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SI È TENUTA DAL 24 LUGLIO AL 9 SETTEMBRE PRESSO IL ...

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DIBATTITO<br />

Informare senza insultare<br />

graffiare senza volgarità<br />

È nello spirito dell’invettiva che si modula,<br />

ancora oggi, la vita sociale del nostro<br />

Paese. E mondi paralleli come<br />

cultura, politica, scienza si contaminano<br />

con il principio dei vasi comunicanti.<br />

a pagina 2 u Angelo Di Marino<br />

Bimestrale di cultura, arti visive, spettacolo e nuove tecnologie creative<br />

INTERVIEWS<br />

Mina Gregori rivela<br />

i segreti del Caravaggio<br />

Distinguendosi per la signorile eleganza e un’ammirabile<br />

tenacia, la massima esperta del Merisi,<br />

accogliendoci nella sua dimora fiorentina, racconta<br />

gli esordi del suo amore per l’arte segnato<br />

da Roberto Longhi.<br />

a pagina 12 u Luca Mansueto<br />

Un anno fa moriva<br />

Ugo Marano<br />

anno I<br />

numero 2<br />

settembre-ottobre 2012<br />

direttore<br />

Massimo Bignardi<br />

distribuzione<br />

gratuita<br />

FIGURE<br />

Marano è stato da uomo e da artista ancorato<br />

al disciplinare della vita; l’ha pensata e<br />

vissuta al passato, al presente, al futuro ma,<br />

sempre, con «l’irrealizzabile desiderio di ritrovare,<br />

di fermare o di inaugurare il tempo».<br />

a pagina 14 u Ciro Manzolillo<br />

Berlino. Da est a ovest<br />

lungo e oltre la U5<br />

METROPOLIS<br />

Una metropoli che si spande in largo e in lungo in<br />

continuo mutamento, tuttavia sembra che proprio<br />

la U5 abbia il compito di riunire definitivamente la<br />

città e riportarla agli antichi splendori prussiani e a<br />

quelli contemporanei dell’Urban Art.<br />

a pagina 21 u Maria Chiara Gasparini<br />

“Veh qui cogitatis inutile”. Io ve l’ho detto, guai a voi che pensate cose inutili. Italia, io te l’ho detto, non manca da me, ma da te, che non vuoi il rimedio (Savonarola)<br />

P<br />

roverò a riassumere il registro entro il quale si muove la traccia di questo nuovo numero di gea-<br />

Art, il terzo, affidandomi ai suggerimenti del vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli.<br />

Alla voce si legge: «INVETTIVA /invet’tiva/ [vc. dotta, lat. Tardo invectīva(m), sottinteso ora-<br />

tiōne(m) ‘(discorso) aggressivo’, da invěhere ‘inveire’ ] s.f. Parola o discorso violento e aggressivo<br />

destinato a riprendere, denunciare, criticare q.c. o qc.: scagliare, lanciare unʼ- ; sono famose le invettive<br />

di Dante. <strong>SI</strong>N. Apostrofe, diatriba, filippica». C’è tutto quanto occorre per poter mettere sul tavolo<br />

le carte: dalle “tremende invettive” di frate Girolamo Savonarola che, da secoli, le effigi marmoree declamano<br />

mute nelle piazze tra Ferrara e Firenze alle pagine di storie di un passato che non dobbiamo<br />

dimenticare, come il ricordo dei giorni nel campo di sterminio nazista di Görlitz del compositore Olivier<br />

Messiaen, al pericolo di una cronaca infarcita di “offese” e “volgarità” che alimenta l’attualità dalla quale<br />

dobbiamo prendere le distanze. Che cos’è l’invettiva nel mondo dell’etere? Cos’è nella politica? Cosa<br />

permane di essa nella cultura? Un discorso violento, se pur aggressivo, destinato, però, a riprendere,<br />

a denunciare, criticare di cui oggi c’è tanto bisogno? Oppure un gratuito espediente crudele e cinico<br />

per eliminare la “controparte”, attingendo al repertorio dell’ingiuria?<br />

Massimo Bignardi<br />

Tremende invettive<br />

Scommesse e futuro<br />

l’Emilia dopo il terremoto<br />

geaArt dedica un inserto all’Emilia ferita, ad un territorio orgoglioso<br />

e carico di speranza. Una parola quest’ultima che ha<br />

tradotto futuro fin dalle prime ore. Intorno ad esso convergono<br />

queste pagine che hanno raccolto narrazioni e testimonianze, di<br />

giovani e meno giovani, dal mondo delle istituzioni e della cultura<br />

in senso lato. Non è fare il punto della situazione, né tirare<br />

somme, compito non nostro e peraltro difficilissimo. È invece<br />

aprire un ulteriore spiraglio alle riflessioni ed al confronto.<br />

Ada Patrizia Fiorillo u a pagina 15


carte sul tavolo<br />

“Veh qui cogitatis inutile”. Io ve lʼho detto, guai a voi che pensate cose inutili. Italia, io te lʼho detto, non manca da me, ma da te, che non vuoi il rimedio (Savonarola)<br />

L’invettiva<br />

all’italiana<br />

in tutti i menù<br />

L’informazione<br />

non obbliga l’insulto<br />

né la volgarità<br />

di ANGELO DI MARINO<br />

Tutto partì una sera di gennaio di quasi trent’anni fa. Era il<br />

1984, da meno di un lustro era attiva la terza rete della<br />

Rai, la riforma sapeva ancora di fresco. Sul secondo canale<br />

tirava molto Blitz, contenitore nato per dare fastidio<br />

alla già consolidata Domenica In…, autentica corazzata<br />

della Rai. In studio Gianni Minà e Stella Pende che nella sua rubrica<br />

Sotto a chi tocca intervista Leopoldo Mastelloni, collegato da “Bussoladomani”<br />

di Camaiore. L’attore napoletano, nel bel mezzo della<br />

diretta, bestemmia. Panico sul volto di Minà, il collegamento si<br />

chiude. Da quella sera Mastelloni e la Pende non misero più piede in<br />

tivù per anni. Sempre da quella sera del 22 gennaio 1984 la bestemmia,<br />

la parolaccia, l’invettiva entrano d’autorità nel dibattito culturale<br />

del Paese. E, di conseguenza, nelle pagine dei giornali.<br />

Quello che il mondo dei media aveva per decenni evitato, condannato,<br />

emarginato si trovò invece ad essere d’improvviso sdoganato.<br />

Bestemmiare in televisione equivaleva all’antico “lo ha detto la<br />

radio” o al mai tramontato “è scritto sul giornale”. La vicenda, in realtà,<br />

finì nelle aule di tribunale ed arricchì i rotocalchi ed i quotidiani<br />

di estenuanti confronti sull’accaduto. La trasgressione di un trasgressivo,<br />

sciorinata al di fuori delle regole, diventò notizia. Anzi,<br />

essa stessa norma. Da raccontare sin nei minimi particolari, con una<br />

morbosità che manco la cronaca nera più efferata aveva meritato.<br />

Non sappiamo quanto di consapevole ci sia stato nel costruire quella<br />

sera un delitto perfetto come pochi. Sul pavimento insanguinato<br />

caddero pudore e buonsenso. Nelle mani la pistola fumante della<br />

bestemmia. Segno dei tempi, si disse anche. Forse. Di sicuro il Paese<br />

si spaccò, perché la blasfemia pronunciata nel giorno del Signore<br />

nell’Italia dei Papi assunse un peso, una potenza inarrivabile. Ecco<br />

cosa accadde: gli schemi dell’equilibrio secolare tra proibito e lecito<br />

precipitarono in un attimo. Come se in un sussulto improvviso tutti<br />

fossero stati autorizzati a bestemmiare, lanciare invettive, dire e scri-<br />

vere espressioni irripetibili. In contesti dove tutto questo non era (e<br />

non è) ammissibile. Mai avremmo pensato che il turpiloquio divenisse<br />

uno degli elementi della mediaticità, della politica, dell’informazione<br />

nel nostro Paese.<br />

Pensate a una generazione come quella di chi scrive. Il presupposto<br />

era (e resta) informare senza insultare, parlare senza offendere,<br />

graffiare senza volgarità. E pensate anche a una parola, una sola:<br />

casino. Mai cotanta trisillaba aveva trovato spazio nel lessico ufficiale,<br />

mai era stata stampata dai rulli di una rotativa, nessuno l’aveva<br />

mai sentita in radio o in televisione. D’un botto e senza alcun preavviso,<br />

eccola divenire d’uso comune. Un’altra barriera caduta, un<br />

altro piccolo muro di Berlino sgretolato dalla smania di essere<br />

“avanti”, di stupire, sbalordire chi ascolta, chi legge, chi guarda.<br />

Non sembri blasfemia a questo punto tirare in ballo il Padre della<br />

lingua italiana. Precursore dei tempi e critico inarrivabile, Dante Alighieri<br />

scrive il Canto Sesto del suo Purgatorio pensando proprio all’invettiva.<br />

Definisce l’Italia serva, nave senza guida, bordello.<br />

Affondando la penna nella carne come uno stiletto, il Sommo si infervora<br />

e se la prende con i Potenti, i politici e arriva a chiedere conto<br />

e ragione al Signore dei mali di cui è afflitta l’umanità in perenne<br />

conflitto con se stessa. L’invettiva all’Italia, declinata in un crescendo<br />

drammatico che trascina anche il lessico in forme ardite e fuori convenzione,<br />

spiega molte cose. Svela la nostra vera indole, risentendo<br />

dell’indolenza e della falsa indulgenza manifestata verso il prossimo.<br />

Caratteri su cui si fonda nei secoli un’Italia unita ma mai coesa.<br />

“E’ nello spirito di quell’invettiva che si modula, ancora oggi, la<br />

vita sociale del nostro Paese”. “E mondi paralleli come cultura, politica,<br />

scienza si contaminano con il principio dei vasi comunicanti”.<br />

Che nel caso specifico diventano tracimanti. Inquinamenti che altro<br />

non sono che esempi lampanti e mai fulgidi di scadimento etico.<br />

Perché parlare, scrivere, informare, riportare senza regole è esercizio<br />

Il tempo scorre e talvolta soccorre<br />

Fra’ Girolamo ci guarda<br />

da cinque secoli:<br />

proclami ed esempi<br />

di noi contemporanei<br />

di FEDERICO NAVARRA<br />

eato il predicatore! Degenerazioni della<br />

BChiesa, inutilità dei parlamenti, meretricio<br />

e vizi – spesso capitali – dei singoli e nelle loro<br />

forme associate! Ma a rinfrancare lo spirito<br />

due passi per andare dal convento di San<br />

Marco a Santa Maria del Fiore ed il placido<br />

lung’Arno. La nobiltà d’animo allora come<br />

oggi si scontrava con l’ignobiltà umana ma<br />

non tutto è ora come allora: chi infatti troverebbe<br />

ad ascoltare? Quali gli oggetti del suo<br />

predicare? E quanti decibel e che sgargianti<br />

colori? E privo di un consulente di mercato?<br />

Svanita (o quanto meno sopita) la predica in<br />

cornu epistulae et evangeli, tradotta dal tubo<br />

catodico ai cristalli liquidi passando per il plasma,<br />

fiorisce ora nella rete, piazza virtuale<br />

senza tempo (e spazio) ed ospita i temi del<br />

presente sia esso molto prossimo (lavoro che<br />

non essendoci non permette di diventare nobili)<br />

sia un po’ futuro (quale Terra lasciare ai<br />

nostri figli sebbene i nipoti siano lontani). Assente<br />

la sacralità del luogo e la dimensione<br />

escatologica (tamen infinitum era pur sem-<br />

2 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

pre spazio!) nella quale venivano proiettati i<br />

più terreni (e terricoli) temi di umana apprensione,<br />

cede così l’attualità di quest’ultimi: diviene<br />

pertanto necessario sostenerla (se non<br />

fabbricarla) con astuzia e furbizia, ammiccando<br />

qua e là e con buona pace se poi la<br />

cornice è più grande del quadro. Cornice che<br />

ne è pur sempre parte, contribuendo a defi-<br />

nire l’identità del quadro stesso: potrebbe suscitare<br />

qualche malessere in un araldo spirituale<br />

sopravvissuto il pagano ardore di manifestazioni<br />

di piazza davanti i Templi della Finanza<br />

ma anche il domenicano predicò innanzi<br />

al Palazzo della Signoria. Per avere<br />

un’identità necesse habere corpus ed una<br />

volta possedutolo bisogna dargli una voce:<br />

non sufficit tuttavia, occorre farla ascoltare.<br />

Gli ultimi arrivati (giovani? basta l’anagrafe<br />

per indicare gli esclusi o non completamente<br />

inclusi? E gli espulsi? E i riottosi ad includersi?)<br />

nell’avere particolarmente a cuore questa carenza<br />

esistenziale che un buon lavoro oblierebbe<br />

in più di un caso, tentano d’aggredire<br />

la vita per ritagliarsi il posto che meritano sul<br />

proscenio, con clamore e battaglie di principi,<br />

manifestando e sfilando, migrando e solidarizzando.<br />

Si disse che la virtù sola dà la forza:<br />

la fortezza non viene dal corpo in quanto<br />

corpo e c’è chi trovò il tempo della riflessione<br />

certamente più silente che urlante, in apparenza<br />

fragile e senile che trasse però linfa dall’immaginare<br />

– in questo futuro contemporaneo<br />

– la propria dimensione negli spazi interiori<br />

ed in quelli esteriori, urbani ed iper-urbani,<br />

dove il cogitato prendeva (e dava)<br />

continuamente forma.<br />

Siamo or dunque grati al santo e non rammarichiamoci<br />

oltre modo dell’infausta sorte<br />

che ci costringe a vivere tempi così tremendi<br />

ed oscuri: «Tyger! Tyger! Burning bright, in<br />

the forests of the night…».<br />

da fuorilegge. E dove non arriva la bestemmia, la parolaccia, l’invettiva<br />

elevata a simbolo di libertà (?) ci pensa la volgarità a rendere la<br />

strada senza ritorno.<br />

Da tempo, ormai, siamo costretti a confrontarci con titoli di giornali<br />

urlanti, zeppi di doppi sensi e di sconcerie lessicali. Rappresentano<br />

la clava nelle mani di chi va a caccia di prede e non certo di<br />

lettori. Di adepti prima ancora che di sodali. Dietro a invettive forti e<br />

linguaggi grevi si nascondono idee deboli, impalpabili. Che hanno bisogno<br />

di essere urlate, distorte per prendere forza. Armi improprie,<br />

mulinate ad altezza d’uomo. Provate a leggere chi tira la volata a<br />

piazzisti della politica, come quelli toccatici negli ultimi vent’anni.<br />

Caratteri cubitali a tutta pagina con tre, massimo quattro parole una<br />

più pesante dell’altra.<br />

A sostenere tale mole di piombo, sommari anche di tre righe fittissime<br />

in cui la notizia scompare per far spazio a ragionamenti teorici<br />

che portano all’inevitabile conclusione: la colpa è sempre degli<br />

altri. La fragilità in casi come questi diventa il punto di partenza. Il panegirico<br />

che ne scaturisce ha ancor più debolezza del già esile pensiero.<br />

Il titolo, invece, è una bastonata. Ordito per far male, non certo<br />

per ragionare. Se è quindi questo il nostro Purgatorio, molto meno<br />

poetico di quello illustrato dal Sommo, non c’è che da aspettarsi l’Inferno.<br />

No, non può essere così. Conosciamo giovani leve che hanno<br />

molta più etica di quanti li hanno preceduti. E se raccontare senza insultare<br />

è un dovere, stare lontani dal disperato esercizio dell’immoralità<br />

non rappresenta altro che obbligo personale. Ultima frontiera<br />

della coscienza prima del baratro, pullulante di anime che non provano<br />

alcun rimorso. E se il pudore ha il sapore della vetustà, il senso<br />

dell’etica resta valore senza tempo. Al quale tutti dobbiamo garantire<br />

un futuro.<br />

Le pagine sono illustrate da disegni e tecniche miste dell’artista MARTINA CELI<br />

nel prossimo numero<br />

Luce&luci nuove “realtà” che modellano<br />

la città contemporanea e,<br />

al tempo stesso, la nostra immaginazione.<br />

Luci di superficie e luce<br />

dell’anima si rincorrono senza dar<br />

vita ad ombre in un breve viaggio<br />

che geaArt propone nei luoghi,<br />

nelle idee, negli sguardi di sociologi,<br />

storici, urbanisti e scrittori. All’interno<br />

un’intervista ad Alberto<br />

Abruzzese. La controcopertina è<br />

di Nicola Salvatore.<br />

geaArt non ha fini di lucro. La collaborazione<br />

è da ritenersi completamente<br />

a titolo gratuito, sotto<br />

qualsiasi aspetto, comprese le attività<br />

di Direzione e Redazione. Gli<br />

articoli e i lavori pubblicati riflettono<br />

esclusivamente il pensiero dei<br />

loro autori, che ne sono unici responsabili<br />

di fronte alla legge, e<br />

che possono di conseguenza non<br />

coincidere con la linea direzionale<br />

e editoriale del giornale. Attività<br />

editoriale di natura non commerciale<br />

ai sensi previsti dall’art. 4 del<br />

D.P.R. 26-10-1972 n. 633 e successive<br />

modifiche.<br />

Bimestrale di cultura, arti visive,<br />

spettacolo e nuove tecnologie creative<br />

Associazione Culturale<br />

Mediterraneo (Onlus)<br />

Corso Garibaldi, 16/A -<br />

84123 Salerno<br />

Direttore responsabile<br />

Massimo Bignardi<br />

Direttore editoriale<br />

Giuseppe Funicelli<br />

Progetto grafico e impaginazione<br />

Antonio De Marco<br />

centomanidesign@gmail.com<br />

Pubblicità<br />

- La Comunicazione -<br />

Corso Garibaldi 194 - 84122 Salerno<br />

tel. 089.9481111<br />

info@lacomunicazioneadv.it<br />

Stampa<br />

Tipografia Gutenberg S.r.l.<br />

Via Ponte Don Melillo<br />

Fisciano (SA) - tel. 089-891385<br />

Tiratura 2.000 copie<br />

Registrata presso il Tribunale di Salerno<br />

n. 6/2012 del 17.05.2012<br />

Foto in prima pagina,<br />

I sermoni di Savonarola (ph © Tauro, 2012)<br />

“Veh qui cogitatis inutile”. Io ve lʼho detto, guai a voi che pensate cose inutili. Italia, io te lʼho detto, non manca da me, ma da te, che non vuoi il rimedio (Savonarola)<br />

Invettiva contro lo spaccio dei lettori<br />

Quoniam non cognovi litteraturam, introibo in potentias Domini (Ps 70, 15-16)<br />

di GABRIELE FRASCA<br />

La letteratura, così com’è nata,<br />

unitamente alla parola<br />

stessa che la designa, grosso<br />

modo tre secoli fa fra Francia<br />

e Inghilterra, continua a svolgere,<br />

persino oggi che parrebbe confinata<br />

nel negozio del rigattiere, il cómpito<br />

che le fu assegnato in culla, quando<br />

ancora se ne stava avvinghiata al suo<br />

gracile gemello, il copyright, che avrebbe<br />

però, una volta cresciuto, avuto ben<br />

più fortuna di lei, estendendo il suo diritto<br />

di nascita in ogni campo di quella<br />

vaporosa schiuma tipografica che si<br />

chiama libero pensiero. Più che di un<br />

cómpito, si tratta in verità di un mandato<br />

(o se volete di una lettera di cambio),<br />

e la letteratura, da quando è apparsa<br />

come un evento di Badiou (qualcosa<br />

in soprannumero cui mancava solo<br />

un nome), non ha mai smesso di adempierlo:<br />

delimitare e periodizzare per<br />

un’intrapresa di anonimi una messa-instato<br />

fantasmatica, almeno quanto il discorso<br />

che (non) regola l’economia. È la<br />

solita logica che regola il capitale: separare<br />

qui (un terzo stato da un eventuale<br />

quarto, al quale lasciare in eredità il proprio<br />

destino innominabile) per ricongiungere<br />

altrove. Batte e ribatte lo stesso<br />

chiodo, sin dal suo nascere, la letteratura,<br />

che è quello di dare un nome a<br />

chi non ne ha, Robinson Crusoe o Moll<br />

Flanders; batte e ribatte, ed è per questo<br />

che stupisce, e stupefà. La classe innominabile<br />

che si sarebbe poi letta<br />

borghesia (per istupidirsene), e il collante<br />

di stupori ancora senza etichetta<br />

che sarebbe stato detto letteratura, i<br />

nomi, come càpita in simili circostanze,<br />

se li sono dati l’uno all’altro.<br />

Attualmente, certo, se pure continua<br />

a svolgere il suo mandato, è indubbio<br />

che la letteratura, strictu sensu, lo faccia<br />

su scala ridotta, ma comunque in buona<br />

compagnia, vale a dire con quell’allegra<br />

famigliola di strumenti di comunione<br />

ben più generalisti, dei quali fra<br />

l’altro ritiene (e non a torto) di essere la<br />

primogenita (per inciso: ogni medium<br />

che voglia essere di massa, deve innanzi<br />

tutto dirsi familista, quanto l’economia<br />

che, è noto, lo denuncia persino nel suo<br />

etimo quanto non sia altro che una faccenda<br />

di casa, e uno sporco segretuccio).<br />

Ma se credete che la lallazione<br />

letteraria, come tutte le altre coccole<br />

mediali (al bambino, quando lo si bam-<br />

boleggia, non è giusto il suo nome, o la<br />

pletora dei suoi soprannomi, che gli si<br />

ripete ipnoticamente?), sia nient’altro<br />

che un po’ d’intrattenimento («è sempre<br />

festa nell’asilo globale», notava<br />

acutamente McLuhan), vi sbagliate di<br />

grosso. Da quando ha ricevuto il suo<br />

nome dalla classe cui ha dato un nome,<br />

non c’è mai stato niente come il sistema<br />

letterario che abbia fatto filare dritti<br />

come sonnambuli. Solitamente verso il<br />

baratro. E per due motivi: innanzi tutto<br />

perché è esattamente il modo in cui le<br />

logiche del capitale, partendo dalla<br />

prima catena di montaggio (che è<br />

quella della tipografia) si sono annesse<br />

l’al di là verso cui ha sempre spinto<br />

l’arte del discorso (per «arte del discorso»,<br />

a scanso di equivoci, intendo<br />

tutti i sistemi «narrativi» nati per avversare<br />

la frase idiota, in senso etimologico,<br />

che ogni parlante, appena immesso<br />

nel linguaggio, deve ripetere per legarsi<br />

al destino designato; da questo<br />

punto di vista, non c’è alcuna differenza<br />

fra l’Iliade, la Commedia, o un canto<br />

popolare: puntano tutti verso un al di là<br />

dell’idiozia). E poi perché al sistema letterario<br />

il cosiddetto liberismo, già nelle<br />

sue fasi sorgive, ha chiesto niente di<br />

meno che assorbire il soprannaturale<br />

(pochi ricordano che una delle questioni<br />

principali di Robinson Crusoe, presunto<br />

alfiere dell’empirismo dominante, sia<br />

quella di trovare sulla sua isola deserta<br />

tracce della presenza di Dio), per svincolare<br />

per così dire l’economia da un’ingerenza<br />

tanto ingombrante. Alla crisi<br />

della fede nel soprannaturale, la letteratura<br />

ha supplito con un sistema di credenze<br />

a tempo («fin quando siete qui,<br />

credete a quello che vi dico», ripete<br />

dalle pagine del suo volume, e di tutti i<br />

suoi sequel, il solito Robinson). La letteratura,<br />

primogenita col copyright del<br />

pensiero liberale, non può dunque che<br />

tornare ad avanzare la richiesta propria<br />

di chi le assicurò i natali: «datemi credito».<br />

E credere, sia pure per una momentanea<br />

sospensione del giudizio, è<br />

già obbedire e combattere.<br />

Il mondo conteso dalle nazioni nelle<br />

ultime due guerre (trovatemi una sola<br />

nazione, non dico uno stato, che non<br />

nasca, o quanto meno si riconosca, in<br />

un romanzo), visto quanto l’economia<br />

liberale non gradisce confini (e non assicura<br />

dunque appartenenze), da dove<br />

avrebbe potuto del resto mai stagliarsi,<br />

se non dalle pagine della letteratura?<br />

HIC SUNT LEONES<br />

afonia e stipsi<br />

dell’invettiva politica<br />

L’invettiva ai tempi dell’ideologia<br />

aveva dignità e spessore<br />

DI <strong>AL</strong>ESSANDRO LIVRIERI<br />

C’<br />

Persino coloro che si sono correttamente<br />

definiti nel secolo scorso dittatori,<br />

non hanno fatto altro, incantati<br />

come a loro volta erano, che sentirsi<br />

«dittare dentro» storie, per significarle<br />

ad altri, a che altri le significassero. Il rinnovato<br />

Impero di Roma, il Millennio del<br />

Terzo Reich, la Grande Madre Russia...<br />

Vi potrà sembrare strano, ma per<br />

quanto Goebbels abbia saputo come<br />

erano una volta gli anni eroici. Quelli<br />

(almeno per me) delle botte coi fascisti.<br />

Esercizio – ex post – vacuo ma generoso e<br />

con qualche ragione storica. Poi venne l’eclisse.<br />

La sera del 3 luglio 1992, a Salerno, dopo<br />

il voto parlamentare che tutelava Craxi in<br />

nome e per conto delle guarentigie parlamentari,<br />

nugoli di fascisti e comunisti (presagi<br />

della loro imminente superfluità storica) vennero<br />

a gridare per strada «fuori il bottino,<br />

dentro Bettino». Quella sera le botte furono<br />

serrate e amare. Le diedi e le presi! Non per<br />

difendere Craxi quanto un’idea di politica.<br />

Che era si, talvolta, crudele anzi truculenta<br />

ma che rifiutava la “ratio” della distruzione<br />

vicendevole. Era venuto, quindi, il tempo dell’invettiva<br />

che demonizzava. Trasfigurava l’avversario<br />

non per costruire sorti magnifiche e<br />

progressive ma per distruggere senza ricostruire,<br />

a prescindere da qualsivoglia ripartenza<br />

e per pianificare la prospettiva del nulla:<br />

la seconda Repubblica! L’invettiva politica ha<br />

logiche ed essenzialità, ovvero è una sfida<br />

(come Savonarola) o una sollecitazione (Nenni),<br />

un obbligo morale della denuncia (Matteotti),<br />

uno sprone all’arte del riformismo (La<br />

Malfa). Talvolta rasenta anche la burla guittesca.<br />

Negli anni Sessanta, nel Vallo del Diano<br />

(Salerno), un parlamentare socialista si presentava<br />

ai comizi con un gallo sulla spalla alla<br />

cui zampa erano connessi fili elettrici collegati<br />

ad una batteria. Quando l’invettiva diventava<br />

ultimativa, qualcuno tracimava una scossa al<br />

pochi piegare all’ideologia nazista la radiofonia<br />

(e con minore «genialità» il cinema),<br />

Hitler, basterebbe dare un’occhiata<br />

al sua guardaroba, resta il personaggio<br />

di un mediocre romanzo di formazione.<br />

E se vi va di pensare all’oggi,<br />

badate che la televisione con i suoi<br />

show sgangherati non regola flussi di<br />

voti; se mai, e se proprio, lo fa la sua fiction<br />

(che, ci intendiamo, è letteratura<br />

gallo che, giustamente, cantava. E la folla delirava!<br />

Scontri ideologici? Macché! Disbrighi<br />

di collegio elettorale che, però, rappresentavano<br />

ruralità democratica e temperie dei<br />

tempi. Dialettiche forti, cioè, su cui si è snodata<br />

la crescita culturale, sociale e civile di<br />

tutto il Mezzogiorno. Diciamolo forte! L’invettiva<br />

ai tempi dell’ideologia aveva dignità e<br />

spessore. Anche la sua declinazione finale:<br />

l’omicidio politico, tratteggiava tragiche gran-<br />

carte sul tavolo<br />

latu sensu). Quiz e ballerine, per fare un<br />

esempio lampante, non hanno nulla a<br />

che fare con quello che si è definito berlusconismo;<br />

le vite dei santi teletrasportati<br />

fin nel nostro salotto dalle retrovie<br />

siderali, magari qualcosa in più.<br />

Ma via, mi si potrebbe obiettare, mica<br />

tutta la letteratura, quella del sistema<br />

letterario in atto, si identifica alla solo<br />

fiction televisiva, o si riduce, che so, alla<br />

saga di vampiri tormentati dall’angoscioso<br />

dubbio se succhiare il sangue o<br />

schiacciarsi ancora i brufoli, se mai per<br />

una massa di adolescenti (o di lettori<br />

sempre adolescenti) ai quali, in tempo<br />

di crisi economica, neanche par vero di<br />

assicurare una vita da non-morti! Eppure<br />

anche su questo (sempre penultimo)<br />

caso letterario potremmo riflettere,<br />

dal momento che questi discendenti<br />

efebici di Nosferatu sono perfetti<br />

per il mondo che stiamo consegnando<br />

ai loro lettori: improduttivi come il ben<br />

più tenebroso progenitore rumeno, ma<br />

al contrario di costui capaci di procrastinare<br />

praticamente in eterno il consumo<br />

per cui sono nati. Una crisi è una<br />

crisi, e produce sempre il suo immaginario.<br />

Ma concediamo almeno questo:<br />

la letteratura in atto non si riduce mica<br />

ai soli casi letterari. Del resto il sistema<br />

letterario, per funzionare, deve ammettere<br />

per lo meno, una doppia velocità. E<br />

se riuscite a far svettare il capo al di là<br />

delle pile dei libri di successo, nelle megalibrerie<br />

la trovate pure da qualche<br />

parte quella letteratura che è stato necessario<br />

di contro definire «seria» (ma il<br />

«serio», suggeriva Lacan, è il «seriale»),<br />

che poi è quella di cui si occupa- no le<br />

pagine appena un po’ più austere dei<br />

giornali, le trasmissioni radiofoniche da<br />

salotto, le briose televendite di Fazio e<br />

le estenuanti sagre cittadine. E non è<br />

questo già un segno, ne avessimo ancora<br />

bisogno, di come funziona il sistema<br />

letterario? C’è poco da girarci intorno,<br />

vampiri o non vampiri, si appartiene<br />

tutti alla stessa famiglia di morti viventi;<br />

e se il teenager è stato per anni,<br />

già all’indomani della seconda guerra<br />

mondiale, il consumatore ideale, e a<br />

tutti è stato chiesto di restare adolescenti<br />

nello spaccio delle merci (culturali<br />

o meno), ebbene in tempo di recessione,<br />

e di scarsità di risorse, è fin troppo<br />

facile capire quanto sia il consumatore<br />

a dover essere consumato. Non si vendono<br />

libri nei megastore, ve ne sarete<br />

resi conto da un pezzo, ma lettori.<br />

diosità shakespeiriane. Cosa dice, infatti,<br />

Saint-Just l’archetipo dei giacobini alla requisitoria<br />

contro il Re? «Il cittadino Luigi Capeto<br />

può anche vivere, ma Luigi XVI deve morire<br />

non per il suo agire amministrativo ma in<br />

quanto usurpatore». L’invettiva era preludio<br />

alla costruzione disperata del nemico come<br />

simbolo ma, nel contempo, riconoscimento<br />

dialettico dell’avversario. Dai giacobini (che<br />

erano grandi) si è passati allo scherno plurale,<br />

alla denigrazione gratuita. Allo sberleffo<br />

senza giusta causa. Certo! Se i “Partiti sono<br />

partiti per non tornare più” a che serve l’invettiva<br />

se non nei termini dello sfogatoio? E,<br />

smarriti i luoghi dell’organizzazione democratica<br />

della contraddizione e del conflitto,<br />

quale prateria migliore del Web che più anonimo<br />

e violento non si può? Oltre il merito del<br />

“grillismo” (talvolta condivisibile) e fatta la<br />

tara dello straniamento civile da cui nasce e<br />

naturalmente si incanala per morire, il Vaffa-<br />

Day altro non è che un’ordalia post-moderna.<br />

Una Formidabile stipsi culturale che (dentro e<br />

oltre il Web) finisce il lavoro di Berlusconi. Non<br />

più cittadini, nemmeno sudditi, ma soggetti<br />

afoni di audience, sondaggi e riempitori di<br />

piazze più o meno virtuali. Oltre il confine dell’attuale<br />

aggregazione sociale si scivola (come<br />

nelle mappe latine dove l’ignoto si raccontava<br />

con hic sunt leones) fra lande desolate, barbari<br />

e barbarie. Non si “invettiva” ma si grida<br />

al vento, pervenendo al traguardo malinconico<br />

e depresso della clamorosa inutilità.<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 3


teatro contemporaneo<br />

I miei personaggi vogliono vivere e si evitano, queste sono persone che urtano contro le pareti (B. M. Koltès)<br />

Sono le parole, i corpi e l’energia<br />

degli attori a riempire<br />

d’immagini lo spazio scenico<br />

Incontro<br />

con un uomo<br />

straordinario<br />

Peter Brook<br />

Classe 1925. Dopo una brillante laurea ad Oxford in<br />

letteratura comparata, iniziò ad occuparsi di teatro,<br />

a sentir lui, più per caso e per necessità economiche che<br />

per un interesse profondo: la sua passione dichiarata era<br />

infatti il cinema. Ciò non gli impedì di avere, a soli <strong>24</strong><br />

anni, l’incarico di direttore artistico al Covent Garden di<br />

Londra, impegno che abbandonerà molto presto per tornare<br />

alla prosa, lavorando con i più grandi attori inglesi<br />

del tempo (John Gielgud, Lawrence Olivier e soprattutto<br />

Paul Scofield) e occupandosi sia del teatro elisabettiano<br />

sia di autori contemporanei. La tournée europea di Tito<br />

Andronico nel 1955 rivelerà Peter Brook, già molto noto<br />

in Gran Bretagna, al resto d’Europa. Pioniere del teatro<br />

sperimentale, prima in Inghilterra e poi a Parigi, si dedica<br />

occasionalmente anche al cinema. Dopo un cortometraggio<br />

realizzato quando è ancora studente e quando<br />

ha già debuttato come regista teatrale, dirige L. Olivier in<br />

Il masnadiero (1953) che trae dalla Beggar's Opera di J.<br />

Gay. Qualche anno dopo firma la regia di Moderato cantabile<br />

(1960), lungo monologo interiore tratto da un romanzo<br />

di M. Duras, e di Il signore delle mosche (1963), da<br />

W. Golding, in cui utilizza attori non professionisti e due<br />

camere a mano. Inoltre, lo spettacolo, che passa per il rifiuto<br />

di ogni inutile decoro scenografico, segna una tappa<br />

fondamentale nel suo percorso artistico e in quello del<br />

teatro occidentale contemporaneo: lo spazio scenico diviene<br />

“vuoto”, saranno le parole, i corpi e l’energia degli<br />

attori a riempirlo d’immagini; il confronto con alcune,<br />

grandi tradizioni teatrali extraeuropee può dirsi già iniziato.<br />

Traspone per lo schermo opere già realizzate a teatro<br />

(Marat-Sade, 1967, dal dramma di P. Weiss; Re Lear,<br />

1971; La Tragédie de Carmen, 1983). Ispirandosi al misticismo<br />

orientale, realizza quindi Incontri con uomini straordinari<br />

(1979), dal libro di G.I. Gurdijeff, e Il Mahabharata<br />

(1989), versione cinematografica del kolossal teatrale<br />

tratto dall'antico poema epico indiano e adattato dallo<br />

stesso Brook con J.C. Carrière. In Riccardo III - Un uomo,<br />

un re (1996) di A. Pacino, interpreta se stesso.<br />

TizDiMu<br />

4 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

Il lungo viaggio<br />

di Mamadou Dioume<br />

Il segno inconfondibile di Peter Brook traspare<br />

dalla disarmante semplicità e dalla raffinata<br />

ricercatezza formale delle sue messinscene<br />

di ATT<strong>IL</strong>IO BONADIES<br />

Peter Brook si recò nel suo paese per<br />

conoscerlo e vedere i suoi personaggi<br />

sul palco del Teatro Nazionale del Senegal.<br />

Era il marzo del 1984 e da<br />

quel momento per Mamadou<br />

Dioume è cominciato un nuovo viaggio col teatro,<br />

nello sconfinato palcoscenico del mondo.<br />

La prima tappa è il Festival di Avignone del 1985<br />

dove Peter Brook presenta la versione teatrale<br />

di nove ore del Mahabharata (grande poema<br />

dei Bharata) tratto dal più importante poema<br />

epico indiano, in lingua sanscrita. Mamadou è<br />

Bhima, figlio del vento, dalla forza prodigiosa<br />

che uccide elefanti ma che, come tutti gli eroi<br />

del poema, è chiamato a rispondere delle sue<br />

azioni davanti al tribunale degli uomini senza<br />

poter contare sull’aiuto degli dei. Ha molti compagni<br />

di viaggio (tra cui il nostro compianto Vittorio<br />

Mezzogiorno) che lo affiancheranno coi<br />

loro personaggi, sui più prestigiosi palcoscenici<br />

del mondo a raccontare, per quattro favolosi<br />

anni avventure, battaglie, guerre, magie, sfide<br />

ai dadi ed intermezzi giocosi di un’umanità<br />

senza confini che parla, tra tante razze e tanti<br />

suoni, la stessa lingua dei sogni. Ed il viaggio collettivo<br />

col Mahabharata continua su altri palcoscenici,<br />

attraverso la versione televisiva di sei ore<br />

e quella cinematografica (presentata con<br />

grande successo alla Mostra del Cinema di Venezia)<br />

di poco più di tre, tutte in lingua inglese.<br />

La disarmante semplicità, la raffinata ricercatezza<br />

formale e l’intensa suggestione dinamica<br />

delle diverse messinscene portano l’inconfondibile<br />

segno del genio di Peter Brook. Ed il cammino<br />

di Mamadou, insieme col grande maestro<br />

del teatro del Novecento, continua fino al 1991<br />

nel Woza Albert e nella Tempesta di Shakespeare<br />

con la quale ritorna anche ad Avignone.<br />

Da questo momento il viaggio comune con<br />

Peter Brook si interrompe: Mamadou riprende<br />

da solo il cammino su altri palcoscenici…<br />

Poco più di vent’anni dopo, in una torrida<br />

estate romana, lo ritroviamo nei laboratori dell’Accademia<br />

del Teatro Senza Tempo mentre<br />

parla sottovoce ad una quindicina di facce accese<br />

e rapite, sedute a semicerchio attorno a lui.<br />

Sono i nuovi allievi di un viaggio di formazione<br />

che continua da decenni, in Italia ed in Europa,<br />

per rivelare e scoprire nuove identità e nuove<br />

coscienze per un teatro che da tempo ha smarrito<br />

accordi e corrispondenze con l’uomo e col<br />

mondo. L’attore è un mestiere che non si impara,<br />

ma si coltiva quotidianamente analizzando<br />

se stessi. Recitare è tirar fuori le cose che giacciono<br />

dentro di noi, scavare nel profondo dei<br />

nervi, delle viscere e della carne alla ricerca dell’ignoto.<br />

Il personaggio ti rivela quello che tu<br />

non sei, anche la belva che è in te. Il corpo è la<br />

prima memoria, quella affettiva, quello stesso<br />

corpo che assorbe poi tutte le cose vissute. Il<br />

teatro è cultura, è universale e deve necessariamente<br />

collegarsi alla natura, non deve far incontrare<br />

un popolo ma raccontare l’umanità<br />

con tutta la sua straordinaria ricchezza di canti,<br />

suoni, leggende, ma anche di terrificanti trage-<br />

die. Perciò nei sette giorni di laboratorio e per<br />

oltre sette ore (serali e notturne), sotto lo<br />

sguardo compiaciuto dell’organizzatore di masterclass<br />

Riccardo Balestra, il lavoro sul corpo è la<br />

faticosa pratica prevalente che Mamadou suggerisce<br />

agli allievi con suggestiva persuasione<br />

emotiva e con straordinaria leggerezza esemplificativa<br />

(a dispetto della sua mole imponente).<br />

Massimo (Max) Giudici (cofondatore con Mamadou<br />

di Atelier Teatro a Milano) condivide con<br />

lui la guida agli esercizi e spesso lo sostituisce,<br />

con grande consapevolezza metodologica e naturale<br />

padronanza tecnica. La respirazione,<br />

compiuta in varie posture, deve essere totale e<br />

coinvolgere tutti gli organi e tutti i sensi: l’attore<br />

ascolta intensamente il proprio respiro e comincia<br />

a sentirne l’effetto a partire dalla punta dei<br />

piedi e poi, in collegamento sinergico, con tutti<br />

gli altri membri del corpo, esterni ed interni. Nell’identificarli<br />

progressivamente, l’allievo deve imparare<br />

a riconoscere la specificità dei tre punti<br />

di eruzione: i piedi, il coccige, la pancia. Talvolta<br />

egli rimane sdraiato supino su un bastone di<br />

legno che percorre la spina dorsale, partendo<br />

dal coccige fino alla testa, respirando profondamente<br />

e facendo prolungati vocalizzi su una sola<br />

nota. Altre volte, invece, stando sdraiato su palle<br />

da tennis posizionate sulla schiena e sulla testa,<br />

infine su una parete verticale, conquistata faticosamente<br />

a testa in giù con i movimenti degli<br />

arti inferiori, dei glutei e delle spalle. Ma il bastone<br />

serve anche come supporto essenziale<br />

negli esercizi delle arti marziali, che disciplinano<br />

e potenziano la vitalità ed il dinamismo dell’attore<br />

e che vengono proposti anche come pratica<br />

collettiva sinergica di conquista e gestione dello<br />

spazio scenico. Va da sé che gli esercizi non sono<br />

finalizzati all’apprendimento delle discipline<br />

orientali di pratica guerriera, ma devono servire<br />

a far esplodere i conflitti dentro il corpo dell’attore<br />

sul palcoscenico. E talvolta è lo stesso Mamadou<br />

che interviene per segnalare esercizi<br />

eseguiti male o qualche sofferenza corporea di<br />

un organo palpando, con mano o piede la parte<br />

interessata, col frequente rischio di qualche lacrima<br />

o strillo di natura femminile. La scoperta e<br />

la conquista di sé non può essere indolore. Ma<br />

ogni giorno c’è anche il momento liberatorio del<br />

canto popolare (africano) in coro, nella lingua<br />

dell’infanzia del mondo e del battere ritmico<br />

delle mani sul corpo, in una ritrovata danza tribale<br />

di gruppo, sotto la guida dello sciamano<br />

Mamadou.<br />

Il richiamo e la seduzione da parte di autori<br />

ed opere teatrali - come pure dei grandi maestri<br />

- avviene quotidianamente e non sempre in maniera<br />

programmata, perché risponde ad invocazioni<br />

sotterranee ed implicite che la situazione<br />

performativa in atto suggerisce. Oltre al mostro<br />

sacro Brook, ritornano spesso Shakespeare, Stanislavski,<br />

Grotowski, Artaud con tutta la potenza<br />

esplosiva ed immaginifica «dei segnali<br />

lanciati da dietro alle fiamme». Particolarmente<br />

esemplificativi, per la sua visione del teatro, sono<br />

il testo e l’autore su cui Mamadou concentra lo<br />

Nella foto in alto:<br />

Un momento “sofferto“<br />

del laboratorio<br />

Sopra: Il sorriso di Mamadou<br />

studio più specifico da parte degli allievi: Quai<br />

Ouest (1985) di Bernard-Marie Koltès. «I miei<br />

personaggi vogliono vivere e si evitano, queste<br />

sono persone che urtano contro le pareti».<br />

Chissà anche quanto di autobiografico c’è nella<br />

splendida sintesi descrittiva che Koltès fa dei<br />

protagonisti del suo dramma, a proposito della<br />

sua breve e tormentata esistenza di scrittore visionario<br />

e bord-line (morto di Aids a 41 anni).<br />

Quai Ouest si caratterizza per uno stile che riesce<br />

ad unire, in maniera magistrale, la lingua<br />

parlata alla letteratura più raffinata, affrontando<br />

la dolorosa condizione degli immigrati privi di<br />

permesso di soggiorno, in un presente caratterizzato<br />

da stridenti contraddizioni. Per gli allievi<br />

ore ed ore di lettura e di studio a memoria di alcuni<br />

brani del testo per poi arrivare ad occupare,<br />

nell’ultimo giorno del corso, lo spazio scenico<br />

come in un dipinto, facendo esplodere la loro<br />

energia vitale ed iconoclasta: «La tua vita, negro,<br />

vale meno di quella di una gallina; non te la sei<br />

meritata, la vita; è come se non fossi mai esistito».<br />

Il sipario si chiude, per Mamadou riprende<br />

il viaggio, prima in Sicilia e poi, a fine<br />

ottobre, presso gli allievi del Distretto Cinema di<br />

Torino. Buon viaggio, Mamadou, ché la leggerezza<br />

sia sempre a te compagna…<br />

teatro contemporaneo<br />

I miei personaggi vogliono vivere e si evitano, queste sono persone che urtano contro le pareti (B. M. Koltès)<br />

Il teatro di Brook tra répétition, répresentation e assistance<br />

Una “corda tesa” tra l'immaginazione e la poesia, scaturita da un “impulso uniforme”<br />

Era il 1943 quando esordì con il Dr. Faustus di Christopher<br />

Marlowe al Torch Theatre di Londra. Peter Brook, ha realizzato<br />

complessivamente 47 spettacoli teatrali ed ha ricevuto<br />

più di 30 importanti riconoscimenti in ogni parte<br />

del mondo, tra gli altri il Premio Europa per il Teatro a Taormina<br />

nel 1989, dopo aver messo in scena in lingua inglese The tragedy<br />

of Hamlet, nel teatro Bouffes du Nord, da lui stesso diretto. Il<br />

suo interesse non si ferma al teatro elisabettiano, ma si rivolge ai<br />

maggiori autori contemporanei. Avrà modo di lavorare con John<br />

Gielgud e Paul Scofield (due dei più grandi attori britannici). Come<br />

dirà egli stesso il suo lavoro teatrale scaturisce da un “impulso informe”,<br />

senza alcuna tecnica. Lavorando, però, molto sugli attori,<br />

che a suo parere dovranno sentirsi liberi di dare tutto il loro apporto<br />

allo spettacolo. Sarà proprio lui, il regista, ad indirizzarli poi sulla<br />

“retta via”. Il regista infatti sarà colui che Dirige: cioè che prende<br />

decisioni e guida l’attore. «La corda tesa è l’immagine che meglio<br />

rappresenta la mia idea di teatro – commenta Peter Brook –. Ma<br />

non voglio insegnare nulla, non sono un maestro, non ho teorie».<br />

Solo suggestioni, come la corda che non c’è. «Per trovare l’equilibrio<br />

un funambolo deve tener conto di due cose: avere ben presente il<br />

punto d’arrivo e allo stesso tempo badare ai lati. Oscillare senza mai<br />

perdere di vista la meta. Altrimenti cade. Vale in teatro come nella<br />

vita e nella politica». Ma in teatro, perché quel filo diventi visibile<br />

serve un altro elemento: «L’immaginazione, il muscolo che muove<br />

tutto». Il teatro di Brook è un teatro vuoto, essenziale, fatto di poche<br />

cose. Eppure questa nudità e questo vuoto iniziano pian piano a<br />

popolarsi, a materiare una storia, ad abitare gli spazi, ad assumere<br />

sensi di volta in volta diversi ma tutti perfettamente veri, per cui una<br />

gruccia può essere una gruccia, ma nel momento successivo diventa<br />

un telefono, e non stupisce, perché è un teatro che si costruisce<br />

Gli ultimi successi presenti in libreria<br />

LE NOVITÀ EDITORI<strong>AL</strong>I DEGLI ULTIMI ME<strong>SI</strong>, inerenti al teatro annoverano biografie di sceneggiatori,<br />

retroscena di spettacoli che sono passati alla storia e luci ed ombre di grandi autori. In questo<br />

filone si inserisce il testo di Pietro Saddio, dal titolo Ettore Petrolini. El rey della rissa. Il libro<br />

è incentrato sulla figura di Petrolini, grande artista ancora oggi ricordato per aver saputo incarnare<br />

e raccontare vizi e pregi del popolino che lo ringraziò erigendolo a divo. Si racconta<br />

dell’autore come fautore di vecchie regole che ingabbiavano il teatro tra la fine dell’Ottocento<br />

e l’inizio del Novecento, ripercorrendone il percorso umano ed artistico a circa settant’anni<br />

dalla sua scomparsa. E ancora Ombre magiche. Dietro le quinte del Petruzzelli di Marina Itolli<br />

e Giancarlo Fundarò: l’emozione della nascita di una nuova opera lirica, dal fascino della messa<br />

in scena alle prove di recitazione e d’orchestra, dalla realizzazione della scenografia all’incanto<br />

di una nuova creazione che prende forma; raccontato attraverso l’occhio attento e vigile al<br />

quale non sfugge alc0un particolare del fotografo Giancarlo Fundarò che nella primavera 2011<br />

ha potuto seguire presso il Teatro Petruzzelli di Bari, tutte le fasi delle prove per l’opera contemporanea<br />

Lo stesso mare. Altri due testi che approfondiscono determinati aspetti sono:<br />

Dive e maestri di Gosett Philip che racconta i successi e le evoluzioni dell’opera lirica e La commedia<br />

greca e la storia di Franca Perusino e Maria Colantonio: uno sguardo alla commedia e<br />

all’oratoria politica nel teatro di Aristofane.<br />

Angela Casale<br />

L’autunno accende le luci sul palcoscenico<br />

La crisi e i tagli non abbassano il sipario: la risposta è un fitto programma di appuntamenti<br />

LA STAGIONE TEATR<strong>AL</strong>E È <strong>AL</strong> VIA: nonostante la crisi e i tagli che ormai da<br />

tempo costringono il settore culturale a limitare sempre di più le proprie<br />

offerte, si riesce anche quest’anno a proporre un cartellone prestigioso e di<br />

sicuro interesse. La programmazione in abbonamento del Teatro Nuovo di<br />

Napoli vedrà alternarsi in scena artisti già fortemente riconosciuti da pubblico<br />

e critica quali Enzo Moscato, Isa Danieli, Carlo Cecchi, Silvio Orlando,<br />

Stefano Accorsi, Marco Martinelli, Glauco Mauri e Roberto Sturno, Ottavia<br />

Piccolo, Alfonso Santagata, Roberto Herlitzka, Claudio Di Palma e, fuori abbonamento,<br />

un progetto del regista Antonio Latella. Programma ricco per<br />

questa stagione anche al Teatro Argentina di Roma, la seconda firmata da<br />

Gabriele Lavia in qualità di direttore del Teatro di Roma. Un cartellone che<br />

comprenderà oltre venti spettacoli, a partire dal 22 settembre con L’Ecole des<br />

Maitres, del regista argentino Rafael Spregelburd. Respiro internazionale a<br />

partire dal 26 settembre e fino al 15 novembre 2012 con un ciclo di spettacoli<br />

in partnership con il Romaeuropa Festival 2012. A Milano, la più grande<br />

delle sale del Piccolo ospita un calendario di grandi produzioni internazionali,<br />

dal ritorno di Slava alle regie di Luca Ronconi, agli spettacoli di Bob Wilson,<br />

Gabriele Lavia, Edward Hall, Luc Bondy, fino alla grande danza. Invece,<br />

al Piccolo Teatro Grassi dal 16 ottobre Glauco Mauri e Roberto Sturno in<br />

Quello che prende gli schiaffi: la parabola di un giusto in un mondo difficile.<br />

Intanto, con orgoglio il Teatro Massimo di Palermo presenta la nuova stagione<br />

2012 che si conferma fra le più ricche d’Italia, vantando un ampio programma<br />

di opere e balletti. Il teatro palermitano, la più grande istituzione<br />

culturale del sud Italia, è un innovativo modello gestionale in quanto ha registrato<br />

grande successo con un continuo incremento del pubblico: ampio<br />

spazio al repertorio più amato, ma anche a importanti titoli di forte valenza<br />

culturale e storica, cui si affiancano alcune rarità, secondo un criterio di scelta<br />

che in questi anni ha imposto il Teatro Massimo all’attenzione anche della<br />

critica mondiale.<br />

Carmela Citro<br />

dentro l’azione scenica, e da essa trae la sua necessità. È un teatro<br />

che si alimenta di immaginazione e poesia. È la parola che dà forma<br />

anche a quello che non c’è, è lo sguardo denso degli attori, i loro<br />

gesti pieni e fatti di pura energia poetica, di presenza potentissima.<br />

Inoltre, le tre parole che danno vita all’evento teatrale per Brook<br />

sono: répétition, répresentation, assistance. Tre parole dal francese,<br />

tre elementi, ciascuno necessario perché l’evento prenda vita: répétition,<br />

la ripetizione, sarebbero le prove, dove l’attore cerca di migliorarsi;<br />

répresentation, rappresentazione, è la messa in scena,<br />

l’elemento mortale della ripetizione si perde nella serata della<br />

“prima”; assistance, l’assistere, che permette alla rappresentazione<br />

di aver luogo nel modo esatto: l’attore non potrà fare tutto da solo,<br />

servirà una attenta e coinvolta, ma straniante, partecipazione del<br />

pubblico.<br />

Tiziana Di Muro<br />

Mauri-Sturno: da Krapp<br />

a Senza parole<br />

di Samuel Beckett<br />

GLAUCO MAURI E ROBERTO STURNO portano in<br />

scena quattro celebri atti unici beckttiani<br />

con l’intento di far capire al pubblico<br />

che non è Beckett ad essere difficile e complicato,<br />

ma che difficile e complicata è la<br />

vita stessa. Atto senza parole e L’ultimo nastro<br />

di Krapp, due testi relativamente brevi<br />

al confronto di altri famosi capolavori, sono<br />

forse le opere che più chiaramente esprimono<br />

alcuni aspetti del mondo di Beckett.<br />

Nello stupito, grottesco silenzio del primo,<br />

l’uomo beffato e ingannato dalla vita che<br />

sembra sempre soccorrerlo ma poi sempre<br />

lo delude, trova la sua commovente dignità<br />

nel rifiuto e in una voluta solitudine. Nel<br />

secondo, il vecchio Krapp ascolta una bobina<br />

registrata molti anni prima, la sera del<br />

suo trentanovesimo compleanno. Riaffiorano<br />

persone, visi ormai sbiaditi dal tempo,<br />

si riscoprono sentimenti e tra questi, ormai<br />

dimenticata, una storia d’amore, “quando<br />

la felicità era forse ancora possibile”. Il nastro<br />

finisce e Krapp rimane disperatamente<br />

solo nel buio della sua “vecchia tana” piena<br />

di bobine che raccontano la storia della sua<br />

vita ma che finiranno col rimanere vuote,<br />

esaurite di ricordi. Improvviso dell’Ohio. Un<br />

uomo (il Lettore) legge un libro ad un altro<br />

uomo (l’Ascoltatore) per aiutarlo a sopportare<br />

il dolore di un’assenza (una moglie<br />

morta o forse abbandonata). Il testo che il<br />

Lettore legge si riferisce alla vita dell’Ascoltatore:<br />

essi infatti non sono due persone<br />

ma un unico uomo che, in un fantastico<br />

sdoppiamento, sembra – con l’ascoltarsi –<br />

cercare una speranza di sollievo al dolore.<br />

Respiro. Un cumulo di macerie. Pochi secondi:<br />

è la vita. La vita che passa tra il<br />

primo vagito e l’ultimo respiro.<br />

Glauco Mauri e Roberto Sturno<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 5


proscenio<br />

È molto più facile essere un eroe che un galantuomo. Eroi si può essere ogni tanto, galantuomo sempre (L. Pirandello)<br />

L’ossessione<br />

in scena<br />

Edito da Demian, il volume<br />

Teatro contemporaneo rivela<br />

il talento di Fabrizio Romagnoli<br />

La finzione del palcoscenico può essere la via più sicura, per quanto<br />

tortuosa, per arrivare alla verità o a ciò che più le somiglia. Il teatro<br />

nasce in effetti da un bisogno essenzialmente educativo, dall’esigenza<br />

di condurre la coscienza a superare ciò che l’esperienza<br />

intercetta per esaminare, comprendere e smascherare. Fabrizio Romagnoli<br />

(nella foto a lato) ha sempre guardato a questo aspetto,<br />

come ben dimostra Teatro contemporaneo, la raccolta di tre atti unici<br />

edita da Demian che rappresenta una sfida impegnativa per tutti coloro<br />

che vogliano cimentarsi con l’arte della recitazione. Filo conduttore<br />

dei copioni è l’ossessione, quel vincolo malato ma saldissimo che<br />

unisce i personaggi in una prigione mentale prima ancora che materiale.<br />

Attraverso una scrittura di abbagliante crudeltà, attenta a<br />

porre in luce ogni sfumatura dell’animo, l’autore esprime il peso di<br />

una disappartenenza che si manifesta solo nelle forme della riflessione<br />

speculare. Le figure attorno a cui ruotano le vicende non riconoscono<br />

più i loro interlocutori, eppure non possono fare a meno di<br />

veder riflesso in loro ciò che non vorrebbero mai ammettere. La narrazione<br />

in Fino alla fine, Lei…Lui…Loro e Una lunga attesa è un falso<br />

movimento: nonostante tutto e tutti, non si sfugge alla mente.<br />

A Torino con Jurij Ferrini<br />

In programma<br />

il Rodaggio<br />

matrimoniale<br />

di Williams<br />

ennesee Williams è un autore capace di mettere a nudo i senti-<br />

Tmenti con una sagacia rara, intessendo l’azione narrativa a distanze<br />

siderali da qualsiasi forma di compiacimento o di abile ricatto<br />

psicologico. Appare dunque naturale che la vita matrimoniale, spesso<br />

simile a un falso equilibrio, abbia suscitato la sua attenzione. Rodaggio<br />

matrimoniale, che George Roy Hill aveva portato nel 1962 sul<br />

grande schermo con Anthony Franciosa e Jane Fonda, è una commedia<br />

che non è mai stata rappresentata in Europa e ha colpito per<br />

la sua attualità Jurij Ferrini, che si era già cimentato con successo di<br />

pubblico e critica con il capolavoro dello scrittore Zoo di vetro. Nel<br />

duplice ruolo di regista e protagonista, Ferrini ha al suo fianco Fulvio<br />

Pepe, Eva Cambiale e Isabella Macchi. L’opera sarà in scena presso il<br />

Teatro Gobetti di Torino dal 27 novembre al 2 dicembre e si basa sull’intreccio<br />

di due vicende accomunate dalla difficoltà di comunicare i<br />

sentimenti. Una giovane coppia è costretta a fare i conti con la mancanza<br />

di fiducia: il futuro incerto che li sovrasta e un’empatia che fatica<br />

a farsi strada impediscono di condividere in modo profondo le<br />

ansie per poi neutralizzarle. Due coniugi maturi invece vivono il proprio<br />

conflitto su di una base educativa: hanno infatti opinioni radicalmente<br />

opposte sulla maniera di rapportarsi con il figlio. Non è<br />

azzardato guardare ai quattro personaggi come alle stagioni diverse<br />

del medesimo malessere che nasce da una visione problematica dell’unione.<br />

L’autore non rinuncia comunque alla sua tagliente ironia.<br />

g.c.<br />

Nella foto: Jurij Ferrini<br />

6 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

La sagacia di Un marito di Italo Svevo<br />

Un invito a rileggere un copione poco noto e di metodica crudeltà<br />

di GEMMA CRISCUOLI<br />

Esistono molti modi di sferrare un’invettiva.<br />

Si può avanzare con la potenza<br />

di una corazzata, sfoderando<br />

tutte le proprie armi senza preoccuparsi<br />

di apparire violenti o irriguardosi,<br />

colpendo l’avversario a viso aperto. È poi<br />

possibile ispirare con arti sottili il risentimento<br />

del pubblico verso l’oggetto dell’attacco, lasciando<br />

che altri scendano in campo a schierarsi<br />

contro ciò che va combattuto. Una terza strada<br />

consiste nell’agire sottotraccia, nel manifestare<br />

il proprio pensiero fingendo di assumere in toto<br />

le convenzioni del fronte opposto per poi scardinarle<br />

dall’interno con un paziente lavoro di<br />

decostruzione. Quest’ultimo modo di agire si riscontra<br />

in un capolavoro che si presta a continue<br />

rivisitazioni e riscoperte, nonostante<br />

detrattori e sostenitori continuino a dividersi in<br />

folte schiere: Un marito di Italo Svevo. L’opera,<br />

oggetto di numerosi rimaneggiamenti e riscritture<br />

fino al 1903, pur essendo già conclusa nel<br />

1895, è un potente atto d’accusa contro la società<br />

borghese e la sua abitudine a definire, irreggimentare,<br />

catalogare, incasellare. È uno<br />

squarcio impietoso che si apre nella più rispettabile<br />

delle istituzioni, la famiglia, roccaforte di<br />

Dal 21 novembre a Milano<br />

Le Troiane<br />

di Euripide<br />

un dramma<br />

senza tempo<br />

arà il Teatro Carcano di Milano ad accogliere il 21 novembre la<br />

Sprima delle Troiane, capolavoro euripideo che impreziosì il V secolo<br />

a.C. e ha ancora tanto da dire a dispetto del tempo che passa. Lo<br />

spettacolo resterà in programma fino al 2 dicembre. Guardando alla<br />

traduzione di Caterina Barone, Marco Bernardi dirige Carlo Simoni,<br />

Patrizia Milani, Sara Bertelà, Corrado D’Elia in un allestimento che si<br />

avvale delle scene di Gisbert Jaekel, dei costumi di Roberto Banci,<br />

delle luci di Lorenzo Carlucci. Il dolore che sgorga dal testo è quello<br />

irreparabile di chi sa di non avere più nulla da difendere. Troia è ridotta<br />

a un cumulo di macerie, i corpi abbandonati raccontano violenza e<br />

desolazione, le protagoniste della vicenda – Ecuba, Andromaca, Elena<br />

– attendono di essere destinate ai vincitori che le tratteranno come<br />

degli oggetti. Eppure esiste una grandezza che non può essere calpestata<br />

dalle armi, come ricorda Cassandra, la vergine invasata che<br />

narra ciò a cui nessuno crede per volere del dio a cui si negò. La figlia<br />

di Priamo, che sa bene di andare incontro a un sanguinoso destino,<br />

espone la semplice verità: i Greci devono all’inganno la loro vittoria,<br />

mentre i Troiani hanno lottato con tutto il coraggio di cui sono stati<br />

capaci. I vincitori sono morti lontano dalla patria, i vinti hanno avuto<br />

almeno il rispetto e l’amore dei congiunti. Mai sconfitta è stata così<br />

nobile, mai il sangue è bastato a se stesso: chi ha portato la morte soccomberà<br />

a sua volta, perché, come è detto nel prologo, chi calpesta<br />

città e tombe segna la propria perdita.<br />

red. proscenio<br />

Nella foto: Carlo Simoni<br />

uno status più che amoroso connubio. L’incongruenza<br />

degli assunti dettati dal senso comune<br />

si manifesta in tutta la sua evidenza con un crescendo<br />

implacabile. L’avvocato Federico Arcetri,<br />

che si è risposato con Bice dopo aver ucciso la<br />

prima moglie Clara per vendicare il proprio<br />

onore, rispondendo così in pieno al codice comportamentale<br />

dell’epoca, riceve la visita della<br />

madre dell’uccisa, Arianna, nome antifrastico<br />

perché non libera dal labirinto di pensieri nefasti,<br />

ma vi conduce il suo interlocutore. È lei infatti<br />

a riferirgli che alcune lettere rivelano un interessamento<br />

della moglie per un altro uomo; il protagonista<br />

rischia di rivivere il medesimo incubo.<br />

Nulla è però come sembra. Federico pare un<br />

uomo incapace di rimorsi, ma è torturato dal<br />

pensiero della felicità perduta con il colpo inferto<br />

a Clara. La madre di quest’ultima, che si presenta<br />

come acerrima nemica, nutre in realtà nei<br />

confronti del genero un affetto profondo e contrastato,<br />

proprio di chi vorrebbe avere accanto<br />

un figlio e non può coronare questo desiderio.<br />

Bice ha creato nell’amico Paolo Mansi l’illusione<br />

che potesse nascere qualcosa tra loro per ingelosire<br />

il marito sempre più indifferente, per poi<br />

comprendere che solo la viltà le ha impedito di<br />

consumare il tradimento. L’avvocato, che a sua<br />

volta desidera finalmente riconoscere una geni-<br />

Fino al 4 novembre all’Eliseo<br />

John Gabriel<br />

Borkman<br />

dal 16 ottobre<br />

a Roma<br />

trice in Arianna, l’unica del cui giudizio gli importi,<br />

rinuncerà a qualunque proposito di vendetta<br />

perché preoccupato unicamente della<br />

saldezza della propria unione in società e alimenterà<br />

con la complicità di Bice la finzione che<br />

l’originario nucleo composto da lui, dalla prima<br />

moglie e dall’anziana donna sia ricomposto. Le<br />

maschere si susseguono e si sfaldano in un continuo<br />

rovello di pensieri e ansie che rendono incongrue<br />

tutte le risposte dettate da un atteggiamento<br />

“razionale”. I benpensanti non possono<br />

che essere d’accordo con Arcetri, con la<br />

sua capacità di nascondere la polvere sotto il<br />

tappeto. Le consuetudini della vita civile risultano<br />

ridicoli scheletri che restano lì a confermare<br />

il fallimento di chi ha creduto di poter essere<br />

davvero padrone della propria identità. L’assurdo<br />

si nasconde tra le pieghe del consueto per prosperare<br />

senza interferenze. Ricreare ciò che non<br />

può tornare è una nevrosi che prospera al riparo<br />

dell’onorabilità. L’equilibrio è il velo fragile e ombroso<br />

dietro cui traspare il rimosso, l’inconfessabile,<br />

il funambolismo di una mente che preferisce<br />

un miraggio al reale. Si osservano le proprie<br />

ferite e Federico coglie nel segno dicendo: «Io<br />

stesso sono la malattia. Guarirò morendo».<br />

Nella foto: Italo Svevo<br />

omprendere il peso dei propri limiti e guardare in faccia un falli-<br />

Cmento sono scelte che richiedono, volenti o nolenti, enorme coraggio.<br />

Appare difficile ammettere che il peggior nemico possa<br />

annidarsi troppo facilmente nel cuore, dove si preferirebbe leggere<br />

soltanto un appagante senso di superiorità. John Gabriel Borkman di<br />

Henrik Ibsen, che Piero Maccarinelli dirigerà al Teatro Eliseo di Roma<br />

dal 16 ottobre al 4 novembre con Massimo Popolizio, Lucrezia Lante<br />

della Rovere, Manuela Mandracchia e Mauro Avogadro, racconta il disagio<br />

di un vinto che non intende ammettere la sconfitta e si ritrova<br />

in una rete di rancori e disillusioni. Borkman, che pur essendo ormai<br />

in rovina continua a credersi una sorta di mago dell’alta finanza, non<br />

è il solo a misurarsi con una realtà impietosa. Il suo amico Foldal, che<br />

non lo ha messo al bando al pari dei rispettabili conoscenti, è autore<br />

di un testo mai pubblicato e quindi a sua volta relegato in una sorta<br />

di fermo-immagine in cui la potenza non si traduce mai in atto. La<br />

moglie e l’amante del protagonista, sorelle non solo nel senso più<br />

chiaro del termine, si sono legate a un uomo che non le ha comunque<br />

amate come avrebbero desiderato. Le figure sul palcoscenico<br />

sono tutte in qualche modo inchiodate a un passato che non accetta<br />

di essere sepolto e torna a inquinare la vita a ogni passo. La scrittura<br />

di Ibsen asciuga ogni enfasi, mescola con rara sagacia il tragico e il comico,<br />

l’ambizione e la sua negazione, l’orgoglio e la violenza che si<br />

cela sotto vesti edificanti. Un’opera quanto mai attuale.<br />

red. proscenio<br />

Nella foto: Lucrezia Lante della Rovere<br />

Olivier Messiaen<br />

e il superamento<br />

dell’abisso<br />

Il Quatuor pour la fin du temps,<br />

ispirato dall’Apocalisse, inaugurò<br />

un “tempo” mitico di speranza<br />

per i sopravvissuti dei lager nazisti<br />

di MIKE <strong>SI</strong>VERS*<br />

e scritto durante la mia prigionia, il Quatuor<br />

pour la fin du temps ebbe la sua prima esecuzione<br />

nello Stalag VIII A, il 15 gennaio 1941.<br />

Questo accadeva a Görlitz, in Slesia, con un<br />

«Concepito<br />

freddo atroce. Lo Stalag era sepolto sotto la neve.<br />

Eravamo trentamila prigionieri (francesi per la maggior parte, con qualche<br />

polacco e belga). Suonavamo su strumenti di fortuna: il violoncello<br />

di Etienne Pasquier aveva solamente tre corde, i tasti del mio pianoforte<br />

verticale si abbassavano e non si rialzavano... Mi avevano affibbiato un<br />

vestito verde completamente stracciato e ai piedi calzavo zoccoli di<br />

legno. Il pubblico comprendeva persone di ogni ceto sociale: sacerdoti,<br />

medici, piccolo borghesi, militari di carriera, operai, contadini...».<br />

Con queste parole, tratte da Hommage à Olivier Messiaen, è lo stesso<br />

compositore a raccontarci le condizioni in cui si svolse l’anomala prima<br />

di quella che è una delle sue poche composizioni cameristico-strumentali.<br />

Il problema nell’affrontare la musica di Olivier Messiaen è quello<br />

della “contingenza”, o meglio: del rapporto più o meno stridente tra<br />

la contingenza (naturale, storica o personale) e l’eternità, l’atemporale<br />

trascendente. E questo è tanto più vero per uno dei suoi brani più significativi,<br />

il Quatuor pour la fin du temps, che di contingenza è quasi<br />

forzatamente nutrito, di contingenza è sostanziato, ma dalla contingenza<br />

è sfuggito, sia per le pulsioni che lo animarono, sia perché divenuto<br />

un esempio di “mito d’oggi”, con tutta l’ambiguità che il mito ha<br />

assunto su di sé in un ambito di relativismo, cifra stilistica di Messiaen.<br />

Le circostanze della composizione partirono da una situazione drammatica<br />

per determinarne una eroica, dunque mitica, ma l’operazione in<br />

sé fu determinante e superò l’ambito della contingenza storica per trovare<br />

un “tempo” di speranza oltre l’abisso della “fine del Tempo” di chi<br />

APPUNTAMENTI con la grande lirica italiana<br />

A Pechino al tempo<br />

delle favole<br />

Il teatro Comunale di Firenze<br />

ripropone la Turandot firmata<br />

da Zhang Yimou e Zubin Mehta<br />

di IDA PARO<br />

scatola sonora<br />

Lasciate andare e' canti figurati, e cantate e' canti fermi ordinati dalla Chiesa (Savonarola, 5 marzo 1496)<br />

sopravviveva nel campo di prigionia, così come nell’Europa dilaniata<br />

dalla guerra. Un’operazione determinante, indipendentemente dal materiale,<br />

per il suo trattamento, per la sua forma, che ne fa una delle più<br />

grandi invettive contro la guerra, negazione dell’Uomo, mai pronunciate.<br />

Ed ecco un altro impulso mitologizzante: Barthes asserisce che “il<br />

mito è una parola”, non intesa nel senso usuale del termine, è “un<br />

modo di significare, una forma, un sistema di comunicazione”. Il mito<br />

è forma e il Quatuor è una macchinazione divina che vive della sua<br />

forma, della sua struttura (temporale). Il Quatuor pour la fin du temps<br />

prende forma da questo brano dell’Apocalisse, tradotto in un linguaggio<br />

musicale, come dice il compositore stesso, “dall’essenza immateriale,<br />

spirituale e cattolica”: «Vidi poi un altro angelo, possente,<br />

discendere dal cielo: era avvolto in una nube e l’arcobaleno cingeva il<br />

suo capo; la sua faccia brillava come il sole; le sue gambe sembravano<br />

due colonne di fuoco [...] Posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla<br />

terra, emise un grido fortissimo, simile al ruggito del leone [...] Quindi<br />

l’angelo che prima aveva visto posarsi sul mare e sulla terra levò la mano<br />

destra verso il cielo e giurò nel nome di Colui che vive nei secoli dei secoli,<br />

Colui che ha creato il cielo e ciò che esso contiene, la terra e quanto<br />

essa contiene, il mare e ciò che esso contiene: ‘Non vi sarà più alcun indugio,<br />

ma quando il settimo angelo, farà udire il suono della sua<br />

tromba, allora sarà consumato il mistero di Dio [...]» Ap. 10, 1-7. La dimensione<br />

spazio-temporale si dilata all’infinito nell’ascolto. Il numero<br />

dei movimenti risponde a una logica ben precisa: sette è il numero perfetto<br />

nella Bibbia, il sabato è il giorno della santificazione, il giorno di<br />

riposo dopo la creazione del mondo, prolungata all’ottavo giorno, il<br />

giorno della lux æterna. È l’alba, tra le tre e le quattro del mattino, si<br />

sentono gli assoli dell’usignolo o dell’uccello notturno tra gli alberi: il si-<br />

Torna sul palcoscenico del Teatro Comunale<br />

di Firenze dal 27 novembre al 5 dicembre<br />

quella Turandot pucciniana, diretta da Zubin<br />

Mehta con la regia di Zhang Yimou che, osannata<br />

fin dal Maggio del 1997, ha conosciuto<br />

numerose riprese a Firenze e in Italia e le indimenticabili<br />

recite nella Città Proibita di Pechino.<br />

Di alto livello gli interpreti con Turandot che<br />

avrà la voce di Jennifer Wilson ed Elena Ponkratova,<br />

protagonista del secondo cast, il ruolo<br />

di Calaf, sarà, invece, diviso tra Jorge de Leòn<br />

e Rubens Pellizzari, mentre, quello di Liù tra<br />

Ekaterina Scherbaschenko e Serena Daolio. La<br />

parte strumentale, che sarà interpretata dall’Orchestra<br />

del Maggio è elaboratissima. Puccini<br />

si serve praticamente di due orchestre.<br />

Una, infatti è collocata in scena e include<br />

trombe, tromboni, percussioni e un organo.<br />

Per il resto l’organico è completo in ogni rango,<br />

per schizzare l’atmosfera attraverso effetti coloristici<br />

violenti e preziosi, sei trombe, quattro<br />

tromboni, di cui uno basso, tamburo di legno,<br />

gong grave e nella lunghissima lista anche due<br />

saxophoni alti, che legheranno il loro timbro<br />

misterioso e dolcissimo al coro delle voci bianche,<br />

doppiandoli dal dietro le quinte, allorché<br />

entrano in scena, nascosti, nel momento che<br />

precede l’entrata della principessa. Dal palco<br />

intoneranno, infine la melodia con cui l’imperatore<br />

si congeda, distillando aromi e spezie cinesi<br />

e siamesi, prima che la partitura esca allo<br />

scoperto splendente di impasti ferrigni.<br />

LO SCAFF<strong>AL</strong>E della lirica<br />

Floria Tosca<br />

tra Sardou e Bonino<br />

Tradotto da Einaudi il testo<br />

del drammaturgo francese<br />

al quale si ispirò Puccini<br />

di LORENZO DE DONATO<br />

ANTICA BOTTEGA D’ARTE DEL RAME “GIUSEPPE CELENTANO”<br />

di Vittorio Villari S.R.L. Sorta nel XVII secolo in Penta - Sa<br />

Complementi d’arredo, arredamento su misura,<br />

esecuzione su disegno del cliente, illuminazioni, bomboniere<br />

Eravamo trentamila prigionieri<br />

Suonavamo su strumenti di fortuna<br />

il violoncello di Etienne Pasquier<br />

aveva solamente tre corde<br />

i tasti del mio pianoforte verticale<br />

si abbassavano e non si rialzavano...<br />

lenzio del Paradiso è allo stesso tempo la celeste armonia precosmica (Liturgie<br />

de cristal). Nelle brevi sezioni estreme di Vocalise, pour l’Ange qui<br />

announce la fin du temps c’è il richiamo all’Angelo che scende dal cielo,<br />

il “luogo” dell’Eterno, mentre nella parte centrale il pianoforte esegue<br />

accordi dal suono perlato (“accordi blu-arancio”, come li chiama Messiaen).<br />

Il terzo movimento, Abîme des oiseaux, è dedicato al clarinetto<br />

solo. L’abisso è il Tempo che viene prima del tempo; gli uccelli stanno<br />

in contrasto col tempo perché desiderano la Luce, il clarinetto con le sue<br />

innumerevoli sonorità, le sue infinite “voci”, si pone alla sua disperata<br />

e continua ricerca. Lo scherzo (Intermède) conduce alla prima Louange<br />

à l’Eternité de Jésus: Gesù (violoncello) è il Verbo in principio, in un clima<br />

di distacco totale dal ritmo dei quattro strumenti all’unisono (Danse de<br />

la fureur, pour le sept trompettes) che riproducono la sonorità monolitica<br />

in fortissimo della settima tromba, con un’aumentazione del tema<br />

e cambi di registro. Fouillis d’arcs-en-ciel, pour l’Ange qui announce la<br />

fin du temps richiama certi passaggi del secondo movimento: appare<br />

l’Angelo nel tumulto del cielo che annuncia la fine dei tempi; per la seconda<br />

volta (non a caso) una Louange a l’Immortalité de Jésus, un lungo<br />

movimento per violino e pianoforte: è l’altro aspetto di Gesù, «vero Dio<br />

e vero uomo»: il verbo si è fatto carne, uomo, ma allo stesso tempo<br />

morte della morte per il nuovo Patto. La lenta salita verso i registri acuti<br />

del violino è la lenta ascesa della creatura al suo Creatore, della carne<br />

nella Carità, verso il Tempo di Dio. L’ “irregolarità” formale e strutturale<br />

si aggiunge alle tante “irregolarità” manipolatorie del materiale musicale,<br />

quasi a voler riaffermare: «Il mondo ha perfezioni per mostrare<br />

che è l’immagine di Dio, e ha imperfezioni per mostrare che è “soltanto”<br />

l’immagine di Dio». (Pascal).<br />

* già assistent Berklee College of Music Boston<br />

’arte nel suo mistero / le diverse bellezze<br />

«L insiem confonde; / ma nel ritrar costei /<br />

il mio solo pensier, Tosca, sei tu!». L’impetuosa<br />

figura di Tosca e la sua tragica sorte percorrono<br />

più d’un secolo vantando una storia multiforme,<br />

di generi e mezzi di rappresentazione.<br />

Victorien Sardou, drammaturgo francese del<br />

Secondo Impero e della Terza Repubblica ottiene<br />

lentamente con essa un’ampia popolarità:<br />

dopo i primi infausti tentativi, attraversando<br />

il Vaudeville e la satira politica, giunge all’elaborazione<br />

del dramma storico che gli garantirà<br />

l’elezione all’Académie Française nel<br />

1877. Il suo successo teatrale è garantito dall’irresistibile<br />

protagonismo della stella francese<br />

Sarah Bernhardt (nella foto), per la quale l’autore<br />

aveva già scritto Fedora. La Tosca, è cucito<br />

sulla Bernhardt Sardou è uno specialista della<br />

tecnica drammaturgica, della costruzione di intrecci<br />

di forte impatto emotivo e del mescere<br />

efficacemente la storia alla finzione narrativa.<br />

L’atmosfera capitolina del dramma, ancora<br />

calda della battaglia di Marengo offre la scena<br />

al tormentato amore di Tosca e Cavaradossi,<br />

intrecciando potere, religione, rivoluzione, patriottismo<br />

e anelito di libertà. Einaudi ripropone<br />

il testo del drammaturgo francese, a cura di<br />

Guido Davico Bonino, ponendolo a confronto<br />

con il libretto di Illica e Giocosa, al servizio della<br />

melodia di Giacomo Puccini, fornendo le chiavi<br />

al lettore per capire la forza di entrambe le scritture<br />

teatrali, così simili e così diverse.<br />

Lavorazione<br />

artistica del rame<br />

e ottone sbalzato,<br />

inciso e patinato<br />

con antiche<br />

tecniche<br />

artigianali<br />

Via Ponte Don Melillo - Loc. Pastenelle<br />

84084 Fisciano (Sa) Tel. e Fax. 089 8283202<br />

e-mail: vittorio.villari@alice.it<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 7


danza<br />

Ogni fase del movimento […], rivela un aspetto della nostra vita interiore (R.Laban)<br />

Lottare per affermarsi<br />

come professionisti<br />

sulla scena odierna<br />

Cosa significa<br />

essere<br />

una danzatrice<br />

contemporanea?<br />

di GISELDA RANIERI*<br />

Per me significa fare un lavoro bellissimo: seguire la passione<br />

di una vita (ho iniziato a danzare all’età di cinque<br />

anni), quello per cui ho studiato da sempre e che ha influenzato<br />

la scelta del mio percorso di studi (sono specializzata<br />

in Discipline dello spettacolo dal vivo presso il<br />

DAMS di Bologna). Una passione che, giorno per giorno,<br />

si è trasformata in lavoro. E c’è bisogno di questa per superare<br />

le difficoltà spesso implicate nel mestiere: bisogna<br />

lottare per vedersi affermati come professionisti al pari di<br />

altri tipi di lavori; perciò preferisco sottolineare la parola<br />

“lavoratore” e “professionista” ed evitare il più possibile<br />

quella di “artista”, per far guadagnare al danzatore una<br />

posizione al pari di tutti gli altri mestieri e fargli ottenere<br />

l’attenzione dovuta. La domanda che mi viene rivolta più<br />

di frequente è: «Ma ti pagano per farlo?». E non parlo<br />

dello sconosciuto che incontri casualmente per strada, ma<br />

anche delle persone a te vicine (familiari, amici, a volte gli<br />

stessi fidanzati, ma in quest’ultimo caso è forse meglio<br />

trovarsi un compagno che capisca subito che vita lo<br />

aspetta!) che non riescono a capire fino in fondo in cosa<br />

consista questo lavoro e , soprattutto, come si possa vivere<br />

con esso. Del resto non hanno tutti i torti, sia perché<br />

spesso più che vivere si sopravvive – ma mi pare un’odierna<br />

condizione comune della mia generazione e ormai<br />

anche di quella precedente – sia perché finché la società<br />

e le istituzioni per prime, non capiranno che la cultura non<br />

è solo beni da preservare, ma campo economico in cui investire,<br />

capace di generare denaro e contribuire all’economia<br />

del Paese, allora noi tersicorei saremo sempre<br />

relegati alla figura di eterni giovani appassionati e sgambettanti.<br />

Essere danzatore oggi significa abbracciare la vita<br />

della mobilità e della precarietà economica; fare una scelta<br />

specifica che inevitabilmente condiziona la vita lavorativa<br />

e sentimentale. Forse non dovrebbe essere neppure un lavoro<br />

(nell’antichità il danzatore è una figura quasi sacra,<br />

capace di contattare un’alterità che lo avvicina al divino e<br />

per questo sostenuto dalla comunità), ma siccome viviamo<br />

nel 2012, in questo tipo di società (capitalistica,<br />

consumistica, che premia un risultato/prodotto immediato<br />

piuttosto che la qualità del processo che porterà a risultati<br />

futuri e duraturi...), è bene aprire gli occhi il prima possibile<br />

e pensare al lavoro del danzatore più vicino al saper<br />

fare pratico dell’artigiano che non all’artista bohemién fin<br />

de siècle dedito alla ricerca intellettuale e all’esperienza<br />

sensoriale del vivere. O meglio, nel nostro mestiere che è<br />

un mestiere artistico, il sapere intellettuale dovrebbe unirsi<br />

e fondersi con quello pratico che si apprende attraverso<br />

l’esempio educativo e l’esperienza personale. Sudore e<br />

gioia, rabbia e amore, lotta e passione, questo per me significa<br />

essere una danzatrice contemporanea oggi.<br />

*Danzatrice delle Compagnie UBIdanza<br />

e <strong>AL</strong>DES/Roberto Castello<br />

Nella foto in alto:<br />

Giselda Ranieri e Guandalina Di Marco, Compagnia<br />

UBIdanza in Principesse. Villa Bombrini, Genova<br />

(ph.© Marco Pezzati)<br />

8 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

Città ‘visibilmente’ danzanti<br />

sullo sfondo dell’attualità<br />

Corpi Urbani 2012 – Il Festival Internazionale<br />

di Danza in Paesaggi Urbani di Genova<br />

si propone quale pregnante evento dell’anno<br />

REDAZIONE DANZA<br />

città che non si cancella<br />

dalla mente è come<br />

un’armatura o reticolo nelle<br />

«Questa<br />

cui caselle ognuno può disporre<br />

le cose che vuole ricordare:<br />

nomi di uomini illustri, virtù, numeri,<br />

classificazioni vegetali e minerali, date di battaglie,<br />

costellazioni, parti del discorso. Tra ogni nozione e<br />

ogni punto dell’itinerario potrà stabilire un nesso<br />

di affinità, o di contrasto, che serva da richiamo<br />

istantaneo alla memoria». È così Italo Calvino, in<br />

Le città invisibili, che descriveva la città e la memoria<br />

di Zora. La città – poiché reticolo di ricordi e richiamo<br />

della memoria – è il luogo del viaggio,<br />

personaggio/interprete del nostro vissuto; essa si<br />

modifica, in quanto spazio/scena, a seconda del<br />

personale stato d’animo e del bisogno di espressione,<br />

assumendo – di volta in volta – un nuovo significato<br />

e perciò un “nuovo ricordo”. Ecco che<br />

l’arte, il teatro e soprattutto la danza trovano nella<br />

città il luogo primordiale nel quale esprimersi, su<br />

cui disegnare e con il quale interloquire: uno spazio<br />

che contiene il performer e il pubblico, un<br />

luogo comune ad entrambi ma, al tempo stesso,<br />

“ri-creato”. Sotto questo aspetto lavora l’Associazione<br />

culturale ARTU - Arti per la Rinascita e la Trasformazione<br />

Urbana di Genova - già responsabile<br />

del progetto euroregionale di danza contemporanea<br />

nello spazio pubblico “Luoghi comuni” gemellato<br />

con Torino, Marsiglia, Avignone, Villeurbanne<br />

e Rillieux la Pape - giunta quest’anno alla X<br />

Edizione del Festival “Corpi Urbani”, svoltosi lo<br />

scorso 6-7-8- settembre nella città di Genova, con<br />

chiusura a Finale Ligure il 9 settembre. Un festival<br />

importante e di grande spessore internazionale,<br />

che richiama ogni anno un pubblico vasto ed eterogeneo<br />

grazie a forti collaborazioni: 19 spettacoli<br />

con 35 artisti di compagnie italiane e straniere.<br />

«L’arte può e deve rappresentare un valore aggiunto<br />

nei processi di trasformazione urbana in<br />

corso – spiega la direttrice artistica del Festival<br />

Corpi Urbani Eliana Amadio –. Gli artisti invitati al<br />

festival sono in alcuni casi già impegnati in forme<br />

d’arte meno diffuse e conosciute, e comunque<br />

sensibili ai percorsi creativi orientati alla sperimentazione<br />

di nuovi linguaggi. La maggior parte sono<br />

selezionati in altri festival del network internazionale<br />

CQD, e dalle professionalità emergenti nel<br />

mondo della danza sul territorio italiano e genovese.<br />

Idealmente, vogliamo favorire lo scambio tra<br />

diverse esperienze artistiche, provenienti da luoghi<br />

e culture differenti, e la nascita di nuove forme di<br />

contaminazione e cooperazione culturale e artistica».<br />

Nell’anteprima a Palazzo Ducale vi è stata la<br />

presentazione del progetto europeo Least Common<br />

Multiple e della rivista Dancing Cities, la mostra<br />

fotografica dal titolo Sei, più happening &<br />

installazione di Elena Cavallo. Lo stesso Palazzo Ducale<br />

ha visto le perfomance di Andrea Gallo Rosso<br />

in Occhi, Claudia Caldarano in Dialogo Tonie,<br />

Chiara Frigo in Suite-hope, Cristiano Fabbri in Affetti<br />

e il taiwanese Shang-Chi Sun in Traverse. Nel<br />

Parco Villa Duchessa di Galliera a Voltri la creazione<br />

ideata nell’ambito del progetto di scambio internazionale<br />

“Dance Channels” dal titolo Temporary<br />

maps, che ha visto la partecipazione di coreografi<br />

e danzatori inglesi, spagnoli e italiani e ha affrontato<br />

il tema del passaggio del tempo legandolo ad<br />

una visione personale e straniata della città: una<br />

mappa temporanea in cui sogni e ricordi personali<br />

ridisegnano il paesaggio urbano trasformando tutti<br />

noi in surreali turisti. La settecentesca Villa Bombrini<br />

a Cornigliano, situata nell’area ponente di Genova,<br />

ha fatto da teatro al sorprendente pas de<br />

deux tra un danzatore e una scavatrice Transports<br />

Exceptionnels, presentato dalla Compagnia francese<br />

Beau Geste che, dopo seicento repliche della<br />

sua performance, riesce a incantare gli astanti,<br />

avanti alla leggerezza e la potenza del gesto del<br />

danzatore e della “sua compagna”: la scavatrice si<br />

libera dalla sua veste simbolica propria della società<br />

contemporanea, scavalcando la pretesa di mostrarsi<br />

secondo l’obiettivo di superare l’idea tradizionale<br />

secondo cui l’opera d’arte occupa un livello<br />

di realtà sovratemporale e trascendente propria<br />

degli artisti dell’arte povera. Essa danza. Ed è attraverso<br />

l’atto del danzare, muovendosi nello spazio,<br />

costruendo lineari geometrie e vorticosi<br />

avvitamenti, che conquista portandoci in una realtà<br />

fantastica e mostrando, nell’incontro con il<br />

danzatore, la sua “anima” fragile chiusa in un<br />

corpo di macchina. E ancora le performance di Cristiano<br />

Fabbri/Koinégenova, dei Tecnologia Filosofica,<br />

di Andrea Gallo Rosso e Nicola Marrapodi,<br />

degli spagnoli Senza Tempo e, soprattutto, della<br />

Compagnia Ubidanza di Aline Nari.<br />

Per quest’ultima la scalinata di Villa Bombrini è<br />

stato il terreno dei giochi coreografici di Principesse<br />

(on stairs). Nuova creazione in divenire della coreografa<br />

Aline Nari, Principesse (in versione urbana<br />

per solo due interpreti) è altresì una tappa del progetto<br />

Stars on stairs che sarà presentato nel quadro<br />

di Métamorphoses, evento ideato da Lieux Public<br />

– Centre National de Création nell’ambito di Marseille-Provence<br />

2013, Capitale Europea della Cultura.<br />

“Principesse” sono le giovani donne di oggi,<br />

sognatrici disilluse e combattive che cadono, si rialzano,<br />

hanno il coraggio di nuovi sogni. Aline Nari<br />

è coreografa, danzatrice e studiosa di letteratura e<br />

teatro. Di formazione classica e contemporanea inizia<br />

l’attività professionale nel 1993 e lavora a lungo<br />

nella Compagnia Sosta Palmizi danzando sia con<br />

Raffaella Giordano sia con Giorgio Rossi. Debutta<br />

come coreografa nel 2000 con Danze minute e da<br />

allora crea diversi spettacoli e fonda con Davide<br />

Frangioni l’Associazione UBIdanza. Il nome unisce<br />

il latino ubi (congiunzione temporale o avverbio di<br />

stato in luogo) alla parola danza ad indicare che<br />

“danza” è per noi un concetto aperto (dove/<br />

quando), una sfida da accettare di fronte ad un panorama<br />

culturale e ad esigenze individuali sempre<br />

mutevoli. UBIdanza/Nari-Frangioni si indirizza verso<br />

la ricerca di un linguaggio attento al dialogo con la<br />

scena contemporanea, in cui la danza sia libera di<br />

contaminarsi con altri codici e di aprirsi alla relazione<br />

con l’altro, confrontandosi con l’esperienza di<br />

artisti di diversa provenienza geografica e culturale.<br />

Il movimento delle Principesse – Giselda Ranieri e<br />

Guendalina Di Marco – è ‘corposo’, rotondo, attento<br />

e conciso (visibile è il lavoro della coreografa<br />

Nella foto in alto: Transports<br />

Exceptionnels, Compagnie<br />

Beau Geste, Villa Bombrini<br />

Genova (ph © Marco Pezzati)<br />

Sopra: Attorno al Cuore<br />

di Cristiano<br />

Fabbri-Koinègenova<br />

Villa Bombrini, Genova<br />

(ph © Marco Pezzati)<br />

Aline Nari, Davide Frangioni<br />

Compagnia UBIdanza<br />

(ph © M. Mirabella)<br />

nel lavoro di sottrazione del superfluo) e fortemente<br />

lirico. Per “corposo” intendo vissuto, nella<br />

maniera in cui Rudolf Laban parlava di movimento<br />

“fatto”: «Il movimento – scriveva il danzatore ungherese<br />

nel suo L’arte del movimento del 1950 –<br />

ha una qualità che non è il suo aspetto utilitaristico<br />

e visibile, ma la sua sensazione. Si devono fare i<br />

movimenti, così come si devono ascoltare i suoni,<br />

per apprezzare pienamente il loro potere e il loro significato».<br />

La traccia poetica di “Principesse” accompagna<br />

la performance, rivelandosi via via e<br />

mostrandosi nella sua lettura dolcemente femminea.<br />

La scalinata di Villa Bombrini diventa ulteriore<br />

protagonista dell’esibizione, là dove le danzatrici<br />

cadono, rotolano, si rialzano, salgono, corrono,<br />

scherzano: snocciolano la loro storia in maniera<br />

leggera e divertente, caricando lo spazio attraverso<br />

i loro gesti, dialogando tra di loro e con il pubblico<br />

a cui è concesso il miglior luogo di osservazione.<br />

«Per leggere una città basta cercare le sue scale –<br />

spiega la coreografa Aline Nari –. Sedetevi in fondo<br />

ad una scalinata, guardate semplicemente i passanti<br />

che scendono e avrete già uno spettacolo coreografico<br />

in divenire». Principesse sarà in scena il<br />

14 ottobre a Venaria Reale (To) all’interno del progetto<br />

Stars on stairs di Jany Jeremy.<br />

Per informazioni su spettacoli, stage e laboratori<br />

http://www.ubidanza.com.<br />

La danza<br />

irlandese<br />

fra tradizione<br />

e contemporaneità<br />

Dalla “Ceili dancing”<br />

che si incontra nei pub<br />

ai ritmati Festival che animano<br />

un pomeriggio d’estate<br />

di ROBERTA BIGNARDI<br />

Forse è attraente per il suo essere così ospitale e – al tempo<br />

stesso – selvaggia, per quei valori così legati alla tradizione<br />

ma sorprendentemente aperti all’incontro con il “nuovo” e<br />

allo scambio reciproco. La terra d’Irlanda è bella! Il suo essere<br />

così misteriosa, tutta avvolta da un clima rigido che le ha consentito<br />

nella storia di preservare la sua identità, gli immensi spazi e le tradizioni,<br />

la rende ancora più affascinante. Nel mio soggiorno a Dublino<br />

e nel viaggio per la verdeggiante isola, ho avuto l’impressione per qualche<br />

istante che il tempo si fosse fermato mentre tutt’intorno, dal Donegal<br />

a Cork, da Galway alle Isole Aran, risuonavano i ritmi frenetici<br />

che accompagnano una danza corposa e vissuta, specchio teatrale della<br />

comunità, strumento di ribellione. Una sensazione che ti avvolge rapidamente<br />

quando entri nei pub di una qualsiasi cittadina e quando senti<br />

suonare il fiddle per le strade di Dublino: non si riesce a restare indifferenti<br />

e, mentre sorseggi una “spumosa” Guinnes, vieni rapito da un<br />

vortice contagioso. La danza, allora, diventa una sorta di luogo di scambio<br />

sociale, un momento di pura gioia dove potersi abbandonare. Portavoce<br />

di una tradizione secolare, la danza in Irlanda ha da sempre<br />

avuto un posto di primo ordine. I balli più famosi – come le Ceili dancing,<br />

Set dancing e Step dancing – si diffusero grazie all’immigrazione<br />

(che si ebbe soprattutto a metà Ottocento a causa della nota carestia<br />

delle patate) soprattutto in U.K., America, Canada, Australia e Nuova<br />

Zelanda. Oggi la danza tradizionale incontra quella moderna e contemporanea<br />

ritagliando, così, uno spazio sempre più importante all’interno<br />

dei numerosi festival che animano la “sorridente” estate<br />

irlandese: un’importante apertura, infatti, si è avuta da parte del Governo<br />

e del pubblico verso i suoi aspetti contemporanei, come strumento<br />

per indagare la realtà, specchio di riflessione per comprendere<br />

noi stessi. Un esempio è il “Kilkenny Festival”, che si è tenuto dal 10 al<br />

19 agosto nella graziosa cittadina a sud-est dell’Irlanda, con la pièce<br />

Swimming with my mother, vincitrice del “Fringe First Awards” all’Edimburgh<br />

Festival: un duetto tra l’acclamato coreografo irlandese<br />

David Bolger e sua mamma Madge di 78 anni, ex insegnante di nuoto.<br />

Nella performance dai tratti lievi e pacati, pervasa da una profonda dolcezza,<br />

il coreografo studia, riflette, confronta nello spazio teatrale,<br />

quella qualità del movimento, reso in precedenza, dalla pressione dell’acqua.<br />

Altro importante esempio è di sicuro il “Fringe Festival di Du-<br />

DANZA /1 Al Teatro Comunale da ottobre<br />

Ferrara<br />

una bella<br />

stagione di danza<br />

Uno sguardo critico<br />

sul momento<br />

ma anche alla tradizione<br />

danza<br />

Ogni fase del movimento […], rivela un aspetto della nostra vita interiore (R. Laban)<br />

blino”, in calendario lo scorso settembre, da sempre efficiente per la sua<br />

organizzazione, il programma artistico e per il livello tecnico: artisti irlandesi<br />

di livello internazionale hanno “occupato” tutta la città mostrando<br />

il lato più “creativo-contemporaneo” dell’arte irlandese, da<br />

Castle Street al Green Street Court House, da Temple Bar alla St. Patrick’s<br />

Cathedral con performances di teatro, danza e musica contemporanea.<br />

Allo slogan Occupy your imagination il pubblico si è riversato<br />

nelle strade, seguendo gli artisti nei parchi, vedendoli esibirsi nei teatri<br />

e nei luoghi “insoliti”. Tra tutte ricordiamo alcune rappresentazioni<br />

quali: An Outside Understanding del gruppo Croi Glan Integrated<br />

Dance, dove due danzatori, uno con una disabilità e l’altro senza, esplorano<br />

le loro lotte interne in un emozionante momento di danza; Codes<br />

dei Midaspaces con una breath-taking fusion digitale tra la danza, la<br />

musica e le proiezioni luminose; lo struggevole e sofisticato Dogs con<br />

Emma Martin Dance; il viscerale teatro-danza di Drenched con l’irlandese<br />

Luke Murphy; il magico ed emozionante Constellations dei Paper<br />

Dolls; Wildflowers di Arcane Collective dove il danzatore Oguri e il percussionista<br />

Adam Rudolph si sono esibiti in una serata di improvvisazione<br />

di musica e danza.<br />

E se la Dance House, in Foley Street, è di sicuro il tempio della danza<br />

contemporanea, dove trovare seminari, corsi, eventi e residenze per gli<br />

artisti, il “Dublin Dance Festival” è il più importante evento tersicoreo<br />

nel calendario artistico irlandese. Ogni anno a maggio, il Festival unisce<br />

Teatro Comunale di Ferrara presenta i grandi<br />

nomi, le nuove leve e le firme più innovative<br />

della coreografia internazionale. La stagione si<br />

aprirà proprio con il Festival di Danza Contemporanea<br />

martedì 9 ottobre: la Bill T. Jones / Arnie<br />

Zane Dance Company ritorna nella città estense<br />

con la ricostruzione di tre lavori di Bill T. Jones e<br />

Arnie Zane che hanno portato il gruppo al successo<br />

internazionale e rinnovato profondamente<br />

la coreografia americana negli anni ‘80. Una riflessione<br />

sul passato arriva anche con Duetto,<br />

pièce che Virgilio Sieni e Alessandro Certini realizzarono<br />

nel 1989 per la Compagnia Parco Butterfly,<br />

presentata a Ferrara il 6 dicembre<br />

nell’ambito del progetto RIC.CI - Reconstruction<br />

Italian Contemporary Choreography. In prima<br />

nazionale anche la proposta della Compagnie La<br />

Baraka / Ballet Contemporain d’Alger del coreografo<br />

franco-algerino Abou Lagraa, che il 23 ottobre<br />

presenterà Univers… l’Afrique. Il Festival di<br />

danza contemporanea sarà quest’anno particolarmente<br />

attento a quella italiana con l’Aterballetto,<br />

nel suo Alice nel paese delle meraviglie (3<br />

novembre), l’Accademia Teatro alla Scala (17 novembre)<br />

e la settima edizione rassegna “Fuoristrada”,<br />

promossa dalla rete Anticorpi. E ancora<br />

la tradizione classica con il Balletto di San Pietroburgo<br />

nello Schiaccianoci (9 gennaio), al passionale<br />

tango di Miguel Angel Zotto e la sua<br />

compagnia (16 febbraio) per chiudere con la<br />

Compagnia internazionale Ailey II (16 aprile), costituita<br />

dallo stesso Alvin Ailey nel 1974 e da allora<br />

affermatasi come una delle più rappresentative<br />

compagnie degli Stati Uniti. Per informazioni:<br />

http://www.teatrocomunaleferrara.it/.<br />

di GABRIELE ESPO<strong>SI</strong>TO<br />

Nella foto: Ailey II La compagnia Ailey II<br />

(ph. ©Eduardo Patino)<br />

di BRUNO DE MARCO<br />

All that we can do<br />

in punta di piedi<br />

fino a novembre<br />

Al via la 27ª edizione<br />

del Romaeuropa<br />

Festival 2012<br />

insieme danzatori e coreografi da ogni angolo del mondo per far incontrare<br />

la vibrante danza contemporanea e il pubblico irlandese.<br />

Dall’11 al 26 maggio scorsi si è svolta l’ottava edizione, che è stata scandita<br />

da varie aree, quali “Opening Performances”, “Family Spectacular”,<br />

“Festival Performances”, “Off Stage-On Street”, “Dance on Film”,<br />

“Master Classes” e “Meet the Artists”. La precedente edizione ha<br />

aperto con due performance coinvolgenti: Body and Forgetting (in<br />

prima mondiale) di Liz Roche Company e The Wake di Sarah Dowling.<br />

Ospite d’onore del Dublin Dance Festival è stata la Trisha Brown Dance<br />

Company con un mix di brani storici e famosi della coreografa americana.<br />

Dopo nove anni dalla sua nascita, nell’agosto del 2011, Julia Carruthers<br />

ha preso il ruolo di direttore artistico, dopo aver trascorso<br />

maggior parte della sua carriera in Inghilterra. Nei prossimi anni il DDF<br />

continuerà a partecipare ai due network, E-Motional Bodies & Cities e<br />

Aerowaves. Assieme alle loro consolidate partnerships di casa, questi<br />

due network rappresentano un grande supporto per i danzatori e i coreografi<br />

in Irlanda. Il fine è quello di provocare e far nascere nuove risposte<br />

nei confronti della danza contemporanea. La mission del DDF è<br />

quella di essere presente in un panorama di danza internazionale e promuovere<br />

il meglio della coreografia contemporanea e dei suoi artisti, sviluppando<br />

un pubblico sempre più importante in Irlanda. «Noi crediamo<br />

– mi conferma la direttrice artistica Julia Carruthers – che l’Irlanda possa<br />

essere un internazionale punto di vista per i cambiamenti artistici e la<br />

loro collaborazione. Noi abbiamo un ruolo preciso che è quello di sviluppare<br />

e supportare la coreografia irlandese con strade pratiche. Attraverso<br />

il lavoro del Festival, aspiriamo a creare un incremento di<br />

opportunità per il pubblico. Le relazioni internazionali, consuete e miracolose<br />

della danza ha raccolto insieme artisti provenienti da 17 Paesi<br />

per mostrare al pubblico di Dublino cosa sta succedendo insieme sia a<br />

casa loro sia nel panorama internazionale».<br />

Il nuovo programma sarà disponibile da Natale su http://www.dublindancefestival.ie/index.php<br />

Nella foto: Trisha Brown Dance Company in Set and Reset<br />

Dublin Festival 2012 (ph. © Julieta Cervantes)<br />

Constellations, Company- PaperDolls<br />

subjects Karen Anderson, Fringe Dublin Festival 2012<br />

(ph© Malcolm McGettigan)<br />

DANZA /2 In corso a Roma la kermesse internazionale<br />

utto quello che noi possiamo fare» è<br />

«Tl’invito che il “Romaeuropa Festival”<br />

rivolge quest’anno al suo pubblico, sensibile<br />

all’urgenza della creazione artistica protagonista<br />

di una società che cambia: 9<br />

prime italiane, 1 prima europea e 5 prime<br />

assolute in programma fino al 25 novembre<br />

in otto suggestivi luoghi della città (Opificio<br />

Telecom Italia, Teatro Argentina,<br />

Palladium Università Roma Tre, Teatro Eliseo,<br />

Auditorium Conciliazione, Teatro Vascello,<br />

Auditorium Parco della Musica,<br />

Brancaleone).<br />

Un programma che include da Akram<br />

Khan, che lo scorso 26 settembre ha presentato<br />

al Teatro Argentina il suo nuovo<br />

spettacolo Desh allo storico ospite del Festival,<br />

Bill T. Jones, alle due donne coreografe<br />

che affrontano i riti e le smanie della<br />

vita quotidiana, Sasha Waltz e Constanza<br />

Macras. E ancora: la più importante compagnia<br />

di danza israeliana, Batsheva Dance<br />

Company diretta dal coreografo Ohad Naharin,<br />

l’italiano Virgilio Sieni che ha scelto i<br />

palcoscenici di Romaeuropa per la prima<br />

romana del suo ultimo lavoro, De Anima,<br />

mentre dalla Spagna arrivano per la prima<br />

volta in Italia le nuove proposte di Daniel<br />

Abreu, Animal e Muriel Romero e Pablo Palacio<br />

con Stocos.<br />

Infine, interviste agli artisti, estratti video,<br />

approfondimenti e pillole dell’archivio storico<br />

saranno disponibili sul nuovo canale<br />

Romaeuropa WEB tv da settembre su romaeuropa.net.<br />

Nella foto: Bill T. Jones/Arnie<br />

Zane Dance Company<br />

in Story / Time<br />

(ph© byPaul B.Goode)<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 9


arte moderna<br />

Ma, dopo Rembrandt e Frans Hals, questo van der Meer è uno dei primi maestri di tutta la scuola olandese? (T. Thoré-Bürger)<br />

Una finestra<br />

sui cortili<br />

dell’Olanda<br />

In scena alle Scuderie<br />

del Quirinale la quotidianità<br />

della vita interpretata<br />

dalla pittura al tempo di Vermeer<br />

di ANNA SEMPERLOTTI<br />

romano celebrerà i fasti della grande pittura<br />

olandese del Seicento inaugurando la stagione espositiva<br />

delle Scuderie del Quirinale con la mostra “Vermeer.<br />

Il secolo d’oro dell’arte olandese” a cura di Arthur<br />

L’autunno<br />

K. Wheelock (National Gallery di Washington), Walter<br />

Liedtke (Metropolitan Museum di New York) e Sandrina Bandera (Soprintendente<br />

di Milano). Fino al 20 gennaio 2013 i grandi artefici della<br />

fioritura artistica di Delft accompagneranno il visitatore nelle strade,<br />

nei cortili, nelle perdute consuetudini quotidiane della cittadina dell’Olanda<br />

meridionale, fucina di creatività a cavallo tra la prima e la seconda<br />

metà del XVII secolo. Di questa pittura di genere, intima,<br />

costellata da discrete presenze umane è maestro Johannes Vermeer<br />

(1632-1675), di cui per la prima volta in Italia sono esposte insieme<br />

otto delle tele che fanno parte del suo ristretto corpus di opere certe,<br />

in prestito dalle più prestigiose collezioni d’arte internazionali. La sua<br />

arte è rimasta nell’ombra finché, ai primi del Novecento, un estimatore<br />

d’eccezione come Marcel Proust fa di lui il pittore prediletto di<br />

Swann, il protagonista della Recherche. Le vicende che riguardano la<br />

sua attività artistica restano fino ad oggi piuttosto frammentarie e incerte.<br />

Il padre, documentato come mercante d’arte, organizza aste<br />

Caravaggio torna a casa<br />

Messina mostra<br />

la Resurrezione<br />

di Lazzaro dopo<br />

il restauro romano<br />

Dopo sette mesi di cura, presso l’ISCR del Ministero per i Beni Culturali,<br />

il Museo “Maria Accascina” di Messina espone, fino a novembre,<br />

uno dei più importanti dipinti eseguiti in Sicilia dal Caravaggio,<br />

La Resurrezione di Lazzaro. In mostra sono presenti pannelli didattici<br />

che illustrano le fasi del restauro, realizzato grazie all’Associazione Culturale<br />

Metamorfosi che ne ha curato l’esposizione a Roma presso Palazzo<br />

Braschi. La tela è annunciata in un contratto del 6 dicembre 1608<br />

nell’intenzione del mercante Giovanni Battista de’ Lazzari di costruire<br />

a sue spese la cappella maggiore della chiesa dei Padri Crociferi e decorarla<br />

con un quadro. Doveva effigiare Maria col Battista e altri santi,<br />

ma nell’atto di consegna (10 luglio 1609) è indicata come di mano di<br />

“fra Michelangelo Caravagio militis Gerosolimitanus”. Rimase sull’altare<br />

fino al 1866, poi approdò nel Museo Civico di Messina nel 1879<br />

e da lì, dopo il terremoto del 1908, nella sede attuale. L’esecuzione<br />

della tela segue a stretto giro Il Seppellimento di santa Lucia di Siracusa.<br />

Dal gesto del Cristo indicante Lazzaro per richiamarlo alla vita, ripreso<br />

dalla Vocazione di san Matteo della chiesa romana di San Luigi dei<br />

Francesi, si espande una luce, assolutamente fisica, che coincide con<br />

quella soprannaturale, la stessa che trascorre dalle teste dei gruppi di<br />

figure presenti fino al corpo riportato alla vita di Lazzaro. Caravaggio<br />

ha voluto enfatizzare fino all’estremo il momento decisivo del fluido<br />

energetico che passa dalla mano di Gesù a quella di Lazzaro.<br />

(l.m.)<br />

Nella foto: Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro (part.), 1609<br />

olio su tela, Messina, Museo Regionale<br />

10 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

nella locanda di cui è proprietario e, benché non commerci in opere<br />

di particolare pregio, intesse rapporti con artisti ed estimatori, favorendo<br />

l’inclinazione di Vermeer alla pittura e il continuo aggiornamento<br />

sui fermenti artistici della città di Delft. Le prime prove su tela,<br />

per le quali tuttavia non c’è unanimità d’attribuzione, sono ben lontane<br />

dal Vermeer ormai noto al grande pubblico, il giovane pittore<br />

mostra infatti una predilezione per i soggetti sacri e mitologici utilizzando<br />

una pennellata e uno stile compositivo tipici della pittura italiana,<br />

conosciuta forse nell’ambito del florido mercato d’arte di<br />

Amsterdam, dove Arthur Wheelock ritiene si sia svolta, almeno in<br />

parte, la sua formazione. Per la Santa Prassede (1655), della collezione<br />

Piasecka Johnson, presente in mostra, ha addirittura un preciso<br />

modello di riferimento nel dipinto, di medesimo soggetto, realizzato<br />

dall’italiano Felice Ficherelli (1605–1660). Nel giro di qualche anno, la<br />

svolta stilistica è netta: Vermeer si apre al nuovo e dipinge La stradina<br />

(1657), del Rijksmuseum di Amsterdam, una sorta di quadro nel quadro<br />

i cui piani di rappresentazione sono molteplici. Qui l’artista comincia<br />

a curiosare nei cortili interni, dietro le finestre, in silenzio per non<br />

turbare lo svolgimento delle mansioni domestiche. Nessuna sbavatura<br />

aneddotica o divertente siparietto rendono effimero l’attimo furtivo<br />

fermato dal pittore sulle tele, la luce calda del mutevole cielo olandese<br />

unifica gli elementi armonizzando quella “grana burrosa” dei colori<br />

elogiata due secoli più tardi dai fratelli Goncourt. Oltre alle opere del<br />

maestro olandese, si ammirano una cinquantina di dipinti di suoi contemporanei,<br />

come Pieter de Hooch (1629-1684), nativo di Rotterdam<br />

e trasferitosi a Delft nel 1654, con il quale Vermeer si muove in parallelo.<br />

Autore di celebri interni organizzati in successione prospettica,<br />

come ne La camera da letto (1660), fa delle costruzioni spaziali il suo<br />

interesse predominante, le figure che le albergano non sono curate<br />

nelle fisionomie né tradiscono sfumature emotive. Proprio nella definizione<br />

della componente psicologica degli effigiati si distingue invece<br />

la pittura di Gerard ter Borch (1617-1681), non è certo il lussuoso soggiorno<br />

con caminetto che interessa lo spettatore de La curiosità (1660),<br />

bensì lo spavaldo salto della ragazzina sul predellino per spiare il contenuto<br />

di una lettera. Si annoverano anche opere di Carel Fabritius<br />

(1622-1654), Nicolaes Maes (1634-1693), e ancora Gerrit Dou (1613-<br />

1675), patriarca della Scuola dei Fijnschilders, Frans van Mieris (1635-<br />

1681), Gabriel Metsu (1629-1667), Jacob Ochtervelt (1634-1682).<br />

Mostra dossier<br />

Nella foto in alto: Johannes Vermeer, La stradina di Delft<br />

1657, olio su tela, Amsterdam, Rijksmuseum<br />

Il Canton Ticino<br />

omaggia<br />

il pittore ticinese<br />

Pier Francesco Mola<br />

La Pinacoteca Züst di Rancate nel Canton Ticino offre al visitatore,<br />

fino al gennaio 2013, un omaggio al pittore ticinese Pier Francesco<br />

Mola (1612-1666), artista che ha inciso profondamente sulle sorti della<br />

pittura romana alla metà del Seicento. Nato a Coldrerio (Mendrisiotto),<br />

Mola raggiunge nel 1616 il padre Giovan Battista, architetto della camera<br />

apostolica, al quale rimane legato fino al 1633. Non abbiamo certezze<br />

sulla sua formazione, tranne i racconti degli scrittori d’arte Giovan<br />

Battista Passeri e Lione Pascoli, i quali ci informano del suo apprendistato<br />

presso le botteghe di Prospero Orsi e del Cavalier d’Arpino (c.1625-<br />

1626), lavorando con Francesco Albani e viaggiando tra 1633 e 1649<br />

fra Veneto, Lombardia ed Emilia. Rientrando a Roma, (c.1647), egli ha<br />

avuto come committenti importanti casate come i Pamphili, Chigi, Omodei<br />

e Costaguti. Nel quattrocentesimo anniversario della nascita, la mostra,<br />

curata da Laura Damiani Cabrini, presenta tele e disegni che<br />

dialogano con le opere permanenti nelle sedi dello Stato del Cantone Ticino<br />

e nel Museo Cantonale di Lugano. A sancire la rivalutazione critica<br />

del Mola hanno contribuito gli studi di Cocke (1972), della Sutherland<br />

Harris (1974) e del Genty (1979), sfociati nell’importante mostra del<br />

1989 al Museo di Lugano, oltre alle acquisizioni da parte del Cantone<br />

Ticino di opere del Mola come Suonatore di viola da gamba, nel 1977,<br />

e nel 1984 della Sfida tra Apollo e Marsia, mentre il Museo Cantonale<br />

possiede oggi il San Girolamo in meditazione, capolavoro della maturità.<br />

(l.m.)<br />

Nella foto: Pier Francesco Mola, Giovane suonatore di viola da gamba<br />

(part.), 1635-1666, olio su tela, Lugano, Museo Cantonale d’Arte<br />

Francesco Guardi tra “capricci” e “visioni”<br />

Venezia svela<br />

il rivale del Canaletto<br />

Nel terzo centenario della nascita di Francesco Guardi<br />

(1712-1793), il Museo Correr di Venezia dedica all’ultimo<br />

grande vedutista del Settecento una mostra<br />

monografica, dal 29 settembre 2012 al 6 gennaio 2013,<br />

con lo scopo di illustrare la complessa produzione artistica<br />

del maestro lagunare. La mostra, con ordinamento<br />

sia cronologico sia tematico, si sviluppa attraverso selezionati<br />

dipinti e disegni, all’interno di un corpus assai<br />

vasto ed eterogeneo che annovera le magnifiche vedute<br />

di Venezia e i fantasiosi capricci della maturità, ma<br />

soprattutto presenta al grande pubblico le opere giovanili<br />

di figura e le scene di interni. Queste ultime, come<br />

il Ridotto e il Parlatorio delle monache di San Zaccaria<br />

ora a Ca’ Rezzonico, si ispirano alla pittura di costume di<br />

cui Pietro Longhi (1702-1785) è il massimo esponente a<br />

Venezia. Francesco impara il mestiere stando a contatto<br />

con il fratello Gianantonio (1699-1760) quando quest’ultimo<br />

eredita la bottega alla morte del padre Domenico<br />

(1678-1716). Francesco inizia dipingendo figure di<br />

sotto in su, sospese con leggerezza e composizioni dal<br />

tocco multiplo, tutte macchie luminose di una sorprendente<br />

intensità; le vedute giovanili e i paesaggi di fantasia,<br />

i “capricci”, riecheggiano le composizioni di<br />

Canaletto (1697-1768) e Michele Marieschi (1710-1743).<br />

La stesura pittorica è fluida e controllata, ancora lontana<br />

da quella frizzante e stenografica che lo renderà<br />

celebre, ad esempio nei Grandi Paesaggi dell’Ermitage<br />

dove l’elemento naturale è trasfigurato da vibranti e irreali<br />

effetti luministici, mentre veri e propri capolavori<br />

tra i “capricci” sono i due grandi Paesaggi fantastici del<br />

Metropolitan Museum di New York. Queste tele sintetizzano<br />

tutti i caratteri dell’artista: le sintesi nervose<br />

della scrittura, i vapori d’ombra e di luce che si alternano<br />

sulle rovine, i paesaggi, le figurette, una poesia di visionario,<br />

fra le più alte tra i pittori vedutisti coevi. Il<br />

segno veloce, che è stato proprio del Magnasco, è applicato<br />

con gravità alle vedute e al paesaggio lagunare<br />

con le sue case popolari, con le immagini delle cose consunte<br />

dall’usura degli elementi, immagini di accento<br />

preromantico, nostalgico, completamente estraneo al<br />

Canaletto.<br />

Luca Mansueto<br />

Nella foto: F. Guardi, Il Bucintoro a San Nicolò del Lido<br />

(part.) 1775-1778, olio su tela, Parigi, Louvre<br />

I tesori della Banca<br />

A Prato la Popolare<br />

di Vicenza<br />

apre la sua<br />

collezione d’arte<br />

Il Palazzo degli Alberti, già del casato Magini, oggi sede della Banca<br />

Popolare di Vicenza, ha concluso l’opera di restyling per armonizzare<br />

le esigenze operative con quelle museali. La Galleria ospita, oltre alle<br />

opere pratesi, anche un nutrito nucleo di tele appartenenti alla Scuola<br />

fiorentina del Seicento, annoverando Francesco Furini, Carlo Dolci e<br />

Volterrano. La visita al Palazzo merita anche solo per la presenza di ben<br />

due capolavori assoluti dell’arte italiana: il dipinto di Giovanni Bellini<br />

raffigurante Il Crocifisso con cimitero ebraico e la superba tela della Coronazione<br />

di spine di Caravaggio. Quest’ultima, grazie a recenti indagini,<br />

ha avuto la piena conferma dell’autografia del Merisi il quale, in<br />

una sua lettera autografa, informa di averla dipinta per Massimo Massimi<br />

a Roma prima del 1605. «Caravaggio – afferma Mina Gregori –<br />

volle impersonare nel Cristo l’umiliazione connaturata alla condizione<br />

umana in un sostanziale pessimismo enunciato con stoico distacco».<br />

Il dipinto di Bellini, uno dei massimi pittori della pittura veneta tra ‘400<br />

e ‘500, raffigura il Cristo immerso nell’assolata campagna veneta sul<br />

cui fondo si ravvisa la torre di piazza e la facciata del Duomo di Vicenza.<br />

Antonio Paolucci annovera quest’opera «tra i venti quadri più<br />

belli e più commoventi del mondo, un capolavoro di sublime poesia».<br />

Dalla visita non si potrà eludere la Madonna col bambino di Filippo<br />

Lippi dalla quale si staglia grazie ai delicati toni del rosa e avorio degli<br />

incarnati, oltre che per il blu oltremarino della veste.<br />

(l.m.)<br />

Nella foto: Caravaggio, Coronazione di Spine (part.), c.1602<br />

olio su tela, Prato, Palazzo Alberti<br />

Il pubblico è protagonista<br />

alla Strozzina di Firenze<br />

NESSUNO <strong>SI</strong> AZZARDA A MANGIARE IN UN MUSEO,<br />

qualcuno prova ancora a toccare le<br />

tele. Ma oltre alle norme del vivere civile,<br />

quali sono le regole per guardare un’esposizione<br />

d’arte contemporanea? Il Dipartimento<br />

Educazione e Mediazione CCC<br />

Strozzina prova a spiegarlo attraverso il<br />

progetto “Visitatori emancipati”, un percorso<br />

sperimentale in mostra per adulti che<br />

invita lo spettatore a essere maggiormente<br />

consapevole di ciò che osserva, per diventare<br />

fruitore attivo. Reverenza e scetticismo<br />

verso le opere vengono accantonati a favore<br />

di una sana e auspicabile curiosità e<br />

voglia di partecipare. I mediatori del Centro<br />

di Cultura Contemporanea, aggiornati sui<br />

più recenti studi sull’educazione museale,<br />

sono impegnati nella progettazione di percorsi<br />

dialogici, in cui si abbandona la tradizionale<br />

visita frontale a vantaggio di un<br />

confronto con il pubblico che porta tra le<br />

sale espositive il suo bagaglio culturale,<br />

come un valore aggiunto. Oggi la didattica<br />

non è più dedicata solo ai bambini: tra i<br />

compiti del mediatore c’è la comprensione<br />

delle peculiarità dei visitatori (età, competenze,<br />

ruolo sociale...). Al fine di garantire<br />

un’esperienza che non si riduca a originale<br />

“passeggiata culturale”, vengono organizzati<br />

quattro appuntamenti laboratoriali, a<br />

cadenza mensile, per avvicinarsi a questa<br />

delicata questione in maniera sperimentale,<br />

proponendo diversi momenti di riflessione<br />

sul ruolo del pubblico nel contesto di una<br />

mostra di arte contemporanea. Giovedì 25<br />

ottobre il primo appuntamento. Si prosegue<br />

il 29 novembre, il 20 dicembre e il <strong>24</strong><br />

gennaio 2013. Tutti gli appuntamenti<br />

hanno inizio alle 21,00. L’attività è gratuita<br />

ed è necessaria la prenotazione: didatticastrozzina@palazzostrozzi.org<br />

Claudia Gennari<br />

arte istituzioni<br />

Un nuovo edonismo, questa volta su basi di massa, pervade la città contemporanea (G. Amendola)<br />

Al teatro fiorentino Obihall “Il palcoscenico verticale”<br />

<strong>SI</strong> È <strong>TENUTA</strong> <strong>D<strong>AL</strong></strong> <strong>24</strong> <strong>LUGLIO</strong> <strong>AL</strong> 9 <strong>SETTEMBRE</strong> <strong>PRESSO</strong> <strong>IL</strong> TEATRO FIORENTINO OBIH<strong>AL</strong>L la mostra “Il<br />

palcoscenico verticale”, nata intorno all’idea di sipario, non più semplice diaframma<br />

fra pubblico ed espressione ma oggetto artistico che si intreccia con musica,<br />

video e fotografia, ribadendo la contaminazione tanto cara ai linguaggi della contemporaneità.<br />

Quattro artisti italiani quali Aldo Mondino, Carla Accardi, Getulio Alviani<br />

e Mimmo Paladino hanno reinterpretato sulla scia italiana dei sipari dipinti, la<br />

loro idea di sipario, portando alla nascita della collezione di sipari d’artista del Teatro<br />

Obihall. Aldo Mondino con Applausi è stato il primo ad accogliere l’idea nel<br />

2005, due anni più tardi Carla Accardi con Sipario Rossooro, segue nel maggio del<br />

2010 Getulio Alviani con il suo gioco di bianchi e neri Permutabile Negativopositivo<br />

(nella foto) e per finire Mimmo Paladino con Attori, utilizzato il 19 gennaio 2012 per<br />

il concerto della Bandanardò. Curata da Marco Meneguzzo, la mostra ha ospitato<br />

una sezione video allestita in collaborazione con “Lo schermo dell’arte” che illustra<br />

il modo di lavorare dei singoli artisti e il loro rapporto con alcuni musicisti, fra i quali<br />

Franco Battiato, Brian Eno e Lucio Dalla. A completare l’esposizione è stata la galleria<br />

fotografica di ritratti d’artisti contemporanei di Maria Mulas che ha dato il suo<br />

personale contributo ritraendo gli artisti dei sipari in mostra.<br />

Tommaso Capecchi<br />

A Napoli un ciclo di conferenze per sottolineare il valore civile dell’arte<br />

Ai “Martedì” si discute di pittura figurativa, paesaggio e identità nazionale con Settis e Caglioti<br />

Roberto Longhi ha scritto che «ogni italiano dovrebbe<br />

imparar da bambino la storia dell’arte come una lingua<br />

viva, se vuole aver coscienza intera della propria Nazione».<br />

Proprio da questo concetto prende ispirazione<br />

il ciclo di conferenze: “I martedì dell’arte - Lezioni napoletane<br />

sull’altra lingua degli italiani: arte figurativa, paesaggio e<br />

identità nazionale”. Il ciclo di lezioni, tenute da storici dell’arte<br />

come Salvatore Settis e Francesco Caglioti, si concluderà il 27 novembre,<br />

con l’intento di riflettere sul valore civile dell’arte. Gli incontri,<br />

ospitati dal Teatrino di Corte del Palazzo Reale di Napoli,<br />

sono organizzati dalla Fondazione Napoli Novantanove, con il sostegno<br />

dell’ANISA (Associazione Nazionale Insegnanti di Storia dell’Arte)<br />

e l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica. «Nella<br />

tradizione italiana, e prima ancora in quella classica – spiegano gli<br />

organizzatori del progetto –, l’arte figurativa non è mai stata un<br />

Convegni. In “scena”<br />

la Tribuna degli Uffizi<br />

L PRINCIPE DELLA TRIBUNA. Collezionismo, storio-<br />

“Igrafia artistica e immagini della sovranità medicea”<br />

è il titolo del convegno internazionale che dal 29<br />

novembre al 1° dicembre si svolgerà presso il Kunsthistorisches<br />

Institut di Firenze, in cooperazione con Antonio<br />

Natali (Uffizi) e Massimiliano Rossi (Università del<br />

Salento). La recente presentazione del restauro della<br />

Tribuna buontalentiana degli Uffizi, cuore della Galleria,<br />

si colloca all’interno del progetto Nuovi Uffizi e<br />

conclude l’intenso mese che l’ha vista protagonista di<br />

epocali interventi di riallestimento. Gli studiosi che parteciperanno<br />

a questo incontro, grazie alle scoperte documentarie<br />

e a quest’ultimo restauro, intendono<br />

riconsiderare la dimensione celebrativa e architettonica<br />

della Tribuna, la genesi tipologica e la «campionatura<br />

superlativa» (Barocchi) dei dipinti.<br />

l.m.<br />

A Torino si parla<br />

di computer graphic<br />

TREDICE<strong>SI</strong>MA EDIZIONE DEL CONVEGNO INTERNA-<br />

ZION<strong>AL</strong>E DI COMPUTER GRAPHIC,“View Conference”,<br />

manifestazione cresciuta nel corso degli<br />

anni e partita dalla semplice idea di rivolgersi e<br />

aggiornare non solo gli addetti ai lavori sulle applicazioni<br />

del digitale. Coscienti che i media interattivi<br />

non siano più utilizzati unicamente per<br />

la rielaborazione d’immagini fotografiche o delle<br />

animazioni 2D e 3D per film e videogiochi, come<br />

più comunemente si crede. Attraverso la voce<br />

di grandi ospiti internazionali ma anche workshop<br />

e stand espositivi, fra il 16 e il 19 ottobre,<br />

nell’ambito della rassegna TorinoIncontra, presso<br />

gli spazi del Centro Congressi, sarà possibile<br />

scoprire quanto la digitalizzazione investa la nostra<br />

stessa quotidianità.<br />

m.f.<br />

fatto privato, né tanto meno un’evasione nella neutralità morale<br />

dell’estetica: almeno quanto la letteratura, l’arte ha invece strutturato<br />

e rappresentato il pensiero e l’identità civile del nostro Paese.<br />

Chi passeggia nel cuore delle nostre città, avverte che la bellezza<br />

che lo circonda è inseparabile dal senso di cittadinanza, di giustizia<br />

e di vita morale che quasi informano ogni pietra e ogni statua. La<br />

forma dei luoghi è stata anche la forma della comunità civile e la<br />

forma morale dei cittadini. E il discorso sull’arte è sempre stato un<br />

discorso sull’interesse pubblico, non sull’intrattenimento privato:<br />

una altissima linea plurisecolare che è sfociata nella Costituzione,<br />

grazie alla quale la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio<br />

storico e artistico della Nazione». Il compito degli storici dell’arte<br />

deve essere quello di permettere ai cittadini di riappropriarsi del patrimonio<br />

culturale del Paese, riconoscendo in esso una delle specificità<br />

che lo rende unico al mondo e percependolo come parte<br />

&<br />

Perepepè alla Fondazione<br />

Pescheria di Pesaro<br />

FINO <strong>AL</strong> 21 OTTOBRE, PERCOR<strong>SI</strong> TRA MU<strong>SI</strong>CA,<br />

TEATRO, CINEMA, PAROLA, IMMAGINE E CIBO.<br />

Una manifestazione artistica che anima la<br />

città e promuove l’incontro in tutte le sue<br />

varie forme. Un lavoro in divenire, i cui eventi<br />

saranno costruiti e creati direttamente dai<br />

partecipanti. A piazza del Suffragio s’incontreranno,<br />

tutte le sere, cittadini e associazioni<br />

per raccontarsi i modi dell’abitare la città;<br />

mentre per Mitologie Urbane, progetto di residenza<br />

per giovani artisti, gli argomenti verteranno<br />

sui temi del territorio. Diaries 365, è<br />

infine, la mostra fotografica che racconta Pesaro,<br />

attraverso gli scatti realizzati uno al<br />

giorno per un anno. Courtesy ph Federico<br />

Tamburini.<br />

m.l.p.<br />

integrante della propria storia di italiano. Le giovani generazioni<br />

potranno così ricercare nell’arte le radici della propria storia e della<br />

propria civiltà. La Fondazione Napoli Novantanove, costituita da<br />

Maurizio Barracco e Mirella Stampa Barracco nel 1984, con l’intento<br />

di contribuire attivamente alla promozione del patrimonio<br />

culturale attraverso la formazione permanente, anche in questa occasione<br />

ha voluto coinvolgere non solo la cittadinanza che vorrà<br />

partecipare alle conferenze, ma anche gli istituti scolastici nazionali,<br />

attraverso un concorso rivolto alle scuole primarie e secondarie,<br />

chiamate a riflettere sul tema: “L’altra lingua degli italiani”, con<br />

l’obiettivo di formare nei ragazzi una nuova consapevolezza del<br />

Bene Culturale.<br />

Maggiori informazioni sul sito della Fondazione Napoli Novantanove:<br />

www.napolinovantanove.org.<br />

Angela Della Corte<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 11


interviews<br />

Il primo documento è lʼopera (R. Longhi)<br />

In alto e sopra:<br />

Mina Gregori<br />

Mina Gregori è nata a Cremona<br />

nel 19<strong>24</strong>. È professoressa<br />

emerita di Storia dell'Arte<br />

Moderna presso l’Ateneo di<br />

Firenze, già ordinaria dal 1973<br />

al 1999. Direttrice della rivista<br />

“Paragone”, presiede la<br />

Fondazione di Studi di Storia<br />

dell'Arte “Roberto Longhi”.<br />

Specialista della pittura<br />

lombarda tra Sei e Settecento,<br />

compreso Caravaggio del quale<br />

è la massima esperta vivente,<br />

i naturalisti bresciani e la scuola<br />

bergamasca, come Fra’ Galgario<br />

e Moroni. Ha curato oltre cento<br />

mostre tra le quali: “Il Cigoli e il<br />

suo ambiente”, 1959; “Il<br />

Morazzone”, 1962; “Giovanni<br />

da San Giovanni”, 1978;<br />

“Giovan Battista Moroni”, 1979;<br />

“Raffaello a Firenze”, 1984;<br />

“I Campi e la cultura artistica<br />

cremonese nel Cinquecento”,<br />

1985; “Caravaggio e il suo<br />

tempo”, 1985; “Il Seicento<br />

fiorentino”, 1986; “Sofonisba<br />

Anguissola e le sue sorelle”,<br />

1994. Nella sua vasta<br />

bibliografia si segnalano:<br />

Il Cerano, 1964; Giacomo Ceruti,<br />

1982; Uffizi e Pitti. I dipinti delle<br />

Gallerie Fiorentine, 1994, oltre<br />

alle collane “I centri della<br />

pittura lombarda”, 1986-1999;<br />

“Pittura murale in Italia”, 1995-<br />

1998 e “Fasto di corte.<br />

La decorazione murale nelle<br />

residenze dei Medici e dei<br />

Lorena”, 2005-2009. Per i meriti<br />

dei suoi studi ha ricevuto<br />

l’onorificenza di Cavaliere di<br />

Gran Croce Ordine al Merito<br />

della Repubblica Italiana (1996)<br />

e la Legion d'Onore della<br />

Repubblica Francese (1999).<br />

12 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

L’occhio educa la mente<br />

del bravo conoscitore<br />

Memorie degli anni di formazione ed attualità<br />

della storia dell’arte nell’intervista a Mina Gregori<br />

intervista di LUCA MANSUETO<br />

Cremonese di origine ma fiorentina<br />

d’adozione, Mina Gregori è fra le<br />

maggiori studiose di Caravaggio. Allieva<br />

di Roberto Longhi, da lui ha<br />

ereditato l’interesse per il pittore<br />

lombardo, su cui ha organizzato mostre e conferenze,<br />

scritto libri e saggi. Tra le rassegne da lei<br />

curate sul pittore fondamentale è quella del<br />

1991 “Michelangelo Merisi da Caravaggio.<br />

Come nascono i capolavori” in cui ha spiegato il<br />

metodo di lavoro dell’artista. Ha partecipato alle<br />

celebrazioni per i quattrocento anni della morte<br />

del Merisi curando la mostra “Caravaggio e la<br />

modernità. I dipinti della Fondazione Longhi” e<br />

collaborando a “Caravaggio e caravaggeschi a<br />

Firenze”.<br />

Come era la sua famiglia e come si è sviluppata<br />

la sua passione per la storia dell’arte?<br />

Provengo da una famiglia in cui da generazioni<br />

la musica ha avuto un ruolo assai significativo.<br />

La mia vita è iniziata con otto ore ogni giorno di<br />

pianoforte di una zia pianista che sentivo dalla<br />

stanza dove studiavo. La mia fortuna è stata<br />

quella di ricevere una formazione liceale d’eccellenza<br />

grazie all’incontro con il prof. Alfredo Puerari<br />

che insegnava letteratura italiana e storia<br />

dell’arte, un connubio perfetto. Già al liceo classico<br />

adottavo un mio metodo attributivo che<br />

consisteva nel non guardare i nomi degli autori<br />

per indovinarli. All’Università di Firenze mi distinguevo<br />

nelle esercitazioni d’attribuzione, un<br />

approccio critico che riconobbi in Longhi il quale<br />

insegnava a Bologna, dove mi recai per seguire le<br />

sue lezioni e seminari, non prima di avergli comunicato<br />

la mia intenzione recandomi direttamente<br />

nella sua casa fiorentina con una bicicletta<br />

prestata da un’amica.<br />

Che personalità era Roberto Longhi?<br />

A lezione notai che parlava come scriveva, con<br />

la stessa eleganza. La storia dell’arte per lui era<br />

collegata alla letteratura e da questa era nobilitata.<br />

Da lui ho appreso l’approccio, l’esposizione<br />

e la scrittura che erano non solo da storico dell’arte,<br />

ma da letterato. Longhi era una personalità<br />

molto calma, distaccata, ma ogni qualvolta<br />

apriva bocca si imparava. È morto nel 1970, ma<br />

la Fondazione fu da lui creata quando ancora era<br />

vivo nell’intento di fare scuola, selezionando giovani<br />

studiosi italiani e stranieri. Dopo la sua<br />

morte, la moglie Anna Banti ha diretto la Fondazione<br />

per quindici anni ed è stata fondamentale<br />

nel mantenere viva l’istituzione. Mi teneva<br />

vicina perché pensava che dopo la morte di Francesco<br />

Arcangeli e di Carlo Volpe, solo io potessi<br />

assicurare la continuità.<br />

Cosa vuol dire essere longhiano e qual è il<br />

metodo che lei insegna per essere ottimi conoscitori<br />

d’arte?<br />

Il metodo longhiano consiste nell’approccio visivo<br />

delle opere, cioè non partire dai documenti<br />

o dalle letture, questi strumenti del secondo momento<br />

dell’indagine longhiana, ma iniziare sempre<br />

dall’oggetto che ti guida. Come affermava<br />

Longhi: “Il primo documento è l’opera”. La curiosità<br />

di conoscere è lo stimolo fondamentale<br />

per lo storico dell’arte. Viaggiare e vedere le<br />

opere dal vivo è il divertimento sportivo del nostro<br />

lavoro di conoscitori. Ricordo che un giorno<br />

entrai a lezione e dissi: “Basta andare in biblioteca!”.<br />

I ragazzi mi guardarono con stupore, e<br />

aggiunsi: “Andate troppo in biblioteca, ma non<br />

abbastanza nei musei!”.<br />

Oggi lei è universalmente riconosciuta<br />

come la massima studiosa esistente su Caravaggio,<br />

ma come è nato lo studio e la scoperta<br />

di questo personaggio?<br />

Sono inciampata con Caravaggio. Non osavo<br />

avvicinarmi al Merisi, era argomento di Longhi e<br />

di Mahon. Io ero giovane, ma un giorno ho scoperto<br />

un Caravaggio, il Cavaliere di Malta nei depositi<br />

di Palazzo Pitti. Così mi ritrovai coinvolta,<br />

impiegai degli anni per pubblicarlo, per approfondire<br />

tutto il suo periodo tardo, poco conosciuto<br />

in quanto si studiava soprattutto il periodo<br />

giovanile del maestro.<br />

Esistono oggi nell’attività di Caravaggio<br />

zone d’ombra e incognite ancora da studiare<br />

e approfondire, alla luce di nuove attribuzioni,<br />

alcune discutibili?<br />

Oggi c’è una difficoltà metodologica: è vista<br />

con sospetto l’attività attribuzionistica da coloro<br />

i quali vengono chiamati “restrizionisti” ovvero<br />

chi vorrebbe conoscere il Merisi solo per le opere<br />

citate dalle fonti del Seicento. Non c’è dubbio<br />

che Caravaggio non ha una stilistica a cui appoggiarsi<br />

e questo fa sì che sia difficile studiarlo,<br />

ma anche riconoscere la bontà degli studi che<br />

altri fanno. C’è pertanto una situazione di stallo<br />

tra “restrizionisti” ed “espansionisti”, io vado<br />

avanti per la mia strada e il tempo giudicherà.<br />

Quanto vengono in aiuto della ricerca le<br />

indagini scientifiche?<br />

Per quanto io creda nell’occhio, oggi non si<br />

può più fare a meno delle indagini scientifiche,<br />

come radiografie e riflettografie che ci consentono<br />

di conoscere l’iter attraverso il quale il pittore<br />

arriva alla realizzazione dell’opera. Queste<br />

consentono di scoprire i segreti pittorici più nascosti,<br />

a corredo della lettura in superficie dell’opera.<br />

Dedicando una vita all’arte e all’insegnamento,<br />

quali cambiamenti ha riscontrato e<br />

quale consiglio lascia ai giovani storici dell’arte?<br />

Oggi gli studenti hanno tutti gli strumenti<br />

messi a disposizione, ma anche un quadro storico-critico<br />

più ampio rispetto alla mia generazione.<br />

Oggi la letteratura su tutti gli argomenti è<br />

cresciuta, ragione per cui c’è un’iperspecializzazione.<br />

La crescita delle voci bibliografiche ha portato,<br />

ritengo impropriamente, i giovani a concentrare<br />

gli studi nella ricerca settoriale, invece<br />

questi devono avere una conoscenza vasta, io<br />

dico almeno del secolo del proprio argomento in<br />

cui si lavora, la priorità della ricerca è conoscere<br />

rapporti e relazioni tra pittori, opere ed il loro<br />

contesto.<br />

Nei Sassi a Matera proposte della giovane scultura italiana<br />

iovani scultori e residenze per artisti, è questa la<br />

Gformula scelta per la 27ª edizione de “Le Grandi<br />

Mostre nei Sassi di Matera” inaugurata, in ritardo, nei<br />

primi giorni di settembre nel complesso monastico di<br />

Madonna delle Virtù e di San Nicola dei Greci. La collettiva<br />

dal titolo “Periplo della Scultura Italiana Contemporanea<br />

3” curata da Giuseppe Appella e Marta<br />

Ragozzino, è divisa in più sedi: il citato complesso monastico<br />

che da decenni ospita ogni estate grandi mostre<br />

dedicate alla scultura contemporanea, il MUSMA,<br />

acronimo di Museo della Scultura Contemporanea Matera<br />

e il Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna<br />

della Basilicata a Palazzo Lanfranchi. In esposizione<br />

opere di: Giorgio Andreotta Calò (Venezia 1979), Francesco<br />

Arena (Torre Santa Susanna 1978), Giuseppe Capitano<br />

(Campobasso 1974), Alice Cattaneo (Milano<br />

1976), Emmanuele De Ruvo (Napoli 1976), Francesco<br />

Gennari (Pesaro 1973), Perino & Vele (Ermanno Perino,<br />

New York 1973 - Luca Vele, Rotondi 1973), Donato Piccolo<br />

(Roma 1976), Luca Trevisani (Verona 1979), Nico<br />

Vascellari (Vittorio Veneto 1976), Antonella Zazzera<br />

(Todi 1976). Una scelta che, non poteva essere diversamente,<br />

tiene fuori tanti altri nomi di rilievo della scena<br />

artistica, soprattutto quei nomi meno presenti nei cir-<br />

cuiti oramai abusati delle fiere d’arte ma anche delle<br />

mostre veicolate dall’economia del mercato. Mancano<br />

all’appello figure, per fare dei nomi, quali Paolo Radi,<br />

Emanuela Fiorelli, Franco Fienga, Silvia Venturi, Marina<br />

Fulgeri, insomma nomi che certamente potevano contribuire<br />

ad allargare il dibattito proposto dai curatori,<br />

sui linguaggi. Resta, al di là dei suggerimenti, un’occasione<br />

importante che offre uno spaccato della situazione<br />

italiana, insistendo sui giovani e, soprattutto,<br />

continuando caparbiamente a tenere alto il contributo<br />

che Matera in questi anni ha dato al dibattito critico in<br />

Italia. A tale prospettiva operativa si collega anche l’esigenza<br />

– si legge in catalogo – di porsi in relazione al<br />

«percorso di candidatura della città di Matera a Capitale<br />

Europea della Cultura nel 2019, per il quale è fondamentale<br />

che la città dei Sassi diventi sempre di più un<br />

vitale centro di produzione culturale ed artistica». La<br />

mostra è visitabile fino al 27 novembre.<br />

Per informazioni: info@musma.it - w.w.w.musma.it<br />

v.m.<br />

Nella foto: Emmanuele De Ruvo, Hypermnetic British<br />

Café – construction, legno, ceramica, argento<br />

specchio e zucchero, 2010<br />

arte contemporanea<br />

Tra le prime persone che incontrai a Venezia nel 1946 vi fu un artista di nome Vedova (P. Guggenheim)<br />

Santiago, Peggy Guggenheim collezionista d’avanguardie<br />

Al Centro Cultural Palacio la Moneda in mostra le opere di una incredibile “passione” per il contemporaneo<br />

Il 26 agosto 1978, per celebrare i suoi ottanta anni, il direttore<br />

dell’Hotel Gritti di Venezia offrì a lei e ai suoi ospiti una cena. Per<br />

renderle omaggio c’era una bandiera con scritto, oltre al suo nome,<br />

«All’ultima Dogaressa». Oggi la figura di Peggy Guggenheim è presentata<br />

per la prima volta in Cile, su invito del Ministro della Cultura,<br />

grazie ad una mostra promossa dal Centro Cultural Palacio la Moneda di<br />

Santiago dal 30 ottobre al 28 febbraio 2013. La mostra dal titolo “Peggy<br />

Guggenheim, collezionista d’avanguardie” propone un’ottantina di capolavori,<br />

tra dipinti e sculture, che ripercorrono l’esperienza della collezionista<br />

e provenienti dalle raccolte di New York e di Venezia. Un percorso<br />

espositivo che concentra l’attenzione sulle avanguardie degli anni Dieci,<br />

con opere dei principali esponenti del Cubismo, dell’Astrattismo, del Surrealismo,<br />

dell’Espressionismo astratto americano e dell’arte europea e americana<br />

post-belliche, proponendo inoltre una sezione di documenti che<br />

Centre Pompidou<br />

incontro sull’Arte Povera<br />

I N<br />

IT<strong>AL</strong>IA, NEGLI ANNI SESSANTA l’Arte Povera è<br />

una risposta alla società dei consumi che altrove<br />

si era espressa com’è noto in Pop Art o<br />

in estetiche che comunque accettavano la nascita<br />

di una civiltà urbana centrata sul kitsch.<br />

Contro una posizione feticista dell’idea di oggetto<br />

artistico, i protagonisti del movimento<br />

concepiscono l’opera d’arte non come fatto<br />

concluso ma come organismo vitale che si<br />

nutre del tempo e del suo inevitabile deterioramento.<br />

Il 21 novembre alle ore 19 il Centre<br />

Pompidou accoglierà due dei principali protagonisti<br />

del movimento per un incontro che ripercorrerà<br />

la storia di una delle più significative<br />

esperienze artistiche della scena italiana.<br />

a.o.<br />

Napoli, laboratori<br />

della scrittura<br />

R IPARTONO<br />

Laboratori<br />

del contemporaneo<br />

nell’antico convento<br />

È rivolta ai giovani studenti<br />

l’iniziativa al “FRAC” di Baronissi<br />

DI GIADA C<strong>AL</strong>IENDO<br />

ricostruiscono i momenti salienti della carriera della Guggenheim e il suo<br />

“amore” per Venezia. «Non sono mai stata – scrive nella sua autobiografia<br />

– in una città capace di darmi lo stesso senso di libertà di Venezia. [Essa]<br />

non è solo la città della libertà e della fantasia, ma è anche la città del piacere<br />

e della gioia. Non ho mai visto piangere nessuno qui, se non a un funerale».<br />

È una mostra che si inscrive nel vasto programma di manifestazioni<br />

promosse in più sedi dalla Fondazione per il 2012; tra queste “Dimensione.<br />

‘Al velodromo’ di Jean Metzinger" curata da Rylands ed Weddigen;<br />

"I giganti dell’Avanguardia: Miró, Mondrian, Calder e le Collezioni Guggenheim"<br />

curata di Luca Massimo Barbero e infine la retrospettiva di Capogrossi.<br />

Era il 1938 quando inaugura la Guggenheim Jeune, galleria<br />

d’avanguardia a Londra, con la supervisione dell’amico Marcel Duchamp<br />

e dedica la mostra di apertura a Jean Cocteau. Da allora prende l’abitudine<br />

di acquistare almeno un’opera da ogni esposizione realizzata: un modo<br />

I LABORATORI DI SCRITTURA CREATIVA<br />

“Lalineascritta” organizzati dall’associazione<br />

Aldebaran Park, diretta dalla napoletana<br />

Antonella Cilento che, in vent’anni di<br />

attività come autrice, giornalista, sceneggiatrice<br />

e tutor scolastico, ha definito un metodo<br />

per insegnare a scegliere le proprie storie e a<br />

tradurle in narrazione perchè, sosteneva Raymond<br />

Carver, «le parole sono tutto ciò che<br />

abbiamo, perciò è meglio che siano quelle<br />

giuste». Il primo laboratorio di scrittura narrativa<br />

inizierà in ottobre e terminerà a dicembre<br />

con un primo trimestre dal titolo Dalla<br />

pagina bianca al racconto, tenuto dalla stessa<br />

Cilento.<br />

C on<br />

m.f.<br />

A Padova in mostra<br />

i disegni di Fabrizio Plessi<br />

D <strong>AL</strong><br />

il nuovo anno scolastico per i giovanissimi<br />

studenti delle ultime classi delle scuole<br />

elementari e delle medie di Baronissi, l’arte contemporanea<br />

non sarà più così distante. Da novembre<br />

al FRAC – Fondo Regionale d’Arte<br />

Contemporanea (museo d’interesse regionale),<br />

partiranno gli incontri e i laboratori didattici proiettati<br />

ad educare i giovani all’arte contemporanea,<br />

ai suoi aspetti storici, a quelli creativi e<br />

alle tecniche. Il progetto dal titolo “Il FRAC in<br />

erba”, sostenuto dalla Regione Campania, con<br />

l’apporto della Provincia di Salerno e del Comune<br />

di Baronissi, si iscrive nel più ampio programma<br />

“Un museo incontro al futuro: la<br />

promozione tra rete e didattica” rivolto alla conoscenza<br />

e allo studio del patrimonio acquisito<br />

in questi anni dalla struttura museale, situata<br />

nel cuore della Valle dell’Irno. Il programma prevede,<br />

inoltre, l’attivazione online del catalogo<br />

delle proprietà museali. Il progetto didattico “Il<br />

FRAC in erba” si rivolge essenzialmente agli studenti<br />

della fascia di istruzione elementare e<br />

media, sollecitando e sviluppando, in itinere,<br />

momenti di incontro con giovani interessati all’arte<br />

contemporanea. Il target guarda ad<br />

un’età compresa fra i 5 e i 12 anni e prevede<br />

una pianificazione progettuale lungo tre direttive:<br />

un primo approccio all’arte attraverso la<br />

manipolazione semplice di materiale artistico;<br />

conoscenza dell’arte attraverso alcuni cenni storici<br />

con particolare attenzione alle personalità<br />

attive in ambito regionale; approfondimento<br />

dei temi con il confronto ravvicinato con le<br />

27 OTTOBRE 2012 <strong>AL</strong> 13 GENNAIO 2013,<br />

il Palazzo della Ragione di Padova ospiterà<br />

l’evento espositivo dal titolo “Fabrizio<br />

Plessi. Il flusso della Ragione”, curato da Annamaria<br />

Sandonà. La mostra offrirà una panoramica<br />

dell’attività creativa dell'artista<br />

emiliano, partendo da disegni progettuali,<br />

esposti per la prima volta al pubblico, fino a<br />

giungere alla grande videoinstallazione, collocata<br />

nel Salone dell’antico Palazzo, che riprodurrà<br />

suoni e visioni degli elementi naturali<br />

quali l’acqua e il fuoco, cifre riconoscibili dei<br />

suoi lavori. Plessi instaura, in maniera armonica,<br />

un dialogo tra la memoria del passato e<br />

l’immaginario tecnologico presente.<br />

per non deludere gli artisti che non vendevano nulla, ma forse, senza esserne<br />

del tutto consapevole, per creare la base della sua collezione. Con lo<br />

scoppio della Seconda Guerra mondiale Peggy si trasferisce in America<br />

portando con sé l’artista Max Ernst e la sua collezione che arriva intatta a<br />

New York nel luglio del 1941. Qui fonda la galleria Art of This Century che<br />

ha subito un notevole successo: gran parte degli artisti che tratta sono europei<br />

fuggiti dalla guerra ma anche giovani artisti americani alle loro prime<br />

personali, Pollock, Motherwell, Baziotes, Still. Finita la guerra Peggy decide<br />

di tornare in Europa e nell’unica città che l’ha sempre colpita: Venezia.<br />

È il luogo più adatto, dove creare la seconda parte della propria vita.<br />

Alla XXIV Biennale è invitata ad esporre la sua intera collezione. La sua è<br />

un’esistenza straordinaria che intreccia le vicende delle neoavanguardie,<br />

respirando l’aria di quelle storiche da lei tanto amate.<br />

Federica Pace<br />

a.r.<br />

opere – dipinti, disegni, sculture e grafiche –<br />

della collezione permanente del Museo-FRAC<br />

di Baronissi. L’obbiettivo, si legge nelle note che<br />

accompagnano il progetto, è contribuire alla divulgazione<br />

della cultura artistica contemporanea<br />

della regione Campania, da sempre al<br />

centro degli studi e delle ricerche del FRAC, divenuti<br />

cifra del patrimonio artistico museale accresciuto<br />

negli anni a seguito di cospicue<br />

acquisizioni e donazioni. «Valorizzare e far conoscere<br />

la notevole collezione permanente<br />

composta da un vasto fondo di disegni nonché<br />

da numerose opere pittoriche, scultoree e fotografiche<br />

e la produzione con i new media, di<br />

A Benevento: Navarra<br />

taccuino eoliano<br />

Complessa la mostra che Enzo Navarra propone<br />

come evento inaugurale dell’Arte<br />

Studio-Gallery di Benevento: una installazione<br />

organizzata intorno al tema del viaggio,<br />

dello Stromboli e della sua mitologia. Alle pareti<br />

della piccola galleria gli acquerelli, le matite,<br />

i pastelli realizzati dall’artista nel corso<br />

del soggiorno sulla piccola isola dell’arcipelago<br />

delle Eolie in estate; mentre sulla parete,<br />

frontale all’ingresso, un taglio ricorda la sciara<br />

che sparge l’essenza del racconto nei lapilli<br />

che animano il pavimento. All’esterno un<br />

boato “avverte” ed “accompagna” il visitatore.<br />

«Sullo sfondo c’è lo Stromboli – scrive Bignardi<br />

–, ovvero il vulcano e la sua aria di<br />

antica divinità greca; la spiaggia di pietre e<br />

ciottoli neri di Ficogrande; poi il giardino<br />

l’Aquilone, per Enzo una sorta di Giverny<br />

arabe, messo su e curato da Francesco e dai<br />

suoi collaboratori nel pianoro che porta alle<br />

pendici della montagna fumante. […] I fogli di<br />

carta fatta a mano, ruvidi e ricchi di cotone,<br />

assorbenti pronti a trattenere ogni sbavatura<br />

di colore e di acqua, dichiarano il desiderio di<br />

concorrere, con la sabbia, la pomice polverizzata<br />

e la cenere, nel dare materie e spessori<br />

all’immagine. Dentro, nel rettangolo bianco,<br />

segni obliqui trascrivono il gesto della mano<br />

mentre descrive la sciara che scivola verso il<br />

mare, portando con sé lapilli infuocati, pietre<br />

che vanno ad arricchire lo specchio azzurro<br />

che incornicia il vulcano». Indubbiamente la<br />

pittura gioca il suo ruolo, con la capacità di<br />

evocare i luoghi toccando rapidamente la retina<br />

e l’emozione, suggerendo colori di atmosfere<br />

che difficilmente Navarra fa sfuggire; lo<br />

fa senza indugiare sulla forma narrativa, a<br />

volte distraendosi dalla sintassi, ossia affiancando<br />

colori di diversa luminosità, accentuando<br />

il carattere cromatico del rosso a<br />

discapito del viola, delle sfumature del grigio<br />

che disperde nel bianco del fondo».<br />

g.c.<br />

noti artisti contemporanei del Mezzogiorno<br />

d'Italia vuol dire – spiega Giovanni Moscatiello,<br />

sindaco di Baronissi – accendere l’interesse delle<br />

nuove generazioni rispetto alla storia della Campania<br />

e quindi la loro stessa immensa cultura».<br />

Le attività che saranno svolte, condividendo il<br />

cronoprogramma discusso ed organizzato preventivamente<br />

con i dirigenti scolastici e i professori<br />

degli istituti coinvolti, seguiranno due<br />

precise linee: una rivolta alla “didattica dell’immagine”,<br />

una a quella della “forma”. L’idea di<br />

fondo è partire dalla percezione della realtà con<br />

tutti i suoi limiti per giungere a comprendere le<br />

infinite possibilità immaginative e quindi espressive<br />

attraverso l’utilizzo di diverse tecniche.<br />

«È un progetto che risponde agli intenti programmatici<br />

del FRAC sin dalla sua costituzione<br />

nel 2002, mostrando – evidenzia Domenico De<br />

Chiara, responsabile dell’area Cultura del Comune<br />

– una volontà di intervenire concretamente<br />

nel territorio, in linea con la programmazione<br />

di eventi, le mostre collettive, le numerose<br />

antologiche che hanno caratterizzato e<br />

caratterizzano i primi dieci anni di vita della<br />

struttura. Una scelta che risponde alla necessità<br />

di un continuo e rinnovato rapporto con il pubblico,<br />

mirando ad un aggiornamento dei servizi<br />

museali e delle offerte».<br />

Sopra: Errico Ruotolo, Figura, (particolare)<br />

1960-61, Fondo “Disegno”, Museo-FRAC<br />

A lato: Peter Ruta, Venezia, 1957, Fondo<br />

“Disegno”, Museo-FRAC<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 13


figure<br />

Artista del nuovo secolo capace di riflessione simbolica e concettuale (G. Dorfles)<br />

Il mondo di Ugo? Segni, disegni<br />

scritture e corpi trasportati dal mare<br />

Il 15 ottobre di un anno fa moriva lo scultore Ugo Marano<br />

protagonista di una delle pagine più significative dell’arte italiana<br />

di MAS<strong>SI</strong>MO BIGNARDI<br />

Sono certo che esporre nella città culla del Rinascimento<br />

italiano, non l’avrebbe minimamente<br />

scomposto, anzi sarebbe stata un’ulteriore occasione<br />

per misurare la tenuta delle sua creatività,<br />

proporsi nel confronto con scultori che sapevano<br />

essere architetti ed architetti che conoscevano la materia e<br />

le manualità del “fare arte”. Eppure la mostra, organizzata<br />

lo scorso febbraio dalla galleria fiorentina “Otto luogo dell’arte”<br />

a pochi mesi dalla morte, ci ha preso di più perché si<br />

è fatta largo nella nostra mente, con prepotenza, la sua assenza,<br />

evidenziando con cruda realtà il senso di smarrimento<br />

che ancora oggi ci avvolge. L’artista, diceva Picasso,<br />

non scompare, non si eclissa dietro la tenda diafana della<br />

morte; vive con il corpo della sua esperienza, della sua capacità<br />

di aver tradotto ed intrecciato – di questo Ugo ne era<br />

pienamente ed testardamente convinto – le armoniche capacità<br />

dell’immaginario, vale a dire di essere con i sogni nello<br />

specchio dell’Io collettivo, di sentire la forza della collettività<br />

nei miti che la animano e al tempo stesso di affidare il suo<br />

essere presente alle opere. Marano è stato, da uomo e da<br />

artista, ancorato al disciplinare della vita; l’ha pensata e vissuta<br />

al passato, al presente, al futuro e sempre con «l’irrealizzabile<br />

desiderio di ritrovare, di fermare o di inaugurare il<br />

tempo» (Augé).<br />

Lo ha fatto anche quando il suo lavoro, nell’accezione<br />

dell’esperienza formale, sembrava dichiararsi contro la modernità<br />

colpevole di aver appianato ogni insorgenza dei miti<br />

La parola<br />

come progetto<br />

di “nuova città”<br />

Tra gli scritti dell’artista di Cetara<br />

un’eredità per i cittadini di domani<br />

di PASQU<strong>AL</strong>E RUOCCO<br />

14 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

dell’origine; lo ha fatto con il recupero delle manualità e con<br />

esse delle materie attinte dall’orizzonte lontano della comunità<br />

mediterranea, in primis la ceramica per lui «arte<br />

maestra». Scelte nelle quali si scorge, nei primi anni Ottanta,<br />

il desiderio che Ugo manifesta di riprendere il filo tripolare<br />

dell’immaginario, di posizionarlo in direzione di un sentimento<br />

“umanistico” dell’uomo contemporaneo. La sua<br />

proposta non lascia spazi all’incertezza dell’identità o a febbrili<br />

esitazioni del pensiero: va detto che tutto ciò accadeva<br />

in un preciso momento, in quel decennio della cultura artistica<br />

italiana ed internazionale tutta proiettata verso il<br />

trionfo dell’apparenza, della smodata corsa ad azzerare ogni<br />

vitalità, qualsiasi volontà d’impegno, proprio dei decenni<br />

precedenti. Nel suo studio di Capriglia amavo dondolarmi<br />

sulla Sedia del pensiero, una delle sue sculture/design più significative,<br />

con la quale abilmente Ugo pone a registro alcune<br />

speculazioni formali che sono proprie dello scultore,<br />

senza rinunziare al linguaggio del design. Identica scelta che<br />

si registra in Uovo del Paradiso, un tavolo in ferro e mosaico<br />

ove si incrociano presente, storia e immaginazione, mito e<br />

creatività, e non poteva essere diversamente se pensiamo<br />

che in quegli stessi anni – fine dei Settanta – Ugo lavora al<br />

restauro dei mosaici del transetto del Duomo di Salerno e a<br />

quelli della facciata della cattedrale amalfitana.<br />

«Pensare ed essere» è il punto focale del rapporto che<br />

Marano ha tessuto con l’infinito spazio dell’universo: esso<br />

racchiude ed esprime un processo di pensiero, vale a dire un<br />

modo di essere nuovi che negli anni della nostra amicizia,<br />

quattro decenni, ha saputo senza artifici offrirmi con la dia-<br />

esperienza artistica di Ugo Marano si può<br />

L’ riassumere in la «vita e i suoi giorni». La vita<br />

con la sua altalenante luminosità ha fatto da registro<br />

ad un vasto programma di lavoro che, nell’arco<br />

di oltre cinque decenni, ha caratterizzato<br />

la sua esperienza di scultore, di mosaicista, di ceramista,<br />

di operatore culturale incentrato sulla<br />

possibilità di recupero di un primigenio rapporto<br />

uomo/natura. Esperienza che nel tempo si è<br />

fatta riflessione sul ruolo dell’artista nella società<br />

contemporanea in relazione all’idea di museo<br />

come a quella di fabbrica, ad un inserimento,<br />

cioè, più concreto nel contesto della comunità.<br />

Penso al progetto “Museo Vivo” sviluppato tra<br />

il 1972 ed il 1976, al “Museo Città Creativa” a<br />

Rufoli realizzato nel 1996 assieme alla Fontana<br />

Felice di Salerno, e ancora al piano strategico per<br />

la città di Copparo, nel ferrarese alla Piazza dei<br />

Flauti e il Tavolo del Paradiso alle pendici del<br />

Monte Cervati, nel Parco Nazionale del Cilento<br />

e del Vallo di Diana. Estendere lo sguardo su<br />

tutto si corre il rischio di cadere anzitempo nelle<br />

dinamiche della storia mentre quella di Marano<br />

è una presenza ancora viva, fremente, con la<br />

quale poter ancora dialogare, riflettere sulle trasformazioni<br />

dell’odierna crisi della società, sempre<br />

più espressione di una visione edonistica e<br />

spettacolare della vita. È in tal senso che mi<br />

preme ricordare uno scritto del 1986, pubblicato<br />

in Ugo Marano. Parlo d’artista dal titolo “14<br />

ANNI PRIMA DEL DUEM<strong>IL</strong>A OH NON È AN-<br />

CORA LA FINE! me lo ha detto un angelo, del<br />

lettica che è propria di chi cerca il colloquio, l’incontro.<br />

Rileggendo, a distanza di tempo, gli scritti di quegli anni<br />

e confrontandoli con quelli che hanno concretato l’idea di<br />

una nuova “città”, si rileva la capacità dell’artista di mantenere<br />

fede al suo originario progetto teorico, senza farsi mai<br />

giudice, senza cedere alla tentazione di proporsi come controparte.<br />

In alto da sinistra: Casa mia, 1993, fotografia di Pino Musi<br />

Ugo Marano e vasi maestosi<br />

La sedia del pensiero, primi anni Ottanta<br />

Ugo Marano e il vaso colmo d’amicizia<br />

in una foto di Pino Musi, 1993<br />

A lato: Marano alla galleria Taide, Mercato San Severino 1973<br />

Sopra: Menna, Marano, Sanguineti, Tommaso Binga e Luciana<br />

Sanguineti, Ceramica Rifa, Molina di Vietri 1973<br />

1986, testo della conferenza tenuta all’Accademia<br />

di Belle Arti di Reggio Calabria. Una riflessione<br />

sul finire del Novecento e l’inizio del XXI<br />

secolo, del nuovo millennio, nonché sulla crisi<br />

della città «ESPRES<strong>SI</strong>ONE – scrive Marano – DI<br />

OCCUPAZIONE SELVAGGIA/ DEGLI SPAZI DI IN-<br />

TIMITÀ NATUR<strong>AL</strong>E», per la quale gli artisti non<br />

lavorano più se non per autocelebrarsi, incapaci<br />

di creare nuovi linguaggi e suggerire modi di vivere.<br />

Per questo addita gli effetti corrosivi dei<br />

mezzi di comunicazione di massa, causa del generale<br />

depauperamento della cultura, dell’impoverimento<br />

«dell’intelligenza e della genialità<br />

comune», proclamando il suo j’accuse contro<br />

una classe politica degenerata e farneticante,<br />

nonché una critica tagliente nei confronti di un<br />

sistema dell’arte che sembra soffrire un processo<br />

di banalizzazione, un allontanamento dallo<br />

spessore e dalla complessità del reale.<br />

Ma non è ancora – suggerisce l’artista – la fine<br />

basterebbe «RIPRENDERE A VIVERE CON<br />

AMORE/ E A COMUNICARE CON SEMPLICITÀ<br />

[…] CHIUDERE I TELEVISORI E NON DROGAR<strong>SI</strong><br />

DI INFORMAZIONI VIOLENTE/ RIPRENDERE A<br />

LEGGERE TESTI DI POE<strong>SI</strong>A/ E LIBRI LIBERI/ BASTA<br />

COMINCIARE A GUARDARE COI PROPRI<br />

OCCHI/ E A SOGNARE COL PROPRIO CER-<br />

VELLO».<br />

È l’eredità che Ugo Marano ci ha lasciato, a<br />

noi cittadini del domani, responsabili e protagonisti<br />

di un futuro da costruire con il pensiero, con<br />

l’anima.<br />

La voce alta<br />

di una lingua<br />

innovativa<br />

della ceramica<br />

contemporanea<br />

di CIRO MANZOL<strong>IL</strong>LO<br />

ell’antica Torre di guardia vi-<br />

Ncereale di Cetara, restaurata<br />

nella prospettiva di accogliere il<br />

museo civico, da novembre sarà<br />

visitabile l’intera collezione dei<br />

grandi piatti che, tra il 1972 e il<br />

1975 e poi fino al 2001, hanno<br />

dato vita all’esperienza del Museo<br />

Vivo, ideata e realizzata da Ugo<br />

Marano. «È questo un ulteriore<br />

momento – afferma il sindaco di<br />

Cetara Secondo Squizzato – di<br />

una strategia culturale che mira a<br />

trasmettere alle nuove generazioni<br />

quanto è stato prodotto in<br />

questo angolo nascosto del Mediterraneo,<br />

soprattutto alla capacità<br />

di Ugo Marano di farsi interprete<br />

di un nuovo linguaggio della ceramica».<br />

Le sale allestite con opere<br />

date in comodato dalla moglie<br />

Stefania e dai figli Enrica, Giuseppe<br />

e Paolo, scandiscono una<br />

dopo l’altra i tempi narrativi di un<br />

racconto nato nel 1972 nella piccola<br />

fabbrica di ceramica Rifa di<br />

Matteo Rispoli a Molina di Vietri.<br />

Agli inizi degli anni Settanta, in<br />

risposta alla crisi che vive, sul<br />

piano ideativo, la ceramica vietrese<br />

sempre maggiormente rigirata<br />

nelle declinazioni stanche<br />

indicate dalla critica come lo ‘stile<br />

Vietri’, Ugo Marano dà vita al progetto<br />

Museo Vivo. La prospettiva<br />

è quella di sollecitare, rileva Bignardi,<br />

«un coinvolgimento interdisciplinare,<br />

attraverso una<br />

proposta di libera creatività che<br />

vede coinvolte figure di operatori<br />

culturali diverse tra loro, in un laboratorio<br />

di ceramica al quale Marano<br />

affida la prospettiva di farsi<br />

possibile realtà di un museo della<br />

ceramica degli ultimi decenni<br />

del Ventesimo secolo».<br />

Dal 1972 al 1976, Marano invita<br />

a lavorare presso la Rifa di Matteo<br />

Rispoli a Molina di Vietri, artisti<br />

quali Giulio Turcato, Renato Guttuso,<br />

Amerigo Tot, Antonio Petti,<br />

Antonio Franchini, Gelsomino<br />

D'Ambrosio, Mario Chiari, Mario<br />

Carotenuto, Gianni Ballarò, Tomaso<br />

Binga, Melchiode, l’architetto<br />

Alberto Cuomo insieme ad<br />

intellettuali come Eduardo Sanguineti,<br />

Giulio Carlo Argan, Filiberto<br />

Menna, Giordano Falzoni e<br />

il musicista Stockhausen impegnato<br />

al Teatro San Carlo di Napoli,<br />

opere esposte, insieme ad<br />

altre, nella Torre. Su questa traccia<br />

prosegue il racconto proposto dall’allestimento<br />

delle sale, con la<br />

prospettiva di dar vita ad un vettore<br />

immaginativo che interpreti<br />

la disponibilità e duttilità ad articolare<br />

nel territorio una risposta<br />

rivolta alle nuove generazioni.<br />

Guardando<br />

al domani<br />

Un boato a precedere quei pochi interminabili secondi<br />

nei quali tutto sembrava perduto. Per diversi è stato<br />

così. Tanti o pochi non è dato dirlo. Vite umane hanno<br />

pagato il prezzo più estremo ai movimenti di una terra<br />

in ribellione, rimasta silente, nella sua pianeggiante<br />

estensione, per secoli. Quindi inaspettato il suo serpeggiare, sconquassante,<br />

e per chi è rimasto il prezzo non è stato a buon mercato.<br />

Danni morali e materiali. geaArt, per la sensibilità di chi la dirige e<br />

del suo staff, dedica questo inserto speciale all’Emilia ferita, ad un<br />

territorio orgoglioso e carico di speranza. Una parola quest’ultima<br />

che ha tradotto futuro fin dalle prime ore. Intorno ad esso convergono<br />

infatti queste pagine che hanno raccolto narrazioni e testimonianze,<br />

di giovani e meno giovani, dal mondo delle istituzioni e<br />

della cultura in senso lato. Non è fare il punto della situazione, né tirare<br />

somme, compito non nostro e peraltro difficilissimo. È al contrario<br />

aprire un ulteriore spiraglio alle riflessioni ed al confronto. Un<br />

accesso dal quale incoraggiare nuove opportunità e sfide. In realtà<br />

distruzione ed opportunità, crisi e sue sfide non sembrerebbero di<br />

per sé individuare dialoghi del tutto amicali. Eppure è proprio dalla<br />

soglia del baratro che molto spesso si risale la china, si cercano e si<br />

concretizzano risvolti o, almeno, questo è quanto vogliamo prefigurarci,<br />

perché soprattutto la parola crisi non sia solo lo spauracchio<br />

frenante, il limite al rischio, o ancor peggio la copertura all’alibi. Di<br />

crisi se ne parla ormai, nel mondo, da lungo tempo, ahimè innanzi-<br />

Le Alpi, si sa,<br />

sono un muro di sasso,<br />

una diga confusa, fanno tabula rasa<br />

di noi che qui sotto,<br />

lontano, più in basso,<br />

abbiamo la casa;<br />

la casa ed i piedi in questa spianata<br />

di sole che strozza la gola alle rane,<br />

di nebbia compatta, scabrosa,<br />

stirata che sembra di pane<br />

ed una strada antica<br />

come l’uomo marcata<br />

ai bordi dalla fantasie di un duomo<br />

e fiumi, falsi avventurieri<br />

che trasformano<br />

i padani in marinai non veri...<br />

di ADA PATRIZIA FIOR<strong>IL</strong>LO<br />

tutto in termini numerici anche se dietro vi si celano altre inquietudini,<br />

ovvero ancora crisi, evidenti quelle di valori etici e morali, del<br />

resto non dal denaro del tutto indipendenti. L’economia, meglio sarebbe<br />

parlare di finanza, rimane pertanto al primo posto delle analisi<br />

di politici e specialisti, ultimo il summit autunnale di Cernobbio<br />

che ne ha passato in rassegna minuziosamente le problematiche, ricordandosi<br />

alfine che alle parole ripresa, futuro, prospettive si legano<br />

anche i giovani. Quelli cioè che devono sfidare, rischiare, ma<br />

soprattutto espatriare. Per il mondo in crisi verrebbe da aggiungere.<br />

Come se il nostro Paese non avesse bisogno di essi. Come se l’immenso<br />

sforzo di istruzione e formazione dei nostri Atenei, anche<br />

questi in dipendenza assoluta dai numeri, di ogni specie, fosse indirizzato<br />

alla sola certezza, ormai acquisita, del precariato. Che fare?<br />

Dal fronte dell’Emilia sono ancora i numeri a parlare, in questo caso<br />

da una prospettiva diversa. Ad una stima di metà estate, secondo i<br />

dati riportati dal “Corriere della Sera” del 29 luglio, il 61% delle imprese<br />

distribuite tra i territori di Sant’Agostino, Cento, Bondeno, Medolla,<br />

Mirandola ed altri ce l’ha fatta, previo l’impegno di giornate<br />

disegnate in un continuum senza sosta, di domeniche annullate, di<br />

ferie cancellate, a riconquistare un dialogo con il mercato, con i fornitori<br />

ed i compratori, prevedendo da un ottimistico angolo di visuale,<br />

condiviso da una buona fetta di imprenditori, ma anche<br />

Emilia sdraiata fra i campi e sui prati,<br />

lagune e piroghe delle terramare,<br />

guerrieri del Nord dai capelli gessati,<br />

ne hai visti passare!<br />

Emilia allungata fra l’olmo e il vigneto,<br />

voltata a cercare quel mare mancante<br />

e il monte Appennino rivela<br />

il segreto e diventa un gigante.<br />

Lungo la strada fra una piazza<br />

e un duomo<br />

hai messo al mondo<br />

questa specie d’uomo:<br />

vero, aperto, finto, strano, chiuso,<br />

anarchico, verdiano...<br />

brutta razza, l’emiliano!<br />

Inserto coordinato da Maria Letizia Paiato<br />

Emilia sognante fra l’oggi e il domani,<br />

di cibo, motori, di lusso e balere,<br />

Emilia di facce, di grida,<br />

di mani, sarà un grande piacere<br />

vedere in futuro da un mondo lontano<br />

quaggiù sulla terra una macchia di verde<br />

e sentire il mio cuore che batte più piano<br />

e là dentro si perde...<br />

passeggia un cane<br />

e abbaia al vento un uomo...<br />

Ora ti saluto, è quasi sera, si fa tardi,<br />

si va a vivere o a dormire<br />

da Las Vegas a Piacenza,<br />

fari per chilometri<br />

ti accecano testardi,<br />

ma io sento che hai pazienza,<br />

dovrai ancora sopportarci...<br />

Emilia<br />

Francesco Guccini<br />

Scommesse e futuro: una terra dopo il terremoto<br />

artigiani e commercianti grandi e piccoli, il raggiungimento, alla soglia<br />

del 2017, di una potenzialità produttiva più forte di prima. Resta<br />

quel 39% che ha risentito maggiormente dei danni, delle inadeguatezze<br />

che, nel positivo bilancio del soccorso emergenza, pure ci<br />

sono state, ma soprattutto degli intralci legislativi, dello scarso sostegno<br />

delle banche. Per essi il 2017 è un traguardo troppo lontano,<br />

così come lo è per i giovani, dal momento che questa sembra essere<br />

anche la data nella quale potrebbe concretizzarsi l’avanzata proposta<br />

di riforma per coloro che, pur giovani, perdono il lavoro. Un’età<br />

di “mezzo” ancor più inquietante per il reinserimento in un ciclo<br />

economico. Ma economia, molto ci suggerisce il taglio di interesse<br />

di queste pagine, non è solo impresa nei settori di servizio (comparti<br />

dal biomedicale alla meccanica, all’agroalimentare). Economia è<br />

anche quell’immenso patrimonio di risorse che coniuga il concetto<br />

allargato di bene culturale, ovvero tradizioni, storia, pensiero, arte,<br />

architettura, parte insomma di quell’eredità da cogliere con la sensibilità<br />

del presente, ma soprattutto del futuro. Vale qui la pena, per<br />

chi si avvia e per chi prosegue, di scavare e di sfidare, arrovellarsi ed<br />

impegnarsi, con la grinta e la forza che si hanno ad una giovane età,<br />

perché una perdita si trasformi in una conquista, un vuoto in una<br />

crescita. Come farlo non spetta a noi dirlo. Che siano start up o contratti<br />

di formazione, progetti individuali o aggregazioni di cervelli,<br />

tanto può servire ad inventarsi un domani perché il vuoto, come<br />

sanno bene gli scultori, è anch’esso una forma.<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 15


Emilia allungata fra lʼolmo e il vigneto, voltata a cercare quel mare mancante e il monte Appennino rivela il segreto e diventa un gigante… (F. Guccini)<br />

L’Università<br />

tra realismo<br />

dei bilanci<br />

e impegni<br />

per il futuro<br />

A colloquio<br />

con il Rettore<br />

dell’Ateneo<br />

ferrarese professor<br />

Pasquale Nappi<br />

di LINDA GEZZI<br />

Incontro il prof. Pasquale Nappi nella sede provvisoria<br />

della Facoltà di Architettura, sistemazione<br />

resasi necessaria a causa dei danni subiti<br />

dal Palazzo Renata di Francia, sede storica del<br />

Rettorato. È un momento di pausa tra i suoi innumerevoli<br />

impegni, segnato da grande cordialità e<br />

disponibilità. Un clima che rende gradevole la nostra<br />

chiacchierata anche su temi scottanti, come quelli<br />

che incrociamo. L’aria anche il suo sorriso benevolo<br />

sono rassicuranti.<br />

Trascorsi alcuni mesi dal sisma che ha colpito<br />

Ferrara, quale bilancio si sente di fare riguardo<br />

la difficile situazione dell’Università? Ad oggi a<br />

che punto è la messa in sicurezza degli istituti<br />

presenti in città?<br />

Il terremoto ha colpito l’Università mentre quest’ultima<br />

era alle prese con una situazione particolarmente<br />

critica e impegnativa. Difatti, nel corso degli<br />

ultimi tempi il sistema universitario nazionale è stato<br />

interessato dapprima dal decreto “Brunetta”, di riforma<br />

delle pubbliche amministrazioni; successivamente<br />

la legge n. <strong>24</strong>0 del 2010, la “Legge Gelmini”,<br />

ha richiesto uno straordinario impegno per l’opera di<br />

adeguamento alle tante prescrizioni in essa contenute.<br />

Durante il medesimo periodo, i finanziamenti<br />

pubblici alle università sono stati sensibilmente ridotti.<br />

L’Università di Ferrara ha tempestivamente posto in<br />

essere tutte le azioni che le hanno consentito di rispettare<br />

le tante prescrizioni normative, ci siamo impegnati<br />

intensamente per razionalizzare e migliorare<br />

ulteriormente le attività di ricerca, di didattica e i servizi<br />

agli studenti. È quindi evidente che il terremoto è<br />

sopraggiunto in un momento decisamente impegnativo,<br />

costringendoci a rallentare, e in qualche caso<br />

a sospendere temporaneamente, le tante e diverse<br />

azioni che stavamo compiendo.<br />

Volendo descrivere più precisamente quali sono<br />

state le conseguenze degli eventi sismici iniziati il 20<br />

maggio scorso, bisogna ricordare che l’Università di<br />

Ferrara ha la prerogativa di poter disporre, per lo svolgimento<br />

delle proprie attività, di un vasto e importante<br />

patrimonio immobiliare (in parte proprio, più<br />

spesso in concessione) costituito da molti edifici storici,<br />

talvolta assoggettati a vincolo artistico, e da edifici<br />

di costruzione più recente. Ovviamente gli edifici<br />

più antichi, quasi sempre palazzi appartenuti a nobili<br />

famiglie ferraresi, hanno risentito maggiormente del<br />

terremoto e i rilievi effettuati hanno decretato l’inagibilità<br />

di quattro importanti edifici. Così, Palazzo Renata<br />

di Francia, sede del Rettorato e delle principali<br />

attività amministrative, Palazzo Strozzi, pure sede di<br />

uffici amministrativi, Palazzo Tassoni e Palazzo Gulinelli,<br />

sedi della Facoltà di Lettere e Filosofia risultano<br />

totalmente o parzialmente inagibili. Ma anche edifici<br />

più recenti hanno subito danni che, pur non impedendo<br />

di continuarne l’utilizzo, richiedono interventi<br />

di ripristino. Abbiamo cercato di reagire il più rapidamente<br />

possibile e credo che ci siamo riusciti, grazie all’impegno<br />

davvero straordinario di tutti. Ad oggi,<br />

siamo in grado di svolgere tutte le nostre attività in<br />

massima sicurezza, tanto che il prossimo anno accademico<br />

ci vedrà impegnati ad offrire la stessa offerta<br />

didattica dello scorso anno.<br />

La presenza di tanti Colleghi esperti nelle più diverse<br />

discipline – dagli ingegneri ai medici, dagli ar-<br />

16<br />

chitetti agli storici dell’arte, ecc. –, unitamente ad<br />

una efficiente e ramificata organizzazione tecnica e<br />

amministrativa, ci hanno consentito di rispondere agli<br />

eventi con una rapidità ed una efficienza maggiore<br />

di altre amministrazioni pubbliche che non possono<br />

contare sulle stesse prerogative.<br />

Non solo, la nostra Università ha messo a disposizione<br />

delle istituzioni sul territorio, in particolare della<br />

Protezione Civile dell'Emilia-Romagna e della Direzione<br />

Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici<br />

dell'Emilia-Romagna, le proprie competenze ed attrezzature<br />

– in particolare quelle dei Dipartimenti di<br />

Architettura e di Ingegneria e del Laboratorio Tekne-<br />

Hub della Rete Alta Tecnologia dell'Emilia-Romagna<br />

- per affrontare le situazioni di emergenza, messa in<br />

sicurezza, ricostruzione e restauro. Alcuni Colleghi<br />

partecipano al gruppo di lavoro costituito dalla Protezione<br />

Civile della Regione Emilia Romagna e dal Dipartimento<br />

di Protezione Civile Nazionale (DPC),<br />

denominato “gruppo liquefazione” col compito di<br />

valutare in tempi rapidi gli effetti che la liquefazione<br />

degli strati di sabbia piuttosto superficiali hanno prodotto<br />

sugli edifici di interi quartieri. I nostri Scienziati<br />

della terra hanno organizzato incontri con il pubblico<br />

per spiegare i fenomeni sismici. Desidero anche ricordare<br />

l’impegno profuso da molti medici specializzandi<br />

della nostra Facoltà di medicina e chirurgia, in<br />

particolare pediatri e geriatri, prestando la propria attività<br />

presso alcuni campi attrezzati di zone maggiormente<br />

colpite dal sisma.<br />

Un capitolo a parte merita poi il tema, particolarmente<br />

critico in questo momento storico, concernente<br />

le risorse necessarie a realizzare i tanti interventi<br />

necessari. A differenza che per il resto, le situazione<br />

finanziaria dell’Università di Ferrara, pur essendo positiva<br />

e ampiamente in attivo, non ci consente di affrontare<br />

da soli gli ingenti esborsi previsti, che si<br />

attestano ad oltre 17 milioni di euro. Auspico, quindi<br />

di poter conoscere al più presto quali saranno le risorse<br />

sulle quali contare al fine di poter programmare<br />

con precisione gli importanti interventi di recupero e<br />

restauro del nostro patrimonio immobiliare.<br />

Focalizzando per un attimo l’attenzione sulle<br />

sedi storiche, crede che gli eventi sismici abbiano<br />

seriamente compromesso la presenza di<br />

studenti, per il prossimo anno accademico, nel<br />

nostro ateneo?<br />

Una delle principali caratteristiche della nostra Uni-<br />

versità è di essere fortemente attrattiva per gli studenti<br />

che vengono da fuori regione, che rappresentano<br />

oltre il 60% degli iscritti, la gran parte dei quali<br />

vivono a Ferrara durante il periodo degli studi universitari.<br />

Da questo punto di vista, il rischio di una diminuzione<br />

delle immatricolazioni esiste ed è comprensibile<br />

ponendosi nell’ottica di un genitore che<br />

deve contribuire a scegliere la sede dove il proprio figlio<br />

dovrà trascorrere i prossimi anni della propria vita.<br />

Non potendo ovviamente disporre degli eventi naturali,<br />

posso solo esprimere la speranza che continui<br />

l’assenza di repliche degli eventi sismici. Oramai è trascorso<br />

un lungo periodo senza scosse significative e<br />

la vita in città e nelle sedi universitarie ha ripreso la<br />

sua consueta intensità, soprattutto per quanto riguarda<br />

la vita e le abitudini dei giovani.<br />

Quindi oggi gli studenti iscritti all’Università di Ferrara<br />

frequentano unicamente strutture del tutto agibili.<br />

Inoltre, anche per andare incontro alle difficoltà<br />

determinate dall’attuale situazione di crisi economica,<br />

l’Università di Ferrara ha deciso di lasciare inalterate le<br />

tasse di iscrizione e ha previsto molte ipotesi di sgravi<br />

e esenzioni.<br />

Oggi le facoltà umanistiche appaiono poco attrattive<br />

per un giovane che intenda approcciarsi<br />

a tali discipline, perché disilluso in partenza su<br />

un possibile sbocco lavorativo. Non crede che i<br />

fatti del terremoto possano aprire una riflessione<br />

nel ripensare ad alcune figure professionali<br />

che operano in questo ambito, al fine di non<br />

disperdere il senso delle proprie radici culturali?<br />

Insomma non crede che i giovani andrebbero<br />

stimolati, così che la difficoltà possa diventare<br />

una prospettiva?<br />

Sempre più spesso la scelta del corso di studi è guidata<br />

dalle opportunità lavorative a cui il relativo titolo<br />

da accesso. Se oggi le discipline umanistiche sono<br />

meno attrattive per i giovani è perché il mercato del<br />

lavoro non offre posti che richiedono il titolo corrispondente.<br />

Non credo che sia sufficiente stimolare i<br />

giovani ad intraprendere studi umanistici o ripensare<br />

alcune figure professionali. Credo invece che occorre<br />

agire sulla causa piuttosto che sull’effetto, e quindi<br />

investire di più sia da parte pubblica che da parte privata<br />

sul nostro patrimonio culturale e storico-artistico,<br />

perché credo che sia l’unica strada per aumentare le<br />

opportunità lavorative. Indubbiamente, peraltro,<br />

negli ultimi anni le humanities hanno goduto di minore<br />

attenzione a beneficio delle discipline tecnicoscientifiche.<br />

Tale fenomeno ha avuto una indubbia<br />

accelerazione in conseguenza della gravissima crisi<br />

economico finanziaria che stiamo attraversando. Attualmente,<br />

anche il quadro UE presenta quella che è<br />

stata definita una significativa deriva tecnocratica,<br />

basti considerare gli obiettivi e le parole chiave di HO-<br />

RIZON 2020 e la palestra di esercitazione creata con<br />

le nuove regole dei bandi PRIN e FIRB 2012 (ma<br />

anche molti altri segnali). A mio modo di intendere<br />

occorre dedicare la massima attenzione a questo fenomeno.<br />

Se le ragioni per cui la scelta è stata operata<br />

sono comprensibili, occorre avere consapevolezza dei<br />

rischi che si corrono. E il primo rischio da scongiurare<br />

riguarda la perdita o, quanto meno, la depressione di<br />

quell’enorme patrimonio rappresentato dalla humanities,<br />

parte fondante la tradizione e l’identità di gran<br />

parte dei Paesi europei e in particolar modo dell’Italia.<br />

Quale speranza si sente di dare alla nostra<br />

Università per il prossimo futuro?<br />

Nel corso degli ultimi anni la nostra Università è<br />

stata seriamente colpita da terremoti legislativi, finanziari<br />

e fisici. Ora abbiamo bisogno di consolidare<br />

i nuovi assetti, di riorganizzarli in modo più preciso.<br />

Abbiamo bisogno di stabilità e di certezze. Soprattutto<br />

sulle risorse e sul reclutamento. Lo sforzo riformatore<br />

compiuto e tutti i successi raggiunti e<br />

riconosciuti rischiano di essere irrimediabilmente<br />

compromessi alla luce del taglio complessivo subìto<br />

dal sistema universitario italiano nel triennio 2010-<br />

2012 che non ha eguali nel contesto internazionale:<br />

toccherà il 12% che diviene il 18% se vi si aggiungono<br />

gli effetti dell’inflazione.Le università italiane si<br />

stanno svuotando, sia di docenti che, in misura per<br />

ora inferiore, di studenti. Anche gli Atenei più virtuosi,<br />

come il nostro, nel corso degli ultimi tre anni<br />

hanno potuto accedere ad un turn over limitato al<br />

50%. Da ultimo, il decreto sulla spending review per<br />

il prossimo triennio fissa la percentuale del turn over<br />

nelle università a livello nazionale al 20%, e ciò condurrà<br />

ad un’ulteriore, forse esiziale, riduzione dell’organico<br />

nel giro di pochi anni. Desidero evidenziare<br />

che l’Università è l’unica amministrazione pubblica<br />

per la quale esiste oramai da alcuni anni un sistema<br />

di valutazione dei risultati conseguiti che condiziona<br />

in parte l’entità dei finanziamenti ricevuti; parimenti<br />

è la sola amministrazione che è sottoposta da oramai<br />

quattro anni a quella che oggi viene chiamata spending<br />

review. Tagliare il superfluo e il sovrabbondante<br />

è giusto, infierire su un corpo già allo stremo rischia<br />

di avere un effetto fatale. Di fronte a un panorama<br />

del genere, il futuro è nel lavoro continuo e nella volontà<br />

di sopravvivenza. L’Università di Ferrara è disponibile<br />

ad aprire una discussione con tutti i soggetti<br />

istituzionali che condividano l’importanza dell’alta<br />

formazione per la costruzione di un Paese competitivo<br />

e nuovamente in crescita, con lo scopo di fornire<br />

proposte per un nuovo modello di sviluppo attraverso<br />

il sistema universitario.<br />

In alto: particolare della facciata del Palazzo Renata<br />

di Francia sede del Rettorato dell’Università di Ferrara<br />

Sopra a sinistra: cumulo di macerie a Cavezzo<br />

Sopra a destra: cumulo di macerie dopo<br />

la demolizione del municipio di Sant’Agostino<br />

Nella pagina a destra: campanile della chiesa<br />

di Sant’Agostino<br />

Intervista all’assessore regionale professor Patrizio Bianchi<br />

Investire sull’educazione<br />

sulla formazione, sul pensiero<br />

a cura di MARIA LETIZIA PAIATO<br />

Itragici eventi del sisma dello scorso<br />

maggio hanno riportato all’attenzione<br />

della politica regionale il tema<br />

dei beni culturali e in generale della<br />

cultura. In un territorio, come quello<br />

emiliano, da sempre virtuoso circa la tutela<br />

del patrimonio artistico, si è tuttavia registrato<br />

un distacco fortissimo tra la cittadinanza<br />

e i luoghi del proprio vissuto. La<br />

nuova scottante realtà è stata al centro del<br />

lungo colloquio avuto con il professor Patrizio<br />

Bianchi, Assessore Scuola, formazione<br />

professionale, università e ricerca,<br />

lavoro della Regione Emilia Romagna, al<br />

quale abbiamo rivolto alcune specifiche<br />

domande sul ruolo che l’università e la ricerca<br />

scientifica giocheranno nell’immediato<br />

futuro.<br />

Significative alcune dichiarazione<br />

degli amministratori locali dei centri<br />

più colpiti, a favore dell’abbattimento<br />

e ricostruzione dei beni pericolanti e<br />

più compromessi per creare una<br />

nuova socialità. Tale pensiero non<br />

nuoce al vivere sociale?<br />

Innanzitutto mi si permetta di ricordare<br />

che il 17 settembre, a quattro mesi dalla<br />

prima scossa, le scuole hanno ripreso la<br />

loro regolare attività in tutta la regione e<br />

nella stessa area del terremoto, solo una<br />

decina di scuole hanno ritardato di alcuni<br />

giorni l'avvio delle lezioni e molte faranno<br />

doppi turni per poche settimane; l'ultima<br />

scuola prefabbricata sarà consegnata il 15<br />

ottobre e quindi contiamo che per la fine<br />

di ottobre, a cinque mesi dalla prima<br />

scossa si sia tornati a regime. Certamente<br />

rimane da fare moltissimo e questo richiederà<br />

anni, ma forte è il segno di una comunità<br />

che il terremoto non ha<br />

decomposto ma anzi ancor più compattato.<br />

Questo è il risultato, non solo di una<br />

tradizione consolidata di forte senso civico,<br />

ma anche della scelta di volere come commissario<br />

il presidente della Regione assieme<br />

con tutti i sindaci ed i presidenti<br />

delle province, senza discontinuità nel rapporto<br />

tra cittadini ed istituzioni. Questa<br />

continuità ha mantenuto forte anche il legame<br />

fra comunità e luoghi del proprio<br />

vissuto, rifiutando la costruzione di new<br />

town e lavorando fin da subito per il recupero<br />

dei centri storici; se sono stati realizzati<br />

abbattimenti, è stato solo laddove si<br />

sono ravvisati problemi non differibili di si-<br />

curezza, con la impossibilità di ricorrere ad<br />

altri modi di recupero.<br />

Una nuova “socialità” può essere<br />

immaginata senza cancellare necessariamente<br />

il passato? Essa non dovrebbe<br />

crearsi a partire dai luoghi di<br />

formazione per eccellenza? La scuola<br />

e l’Università per esempio.<br />

Questi mesi hanno dimostrato come<br />

l'aver scelto fin da subito di recuperare i<br />

centri storici nella loro totalità, non museificandoli,<br />

ma riprendendo quel percorso di<br />

qualificazione già avviato in passato, stia<br />

pagando in termini di gestione dell'emergenza<br />

e in termini di ricostruzione. La<br />

scuola è stata la priorità assoluta della ricostruzione,<br />

scelta questa che si sta dimostrando<br />

elemento chiave per la difesa<br />

prima, poi per il rilancio del senso di comunità.<br />

Le università stanno contribuendo<br />

a questo sforzo, anche se debbo riconoscere<br />

non sempre con quella funzione di<br />

leadership che ci si poteva attendere.<br />

Durante il concerto per l’Emilia dello<br />

scorso 25 giugno, il Presidente Errani<br />

ha dichiarato dal palco di voler ricostruire,<br />

e che non saranno compiuti gli<br />

errori commessi all’Aquila. Quando si<br />

parla di ricostruzione – di questi giorni<br />

la notizia del decreto del senato sullo<br />

spending review che assegna 6 miliardi<br />

per la ricostruzione di scuole,<br />

ospedali, case ed edifici pubblici –, si<br />

intende anche, secondo il Suo punto<br />

di vista, quella di una identità storica?<br />

Non abbiamo compiuto gli errori de<br />

L'Aquila. Se vi è stato un elemento che ha<br />

caratterizzato questi giorni è stata la riscoperta<br />

dell'orgoglio di appartenenza, che è<br />

divenuto un tutt'uno con il recupero dei<br />

beni culturali- i castelli, le chiese, i palazzi,<br />

che sono stati vissuti come elementi costitutivi<br />

della identità collettiva. Sono molte<br />

le storie, ma ricordo solo Pieve di Cento,<br />

al recupero del Crocefisso e dei quadri<br />

della Collegiata, operate con straordinaria<br />

capacità dalla Soprintendenza, dai Vigili<br />

del Fuoco, dai Carabinieri, ha partecipato<br />

tutto il paese e quando il Crocefisso è<br />

stato portato al sicuro nel Museo del Novecento<br />

– museo voluto da un privato, ma<br />

a disposizione della comunità – questa traslazione<br />

– non trasloco – è avvenuto con<br />

una processione in cui tutto il paese, con<br />

tutte le autorità, ha partecipato.<br />

In questo senso la Regione Emilia<br />

Romagna, in particolare il Suo asses-<br />

Il dramma del sisma offre stimoli per ripensare a talune professioni che potrebbero giocare un ruolo importante per l’immediato futuro<br />

112, 27, 82, 415. Non sono i numeri di una lotteria ma quelli delle<br />

chiese, campanili e delle canoniche danneggiate dal sisma, così come dei<br />

dipinti, sculture e arredi liturgici recuperati dalle macerie. A due mesi dalla<br />

tragedia, Il bilancio sul patrimonio artistico stilato dalla Direzione Regionale<br />

per i Beni Culturali e Paesaggistici, mostra un quadro palesemente<br />

drammatico. Il colpo inferto alla storia dell’arte è durissimo: oltre seicento<br />

i beni lesionati. E su molti edifici, ancora si attende la sentenza di vita o<br />

morte che, come una spada di Damocle, pende sull’identità storica dei<br />

piccoli centri che si snodano lungo la provinciale che collega Ferrara a<br />

Modena. Percorrendo l’entroterra s’intravedono campanili e torri medioevali<br />

diroccate, facciate di chiese e castelli rinascimentali distrutti. Tuttavia,<br />

il terremoto fa riscoprire una provincia che non è anonima o vive<br />

all’ombra delle città capoluogo, ma che pulsa di vita propria, custode di<br />

innumerevoli capolavori. Opere e monumenti che, segnalati come “minori”<br />

o del tutto esclusi dai manuali, sono motivo di orgoglio civico per<br />

le popolazioni che in essi si riconoscono, in quanto testimoni di quella<br />

sensibilità artistica diffusa e capillare che da secoli contraddistingue il nostro<br />

Paese. Incombe inevitabile sull’Emilia il fantasma dell’Aquila, spettro<br />

della cinica speculazione edilizia, sostenuta da una politica compiacente<br />

e scellerata, e della chiusura dei centri storici. Demolire o no? I soldi sono<br />

insufficienti, manca personale, si cercano volontari ovunque e subito è<br />

polemica. È l'ex sovrintendente Elio Garzillo, oggi ad Italia Nostra, a sollevarla.<br />

Troppa leggerezza nelle demolizioni e ritardi organizzativi. Oltre<br />

al caso del Municipio di Sant’Agostino, è quello dell’abbattimento del<br />

campanile di Buonacompra a scatenarne l’ira, a suo avviso solo bisognoso<br />

di piccoli interventi di messa in sicurezza. Un modus operandi che<br />

sa di “pulizia etnica”, dichiara sulle pagine de “Il Giornale” del 21 luglio,<br />

e che apre la strada ad ulteriori possibili demolizioni. Accuse prontamente<br />

respinte dalla soprintendenza regionale che difende il proprio operato<br />

soprattutto circa le tempistiche. Effettivamente, nei giorni appena suc-<br />

sorato, può potenziare il ruolo di coordinamento<br />

che già svolge tra gli<br />

enti che si occupano di istruzione e<br />

formazione e la cittadinanza? In questa<br />

ottica, Cultura e Economia, possono<br />

andare di pari passo, anche e<br />

soprattutto, in tempi di crisi?<br />

La regione ha svolto il proprio ruolo di<br />

coordinamento, come sempre nel rispetto<br />

delle competenze e delle autonomie delle<br />

scuole e delle università. In particolare nell'ambito<br />

della formazione, abbiamo avviato<br />

da due anni e consolidato in questi<br />

mesi un sistema integrato di formazione<br />

tecnica superiore, che colma il vuoto di<br />

profili intermedi che oggi costituiscono il<br />

vero perno dello sviluppo produttivo e<br />

dello stesso processo di rapida globalizzazione<br />

della nostra economia. Il riposizionamento<br />

del Paese a livello globale del<br />

resto può avvenire solo investendo in educazione<br />

– come del resto la Banca d'Italia<br />

continua a ripetere, ricordando che le statistiche<br />

internazionali segnalano invece<br />

che l'Italia è il paese occidentale che<br />

spende meno in educazione e cultura ed<br />

ha i livelli educativi più scadenti.<br />

La Regione potrebbe farsi tramite<br />

con la Comunità europea per il finanziamento<br />

di progetti specifici per la<br />

costituzione di gruppi operativi che<br />

coinvolgano gli studenti sia durante lo<br />

svolgimento del corso di laurea, sia<br />

dopo, come possibile stimolo a un<br />

proseguo negli studi? Potrebbe essere,<br />

a Suo avviso, una possibile<br />

strada che faccia della ricostruzione<br />

un processo virtuoso mirato a rilanciare<br />

il ruolo dell’Università?<br />

La regione gestisce i fondi strutturali europei<br />

e da tempo ha sostenuto i progetti<br />

d'innovazione delle università, sia con<br />

massicci investimenti in ricerca, sia con<br />

progetti didattici finalizzati, ad esempio<br />

connessi con i dottorati. In questa fase,<br />

d'intesa con le università stiamo operando<br />

per mirare con più attenzione queste risorse<br />

verso i temi della ricostruzione. Certamente<br />

queste azioni possono essere un<br />

volano per il rilancio del ruolo delle università,<br />

tuttavia siamo rispettosi delle loro<br />

autonomie e quindi ci attendiamo dagli<br />

atenei iniziative concrete che indichino<br />

come essi, e non solo singoli docenti, vogliano<br />

partecipare fattivamente a questo<br />

grande cantiere civile, già ampiamente in<br />

movimento.<br />

Emilia restaurata<br />

Emilia ritrovata<br />

cessivi la prima scossa era già operativa una squadra formata da 22 architetti<br />

e 19 storici dell'arte, esperti nominati per le primissime verifiche.<br />

E alla data del 23 maggio era anche già stato individuato, in Palazzo Ducale<br />

a Sassuolo (MO), il punto di raccolta per le opere d’arte provenienti<br />

dalle chiese e dagli edifici crollati. Tra le prime a essere ricoverate l’Incoronazione<br />

della Vergine fra i santi Geminiano e Felice opera di Bernardino<br />

Loschi, il cui salvataggio, operato dai Vigili del Fuoco del nucleo Saf di<br />

Genova è, a dir poco, ardimentoso. Il trittico, fino a quel momento conservato<br />

nella parrocchiale di San Felice, chiesa quasi completamente distrutta,<br />

oltre ai danni conseguenti il sisma, resta in balia dell’incessante<br />

pioggia che nei giorni successivi si abbatte sul territorio. Ma, il 25 maggio<br />

la cinquecentesca pala è salva e già in viaggio verso Sassuolo. E in<br />

tempi record, all’ospedale dell’arte si ricovera una Madonna con Bambino<br />

del Guercino, un Crocifisso gotico del Quattrocento e alcune tele del Crespi<br />

e di Vellani. Ulteriore segno di sensibilità e velocità sui tempi, la soprintendenza<br />

lo da avvallando taluni progetti atipici, che nel<br />

coordinamento con le associazioni, FAI e Italia Nostra, sono espressione<br />

della volontà di un superamento delle polemiche e aprono la strada a<br />

nuove modalità lavorative circa gli interventi di restauro. Così nella chiesa<br />

di S. Maria in Vado a Ferrara è allestito il laboratorio che opererà sulla settecentesca<br />

statua della Vergine di Andrea Ferreri. Precipitata dal timpano<br />

la notte del 20 maggio, allo stato attuale essa si presenta frammentata<br />

in ben trecento pezzi. È Italia Nostra, rappresentata da Chiara Toschi Ca-<br />

valiere, ad accogliere e finanziare il progetto promosso dall’artista Maurizio<br />

Camerani, seguito dal benestare della soprintendenza e della Curia. Un<br />

artista contemporaneo in dialogo con un’opera del passato, per la quale<br />

mette in campo la propria professionalità cui concorre quella tecnico-scientifica<br />

della restauratrice Ilaria Cavallari. I lavori, tuttavia, partiranno ufficialmente<br />

solo in ottobre, quando la temperatura esterna (sotto i ventiquattro<br />

gradi per agire su blocchi di pietra arenaria) permetterà di procedere ai<br />

consolidamenti. Camerani in questo progetto, con grande sensibilità e lo<br />

sguardo ben fisso sull’avvenire, ha pensato anche ai giovanissimi, coinvolgendo<br />

nell’operazione gli studenti dell’Istituto d’Arte Dosso Dossi. È da<br />

iniziative come queste che vanno colti stimoli per il ripensamento di talune<br />

professioni e il ruolo che queste potrebbero giocare anche nella ripresa<br />

economica del Paese. Artisti compresi, la cui sensibilità e formazione rappresentano<br />

un’indispensabile e utile chiave d’interpretazione per la comprensione<br />

delle alchimie proprie all’atto creativo. In questi ultimi giorni<br />

arrivano altrettante notizie positive. Partono ufficialmente i restauri su 1089<br />

opere fra quelle alloggiate a Sassuolo, su cui interverranno tre restauratori<br />

dell’Istituto di Conservazione di Roma e dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze<br />

sostenuti da una ventina tra allievi e apprendisti. Restano, invece, ancora<br />

privi di un indirizzo preciso i restauri sulle architetture, di cui si saprà<br />

qualcosa soltanto in autunno, augurandoci che non arrivi poi tanto in<br />

fretta il torpore invernale a rallentare le cose. Apre frattanto i battenti il<br />

MAGI di Pieve di Cento, presentando le opere recuperate dalla Collegiata<br />

di Santa Maria Maggiore. È l’esempio di una comunità che, nell’ostinazione<br />

di trattenere sul territorio i propri tesori, lancia un messaggio fortissimo.<br />

Essa contrappone allo sradicamento la cultura storica, nei cui valori,<br />

compresi quelli artistici, si riconosce. Valori di una tradizione innervata di<br />

senso presente con il quale cifra la propria identità.«La storia siamo noi.<br />

Nessuno si senta escluso».<br />

m.l.p.<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 17


Emilia allungata fra lʼolmo e il vigneto, voltata a cercare quel mare mancante e il monte Appennino rivela il segreto e diventa un gigante… (F. Guccini)<br />

Gusci vuoti<br />

e sistemi fragili<br />

di V<strong>AL</strong>ERIA TAS<strong>SI</strong>NARI<br />

l terremoto che ha iniziato a colpire l’Emilia e la Pianura Pa-<br />

Idana dal 20 maggio scorso ha provocato gravi fratture, superficiali<br />

e profonde, non solo dal punto di vista geologico. Questo<br />

sisma radicalmente destabilizzante, i cui effetti sono ancora attivi<br />

dentro la terra ma soprattutto intorno a noi, sembra infatti<br />

aver provocato la rottura di un sistema di equilibri la cui precarietà<br />

era da molto tempo nascosta dalle consuetudini, dalle convenzioni<br />

e da un’apparente “buona educazione” nelle relazioni<br />

sociali e culturali, immediatamente collassata alle prime scosse,<br />

proprio come le costruzioni più fragili. Lo abbiamo visto in certi<br />

campi per terremotati, dove Italiani e “non Italiani”dovevano<br />

utilizzare servizi e postazioni marcatamente separati; lo abbiamo<br />

sentito nella proclamazione di gerarchie di priorità nelle quali al<br />

primo posto c’era sempre e solo una certa economia; lo abbiamo<br />

vissuto nei comportamenti quotidiani di quanti hanno subito<br />

provato ad approfittare del danno, o a lavarsene le mani. Anche<br />

da noi, sì, anche nella favolosa Emilia dell’accoglienza, dei valori<br />

condivisi, della legalità, dell’arte diffusa. Questa Emilia bella che<br />

naturalmente esiste e prevale, dentro la quale ne cova però<br />

un’altra, venuta fuori come la liquefazione del terreno: cupa,<br />

inaspettata ma non del tutto sconosciuta. In questo scenario ambivalente,<br />

in tensione tra la reazione positiva che il trauma ha<br />

messo in movimento e ciò che fermenta nell’ombra, si pone pienamente<br />

anche la questione dei beni culturali. La questione, più<br />

che la situazione, perché, se i danni subiti dal patrimonio sono<br />

ormai quasi completamente censiti, l’inquieto interrogativo su<br />

come si stia evolvendo la mentalità comune rispetto all’enorme<br />

problema del recupero e dei restauri rivela ampie zone di ambiguità.<br />

Mentre sul piano materiale lo sciame sismico sta continuando<br />

ad agire sommessamente, l’onda lunga degli effetti<br />

psicologici destabilizzati non si attenua: dalla levata di forconi di<br />

chi chiede ai politici demolizioni cieche ed immediate per sbloccare<br />

la viabilità, allo sconsolato lamento di chi vede tutto perduto;<br />

dalla granitica indifferenza di chi ostenta di ignorare le<br />

proprie responsabilità, all’attivismo ingenuo di chi pensa di poter<br />

sopperire alle mancanze delle istituzioni agendo da solo, senza<br />

mezzi e senza guida. Dopo la messa in sicurezza e la rimozione<br />

degli arredi mobili più importanti – azioni che da un lato hanno<br />

visto l’appassionato impegno degli operatori delle Sovrintendenze<br />

e dei Vigili del Fuoco, ma dall’altro hanno causato l’impulsivo<br />

allontanamento delle opere d’arte dalle comunità a cui<br />

appartengono – moltissimi i edifici storici sono stati lasciati in un<br />

limbo di transenne e divieti che durerà molti anni. E chi ha visto<br />

il volto fantasmatico dell’Aquila sa cosa vuol dire veder lasciar<br />

dissolvere la memoria dietro uno scenario di tubi innocenti. Così<br />

il panorama dei beni architettonici, pesantemente compromesso<br />

in molti centri storici e nelle campagne, si mostra ora con la sua<br />

evidenza desolante di inutilizzabili gusci rotti, di edifici tempestivamente<br />

svuotati dei loro contenuti più preziosi e lasciati,<br />

ormai da mesi, a galleggiare in uno stato di sospensione silenziosa<br />

che già sembra accarezzare l’oblio. Con la complicità di<br />

un’estate arida, che ha reso apparentemente meno colpevoli i<br />

ritardi e le indecisioni, decine e decine di chiese scoperchiate, palazzi<br />

squarciati e casali dai tetti accasciati sono rimasti esattamente<br />

come erano dopo la seconda scossa del 29 maggio,<br />

esposti all’oltraggio dei piccioni, che hanno liberamente nidificato<br />

negli interni, e aperti alle intemperie, che presto arriveranno<br />

a devastare. Certamente c’erano altre priorità: la sicurezza, l’economia,<br />

gli alloggi, il culto, la scuola (a favore della quale in meno<br />

di due mesi sono stati trovati centossessantasei milioni di euro).<br />

Ma resta stupefacente quanto il problema della tutela e salvaguardia<br />

di ciò che è rimasto del nostro patrimonio storico sia per<br />

il momento passato in seconda battuta, come se il suo recupero<br />

non potesse essere parte integrante di un piano di rilancio economico,<br />

di difesa dei valori sociali, educativi e spirituali delle comunità,<br />

e non fosse nemmeno un passaggio fondamentale per<br />

la restituzione alla vivibilità di paesi e città. Fortunatamente esistono<br />

anche situazioni emblematiche dell’esistenza di una volontà<br />

nobile e poetica di uscire dalla logica meramente<br />

funzionale dell’emergenza, come testimoniano i volontari che<br />

raccolgono e spazzolano le pietre degli edifici crollati (nella speranza<br />

di poter ricostruire la Torre di Finale Emilia o l’Oratorio Ghisileri<br />

a San Carlo), muovendosi con gesti tanto catartici e dolenti<br />

da ricordare una celebre performance in cui Marina Abramovic<br />

ripuliva una catasta di ossa. Ma troppi sono ancora i nodi irrisolti,<br />

preoccupanti e poco spiegabili. Ad esempio risponde a logiche<br />

che nemmeno i fedeli sembrano comprendere la scelta della<br />

Curia che, senza manifestare alcuna intenzione di ripristinare i<br />

propri edifici di pregio, nelle diocesi più colpite ha rapidamente<br />

predisposto ingenti investimenti (mediamente cinquecentomila<br />

euro per ogni parrocchia) per allestire strutture lignee temporanee<br />

per il culto. E se, nell’omertoso silenzio della politica e<br />

delle istituzioni, sono i parrocchiani stessi a contrastare con forza<br />

tanti discutibili progetti di prefabbricati, invocando che tutte le<br />

risorse siano invece subito utilizzate per i restauri delle chiese storiche,<br />

forse qualcosa si sta veramente spezzando, all’interno di sistemi<br />

più fragili di quanto ci saremmo aspettati. Ecco perché,<br />

mentre piccole scosse continuano a lavorare sotto e sopra la superficie,<br />

il livello di attenzione deve restare ero molto alto anche<br />

negli occhi e nella memoria.<br />

18 gea<br />

Art numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

Diamo un passato<br />

al contemporaneo<br />

Quale prospettiva<br />

per il patrimonio artistico<br />

per le iniziative culturali<br />

per le nuove generazioni?<br />

di LINDA GEZZI<br />

Ore 4,04 del mattino. Un enorme boato fa tremare l’Emilia.<br />

Il tempo pare essersi fermato in quell’alba del 20<br />

maggio scorso quando la terra decide che è ora di alzarsi<br />

e di guardare il mondo da un’altra prospettiva: dal<br />

basso, dal pavimento dove si ammassano cumuli di macerie.<br />

Le strade sono transennate, uomini al lavoro armati di paletta indicano<br />

deviazioni possibili, percorsi alternativi sono da scegliere.<br />

Numerose persone abitano case nuove, le tende, nelle loro non possono<br />

più stare. I bambini, inconsciamente felici, com’è proprio della<br />

loro innocente età, festeggiano l’anticipata estate.<br />

Improvvisamente tutto cambia, cambiano le priorità e in un attimo<br />

iniziano i bilanci: le vittime, i crolli. A tutto ciò si aggiunga la terribile decisione,<br />

che spetta a chi di competenza, dello scegliere cosa salvare e<br />

cosa demolire. Le vittime in questo caso sono i beni culturali. Moltissime<br />

le chiese danneggiate, i monumenti inagibili giudicati pericolanti per la<br />

pubblica sicurezza e forse, in alcuni casi, con eccessiva fretta demoliti.<br />

La televisione racconta tutto ciò ma racconta anche della difficile situazione<br />

in cui versa la Grecia, del fatto che probabilmente per l’Europa<br />

sarebbe più comodo, per quel che concerne una ripresa generale, estrometterla.<br />

«La Grecia fuori dall’Europa?» questa la domanda più frequente<br />

del momento. La risposta possibile è soltanto una, irrevocabile<br />

e insindacabile: «No». La Grecia costituisce le fondamenta del nostro<br />

ieri, è la nostra storia ed è per questo che non possiamo fare a meno<br />

di lei. Lasciando da parte riflessioni di tipo economico, la sollecitazione<br />

risulta – a mio avviso – interessante e potrebbe essere applicata anche<br />

alla tematica dei beni culturali. Non intendo giudicare decisioni ormai<br />

prese, né fare l’elenco dei meriti e dei demeriti al riguardo, solo stimolare<br />

una riflessione sul fatto che forse domina una carenza di affezione<br />

in molte persone nei confronti delle proprie radici, della propria storia.<br />

Il mondo dell’arte ci ha donato “ferite” memorabili che al di là di un apparente<br />

follia celano significati inestimabili. Lo stesso non si può dire<br />

della ferita, tutt’oggi aperta e sanguinante, presente in piazza Marconi<br />

a Sant’Agostino. In questo piccolo paesino, nel 1864, venne edificato<br />

il municipio e per anni e anni è stato il simbolo della comunità locale,<br />

luogo prediletto per feste e ricevimenti che erano soliti tenersi nel salone<br />

consiliare il cui soffitto era decorato da una pittura risalente ai primi<br />

anni Venti dello scorso secolo. Sono bastati pochissimi secondi per cancellare<br />

centocinquanta anni di storia. La comunità si è divisa tra chi era<br />

favorevole all’abbattimento («era un dovere farlo ed era inevitabile, è<br />

stato triste ma doveroso») e chi, invece, si è battuto fino all’ultimo per<br />

impedirlo («le bombe si usano in guerra, non siamo in guerra»). E mentre<br />

tremende invettive colpiscono chi ha difeso a spada tratta il municipio<br />

c’è chi compila, sia pur in lacrime, l’elenco delle opere da<br />

abbattere. Una verità assoluta non può esistere ma di fronte alla domanda:<br />

«Cosa resta oggi di quella storia?» la risposta è una sola: «Non<br />

resta niente». Abbiamo il dovere di dare un passato al contemporaneo,<br />

di salvaguardare la nostra storia e le nostre radici e questo per non<br />

perderci per sempre. Si può ancora farlo, anche a Sant’Agostino dove<br />

cumuli di macerie in attesa di essere rimossi giacciono (alla data del 9<br />

agosto vedi immagine) “impacchettati” al suolo, avvolti dal classico<br />

lenzuolo bianco, il cencio della morte. Cencio che chi scrive propone di<br />

lasciare a futura memoria, macerie comprese; si interpelli Christo e mai<br />

l’artista bulgaro rifiuterà il suo genio per simile impresa. In questo modo,<br />

pur avendo distrutto il passato, avremo costruito il futuro.<br />

di FEDERICA ZABARRI<br />

All’ombra dei portici bolognesi, Concetto Pozzati ci accoglie<br />

nel suo studio: un’infilata di stanze ricche di libri, colori, pennelli<br />

e poi bozzetti e opere di un’energia straordinaria si susseguono<br />

in un crescendo di emozioni, che ci accompagnano<br />

per tutta l’intervista.<br />

Maestro Pozzati, nonostante le sue origini non siano emiliano-romagnole,<br />

questo territorio è sempre stato per lei un riferimento.<br />

Qual è il suo rapporto con questa terra?<br />

È vero. Io mi sento bolognese a tutti gli effetti. Mi sento talmente bolognese<br />

che a suo tempo fui piacevolmente ‘ricattato’ da questa città. Da Parigi<br />

sentivo che Bologna mi chiamava: in quel momento era fantastica. Si<br />

viveva in maniera deliziosa, non c’era orario, la notte si discuteva, c’erano ristoranti<br />

sempre aperti e si stava insieme tra poeti, scrittori, letterati. Si leggevano<br />

poesie, si parlava di libri, delle mostre viste. Allora era, secondo me,<br />

una delle città più vive d’Italia: Roma era stupendamente mondana, con il<br />

suo asse Roma - New York, Milano tutta professionale con quello Milano -<br />

Londra. Noi eravamo in mezzo. (…) Erano gli anni in cui iniziò a circolare la<br />

rivista “Officina”, fondata tra gli altri da Pasolini, che ci diede grande energia.<br />

Personaggi come Francesco Lionetti, Pietro Bonfiglioli, Roberto Roversi,<br />

lo stesso Pasolini erano qui a Bologna, tutta una generazione con la quale<br />

passavo il mio tempo di ragazzo, ad ascoltarli.<br />

Mentre oggi? Sono molto cambiate le cose?<br />

Adesso è tutto più difficile, ma è il mondo dell’arte intero ad essere mutato,<br />

non solo Bologna. La crisi è molto pesante ed il mercato è più bloccato<br />

che mai. Non mancano le possibilità di esporre, ma il mercato sembra tutto<br />

spostato tra l’America e l’Inghilterra seguendo solo le logiche dei grossi in-<br />

Quel che resta del municipio di Sant’Agostino dopo la demolizione<br />

Una terra che non si piega<br />

Raccogliere<br />

schedare, catalogare<br />

la memoria<br />

di CARLA DI FRANCESCO*<br />

Per la vastità dell’area colpita e la gravità dei danni sappiamo già<br />

che saranno necessari decenni, ma il patrimonio sarà restaurato<br />

anche con le integrazioni ricostruttive necessarie là dove si siano verificati<br />

crolli estesi. È di fatto con questa finalità che si provvede, edificio<br />

per edificio, alla raccolta delle macerie con conseguente<br />

catalogazione dei materiali da costruzione: un lavoro che stiamo affrontando<br />

anche con il contributo di volontari qualificati e associazioni.<br />

Probabilmente alcune delle chiese e campanili crollati per intero<br />

sono da considerarsi perduti per sempre: tuttavia in casi come questi<br />

le decisioni non potranno non tenere conto del desiderio delle popolazioni<br />

che da questi beni si sentono fortemente rappresentate.<br />

Con il decreto legge 74, poi divenuto legge, sono stati assegnati 5 milioni<br />

di euro che non sono certo sufficienti a sostenere la lunga e complessa<br />

fase di ricostruzione che sarà necessaria. Si tratta infatti di<br />

intervenire su 1730 beni (tutelati con specifico provvedimento o tutelati<br />

ope legis) colpiti spesso in modo grave e il cui danno può essere<br />

stimato ben oltre i 2 miliardi. È stata inoltre rivolta una specifica richiesta<br />

al Fondo di Solidarietà della Comunità Europea, ma l’importo,<br />

qualora accettata la richiesta, non potrà superare il 5% del danno<br />

stimato. La Direzione Regionale e le Soprintendenze stanno svolgendo<br />

sul territorio un grandissimo lavoro non solo sui beni immobili<br />

ma anche su quelli storico-artistici. Sono 1086, provenienti da 79<br />

siti diversi, gli oggetti e le opere d’arte tratte in salvo per essere ricoverate<br />

e poi restaurate a cura dell’Istituto Superiore per la Conservazione<br />

ed il Restauro e dell’Opificio delle Pietre Dure, presso le sale del<br />

piano terreno del Palazzo Ducale di Sassuolo attrezzate in poche settimane<br />

di formidabile lavoro con tutte le strumentazioni utili ad un<br />

primo soccorso. Il Centro realizzato a Palazzo Ducale è la risposta propositiva<br />

e pronta ad una terra che ha scosso le case, le fabbriche, i<br />

monumenti e l’animo delle persone ma non ha piegato la loro proverbiale<br />

forza di volontà e il desiderio, che è in tutti noi, di rinascere.<br />

*Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici<br />

dell’Emilia Romagna<br />

In alto: macerie dell’Oratorio di Ghisiglieri Alta<br />

Sull’originarietà, cioè l’origine e l’originalità<br />

L’Emilia nello sguardo di Concetto Pozzati, tra memoria e drammatica realtà<br />

vestitori, della pubblicità e della moda. Adesso posso dire: purtroppo. Purtroppo<br />

ho amato Bologna, perché in molti sono dovuti andarsene per avere<br />

successo e oggi la sensazione è che la città stia diventando sempre più<br />

‘stretta’.<br />

Con i recenti avvenimenti sismici, la maggior parte del patrimonio<br />

artistico-architettonico emiliano ha subito ingenti danni, se non la<br />

totale distruzione. Quali sfide crede, si troverà ad affrontare oggi il<br />

nostro territorio?<br />

Credo ci siano due grandi elementi di cui tener conto, due elementi forti,<br />

impressionanti, che sono poi anche le linee interne a tutto il mondo dell’arte:<br />

l’originarietà, cioè l’origine, e l’originalità. Originarietà vuol dire andare alle<br />

fonti, andare alla storia e quindi conservare la memoria e allora restaurare. Il<br />

che non vuol dire riparare una crepa, o riedificare semplicemente un muro,<br />

ma significa prima di tutto, sopra ogni cosa, ristabilire i valori, atto civile che<br />

va sempre perseguito. Però credo che vada anche considerata quella parte<br />

di contemporaneità e di moderno che va inevitabilmente ad inserirsi nella<br />

parte della restaurazione. Questa è la grande difficoltà nel fare architettura<br />

moderna in un centro storico, perché bisogna essere dei ‘colossi’ per capire<br />

veramente certe cose, per avere una forte visione d’insieme. E questo è un<br />

problema molto grande. Come metti a posto l’antico con il moderno? Una<br />

città non è certo come un percorso di un museo a sale. Come sarà l’impatto?<br />

Il problema nostro è proprio questo chiasmo, in questo incrocio tra la rappresentazione<br />

e la presentazione. Una frase che io credo ci faccia ancora<br />

sperare è di un grande vecchio e anche insopportabile come de Chirico: «Andare<br />

oltre la crosta del mondo». Molti artisti sono ‘diventati il mondo’, sono<br />

diventati molto importanti, ma quanti di loro sono andati oltre?…<br />

In alto: Pablo Picasso<br />

Massacre en Corée<br />

18 gennaio 1951, Olio su<br />

compensato, cm 110 x 210<br />

Al centro: Pablo Picasso<br />

Paul en arlequin<br />

19<strong>24</strong>, Olio su tela, cm 130 x 97,5<br />

In basso: Pablo Picasso<br />

Nu couché<br />

4 avril 1932, Olio su tela,<br />

cm 130 x 161,7<br />

Opere del Musée National<br />

Picasso di Parigi © Succession<br />

Picasso by <strong>SI</strong>AE 2012<br />

Bari, Castello Normanno-Svevo<br />

Bonnard, Signac e Matisse<br />

llestita fino al 28 ottobre al Castello<br />

ANormanno-Svevo di Bari la mostra<br />

“Dopo l’Impressionismo. Il nuovo sguardo<br />

sulla natura in tre opere di Bonnard, Signac<br />

e Matisse” s’inscrive nel progetto pluriennale<br />

“Viaggio in Italia. Capolavori dai<br />

musei del mondo”, promosso dalla Direzione<br />

Generale per la Valorizzazione del<br />

Patrimonio Culturale in collaborazione con<br />

l’Alef. Un progetto che mira alla fruizione<br />

di capolavori di istituzioni internazionali e alla valorizzazione di<br />

siti italiani. Il museo partner dell’edizione 2012 è la Fondazione<br />

Bemberg di Toulouse che ha prestato alcuni tra i suoi capolavori<br />

a tre castelli italiani: tre dipinti di Lucas Cranach il Vecchio al Castello<br />

di Miramare; opere fiamminghe alla Rocca di Gradara e i dipinti<br />

di Bonnard, Signac e Matisse al Castello di Bari. Opere che<br />

testimoniano di un nuovo modo di trascrivere la luce e il colore<br />

all’indomani dell’impressionismo. In mostra Il ponte dei Santi<br />

Padri di Bonnard, cifrata da una semplificazione formale di gusto<br />

Nabis; Alberi in fiore di Signac, dichiara l’impronta neoimpressionista<br />

e pointillista. Infine Matisse con La falesia di Aval e il cottage<br />

a Etretat, un ritratto di vita quotidiana dei pescatori di Etretat<br />

accesao da una gamma di colori puri e freddi. L’allestimento<br />

scelto suggerisce un senso di isolamento delle tre opere dall’ambiente<br />

che le accoglie; cioè rinuncia a dialogare con il luogo, con<br />

le dissonanze tra la monocromia della pietra, la policromia delle<br />

ceramiche esposte nella sala. Diciamo è stata un’ulteriore occasione<br />

mancata di far dialogare la storia.<br />

Valentina Murgia<br />

In alto: Paul Signac, Alberi in fiore<br />

(particolare), fine XIX secolo<br />

Firenze più sedi<br />

Film Festival sulle arti visive<br />

i terrà dal 21 al 27 novembre a Firenze<br />

Sla V edizione del Festival Internazionale<br />

di Film sulle Arti Visive Contemporanee,<br />

nella storica sala del Cinema Odeon,<br />

presso Cango Cantieri Goldonetta ed altri<br />

luoghi della città. Quest’anno importanti<br />

novità; oltre agli approfondimenti sulle<br />

pratiche dell’arte di oggi raccolti nella sezione<br />

“Festival Talks”, ci saranno progetti<br />

come “Focus On”, sezione dedicata ad un celebre artista internazionale<br />

che sarà ospite del festival e VI<strong>SI</strong>O – European Workshop<br />

on Artists’ Cinema, rivolto a 15 giovani artisti under 35 che<br />

affronteranno la selezione per il Young Talents Award del Festival<br />

Kino derKunst di Monaco di Baviera (<strong>24</strong>-28 aprile 2013). Nelle<br />

sezioni “Sguardi” e “Cinema d’Artista”, importanti anteprime<br />

nazionali come Opalka. One Life, OneOeuvre (fotografia) di Andrzej<br />

Sapija, riflessione sul tempo e i tempi, UnfinishedSpaces di<br />

Alysa Nahmias e Benjamin Murray, indagine sulla storia (e la conclusione)<br />

dell’ambizioso progetto di Fidel Castro e Ernesto Che<br />

Guevara, la National Art Schools di Cuba degli architetti Garatti,<br />

Gottardi e Porro. Da rilevare anche le opere di Corinna Beltz sull’artista<br />

Gerard Richter e di Khaled Hourani e RashidMasharawi<br />

con Picasso in Palestina. Sono da rilevare inoltre, la proiezione<br />

del vincitore del Turner Prize Gilliam Wearing con Self Made, Piattaforma<br />

Luna prodotto da Maurizio Cattelan e Il Capo di Yuri<br />

Ancarani. Nel corso del Festival sarà proiettato il vincitore del<br />

“Premio Lo Schermo dell’Arte” 2011, Incompiuto siciliano. La<br />

trasformazione del reale del gruppo Alterazioni Video.<br />

Tommaso Capecchi<br />

A Bologna<br />

arte contemporanea<br />

Lʼarte è una bugia che ci fa intuire la verità, perlomeno la verità che ci è dato di comprendere (Picasso)<br />

Il rivoluzionario consapevole<br />

Pablo Picasso torna a Milano<br />

Dopo le esposizioni del 1953 e del 2001 oltre duecento<br />

opere provenienti dal celebre Museo parigino<br />

a lui dedicato in mostra a Palazzo Reale fino a gennaio<br />

di MARINA LA MANNA<br />

Con le armi del disegno e del colore Picasso<br />

si proponeva di portare avanti la<br />

sua personale rivoluzione (ci perdoni<br />

Camus per aver conferito al termine<br />

tale accezione positiva) perché la conoscenza<br />

degli uomini e del mondo lo conducesse,<br />

giorno dopo giorno, alla conquista della vera libertà.<br />

Sin dai suoi primi esordi pittorici, quando la<br />

«mancanza di imperizia ed innocenza», come egli<br />

racconta, lo rendeva già abile con gli strumenti pittorici<br />

al punto da disegnare con una tale precisione<br />

accademica che quasi lo spaventava, Picasso non<br />

ha mai esitato a pensare e ripensare il suo vocabolario<br />

artistico declinandolo di volta in volta con esiti<br />

sorprendenti. È nel nome di Picasso che Palazzo<br />

Reale riapre i suoi spazi al maestro spagnolo, ospitando<br />

a Milano, fino al 6 gennaio 2013, l’imponente<br />

retrospettiva che conterà oltre duecento<br />

capolavori provenienti da Parigi.<br />

Curata da Anne Baldassari, direttrice del Musée<br />

National Picasso, la mostra è stata possibile grazie<br />

alla momentanea chiusura per lavori di ristrutturazione<br />

della sede parigina. L’antologica offre così<br />

l’opportunità di seguire il percorso artistico di questo<br />

protagonista indiscusso dell’arte del XX secolo.<br />

Nato nel 1881 a Malaga, fanciullo dal talento precoce,<br />

entra a soli tredici anni all’Accademia di Belle<br />

Arti di Barcellona, proseguendo quindi gli studi a<br />

Madrid. L’atmosfera di Parigi, dove si reca per la<br />

prima volta nel 1900, inciderà profondamente sulla<br />

sua evoluzione artistica. L’excursus cronologico dispiegato<br />

nell’allestimento della mostra traccia le<br />

tappe principali della produzione di Picasso, dalla<br />

Celestina del 1904, avvolta nel blu paradigmatico<br />

del periodo in cui le sue tele si popolavano di figure<br />

figlie di un’umanità dolente, a opere come Uomo<br />

con il mandolino (1911), Chitarra (1913) e Bicchiere<br />

e pipa, cifra e lettere (1914), che narrano lo sviluppo<br />

del Cubismo, destinato a segnare profondamente<br />

la cultura del XX secolo. Gertrude Stein, sua grande<br />

amica e collezionista, scriveva di come il Cubismo<br />

fosse già un «prodotto naturale della Spagna», nato<br />

in alcuni paesaggi dipinti da Picasso nella sua terra<br />

natale, memori della lezione dell’ultimo Cézanne e<br />

di certe forme di scultura iberica, ma ancora lontani<br />

da qualsiasi contaminazione con l’arte negra.<br />

L’elenco delle opere esposte contempla, naturalmente,<br />

altri capolavori eccellenti che testimoniano<br />

anche il cambio di rotta dell’artista prima che il Cubismo<br />

si configurasse come una «dittatura [che] pesava<br />

su Montmartre e Montparnasse», secondo le<br />

parole di Jean Cocteau: in Ritratto di Olga (1918),<br />

Paul come Arlecchino (19<strong>24</strong>) e ancora nella celebre<br />

gouache Due donne che corrono sulla spiaggia (La<br />

corsa) del 1922 si concretizzano la nuova grammatica<br />

del ritorno alla verosimiglianza dell’immagine e,<br />

ancora, la lezione della tradizione artistica italiana,<br />

assimilata da Picasso durante il viaggio del 1917<br />

nella penisola e visibile nella solida muscolatura delle<br />

sue possenti figure che stupiscono per la leggiadria<br />

dei loro movimenti in corsa. E non mancano i dipinti<br />

ispirati dalle sue muse, amori e amanti, tra cui il famoso<br />

Ritratto di Dora Maar (1937), dalle dita affilate<br />

e lo sguardo aperto su visuali contrastanti. L’esibizione<br />

di Palazzo Reale dispiega anche una grande<br />

quantità di sculture, fotografie, disegni, libri illustrati<br />

e stampe, configurandosi come un vero e proprio<br />

excursus cronologico sulla produzione di Picasso,<br />

mettendo a confronto le tecniche e i mezzi espressivi<br />

con i quali l’autore si è cimentato nella sua lunga<br />

carriera. «La collezione del Musée Picasso – scrive la<br />

curatrice nel catalogo – rappresenta dunque il lavoro<br />

picassiano in progress, i suoi imprevisti, i suoi<br />

balzi in avanti o le sue resipiscenze, i suoi meandri<br />

e i suoi ripiegamenti. Vi si può osservare la pittura<br />

che diventa scultura, e viceversa, nell’invenzione di<br />

dimensioni intermedie». Palazzo Reale accoglie,<br />

dunque, per la terza volta «l’opera geniale e fondativa<br />

di Pablo Picasso, dopo le grandi mostre del<br />

1953 e del 2001», ha detto l’assessore alla Cultura<br />

Stefano Boeri. E alla mostra del 1953 sarà dedicata<br />

una sezione, curata da Francesco Poli e ampiamente<br />

documentata, che raccoglie le testimonianze<br />

di un evento che ebbe una portata culturale<br />

e ideologica straordinaria, quando la grande tela di<br />

Guernica (1937) venne esposta per la prima volta in<br />

Italia grazie all’intervento di Attilio Rossi che convinse<br />

Picasso a spostarla dal MoMA di New York<br />

alla Sala delle Cariatidi, con le sue architetture ancora<br />

sconvolte per le offese subite dalla città in seguito<br />

ai bombardamenti aerei durante la guerra.<br />

L’antologica si configura dunque come un grande<br />

ritorno a Milano del maestro spagnolo. L’occasione<br />

di poter meditare sull’opera di un artista consapevole<br />

di aver vissuto appieno la sua epoca assimilandone<br />

voracemente lo spirito del tempo: «Tutto<br />

quello che io ho sempre fatto – scrive Picasso – era<br />

fatto per il presente e con la speranza che rimanesse<br />

sempre nel presente. […] Ogni volta che<br />

avevo qualcosa da dire l’ho detto come credevo di<br />

doverlo dire».<br />

Lo stile tra Writing e Street Art<br />

idea si collega a quella di Francesca<br />

L’ Alinovi, che aveva concepito “Arte<br />

di frontiera – New York Graffiti”, realizzata<br />

solo dopo la sua morte a cura della<br />

Galleria d’Arte Moderna di Bologna, nel<br />

1984.<br />

La città è stata la prima in Italia, e tra le<br />

prime in Europa, ad ospitare le opere di<br />

Keith Haring, Jean-Michel Basquiat e<br />

Kenny Scharf, della Scuola di New York. A quasi trent’anni di<br />

distanza Fabiola Naldi e Claudio Musso spingono di nuovo Bologna<br />

all’avanguardia di un rinnovamento, attraverso i linguaggi<br />

contemporanei. Anzi, fanno di più. Una mostra site<br />

specific, dialogo aperto tra la città e la società, perché la ragion<br />

d’essere del Writing e della Street Art sta proprio nel rapporto<br />

con quei muri che la strutturano e la costruiscono, una<br />

città.<br />

“Frontier – La linea dello stile” è un progetto articolato in<br />

due fasi, una operativa affidata a 13 artisti italiani e stranieri,<br />

tra questi Phase II, Eron, Honet, Does, Cuoghi Corsello, M-City,<br />

Daim, Rusty, i quali hanno lavorato sui muri dell’edilizia residenziale<br />

pubblica bolognese dialogando con la strada e sulla<br />

strada, attraverso il Writing e la Street Art.<br />

La seconda fase, più istituzionale, sarà affidata al MAMbo,<br />

che organizzerà un convegno internazionale nel gennaio<br />

2013, al fine di storicizzare e contestualizzare l’importanza, il<br />

ruolo e l’evoluzione di queste due discipline.<br />

Barbara Olivieri<br />

In alto: Eron per FRONTIER<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 19


arte contemporanea<br />

Sono colpito da quelle persone che sanno creare nuovi spazi con le parole giuste (A. Warhol)<br />

FOSDINOVO Residenze di artisti contemporanei nella magia della Toscana<br />

Un Castello<br />

in “Movimento”<br />

fra passato<br />

e futuro nel cuore<br />

della Lunigiana<br />

di FEDERICA PACE<br />

Giunta alla quarta edizione, anche quest’anno,<br />

da maggio ad ottobre, si rinnova l’iniziativa<br />

culturale del Castello Malaspina di Fosdinovo<br />

in provincia di Massa - Carrara. Il Castello, di<br />

cui la prima documentazione risale al IX secolo,<br />

è un monumento simbolo di quest’area della Toscana,<br />

racchiusa tra il litorale tirreno, le colline della<br />

Lunigiana e le Alpi Apuane. Celebre per aver ospitato<br />

Dante durante il suo esilio, diventa oggi un luogo di produzione<br />

e d’incontro fra artisti e scrittori, centro di condivisione<br />

di differenti linguaggi contemporanei.<br />

L'idea del progetto “Castello in Movimento” nasce nel<br />

2008 con l'obiettivo di fare del Castello Malaspina di Fosdinovo<br />

un luogo di pensiero e di produzione, sede di iniziative<br />

condivise e promotore di progetti internazionali.<br />

Sono invitati ad abitarlo scrittori di ogni nazionalità, un artista<br />

internazionale e, nel corso dell’estate, sono organizzati<br />

laboratori, giornate di studio aperte al pubblico,<br />

spettacoli di teatro ed eventi di musica e danza contemporanea.<br />

Ogni anno l’attenzione della residenza per autori<br />

è focalizzata su un paese ospite, del quale si intende<br />

offrire una panoramica letteraria. Questa edizione è dedicata<br />

all’Argentina. Oltre a scrittori argentini che abitano il<br />

Castello dandosi il cambio nel periodo di residenza, sono<br />

invitati altri autori scelti per la particolare rilevanza internazionale.<br />

Perseguendo l’obiettivo di diffusione della letteratura<br />

20 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

italiana contemporanea, accanto alla residenza degli scrittori<br />

si affianca un programma di residenza per traduttori<br />

curato da Theodora Delavault. Il traduttore invitato quest’anno,<br />

di madrelingua inglese, è Richard Dixon.<br />

Non sono tuttavia trascurati gli scrittori italiani al quale<br />

è riservato un progetto del tutto particolare: un comitato<br />

di suggeritori indica cinque scrittori sotto i quaranta anni<br />

invitati in residenza. Gli scrittori italiani lavorano a un racconto<br />

scritto nel Castello in <strong>24</strong> ore, oggetto poi di una lettura<br />

pubblica. L’insieme dei racconti va a formare il quarto<br />

quaderno di Castello in Movimento.<br />

Sotto la direzione artistica di Alberto Salvadori, si svolge<br />

il programma della residenza per artisti. Un artista viene<br />

quindi invitato a vivere nel Castello per alcuni mesi e dal<br />

dialogo con il luogo nasce la sua opera che viene esposta<br />

e lasciata come traccia del suo passaggio. Quest’anno partecipa<br />

l’artista danese Tue Greenfort, la cui opera va a far<br />

parte della collezione permanente assieme a quelle di<br />

Anna Franceschini, di Emanuele Becheri e Flavio Favelli,<br />

che, con Riccardo Benassi, l’hanno preceduto, nel progetto<br />

di residenza.<br />

Artista ospite è invece Francesco Gennari invitato per un<br />

mostra aperta per tutta la stagione estiva.<br />

Da non trascurare è l’attività che, dall’ormai decennale<br />

collaborazione fra il Castello di Fosdinovo e Lunatica Festival,<br />

porta in scena la danza contemporanea. Per saperne<br />

di più www.castellodifosdinovo.it<br />

Parigi, Musée d’Art Moderne<br />

Segni della guerra: Francia 1938-1947<br />

Dal 12 ottobre al 17 febbraio, il Musée<br />

d’Art Moderne de la Ville de Paris indaga<br />

con la mostra “L’art en guerre- France<br />

1938-1947 -De Picasso à Dubuffet” una<br />

pagina della storia francese che pone le<br />

basi dell’arte contemporanea occidentale.<br />

L’esposizione getta uno sguardo<br />

completo sullo scenario artistico francese,<br />

sulle evoluzioni o involuzioni che<br />

gli anni del secondo conflitto mondiale e<br />

le pressioni dell’occupazione nazista<br />

hanno esercitato nei repertori stilistici e<br />

formali dei principali protagonisti delle<br />

avanguardie in Francia e nei risultati delle<br />

successive ricerche pittoriche.<br />

Milano, Galleria Credito Valtellinese<br />

Orma dopo orma, andare e tornare<br />

Un’opera di Andrea Dalla Barba<br />

L’Associazione illustratori italiani unitamente<br />

alla Fondazione Gruppo Credito<br />

Valtellinese di Milano bandisce, nel 2011,<br />

un concorso i cui esiti confluiranno, dal<br />

19 ottobre al 2 dicembre 2012 presso la<br />

Galleria del suddetto Gruppo, nella retrospettiva<br />

“LE METAMORFO<strong>SI</strong> DEL VIAG-<br />

GIATORE. Stati mentali, onirici e reali del<br />

partire e del tornare”, dove l’affascinante<br />

e intrigante tema del viaggio è raccontato<br />

da fumetti, carnet de voyage, illustrazioni<br />

e schizzi. Ogni autore “narra” i propri<br />

spostamenti in terre più o meno lontane<br />

senza scordare i viaggi forse più interessanti:<br />

quelli della mente.<br />

Salerno, Punto Einaudi<br />

“Una volta”, memorie di Marco Natale<br />

Dal 6 ottobre al 2 novembre a Napoli, poi<br />

a Salerno dal 10 novembre al 27 dicembre,<br />

Marco Natale, artista partenopeo<br />

classe 1975, porta in mostra le opere del<br />

ciclo, avviato nel 2009 “Una volta”. Suggestionato<br />

dal tema della memoria,<br />

mosso dall’interesse per la storia, Natale<br />

guardando ad una pratica molto in uso<br />

nelle esperienze attuali, indaga il valore<br />

evocativo di vecchie stampe fotografiche,<br />

un repertorio ritrovato tra le immagini di<br />

famiglia, ingrandite e modificate attraverso<br />

interventi pittorici e di acidi corrosivi.<br />

Il risultato è un casellario di immagini<br />

latenti riportate all’orizzonte.<br />

Oliviero Toscani a Pescara<br />

I volti del mondo nei click del fotografo<br />

Oliviero Toscano<br />

Berlingeri a Catanzaro e Padova<br />

Le tele piegate e la fisicità del gesto<br />

Doppio appuntamento, nell’autunno<br />

del 2012, con l’artista calabrese Cesare<br />

Berlingeri. Ad aprire la stagione espositiva<br />

sarà la Fondazione Rocco Guglielmo<br />

che, in collaborazione con Hub<br />

Calabria, la sezione dedicata ai giovani<br />

artisti calabresi, presenterà ad ottobre,<br />

presso la Casa della Memoria e la<br />

Chiesa di Sant'Omobono di Catanzaro,<br />

una serie di opere che riassumono il linguaggio<br />

artistico di Berlingeri. Dal 7 dicembre<br />

al 27 gennaio 2013 il Centro<br />

culturale Altinate/San Gaetano di Padova,<br />

ospiterà un’antologica a cura di<br />

Luca Beatrice.<br />

in vetrina<br />

Jean Fautrier, Testa d’ostaggio n.1<br />

(particolare), 1944<br />

Marco Natale, Una volta, tecnica mista<br />

su stampa fotografica<br />

«La fotografia, come l’arte, è movimento<br />

da fermo, l’artista è un nomade mentale<br />

che si muove e si sposta non con il suo<br />

corpo ma con il peso della materia con la<br />

quale realizza le sue opere». Con queste<br />

parole Achille Bonito Oliva presenta la<br />

mostra “Razza Umana”, vera e propria<br />

galleria infinita di ritratti di varia e anonima<br />

umanità realizzati nel corso di questi<br />

anni da Oliviero Toscani. È una viva<br />

rappresentazione della coesistenza e, al<br />

tempo stesso, delle differenze tra individui<br />

che abitano la sfera chiamata mondo.<br />

Fino al 20 ottobre in Piazza della Rinascita<br />

a Pescara.<br />

Cesare Berlingeri, Giallo piegato, 2003<br />

olio su tela piegata, coll. priv.<br />

HANNO COLLABORATO: Linda Gezzi, Ardesia Ognibene,<br />

Pasquale Ruocco, Maria Letizia Paiato, Annamaria Restieri<br />

Berlino. Da est<br />

a ovest<br />

lungo e oltre la U5<br />

Tendenze artistiche e maestosi<br />

progetti architettonici<br />

fra Alexanderplatz<br />

e la Porta di Brandeburgo<br />

di MARIACHIARA GASPARINI<br />

Icavalli della quadriga sulla porta di Brandeburgo rivolgono lo<br />

sguardo a est verso Alexanderplatz, quasi a voler rincorrere i turisti<br />

che si affollano lungo il largo viale Unter den Linden che nasconde<br />

il proseguimento della linea 5 della metropolitana<br />

berlinese (U-Bahn). La U5 al momento si allunga solo nella Berlino<br />

est fino a Hönow; nonostante la fitta rete di linee raggiunga ogni<br />

angolo della città e il muro sia caduto più di venti anni fa, il tratto fra le<br />

più importanti zone dell’ex DDR e la BRD è ancora in costruzione. In superficie,<br />

da entrambi i lati, maestose architetture si susseguono l’una<br />

dopo l’altra per incontrarsi nella Museuminsel [isola dei musei], patrimonio<br />

Unesco dal 1999. Alexanderplatz sembra ancora lontana dall’aristocratica<br />

porta di Brandeburgo, tuttavia proprio la Berlino est negli<br />

ultimi vent’anni è diventata la zona più dinamica e produttiva della città.<br />

Gallerie d’arte, negozi di moda vintage, circhi ambulanti notturni di circensi<br />

catalani e bistrò in stile parigino affollano le strade e i vicoli di Saint<br />

Nikolai e della zona circostante Warschauer Strasse. Lasciandosi alle<br />

spalle punk e gruppi heavy metal si prosegue lungo le provvisorie pensiline<br />

di legno e cemento che raggiungono la Schlossplatz, ovvero Il<br />

grande spazio verde che dallo scorso anno ospita l’Humboldt Box; architettura<br />

contemporanea e museo provvisorio che informa del grande<br />

progetto museale in apertura nel 2016 - si spera!- e che un tempo ospitava<br />

il Berliner Stadschloss [Palazzo della città di Berlino].<br />

Chiamato Humboldt Forum, il nuovo edificio affiancherà il Duomo e<br />

gli altri musei statali di Berlino appartenenti alla Fondazione del patrimonio<br />

culturale Prussiano, e combinerà assieme i mancanti Museum für<br />

Asiatische Kunst [Museo di Arte Asiatica], l’Etnologisches Museum<br />

[Museo di Etnologia], l’Università Humboldt e la Zentral und Landesbibliothek<br />

Berlin [Biblioteca Centrale e Regionale di Berlino]. I primi due<br />

dovranno spostarsi infatti da Dahlem-Dorf, nella parte sud-ovest della<br />

città, nonché nel campus della Freie Universität [Libera Università],<br />

aperta nel 1948 come contro-risposta alla più prestigiosa e severa Humboldt<br />

nella zona est. Tutto ben presentato nel Humboldt Box, caleidoscopio<br />

temporaneo di quello che vuole essere il più grande progetto<br />

culturale europeo. Rifacimento dell’antico palazzo barocco distrutto nel<br />

1950 per ordine di Walter Ulbricht, Capo del Concilio di Stato dell’allora<br />

Repubblica Democratica di Germania e del partito comunista,<br />

l’Humbolt Forum porterà alla luce tesori unici mai visti prima, molti dei<br />

quali sopravvissuti ai bombardamenti della seconda guerra mondiale.<br />

Proseguendo oltre l’Altes Museum [Museo Vecchio] si arriva all’Alte<br />

Nationalgalerie [Vecchia Galleria Nazionale], dalla quale si intravede la<br />

nuova sinagoga dalle cupole dorate. L’edificio ristrutturato nel 1995<br />

sorge sulla strada più famosa e turistica di Berlino: la Oranienenburg<br />

Strasse. La strada è da sempre rinomata per le passeggiate di prostitute<br />

succinte in shorts e stivaloni di lattice, perfettamente integrate fra<br />

i locali, i bar e i turisti che vi sostano fra una galleria e un caffè, probabilmente<br />

più incuriositi dal mix socio-culturale che da una presunta sacralità<br />

ebraica. Quasi all’incrocio con la Friedrichstrasse si incontra la<br />

Tacheles. Ex magazzino in fase di demolizione, questa fatiscente “casa<br />

d’arte” è gestita da un collettivo di artisti liberi che spaziano dalla<br />

La nuova<br />

Potsdamer<br />

Platz<br />

Il Sony Center<br />

Nel 19<strong>24</strong> veniva istallato il primo semaforo<br />

d’Europa, da allora Postdamer Platz ha subito<br />

distruzioni e rinnovamento imposti dai governi<br />

tedeschi dell’ultimo secolo. Su un progetto<br />

d’insieme di Renzo Piano questo ex crocevia è<br />

oggi uno dei maggiori centri d’attrazione turistica<br />

che ospita il Beischeim Center, il Daimlercrysler<br />

Contemporary e il Daimlercity. Qui si<br />

trova anche il Sony Center. Con una piazza centrale<br />

coperta da una tenda di vetro, questa architettura<br />

contemporanea, luogo di ritrovo<br />

popolare, ospita anche il Filmmuseum Berlin e la<br />

Kaisersaal, sala neo-roccocò dell’ex Hotel Explande,<br />

opera prebellica spostata dalla posizione<br />

originale, è diventata uno dei ristoranti più<br />

creativi di Berlino.<br />

Nella foto: Sony Center, Postdamer Platz, Berlin<br />

Lungo<br />

la via<br />

della seta<br />

fino a Berlino<br />

stampa, ai gioielli creati con posate riciclate, a vere e proprie sculture in<br />

metallo nell’area espositiva esterna, dietro all’edificio. Tra bambini multietnici<br />

i che scorrazzano liberi fra un ingresso e l’altro, e genitori dalla<br />

mani sporche d’arte può capitare di trovarsi coinvolti in collettivi gay, politici,<br />

animalisti, new age o semplicemente intellettuali. Non importa il<br />

gruppo, la nazione o il colore a Berlino ognuno fa quello che vuole,<br />

passando da un estremo all’altro senza pensarci troppo su! A Berlino si<br />

diventa artisti facilmente e viene da chiedersi se davvero sia tutta arte<br />

quella che si vede!<br />

Oltrepassati i ristoranti asiatici dai grandi ombrelloni colorati e continuando<br />

sulla Friedrichstrasse si taglia di nuovo per la Unter den Linden.<br />

Il paesaggio cambia, i negozi si allargano, gli interni mostrano un design<br />

moderno e curato, e la merce esposta è decisamente più firmata<br />

che vintage. I palazzi antichi riportano alla mente antiche nobiltà prussiane<br />

e improvvisamente il contesto “hippy 2000” svanisce per dare<br />

spazio ai grandi magazzini francesi Galerie Lafayette. Il Französische<br />

Dom [Duomo francese] e il Deutscher Dom [Duomo tedesco], entrambi<br />

costruiti all’inizio del XVIII secolo e rinomati per splendide cupole a gallerie<br />

progettate da Carl von Gontard sembrano lontano dal moderno<br />

contesto artistico berlinese; più in linea con lo stile monumentale della<br />

Staatopera o dell’Università Humboldt che vanta nomi come Engel,<br />

Marx, i fratelli Grimm, Albert Heinstein e Max Planck. Opere di restauro<br />

hanno riportato allo splendore di un tempo marmorei colonnati e statue<br />

di bronzo, eppure cartelli anticapitalisti, antieuropei o forse solo anti<br />

crisi non mancano. «Politischer Krieg ist Krieg!» [La guerra politica è<br />

guerra!] è solo uno dei tanti slogan abbandonati dopo una delle varie<br />

proteste quotidiane lungo il grosso viale che porta alla quadriga.<br />

Questa Berlino est sembra lontana dai movimenti finanziari di Francoforte,<br />

sembra lontana dalla cattolica e tradizionale Baviera; forse più<br />

vicina ad un contesto sociopolitico-artistico come quello di piazza del<br />

Gesù nuovo a Napoli. Seguendo i numerosissimi Ampelmann (uomo<br />

semaforo, indiscusso logo della città) sui vari souvenir che si affollano<br />

Èuno dei tesori più importanti al mondo<br />

quello portato a Berlino dalle quattro spedizioni<br />

prussiane nel bacino del Tarim, in Cina. Gli<br />

archeologi Grünwedel e Van le Coq all’inizio<br />

del secolo scorso ritornarono con pitture murarie,<br />

sculture, utensili, manoscritti e frammenti<br />

tessili da Kizil a Turfan, lungo la Via della seta<br />

settentrionale. Conservati nel Museo di arte<br />

asiatica a Dahlem- Dorf , queste collezioni includono<br />

esempi di cultura cinese, uigura, tocaria<br />

e di altre popolazioni che seguirono le vie del<br />

Buddhismo quanto quelle del Manicheismo o<br />

del Nestorianesimo. La magnifica collezione tessile<br />

e alcuni dipinti ancora mai esposti faranno<br />

parte di una delle istallazioni permanenti del<br />

futuro Humboldt Forum.<br />

Nella foto: Museo di Arte Asiatica, Dahlem Dorf, Berlin<br />

La RAW<br />

Il tempio<br />

dell’Est<br />

nell’attualità<br />

metropolis<br />

Parigi è sempre Parigi e Berlino non è mai Berlino! (J. Lang)<br />

acronimo RAW sintetizza il più lungo Rei-<br />

L’ chsbahnausbesserungswerk ovvero officina<br />

di riparazioni della Reichsbahn (Ferrovie dello<br />

Stato) distrutta dopo la riunificazione del paese.<br />

Dal 1999 l’associazione RAW - Tempel ha affittato<br />

alcune sale dell’ex officina per creare progetti<br />

interculturali. Seguendo la scia dei graffiti,<br />

in linea con la lo stile dell’ est, si raggiunge la<br />

RAW dalla fermata della S-Bahn (metropolitana<br />

extraurbana tedesca) di Warschauer Strasse. Locali<br />

e ristoranti etnici si susseguono uno dopo<br />

l’altro ravvivando la vita notturna della capitale<br />

sulla Revalstrasse. La Raw è rinomata soprattutto<br />

per club quali il Cassiopea, dall’ampio programma<br />

musicale nonostante il discutibile audio,<br />

e il mercato domenicale delle pulci.<br />

Nella foto: Murales al RAW, Friedrichshain, Berlin<br />

A lato: Humboldt Box, Schlossplatz<br />

In alto: Quadriga sulla Porta di Brandeburgo<br />

Sopra: Linea U5 in costruzione lungo la Unter der Linden<br />

Testi e immagini ©Mariachiara Gasparini, 2012<br />

verso e oltre la porta di Brandeburgo, si arriva alla quadriga. L’Ambasciata<br />

americana e l’Accademia di Belle Arti l’affiancano e si affacciandosi<br />

sulla Pariser Platz; nonostante le architetture moderne, essenziali e<br />

luminose, è l’immancabile caffetteria Starbuck che ricorda davvero la<br />

fine della guerra e la liberazione. Segno di globalizzazione mondiale la<br />

catena americana è riuscita a varcare anche le porte della Città Proibita<br />

a Pechino. La sua Trinacria verde è il marchio costante di scambio di doveri<br />

e piaceri internazionali risolti in un espresso un po’ troppo lungo e<br />

un frappuccino, variante postmoderna di un cappuccino freddo.<br />

La porta di Bradeburgo segna la storia tedesca: la fine dell’Impero<br />

Prussiano, dell’entrata nazista, di quella comunista e la rinascita di un<br />

città che da appena vent’anni sembra essere tornata libera. La porta<br />

segna anche l’ingresso all’ex Berlino ovest e alle grandi architetture contemporanee<br />

che emergono a destra e sinistra dell’ex Reichstag [parlamento<br />

del Reich tedesco], oggi Bundestag [parlamento federale<br />

tedesco]. Rinnovato nel 1995, il parlamento viene quest’anno celebrato<br />

in un film di circa trenta minuti proiettato sui i muri del Marie Elisabeth<br />

Lüders Haus, edificio inaugurato nel 2003 che ospita la biblioteca del<br />

parlamento e che ha preso parte dello spazio dedicato al Parlamento<br />

degli alberi, opera dell’artista Ben Wagin dedicata ai morti al muro di<br />

Berlino. Lo spettacolo di luci e musiche che accompagna la proiezione<br />

del film al calare del sole, intitolato Dem deutschen Volke. Eine parlamentarische<br />

Spurensuche. Vom Reichstag zum Bundestag [Al Popolo<br />

tedesco. Un viaggio attraverso la storia parlamentare, dal Reichstag al<br />

Bundestag] è uno dei migliori esempi di visual art berlinesi, affascinante<br />

quanto l’oramai famoso memoriale dell’Olocausto, labirinto di steli che<br />

occupa lo spazio adiacente l’Ambasciata americana proseguendo per<br />

la “nuova” Postdamer Platz.<br />

Berlino prosegue, in largo e in lungo in continuo mutamento, tuttavia<br />

sembra che proprio la U5 abbia il compito di riunire definitivamente<br />

la città e riportarla agli antichi splendori prussiani e a quelli contemporanei<br />

dell’urban art europea.<br />

Le “strade”<br />

dell’arte<br />

contemporanea<br />

no-stop<br />

Tutta la zona circostante Rosenthler Platz è<br />

un continuo susseguirsi di gallerie e negozi<br />

di arte contemporanea. Si è appena conclusa<br />

alla Deschler Gallery, lungo la Auguststrasse, la<br />

mostra “Broken Heroes” (Eroi infortunati) di Patricia<br />

Waller. Eroi dei fumetti come sculture di<br />

maglia presentati accidentati: dall’ Uomo Ragno<br />

impigliato nella propria rete al Superman distrutto<br />

contro un muro. Di diverso tipo la mostra<br />

di Tanja Koljonen e Jaana Maijala alla<br />

Gallery Taik, sulla Bergstrasse. In “Repetitive gestures”<br />

(Gesti ripetitivi) sono stati presentati alcune<br />

delle opere della cosiddetta “Scuola di<br />

Helsinki”; nuovo movimento di fotografia scandinavo<br />

che propone metodi espressivi naturali<br />

e di cooperazione con altre forme d’arte.<br />

Nella foto: Patricia Waller, Sperman, Deschler Gallery<br />

Auguststrasse, Berlin<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 21


architettura/design/ambiente<br />

La coscienza dipende dallʼimmaginazione e lʼimmaginazione occupa un posto centrale nellʼanima (J. Hillman)<br />

Nella Villa Romana<br />

di Minori<br />

le videoinstallazioni<br />

di Studio Azzurro<br />

Il progetto “Ozi marittimi”<br />

per il rilancio di simili vestigia<br />

della Costa d’Amalfi<br />

di PAOLA CONGIUSTÌ<br />

Nel cuore del piccolo centro urbano di Minori si trova<br />

un prezioso complesso archeologico. Si tratta di una<br />

villa romana costruita durante il principato di Tiberio<br />

tra il 14 a C. e il 37 d.C. Aperta al pubblico dal 1954,<br />

è il monumento simbolo delle ville d’otium romane<br />

sulla Costa d’Amalfi. Questo tratto di costa, con le sue insenature e il<br />

paesaggio selvatico era il luogo ideale per costruire una villa d’ozio. Il<br />

ricco cittadino romano vi veniva a trascorrere un periodo di riposo lontano<br />

dagli affari e dalla vita tumultuosa della città; dedicandosi ,da<br />

solo o con pochi amici, alla lettura, alla composizione di testi, agli<br />

studi, alla meditazione e al buon cibo. In questo contesto abitativo si<br />

realizzava il c.d. otium letteratum: una vera e propria filosofia di vita,<br />

generata dal culto delle virtù e dai piaceri del buon vivere.<br />

Uno stile di vita, quello delle ville gentilizie romane, che Studio Azzurro,<br />

gruppo di ricerca artistica di livello internazionale nel settore<br />

delle installazioni multimediali, propone negli spazi della villa romana<br />

di Minori facendo rivivere con suggestioni di luci, racconti sonori e<br />

proiezioni di immagini, le abitudini degli antichi romani. Le stanze<br />

sono animate da ombre, colori, suoni, come se la villa fosse nuovamente<br />

in attività. Sarà possibile assistere a riti propiziatori, alla preparazione<br />

del banchetto e anche a una tempesta notturna. Studio<br />

Azzurro prendendo spunto da testi letterari e iconografie antiche<br />

gioca ancora con la magia delle immagini per evocare, dall’alba fino<br />

al calar del sole, la vita quotidiana sulle sponde della Costiera Amalfitana.<br />

Continum vitae, l’ intervento artistico di Studio Azzurro, rientra nel<br />

progetto ideato dal Comune di Minori - finanziato dalla regione Campania<br />

e dalla Soprintendenza de Beni Archeologici - che è “Ozi marittimi,<br />

le ville romane della Costa d’Amalfi”. Un vero e proprio<br />

itinerario turistico culturale che mette insieme il Comune di Minori –<br />

soggetto capofila – con il territorio di Vietri sul Mare, di Positano e di<br />

Tramonti, dove sono presenti altre abitazioni romane. Lo scopo di questo<br />

ambizioso progetto, che si presenta però tutto in salita per una<br />

serie di problemi strutturali della villa, è di rinnovare l’offerta turistica.<br />

Rendendo permanente il percorso espositivo delle installazioni multimediali,<br />

si spera di riaccendere l’interesse anche sull’importante attività<br />

del Museo Archeologico di Minori, di cui la villa romana fa parte.<br />

Sui Musei e sui progetti artistici in Italia, rivolgiamo qualche domanda<br />

a Leonardo Sangiorgi di Studio Azzurro.<br />

Secondo alcuni critici e storici dell’arte i Musei sono diventati<br />

involucri vuoti o addirittura dei Luna-Park; e si teme una deriva<br />

definitiva di questa istituzione. Ma Studio Azzurro sta rivolgendo<br />

le sue idee progettuali proprio sui musei: i “ Musei<br />

Tematici”.<br />

Parlerei a questo proposito dei “Musei di Narrazione”. Sono Musei<br />

che hanno la particolarità di non esporre apparentemente niente ma<br />

di attingere a quella grande mole di beni culturali immateriali che sono<br />

Il filo di Ulassai<br />

Il Museo Stazione<br />

dell’Arte<br />

e i suoi nuovi<br />

viaggiatori<br />

Ulassai, provincia (ancora per poco) ogliastrina. Millecinquecento<br />

anime circa e la Fondazione Museo Stazione dell’Arte nata nel<br />

2006 dopo la donazione dell’ormai novantenne Maria Lai al proprio<br />

paese natio di 120 opere. Eppure il progetto dell’artista sarda ha radici<br />

più lontane, nell’idea che l’arte sia anche educazione alla convivenza<br />

civile e all’accettazione della diversità ed è soprattutto per questo che<br />

già dagli anni Settanta, tornata alle pendici delle sue grotte, avvia una<br />

serie di attività che faranno di questo piccolo paese un museo a cielo<br />

aperto per le cui strade si dipana un percorso di opere che sotto forma<br />

di gioco spiega l’arte contemporanea mediante un filo unico che non<br />

è solo quello dei telai rivisitati dalla Lai, ma è sopra ogni cosa un filo metaforico<br />

che unisce la cultura moderna con la tradizione rendendo consapevoli<br />

gli uomini di una propria partecipazione attiva alla storia.<br />

Stesso filo che riconduce a quei tre edifici che sul finire dell’Ottocento<br />

furono costruiti come capolinea di un treno che, in dodici ore da Cagliari<br />

portava fino all’entroterra sardo. Un luogo espositivo che oggi,<br />

nonostante le fatiche di un’economia instabile, propone un orario continuato<br />

di apertura su un calendario che copre tutto l’anno, esponendo<br />

le opere della Lai a rotazione ma anche promuovendo e curando mostre<br />

di artisti noti, pièces teatrali, concerti e accogliendo, infine, nel periodo<br />

invernale le scolaresche di tutta l’isola, portando avanti quel<br />

progetto didattico intrapreso dalla stessa Maria Lai.<br />

Marcella Ferro<br />

Nella foto: Maria Lai, Fiabe intrecciate, 2007 Ulassai<br />

Museo Stazione dell’Arte<br />

22 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

la memoria, i ricordi, le testimonianze che costituiscono il bene comune,<br />

il valore artistico storico in questi musei, prezioso e insostituibile<br />

perché esposto grazie al meccanismo del “dono” fatto da coloro<br />

che le narrazioni le hanno profondamente vissute. I Musei di Narrazione<br />

non sono involucri vuoti, anzi essendo dei grandi convogliatori<br />

di emozioni, sono pieni di pubblico e delle loro esperienze. Non sono<br />

dei Luna Park, perché nei nostri Musei Narrativi, ma direi da sempre,<br />

Studio Azzurro, in tutte le sue opere e realizzazioni non ha mai esibito<br />

la tecnologia come spettacolo ma anzi occultandola accuratamente<br />

l’ha utilizzata per creare suggestioni nella quale il visitatore, vivendo<br />

in prima persona un’esperienza, non si trova come nei musei tradizionali,<br />

con un “punto di vista”, di fronte ad un opera ma, coinvolto<br />

come visit-attore, agisce dentro l’opera stessa.<br />

Alcuni progetti come Valentia Sensibile, a Vibo Valentia, o il<br />

Museo della Mente, a Roma, stentano a partire. Pare non si riesca<br />

a superare il giorno della cerimonia di inaugurazione!<br />

Colpa del catering?<br />

In un certo senso si! Ovviamente non parlo in senso gastronomico,<br />

quello nel bene o nel male, è sempre apprezzato. Parlerei più in generale<br />

del senso del “nutrimento”culturale, del sentire profondamente<br />

la necessità dell’alimento culturale, adoperandosi per<br />

cibarsene, accostandosi a una mensa collettiva aperta a tutti i gusti e<br />

ai molteplici sapori. A parte la metafora culinaria, cito un’altra cosa<br />

che mi ha colpito con grande emozione, in questo periodo di italica<br />

crisi. Subito dopo il terribile tsunami, il Governo Giapponese diffuse<br />

un comunicato nel quale dichiarava l’intenzione di mantenere in calendario<br />

e realizzare, compatibilmente all’agibilità del territorio, tutti<br />

gli eventi culturali programmati in quel periodo. Non posso fare a<br />

meno di ammirare questa scelta; una grande dichiarazione di investimento<br />

sulla cultura e di fiducia nel ritenere la cultura, uno dei motori<br />

principali non solo per una ripresa economica ma anche di ricostruzione<br />

di un patrimonio ambientale e di una ricostituzione dell’ anima<br />

identitaria.<br />

Il progetto “Ozi marittimi” è ammirevole e va salutato con ottimismo,<br />

ma il rilancio del patrimonio archeologico costiero forse richiede<br />

Arte in pinacoteca a Follonica<br />

Un'installazione<br />

multimediale<br />

per “La Città<br />

Visibile 2012”<br />

Giunge al termine “La Città Visibile 2012”, mostra diffusa che racconta<br />

Grosseto e la Maremma contemporanea: un modo di porre<br />

nei registri dell’attualità un percorso narrativo dei luoghi e del territorio.<br />

Le metamorfosi e le nuove percezioni dell'urbano sono al centro<br />

del progetto, che per circa un mese, attraverso esposizioni d'arte, di fotografia<br />

e di architettura, conferenze e seminari, ha presentato un'immagine<br />

nuova del territorio, lontana dagli stereotipi da cartolina.<br />

Follonica raccoglie il testimone da Massa Marittima e Magliano: la pinacoteca<br />

ospita rappresentazioni di una città aperta e solidale, opere<br />

inedite e work in progress, lavori di documentazione ed esperienze di<br />

arte relazionale. Inaugura il 12 ottobre l'installazione multimediale Cemento<br />

Armato, un progetto di Emilio e Andrea Gozzi. Le fotografie di<br />

Emilio ritraggono i grattaceli in cemento sorti negli anni più bui della<br />

speculazione. Andrea, musicista e ricercatore, interpreta le immagini in<br />

bianco e nero con suoni e filmati che ne sottolineano il significato. Il<br />

video si sviluppa per sovrapposizioni, associazioni di idee, sguardi di<br />

viandanti che attraversano la città e come se tra i due artisti si fosse instaurato<br />

un dialogo creativo su un territorio comune, quello urbano:<br />

luogo per antonomasia dell’idea di presente. Il suono è stato registrato<br />

in tempo reale, adoperando un software appositamente sviluppato a<br />

tal fine. Durante l'inaugurazione, sarà condotto un dibattito sul ruolo<br />

delle istituzioni e delle associazioni nella gestione e promozione dell'arte<br />

sociale.<br />

Claudia Gennari<br />

Nella foto: Emilio e Andrea Gozzi, Cemento Armato, fotografia<br />

qualche sforzo in più. A mio parere, esso potrà costituire una vera attrattiva<br />

turistica culturale, quando l’opinione pubblica sarà persuasa<br />

che la tecnologia più spettacolare stia andando di pari passo ad un<br />

umano impegno di conservazione e manutenzione del siti stessi. Mi<br />

chiedo, la tecnologia più sofisticata potrà convivere con una terribile<br />

umidità? Potrà distrarci dai mosaici che si staccano come bottoni o<br />

dalle pareti che si scrostano sulle nostre teste? Spenti tutti gli interruttori<br />

e i riflettori, la magia scomparirà e si sentirà la goccia sul pavimento<br />

e lo sbriciolarsi degli intonaci. Questa è la realtà del nostro<br />

otium che è inerzia, è indolenza , è pigrizia.<br />

Nelle foto: La rappresentazione teatrale che Studio Azzurro<br />

ha messo in scena il 29 aprile nel patio della villa<br />

Daniel Buren a Scolacium<br />

Il passato<br />

rivive<br />

nel corpo<br />

di forme nuove<br />

Daniel Buren è il protagonista della settima edizione di “Intersezioni”,<br />

la rassegna di scultura che, dal 2005, si tiene durante il<br />

periodo estivo nel parco archeologico di Scolacium a Roccelletta di Borgia.<br />

Il progetto dal titolo “Costruire sulle vestigia: impermanenze.<br />

Opere in situ”, in mostra finio al 14 ottobre 2012, è stato curato da Alberto<br />

Fiz su due sedi espositive: il museo MARCA di Catanzaro, dove<br />

sono esposti disegni che mostrano gli aspetti strutturali, gli esiti spaziali<br />

e le dinamiche relazionali a cui sono sottoposte le sue opere e i centri<br />

nevralgici del sito archeologico. Ad accogliere lo spettatore, file di ulivi<br />

perfettamente allineati, i cui basamenti circolari a bande verticali bianche<br />

e verdi, abbracciano gli enormi tronchi, conferendo loro un aspetto<br />

monumentale. L’artista francese, crea un’interazione tra natura, storia<br />

e contemporaneità, evidenziata dagli inserti in plexiglass che ricoprono<br />

la fenditura dell’abside e l’oculo della Basilica bizantina. La distanza tra<br />

mondo antico e contemporaneo viene annullata sia dall’elementarità<br />

plastica e spaziale della Cabane éclatée, un fabbricato caratterizzato da<br />

pannelli metallici riflettenti e alternati a superfici piane blu, gialle, nere<br />

e rosse, sia dalla sinergia linguistica che le 53 colonne lignee a strisce<br />

bianche e rosse instaurano con i resti dell’antico colonnato del Foro. La<br />

reinvenzione spaziale si coglie nella struttura in alluminio riflettente<br />

posta al centro del Teatro, che duplica la visione offrendo nuovi scenari<br />

e possibilità narrative.<br />

Annamaria Restieri<br />

Nella foto: Daniel Buren, Cabane éclatée aux 4 couleurs, 2012<br />

Parco Archeologico di Scolacium<br />

di GIUSEPPE DI MURO<br />

molto Venezia perché è unica. Ma Napoli in<br />

qualche modo rappresenta forse meglio di ogni<br />

altra città l’idea stessa che ha animato questa<br />

Biennale. Un luogo ideale, un “Common<br />

«Amo<br />

Ground” dove le bellezze della natura e la ricchezza<br />

della cultura hanno sempre dovuto fare i conti con le contraddizioni<br />

e i conflitti, più o meno violenti, della società». Così conclude<br />

l’intervista che l’architetto londinese David Chipperfield (1953), direttore<br />

della tredicesima Biennale d’Architettura di Venezia, ha rilasciato<br />

a Stefano Bucci ed apparsa sulle colonne della “Lettura” supplemento<br />

domenicale del “Corriere della Sera”.<br />

La città di Partenope per le sue contraddizioni, gli accesi conflitti sociali,<br />

ma anche per le sue bellezze e la vivacità culturale, esplicita sinteticamente<br />

il tema scelto da Chipperfield sul quale ha chiamato a<br />

confrontarsi sessantasei progetti realizzati da architetti, fotografi, artisti,<br />

critici e studiosi. Il “Common Ground”, ossia il terreno comune dell’architettura,<br />

potrebbe essere quindi, il prendersi cura della bellezza del<br />

mondo costruendo con dignità e collettiva responsabilità. Ciò guardando<br />

al destino del paesaggio, al riuso e ad un futuro sostenibile, così<br />

come nell’utopia teorica di William Morris ben chiarita in L’arte e la<br />

bellezza della terra (1881). Una scelta di campo oramai obbligata e<br />

che necessariamente deve puntare al recupero dell’intesa tra professione<br />

e società, riconsiderando interlocutori privilegiati i cittadini e i<br />

molti partecipanti al processo di costruzione della città.<br />

David Chipperfield, in conferenza stampa – la prima è stata organizzata<br />

alla Facoltà di Architettura di Valle Giulia –, presentando il tema<br />

scelto ha invitato gli architetti a lasciare a casa Narciso e a focalizzare<br />

l’attenzione sulle preoccupazioni e sui dubbi che l’architettura vive in<br />

questo momento, così particolare per l’intero sistema, per il globale<br />

processo di sopravvivenza. «Cerchiamo di capire, ha affermato, come<br />

il lavoro degli architetti incide sulla società, al di là dei personali percorsi<br />

professionali. Raccontate le vostre ansie, non mostrate solo le vostre<br />

glorie». L’invito è a lasciare nei propri cassetti «i vostri landmark e portate<br />

un vostro contributo personale alla definizione di un programma<br />

innovativo che dimostri che l’architettura è una disciplina collettiva».<br />

Ideali sui quali l’architetto inglese ha costruito la sua identità e la sua<br />

fama internazionale, pensando all’architettura come disciplina che si<br />

interroga sugli elementi che la compongono, ma anche sulle finalità<br />

che persegue, sui vincoli che la condizionano, sugli strumenti con cui<br />

Calatrava disegna<br />

la struttura<br />

nello spazio<br />

La trasposizione dal progetto<br />

esecutivo a quello cantierabile<br />

DI ANTONIO GIULIANO<br />

Nessun particolare significato dovrebbe essere collegato al nome di una città (R. Musil)<br />

In Laguna le forme<br />

della tredicesima<br />

Biennale<br />

di Architettura<br />

“Common Ground”, terreno comune<br />

per riaffermare una cifra<br />

culturale costituita non solo<br />

da singoli talenti ma anche<br />

da un ricco patrimonio di idee<br />

differenti riunite in un’unica storia<br />

essa agisce nei luoghi, negli spazi, nelle “architetture”. Molti degli invitati<br />

hanno risposto presentando proposte originali e installazioni realizzate<br />

espressamente per questa Biennale, coinvolgendo e condividendo<br />

il proprio progetto con altri colleghi, proprio nello spirito del<br />

“Common Ground”. In mostra a Venezia, dallo scorso agosto, 118<br />

presenze le cui opere disegnano un unico percorso espositivo distribuito<br />

su 10mila metri quadri che, dal Padiglione Centrale ai Giardini va<br />

all’Arsenale. Ai Giardini oltre ai 29 padiglioni storici dei Paesi stranieri,<br />

sono stati allestiti il Palazzo delle Esposizioni e l’ex Padiglione Italia, al<br />

cui interno l’ala Pastor è stata completamente ristrutturata per fare<br />

posto alla nuova sede della Biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti<br />

Contemporanee (ASAC). Si tratta di uno straordinario allestimento che<br />

offre elevati standard di consultazione, con attrezzate sale di lettura per<br />

il pubblico. Il Padiglione Italia (ampliato da 800 a 1.800 mq), che si af-<br />

«L<br />

a scultura è alla base della mia ricerca<br />

formale, al servizio sia della mia architettura<br />

che della mia ingegneria», Santiago<br />

Calatrava, architetto-ingegnere catalano.<br />

Lavorando con materiali più diversi, dal<br />

marmo all’ebano, dall’argento alla ceramica,<br />

ha realizzato opere che sembrano anticipare<br />

i suoi progetti, dalle piccole unità statiche di<br />

grande eleganza e raffinatezza, ad arditi<br />

frammenti di materiali pesanti che sfidano<br />

le leggi dell’equilibrio.<br />

Santiago Calatrava archistar del movimento<br />

contemporaneo capace di controllare<br />

e mettere a sistema la componente<br />

statica e quella estetica, realizzando opere<br />

senza limitazioni linguistiche ed espressive. I<br />

simboli della sua architettura sono le infrastrutture,<br />

ed in particolare ponti progettati<br />

in tredici paesi dei Mondo, tra i quali: ponte<br />

Alamillo (Siviglia, 1992), ponte Alameda<br />

(Valencia, 1995), ponte De La Mujer (Buenos<br />

Aires, 1998). Tra gli ultimi il ponte pedonale<br />

della Costituzione a Venezia, opera<br />

nella quale la struttura è portata al limite e<br />

“messa a nudo”, evidenziandone l’elevata<br />

componente estetica. Nel 2008 è stato inaugurato<br />

il quarto ponte del Canal Grande di<br />

Venezia, dopo quello dell’Accademia, di<br />

Rialto e degli Scalzi, il ponte della Costituzione<br />

che collega piazzale Roma con la stazione<br />

ferroviaria Venezia – Santa Lucia.<br />

La forma del ponte, lungo 81 metri e altezza<br />

massima 10 metri, è ad arco ribassato,<br />

scelta che implica un sistema di sostegno<br />

con forti spinte laterali sulle sponde, distribuite<br />

in direzione tangenziale al terreno e<br />

non perpendicolarmente, scelta che ha<br />

comportato una fondazione composta da<br />

un plinto sotterraneo e da una parte fuori<br />

terra a forma di cuneo.<br />

Ulteriore complicazione del sistema statico<br />

di scarico è data dal disegno della pianta che<br />

si allarga al centro (larghezza da ml 6,00 a<br />

ml 9,00), scelta che consente la sosta ai pedoni<br />

senza intralciarne il passaggio.<br />

La struttura del ponte è costituita da una<br />

serie di elementi tubolari in acciaio, che uniti<br />

ricordano la costolatura di una “spina dorsale";<br />

le 74 vertebre sono di dimensioni diverse<br />

e sono state saldate fra loro in tre<br />

“conci” distinti. I materiali utilizzati sono<br />

l’acciaio, verniciato rosso, per la struttura; il<br />

vetro, la pietra d’Istria e Trachite Grigia Classica<br />

di Montemerlo per i pavimenti; il vetro<br />

e l’ottone per i corrimano, all’interno sono<br />

stati installati dei led.<br />

La realizzazione del progetto di Calatrava<br />

ha incontrato molte difficoltà a partire dalla<br />

cifra stanziata in seguito all’appalto (vinto a<br />

ribasso), che successivamente è quasi quadruplicata.<br />

I problemi sopraggiunti nel corso della<br />

realizzazione dell’opera sono sostanzialmente<br />

quattro e sono a stretto contatto con<br />

l’incapacità previsionale di alcuni attori coinvolti:<br />

“stato geologico dei muri di sponda”,<br />

architettura<br />

faccia da un lato sulle Gaggiandre e sulle Tese cinquecentesche e dall’altro<br />

sul Giardino delle Vergini, è stato “rimmaginato” dall’installazione<br />

paesaggistica a firma dello studio inglese Gustafson-Porter.<br />

Diciotto gli eventi ufficiali e le mostre collaterali accolte in città, proposti<br />

da enti e istituzioni nazionali e internazionali. Con il taglio etico<br />

suggerito dal tema di quest’anno, si torna quindi a parlare di architettura,<br />

spiega Paolo Baratta, presidente della Biennale, per sostenere gli<br />

architetti ad uscire dalla crisi d’identità che stanno vivendo e, al tempo<br />

stesso, offrire al pubblico la possibilità di guardare dentro l’architettura,<br />

renderla familiare e scoprire che a essa si può chiedere qualcosa,<br />

creando un’interazione pronta ad individuare e a “risolvere” le esigenze<br />

di organizzazione dello spazio in cui viviamo. Il contributo che<br />

la Biennale può dare, continua Baratta, è rimediare allo scollamento tra<br />

architettura e società civile. Nella kermesse veneziana un ruolo determinante<br />

è quello offerto dai Padiglioni delle 55 Nazioni partecipanti,<br />

con mostre che rispondono alle prospettive di curatori diversi. Per la<br />

prima volta sono presenti i Padiglioni dell’Angola, della Repubblica del<br />

Kossovo, del Kuwait e del Perù. Il Leone d’Oro alla carriera è andato all’architetto<br />

portoghese Álvaro Joaquim de Melo Siza Vieira, meglio<br />

noto come Álvaro Siza (1933): riconoscimento che non è un atto dovuto<br />

a uno degli interpreti più noti dell’architettura contemporanea,<br />

bensì il riconoscimento collettivo, di un’intera vita dedicata totalmente<br />

all’architettura come pratica artistica, come interpretazione soggettiva<br />

e critica del mondo. Riconoscimento che si affianca ai successi avuti in<br />

occasione di concorsi internazionali, ai numerosi premi – l’“Alvar<br />

Aalto” e il “Pritzker” – o agli innumerevoli studi e pubblicazioni a lui<br />

dedicati e soprattutto alle sue grandi opere in Europa: dalla ricostruzione<br />

del Chiado a Lisbona alla Scuola di Setubal, al Museo di Santiago<br />

di Compostela, ai quartieri residenziali in Olanda eccetera.<br />

Eccezionale disegnatore e abile progettista ma soprattutto intellettuale<br />

che ha avuto la capacità di resistenza in un Paese isolato culturalmente<br />

e distrutto economicamente dalle guerre coloniali volute dall’ultimo<br />

regime fascista. Il Leone d’Oro alla carriera è stato istituito nel 1996, e<br />

conferito in quell’edizione a Oscar Niemeyer assieme a Ignazio Gardella<br />

e a Philip Johnson; poi negli anni è andato a Renzo Piano, a Paolo<br />

Soleri, a Jørn Utzon, a Richard Rogers nel 2006, allo storico James Ackerman,<br />

a Frank Gehry nel 2008 e, di recente a Rem Koolhaas e Kazuo<br />

Shinohara.<br />

Nella foto in alto: Sede di Piquadro a Silla di Gaggio Montano (BO)<br />

progettata dall'architetto Karim Azzabi<br />

molto più fragile del previsto (risultato di<br />

un’indagine tardiva); “inadeguatezza della<br />

soluzione strutturale del ponte”, con la conseguente<br />

necessità di irrobustire alcune<br />

parti; “ritrovamento di reperti archeologici”;<br />

“assenza di soluzioni di fruibilità da parte dei<br />

disabili”, problema risolto con l’installazione<br />

di un’ovovia, elemento costato € 1.043.<br />

603,04. Le responsabilità del ritardo e dell’aumento<br />

dei costi è stato attribuito di volta<br />

in volta ai differenti attori del processo progettuale.<br />

Questo è solo uno dei tanti esempi che ci<br />

impone un atteggiamento diverso nel rapporto<br />

tra ideazione e realizzazione, portando<br />

a dare una nuova interpretazione al passaggio<br />

dall’idea progettuale al governo dei diversi<br />

saperi tecnici, aggiungendo un ulteriore<br />

livello di progettazione dopo quello esecutivo,<br />

la progettazione cantieristica.<br />

Il progetto esecutivo non dà “informazione”<br />

sufficienti per la completa cantierizzazione<br />

dell’opera e per l’organizzazione del<br />

processo costruttivo, fornendogli scarsi strumenti<br />

di controllo; l’ingegnerizzazione del<br />

progetto è la trasposizione analitica del rapporto<br />

tra la tipologia di lavoro ed il tempo di<br />

esecuzione, che consente di determinare i<br />

vari punti della corretta collocazione spaziotemporale<br />

del cantiere.<br />

Nella foto: Santiago Calatrava<br />

Ponte della Costituzione, 2008, Venezia<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 23


scritture<br />

Etica ed estetica sono tuttʼuno (L. Wittgenstein)<br />

Un’etica per il mondo globalizzato<br />

L’alleanza di filosofia e religione per un futuro pacifico, equo e sostenibile<br />

di ERWIN BADER*<br />

Nell’ambito dell’etica, ossia<br />

di quel sapere che è alimentato<br />

dalla consapevolezza<br />

dei principi morali,<br />

filosofia e religione si incontrano.<br />

È proprio in forza di principi<br />

universalmente applicabili che nel 1993,<br />

a Chicago, Hans Küng insieme ai rappresentanti<br />

del “Parlamento delle Religioni<br />

del Mondo”, ha discusso e<br />

formulato un ethos che superi le differenze<br />

più significative tra le diverse confessioni<br />

religiose. La sintesi di questi<br />

principi costituisce la Dichiarazione di<br />

un’etica globale. Si tratta di un documento estremamente stimolante<br />

anche per ripensare lo stesso compito attuale della riflessione<br />

filosofica. La questione fondamentale dell’etica è bene espressa<br />

dalla domanda kantiana: «Che cosa devo fare?». La risposta di<br />

Kant, nella sua formulazione più concisa, è: «agisci in modo che la<br />

massima della tua volontà possa valere come principio di una legislazione<br />

universale». Ossia, i principi etici in base ai quali il singolo<br />

agisce, devono corrispondere a principi universali. Peraltro, risulta<br />

intuitivamente evidente che il riconoscimento della dignità intrinseca<br />

di ciascuna persona e di diritti uguali e inalienabili per tutti i<br />

membri della famiglia umana è il fondamento della libertà, della<br />

giustizia e della pace nel mondo. Ci si potrebbe spingere a riformulare<br />

la risposta all’interrogativo kantiano in questo modo: «agisci<br />

in modo che i principi del tuo ethos possano essere riconosciuti<br />

da ogni abitante del pianeta come i principi di un’etica universale».<br />

Tale ethos universale è la “regola aurea”, ricercata da tempo immemorabile,<br />

in grado di unire tutte le tradizioni religiose e culturali<br />

del mondo.<br />

Un ethos per il mondo intero<br />

Già Niccolò Cusano, che considerava l’etica dal punto di vista del<br />

diritto naturale, osservava che i principi morali sono essenzialmente<br />

identici in tutte le religioni. Se la giustizia e la reciprocità sono due<br />

fondamenti dell’etica, le religioni - a dispetto delle loro differenze,<br />

in particolare di culto – risultano simili sul piano morale. L’etica globale<br />

non è altro che lo sviluppo moderno di questa consapevolezza.<br />

Grazie ai grandi incontri interreligiosi sta avanzando la consapevolezza<br />

dell’esigenza di un ethos globale riconosciuto. Il processo che<br />

investe il nostro mondo tecnicamente ed economicamente globalizzato,<br />

con le sue opportunità e i suoi problemi, e le attuali minacce<br />

per la sopravvivenza del pianeta, rendono essenziale la<br />

riaffermazione di un ethos comune. È la prima volta che sulla terra<br />

vengono poste le basi per la nascita di una umanità pacifica. «L’ordine<br />

planetario ha avuto già luogo», ebbe occasione di affermare<br />

Ernst Jünger, e riferendosi a ciò il filosofo del diritto René Marcic ha<br />

osservato che per prepararsi a questo ordine esistente è necessario<br />

«il suo riconoscimento, la sua dichiarazione». Tale riconoscimento<br />

giuridico è la Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite, che<br />

ha ricevuto la sua base pratica, il suo fondamento etico, con la Dichiarazione<br />

di un’etica globale. Quest’ultimo documento prende le<br />

mosse dal progetto lanciato da Hans Küng nel 1990. Se si vuole, la<br />

filosofia diviene in tal modo sapere pratico e acquista il potere di<br />

plasmare la realtà.<br />

Elogio dell’invettiva<br />

e dell’insulto<br />

Regole per polemizzare<br />

senza risultare sgradevoli<br />

nelle diatribe quotidiane<br />

di LUCIA D’AGOSTINO<br />

<strong>24</strong> geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

È possibile la pace nel mondo?<br />

La pace è una condizione osservabile dall’esterno, ma che richiede<br />

un requisito interiore, spirituale ed etico. Per la realizzazione vera e<br />

propria di un mondo pacifico è dunque necessaria un’istanza morale.<br />

Senza etica non vi è giustizia e non vi è pace. L’ethos è un bene<br />

spirituale, ma un bene spirituale esiste solo quando si manifesta, cioè<br />

si realizza in azioni concrete e visibili. La Dichiarazione di un’etica globale<br />

richiede perciò una estensione a tutti gli esseri umani e le sue<br />

norme devono essere applicabili reciprocamente. L’adesione incondizionata<br />

e coerente a questi principi risiede nella coscienza degli individui.<br />

La Dichiarazione pertanto non è efficace perché è emanata<br />

da un’autorità, come una direttiva statale, bensì perché i valori etici<br />

in essa contenuti e le sue strutture logiche si presentano come evidenti,<br />

e soprattutto perché attraverso essa le persone si impegnano<br />

in modo coerente ad affermare le istanze espresse nei loro antichi valori.<br />

In tutte le scuole del mondo dovrebbe essere insegnata un’etica<br />

globale e ogni anno in tutto il mondo dovrebbe esser consacrata una<br />

giornata ai diritti umani. Pierre Teilhard de Chardin ha affermato che<br />

l’ordine planetario è presente nell’unità futura del genere umano.<br />

D’altra parte, però, vi sono molte obiezioni possibili e molte esperienze<br />

negative che possono far dubitare che il genere umano raggiunga<br />

mai una tale unità.<br />

invettiva, proprio per la sua natura e<br />

L’ il suo utilizzo nel discorso, chiama in<br />

causa la letteratura, dove questa figura<br />

retorica è – ed è stata – utilizzata non soltanto<br />

nei suoi tratti polemici, puramente<br />

negativi, ma anche nella sua accezione<br />

costruttiva, poiché è pur sempre attraverso<br />

parola che spesso i contrasti trovano<br />

la loro composizione.<br />

Tuttavia nella società contemporanea,<br />

in cui i mezzi di supporto all’espressione<br />

polemica sono più immediati e diretti –<br />

come giornali e new-media –, è altrettanto<br />

vero che l’invettiva si manifesta<br />

senza alcuna regola, trasformando molto<br />

facilmente l’attacco in una pura offesa.<br />

Ci viene in aiuto, allora, un libello di piacevolissima<br />

e agile lettura di Liang Shiqiu<br />

dal titolo La nobile arte dell'insulto, pubblicato<br />

da Einaudi e curato da Gianluca<br />

Magi con prefazione di Michele Serra.<br />

Perché se non si è perso l’uso, e il<br />

gusto, dell'invettiva per contrastare le ingiustizie<br />

e i disagi di una società complessa<br />

come quella in cui viviamo, sono<br />

andati scemando i principi basilari per polemizzare<br />

ad un livello che non scada nel<br />

turpiloquio. L’intento ultimo di questa<br />

trattazione secondo Liang Shiqui, giornalista<br />

e traduttore (Pechino1902-Taipei<br />

1987), è che «l’insulto si fonda sul principio<br />

etico per cui ci si dovrebbere rendere<br />

conto se una persona meriti o meno<br />

Etica mondiale o caos<br />

di essere insultata». Già questo apre un<br />

mondo altro sullo stile e la filosofia di vita<br />

orientale in cui le tattiche di scontro sono<br />

basate sulla sottrazione di azioni e parole<br />

L’introduzione alla Dichiarazione, cioè al documento di base<br />

dell’etica globale, inizia con i risultati scioccanti di un sondaggio:<br />

«Il mondo è in agonia. L’agonia è così pervasiva e urgente che<br />

siamo costretti a denunciarla in modo tale che la profondità di<br />

questo dolore possa essere chiara. La pace ci sfugge, il pianeta<br />

viene distrutto, i vicini vivono nella paura, le donne e gli uomini<br />

si sono allontanati gli uni dagli altri, i bambini muoiono. Tutto ciò<br />

è terribile! Noi condanniamo lo sfruttamento dell’ecosistema». È<br />

indubbio il disorientamento generale; la capacità di distinguere<br />

giusto e sbagliato sembra essersi persa. Si assiste ad una assenza<br />

di “etica vissuta”. Viviamo una crisi economica globale, una crisi<br />

finanziaria, una crisi ecologica, e non da ultimo anche una crisi<br />

politica. Si ha l’impressione oggi, soprattutto in Europa, che molte<br />

persone non vogliano avere nulla a che fare con la religione cristiana<br />

e la sua etica, in particolare con la sua promozione della responsabilità<br />

sociale. La non-virtù sembra essere la nuova virtù, ha<br />

scritto di recente Heiko Ernst. Si ha l’impressione che le massime<br />

basate sulle ultime tendenze della speculazione finanziaria siano<br />

dominanti nel mondo.<br />

Dal punto di vista filosofico ed etico un’economia stabile non<br />

può di certo basarsi sull’avarizia, sull’invidia e sul vizio. Piuttosto,<br />

l’“amorale” tendenza a massimizzare i profitti, indipendentemente<br />

dall’ambiente e dalle esigenze dei poveri conduce alla distruzione<br />

dell’ambiente, all’ingiustizia e, infine, al caos. Tutte le<br />

strutture economiche che non contribuiscono all’erosione ma sviluppano<br />

e mantengono la nostra esistenza si basano esclusivamente<br />

su un’etica vissuta, che presuppone un’economia attiva,<br />

ma non inquinata dalla corruzione e dalla speculazione come accade<br />

oggi. Le regole fondamentali menzionate dalla Dichiarazione<br />

di un’etica globale, corrispondono non soltanto ai precetti<br />

giudaico-cristiani, ma esprimono in modo ottimale anche le convinzioni<br />

di coloro che sono religiosamente neutrali. Ora, vi è la<br />

necessità di diffondere il riconoscimento di queste regole, in<br />

primo luogo presso le persone che hanno responsabilità pubblica,<br />

poi mediante una loro concretizzazione formale. Si arriverà a questa<br />

unità o rimarrà la disunità che conduce alla guerra e alla distruzione?<br />

Senza un ethos comune che rispetta i valori<br />

fondamentali di tutte le religioni e delle scuole di pensiero non religiose,<br />

non è possibile alcuna riforma della società globale, dell’economia<br />

e della politica. Questo richiede anche un dialogo<br />

sincero tra le religioni nel rispetto della rispettiva tradizione religiosa,<br />

ma nella consapevolezza che la loro motivazione e forza<br />

proviene soprattutto dalla capacità di rispondere alle preoccupazioni<br />

comuni e alle urgenze etiche. Non c’è pace mondiale senza<br />

pace religiosa, non c’è pace religiosa senza dialogo tra le religioni.<br />

L’etica globale è naturalmente in continuo mutamento, sempre<br />

nuove idee sono incluse in essa, tuttavia la base resta la stessa. La<br />

questione centrale è il reciproco riconoscimento e la pari dignità<br />

di tutte le persone e la necessità di una reciproca considerazione,<br />

senza distinzione di razza, religione, sesso o età. Senza un generale,<br />

globale riconoscimento di quei valori che sono affermati in<br />

un’etica globale, la sopravvivenza dell’umanità non è affatto garantita.<br />

*Professore di filosofia all’Università di Vienna<br />

(traduzione dal tedesco di A. M. Vitale)<br />

non strettamente necessarie, e, addirittura,<br />

sui silenzi. Mettere a proprio agio<br />

l’avversario evitando che si renda conto<br />

dall’inizio che lo si sta criticando, in modo<br />

tale che il suo viso «viri dal bianco al<br />

rosso, dal rosso al violaceo, infine dal violaceo<br />

al grigio plumbeo. Questo è il più<br />

alto grado nell’arte dell’insulto».<br />

È importante una ironia sottile e un<br />

umorismo caustico, oltre che una buona<br />

dose di conoscenza di se stessi e degli<br />

altri. Poiché bisogna anche sapersi ritirare<br />

quando la situazione lo richiede ed è irrimediabilmente<br />

compromessa. Regole<br />

come quella di servirsi «di espressioni e<br />

maniere eleganti […] in una lingua infinitamente<br />

sottile il cui senso rimanga implicito»,<br />

stemperano i “bollenti furori”,<br />

così frequenti nelle diatribe odierne, con<br />

grazia e leggerezza.<br />

Perché il principio generale è quello di<br />

riflettere «almeno un istante prima di insultare<br />

qualcuno», e, soprattutto, di<br />

avere sangue freddo e contegno pacat,o<br />

perché, afferma Shopenauer ne L’Arte di<br />

insultare (Adelphi), citando Vincenzo<br />

Monti: «Le ingiurie assomigliano alle processioni<br />

religiose: ritornano sempre al<br />

luogo onde sono partite»<br />

Liang Shiqui, La nobile arte dell’insulto<br />

curato da Gianluca Magi<br />

edizioni Einaudi<br />

L’Austria<br />

degli anni Trenta<br />

crocevia<br />

di culture<br />

Un volume su filosofia<br />

politica, arte<br />

tra le due guerre<br />

di FRANCESCO <strong>AL</strong>IBERTI<br />

La sensazione di vivere in un’età di transizione, non<br />

costituisce un fatto inedito. È dalla fine del XIX secolo<br />

che si susseguono fasi di intensa riflessione sul tema<br />

della decadenza. Ogni epoca di passaggio impone un<br />

conflittuale interrogarsi sulla possibilità di un nuovo<br />

ordine di senso e sulla pertinenza delle responsabilità al suo interno:<br />

è ciò che accade un secolo fa a Vienna, capitale di uno<br />

stato sovranazionale multietnico, erede nello spirito della civitas<br />

romana e capace di accogliere al suo interno la diversità antropologica<br />

e culturale delle genti tedesche, magiare, slave, latine.<br />

Motivati da destabilizzanti insorgenze di ordine nazionalistico,<br />

intellettuali e politici furono chiamati da un profondo senso di necessità<br />

storica a riflettere sul destino dell’Impero asburgico, e<br />

dopo l’abdicazione di Carlo I e la proclamazione della repubblica,<br />

ritennero opportuno proseguire il loro impegno per il perseguimento<br />

della stabilità, principio determinante anche in un ordinamento<br />

repubblicano per far fronte alla minaccia del<br />

totalitarismo. L’Anschluss, l’annessione alla Germania nazista, e<br />

la seconda guerra mondiale travolsero la repubblica ma l’eredità<br />

degli anni Trenta non andò perduta e finì per caratterizzare le<br />

più disparate visioni del mondo nel XX secolo. Sulla Vienna tra<br />

le due guerre, la cui ricchezza culturale è ben rappresentata da<br />

figure quali quelle di Robert Musil, Ludwig Wittgenstein, Oskar<br />

Kokoschka, Arnold Schönberg, Karl Kraus, getta ora luce il volume<br />

curato da Francesco Saverio Festa, Erich Fröschl, Tommaso<br />

La Rocca, Luigi Parente, Giusi Zanasi Das Österreich der dreißiger<br />

Jahre und seine Stellung in Europa, pubblicato dall’editore Peter<br />

Lang. Esso raccoglie i contributi di studiosi europei che hanno<br />

indagato aspetti diversi di quella straordinaria vicenda storica,<br />

dalla filosofia alla letteratura, dalla musica alla politica. La psi-<br />

SCIENZA E F<strong>IL</strong>OSOFIA. Gli errori di Darwin<br />

Ripensare<br />

l’evoluzione<br />

naturale<br />

La selezione<br />

casuale e il progetto<br />

intelligente<br />

La selezione naturale è il meccanismo<br />

con cui avviene la differenziazione delle<br />

specie e mediante il quale si ha un progressivo<br />

e cumulativo aumento della frequenza<br />

degli individui con caratteristiche<br />

ottimali per l'ambiente. Gli individui di una<br />

stessa specie si differenziano l'uno dall'altro<br />

per il “genotipo” (patrimonio genetico di<br />

un individuo) e per i caratteri morfofisiologici.<br />

La teoria della selezione naturale sostiene<br />

che in seguito alle mutazioni genetiche<br />

casuali che si manifestano nelle generazioni<br />

successive, vengano favorite,<br />

“selezionate”, quelle mutazioni che conducono<br />

gli individui ad avere caratteristiche<br />

più vantaggiose in determinate condizioni<br />

ambientali, individuando così un vantaggio<br />

adattativo in termini di sopravvivenza<br />

e di riproduzione. Massimo Piattelli<br />

Palmarini e Jerry Fodor, nel volume Gli errori<br />

di Darvin (Feltrinelli, Milano), cercano<br />

di “smontare” alcuni assunti fondamentali<br />

della teoria della selezione naturale. Escludendo<br />

la possibilità, come dimostrano le<br />

recenti ricerche nel campo della biologia<br />

molecolare e della genetica, che le variazioni<br />

genetiche siano dovute all’ambiente,<br />

vie- ne messo in discussione anche il loro<br />

carattere aleatorio. Escludere la casualità,<br />

non significa tuttavia per Piattelli Palmarini<br />

e Fodor sposare l’idea di un “progetto intelligente”.<br />

Essi sono infatti convinti che<br />

una teoria «pienamente naturalistica» sia<br />

altrettanto «pienamente ateista»: nel mi-<br />

gliore dei casi Dio è un illusione, nel peggiore<br />

è una superstizione. Ora, chi sostiene<br />

l’equazione tra naturalismo e ateismo, lo<br />

fa oggi proprio avvalendosi di quel modello<br />

della teoria dell’evoluzione che Palmarini<br />

e Fodor sottopongono a critica. Se<br />

infatti il caso non è così preminente nell’evoluzione<br />

dei viventi, allora tutte le argomentazioni<br />

della non esistenza di Dio<br />

che si fondavano sulla origine casuale delle<br />

forme viventi crollano. Proprio su questa<br />

base, non è convincente l’assunto, sostenuto<br />

da Palmarini e Fodor, che il naturalismo<br />

debba necessariamente condurre<br />

all’ateismo. Un tale assunto, a ben vedere,<br />

non è verificabile scientificamente. La verità<br />

scientifica si fonda su ipotesi che, come<br />

dimostra anche questo volume, possono e<br />

devono di volta in volta essere revisionate<br />

e magari anche contraddette dalle nuove<br />

scoperte. La modalità responsabile di chi<br />

fa ricerca scientifica dovrebbe essere di<br />

specificare che il professato ateismo è una<br />

congettura, non invece spacciarlo come<br />

frutto della ricerca scientifica. Potrebbe altrimenti<br />

sorgere il dubbio che quello che si<br />

propaganda come verità scientifica non è<br />

un servizio reso alla scienza, ma è un’altra<br />

forma di quel fondamentalismo e settarismo<br />

che la scienza stessa intende combattere.<br />

Alfonso Salvatore<br />

Nella foto: Massimo Piattelli Palmarini<br />

coanalisi, a cui è dedicato un saggio di Marcella d’Abbiero, irrompe<br />

nel dibattito culturale costringendo a tener conto della<br />

realtà inconscia in quanto autentico campo delle pulsioni dell’io;<br />

la riflessione filosofica di Wittgenstein, su cui si sofferma Michele<br />

Ranchetti, si concentra sull’analisi del linguaggio. Una intera sezione<br />

è dedicata alle straordinarie esperienze letterarie: dalla<br />

nuova immagine dell’uomo che emerge ne L’uomo senza qualità<br />

di Musil, sino alla potente ironia di Kraus. Alla seconda scuola<br />

musicale viennese di Schönberg, Alban Berg e Anton Webern è<br />

dedicato un bel saggio di Enrica Lisciani Petrini. Significativa è la<br />

ricostruzione di Flavia Monceri dello sforzo dei teorici delle<br />

scienze sociali per la comprensione dell’idealtipo umano che la<br />

sociologia presuppone. Sul piano politico, la cui importanza è<br />

sottolineata da Francesco Saverio Festa, emergono elaborazioni<br />

di pensiero all’altezza dei tempi nuovi: dall’individualismo liberale,<br />

a cui sono dedicati i contributi di Dario Antiseri e Raimondo<br />

Cubeddu, al socialismo austromarxista, su cui si soffermano Nicolao<br />

Merker, Tommaso La Rocca, Arno Münster, fino al cattolicesimo<br />

politico, approfondito nei saggi di Erwin Bader e Angelo<br />

Maria Vitale. Tutti tentativi di ripensare in Europa la civitas maxima<br />

imperiale come compagine plurinazionale e sovranazionale<br />

capace di preservare contenuti politico-istituzionali il più possibile<br />

condivisi. Arricchiscono il volume una tavola rotonda, in cui appaiono<br />

tra gli altri interventi di Biagio De Giovanni, Mario Tronti,<br />

Ugo Perone e una sezione di testimonianze, che si apre con un<br />

ritratto dell’attivista politico antinazista Hugo Pepper, sapientemente<br />

tracciato da Erich Fröschl.<br />

In alto: Oskar Kokoschka, Veduta di Vienna<br />

(part.) 1931, Kunsthistorisches Museum<br />

filosofia/estetica<br />

Etica ed estetica sono tuttʼuno (L. Wittgenstein)<br />

Convegni. Sulla filosofia del bello e dell’arte<br />

L’estetica dell’Occidente<br />

tra tarda antichità e Rinascimento<br />

La storia della filosofia dell’arte presenta un profilo particolarmente complesso.<br />

Essa si intreccia infatti, in modo inestricabile, con la storia della<br />

cultura, delle produzioni artistiche e del pensiero dell’Occidente. A questa vicenda,<br />

ai suoi molti volti, è dedicato il Convegno dal titolo “L'estetica nell’Occidente<br />

tardo-antico, medievale e umanistico” che si terrà presso<br />

l’Università di Salerno dal 17 al 19 dicembre 2012, promosso dal Dottorato<br />

di ricerca in “Filosofia, scienza e cultura dell’età tardo-antica, medievale e<br />

umanistica”. L’articolazione del<br />

tema si estende ad argomenti<br />

relativi alla filosofia del bello e<br />

dell'arte tra la tarda-antichità<br />

greca e l’età dell’Umanesimo e<br />

del Rinascimento. Della storia<br />

dell’estetica in questo assai<br />

ampio spettro temporale e culturale<br />

verranno presi in esame<br />

molteplici aspetti e problemi.<br />

Dalla tradizione neoplatonica,<br />

che ha in Plotino e Proclo i suoi<br />

punti di riferimento, alla riflessione<br />

di Agostino e dei Padri<br />

della Chiesa; dalla lunga stagione<br />

del pensiero medioevale,<br />

nella quale spiccano le<br />

figure di Anselmo d’Aosta, di<br />

Tommaso d’Aquino, di Giovanni<br />

Duns Scoto, fino alle<br />

concezioni di epoca rinascimentale.<br />

Della straordinaria esperienza speculativa dell’Umanesimo e del<br />

Rinascimento saranno portate alla luce le riflessioni di Leon Battista Alberti,<br />

maturate in stretto rapporto con le sue esperienze nell’ambito dell’architettura;<br />

di Agostino Nifo; di Egidio da Viterbo, una delle personalità più influenti<br />

nel mondo culturale e artistico del Cinquecento, legato a poeti come<br />

Giovanni Pontano e Iacopo Sannazaro, e a pittori come Michelangelo e Raffaello.<br />

Il convegno vedrà la partecipazione di studiosi provenienti da università<br />

italiane ed europee. Tra questi: Giulio d’Onofrio (Università di<br />

Salerno), Anca Vasiliu (Université Paris IV Sorbonne), Alessandro Ghisalberti<br />

(Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano), Armando Bisogno (Università<br />

di Salerno), Leonardo Sileo (Pontificia Università Antonianum), Concetto<br />

Martello (Università di Catania), Michele Abbate (Università di Salerno),<br />

Alessandro Musco (Università di Palermo), Valeria Sorge (Università di Napoli<br />

Federico II), Giovanna Giardina (Università di Catania).<br />

Francesco D’Agostino<br />

Due scritti di Vladimir Jankelevitch. L’uomo fra temporalità e finitudine<br />

L’irripetibilità dell’esistenza umana<br />

di LORENZO DE DONATO<br />

Sono stati pubblicati da Einaudi<br />

due testi del filosofo<br />

francese Vladimir Jankelevitch<br />

Il non-so-che e il<br />

quasi-niente e Da qualche<br />

parte nell’incompiuto (una intervista<br />

fattagli dall’allieva e scrittrice Béatrice<br />

Berlowitz), curati e introdotti da<br />

Enrica Lisciani Petrini. Jankelevitch,<br />

filosofo ebreo di origine russa naturaliz-<br />

zato francese, scomparso negli<br />

anni ottanta, pensatore originale e<br />

indipendente, difficilmente inquadrabile<br />

in una corrente filosofica, si<br />

è occupato di musica e critica musicale,<br />

ma ha anche elaborato una visione<br />

del mondo che costituisce una<br />

vera e propria filosofia della quotidianità,<br />

una filosofia dell’esistenza in<br />

cui ogni essere umano, riflettendo<br />

sulla propria vita e sul proprio esistere,<br />

può riconoscersi. Il filosofo<br />

francese muove dall’idea bergsoniana<br />

che l’esistenza sia durata, flusso<br />

temporale, divenire in continuo<br />

mutamento e in continuo movimento<br />

in cui è impossibile individuare il<br />

principio primo della realtà o l’essenza<br />

ultima delle cose. La conclusione<br />

di tale ragionamento è che<br />

tutto - la realtà, la vita umana - sia<br />

imperscrutabile, ineffabile, sfuggente,<br />

e proprio per quest’assenza di regole<br />

e sistemi normativi l’uomo ha<br />

totale libertà nell’agire e piena responsabilità<br />

delle proprie azioni:<br />

l’ineffabile quindi non è l’effimero,<br />

poiché non conduce al relativismo e<br />

allo scetticismo, ma ad un possibile<br />

impegno anche sul piano etico e politico.<br />

Si tratta di una “leggerezza”,<br />

per parafrasare lo scrittore Milan<br />

Kundera (che in un suo romanzo incarna<br />

la filosofia di Jankelevitch senza<br />

citarlo), che a lungo andare diventa insostenibile<br />

e si trasforma in “pesantezza”.<br />

Quella di Jankelevitch è anche<br />

una filosofia della parola, perché l’autore<br />

ebreo gioca con le parole, attua<br />

una moltiplicazione e variazione di parole<br />

ed espressioni, quasi dei giochi linguistici<br />

volti a cercare di cogliere e<br />

capire questo ineffabile che è il nostro<br />

stare al mondo, il nostro esistere. Il<br />

«non-so-che» indica la temporalità, la<br />

finitudine dell’uomo, la morte. La<br />

morte è un’esperienza eccezionale e<br />

misteriosa, è letteralmente inesperibile,<br />

è cioè un’esperienza che non si<br />

può vivere se non morendo. Un<br />

qualcosa di assolutamente irrevocabile<br />

e irreversibile. Jankelevitch si occupa<br />

della vita concreta, delle esperienze,<br />

del vissuto di ognuno di noi,<br />

dell’ineffabilità, dell’indescrivibilità<br />

del nostro esser vivi. È per questo<br />

che nel suo pensiero troviamo amalgamati<br />

Dostoevskij, Proust, Montaigne,<br />

Pascal, Rilke, Baudelaire, la poesia,<br />

la musica, poiché sono tutte suggestioni<br />

che aiutano a completare<br />

questa nostra incompletezza. Il tempo<br />

scorre inesorabile, la vita è irreversibile,<br />

noi esseri umani siamo<br />

creature consumate dal tempo: Jankelevitch<br />

riflette anche su questo,<br />

sull’attimo, sull’istante, sull’occasione,<br />

mediante la nozione di «maipiù».<br />

Ogni cosa avviene soltanto una<br />

volta e mai più, ciò che si è vissuto<br />

una volta non lo si potrà mai più rivivere.<br />

Il «mai-più» consiste nell’unicità<br />

e irripetibilità di ogni singolo<br />

momento della nostra esistenza e<br />

nell’infinita nostalgia che cala su di<br />

noi per ciò che di unico e irripetibile<br />

abbiamo vissuto. Altro concetto portante<br />

è il «quasi-niente»: la vita non<br />

è né essere, né non-essere, ma un<br />

sentiero di mezzo, un qualcosa di intermedio,<br />

cioè il divenire, una ontofania<br />

continua, il manifestarsi continuo<br />

e ininterrotto dell’essere. Jankelevitch<br />

ci parla dunque della categorica<br />

unicità di ogni istante della<br />

nostra vita e della sua splendida e<br />

terribile irripetibilità e irreversibilità.<br />

Nella foto: Vladimir Jankelevitch<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 25


cinema<br />

Il modo migliore di guardare un film è quello di farlo diventare unʼesperienza personale (M. Antonioni)<br />

Escluso dai Premi Spring Breakers<br />

di Harmony Korine<br />

Il cinema<br />

che (non) vince<br />

Èdifficile che a un festival del cinema – per di più, se importante<br />

come quello di Venezia – si possa riscontrare<br />

unanimità assoluta sul verdetto della giuria nell’assegnazione<br />

del Leone d’Oro. Perfino l’anno scorso, quando il<br />

terremoto sublime del Faust di Sokurov scosse il Lido negli<br />

ultimi giorni della rassegna, svettando altissimo su tutti gli<br />

altri film in concorso, alcuni spettatori e alcuni giornalisti<br />

rimasero legati a visioni precedenti, scettici sulla maestà<br />

assoluta di un film epocale. Ancora, c’è chi, a due anni di<br />

distanza, non ha finito di rammaricarsi per la vittoria di<br />

Somewhere nel 2010; oppure, data la presenza in concorso<br />

di Bella addormentata di Marco Bellocchio, è tornato<br />

d’attualità il torto da lui subito nel 2003, quando<br />

Buongiorno, notte era effettivamente meritevole del massimo<br />

riconoscimento ma dovette accontentarsi del premio<br />

alla sceneggiatura. Quest’anno, la giuria presieduta<br />

da Michael Mann, ha deciso di premiare Pietà di Kim Kiduk,<br />

non il migliore in concorso, nonostante alcune innegabili<br />

qualità, dovute alla sapienza di un regista che<br />

infonde un personal touch in ogni film che realizza. Almeno<br />

altri quattro o cinque autori avrebbero meritato il<br />

Leone al posto del cineasta coreano: Assayas, con il suo<br />

Après Mai, ha vinto il Leone per la sceneggiatura, Ulrich<br />

Seidl ha ricevuto il Gran Premio per Paradies: Glaube (attaccato<br />

da Militia Christi), a Paul Thomas Anderson è andato<br />

il Leone d’Argento per The Master (attaccato, invece,<br />

da Scientology), Mendoza è stato ignorato, come pure il<br />

sorprendente Betrayal di Kirill Serebren- nikov. Ma è grave<br />

che questa giuria abbia sprecato la chance di consacrare<br />

un nuovo autore e, con lui, un modo autenticamente<br />

‘contemporaneo’ di fare cinema: parlo di Harmony Korine,<br />

e del suo Spring Breakers. In uno dei padiglioni del<br />

palazzo del Casinò, Paolo Mereghetti, incontrato di corsa<br />

tra una proiezione e l’altra, metteva sull’attenti: “Non cascateci”.<br />

Eppure, questo film ha elementi estetici che<br />

Mann avrebbe potuto apprezzare, e una certa distanza<br />

concettuale che, invece, è nelle corde di Garrone. La storia<br />

si basa su un’ossatura di semplicità quasi irrisoria: le vacanze<br />

di primavera di quattro dissolute studentesse<br />

americane, intercettate da un anfitrione molto particolare,<br />

il rapper-gangster-dj-spacciatore Alien, interpretato da<br />

James Franco, disinvolto con i denti di platino, la muscolatura<br />

possente e i dreadlock. Costui coinvolge le ragazzine<br />

in una spirale corrotta, di cui il regista predispone<br />

avvisaglie grazie a un sapiente montaggio del suono in<br />

cui le musiche degli Skrillex e il suono del caricatore di una<br />

pistola punteggiano le azioni delle ragazze fin dall’inizio<br />

del film, costruito su magistrali successioni di scene-madri,<br />

tra le quali resterà negli annali l’esecuzione di Everytime di<br />

Britney Spears, che a un primo impatto susciterebbe risate,<br />

ma è invece un apologo della vacuità e dell’effimero,<br />

dispiegato anche attraverso una sceneggiatura interamente<br />

costruita su slang e frasi fatte.<br />

Elio Di Pace<br />

Nella foto in alto: James Franco è Alien in Spring Breakers<br />

26 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

Bella Addormentata:<br />

tra eutanasia e libertà di scelta<br />

Dopo tante polemiche è stato presentato<br />

alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia<br />

il film di Marco Bellocchio ispirato al caso Englaro<br />

di MANUELA NASTRI<br />

La 69a Mostra d’Arte Cinematografica<br />

di Venezia si è conclusa l’8 settembre<br />

con il trionfo di Pietà del<br />

coreano Kim Ki-duk, già vincitore di<br />

un Leone d’Argento nel 2004, con<br />

Ferro 3 – La Casa vuota, film che gli diede popolarità,<br />

sebbene già da anni egli avesse conquistato<br />

la critica internazionale. Insieme a lui,<br />

la giuria, presieduta da Michael Mann, ha premiato<br />

The Master di Paul Thomas Anderson<br />

(Leone d’Argento), A Paradies: Glaube di Ulrich<br />

Seidl (Premio speciale della Giuria), Philip<br />

Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix (Coppa<br />

Volpi per la migliore interpretazione maschile),<br />

Hadas Yaron (Coppa Volpi per la migliore interpretazione<br />

femminile), Fabrizio Falco (Premio<br />

Marcello Mastroianni), Olivier Assayas<br />

(Premio per la migliore sceneggiatura), Daniele<br />

Ciprì (Premio per il migliore contributo tecnico).<br />

Quest’edizione, senz’altro significativa, perché<br />

ha visto il ritorno di Alberto Barbera alla direzione<br />

della kermesse dopo dieci anni di assenza<br />

(in cui si sono succeduti Moritz De<br />

Hadeln e Marco Müller), è stata, però, anche<br />

degna di nota per il cinema italiano che, magro<br />

di riconoscimenti di un certo rilievo (a parte Fabrizio<br />

Falco e Daniele Ciprì), ha sfornato in<br />

tutte le sezioni ottime produzioni, dando prova<br />

della sua dinamicità e voglia di resistere alla crisi<br />

economico-culturale che da anni assilla l’industria<br />

del settore. In particolare, si è riscontrato<br />

con piacere il ritorno ai dialetti, presenti in svariate<br />

pellicole: il sardo in Bellas Mariposas (Salvatore<br />

Mereu), il napoletano ne L’Intervallo<br />

(Leonardo di Costanzo) e Il gemello (Vincenzo<br />

Marra), il siciliano in È stato il figlio (Daniele<br />

Ciprì), senza considerare ovviamente il romanesco<br />

di Un giorno Speciale di Francesca Comencini<br />

che sempre è ritenuto l’idioma ufficiale<br />

del nostro cinema. La pellicola italiana più<br />

attesa di quest’edizione, però, è stata Bella Addormentata<br />

non solo perché Marco Bellocchio<br />

è il nostro regista di punta, ma anche o soprattutto<br />

perché già in fase di preproduzione e<br />

produzione questo progetto ha scatenato una<br />

polemica che ne ha messo a rischio la realizzazione.<br />

Il film, infatti, girato in Friuli Venezia Giulia,<br />

s’ispira alla vicenda di Eluana Englaro per<br />

riflettere sul tema dell’eutanasia in Italia, tra libertà<br />

di scelta, fede cattolica e legislazione.<br />

Non è, però, un film sugli ultimi giorni di vita di<br />

Eluana (spentasi il 9 febbraio 2009, in una clinica<br />

di Udine, dopo diciassette anni di coma<br />

vegetativo, a seguito dell’interruzione dell’alimentazione<br />

forzata), né tanto meno sulla campagna<br />

contro l’accanimento terapeutico portata<br />

avanti da suo padre Bettino e fortemente disapprovata<br />

dal mondo cattolico. Il caso di<br />

Eluana fa, infatti, solo da sfondo a vari episodi<br />

che s’intersecano: quello di un senatore del<br />

Pdl, che ha aiutato sua moglie a morire ed ora<br />

è in crisi di coscienza alla vigilia del voto che<br />

dovrebbe decidere le sorti della Englaro (voto<br />

che in effetti non ci fu, perché la donna decedette<br />

prima che si ricorresse alle urne) tra li-<br />

bertà di opinione e adesione alle scelte del partito;<br />

sua figlia, attivista cattolica pro-vita è in<br />

conflitto ideologico col padre, finché non s’innamora<br />

di un manifestante del gruppo opposto;<br />

un’attrice di successo (interpretata da<br />

Isabelle Huppert) che abbandona tutto, compresi<br />

marito e figlio, per dedicarsi anima e<br />

corpo alla giovane figlia in coma, pregando e<br />

aspettando fiduciosa in un miracolo; una tossicodipendente<br />

che tenta svariate volte il suicidio,<br />

ma viene salvata e accudita notte e giorno<br />

da un medico che le impone, quasi, di vivere,<br />

facendole cambiare idea. Bella addormentata,<br />

tuttavia, sarà menzionato nella storia del cinema<br />

italiano, prima ancora che per il suo indiscusso<br />

valore estetico, per le tremende<br />

invettive che ha subito durante le riprese. Istituzioni<br />

locali, infatti, temevano che la sceneggiatura<br />

di Bellocchio mettesse in cattiva luce il<br />

territorio che aveva all’epoca accolto Eluana<br />

per i suoi ultimi giorni. Questi attacchi sono durati<br />

alcuni mesi, ma fortunatamente il cineasta<br />

piacentino è riuscito a terminare il suo lavoro<br />

che, come si accennava, solo trasversalmente<br />

rinvia al fatto di cronaca (che qui viene evocato<br />

attraverso materiale di repertorio: le news dei<br />

tg che contestualizzano gli eventi storicamente<br />

tra il 3 e il 9 febbraio 2009). A queste accuse<br />

vanno, inoltre, fatte corrispondere le polemiche<br />

in chiusura della Mostra del Cinema. In<br />

una lunga intervista sul “Corriere della sera”<br />

dell’11 settembre, firmata da Giuseppina<br />

Manin, a riscontro del misero bottino della cinematografia<br />

italiana a Venezia, si ipotizza che<br />

i film italiani siano troppo autoreferenziali e per<br />

questa ragione non corrisponderebbero ai<br />

gusti di una giuria internazionale che, conseguentemente<br />

non li apprezzerebbe abbastanza<br />

da premiarli, preferendone altri. Sicché Bellocchio<br />

s’innervosisce e dichiara che sarà l’ultimo<br />

festival a cui parteciperà. Questa ipotesi è parzialmente<br />

vera: basti ricordare che all’estero,<br />

come al Festival di Cannes, sembrano favorite<br />

le pellicole italiane che fanno diretto appiglio a<br />

tematiche prettamente interne (Il Divo di Paolo<br />

Sorrentino; Gomorra di Matteo Garrone sono<br />

forse gli esempi più calzanti e dimostrano<br />

come anche film autoreferenziali possano vincere<br />

premi prestigiosi). Il caso di Marco Bellocchio<br />

non è da meno: alcuni dei suoi ultimi<br />

lavori, L’ora di religione, Buongiorno, notte, Il<br />

regista di Matrimoni (qui addirittura il punto di<br />

riferimento è il romanzo di Manzoni), Vincere,<br />

sono strettamente legati alla storia e alla cultura<br />

italiana e, ciò nonostante, hanno avuto<br />

grandissimo apprezzamento da parte della critica<br />

e del pubblico, anche fuori dei confini nazionali.<br />

Bella Addormentata affronta i temi<br />

dell’eutanasia, la dolce morte, l’accanimento<br />

terapeutico, la libertà di scelta che sono questioni<br />

che non riguardano solo l’Italia e che il<br />

cinema ha trattato svariate volte, basti citare<br />

Mare dentro dello spagnolo Alejandro Amenábar<br />

o Million Dollar Baby dello statunitense<br />

Clint Eastwood, entrambi del 2004. Solo Bel-<br />

Nella foto in alto:<br />

Toni Servillo<br />

e Alba Rohrwacher<br />

Sopra tre immagini di<br />

Bella Addormentata<br />

locchio avrebbe potuto raccontare questa storia,<br />

affrontare questa tragedia umana con<br />

tanta delicatezza e commozione. Effettivamente,<br />

per quanto il regista possa ispirarsi a un<br />

caso di cronaca, il tema principale del suo film<br />

resta il senso della vita, che egli tratta con la<br />

sua poetica e grande sensibilità, realizzando un<br />

film intellettualmente onesto, senza ideologismi,<br />

condanne, dinanzi a un dramma che ha<br />

sconvolto un’intera nazione. Troviamo tutto il<br />

suo cinema in questa pellicola, sia dal punto di<br />

vista stilistico che figurativo, e gli stessi protagonisti<br />

sembrano la diretta evoluzione dei personaggi<br />

della sua filmografia: ci sono le crisi di<br />

Alessandro dei Pugni in Tasca, c’è Aldo Moro<br />

che si salva sul finale di Buongiorno notte, c’è<br />

la coerenza coi propri ideali di Ernesto Picciafuoco<br />

de L’ora di religione… C’è lo sguardo distaccato<br />

di un regista che non prende mai<br />

posizione, né politica, né religiosa e l’argomento<br />

presentato con estrema umanità e compassione.<br />

Di fronte alla malattia di un proprio<br />

caro non c’è ideologia che tenga, in quanto<br />

come dice sul finale del film Maria, il personaggio<br />

interpretato da Alba Rohrwacher,<br />

"l'amore cambia il modo di vedere, non è vero<br />

che acceca".<br />

Grace, la favola di una persona perbene<br />

La principessa Kelly: mix di tenacia, classe, bellezza e passione<br />

di ADRIANA APICELLA<br />

Dal maestro del brivido Alfred Hitchcock<br />

è stata considerata<br />

“Ghiaccio bollente” per la sua algida<br />

bellezza e la sua fortissima<br />

sensualità; per l’attore Bing Crosby<br />

è stata la ”Regina delle nevi”; per Frank Sinatra<br />

è stata una “Donna nata per essere<br />

principessa”, per l’immaginario collettivo l’incarnazione<br />

di una favola: è Grace Patricia Kelly, principessa<br />

nel cinema e nella vita della quale<br />

vedremo presto nelle sale il film Grace di Monaco<br />

(incentrato sul momento cruciale della sua<br />

vita e cioè sposare Ranieri oppure continuare la<br />

sua carriera cinematografica) con la regia di Oliver<br />

Dahan e Nicole Kidman nei panni della principessa.<br />

Nata a Philadelphia, terza di quattro figli,<br />

con un padre, John Brendan Kelly Senior, con la<br />

vittoria nel sangue - 2 medaglie d’oro alle Olimpiadi,<br />

specialità canottaggio, ed una fortuna milionaria<br />

costruita da solo nell’edilizia - una madre,<br />

Margaret Mayer, di origini tedesche con un passato<br />

da modella ed un primato come prima insegnante<br />

donna di educazione fisica alla<br />

University of Pennsylvania, una strada, “Kelly<br />

Drive”, intitolata al fratello John Junior, ed uno<br />

zio, “George”, commediografo e vincitore di un<br />

Ciak… in evoluzione<br />

Cosa vedremo<br />

nelle sale<br />

cinematografiche<br />

italiane<br />

The Best Offer<br />

Diretto da Giuseppe Tornatore (nella foto) ha un cast internazionale:<br />

Geoffrey Rush, Donald Sutherland e Jim Sturgess. Prodotto dalla<br />

Paco Cinematografica ha un budget superiore ai 15 milioni di euro<br />

ed è girato tra Milano, Trieste, Bolzano e Vienna. Il soggetto del film<br />

è una storia d’amore ambientata nel mondo delle aste internazionali.<br />

Eva contro Eva<br />

Diretto dall’esordiente Sophie Chiarello, prodotto dalla Medusa Film<br />

e dalla Agidi di Paolo Guerra, è una commedia con protagonisti Angela<br />

Finocchiaro e Giovanni Storti (trio Aldo, Giovanni e Giacomo).<br />

Bianca come il latte, rossa come il sangue<br />

Diretto da Giacomo Campiotti è tratto dall’omonimo romanzo di<br />

Alessandro D’Avenia. Prodotto dalla Lux Vide con Rai Cinema ed il<br />

sostegno della Film Commission Torino Piemonte è girato a Torino e<br />

vede Luca Argentero nei panni di un professore attorno al quale ruotano<br />

le vicende di alcuni ragazzi. Nel cast anche Filippo Scicchitano<br />

(Scialla) ed Aurora Ruffino (La solitudine dei numeri primi).<br />

La grande bellezza<br />

Diretto da Paolo Sorrentino, è una coproduzione tra Italia (Indigo Film<br />

e Medusa Film) e Francia (Babe Films e Pathé). Ambientato e girato<br />

a Roma, gode del sostegno del Fondo regionale per il cinema e l’audiovisivo<br />

del Lazio, vede affiancati nella recitazione Toni Servillo, Carlo<br />

Verdone e Sabrina Ferilli. Scritto dallo stesso Sorrentino e da Umberto<br />

Contarello.<br />

adap.<br />

premio Pulitzer, la riservata ragazza di buona famiglia<br />

dimostra da subito un forte senso della<br />

competizione e moltissima voglia di farcela tanto<br />

che dopo il diploma si trasferisce a New York per<br />

frequentare l’American Academy of Dramatic<br />

Arts. L’alta, bionda, bella ed elegante Grace grazie<br />

al suo essere in così forte contrasto con le bellezze<br />

giunoniche del tempo e all’imprinting<br />

familiare, costruito su di una sana determinazione,<br />

fin dalla sua prima apparizione diventa<br />

l’icona dell’immaginario maschile e femminile. La<br />

sua, seppur breve, vita è degna di un copione cinematografico,<br />

suddivisa in un primo e in un secondo<br />

tempo ed un sequel nascosto. Il primo<br />

tempo è caratterizzato dalla sua gioventù, dal<br />

cinema, dal successo. Nonostante la forte opposizione<br />

della sua ricca famiglia al suo desiderio di<br />

lavorare nella settima arte, Grace riuscì ad ottenere<br />

un piccolo ruolo nel film La quattordicesima<br />

ora di Henry Hathaway mentre l’anno seguente<br />

era già co-protagonista nel western Mezzogiorno<br />

di Fuoco diretto da Fred Zinnemann a<br />

fianco di Gary Cooper e nel 1953 con Mogambo<br />

diretto da John Ford con Clark Glabe ed Ava Gardner<br />

guadagnò la nomination all’Oscar come migliore<br />

attrice non protagonista. Poi arrivò<br />

Hitchcock per il quale interpretò tre film: Il delitto<br />

perfetto, La finestra sul cortile e Caccia al ladro<br />

Miglior film nazionale<br />

L’intervallo<br />

di Di Costanzo<br />

Napoli nobilita<br />

la Mostra di Venezia<br />

che, girato nel Principato di Monaco, le portò<br />

l’amore, l’incontro con il suo futuro marito, il<br />

principe Ranieri. Da qui ha inizio il secondo<br />

tempo quello della sua vita di moglie , madre e<br />

principessa monegasca impegnata quotidianamente<br />

a valorizzare il ruolo internazionale di un<br />

Principato che l’ha adottata ed amata fin dalla<br />

sua prima apparizione con l’appellativo di Capo<br />

di Stato regnante sui cuori della gente. Ed infine<br />

il sequel segreto: Rearrenged/Cambio di programma<br />

(diretto da Robert Dornhelm), la pellicola<br />

mai ultimata a causa della sua scomparsa<br />

prematura, avutasi trent’anni fa il 14 settembre<br />

1982. Quasi a beffeggiare la sorte, Rearrenged<br />

(del quale si sa solo che fosse un thriller molto vicino<br />

allo stile hitchcockiano, ambientato tra Nizza<br />

e Montecarlo con Grace nel ruolo di se stessa, e<br />

cioè principessa di Monaco) sembra abbia voluto<br />

profetizzare il cambio di programma nella vita<br />

della principessa Kelly, donandole il risalto senza<br />

tempo delle favole. La fiaba reale dell’eroina<br />

Grace è tra le più commoventi e brillanti dei nostri<br />

tempi, perché ci presenta una donna umana,<br />

semplice, forte, con saldi principi e senza alcuna<br />

paura di cambiare il proprio percorso di vita<br />

ascoltando, sempre, la voce del suo cuore.<br />

A lato: La principessa Grace Kelly<br />

l miglior film italiano visto alla Mostra di Venezia è l’opera prima –<br />

Inel campo della fiction – di un documentarista napoletano, laureato<br />

all’Orientale, trasferitosi in Francia e poi approdato in Cambogia,<br />

dove, insieme al collega Rithy Pahn, ha aperto una scuola di<br />

“cinéma verité”. Il suo nome è Leonardo Di Costanzo, ischitano del<br />

1958, e il titolo del piccolo, grande film che ha favorevolmente sorpreso<br />

la giuria della sezione ‘Orizzonti’ (presieduta da Pierfrancesco<br />

Favino, e composta, tra gli altri, anche da Shekar Kapur e Amir Naderi)<br />

è L’intervallo. Il produttore, Carlo Cresto Dina, ha già impresso<br />

il suo nome su un esordio registico notevole, Corpo celeste, di Alice<br />

Rohrwacher. Ha fatto centro ancora una volta, allestendo per Di Costanzo<br />

una produzione internazionale cui hanno collaborato Svizzera,<br />

Germania e la benemerita rete francese ARTE (che, detto per<br />

inciso, è anche il ‘committente’ del film trionfatore di ‘Orizzonti’: Tre<br />

sorelle, del cinese Wang Bing). Scegliendo una duplice semplicità di<br />

scrittura - visiva, di matrice quasi loachiana, resa alla perfezione con<br />

camera a mano e luci naturali dall’eclettico Luca Bigazzi, e dialogica,<br />

con l’utilizzo di un napoletano con i suoi più audaci costrutti grammaticali,<br />

con cui i due giovani protagonisti si sentono a proprio agio<br />

– il regista mette in scena quella che potrebbe essere una fedele trasposizione<br />

cinematografica di certe atmosfere che in letteratura ha<br />

offerto Erri De Luca (viene in mente Il giorno prima della felicità).<br />

e.d.p.<br />

Thy Womb<br />

di Brillante Mendoza<br />

Come Lav Diaz nel 2011<br />

arriva dalle Filippine<br />

un gioiello della settima arte<br />

Non sono pochi i critici che avrebbero voluto vincitore della 69esima edizione della<br />

Mostra di Venezia Thy Womb, di Brillante Mendoza, grande escluso dal palmares<br />

dei Leoni. La cinepresa del regista filippino, già premio alla regia a Cannes nel 2009<br />

per Kinatay, cattura colori atmosfere e riti dell’isola di Mindanao, estremo meridione<br />

dell’arcipelago delle Filippine, dove si pratica il culto isalmico. Con adesione documentaristica,<br />

il regista racconta l’amore di Shaleha, che di mestiere fa la levatrice (e<br />

questo è simbolicamente importante, ai fini della storia), con il marito Bangas. Lei non<br />

può dargli figli, e così lo aiuta a raccogliere la dote necessaria per prendere in moglie<br />

una giovane donna che gli generi un erede. “Film liquido come l’acqua”, ha scritto<br />

con acuta intuizione Luigi Locatelli. Chiusura con provocazione: sono QUESTI i film<br />

davvero necessari. Quelli che andrebbero distribuiti in numero oceanico di copie per<br />

far sentire vicine cose che sembrano lontane. Per aprire le menti, e i cuori. Sono questi,<br />

dunque, i film necessari. E non (come qualcuno ha osato dire) l’esordio alla regia<br />

di Luigi Lo Cascio, La città ideale, pretestuosa pellicola con intenti kafkiani, che invece<br />

si risolve in vuotaggini e banalità. E, diciamolo, bruttezza cinematografica.<br />

e.d.p.<br />

La Cina è più vicina...<br />

A Tre sorelle<br />

di Wang Bing<br />

il primo premio<br />

sezione “Orizzonti”<br />

cinema<br />

Il modo migliore di guardare un film è quello di farlo diventare unʼesperienza personale (M. Antonioni)<br />

Nella foto: Rito matrimoniale in Thy Womb, di Brillante Mendoza<br />

è un racconto nel racconto. Anzi, per meglio dire, con più sot-<br />

C’ tigliezza: un racconto DEL racconto. Inizia quando il giorno dopo<br />

la proiezione stampa serale di San Zimei (in italiano Tre sorelle), il film<br />

che è valso a Wang Bing il primo premio della sezione ‘Orizzonti’ di Venezia<br />

69, il regista cinese confessava ai giornalisti di essersi recato, nello<br />

stesso orario dell’anteprima del proprio film (19.30), in un’altra sala<br />

del casinò del Lido, per smarrirsi nella visione di Stromboli terra di Dio.<br />

Il cineasta classe 1967, che già due anni fa aveva impressionato il festival<br />

lagunare con il meraviglioso e crudele The Ditch, non trovava le<br />

parole per descrivere le sensazioni provocate da uno dei più bei Rossellini<br />

di sempre. Per questo regista che viene da lontano e che porta<br />

in giro per il mondo racconti di situazioni estreme, il padre del neorealismo<br />

finisce col diventare un padre spirituale, la cui lezione si concretizza<br />

in un cinema avulso dalle grandi produzioni cinesi (e lui è<br />

contento così), girato con adesione documentaria al limite della ‘ripresa<br />

di sorveglianza’ ma capace di slanci poetici e di un paesaggismo<br />

che anela al lirismo di John Ford (Enrico Ghezzi). Sono le qualità principali<br />

di Tre sorelle, in cui Wang Bing segue la vita di tre bambine di 10,<br />

6 e 4 anni, che vivono in un villaggio al limite del primitivo, dove la televisione,<br />

quando c’è, è poco più che una fonte luminosa che serve alla<br />

primogenita per studiare, nei momenti in cui la pastorizia e il lavoro<br />

della terra le lasciano il tempo di aprire un libro e un quaderno.<br />

e.d.p.<br />

Sopra: Francesca Riso, protagonista de L'intervallo Sopra: Un'immagine di Tre sorelle, di Wang Bing<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 27


musica<br />

Well, I just canʼt apologize, no/ Letʼs spend the night together (M. Jagger e K. Richards)<br />

Da pietre<br />

dello scandalo<br />

a mito<br />

del rock<br />

I 50 anni dei Rolling Stones<br />

anti-Beatles<br />

“amici” del demonio<br />

di FRANCO MATTEO<br />

Shine a light, splende una luce. Forse ancora adesso, a cinquant’anni<br />

dal primo concerto. Dal semplice ma “illuminante”<br />

titolo del film di Martin Scorsese, che ha immortalato<br />

l’energetico live act dei Rolling Stones, è inevitabile risalire<br />

alla matrice dell’elemento primario che ha sempre caratterizzato<br />

la musica e il mito delle pietre rotolanti: la luce e dunque<br />

il fuoco. Il fuoco della provocazione, della polemica, della rivolta del<br />

combattente della strada (Street fighting man), dell’irriverenza. Insomma<br />

la sana benzina di cui da sempre si nutre il rock ‘n roll. Cinquanta<br />

anni dopo la prima performance dal vivo della premiata ditta<br />

Jagger-Richards, quel fuoco è ancora vivo in quanto emblema di un<br />

genere musicale ribelle ed “versivo” eppure al tempo stesso pilastro<br />

di una fabbrica culturale totalmente assimilata alle logiche del business.<br />

Logiche che talvolta hanno persino stritolato la fragile esistenza<br />

dei protagonisti più sensibili della scena rock, come gli stessi Rolling<br />

Stones e, in particolar modo, la loro anima forse più sincera, Brian<br />

Jones, morto in una piscina a 27 anni.<br />

Per tracciare una equazione, oggi sono le Pussy Riot, simbolo dell’irriverenza<br />

e della dissacrazione nella Russia di Putin, a pagare il<br />

prezzo, in un paese non proprio liberale, delle loro provocazioni, a<br />

raccogliere l’eredità del filone anticonvenzionale e antisistema del<br />

rock. Compito, a quanto pare, ancora non privo di rischi in un paese<br />

in cui l’idea di libertà di espressione non è che sia completamente<br />

sdoganata. Perché, per quanto si voglia malignare su business, successo,<br />

mondanità e perversioni dello star sistem musicale, la galera<br />

resta sempre un’esperienza amara.<br />

Nella golden age del rock n’roll e, nello specifico, nella sua patria<br />

europea la vittoriana Inghilterra, erano invece i Rolling Stones a dichiarare,<br />

negli anni più infuocati della rivolta giovanile, «simpatia per<br />

il demonio» (Simpathy for the devil è uno dei brani più conosciuti e<br />

dal sapore più provocatorio delle pietre rotolanti), destando scandalo<br />

tra i benpensanti di un epoca che stava già vivendo l’attacco al convenzionalismo<br />

proprio in quello storico 1968. Il gruppo di Jagger e<br />

Richards si condannava cioè a incarnare, pochi anni dopo l’esordio al<br />

Marquee di Londra, il lato oscuro del rock britannico. Mentre i Beatles<br />

venivano investiti del titolo nobiliare di baronetti, loro si incamminavano<br />

lungo il sentiero della dissipazione esistenziale, quello<br />

tipico dei maudit di ogni epoca e generazione, seppure accompagnati<br />

da una montagna di sterline frutto di un travolgente successo.<br />

Con tanto di intrecci sentimentali complicati, storie di droga e la<br />

sconcertante tragedia della morte di Brian Jones, l’anima forse più<br />

spontanea e spirituale della band, quello che in Marocco aveva scoperto<br />

la musica e il misticismo dei sufi, producendo nel 1968 il disco<br />

The pipes of Pan at Joujouka, che raccoglie proprio musiche regi-<br />

Avitabile: maestro<br />

di vita e di musica<br />

Sei minuti di applausi alla Biennale<br />

di Venezia per il docu-film<br />

sullo “scugnizzo” napoletano<br />

di ELISA DE MARCO<br />

28 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

strate in un villaggio di montagna marocchino. Un disco che verrà ristampato<br />

nel 1995 da Philip Glass, Kurt Munkasci e Rory Johnston,<br />

con le note di Bachir Attar, Paul Bowles, William S. Burroughs, Stephen<br />

Davis, Jones, Brion Gysin, e David Silver. Sul versante opposto,<br />

si potrebbe dire così, appena un anno dopo Jagger percorre invece<br />

strade “luciferine” componendo la colonna sonora di un film di Kenneth<br />

Anger, regista visionario immerso nell’universo esoterico. Significativo<br />

il titolo della pellicola: Invocation of my demon brother,<br />

invocazione a mio fratello demonio.<br />

Per la cronaca, l’anno precedente, nell’album Beggar’s Banquet, gli<br />

Stones avevano pubblicamente dichiarato la loro «Sympathy for the<br />

devil». È in questo periodo che si intrecciano amori, tragedie e misteri.<br />

Entrano prepotentemente in scena Anita Pallenberg e Marianne<br />

Faithfull. L’intreccio di relazioni con Jones, Jagger e Richards attraverserà<br />

come un uragano la storia e i destini della band. La Pallenberg<br />

flirta con il bassista degli Stones, ma poi gli preferisce Richards.<br />

Nel giugno del 1969 Jones lascia il gruppo, e soltanto un mese dopo<br />

viene ritrovato morto annegato nella sua piscina. Due giorni dopo il<br />

gruppo celebra l’ex-amico scomparso con un concerto gratuito ad<br />

Hyde Park.<br />

Tre giorni dopo tenta il suicidio, senza riuscirci, la fidanzata di Jagger,<br />

Marianne Faithfull. Sono anni di gelosie anche tra i due ex compagni<br />

di scuola Jagger e Richards. L’inno pacifista Gimme Shelter, di<br />

certo uno dei brani più conosciuti e reinterpretati dei Rolling, fu<br />

scritto dal chitarrista in una lunga notte in cui aspettava la Pallenberg,<br />

che nel frattempo era andata a casa di Jagger. Vicende che<br />

hanno ancora oggi i loro strascichi se, in una recente intervista, Keith<br />

Richards ha avuto modo di ironizzare, seppure in maniera molto leggera<br />

e divertente, sulle dimensioni dei genitali del suo vecchio amico.<br />

Del resto sono cose che vengono vissute anche con il giusto distacco<br />

dettato dall’età non più adolescenziale dei due. Così come è ormai<br />

del tutto fuori moda la storia dell’antica irriducibile rivalità coi Beatles,<br />

consegnata agli archivi delle cronache musicali, per non dire se-<br />

Venezia, mostra del cinema: sei minuti di<br />

applausi per il regista Jonathan Demme<br />

e il Maestro Enzo Avitabile, in sala con il<br />

docu-film fuori concorso Enzo Avitabile<br />

Music Life. Il 68enne regista di capolavori<br />

quali Il silenzio degli innocenti e Philadelphia,<br />

con la passione per i documentari,<br />

dopo averci raccontato le vite di personaggi<br />

del calibro di Neil Young e del presidente<br />

USA Jimmy Carter, si dedica con successo<br />

allo “scugnizzo” Enzo Avitabile. Sono passati<br />

5 anni da quando, ascoltando un programma<br />

in radio mentre viaggiava in<br />

macchina, Demme si è innamorato della<br />

musica di Avitabile e, a detta dello stesso regista,<br />

“presto i suoi album sono diventati<br />

un’ossessione”. Finalmente l’incontro reale,<br />

in occasione del Napoli Film Festival 2010,<br />

dove nasce l’idea di mettere su pellicola le<br />

emozioni trasmesse dalla musica cosmopolita<br />

del sassofonista napoletano. Mesi di collaborazione<br />

portano al capolavoro presentato<br />

alla Biennale: 80 minuti sulla vita in musica<br />

di Enzo Avitabile. In realtà più che un<br />

documentario si potrebbe definire una serie<br />

di jam sessions filmate in cui la cinepresa,<br />

trovandosi in mezzo ad artisti così importanti,<br />

fa di tutto per non disturbare l’armonia<br />

delle composizioni. Fa da scenario una<br />

folkloristica Marianella, quartiere della periferia<br />

nord di Napoli dove l’artista nasce il 1°<br />

marzo 1955 e dove torna spesso per mostrare<br />

ai ragazzi del quartiere che sotto tutto<br />

quel cemento c’è un universo, che quella<br />

zona che lui stesso definisce non povera,<br />

ma in svantaggio, ha in realtà origini storiche<br />

profonde. E’ un bambino innamorato della<br />

musica: a 7 anni inizia a suonare il sassofono,<br />

da adolescente si esibisce nei locali<br />

“americani” di Napoli e ben presto si diploma<br />

in flauto al conservatorio, fino a diventare<br />

maestro di musica, e di vita. Il<br />

giovane Enzo ha presto la fortuna di duettare<br />

con i suoi miti, da James Brown a Tina<br />

Turner, fino a quando col passare degli anni<br />

polta definitivamente, dopo la partecipazione di Ron Wood al concerto<br />

di Paul McCartney del 5 dicembre dello scorso anno a Londra.<br />

Del resto, un po’ per vocazione un po’ per alimentare il business, la<br />

fabbrica del rock ha sempre puntato, soprattutto in Inghilterra, a costruire<br />

contrapposizioni più o meno fasulle, basti pensare a quelle<br />

meno antiche tra Oasis e Blur o tra Sex Pistols e Clash. Costruire narrazioni<br />

è un elemento indispensabile per alimentare il mito delle popstar<br />

e di conseguenza tutto l’affare economico che gira intorno ad<br />

esso. Il fatto che, oltre tutto, i Rolling Stones avessero, come nel caso<br />

di Richards, estrazione sociale meno privilegiata, si ispirassero al filone<br />

più viscerale del blues e della black music e osassero addirittura citare<br />

nei titoli dei loro brani il demonio in persona, era un boccone<br />

troppo ghiotto per non costruire l’altro dialettico dei baronetti John,<br />

Paul, George e Ringo, nonostante anche questi ultimi non fossero del<br />

tutto esenti dal coinvolgimento in vicende di cronaca legate al consumo<br />

della droga ed altri comportamenti non proprio in linea con un<br />

senso “vittoriano” del buon costume.<br />

Gli Stones sono stati comunque ottimi testimoni di se stessi e di<br />

tutto quanto gli girava intorno, acquisendo dopo la fase più turbolenta<br />

e genuina del loro percorso un necessario distacco, cristallizzato<br />

in modo semplice ed efficace nel brano It’s only rock ‘n roll, tanto per<br />

ribadire un concetto essenziale e sgombrare il campo dall’ipertrofia<br />

di un mito che altrimenti rischiava di schiacciarli.<br />

Una prova di “francescanesimo” musicale o, se si preferisce, di<br />

fondamentalismo dei quattro quarti (il ritmo che da sempre contraddistingue<br />

il rock). Ed è l’atteggiamento che li ha accompagnati<br />

sino ad oggi, nella memoria della trasgressione e nella contemporaneità<br />

di un mito che si rinnova continuamente anche perché è la regola<br />

stessa del mito: l’aver incarnato qualcosa che è dentro ciascuno,<br />

ma ognuno di noi preferisce trasferire in personaggi, vicende, comportamenti<br />

che non coinvolgono la nostra vita quotidiana, ma solo<br />

il segreto delle nostre emozioni. Per questo dopo 50 anni la luce<br />

splende ancora.<br />

sente di dover trovare una sua personale<br />

musicalità, e si rifà ai ritmi della sua città e<br />

alla sua lingua madre. Fondamentale l’incontro<br />

con i Bottari di Portico nel 2004 con<br />

i quali porta in scena tini, botti, falci e altri<br />

strumenti atipici. La passione e l’amore per le<br />

altre culture, non solo musicali, lo portano a<br />

sperimentare i sound più diversi, a creare<br />

band con musicisti provenienti da ogni parte<br />

del pianeta, a inventare un concetto personale<br />

e unico di suonare... e così, passando<br />

dalla musica folk al canto liturgico, dalla musica<br />

classica ai suoni del mondo, Avitabile nel<br />

2012 arriva ad incidere un album unico,<br />

forse il più completo della sua carriera, Black<br />

Tarantella. Un disco cosmopolita: 13 brani di<br />

cui 11 duetti con alcune delle voci più rappresentative<br />

del panorama italiano e internazionale<br />

come Pino Daniele, Raiz, Francesco<br />

Guccini, Daby Tourè, Idir, Bob Geldof,<br />

Co’Sang, Franco Battiato, David Crosby. La<br />

distanza tra chi suona e chi ascolta diviene<br />

invisibile. Ci racconta una Napoli spesso<br />

amara, ma allo stesso tempo reale, materna,<br />

vitale; ci fa partecipare alla sua passione, ci fa<br />

sognare con le note, ci integra al resto del<br />

mondo. Un mondo magico, in cui la musica<br />

è sinonimo di gioia, fratellanza e vita.<br />

Nella foto a sinistra: Enzo Avitabile<br />

in concerto<br />

Al centro: con il regista Jonathan Demme<br />

alla Mostra di Venezia<br />

musica<br />

Tu stai guardandomi - tu stai cullandomi - tu stai pensandomi - ma non vuoi perdonare - parlare a questo cuore - guidare questo amore... (P. Conte)<br />

Dalla Basilicata l’ukulele di Danilo Vignola<br />

Viaggio tra pop, ritmi mediterranei, tribali e folk, hard rock ed heavy metal<br />

Le dita affusolate si muovono rapidissime tra le quattro corde<br />

in nylon e i piccoli tasti del suo ukulele: bizzarro strumento di<br />

origine hawaiana, a metà tra un mandolino e un violino. Il<br />

capo chino segue il ritmo tra una cascata di capelli. Lo sguardo<br />

azzurro si accende di un guizzo, tra magia e mistero da sciamano.<br />

L’ukulele del lucano Danilo Vignola vibra di sonorità etniche, ammalianti<br />

melodie pop, sprazzi di progressive e sperimentazione, ritmi<br />

mediterranei, tribali e folk in una costante tensione poetica che invita ad<br />

un nuovo modo di intendere la musica: un ‘viaggio esistenziale’. E’ il miglior<br />

ukulelista elettrico al mondo: vincitore nel 2010 del premio “Migliore<br />

Tecnica” del concorso Eleuke. Originale il suo modo di suonare il piccolo<br />

strumento: ne ha reinventato ruolo e funzione ridimensionando accordature,<br />

intessendo contaminazioni sonore a partire dal folk della sua terra.<br />

E’ il 2008 quando Danilo in un negozio di strumenti musicali sulle Ramblas<br />

di Barcellona vede un simpatico chitarrino alla parete. Incuriosito, lo<br />

Dal tributo a Who’s Bad di Jacko<br />

alla voce roca di Mark Knopfler<br />

New York. Who’s Bad diventa lo<br />

slogan culturale di un’intera<br />

generazione e 25 anni dopo il leggendario<br />

album di Michael Jackson<br />

viene celebrato con un doppio cd<br />

in versione deluxe, Bad 25th Anniversary<br />

Edition. Appena uscito,<br />

Bad 25 ha immediatamente scalato<br />

le classifiche mondiali, collocandosi<br />

in prima posizione. È il secondo<br />

album lanciato per il 25°<br />

anniversario, dopo Thriller 25. Le<br />

atmosfere che si respirano vanno<br />

dal pop al R&B, al funk, alla dance,<br />

fino al rock e al dubstep. Il box set<br />

include, oltre ai due dischi, un cd live e il dvd del concerto-performance<br />

del 16 luglio 1988 al Wembley Stadium di Londra, alcune foto del dietro le<br />

quinte durante le fasi di preparazione di Bad e alcune scene del cortometraggio.<br />

Privateering è considerato l’album migliore di Mark Knopfler, fondatore e<br />

leader carismatico dei Dire Straits. Voce più roca e ballate struggenti, slow<br />

blues, canzoni di sangue irlandese, per un doppio album da brividi. La Fender<br />

Stratocaster è un marchio di fabbrica. Il suono, lo stile ed il modo in cui le mani<br />

scivolano sul manico sono inconfondibili. Mark Knopfler ha annunciato, fra la<br />

primavera e l’estate del 2013, un nuovo tour europeo che lo vedrà protagonista<br />

anche in Italia con ben sette date (Torino, Milano, Padova, Roma, Napoli,<br />

Teatro antico Taormina e Lucca). È entusiasta di ripercorrere con la sua band le<br />

strade dell’Europa ancora una volta: “È come essere capitano di una piccola<br />

nave che si gode la vita on the road con il suo equipaggio”.<br />

Dopo 87 settimane è ancora in classifica, tra le prime 20 posizioni, Adele con<br />

21, il secondo album in studio della cantante inglese. Oltre 20 milioni di<br />

copie vendute a livello globale, best-seller del 2011 negli Stati Uniti (5 milioni<br />

e 820mila copie) e disco più richiesto del XXI secolo nel Regno Unito. Tra la fine<br />

del 2011 e la prima metà del 2012, 21 ha ottenuto numerosi riconoscimenti a<br />

livello internazionale, tra i quali un American Music Award, sei Grammy<br />

Awards (incluso quello per l’album dell'anno), il premio British Album of the<br />

Year ai BRIT Awards 2012 e due Billboard Music Awards. Il disco, quasi completamente<br />

autobiografico, è pervaso dal dolore per la fine di un amore di<br />

cui Someone Like You è la sintesi ideale.<br />

A cura della REDAZIONE MU<strong>SI</strong>CA<br />

acquista al volo. Comodo da portare con sé, per le ridottissime dimensioni,<br />

lo utilizza per accompagnare reading poetici nei caffè letterari in giro per<br />

l’Europa. Al suo ritorno in Basilicata, nel 2009, messa da parte la laurea<br />

in lingue, fonda gli Ethn’n’roll con il gruppo di amici di sempre. Fa presto<br />

parlare di sé il sodalizio storico tra Danilo Vignola-Keith di Genzano di Lucania<br />

(ukulele elettrico e musiche), Gabriele Russillo-Jim di Baragiano<br />

(basso, flauto e voce) e Giovanni Didonna-Viking di Tolve (batteria e percussioni).<br />

La band si connota per un sound intriso di antiche ispirazioni e<br />

melodie dimenticate, ritrovate, reinventate: fonde rock estremo a sonorità<br />

etniche, ritmi incalzanti; porta alla ribalta strumenti a corda, a fiato e<br />

percussioni della tradizione popolare; trascende le regole melodiche ed<br />

armoniche nell’incanto di versi poetici, tra smania di festa e di rivolta. Taranta<br />

underground by Ethn’n’roll è l’album uscito la scorsa primavera:<br />

fantastica fusione di taranta, flamenco, contaminazioni mediterranee, balcaniche<br />

e gotiche, hard rock ed heavy metal: trampolino di lancio per la<br />

gioso<br />

con la<br />

casa di-<br />

firma<br />

di un<br />

contrattopresti-<br />

scografica<br />

M.A.P. di Milano.<br />

A luglio 2012 la band è stata impegnata nella direzione artistica<br />

della I edizione del Festival Internazionale dell’Ukulele nei Sassi di Matera,<br />

patrimonio mondiale dell’umanità e città candidata a Capitale Europea<br />

della Cultura per il 2019.<br />

Cristiana Lopomo<br />

Paolo Conte: «Il Conte, l’Avvocato e… il Jazz»<br />

Attimi perduti, animi nostalgici, composizioni<br />

surreali e l’esotismo delle terre di frontiera<br />

Un brillante futuro da avvocato all’orizzonte, ma alla carriera forense ha preferito la<br />

musica e l’arte. È Paolo Conte, artista dalla creatività poliedrica, cantautore e paroliere.<br />

Pianista di formazione jazz, è considerato uno dei più importanti e originali musicisti<br />

contemporanei, nonché uno dei più grandi autori e parolieri di sempre. Nella sua oltre<br />

quarantennale carriera è stato inizialmente autore di testi e musiche per altri, per poi<br />

decidere, nel 1974, di abbandonare l’avvocatura per dedicarsi esclusivamente alla professione<br />

artistica. Si è cimentato, inoltre, in molti campi espressivi come l’arte figurativa,<br />

ricevendo nel 2007 una Laurea Honoris Causa in Pittura dall’Accademia di Belle<br />

Arti di Catanzaro. Le composizioni di Conte sono notturne, sognanti, surreali, illuminate<br />

dalle stelle del jazz, su uno sfondo carico di malinconia per gli attimi vissuti e per<br />

quelli perduti: attimi infiniti che l’avvocato di Asti riesce a fissare in canzoni,<br />

in “intuizioni musicali” come le chiama lui, che coinvolgono ed immergono<br />

in una dimensione onirica e nebbiosa, che è poi la parte più intima<br />

e irrazionale. Ogni sua canzone è un racconto, con i suoi personaggi<br />

tanto anomali quanto normali; un’anomalia che, paradossalmente,<br />

è proprio nella loro profonda normalità e prosaicità: uno su tutti<br />

il protagonista di Bartali, che abbandona la sua donna per<br />

aspettare sotto il sole cocente di un “pomeriggio appiccicoso<br />

di caucciù” il suo mito a due ruote, come la solitudine di un<br />

anziano signore in Una giornata al mare o la meraviglia di un<br />

piemontese alla vista del mare in Genova per noi. Poche parole,<br />

testi ermetici, tanto basta per accendere la fantasia di chi ascolta<br />

e proiettarlo tra i profumi, le luci e le ombre della commedia umana.<br />

Sono parole ironiche, malinconiche, sorprendenti, spesso consuete che si ripetono<br />

tanto da sfociare in nonsense che si canticchiano all’infinito (It’s wonderful, it’s wonderful,<br />

it’s wonderful good luck my baby vi ricorda qualcosa?) oppure in divertissement<br />

linguistici: “Comèdie” o “Come di”, in cui la commedia della vita va avanti tra<br />

addii di uomini in canottiera e di amanti viste a Napoli tra i ventilatori al Grand Hotel.<br />

Conte non è solo Francia, jazz e swing, è anche l’esotismo che si trova nella Faccia triste<br />

dell’America o di Messico e nuvole, terra di frontiera e situazioni di contrabbando,<br />

nella magia di Sudamerica, nell’eleganza di una Verde Milonga o nel passo di rumba di<br />

Cuanta Pasiòn, registrata in studio con il contributo del chitarrista Mario Reyes della<br />

Gypsy Kings Family e della cantante iberica Carmen Amor. Bellissima e travolgente,<br />

Cuanta Pasiòn è piena di ritmo e di nostalgia, di fumo e di poesia. Parole di carne e di<br />

spirito che dipingono con i colori della terra e del cielo il quadro della vita.<br />

Michele Salerno<br />

la carta è...<br />

DE LUCA S<strong>AL</strong>ERNO<br />

DE LUCA<br />

INDUSTRIA GRAFICA E CARTARIA<br />

84131 S<strong>AL</strong>ERNO - VI<strong>AL</strong>E ANDREA DE LUCA, 35<br />

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TEL. 089.301333 - FAX 089. 301784<br />

E-Mail: info@delucacartaria.it - Web: WWWdelucacartaria.it<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 29


dalle terre d’oltremare<br />

Ogni grande opera dʼarte ha due facce, una per il proprio tempo e una per il futuro, per lʼeternità (D. Barenboim)<br />

Due monumenti come espressione<br />

dello stesso movimento<br />

religioso del Chandi Borobudur<br />

Chandi Mendut<br />

e Chandi Pawon<br />

Questi due monumenti sono disposti sulla<br />

stessa linea est-ovest. Probabilmente l’allineamento<br />

non era accidentale, nonostante<br />

un leggero cambiamento di direzione nella<br />

parte orientale verso nord-est (una direzione<br />

privilegiata nell’architettura indiana). La posizione<br />

topografica come anche le modanature sono<br />

simili, anche se su scala diversa, a Borobudur o, in<br />

altri termini, come sostenuto dall’archeologo olandese<br />

de Casparis «esso nell’insieme è un complesso<br />

unico con Pawon e Borobudur» e «cronologicamente<br />

parlando è il più antico dei tre». Ciò sulla base della<br />

lettura da lui data all’iscrizione in sanscrito e in giavanese<br />

antico di Karangtengah (dal nome del villaggio<br />

omonimo a circa 3 km da Borobudur), datata<br />

all’8<strong>24</strong> d.C., secondo la quale il re Indra (782-812 d.C)<br />

della dinastia Śailendra avrebbe fatto erigere – su una<br />

precedente costruzione in muratura – un tempio<br />

sacro chiamato Venuvana (“foresta di bambù”) ove<br />

custodire le ceneri del “dio delle nubi”, uno degli attributi<br />

del dio Indra, dallo studioso messo in relazione<br />

con quel sovrano. Il tempio alto circa 27 m., esposto<br />

a N-E., si erge su una massiccia base rettangolare e<br />

consiste di una cella quadrata preceduta da un portico<br />

di ingresso. I gradini sporgenti dal lato nordovest<br />

della base sono adorni su ogni lato da statue di makara<br />

(creature acquatiche della mitologia indiana). La<br />

cella contiene tre statue, con il Buddha Śākyamuni<br />

seduto al centro nell’atto dell’insegnamento della<br />

Legge. Nella parte inferiore dello zoccolo si può vedere<br />

la Ruota della Legge affiancata da due gazzelle,<br />

chiaro riferimento iconografico al momento del sermone<br />

nel parco delle gazzelle a Benares dove il Buddha<br />

predicò la Legge per la prima volta. A sinistra è il<br />

Bodhisattva Avalokiteśvara, a destra un altro Bodhisattva,<br />

probabilmente Mañjuśrī. L’esterno del monumento<br />

è decorato con pannelli raffiguranti dei Bodhisattva,<br />

del pantheon Māhayāna tra i quali Mañjuśrī,<br />

Samantabhadra, Avalokiteśvara, Maitreya, Vajrapāni<br />

sotto parasoli.<br />

La terrazza quadrata che circonda il corpo del tempio<br />

era destinata alla circumambulazione rituale (pradakshina).<br />

Quanto a Pawon, situato a circa 1800 m. da Borobudur<br />

e a 1150 m. da Mendut, esso fu probabilmente<br />

costruito nello stesso periodo di Mendut. Forse dedicato<br />

a Kuvera, il dio della ricchezza, il tempio è su una<br />

base quadrata e contiene una sola statua appoggiata<br />

contro la parte scolpita sporgente della parete frontale<br />

della cella e pannelli più riccamente decorati sulle<br />

pareti laterali e posteriore, in prevalenza alberi della<br />

vita circondati da vasi di monete affiancati da kinnara.<br />

Il restauro di entrambi Pawon e Mendut agli inizi del<br />

XX secolo rende la loro interpretazione architettonica<br />

difficile, in modo particolare per quanto riguarda la<br />

parte superiore di Pawon che sembra di dubbia autenticità.<br />

g.d.m.<br />

30 geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012<br />

Tesori dal “giardino di Giava”:<br />

Borobudur, Mendut, Pawon<br />

Borobudur, realizzazione suprema dell’arte indonesiana<br />

insieme completo e armonioso del sistema buddhista del mondo:<br />

manifestazione del Buddha in questo mondo, schema cosmico<br />

Tra i siti artistico-architettonici più grandiosi<br />

dell’intero universo buddhista,<br />

entrato a far parte del patrimonio culturale<br />

dell’umanità dell’UNESCO, un<br />

posto di primo piano è senza dubbio<br />

quello rappresentato dal complesso monumentale<br />

di Borobudur (Barabudur) o anche, dal momento<br />

che in Indonesia, gli antichi templi sono<br />

localmente noti come “chandi”, Chandi Borobudur.<br />

Esso consiste di tre monumenti: il tempio<br />

principale, il Chandi Borobudur, in sostanza uno<br />

stupa monumentale, e due templi minori, il<br />

Chandi Mendut e il Chandi Pawon, posti ad Est<br />

in asse col primo. Situato nella valle di Kedu (nota<br />

anche come il giardino di Giava), nella parte centrale<br />

dell’isola di Giava, a circa 42 km da Yogyakarta,<br />

il Chandi Borobudur è considerato, a<br />

ragione, il più grande monumento buddhista del<br />

mondo, tanto da essere addirittura incluso tra le<br />

sette meraviglie del mondo. Costruito tra l’VIII e<br />

il IX secolo d.C., durante il regno della dinastia<br />

Sailendra, un ramo della dinastia indiana dei<br />

Chandella (famosi per aver eretto i templi di Khajuraho),<br />

si ritiene che l’architetto che la progettò<br />

fu Guvanadharma e che per la sua costruzione si<br />

siano impiegati 75 anni completandosi durante il<br />

regno di Samaratunnga nell’825. Il design del<br />

tempio riflette l’influenza, nella regione, dell’architettura<br />

Gupta e post-Gupta dell’India, pur incorporando<br />

numerose scene ed elementi indigeni<br />

che lo rendono il monumento più importante,<br />

non solo di Giava centrale, ma di tutta l’Indonesia.<br />

L’intera struttura, costruita su di una collina,<br />

è costituita da 55.000 m3 di roccia vulcanica grigio-bluastra<br />

(andesite), una pietra porosa che per<br />

natura incoraggia la crescita di vegetali, quali muschio<br />

e licheni, difficili da distruggere per la loro<br />

capacità di sopravvivenza all’atmosfera con conseguenti<br />

danni alla struttura. Il tempio, che si<br />

estende per una superficie totale di circa 2500<br />

m2 di GIUSEPPE DE MARCO loto, il fiore sacro del Buddha.<br />

Le facciate e le balaustre di Borobudur sono ricoperte<br />

da circa 2670 bassorilievi (di cui 1460<br />

pannelli di carattere narrativo e 1200 puramente<br />

decorativi) distribuiti tra la base e le cinque piattaforme<br />

quadrate. I pannelli narrativi, raffigurano<br />

la storia del principe Sudhana e della kinnari<br />

(metà donna e metà uccello) Manohara la cui<br />

.<br />

leggenda è narrata nella raccolta antologica buddhista<br />

del Divyavadana, - - o “Storie divine” e che<br />

viene raggruppata in 11 serie di pannelli che circondano<br />

il monumento. La base del monumento<br />

-<br />

contiene la prima serie con 160 pannelli narrativi<br />

mentre le restanti 10 sono distribuite lungo le<br />

mura e le balaustre in quattro gallerie a partire<br />

dalla gradinata orientale di ingresso a sinistra. Da<br />

notare anche che i pannelli narrativi delle facciate<br />

murarie vanno letti da destra verso sinistra, mentre<br />

quelli delle balaustre da sinistra a destra, in<br />

conformità col rituale della circumambulazione<br />

(pradakshina) eseguito dai pellegrini che si muovono<br />

in direzione oraria lasciando il santuario alla<br />

‘<br />

loro destra. Le mura della prima galleria hanno<br />

due serie sovrapposte di rilievi, ciascuna delle<br />

quali composta da 120 pannelli con, nella parte<br />

superiore, raffigurazioni riguardanti la biografia<br />

del Buddha.Nella parte inferiore delle mura e<br />

delle balaustre della prima e della seconda galleria<br />

vi sono raffigurazioni riconducibili alla storia<br />

delle “nascite precedenti” (jataka) - del Buddha.<br />

La struttura superiore data da piattaforme circolari<br />

presenta 72 piccoli stupa - a forma di campana<br />

e traforati, ciascuno dei quali accompagnato da<br />

contenente una statua del Buddha e che circondano<br />

lo stupa - più grande posto sulla sommità.<br />

Quanto alle condizioni di conservazione e di restauro<br />

di Borobudur, ci dobbiamo limitare a ricordare<br />

che nei primi decenni del 1900, in due<br />

diversi periodi, furono recuperati i materiali originali<br />

per la ricostruzione del tempio e che, in<br />

epoca più recente, nel decennio 1973-1983 vi<br />

sono stati interventi dell’UNESCO e del governo<br />

, si erge maestoso su di una collina a forma di indonesiano. Oltre che dal tempo la struttura è<br />

piramide quadrata a gradoni. Più in particolare, il minacciata dalle eruzioni del vicino monte Me-<br />

complesso è strutturato in 10 terrazze a loro volta rapi di cui è ancora vivo il ricordo di quella che<br />

divise in tre gruppi verticali: base, corpo e strut- nel 2010 oltre a colpire il tempio ha provocato la<br />

tura superiore. Tale divisione coincide perfetta- morte di almeno 350 persone e l’allontanamento<br />

mente con la concezione dell’universo della dalle loro abitazioni di almeno 100.000. Dopo<br />

cosmologia buddhista, secondo cui l’universo è<br />

diviso in tre sfere, kamadhatu, - - rupadhathu - e<br />

arupyadhatu, - che rappresentano, rispettivamente<br />

tale evento, più di 500 membri delle comunità locali,<br />

sotto la supervisione del Ministro dell’Istruzione<br />

e della Cultura dell’Indonesia, hanno<br />

la “sfera del desiderio” dove siamo legati ai no- effettuato operazioni di pulizia del tempio e dei<br />

stri desideri, la “sfera delle forme” dove ci ab- suoi intricati bassorilievi ed è di conforto il ricobandoniamo<br />

ai nostri desideri ma siamo ancora noscimento del Direttore generale dell’UNESCO<br />

legati a nome e forma, e la “sfera del senza- che nel novembre del 2011 ha voluto segnalare<br />

forma”ovvero il cammino progressivo verso il de- l’importanza di tale intervento con la consegna<br />

finitivo abbandono del desiderio e della sofferenza<br />

(nirvana). -<br />

. L’intera struttura è a forma di un<br />

di attestati alle scolaresche delle stesse comunità<br />

locali.<br />

In alto: Veduta dall’alto<br />

di Borobudur<br />

Sopra: Veduta parziale<br />

degli stūpa traforati<br />

sulle terrazze superiori<br />

Sotto: Veduta parziale<br />

dello stūpa sulla sommità<br />

del tempio<br />

Nel box a sinistra in alto:<br />

Chandi Mendut visto da N-O<br />

Sotto: Chandi Pawon<br />

visto da N-O<br />

Un mondo di sogni per interpretare noi stessi<br />

MARZIA P<strong>IL</strong>ERI, P<strong>SI</strong>COLOGA, P<strong>SI</strong>COTERAPEUTA SPE-<br />

CI<strong>AL</strong>IZZATA IN TRAINING AUTOGENO, insegnante<br />

di meditazione profonda e autoconoscenza, attenta<br />

alla multidimensionalità di noi stessi, ci<br />

guida a capire cosa succede davvero quando si<br />

sogna. Lo fa nel suo ultimo volume L’universo dei<br />

sogni. Come leggerli per capire noi stessi (Paoline,<br />

Cinisello Balsamo). Scende la notte e, mentre<br />

le stelle ci osservano, lasciamo che il corpo<br />

stanco da giornate frenetiche si immerga nel<br />

sonno. In quel momento sembra che la nostra<br />

mente taccia e che i nostri pensieri, sommersi<br />

dalla stanchezza, scivolino via. In realtà la mente<br />

continua incessantemente il suo lavoro, continua<br />

a creare pensieri complessi e addirittura sorprendenti.<br />

Questo è un momento magico che spa-<br />

lanca le porte di un giardino segreto, affascinante<br />

e misterioso: l'universo dei sogni. Chi di<br />

noi, infatti, non si è svegliato almeno una volta<br />

appagato da un sogno che l'ha accompagnato<br />

durante la notte, o magari impaurito da un<br />

sogno caratterizzato da eventi terribili. E queste<br />

sensazioni l'hanno accompagnato per ore e ore.<br />

In effetti, in quale dimensione entriamo quando<br />

si sogna? Quale ruolo gioca esattamente il nostro<br />

inconscio? Esso parla attraverso i sogni alla<br />

nostra coscienza approfondendo le esperienze<br />

che viviamo. Sognando, dunque, possiamo entrare<br />

in quella parte di noi che è sospesa tra due<br />

dimensioni apparentemente contraddittorie: il<br />

reale e l'irrazionale. Ma è proprio così irrazionale<br />

entrare in quel giardino segreto che è per noi il<br />

L’apocalittica Rust Belt di Alessandro Coppola<br />

LA CITTÀ È VIVA e si rinnova sotto lo<br />

sguardo sempre meno attento di chi la<br />

abita. Nonostante, poi, sia il riflesso speculare<br />

di scelte politiche e loro conseguenti<br />

effetti sociali, in breve ogni singolo centimetro<br />

cubo di cemento racconta la storia<br />

dell’individuo/cittadino. Si tratta di guardare<br />

da vicino il fenomeno del post urbano,<br />

ampiamente analizzato da Alessandro<br />

Coppola in Apocalypse Town. Cronache<br />

dalla fine della civiltà urbana (Laterza,<br />

Roma 2012). L’autore con un linguaggio<br />

narrativo ricco di spunti immaginativi ci<br />

mostra le inner city della Rust belt statunitense,<br />

quale area geografica che agli inizi<br />

del Novecento ha rappresentato il motore<br />

economico trainante dell’intero paese, ma<br />

di cui oggi, causa la depressione economica,<br />

non resta che lo scheletro decadente.<br />

Storia. Il Sud tra conquista<br />

e colonizzazione<br />

LA POTENTE RETORICA DELL’UNIFICAZIONE, dalla<br />

quale già Piero Gobetti metteva in guardia,<br />

ha in realtà segnato in modo profondo il modo<br />

in cui si guarda a quelle lontane vicende. Il volume<br />

del compianto Nicola Zitara, L’invenzione<br />

del mezzogiorno. Una storia finanziaria (Jaca<br />

Book, Milano), affronta in modo rigoroso e secondo<br />

una solida prospettiva storico-economica<br />

questo ancora rilevante e, per certi versi,<br />

irrisolto problema storico. Senza alcun cedimento<br />

ad atteggiamenti retorici o anacronistici,<br />

viene ricostruita la logica dell’unificazione italiana<br />

come un vero processo di colonizzazione.<br />

Zitara fornisce convincenti strumenti storici per<br />

rifiutare un ancora prepotente e diffuso trionfalismo<br />

nazionalistico, ponendo le basi per ripensare<br />

la stessa questione meridionale.<br />

Letture: la trilogia di E. L. James<br />

Una saga<br />

tra prevedibilità<br />

e soluzioni<br />

improbabili<br />

La trilogia di E.L. James, comprendente Cinquanta sfumature<br />

di grigio, Cinquanta sfumature di nero e Cinquanta sfumature<br />

di rosso (Mondadori, Milano), è ormai un fenomeno mondiale e<br />

già si parla di un possibile adattamento cinematografico. Un caso<br />

che fa discutere, con al centro dei dibattiti il ruolo della donna da<br />

sottomessa a dominatrice. Salta all’occhio sin dalle prime pagine<br />

la somiglianza con la saga di Twilight, diventata ormai un caso<br />

impos- sibile da ignorare. Simili i personaggi: come Isabella Swan,<br />

Anastasia è una giovane donna inesperta della vita e lontana dall’universo<br />

del bellissimo e tenebroso Christian, che, analogamente<br />

al centenario vampiro Edward Cullen, è dotato di una bellezza<br />

mozzafiato ed è in continuo conflitto con il proprio lato oscuro.<br />

Somiglianti anche l’ambientazione (lo stato di Washington), lo<br />

stile (che non rimane nel cuore), uguali alcuni personaggi secondari<br />

e il modo di descrivere i sentimenti. La Meyer però era stata<br />

in grado di creare discreti momenti di suspence e colpi di scena,<br />

mentre qui ogni avvenimento è prevedibile con largo anticipo. Improbabili<br />

peraltro risultano alcune soluzioni narrative. Nulla di più,<br />

insomma, di una lettura d’evasione senza pretese che potrebbe<br />

essere giudicata non meno dignitosa di tante altre se non fosse<br />

accompagnata dall’intensa pubblicità che sta dilagando ormai da<br />

tempo.<br />

Francesca Montanaro<br />

Ormai è chiaro che i flussi migratori oscillino<br />

rispetto all’offerta di lavoro di un<br />

paese, alla presenza d’infrastrutture e<br />

quartieri residenziali progettati seguendo,<br />

inoltre, l’illusione di rappresentare una determinata<br />

appartenenza di classe. Ecco<br />

quindi che le amministrazioni locali dell’America<br />

settentrionale, impoverite e avvilite<br />

hanno ripensato la gestione urbanistica<br />

facendo della globalizzazione non<br />

un mostro da cui fuggire ma, come rileva<br />

lo stesso autore, un’occasione da non sprecare.<br />

Resta interessante capire quali siano<br />

state le risposte, in termini di creatività, di<br />

chi ha scelto di continuare a vivere certi<br />

luoghi reinventando fonti di lavoro e<br />

quindi nuovi stili di vita, situazione che in<br />

breve potrebbe riguardarci direttamente.<br />

Marcella Ferro<br />

Atlante teatrale<br />

per un viaggio in Occidente<br />

<strong>IL</strong> MAGO DI O, «al quale nel romanzo i personaggi<br />

rivolgono i propri desideri», diventa l’Occidente<br />

– West – nella sua forma più inquietante<br />

– Hitler – che consuma le contraddizioni di un<br />

immaginario condiviso prima che geografico.<br />

O/Z. Atlante di un viaggio teatrale-Atlas of a<br />

theatre journey è il racconto di una tetralogia del<br />

gruppo Fanny & Alexander (Ubulibri, Milano), è<br />

il diario-delirio di bordo che sonda il polso dell’Occidente<br />

inteso come una somma di immaginari<br />

collettivi condizionati, in questa direzione<br />

vanno viste le figure dei “condizionatori” di<br />

West, che non solo condizionano l’attore ripetendo<br />

in modo insistente e martellante slogan e<br />

pubblicità, rapendone i gesti, ma ne consumano<br />

velocemente e ineluttabilmente la memoria.<br />

Vincenzo Del Gaudio<br />

Economia: inventarsi il futuro<br />

Opportunità<br />

di lavoro e mercato<br />

nel tempo<br />

della crisi<br />

nostro inconscio? Questa dimensione non va<br />

forse oltre la nostra stessa forma umana aprendoci<br />

le porte di una dimensione onirica che è collegata<br />

alla parte più vera di noi, normalmente<br />

sepolta dalla materialità della nostra natura<br />

umana? In realtà durante il sonno, a ben vedere,<br />

il nostro io non può fare altro che affacciarsi su<br />

spazi sconosciuti, ricchi di risorse e suggerimenti<br />

per il nostro benessere. Solo conoscendo i nostri<br />

sogni potremmo conoscere bene noi stessi e<br />

quella parte magica e soprannaturale che risiede<br />

in ognuno di noi. Una parte che affiora inevitabilmente<br />

ogni volta che il confuso brusio dei pensieri<br />

che inquinano la nostra mente si attenua e<br />

si aprono le porte alle vibrazioni dello spirito.<br />

Maddalena Di Leo<br />

Due secoli di narrativa<br />

nel libro di Luigi Reina<br />

UN VIAGGIO NEGLI ULTIMI DUE SECOLI DELLA<br />

NOSTRA TRADIZIONE LETTERARIA, dal romanzo<br />

storico alla narrativa della contemporaneità.<br />

Questo è Percorsi del<br />

romanzo, l’ultimo lavoro di Luigi Reina<br />

(Lepisma, Roma). Invitando ad una riflessione<br />

teorica, l’autore chiarisce la sua<br />

idea di romanzo come mimesi, rappresentazione:<br />

«a noi pare che compito dell’intellettuale<br />

(e lo scrittore è tale) sia<br />

prevenire e favorire o guidare l’evoluzione<br />

del gruppo o della società». Dopo<br />

questo incipit teorico il lettore si imbatte<br />

in una carrellata storica, attraverso la<br />

quale viene seguita l’evoluzione del romanzo<br />

durante l’arco di due secoli. Con<br />

l’età della Restaurazione gli intellettuali<br />

assumono un ruolo nuovo: la loro attività<br />

si apre ad istanze civili, diventando<br />

strumento di educazione politica. Di qui<br />

l’affermarsi del romanzo, «moderna<br />

epopea borghese» lo aveva definito<br />

Hegel. Con Alessandro Manzoni, che<br />

sente il nuovo impegno dell’intellettuale,<br />

il romanzo non può imporsi che<br />

come romanzo storico. Dalla lezione<br />

manzoniana Reina passa ad analizzare i<br />

romanzi di Capuana, Verga, De Roberto<br />

– considerati ad un tempo «inchiesta<br />

storico-politico-economica, saggio sociologico,<br />

narrazione dilettosa» – fino alla<br />

«tentazione estetizzante» di d’Annunzio<br />

e alle esperienze narrative di Svevo,<br />

Tozzi, Pirandello, con i quali la letteratura<br />

diventa «letteratura d’esame», mimesi<br />

delle realtà invisibili. Nell’articolata<br />

mappa letteraria del XX secolo, Reina dà<br />

conto di diverse esperienze: le avanguardie,<br />

la stagione del neorealismo, il<br />

boom della lettura negli anni ’60, fino<br />

alle tendenze sperimentali di fine millennio.<br />

Nunzia Soglia<br />

risi uguale cambiamento. Più rapidamente cambiano le<br />

«Ccose, più crisi ci saranno. Chi si guarda intorno con mente<br />

aperta avrà maggiori possibilità di fare business con successo.<br />

[…] Per convivere con la crisi e sfruttarla a proprio vantaggio bisogna<br />

conoscere le regole del gioco e saper leggere e interpretare<br />

il mondo che ci circonda. Ed è proprio quando ci si confronta con<br />

gli altri che possiamo davvero costruire qualcosa». Ma quali sono<br />

le “regole d’ingaggio” per sfruttare la crisi e le sue opportunità?<br />

Cosa ci fa capire se un’idea di business è fattibile o no? Quali<br />

sono le professioni che nascono nei periodi di crisi? Come fare<br />

soldi nei periodi di crisi. Trovare lavoro, cambiare professione,<br />

fare business, trasformando le crisi in opportunità, scritto a quattro<br />

mani da Angelo Deiana e Roberto Barbato (Gruppo <strong>24</strong> Ore,<br />

Milano), risponde a questi interrogativi attraverso la lente d’ingrandimento<br />

delle opportunità che nascono proprio durante i periodi<br />

dando consigli, suggerimenti e idee concrete su come<br />

volgere a proprio vantaggio le congiunture sociali ed economiche<br />

sfavorevoli. In maniera semplice e pratica, attraverso un dialogo<br />

diretto tra autori e lettori il libro, già sold out nelle migliori<br />

librerie italiane, vuole essere uno strumento pragmatico di successo<br />

per chi ha idee di business e di cambiamento ma non sa<br />

come concretizzarle.<br />

Adriana Apicella<br />

libri &notes<br />

La letteratura è una difesa contro le offese della vita (C. Pavese)<br />

è in queste città<br />

Bimestrale di cultura<br />

arti visive, spettacolo<br />

e nuove tecnologie creative<br />

AGROPOLI<br />

Edicola Giuseppe Voso - via S. Pio X 145<br />

AM<strong>AL</strong>FI (SA)<br />

C&G. - corso delle Repubbliche Marinare, 13<br />

AVELLINO<br />

Punto Einaudi - galleria via Mancini<br />

BARI<br />

Librerie Feltrinelli - via Melo, 49<br />

BARONIS<strong>SI</strong> (SA)<br />

Museo-Frac Fondo Regionale d’Arte Contemporanea<br />

BENEVENTO<br />

Punto Einaudi - corso Giuseppe Garibaldi, 95<br />

BOLOGNA<br />

Bookshop MAMBo - via Don Giovanni Minzoni, 14<br />

C<strong>AL</strong>TAGIRONE (CT)<br />

Libreria Dovilio - Piazza Bellini, 12<br />

CAMPOBASSO<br />

La Nuova Libreria - via Vittorio Veneto, 7<br />

CATANIA<br />

Cavallotto Librerie - viale Ionio, 32<br />

CATANZARO<br />

Libreria Mondadori - corso Giuseppe Mazzini, 16<br />

CAVA DE’ TIRRENI (SA)<br />

MARTE Mediateca Arte Eventi - corso Umberto I, 137<br />

COMO<br />

Libreria Ubik - piazza San Fedele, 32<br />

CORTINA D’AMPEZZO (BL)<br />

Museo Rimoldi, Ciasa De Ra Regoles - corso Italia, 69<br />

COSENZA<br />

Caffe Letterario Città di Cosenza - piazza Matteotti<br />

FERRARA<br />

Università degli Studi Ferrara<br />

Facoltà di Lettere e Filosofia - via Paradiso<br />

Ibs.it Bookshop, piazza Trieste e Trento, 41<br />

Librerie Feltrinelli - Corso Garibaldi, 30<br />

FIRENZE<br />

Ibs. it - via de’Cerretani, 16r<br />

FISCIANO (SA)<br />

Presso la sede di Unis@und<br />

Webradio - Università degli Studi di Salerno<br />

FOGGIA<br />

Libreria Dell’Atenea - via Giuseppe Rosati, 1<br />

FRO<strong>SI</strong>NONE<br />

Accademia di Belle Arti - viale Guglielmo Marconi<br />

GENOVA<br />

Libreria Feltrinelli - via Ceccardi, 16<br />

GROSSETO<br />

Centro documentazione arti visive - via Mazzini, 99<br />

LAMEZIA TERME (CZ)<br />

Associazione culturale “Sukiya” - via Ticino,11<br />

LECCE<br />

All’ombra del barocco - Corte dei Cicala, 9<br />

M<strong>IL</strong>ANO<br />

Biblioteca Accademia di Belle Arti di Brera<br />

Palazzo di Brera<br />

Ichome - via Stoppiani, 10<br />

Libreria Hoepli - via Ulrico Hoepli, 5<br />

MINORI<br />

Fës Ceramiche - via Roma, 32<br />

MODENA<br />

Bookshop Galleria Civica Palazzo santa Margherita,<br />

corso Canalgrande, 103<br />

NAPOLI<br />

Punto Einaudi - via Tarsia, 7<br />

Librerie Dante & Descartes - via Mezzocannone, 55<br />

via Port’Alba, 10 - piazza del Gesù Nuovo, 14<br />

NOCERA INFERIORE (SA)<br />

Punto Einaudi - Via Matteotti, 35<br />

P<strong>AL</strong>ERMO<br />

Libreria Flaccovio - via Ruggero Settimo,37<br />

Libreria del Kursaal Kalhesa<br />

Foro Umberto I, 21<br />

PERUGIA<br />

Libreria Betti - via Sette, 1<br />

PESARO<br />

Fondazione Pescheria Centro Arti Visive - via Cavour, 5<br />

PESCARA<br />

Libreria Primo Moroni - via Quarto dei Mille, 29<br />

POTENZA<br />

Cocco libreria - Palazzo Rizzo, 33<br />

ROMA<br />

Libreria Altroquando - via del Governo vecchio<br />

Bookshop Palazzo delle Esposizioni - via Nazionale<br />

S<strong>AL</strong>ERNO<br />

Libreria Brunolibri - via Torrione, 125<br />

Librerie Feltrinelli - corso Vittorio Emanuele I, 230<br />

Libreria Internazionale - piazza XXIV Maggio, 12<br />

Libreria Mondadori - corso Vittorio Emanuele, 56<br />

Punto Einaudi - corso Vittorio Emanuele, 94<br />

piazzetta Barracano int. 13<br />

Salerno Arte e Caffé - piazza Alfano I, 1<br />

Galleria Il Catalogo - via A.M.De Luca<br />

Galleria Tiziana Di Caro - via Botteghelle, 55<br />

Pierino, Edicola al Corso - corso Vittorio Emanuele<br />

SAN SEVERO (FG)<br />

Libreria Orsa Minore - via Soccorso, 123<br />

SARONNO (VA)<br />

Galleria Il Chiostro - viale Santuario, 11<br />

SASSARI<br />

Libreria Internazionale Koinè - via Roma, 137<br />

SCAFATI (SA)<br />

Bookshop Real Polverificio Borbonico<br />

via Pasquale Vitiello<br />

<strong>SI</strong>ENA<br />

Università degli Studi Siena - Facoltà di Lettere<br />

e Filosofia - Palazzo di San Galgano<br />

Contemporanea progetti associazione culturale<br />

Punto Einaudi - via Pantaneto, 66<br />

CubaLibro – Libri&Caffè Especial<br />

Piazzale C. Rossetti<br />

TORINO<br />

Librerie Feltrinelli - piazza Castello, 19<br />

TORRECUSO (BN)<br />

Art’s Events - località Collepiano<br />

TRENTO<br />

Libreria Il Papiro - via Galileo galilei, 5<br />

TRIESTE<br />

Biblioteca Comunale - piazza Hortis<br />

Libreria Einaudi - via del Coroneo, 1<br />

ULASSAI-OGLIASTRA<br />

Fondazione Stazione dell'Arte<br />

Museo Arte Contemporanea - Ex Stazione Ferroviaria<br />

URBINO<br />

Biblioteca Accademia di Belle Arti - piazza Castello, 19<br />

VENEZIA<br />

Bookshop Museo Peggy Guggenheim<br />

Palazzo Venier dei Leoni Dorsoduro, 701<br />

VICENZA<br />

Valmore studio d’arte<br />

Contrà Porta S. Croce, 14<br />

geaArt numero 2 - settembre-ottobre 2012 31


IT<strong>AL</strong>O BRESSAN<br />

Senza titolo, 2012<br />

tecnica mista su carta


DIBATTITO<br />

Informare senza insultare<br />

graffiare senza volgarità<br />

È nello spirito dell’invettiva che si modula,<br />

ancora oggi, la vita sociale del nostro<br />

Paese. E mondi paralleli come<br />

cultura, politica, scienza si contaminano<br />

con il principio dei vasi comunicanti.<br />

a pagina 2 u Angelo Di Marino<br />

Bimestrale di cultura, arti visive, spettacolo e nuove tecnologie creative<br />

INTERVIEWS<br />

Mina Gregori rivela<br />

i segreti del Caravaggio<br />

Distinguendosi per la signorile eleganza e un’ammirabile<br />

tenacia, la massima esperta del Merisi,<br />

accogliendoci nella sua dimora fiorentina, racconta<br />

gli esordi del suo amore per l’arte segnato<br />

da Roberto Longhi.<br />

a pagina 12 u Luca Mansueto<br />

Un anno fa moriva<br />

Ugo Marano<br />

anno I<br />

numero 2<br />

settembre-ottobre 2012<br />

direttore<br />

Massimo Bignardi<br />

distribuzione<br />

gratuita<br />

FIGURE<br />

Marano è stato da uomo e da artista ancorato<br />

al disciplinare della vita; l’ha pensata e<br />

vissuta al passato, al presente, al futuro ma,<br />

sempre, con «l’irrealizzabile desiderio di ritrovare,<br />

di fermare o di inaugurare il tempo».<br />

a pagina 14 u Ciro Manzolillo<br />

Berlino. Da est a ovest<br />

lungo e oltre la U5<br />

METROPOLIS<br />

Una metropoli che si spande in largo e in lungo in<br />

continuo mutamento, tuttavia sembra che proprio<br />

la U5 abbia il compito di riunire definitivamente la<br />

città e riportarla agli antichi splendori prussiani e a<br />

quelli contemporanei dell’Urban Art.<br />

a pagina 21 u Maria Chiara Gasparini<br />

“Veh qui cogitatis inutile”. Io ve l’ho detto, guai a voi che pensate cose inutili. Italia, io te l’ho detto, non manca da me, ma da te, che non vuoi il rimedio (Savonarola)<br />

P<br />

roverò a riassumere il registro entro il quale si muove la traccia di questo nuovo numero di gea-<br />

Art, il terzo, affidandomi ai suggerimenti del vocabolario della lingua italiana di Nicola Zingarelli.<br />

Alla voce si legge: «INVETTIVA /invet’tiva/ [vc. dotta, lat. Tardo invectīva(m), sottinteso ora-<br />

tiōne(m) ‘(discorso) aggressivo’, da invěhere ‘inveire’ ] s.f. Parola o discorso violento e aggressivo<br />

destinato a riprendere, denunciare, criticare q.c. o qc.: scagliare, lanciare unʼ- ; sono famose le invettive<br />

di Dante. <strong>SI</strong>N. Apostrofe, diatriba, filippica». C’è tutto quanto occorre per poter mettere sul tavolo<br />

le carte: dalle “tremende invettive” di frate Girolamo Savonarola che, da secoli, le effigi marmoree declamano<br />

mute nelle piazze tra Ferrara e Firenze alle pagine di storie di un passato che non dobbiamo<br />

dimenticare, come il ricordo dei giorni nel campo di sterminio nazista di Görlitz del compositore Olivier<br />

Messiaen, al pericolo di una cronaca infarcita di “offese” e “volgarità” che alimenta l’attualità dalla quale<br />

dobbiamo prendere le distanze. Che cos’è l’invettiva nel mondo dell’etere? Cos’è nella politica? Cosa<br />

permane di essa nella cultura? Un discorso violento, se pur aggressivo, destinato, però, a riprendere,<br />

a denunciare, criticare di cui oggi c’è tanto bisogno? Oppure un gratuito espediente crudele e cinico<br />

per eliminare la “controparte”, attingendo al repertorio dell’ingiuria?<br />

Massimo Bignardi<br />

Tremende invettive<br />

Scommesse e futuro<br />

l’Emilia dopo il terremoto<br />

geaArt dedica un inserto all’Emilia ferita, ad un territorio orgoglioso<br />

e carico di speranza. Una parola quest’ultima che ha<br />

tradotto futuro fin dalle prime ore. Intorno ad esso convergono<br />

queste pagine che hanno raccolto narrazioni e testimonianze, di<br />

giovani e meno giovani, dal mondo delle istituzioni e della cultura<br />

in senso lato. Non è fare il punto della situazione, né tirare<br />

somme, compito non nostro e peraltro difficilissimo. È invece<br />

aprire un ulteriore spiraglio alle riflessioni ed al confronto.<br />

Ada Patrizia Fiorillo u a pagina 15

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