per Kinatay, cattura colori atmosfere e riti dell’isola di Mindanao, estremo meridione<br />
dell’arcipelago delle Filippine, dove si pratica il culto isalmico. Con adesione documentaristica,<br />
il regista racconta l’amore di Shaleha, che di mestiere fa la levatrice (e<br />
questo è simbolicamente importante, ai fini della storia), con il marito Bangas. Lei non<br />
può dargli figli, e così lo aiuta a raccogliere la dote necessaria per prendere in moglie<br />
una giovane donna che gli generi un erede. “Film liquido come l’acqua”, ha scritto<br />
con acuta intuizione Luigi Locatelli. Chiusura con provocazione: sono QUESTI i film<br />
davvero necessari. Quelli che andrebbero distribuiti in numero oceanico di copie per<br />
far sentire vicine cose che sembrano lontane. Per aprire le menti, e i cuori. Sono questi,<br />
dunque, i film necessari. E non (come qualcuno ha osato dire) l’esordio alla regia<br />
di Luigi Lo Cascio, La città ideale, pretestuosa pellicola con intenti kafkiani, che invece<br />
si risolve in vuotaggini e banalità. E, diciamolo, bruttezza cinematografica.<br />
e.d.p.<br />
La Cina è più vicina...<br />
A Tre sorelle<br />
di Wang Bing<br />
il primo premio<br />
sezione “Orizzonti”<br />
cinema<br />
Il modo migliore di guardare un film è quello di farlo diventare unʼesperienza personale (M. Antonioni)<br />
Nella foto: Rito matrimoniale in Thy Womb, di Brillante Mendoza<br />
è un racconto nel racconto. Anzi, per meglio dire, con più sot-<br />
C’ tigliezza: un racconto DEL racconto. Inizia quando il giorno dopo<br />
la proiezione stampa serale di San Zimei (in italiano Tre sorelle), il film<br />
che è valso a Wang Bing il primo premio della sezione ‘Orizzonti’ di Venezia<br />
69, il regista cinese confessava ai giornalisti di essersi recato, nello<br />
stesso orario dell’anteprima del proprio film (19.30), in un’altra sala<br />
del casinò del Lido, per smarrirsi nella visione di Stromboli terra di Dio.<br />
Il cineasta classe 1967, che già due anni fa aveva impressionato il festival<br />
lagunare con il meraviglioso e crudele The Ditch, non trovava le<br />
parole per descrivere le sensazioni provocate da uno dei più bei Rossellini<br />
di sempre. Per questo regista che viene da lontano e che porta<br />
in giro per il mondo racconti di situazioni estreme, il padre del neorealismo<br />
finisce col diventare un padre spirituale, la cui lezione si concretizza<br />
in un cinema avulso dalle grandi produzioni cinesi (e lui è<br />
contento così), girato con adesione documentaria al limite della ‘ripresa<br />
di sorveglianza’ ma capace di slanci poetici e di un paesaggismo<br />
che anela al lirismo di John Ford (Enrico Ghezzi). Sono le qualità principali<br />
di Tre sorelle, in cui Wang Bing segue la vita di tre bambine di 10,<br />
6 e 4 anni, che vivono in un villaggio al limite del primitivo, dove la televisione,<br />
quando c’è, è poco più che una fonte luminosa che serve alla<br />
primogenita per studiare, nei momenti in cui la pastorizia e il lavoro<br />
della terra le lasciano il tempo di aprire un libro e un quaderno.<br />
e.d.p.<br />
Sopra: Francesca Riso, protagonista de L'intervallo Sopra: Un'immagine di Tre sorelle, di Wang Bing<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 27
musica<br />
Well, I just canʼt apologize, no/ Letʼs spend the night together (M. Jagger e K. Richards)<br />
Da pietre<br />
dello scandalo<br />
a mito<br />
del rock<br />
I 50 anni dei Rolling Stones<br />
anti-Beatles<br />
“amici” del demonio<br />
di FRANCO MATTEO<br />
Shine a light, splende una luce. Forse ancora adesso, a cinquant’anni<br />
dal primo concerto. Dal semplice ma “illuminante”<br />
titolo del film di Martin Scorsese, che ha immortalato<br />
l’energetico live act dei Rolling Stones, è inevitabile risalire<br />
alla matrice dell’elemento primario che ha sempre caratterizzato<br />
la musica e il mito delle pietre rotolanti: la luce e dunque<br />
il fuoco. Il fuoco della provocazione, della polemica, della rivolta del<br />
combattente della strada (Street fighting man), dell’irriverenza. Insomma<br />
la sana benzina di cui da sempre si nutre il rock ‘n roll. Cinquanta<br />
anni dopo la prima performance dal vivo della premiata ditta<br />
Jagger-Richards, quel fuoco è ancora vivo in quanto emblema di un<br />
genere musicale ribelle ed “versivo” eppure al tempo stesso pilastro<br />
di una fabbrica culturale totalmente assimilata alle logiche del business.<br />
Logiche che talvolta hanno persino stritolato la fragile esistenza<br />
dei protagonisti più sensibili della scena rock, come gli stessi Rolling<br />
Stones e, in particolar modo, la loro anima forse più sincera, Brian<br />
Jones, morto in una piscina a 27 anni.<br />
Per tracciare una equazione, oggi sono le Pussy Riot, simbolo dell’irriverenza<br />
e della dissacrazione nella Russia di Putin, a pagare il<br />
prezzo, in un paese non proprio liberale, delle loro provocazioni, a<br />
raccogliere l’eredità del filone anticonvenzionale e antisistema del<br />
rock. Compito, a quanto pare, ancora non privo di rischi in un paese<br />
in cui l’idea di libertà di espressione non è che sia completamente<br />
sdoganata. Perché, per quanto si voglia malignare su business, successo,<br />
mondanità e perversioni dello star sistem musicale, la galera<br />
resta sempre un’esperienza amara.<br />
Nella golden age del rock n’roll e, nello specifico, nella sua patria<br />
europea la vittoriana Inghilterra, erano invece i Rolling Stones a dichiarare,<br />
negli anni più infuocati della rivolta giovanile, «simpatia per<br />
il demonio» (Simpathy for the devil è uno dei brani più conosciuti e<br />
dal sapore più provocatorio delle pietre rotolanti), destando scandalo<br />
tra i benpensanti di un epoca che stava già vivendo l’attacco al convenzionalismo<br />
proprio in quello storico 1968. Il gruppo di Jagger e<br />
Richards si condannava cioè a incarnare, pochi anni dopo l’esordio al<br />
Marquee di Londra, il lato oscuro del rock britannico. Mentre i Beatles<br />
venivano investiti del titolo nobiliare di baronetti, loro si incamminavano<br />
lungo il sentiero della dissipazione esistenziale, quello<br />
tipico dei maudit di ogni epoca e generazione, seppure accompagnati<br />
da una montagna di sterline frutto di un travolgente successo.<br />
Con tanto di intrecci sentimentali complicati, storie di droga e la<br />
sconcertante tragedia della morte di Brian Jones, l’anima forse più<br />
spontanea e spirituale della band, quello che in Marocco aveva scoperto<br />
la musica e il misticismo dei sufi, producendo nel 1968 il disco<br />
The pipes of Pan at Joujouka, che raccoglie proprio musiche regi-<br />
Avitabile: maestro<br />
di vita e di musica<br />
Sei minuti di applausi alla Biennale<br />
di Venezia per il docu-film<br />
sullo “scugnizzo” napoletano<br />
di ELISA DE MARCO<br />
28 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
strate in un villaggio di montagna marocchino. Un disco che verrà ristampato<br />
nel 1995 da Philip Glass, Kurt Munkasci e Rory Johnston,<br />
con le note di Bachir Attar, Paul Bowles, William S. Burroughs, Stephen<br />
Davis, Jones, Brion Gysin, e David Silver. Sul versante opposto,<br />
si potrebbe dire così, appena un anno dopo Jagger percorre invece<br />
strade “luciferine” componendo la colonna sonora di un film di Kenneth<br />
Anger, regista visionario immerso nell’universo esoterico. Significativo<br />
il titolo della pellicola: Invocation of my demon brother,<br />
invocazione a mio fratello demonio.<br />
Per la cronaca, l’anno precedente, nell’album Beggar’s Banquet, gli<br />
Stones avevano pubblicamente dichiarato la loro «Sympathy for the<br />
devil». È in questo periodo che si intrecciano amori, tragedie e misteri.<br />
Entrano prepotentemente in scena Anita Pallenberg e Marianne<br />
Faithfull. L’intreccio di relazioni con Jones, Jagger e Richards attraverserà<br />
come un uragano la storia e i destini della band. La Pallenberg<br />
flirta con il bassista degli Stones, ma poi gli preferisce Richards.<br />
Nel giugno del 1969 Jones lascia il gruppo, e soltanto un mese dopo<br />
viene ritrovato morto annegato nella sua piscina. Due giorni dopo il<br />
gruppo celebra l’ex-amico scomparso con un concerto gratuito ad<br />
Hyde Park.<br />
Tre giorni dopo tenta il suicidio, senza riuscirci, la fidanzata di Jagger,<br />
Marianne Faithfull. Sono anni di gelosie anche tra i due ex compagni<br />
di scuola Jagger e Richards. L’inno pacifista Gimme Shelter, di<br />
certo uno dei brani più conosciuti e reinterpretati dei Rolling, fu<br />
scritto dal chitarrista in una lunga notte in cui aspettava la Pallenberg,<br />
che nel frattempo era andata a casa di Jagger. Vicende che<br />
hanno ancora oggi i loro strascichi se, in una recente intervista, Keith<br />
Richards ha avuto modo di ironizzare, seppure in maniera molto leggera<br />
e divertente, sulle dimensioni dei genitali del suo vecchio amico.<br />
Del resto sono cose che vengono vissute anche con il giusto distacco<br />
dettato dall’età non più adolescenziale dei due. Così come è ormai<br />
del tutto fuori moda la storia dell’antica irriducibile rivalità coi Beatles,<br />
consegnata agli archivi delle cronache musicali, per non dire se-<br />
Venezia, mostra del cinema: sei minuti di<br />
applausi per il regista Jonathan Demme<br />
e il Maestro Enzo Avitabile, in sala con il<br />
docu-film fuori concorso Enzo Avitabile<br />
Music Life. Il 68enne regista di capolavori<br />
quali Il silenzio degli innocenti e Philadelphia,<br />
con la passione per i documentari,<br />
dopo averci raccontato le vite di personaggi<br />
del calibro di Neil Young e del presidente<br />
USA Jimmy Carter, si dedica con successo<br />
allo “scugnizzo” Enzo Avitabile. Sono passati<br />
5 anni da quando, ascoltando un programma<br />
in radio mentre viaggiava in<br />
macchina, Demme si è innamorato della<br />
musica di Avitabile e, a detta dello stesso regista,<br />
“presto i suoi album sono diventati<br />
un’ossessione”. Finalmente l’incontro reale,<br />
in occasione del Napoli Film Festival 2010,<br />
dove nasce l’idea di mettere su pellicola le<br />
emozioni trasmesse dalla musica cosmopolita<br />
del sassofonista napoletano. Mesi di collaborazione<br />
portano al capolavoro presentato<br />
alla Biennale: 80 minuti sulla vita in musica<br />
di Enzo Avitabile. In realtà più che un<br />
documentario si potrebbe definire una serie<br />
di jam sessions filmate in cui la cinepresa,<br />
trovandosi in mezzo ad artisti così importanti,<br />
fa di tutto per non disturbare l’armonia<br />
delle composizioni. Fa da scenario una<br />
folkloristica Marianella, quartiere della periferia<br />
nord di Napoli dove l’artista nasce il 1°<br />
marzo 1955 e dove torna spesso per mostrare<br />
ai ragazzi del quartiere che sotto tutto<br />
quel cemento c’è un universo, che quella<br />
zona che lui stesso definisce non povera,<br />
ma in svantaggio, ha in realtà origini storiche<br />
profonde. E’ un bambino innamorato della<br />
musica: a 7 anni inizia a suonare il sassofono,<br />
da adolescente si esibisce nei locali<br />
“americani” di Napoli e ben presto si diploma<br />
in flauto al conservatorio, fino a diventare<br />
maestro di musica, e di vita. Il<br />
giovane Enzo ha presto la fortuna di duettare<br />
con i suoi miti, da James Brown a Tina<br />
Turner, fino a quando col passare degli anni<br />
polta definitivamente, dopo la partecipazione di Ron Wood al concerto<br />
di Paul McCartney del 5 dicembre dello scorso anno a Londra.<br />
Del resto, un po’ per vocazione un po’ per alimentare il business, la<br />
fabbrica del rock ha sempre puntato, soprattutto in Inghilterra, a costruire<br />
contrapposizioni più o meno fasulle, basti pensare a quelle<br />
meno antiche tra Oasis e Blur o tra Sex Pistols e Clash. Costruire narrazioni<br />
è un elemento indispensabile per alimentare il mito delle popstar<br />
e di conseguenza tutto l’affare economico che gira intorno ad<br />
esso. Il fatto che, oltre tutto, i Rolling Stones avessero, come nel caso<br />
di Richards, estrazione sociale meno privilegiata, si ispirassero al filone<br />
più viscerale del blues e della black music e osassero addirittura citare<br />
nei titoli dei loro brani il demonio in persona, era un boccone<br />
troppo ghiotto per non costruire l’altro dialettico dei baronetti John,<br />
Paul, George e Ringo, nonostante anche questi ultimi non fossero del<br />
tutto esenti dal coinvolgimento in vicende di cronaca legate al consumo<br />
della droga ed altri comportamenti non proprio in linea con un<br />
senso “vittoriano” del buon costume.<br />
Gli Stones sono stati comunque ottimi testimoni di se stessi e di<br />
tutto quanto gli girava intorno, acquisendo dopo la fase più turbolenta<br />
e genuina del loro percorso un necessario distacco, cristallizzato<br />
in modo semplice ed efficace nel brano It’s only rock ‘n roll, tanto per<br />
ribadire un concetto essenziale e sgombrare il campo dall’ipertrofia<br />
di un mito che altrimenti rischiava di schiacciarli.<br />
Una prova di “francescanesimo” musicale o, se si preferisce, di<br />
fondamentalismo dei quattro quarti (il ritmo che da sempre contraddistingue<br />
il rock). Ed è l’atteggiamento che li ha accompagnati<br />
sino ad oggi, nella memoria della trasgressione e nella contemporaneità<br />
di un mito che si rinnova continuamente anche perché è la regola<br />
stessa del mito: l’aver incarnato qualcosa che è dentro ciascuno,<br />
ma ognuno di noi preferisce trasferire in personaggi, vicende, comportamenti<br />
che non coinvolgono la nostra vita quotidiana, ma solo<br />
il segreto delle nostre emozioni. Per questo dopo 50 anni la luce<br />
splende ancora.<br />
sente di dover trovare una sua personale<br />
musicalità, e si rifà ai ritmi della sua città e<br />
alla sua lingua madre. Fondamentale l’incontro<br />
con i Bottari di Portico nel 2004 con<br />
i quali porta in scena tini, botti, falci e altri<br />
strumenti atipici. La passione e l’amore per le<br />
altre culture, non solo musicali, lo portano a<br />
sperimentare i sound più diversi, a creare<br />
band con musicisti provenienti da ogni parte<br />
del pianeta, a inventare un concetto personale<br />
e unico di suonare... e così, passando<br />
dalla musica folk al canto liturgico, dalla musica<br />
classica ai suoni del mondo, Avitabile nel<br />
2012 arriva ad incidere un album unico,<br />
forse il più completo della sua carriera, Black<br />
Tarantella. Un disco cosmopolita: 13 brani di<br />
cui 11 duetti con alcune delle voci più rappresentative<br />
del panorama italiano e internazionale<br />
come Pino Daniele, Raiz, Francesco<br />
Guccini, Daby Tourè, Idir, Bob Geldof,<br />
Co’Sang, Franco Battiato, David Crosby. La<br />
distanza tra chi suona e chi ascolta diviene<br />
invisibile. Ci racconta una Napoli spesso<br />
amara, ma allo stesso tempo reale, materna,<br />
vitale; ci fa partecipare alla sua passione, ci fa<br />
sognare con le note, ci integra al resto del<br />
mondo. Un mondo magico, in cui la musica<br />
è sinonimo di gioia, fratellanza e vita.<br />
Nella foto a sinistra: Enzo Avitabile<br />
in concerto<br />
Al centro: con il regista Jonathan Demme<br />
alla Mostra di Venezia<br />
musica<br />
Tu stai guardandomi - tu stai cullandomi - tu stai pensandomi - ma non vuoi perdonare - parlare a questo cuore - guidare questo amore... (P. Conte)<br />
Dalla Basilicata l’ukulele di Danilo Vignola<br />
Viaggio tra pop, ritmi mediterranei, tribali e folk, hard rock ed heavy metal<br />
Le dita affusolate si muovono rapidissime tra le quattro corde<br />
in nylon e i piccoli tasti del suo ukulele: bizzarro strumento di<br />
origine hawaiana, a metà tra un mandolino e un violino. Il<br />
capo chino segue il ritmo tra una cascata di capelli. Lo sguardo<br />
azzurro si accende di un guizzo, tra magia e mistero da sciamano.<br />
L’ukulele del lucano Danilo Vignola vibra di sonorità etniche, ammalianti<br />
melodie pop, sprazzi di progressive e sperimentazione, ritmi<br />
mediterranei, tribali e folk in una costante tensione poetica che invita ad<br />
un nuovo modo di intendere la musica: un ‘viaggio esistenziale’. E’ il miglior<br />
ukulelista elettrico al mondo: vincitore nel 2010 del premio “Migliore<br />
Tecnica” del concorso Eleuke. Originale il suo modo di suonare il piccolo<br />
strumento: ne ha reinventato ruolo e funzione ridimensionando accordature,<br />
intessendo contaminazioni sonore a partire dal folk della sua terra.<br />
E’ il 2008 quando Danilo in un negozio di strumenti musicali sulle Ramblas<br />
di Barcellona vede un simpatico chitarrino alla parete. Incuriosito, lo<br />
Dal tributo a Who’s Bad di Jacko<br />
alla voce roca di Mark Knopfler<br />
New York. Who’s Bad diventa lo<br />
slogan culturale di un’intera<br />
generazione e 25 anni dopo il leggendario<br />
album di Michael Jackson<br />
viene celebrato con un doppio cd<br />
in versione deluxe, Bad 25th Anniversary<br />
Edition. Appena uscito,<br />
Bad 25 ha immediatamente scalato<br />
le classifiche mondiali, collocandosi<br />
in prima posizione. È il secondo<br />
album lanciato per il 25°<br />
anniversario, dopo Thriller 25. Le<br />
atmosfere che si respirano vanno<br />
dal pop al R&B, al funk, alla dance,<br />
fino al rock e al dubstep. Il box set<br />
include, oltre ai due dischi, un cd live e il dvd del concerto-performance<br />
del 16 luglio 1988 al Wembley Stadium di Londra, alcune foto del dietro le<br />
quinte durante le fasi di preparazione di Bad e alcune scene del cortometraggio.<br />
Privateering è considerato l’album migliore di Mark Knopfler, fondatore e<br />
leader carismatico dei Dire Straits. Voce più roca e ballate struggenti, slow<br />
blues, canzoni di sangue irlandese, per un doppio album da brividi. La Fender<br />
Stratocaster è un marchio di fabbrica. Il suono, lo stile ed il modo in cui le mani<br />
scivolano sul manico sono inconfondibili. Mark Knopfler ha annunciato, fra la<br />
primavera e l’estate del 2013, un nuovo tour europeo che lo vedrà protagonista<br />
anche in Italia con ben sette date (Torino, Milano, Padova, Roma, Napoli,<br />
Teatro antico Taormina e Lucca). È entusiasta di ripercorrere con la sua band le<br />
strade dell’Europa ancora una volta: “È come essere capitano di una piccola<br />
nave che si gode la vita on the road con il suo equipaggio”.<br />
Dopo 87 settimane è ancora in classifica, tra le prime 20 posizioni, Adele con<br />
21, il secondo album in studio della cantante inglese. Oltre 20 milioni di<br />
copie vendute a livello globale, best-seller del 2011 negli Stati Uniti (5 milioni<br />
e 820mila copie) e disco più richiesto del XXI secolo nel Regno Unito. Tra la fine<br />
del 2011 e la prima metà del 2012, 21 ha ottenuto numerosi riconoscimenti a<br />
livello internazionale, tra i quali un American Music Award, sei Grammy<br />
Awards (incluso quello per l’album dell'anno), il premio British Album of the<br />
Year ai BRIT Awards 2012 e due Billboard Music Awards. Il disco, quasi completamente<br />
autobiografico, è pervaso dal dolore per la fine di un amore di<br />
cui Someone Like You è la sintesi ideale.<br />
A cura della REDAZIONE MU<strong>SI</strong>CA<br />
acquista al volo. Comodo da portare con sé, per le ridottissime dimensioni,<br />
lo utilizza per accompagnare reading poetici nei caffè letterari in giro per<br />
l’Europa. Al suo ritorno in Basilicata, nel 2009, messa da parte la laurea<br />
in lingue, fonda gli Ethn’n’roll con il gruppo di amici di sempre. Fa presto<br />
parlare di sé il sodalizio storico tra Danilo Vignola-Keith di Genzano di Lucania<br />
(ukulele elettrico e musiche), Gabriele Russillo-Jim di Baragiano<br />
(basso, flauto e voce) e Giovanni Didonna-Viking di Tolve (batteria e percussioni).<br />
La band si connota per un sound intriso di antiche ispirazioni e<br />
melodie dimenticate, ritrovate, reinventate: fonde rock estremo a sonorità<br />
etniche, ritmi incalzanti; porta alla ribalta strumenti a corda, a fiato e<br />
percussioni della tradizione popolare; trascende le regole melodiche ed<br />
armoniche nell’incanto di versi poetici, tra smania di festa e di rivolta. Taranta<br />
underground by Ethn’n’roll è l’album uscito la scorsa primavera:<br />
fantastica fusione di taranta, flamenco, contaminazioni mediterranee, balcaniche<br />
e gotiche, hard rock ed heavy metal: trampolino di lancio per la<br />
gioso<br />
con la<br />
casa di-<br />
firma<br />
di un<br />
contrattopresti-<br />
scografica<br />
M.A.P. di Milano.<br />
A luglio 2012 la band è stata impegnata nella direzione artistica<br />
della I edizione del Festival Internazionale dell’Ukulele nei Sassi di Matera,<br />
patrimonio mondiale dell’umanità e città candidata a Capitale Europea<br />
della Cultura per il 2019.<br />
Cristiana Lopomo<br />
Paolo Conte: «Il Conte, l’Avvocato e… il Jazz»<br />
Attimi perduti, animi nostalgici, composizioni<br />
surreali e l’esotismo delle terre di frontiera<br />
Un brillante futuro da avvocato all’orizzonte, ma alla carriera forense ha preferito la<br />
musica e l’arte. È Paolo Conte, artista dalla creatività poliedrica, cantautore e paroliere.<br />
Pianista di formazione jazz, è considerato uno dei più importanti e originali musicisti<br />
contemporanei, nonché uno dei più grandi autori e parolieri di sempre. Nella sua oltre<br />
quarantennale carriera è stato inizialmente autore di testi e musiche per altri, per poi<br />
decidere, nel 1974, di abbandonare l’avvocatura per dedicarsi esclusivamente alla professione<br />
artistica. Si è cimentato, inoltre, in molti campi espressivi come l’arte figurativa,<br />
ricevendo nel 2007 una Laurea Honoris Causa in Pittura dall’Accademia di Belle<br />
Arti di Catanzaro. Le composizioni di Conte sono notturne, sognanti, surreali, illuminate<br />
dalle stelle del jazz, su uno sfondo carico di malinconia per gli attimi vissuti e per<br />
quelli perduti: attimi infiniti che l’avvocato di Asti riesce a fissare in canzoni,<br />
in “intuizioni musicali” come le chiama lui, che coinvolgono ed immergono<br />
in una dimensione onirica e nebbiosa, che è poi la parte più intima<br />
e irrazionale. Ogni sua canzone è un racconto, con i suoi personaggi<br />
tanto anomali quanto normali; un’anomalia che, paradossalmente,<br />
è proprio nella loro profonda normalità e prosaicità: uno su tutti<br />
il protagonista di Bartali, che abbandona la sua donna per<br />
aspettare sotto il sole cocente di un “pomeriggio appiccicoso<br />
di caucciù” il suo mito a due ruote, come la solitudine di un<br />
anziano signore in Una giornata al mare o la meraviglia di un<br />
piemontese alla vista del mare in Genova per noi. Poche parole,<br />
testi ermetici, tanto basta per accendere la fantasia di chi ascolta<br />
e proiettarlo tra i profumi, le luci e le ombre della commedia umana.<br />
Sono parole ironiche, malinconiche, sorprendenti, spesso consuete che si ripetono<br />
tanto da sfociare in nonsense che si canticchiano all’infinito (It’s wonderful, it’s wonderful,<br />
it’s wonderful good luck my baby vi ricorda qualcosa?) oppure in divertissement<br />
linguistici: “Comèdie” o “Come di”, in cui la commedia della vita va avanti tra<br />
addii di uomini in canottiera e di amanti viste a Napoli tra i ventilatori al Grand Hotel.<br />
Conte non è solo Francia, jazz e swing, è anche l’esotismo che si trova nella Faccia triste<br />
dell’America o di Messico e nuvole, terra di frontiera e situazioni di contrabbando,<br />
nella magia di Sudamerica, nell’eleganza di una Verde Milonga o nel passo di rumba di<br />
Cuanta Pasiòn, registrata in studio con il contributo del chitarrista Mario Reyes della<br />
Gypsy Kings Family e della cantante iberica Carmen Amor. Bellissima e travolgente,<br />
Cuanta Pasiòn è piena di ritmo e di nostalgia, di fumo e di poesia. Parole di carne e di<br />
spirito che dipingono con i colori della terra e del cielo il quadro della vita.<br />
Michele Salerno<br />
la carta è...<br />
DE LUCA S<strong>AL</strong>ERNO<br />
DE LUCA<br />
INDUSTRIA GRAFICA E CARTARIA<br />
84131 S<strong>AL</strong>ERNO - VI<strong>AL</strong>E ANDREA DE LUCA, 35<br />
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TEL. 089.301333 - FAX 089. 301784<br />
E-Mail: info@delucacartaria.it - Web: WWWdelucacartaria.it<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 29
dalle terre d’oltremare<br />
Ogni grande opera dʼarte ha due facce, una per il proprio tempo e una per il futuro, per lʼeternità (D. Barenboim)<br />
Due monumenti come espressione<br />
dello stesso movimento<br />
religioso del Chandi Borobudur<br />
Chandi Mendut<br />
e Chandi Pawon<br />
Questi due monumenti sono disposti sulla<br />
stessa linea est-ovest. Probabilmente l’allineamento<br />
non era accidentale, nonostante<br />
un leggero cambiamento di direzione nella<br />
parte orientale verso nord-est (una direzione<br />
privilegiata nell’architettura indiana). La posizione<br />
topografica come anche le modanature sono<br />
simili, anche se su scala diversa, a Borobudur o, in<br />
altri termini, come sostenuto dall’archeologo olandese<br />
de Casparis «esso nell’insieme è un complesso<br />
unico con Pawon e Borobudur» e «cronologicamente<br />
parlando è il più antico dei tre». Ciò sulla base della<br />
lettura da lui data all’iscrizione in sanscrito e in giavanese<br />
antico di Karangtengah (dal nome del villaggio<br />
omonimo a circa 3 km da Borobudur), datata<br />
all’8<strong>24</strong> d.C., secondo la quale il re Indra (782-812 d.C)<br />
della dinastia Śailendra avrebbe fatto erigere – su una<br />
precedente costruzione in muratura – un tempio<br />
sacro chiamato Venuvana (“foresta di bambù”) ove<br />
custodire le ceneri del “dio delle nubi”, uno degli attributi<br />
del dio Indra, dallo studioso messo in relazione<br />
con quel sovrano. Il tempio alto circa 27 m., esposto<br />
a N-E., si erge su una massiccia base rettangolare e<br />
consiste di una cella quadrata preceduta da un portico<br />
di ingresso. I gradini sporgenti dal lato nordovest<br />
della base sono adorni su ogni lato da statue di makara<br />
(creature acquatiche della mitologia indiana). La<br />
cella contiene tre statue, con il Buddha Śākyamuni<br />
seduto al centro nell’atto dell’insegnamento della<br />
Legge. Nella parte inferiore dello zoccolo si può vedere<br />
la Ruota della Legge affiancata da due gazzelle,<br />
chiaro riferimento iconografico al momento del sermone<br />
nel parco delle gazzelle a Benares dove il Buddha<br />
predicò la Legge per la prima volta. A sinistra è il<br />
Bodhisattva Avalokiteśvara, a destra un altro Bodhisattva,<br />
probabilmente Mañjuśrī. L’esterno del monumento<br />
è decorato con pannelli raffiguranti dei Bodhisattva,<br />
del pantheon Māhayāna tra i quali Mañjuśrī,<br />
Samantabhadra, Avalokiteśvara, Maitreya, Vajrapāni<br />
sotto parasoli.<br />
La terrazza quadrata che circonda il corpo del tempio<br />
era destinata alla circumambulazione rituale (pradakshina).<br />
Quanto a Pawon, situato a circa 1800 m. da Borobudur<br />
e a 1150 m. da Mendut, esso fu probabilmente<br />
costruito nello stesso periodo di Mendut. Forse dedicato<br />
a Kuvera, il dio della ricchezza, il tempio è su una<br />
base quadrata e contiene una sola statua appoggiata<br />
contro la parte scolpita sporgente della parete frontale<br />
della cella e pannelli più riccamente decorati sulle<br />
pareti laterali e posteriore, in prevalenza alberi della<br />
vita circondati da vasi di monete affiancati da kinnara.<br />
Il restauro di entrambi Pawon e Mendut agli inizi del<br />
XX secolo rende la loro interpretazione architettonica<br />
difficile, in modo particolare per quanto riguarda la<br />
parte superiore di Pawon che sembra di dubbia autenticità.<br />
g.d.m.<br />
30 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />
Tesori dal “giardino di Giava”:<br />
Borobudur, Mendut, Pawon<br />
Borobudur, realizzazione suprema dell’arte indonesiana<br />
insieme completo e armonioso del sistema buddhista del mondo:<br />
manifestazione del Buddha in questo mondo, schema cosmico<br />
Tra i siti artistico-architettonici più grandiosi<br />
dell’intero universo buddhista,<br />
entrato a far parte del patrimonio culturale<br />
dell’umanità dell’UNESCO, un<br />
posto di primo piano è senza dubbio<br />
quello rappresentato dal complesso monumentale<br />
di Borobudur (Barabudur) o anche, dal momento<br />
che in Indonesia, gli antichi templi sono<br />
localmente noti come “chandi”, Chandi Borobudur.<br />
Esso consiste di tre monumenti: il tempio<br />
principale, il Chandi Borobudur, in sostanza uno<br />
stupa monumentale, e due templi minori, il<br />
Chandi Mendut e il Chandi Pawon, posti ad Est<br />
in asse col primo. Situato nella valle di Kedu (nota<br />
anche come il giardino di Giava), nella parte centrale<br />
dell’isola di Giava, a circa 42 km da Yogyakarta,<br />
il Chandi Borobudur è considerato, a<br />
ragione, il più grande monumento buddhista del<br />
mondo, tanto da essere addirittura incluso tra le<br />
sette meraviglie del mondo. Costruito tra l’VIII e<br />
il IX secolo d.C., durante il regno della dinastia<br />
Sailendra, un ramo della dinastia indiana dei<br />
Chandella (famosi per aver eretto i templi di Khajuraho),<br />
si ritiene che l’architetto che la progettò<br />
fu Guvanadharma e che per la sua costruzione si<br />
siano impiegati 75 anni completandosi durante il<br />
regno di Samaratunnga nell’825. Il design del<br />
tempio riflette l’influenza, nella regione, dell’architettura<br />
Gupta e post-Gupta dell’India, pur incorporando<br />
numerose scene ed elementi indigeni<br />
che lo rendono il monumento più importante,<br />
non solo di Giava centrale, ma di tutta l’Indonesia.<br />
L’intera struttura, costruita su di una collina,<br />
è costituita da 55.000 m3 di roccia vulcanica grigio-bluastra<br />
(andesite), una pietra porosa che per<br />
natura incoraggia la crescita di vegetali, quali muschio<br />
e licheni, difficili da distruggere per la loro<br />
capacità di sopravvivenza all’atmosfera con conseguenti<br />
danni alla struttura. Il tempio, che si<br />
estende per una superficie totale di circa 2500<br />
m2 di GIUSEPPE DE MARCO loto, il fiore sacro del Buddha.<br />
Le facciate e le balaustre di Borobudur sono ricoperte<br />
da circa 2670 bassorilievi (di cui 1460<br />
pannelli di carattere narrativo e 1200 puramente<br />
decorativi) distribuiti tra la base e le cinque piattaforme<br />
quadrate. I pannelli narrativi, raffigurano<br />
la storia del principe Sudhana e della kinnari<br />
(metà donna e metà uccello) Manohara la cui<br />
.<br />
leggenda è narrata nella raccolta antologica buddhista<br />
del Divyavadana, - - o “Storie divine” e che<br />
viene raggruppata in 11 serie di pannelli che circondano<br />
il monumento. La base del monumento<br />
-<br />
contiene la prima serie con 160 pannelli narrativi<br />
mentre le restanti 10 sono distribuite lungo le<br />
mura e le balaustre in quattro gallerie a partire<br />
dalla gradinata orientale di ingresso a sinistra. Da<br />
notare anche che i pannelli narrativi delle facciate<br />
murarie vanno letti da destra verso sinistra, mentre<br />
quelli delle balaustre da sinistra a destra, in<br />
conformità col rituale della circumambulazione<br />
(pradakshina) eseguito dai pellegrini che si muovono<br />
in direzione oraria lasciando il santuario alla<br />
‘<br />
loro destra. Le mura della prima galleria hanno<br />
due serie sovrapposte di rilievi, ciascuna delle<br />
quali composta da 120 pannelli con, nella parte<br />
superiore, raffigurazioni riguardanti la biografia<br />
del Buddha.Nella parte inferiore delle mura e<br />
delle balaustre della prima e della seconda galleria<br />
vi sono raffigurazioni riconducibili alla storia<br />
delle “nascite precedenti” (jataka) - del Buddha.<br />
La struttura superiore data da piattaforme circolari<br />
presenta 72 piccoli stupa - a forma di campana<br />
e traforati, ciascuno dei quali accompagnato da<br />
contenente una statua del Buddha e che circondano<br />
lo stupa - più grande posto sulla sommità.<br />
Quanto alle condizioni di conservazione e di restauro<br />
di Borobudur, ci dobbiamo limitare a ricordare<br />
che nei primi decenni del 1900, in due<br />
diversi periodi, furono recuperati i materiali originali<br />
per la ricostruzione del tempio e che, in<br />
epoca più recente, nel decennio 1973-1983 vi<br />
sono stati interventi dell’UNESCO e del governo<br />
, si erge maestoso su di una collina a forma di indonesiano. Oltre che dal tempo la struttura è<br />
piramide quadrata a gradoni. Più in particolare, il minacciata dalle eruzioni del vicino monte Me-<br />
complesso è strutturato in 10 terrazze a loro volta rapi di cui è ancora vivo il ricordo di quella che<br />
divise in tre gruppi verticali: base, corpo e strut- nel 2010 oltre a colpire il tempio ha provocato la<br />
tura superiore. Tale divisione coincide perfetta- morte di almeno 350 persone e l’allontanamento<br />
mente con la concezione dell’universo della dalle loro abitazioni di almeno 100.000. Dopo<br />
cosmologia buddhista, secondo cui l’universo è<br />
diviso in tre sfere, kamadhatu, - - rupadhathu - e<br />
arupyadhatu, - che rappresentano, rispettivamente<br />
tale evento, più di 500 membri delle comunità locali,<br />
sotto la supervisione del Ministro dell’Istruzione<br />
e della Cultura dell’Indonesia, hanno<br />
la “sfera del desiderio” dove siamo legati ai no- effettuato operazioni di pulizia del tempio e dei<br />
stri desideri, la “sfera delle forme” dove ci ab- suoi intricati bassorilievi ed è di conforto il ricobandoniamo<br />
ai nostri desideri ma siamo ancora noscimento del Direttore generale dell’UNESCO<br />
legati a nome e forma, e la “sfera del senza- che nel novembre del 2011 ha voluto segnalare<br />
forma”ovvero il cammino progressivo verso il de- l’importanza di tale intervento con la consegna<br />
finitivo abbandono del desiderio e della sofferenza<br />
(nirvana). -<br />
. L’intera struttura è a forma di un<br />
di attestati alle scolaresche delle stesse comunità<br />
locali.<br />
In alto: Veduta dall’alto<br />
di Borobudur<br />
Sopra: Veduta parziale<br />
degli stūpa traforati<br />
sulle terrazze superiori<br />
Sotto: Veduta parziale<br />
dello stūpa sulla sommità<br />
del tempio<br />
Nel box a sinistra in alto:<br />
Chandi Mendut visto da N-O<br />
Sotto: Chandi Pawon<br />
visto da N-O<br />
Un mondo di sogni per interpretare noi stessi<br />
MARZIA P<strong>IL</strong>ERI, P<strong>SI</strong>COLOGA, P<strong>SI</strong>COTERAPEUTA SPE-<br />
CI<strong>AL</strong>IZZATA IN TRAINING AUTOGENO, insegnante<br />
di meditazione profonda e autoconoscenza, attenta<br />
alla multidimensionalità di noi stessi, ci<br />
guida a capire cosa succede davvero quando si<br />
sogna. Lo fa nel suo ultimo volume L’universo dei<br />
sogni. Come leggerli per capire noi stessi (Paoline,<br />
Cinisello Balsamo). Scende la notte e, mentre<br />
le stelle ci osservano, lasciamo che il corpo<br />
stanco da giornate frenetiche si immerga nel<br />
sonno. In quel momento sembra che la nostra<br />
mente taccia e che i nostri pensieri, sommersi<br />
dalla stanchezza, scivolino via. In realtà la mente<br />
continua incessantemente il suo lavoro, continua<br />
a creare pensieri complessi e addirittura sorprendenti.<br />
Questo è un momento magico che spa-<br />
lanca le porte di un giardino segreto, affascinante<br />
e misterioso: l'universo dei sogni. Chi di<br />
noi, infatti, non si è svegliato almeno una volta<br />
appagato da un sogno che l'ha accompagnato<br />
durante la notte, o magari impaurito da un<br />
sogno caratterizzato da eventi terribili. E queste<br />
sensazioni l'hanno accompagnato per ore e ore.<br />
In effetti, in quale dimensione entriamo quando<br />
si sogna? Quale ruolo gioca esattamente il nostro<br />
inconscio? Esso parla attraverso i sogni alla<br />
nostra coscienza approfondendo le esperienze<br />
che viviamo. Sognando, dunque, possiamo entrare<br />
in quella parte di noi che è sospesa tra due<br />
dimensioni apparentemente contraddittorie: il<br />
reale e l'irrazionale. Ma è proprio così irrazionale<br />
entrare in quel giardino segreto che è per noi il<br />
L’apocalittica Rust Belt di Alessandro Coppola<br />
LA CITTÀ È VIVA e si rinnova sotto lo<br />
sguardo sempre meno attento di chi la<br />
abita. Nonostante, poi, sia il riflesso speculare<br />
di scelte politiche e loro conseguenti<br />
effetti sociali, in breve ogni singolo centimetro<br />
cubo di cemento racconta la storia<br />
dell’individuo/cittadino. Si tratta di guardare<br />
da vicino il fenomeno del post urbano,<br />
ampiamente analizzato da Alessandro<br />
Coppola in Apocalypse Town. Cronache<br />
dalla fine della civiltà urbana (Laterza,<br />
Roma 2012). L’autore con un linguaggio<br />
narrativo ricco di spunti immaginativi ci<br />
mostra le inner city della Rust belt statunitense,<br />
quale area geografica che agli inizi<br />
del Novecento ha rappresentato il motore<br />
economico trainante dell’intero paese, ma<br />
di cui oggi, causa la depressione economica,<br />
non resta che lo scheletro decadente.<br />
Storia. Il Sud tra conquista<br />
e colonizzazione<br />
LA POTENTE RETORICA DELL’UNIFICAZIONE, dalla<br />
quale già Piero Gobetti metteva in guardia,<br />
ha in realtà segnato in modo profondo il modo<br />
in cui si guarda a quelle lontane vicende. Il volume<br />
del compianto Nicola Zitara, L’invenzione<br />
del mezzogiorno. Una storia finanziaria (Jaca<br />
Book, Milano), affronta in modo rigoroso e secondo<br />
una solida prospettiva storico-economica<br />
questo ancora rilevante e, per certi versi,<br />
irrisolto problema storico. Senza alcun cedimento<br />
ad atteggiamenti retorici o anacronistici,<br />
viene ricostruita la logica dell’unificazione italiana<br />
come un vero processo di colonizzazione.<br />
Zitara fornisce convincenti strumenti storici per<br />
rifiutare un ancora prepotente e diffuso trionfalismo<br />
nazionalistico, ponendo le basi per ripensare<br />
la stessa questione meridionale.<br />
Letture: la trilogia di E. L. James<br />
Una saga<br />
tra prevedibilità<br />
e soluzioni<br />
improbabili<br />
La trilogia di E.L. James, comprendente Cinquanta sfumature<br />
di grigio, Cinquanta sfumature di nero e Cinquanta sfumature<br />
di rosso (Mondadori, Milano), è ormai un fenomeno mondiale e<br />
già si parla di un possibile adattamento cinematografico. Un caso<br />
che fa discutere, con al centro dei dibattiti il ruolo della donna da<br />
sottomessa a dominatrice. Salta all’occhio sin dalle prime pagine<br />
la somiglianza con la saga di Twilight, diventata ormai un caso<br />
impos- sibile da ignorare. Simili i personaggi: come Isabella Swan,<br />
Anastasia è una giovane donna inesperta della vita e lontana dall’universo<br />
del bellissimo e tenebroso Christian, che, analogamente<br />
al centenario vampiro Edward Cullen, è dotato di una bellezza<br />
mozzafiato ed è in continuo conflitto con il proprio lato oscuro.<br />
Somiglianti anche l’ambientazione (lo stato di Washington), lo<br />
stile (che non rimane nel cuore), uguali alcuni personaggi secondari<br />
e il modo di descrivere i sentimenti. La Meyer però era stata<br />
in grado di creare discreti momenti di suspence e colpi di scena,<br />
mentre qui ogni avvenimento è prevedibile con largo anticipo. Improbabili<br />
peraltro risultano alcune soluzioni narrative. Nulla di più,<br />
insomma, di una lettura d’evasione senza pretese che potrebbe<br />
essere giudicata non meno dignitosa di tante altre se non fosse<br />
accompagnata dall’intensa pubblicità che sta dilagando ormai da<br />
tempo.<br />
Francesca Montanaro<br />
Ormai è chiaro che i flussi migratori oscillino<br />
rispetto all’offerta di lavoro di un<br />
paese, alla presenza d’infrastrutture e<br />
quartieri residenziali progettati seguendo,<br />
inoltre, l’illusione di rappresentare una determinata<br />
appartenenza di classe. Ecco<br />
quindi che le amministrazioni locali dell’America<br />
settentrionale, impoverite e avvilite<br />
hanno ripensato la gestione urbanistica<br />
facendo della globalizzazione non<br />
un mostro da cui fuggire ma, come rileva<br />
lo stesso autore, un’occasione da non sprecare.<br />
Resta interessante capire quali siano<br />
state le risposte, in termini di creatività, di<br />
chi ha scelto di continuare a vivere certi<br />
luoghi reinventando fonti di lavoro e<br />
quindi nuovi stili di vita, situazione che in<br />
breve potrebbe riguardarci direttamente.<br />
Marcella Ferro<br />
Atlante teatrale<br />
per un viaggio in Occidente<br />
<strong>IL</strong> MAGO DI O, «al quale nel romanzo i personaggi<br />
rivolgono i propri desideri», diventa l’Occidente<br />
– West – nella sua forma più inquietante<br />
– Hitler – che consuma le contraddizioni di un<br />
immaginario condiviso prima che geografico.<br />
O/Z. Atlante di un viaggio teatrale-Atlas of a<br />
theatre journey è il racconto di una tetralogia del<br />
gruppo Fanny & Alexander (Ubulibri, Milano), è<br />
il diario-delirio di bordo che sonda il polso dell’Occidente<br />
inteso come una somma di immaginari<br />
collettivi condizionati, in questa direzione<br />
vanno viste le figure dei “condizionatori” di<br />
West, che non solo condizionano l’attore ripetendo<br />
in modo insistente e martellante slogan e<br />
pubblicità, rapendone i gesti, ma ne consumano<br />
velocemente e ineluttabilmente la memoria.<br />
Vincenzo Del Gaudio<br />
Economia: inventarsi il futuro<br />
Opportunità<br />
di lavoro e mercato<br />
nel tempo<br />
della crisi<br />
nostro inconscio? Questa dimensione non va<br />
forse oltre la nostra stessa forma umana aprendoci<br />
le porte di una dimensione onirica che è collegata<br />
alla parte più vera di noi, normalmente<br />
sepolta dalla materialità della nostra natura<br />
umana? In realtà durante il sonno, a ben vedere,<br />
il nostro io non può fare altro che affacciarsi su<br />
spazi sconosciuti, ricchi di risorse e suggerimenti<br />
per il nostro benessere. Solo conoscendo i nostri<br />
sogni potremmo conoscere bene noi stessi e<br />
quella parte magica e soprannaturale che risiede<br />
in ognuno di noi. Una parte che affiora inevitabilmente<br />
ogni volta che il confuso brusio dei pensieri<br />
che inquinano la nostra mente si attenua e<br />
si aprono le porte alle vibrazioni dello spirito.<br />
Maddalena Di Leo<br />
Due secoli di narrativa<br />
nel libro di Luigi Reina<br />
UN VIAGGIO NEGLI ULTIMI DUE SECOLI DELLA<br />
NOSTRA TRADIZIONE LETTERARIA, dal romanzo<br />
storico alla narrativa della contemporaneità.<br />
Questo è Percorsi del<br />
romanzo, l’ultimo lavoro di Luigi Reina<br />
(Lepisma, Roma). Invitando ad una riflessione<br />
teorica, l’autore chiarisce la sua<br />
idea di romanzo come mimesi, rappresentazione:<br />
«a noi pare che compito dell’intellettuale<br />
(e lo scrittore è tale) sia<br />
prevenire e favorire o guidare l’evoluzione<br />
del gruppo o della società». Dopo<br />
questo incipit teorico il lettore si imbatte<br />
in una carrellata storica, attraverso la<br />
quale viene seguita l’evoluzione del romanzo<br />
durante l’arco di due secoli. Con<br />
l’età della Restaurazione gli intellettuali<br />
assumono un ruolo nuovo: la loro attività<br />
si apre ad istanze civili, diventando<br />
strumento di educazione politica. Di qui<br />
l’affermarsi del romanzo, «moderna<br />
epopea borghese» lo aveva definito<br />
Hegel. Con Alessandro Manzoni, che<br />
sente il nuovo impegno dell’intellettuale,<br />
il romanzo non può imporsi che<br />
come romanzo storico. Dalla lezione<br />
manzoniana Reina passa ad analizzare i<br />
romanzi di Capuana, Verga, De Roberto<br />
– considerati ad un tempo «inchiesta<br />
storico-politico-economica, saggio sociologico,<br />
narrazione dilettosa» – fino alla<br />
«tentazione estetizzante» di d’Annunzio<br />
e alle esperienze narrative di Svevo,<br />
Tozzi, Pirandello, con i quali la letteratura<br />
diventa «letteratura d’esame», mimesi<br />
delle realtà invisibili. Nell’articolata<br />
mappa letteraria del XX secolo, Reina dà<br />
conto di diverse esperienze: le avanguardie,<br />
la stagione del neorealismo, il<br />
boom della lettura negli anni ’60, fino<br />
alle tendenze sperimentali di fine millennio.<br />
Nunzia Soglia<br />
risi uguale cambiamento. Più rapidamente cambiano le<br />
«Ccose, più crisi ci saranno. Chi si guarda intorno con mente<br />
aperta avrà maggiori possibilità di fare business con successo.<br />
[…] Per convivere con la crisi e sfruttarla a proprio vantaggio bisogna<br />
conoscere le regole del gioco e saper leggere e interpretare<br />
il mondo che ci circonda. Ed è proprio quando ci si confronta con<br />
gli altri che possiamo davvero costruire qualcosa». Ma quali sono<br />
le “regole d’ingaggio” per sfruttare la crisi e le sue opportunità?<br />
Cosa ci fa capire se un’idea di business è fattibile o no? Quali<br />
sono le professioni che nascono nei periodi di crisi? Come fare<br />
soldi nei periodi di crisi. Trovare lavoro, cambiare professione,<br />
fare business, trasformando le crisi in opportunità, scritto a quattro<br />
mani da Angelo Deiana e Roberto Barbato (Gruppo <strong>24</strong> Ore,<br />
Milano), risponde a questi interrogativi attraverso la lente d’ingrandimento<br />
delle opportunità che nascono proprio durante i periodi<br />
dando consigli, suggerimenti e idee concrete su come<br />
volgere a proprio vantaggio le congiunture sociali ed economiche<br />
sfavorevoli. In maniera semplice e pratica, attraverso un dialogo<br />
diretto tra autori e lettori il libro, già sold out nelle migliori<br />
librerie italiane, vuole essere uno strumento pragmatico di successo<br />
per chi ha idee di business e di cambiamento ma non sa<br />
come concretizzarle.<br />
Adriana Apicella<br />
libri ¬es<br />
La letteratura è una difesa contro le offese della vita (C. Pavese)<br />
è in queste città<br />
Bimestrale di cultura<br />
arti visive, spettacolo<br />
e nuove tecnologie creative<br />
AGROPOLI<br />
Edicola Giuseppe Voso - via S. Pio X 145<br />
AM<strong>AL</strong>FI (SA)<br />
C&G. - corso delle Repubbliche Marinare, 13<br />
AVELLINO<br />
Punto Einaudi - galleria via Mancini<br />
BARI<br />
Librerie Feltrinelli - via Melo, 49<br />
BARONIS<strong>SI</strong> (SA)<br />
Museo-Frac Fondo Regionale d’Arte Contemporanea<br />
BENEVENTO<br />
Punto Einaudi - corso Giuseppe Garibaldi, 95<br />
BOLOGNA<br />
Bookshop MAMBo - via Don Giovanni Minzoni, 14<br />
C<strong>AL</strong>TAGIRONE (CT)<br />
Libreria Dovilio - Piazza Bellini, 12<br />
CAMPOBASSO<br />
La Nuova Libreria - via Vittorio Veneto, 7<br />
CATANIA<br />
Cavallotto Librerie - viale Ionio, 32<br />
CATANZARO<br />
Libreria Mondadori - corso Giuseppe Mazzini, 16<br />
CAVA DE’ TIRRENI (SA)<br />
MARTE Mediateca Arte Eventi - corso Umberto I, 137<br />
COMO<br />
Libreria Ubik - piazza San Fedele, 32<br />
CORTINA D’AMPEZZO (BL)<br />
Museo Rimoldi, Ciasa De Ra Regoles - corso Italia, 69<br />
COSENZA<br />
Caffe Letterario Città di Cosenza - piazza Matteotti<br />
FERRARA<br />
Università degli Studi Ferrara<br />
Facoltà di Lettere e Filosofia - via Paradiso<br />
Ibs.it Bookshop, piazza Trieste e Trento, 41<br />
Librerie Feltrinelli - Corso Garibaldi, 30<br />
FIRENZE<br />
Ibs. it - via de’Cerretani, 16r<br />
FISCIANO (SA)<br />
Presso la sede di Unis@und<br />
Webradio - Università degli Studi di Salerno<br />
FOGGIA<br />
Libreria Dell’Atenea - via Giuseppe Rosati, 1<br />
FRO<strong>SI</strong>NONE<br />
Accademia di Belle Arti - viale Guglielmo Marconi<br />
GENOVA<br />
Libreria Feltrinelli - via Ceccardi, 16<br />
GROSSETO<br />
Centro documentazione arti visive - via Mazzini, 99<br />
LAMEZIA TERME (CZ)<br />
Associazione culturale “Sukiya” - via Ticino,11<br />
LECCE<br />
All’ombra del barocco - Corte dei Cicala, 9<br />
M<strong>IL</strong>ANO<br />
Biblioteca Accademia di Belle Arti di Brera<br />
Palazzo di Brera<br />
Ichome - via Stoppiani, 10<br />
Libreria Hoepli - via Ulrico Hoepli, 5<br />
MINORI<br />
Fës Ceramiche - via Roma, 32<br />
MODENA<br />
Bookshop Galleria Civica Palazzo santa Margherita,<br />
corso Canalgrande, 103<br />
NAPOLI<br />
Punto Einaudi - via Tarsia, 7<br />
Librerie Dante & Descartes - via Mezzocannone, 55<br />
via Port’Alba, 10 - piazza del Gesù Nuovo, 14<br />
NOCERA INFERIORE (SA)<br />
Punto Einaudi - Via Matteotti, 35<br />
P<strong>AL</strong>ERMO<br />
Libreria Flaccovio - via Ruggero Settimo,37<br />
Libreria del Kursaal Kalhesa<br />
Foro Umberto I, 21<br />
PERUGIA<br />
Libreria Betti - via Sette, 1<br />
PESARO<br />
Fondazione Pescheria Centro Arti Visive - via Cavour, 5<br />
PESCARA<br />
Libreria Primo Moroni - via Quarto dei Mille, 29<br />
POTENZA<br />
Cocco libreria - Palazzo Rizzo, 33<br />
ROMA<br />
Libreria Altroquando - via del Governo vecchio<br />
Bookshop Palazzo delle Esposizioni - via Nazionale<br />
S<strong>AL</strong>ERNO<br />
Libreria Brunolibri - via Torrione, 125<br />
Librerie Feltrinelli - corso Vittorio Emanuele I, 230<br />
Libreria Internazionale - piazza XXIV Maggio, 12<br />
Libreria Mondadori - corso Vittorio Emanuele, 56<br />
Punto Einaudi - corso Vittorio Emanuele, 94<br />
piazzetta Barracano int. 13<br />
Salerno Arte e Caffé - piazza Alfano I, 1<br />
Galleria Il Catalogo - via A.M.De Luca<br />
Galleria Tiziana Di Caro - via Botteghelle, 55<br />
Pierino, Edicola al Corso - corso Vittorio Emanuele<br />
SAN SEVERO (FG)<br />
Libreria Orsa Minore - via Soccorso, 123<br />
SARONNO (VA)<br />
Galleria Il Chiostro - viale Santuario, 11<br />
SASSARI<br />
Libreria Internazionale Koinè - via Roma, 137<br />
SCAFATI (SA)<br />
Bookshop Real Polverificio Borbonico<br />
via Pasquale Vitiello<br />
<strong>SI</strong>ENA<br />
Università degli Studi Siena - Facoltà di Lettere<br />
e Filosofia - Palazzo di San Galgano<br />
Contemporanea progetti associazione culturale<br />
Punto Einaudi - via Pantaneto, 66<br />
CubaLibro – Libri&Caffè Especial<br />
Piazzale C. Rossetti<br />
TORINO<br />
Librerie Feltrinelli - piazza Castello, 19<br />
TORRECUSO (BN)<br />
Art’s Events - località Collepiano<br />
TRENTO<br />
Libreria Il Papiro - via Galileo galilei, 5<br />
TRIESTE<br />
Biblioteca Comunale - piazza Hortis<br />
Libreria Einaudi - via del Coroneo, 1<br />
ULASSAI-OGLIASTRA<br />
Fondazione Stazione dell'Arte<br />
Museo Arte Contemporanea - Ex Stazione Ferroviaria<br />
URBINO<br />
Biblioteca Accademia di Belle Arti - piazza Castello, 19<br />
VENEZIA<br />
Bookshop Museo Peggy Guggenheim<br />
Palazzo Venier dei Leoni Dorsoduro, 701<br />
VICENZA<br />
Valmore studio d’arte<br />
Contrà Porta S. Croce, 14<br />
geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 31
IT<strong>AL</strong>O BRESSAN<br />
Senza titolo, 2012<br />
tecnica mista su carta
DIBATTITO<br />
Informare senza insultare<br />
graffiare senza volgarità<br />
È nello spirito dell’invettiva che si modula,<br />
ancora oggi, la vita sociale del nostro<br />
Paese. E mondi paralleli come<br />
cultura, politica, scienza si contaminano<br />
con il principio dei vasi comunicanti.<br />
a pagina 2 u Angelo Di Marino<br />
Bimestrale di cultura, arti visive, spettacolo e nuove tecnologie creative<br />
INTERVIEWS<br />
Mina Gregori rivela<br />
i segreti del Caravaggio<br />
Distinguendosi per la signorile eleganza e un’ammirabile<br />
tenacia, la massima esperta del Merisi,<br />
accogliendoci nella sua dimora fiorentina, racconta<br />
gli esordi del suo amore per l’arte segnato<br />
da Roberto Longhi.<br />
a pagina 12 u Luca Mansueto<br />
Un anno fa moriva<br />
Ugo Marano<br />
anno I<br />
numero 2<br />
settembre-ottobre 2012<br />
direttore<br />
Massimo Bignardi<br />
distribuzione<br />
gratuita<br />
FIGURE<br />
Marano è stato da uomo e da artista ancorato<br />
al disciplinare della vita; l’ha pensata e<br />
vissuta al passato, al presente, al futuro ma,<br />
sempre, con «l’irrealizzabile desiderio di ritrovare,<br />
di fermare o di inaugurare il tempo».<br />
a pagina 14 u Ciro Manzolillo<br />
Berlino. Da est a ovest<br />
lungo e oltre la U5<br />
METROPOLIS<br />
Una metropoli che si spande in largo e in lungo in<br />
continuo mutamento, tuttavia sembra che proprio<br />
la U5 abbia il compito di riunire definitivamente la<br />
città e riportarla agli antichi splendori prussiani e a<br />
quelli contemporanei dell’Urban Art.<br />
a pagina 21 u Maria Chiara Gasparini<br />
“Veh qui cogitatis inutile”. Io ve l’ho detto, guai a voi che pensate cose inutili. Italia, io te l’ho detto, non manca da me, ma da te, che non vuoi il rimedio (Savonarola)<br />
P<br />
roverò a riassumere il registro entro il quale si muove la traccia di questo nuovo numero di gea-<br />
Art, il terzo, affidandomi ai suggerimenti del vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli.<br />
Alla voce si legge: «INVETTIVA /invet’tiva/ [vc. dotta, lat. Tardo invectīva(m), sottinteso ora-<br />
tiōne(m) ‘(discorso) aggressivo’, da invěhere ‘inveire’ ] s.f. Parola o discorso violento e aggressivo<br />
destinato a riprendere, denunciare, criticare q.c. o qc.: scagliare, lanciare unʼ- ; sono famose le invettive<br />
di Dante. <strong>SI</strong>N. Apostrofe, diatriba, filippica». C’è tutto quanto occorre per poter mettere sul tavolo<br />
le carte: dalle “tremende invettive” di frate Girolamo Savonarola che, da secoli, le effigi marmoree declamano<br />
mute nelle piazze tra Ferrara e Firenze alle pagine di storie di un passato che non dobbiamo<br />
dimenticare, come il ricordo dei giorni nel campo di sterminio nazista di Görlitz del compositore Olivier<br />
Messiaen, al pericolo di una cronaca infarcita di “offese” e “volgarità” che alimenta l’attualità dalla quale<br />
dobbiamo prendere le distanze. Che cos’è l’invettiva nel mondo dell’etere? Cos’è nella politica? Cosa<br />
permane di essa nella cultura? Un discorso violento, se pur aggressivo, destinato, però, a riprendere,<br />
a denunciare, criticare di cui oggi c’è tanto bisogno? Oppure un gratuito espediente crudele e cinico<br />
per eliminare la “controparte”, attingendo al repertorio dell’ingiuria?<br />
Massimo Bignardi<br />
Tremende invettive<br />
Scommesse e futuro<br />
l’Emilia dopo il terremoto<br />
geaArt dedica un inserto all’Emilia ferita, ad un territorio orgoglioso<br />
e carico di speranza. Una parola quest’ultima che ha<br />
tradotto futuro fin dalle prime ore. Intorno ad esso convergono<br />
queste pagine che hanno raccolto narrazioni e testimonianze, di<br />
giovani e meno giovani, dal mondo delle istituzioni e della cultura<br />
in senso lato. Non è fare il punto della situazione, né tirare<br />
somme, compito non nostro e peraltro difficilissimo. È invece<br />
aprire un ulteriore spiraglio alle riflessioni ed al confronto.<br />
Ada Patrizia Fiorillo u a pagina 15