Il volto e la maschera
Una mostra allestita alla Galleria Baroni di Milano che ha indagato il difficile e intrigante rapporto tra le identità svelate o rivelate e quelle più sfumate o nascoste attraverso sculture, dipinti e disegni del Novecento italiano.
Una mostra allestita alla Galleria Baroni di Milano che ha indagato il difficile e intrigante rapporto tra le identità svelate o rivelate e quelle più sfumate o nascoste attraverso sculture, dipinti e disegni del Novecento italiano.
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<strong>Il</strong> <strong>volto</strong> e <strong>la</strong> <strong>maschera</strong><br />
Galleria Baroni - Mi<strong>la</strong>no<br />
11 Giugno - 30 Settembre 2014
Introduzione<br />
In seguito agli studi sul<strong>la</strong> psiche e al<strong>la</strong> nascita del<strong>la</strong><br />
psicanalisi, agli inizi del ‘900 gli artisti si interessano<br />
al<strong>la</strong> personalità umana nelle molteplici sfaccettature:<br />
<strong>la</strong> persona e il personaggio, il conscio e l’inconscio,<br />
il <strong>volto</strong> e <strong>la</strong> <strong>maschera</strong>..<br />
La <strong>maschera</strong> allude al<strong>la</strong> simu<strong>la</strong>zione, voluta o dovuta,<br />
ma fin dall’antichità è anche <strong>la</strong> <strong>maschera</strong> dell’attore.<br />
<strong>Il</strong> <strong>volto</strong>? E' talvolta <strong>maschera</strong>, come nel ritratto<br />
ufficiale, istituzionale, pubblico, ma anche <strong>volto</strong><br />
intimo, sve<strong>la</strong>to, persino rubato, in una <strong>la</strong>bile linea di<br />
demarcazione tra le due accezioni, fino all'ultima<br />
"<strong>maschera</strong>", quel<strong>la</strong> del<strong>la</strong> morte.<br />
Prospettive diverse che mi hanno stimo<strong>la</strong>to<br />
a comporre una mostra dedicata a questo tema,<br />
indagato attraverso opere scultoree e pittoriche del<br />
Novecento italiano.<br />
Una carrel<strong>la</strong>ta di personaggi reali e di fantasia, tra<br />
busti, volti, ritratti, interpretati non da critici d’arte,<br />
bensì da psicanaliste di diverse scuole.<br />
Per le letture psicanalitiche che affiancano le opere in<br />
mostra, ringrazio Luisa Mariani, Adriana Mazzarel<strong>la</strong>,<br />
Giuliana Kantzà, Silvana Koen.<br />
Sergio Baroni
Imparerai a tue spese che lungo il tuo cammino incontrerai<br />
ogni giorno milioni di maschere e pochissimi volti.<br />
Luigi Pirandello
La <strong>maschera</strong> come metafora<br />
Con <strong>la</strong> scoperta dell’inconscio <strong>la</strong> psicoanalisi dà voce<br />
e legittimazione all’ambiguità, al mistero, all’inconoscibile<br />
che è parte dell’umano e differenzia, di conseguenza,<br />
l’essere dall’apparire.<br />
Con <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> metafora dell’iceberg, Freud ha esemplificato<br />
il funzionamento mentale attribuendo al<strong>la</strong> punta emergente<br />
del ghiacciaio <strong>la</strong> parte conscia, conoscibile e razionale del<strong>la</strong><br />
persona, mentre assegna a quel<strong>la</strong> grossa parte sommersa<br />
dalle acque, nascosta e invisibile <strong>la</strong> funzione dell’inconscio<br />
che soggiace, influenza e codetermina l’intero ghiacciaio.<br />
La <strong>maschera</strong> e il <strong>volto</strong> sono immagini significative che<br />
par<strong>la</strong>no del<strong>la</strong> duplicità dell’essere umano, dove l’essenza,<br />
<strong>la</strong> verità ultima del<strong>la</strong> persona sembra davvero essere<br />
inconoscibile, impensabile, irraggiungibile e suscita un<br />
terrore senza nome tale da esigere un nascondimento.<br />
La <strong>maschera</strong> può essere vista come una forma di<br />
travestimento per combattere stati di paura e di debolezza,<br />
<strong>la</strong> si può considerare altresì un mezzo ambiguo perché,<br />
da un <strong>la</strong>to è funzionale al<strong>la</strong> verità che ama nascondersi per<br />
salvaguardare <strong>la</strong> sua profondità, dall’altro è utilizzata per non<br />
vedere <strong>la</strong> realtà, addirittura per fuggire da essa. Questa<br />
doppia attitudine è codificata dal<strong>la</strong> psicoanalisi dalle parole<br />
Conscio e Inconscio, dove si presume che nell’Inconscio sia<br />
gelosamente custodita <strong>la</strong> verità ultima dell'esistenza, mentre<br />
nel Conscio si nutre l'illusione concessa all'individuo per<br />
poter vivere e che secondo Schopenhauer<br />
corrisponderebbeal<strong>la</strong> <strong>maschera</strong>. Gli artisti molto prima degli<br />
scienziati hanno visto, intuito, sognato, rappresentato queste<br />
complessità del mondo interno e, a riprova di questo,<br />
a Mi<strong>la</strong>no <strong>la</strong> galleria “Antichità Baroni” sta ospitando una<br />
singo<strong>la</strong>re esposizione di quadri e sculture dal titolo “<strong>Il</strong> <strong>volto</strong><br />
e <strong>la</strong> <strong>maschera</strong>”, titolo intrigante, ricco di mistero che<br />
solletica il pensiero: l’ampio locale arredato di rari mobili<br />
d’epoca, specchiere sofisticate, <strong>la</strong>mpadari importanti<br />
e suppellettili curiose è arricchito di opere di artisti che<br />
hanno raccontato con immagini pittoriche e raffigurazioni<br />
p<strong>la</strong>stiche quello straordinario doppio che è appunto il <strong>volto</strong><br />
e <strong>la</strong> <strong>maschera</strong>.<br />
Entrando nell’elegante galleria si è subito investiti<br />
dall’incontro con <strong>la</strong> bellezza, il cui potenziale perturbante<br />
è amplificato dal<strong>la</strong> presenza forte di queste opere che<br />
si fanno avanti con uno sguardo prepotente, tanto quanta<br />
è <strong>la</strong> prepotenza del<strong>la</strong> verità emotiva che trasmettono.<br />
Opere che toccano in profondità i visitatori perché par<strong>la</strong>no<br />
il linguaggio comune, universale dell’uomo che in essi<br />
si riconosce: sono figure che rive<strong>la</strong>no <strong>la</strong> poliedricità di cui<br />
è impastato l’essere umano, ur<strong>la</strong>no <strong>la</strong> fatica del vivere,<br />
il disagio del<strong>la</strong> civiltà, <strong>la</strong> paura delle emozioni, il terrore<br />
dell’incontro, ma esprimono anche <strong>la</strong> speranza nel<strong>la</strong> vita,<br />
<strong>la</strong> serenità dei buoni pensieri e l’appagamento soddisfacente.<br />
<strong>Il</strong> <strong>volto</strong> perché, a volte, ha bisogno del<strong>la</strong> <strong>maschera</strong>? È una<br />
questione di identità ce<strong>la</strong>ta? O mai costruita? O mai<br />
scoperta? O mai riconosciuta?<br />
Abbiamo, in realtà, tanti buoni motivi per nasconderci:<br />
lo facciamo per vergogna, per senso di colpa, per timidezza,<br />
per pudore, per rabbia, per vendetta, per provocazione, per<br />
ce<strong>la</strong>re un vuoto, forse anche per poter vivere senza<br />
inibizioni, sicuri di non essere scoperti.<br />
Al<strong>la</strong> fine probabilmente ci si nasconde nel<strong>la</strong> speranza<br />
inconscia di essere cercati e poi trovati. Forse è proprio<br />
questo che chiedono le opere esposte, ane<strong>la</strong>no un incontro,<br />
un rispecchiamento, un rinvenimento e sanno che<br />
è dall’accoppiamento con lo sguardo dell’altro che si creerà<br />
<strong>la</strong> loro verità.
Da subito mi guarda in maniera ammiccante "Nudo con<br />
<strong>maschera</strong>" di Giulio Ruffini: è un dipinto ad olio su<br />
compensato, che ritrae un nudo di donna,<br />
provocatoriamente stesa su un divano; il profilo del corpo<br />
mostra un’inarcatura felina, <strong>la</strong> musco<strong>la</strong>tura è sottolineata in<br />
maniera evidente, le braccia avvolte da lunghi guanti neri<br />
che fasciano fino al gomito, sono sensualmente aggressive,<br />
una mano regge una <strong>maschera</strong> bianca che copre tutto il viso<br />
del<strong>la</strong> donna, solo i capelli ondeggiano in libertà e fanno da<br />
cornice al <strong>volto</strong> che non c’è. Quali saranno le sue reali<br />
fattezze, quale l’espressione degli occhi, quali i pensieri che<br />
potrebbe essere rive<strong>la</strong>ti se non ci fosse <strong>la</strong> <strong>maschera</strong>? <strong>Il</strong> corpo<br />
par<strong>la</strong> un linguaggio chiaro, esprime disponibilità sessuale,<br />
desiderio, forse impudicizia, spregiudicatezza; è comunque<br />
un corpo luminoso che si staglia dallo sfondo scuro dando<br />
luce al<strong>la</strong> rappresentazione. Ma i pensieri sono inguardabili,<br />
forse sono bui e confusi e non così nitidi come i contorni<br />
stagliati delle membra, magari <strong>la</strong> mente non conosce<br />
<strong>la</strong> sensualità erotica che il corpo sembra comunicare<br />
o addirittura può essere affondata in un non luogo dove<br />
il desiderio è al<strong>la</strong>gato: forse è una solitudine che cerca<br />
disperatamente un contatto per essere rivitalizzata. Sarebbe<br />
molto doloroso se <strong>la</strong> nudità esibita non corrispondesse al<strong>la</strong><br />
sua verità, ma ad un desiderio altro, imperioso e impositivo.<br />
Questa idea è inquietante, d’altra parte è con questo<br />
interrogativo sibillino che si congeda il quadro,<br />
chiedendomi di tollerare di sostare nel dubbio<br />
e invitandomi a sognare, per farlo esistere, una sua possibile<br />
storia.<br />
Non è meno intrigante <strong>la</strong> sensazione che trasmette "Cade <strong>la</strong><br />
<strong>maschera</strong>", altro dipinto di Ruffini che ritrae ancora un<br />
nudodi donna dal corpo candido che ondeggia nell’aria. È<br />
vestita soltanto da erotiche calze nere che le accarezzano le<br />
gambe fino all’inizio del<strong>la</strong> coscia, da due lunghe col<strong>la</strong>ne di<br />
perle che inanel<strong>la</strong>no il corpo e da una <strong>maschera</strong> rossa che le<br />
copre mezzo <strong>volto</strong>: <strong>la</strong> parte scoperta mostra uno sguardo<br />
cupo, fermo, non in sintonia con <strong>la</strong> danza che il corpo, le<br />
col<strong>la</strong>ne e <strong>la</strong> <strong>maschera</strong> stanno mettendo in scena. Anche qui<br />
si svolge un racconto di apparente leggerezza versus <strong>la</strong><br />
pesantezza dell’anima che l’occhio libero da <strong>maschera</strong>mento<br />
<strong>la</strong>scia intuire. Ci troviamo in un processo di sve<strong>la</strong>mento e<br />
perciò di avvicinamento al<strong>la</strong> verità dell’essere. Sia il<br />
movimento che <strong>la</strong> possibilità di iniziare a mostrarsi indica<br />
che con <strong>la</strong> <strong>maschera</strong> probabilmente sta cadendo anche <strong>la</strong><br />
paura di riconoscersi e rive<strong>la</strong>rsi.<br />
Più guardinga è l’adolescente che fa pudicamente capolino<br />
nel<strong>la</strong> stanza, ha un atteggiamento composto, il viso è<br />
interamente nascosto da una <strong>maschera</strong> bianca, il busto è<br />
rigorosamente statico. In questo bellissimo La <strong>maschera</strong><br />
Ruffini rappresenta magistralmente l’adolescenza, età di<br />
passaggio, di scoperta di sé, di nascondimenti, di<br />
costruzione dell’identità, di oscil<strong>la</strong>zione tra stati mentali<br />
contrapposti, momento di fluttuazioni tra euforie e<br />
depressioni, ma soprattutto età in cui <strong>la</strong> domanda<br />
ontologica è: chi sono io? La <strong>maschera</strong> adombra bene<br />
questo inquietante enigma dove il sé si colora di differenti<br />
aspetti e dove l’adolescente fatica a trovarsi e a farsi trovare.
L’adolescente è come ce<strong>la</strong>to dietro un’immensa <strong>maschera</strong> e occorrerà molto tempo prima che il mistero<br />
del<strong>la</strong> sua verità possa emergere. In questo periodo del<strong>la</strong> vita si ha bisogno di proteggere il vero sé, si teme<br />
di esporlo a sguardi malevoli, ma c’è anche <strong>la</strong> paura di scoprirsi irriconoscibili. Con <strong>la</strong> <strong>maschera</strong><br />
l’adolescente può permettersi di sperimentarsi illimitatamente, è come un <strong>la</strong>sciapassare: <strong>la</strong> <strong>maschera</strong>,<br />
dunque, come salvezza dal<strong>la</strong> paura di perdersi, ammortizzatore di verità inconoscibili e insopportabili,<br />
salvagente che lo accompagna nel<strong>la</strong> ricerca appassionata e spaventata del suo <strong>volto</strong>.<br />
Giulio Ruffini (Ravenna 1922-2011), Nudo con <strong>maschera</strong><br />
e La <strong>maschera</strong>
Ma ecco, per contrasto, farsi presente nel<strong>la</strong> sua perentoria<br />
tridimensionalità l’adolescente di Angelo Biancini, sublime<br />
scultura in bronzo che dà corpo e anima al<strong>la</strong> contessina<br />
Zanelli Quarantini che non teme di mostrarsi nel<strong>la</strong> sua<br />
verità: il <strong>volto</strong> aperto, pudicamente sorridente, dai<br />
lineamenti puri evidenziati dalle treccine che<br />
le conferiscono un’aria innocente, ha un’espressione lieve<br />
che comunica serenità. La ragazzina non pare toccata dai<br />
turbamenti del<strong>la</strong> crescita, ma è come se fosse ancora<br />
protetta dall’esperienza infantile che l’ha tenuta al riparo<br />
da sentimenti e sensazioni turbolente, per cui non ha<br />
bisogno di nascondimenti, ma può apparire a viso scoperto,<br />
seria e tranquil<strong>la</strong>. I suoi genitori interni sono saldi<br />
e <strong>la</strong> guidano con mente ferma, garantendole sicurezza:<br />
<strong>la</strong> ragazzina può guardare al<strong>la</strong> vita con fiducia ancorata<br />
a un’oasi di soavità.<br />
Fa il paio con <strong>la</strong> contessina una tenera e pensosa Testa<br />
di bimba, sempre scolpita da Biancini: ha un’espressione<br />
pacata, forse timida. Si prova dolcezza nel rimirar<strong>la</strong>. <strong>Il</strong> <strong>volto</strong><br />
immobile implora vicinanza, il suo bisogno muto invita<br />
<strong>la</strong> mano di chi <strong>la</strong> osserva a una carezza. È una buona<br />
bambina, ma attorno a lei aleggia un’aura di malinconia,<br />
i suoi occhi sono opachi, senza vita, il sorriso è mesto:<br />
i capricci dove li avrà nascosti <strong>la</strong> bel<strong>la</strong> bimba troppo<br />
ubbidiente? Anche se nel<strong>la</strong> scultura <strong>la</strong> <strong>maschera</strong> non appare,<br />
possiamo intuir<strong>la</strong>, è invisibile, è vero, ma chiaramente<br />
percepibile se ci accostiamo al<strong>la</strong> bambina in punta di piedi,<br />
con delicatezza, senza creare spavento e con<br />
l’immaginazione affettiva possiamo scorgere <strong>la</strong> <strong>maschera</strong><br />
del<strong>la</strong> docilità, del<strong>la</strong> compiacenza che tesse quel velo<br />
di inautenticità che imbriglia <strong>la</strong> sua mente, le ruba<br />
<strong>la</strong> spontaneità e <strong>la</strong> imprigiona in una recita di perfezione.
Lascio con nostalgia e preoccupazione <strong>la</strong> picco<strong>la</strong> con <strong>la</strong> sua<br />
tristezza e vengo fulmineamente attratta dal capo di un<br />
giovanetto mollemente adagiato su un cuscino, che abbaglia<br />
per <strong>la</strong> bellezza e per <strong>la</strong> luce che emana. <strong>Il</strong> marmo<br />
è magicamente p<strong>la</strong>smato da Francesco Wildt, <strong>la</strong> sua mano<br />
sembra averlo accarezzato in maniera così dolce<br />
e appassionata da renderlo liscio e trasparente come se fosse<br />
cera e da trasfondergli un alito di grazia che lo apparenta<br />
al divino. Richiama al<strong>la</strong> mente l’immagine del<strong>la</strong> idealità.<br />
<strong>Il</strong> viso è sereno, quasi sorridente, trasognato: quale storia<br />
si tesserà nel<strong>la</strong> sua mente? Viene voglia di chiedergli<br />
di essere presi per mano per essere accompagnati nel suo<br />
sogno e danzare con lui in un luogo meraviglioso. Sembra<br />
talmente abbandonato a una dimensione altra che ci si<br />
domanda se il ragazzo stia davvero dormendo oppure sia<br />
morto. Qualunque sia il suo stato, comunica beatitudine,<br />
appagamento, in lui non si percepisce ombra che richiami<br />
un bisogno, ma sembra essere in uno stato di grazia,<br />
in intimo contatto con <strong>la</strong> sua verità.<br />
Saluto teneramente il bel dormiente e, andando a zonzo<br />
per <strong>la</strong> galleria, sento a un tratto come un battito d’ali che<br />
solletica l’aria: è <strong>la</strong> <strong>maschera</strong>-farfal<strong>la</strong> di Bruno Munari che si<br />
libra leggera, quasi impalpabile e mi sfiora il <strong>volto</strong>. Poche<br />
righe decise, il tratto essenziale del disegno di un bambino,<br />
colori delicati che non osano imporsi per non profanare il<br />
segno sottile che delinea un <strong>volto</strong> senza contorno, ma che è<br />
riempito del<strong>la</strong> sagoma dell’insetto che nelle sue volute va a<br />
rappresentare il mento puntuto, le guance rosate, il naso<br />
percettivo, gli occhi sornioni e <strong>la</strong> fronte corrucciata del<br />
pittore.
È un viso sorridente, un po’ furbesco perché dietro le linee<br />
infantili si <strong>maschera</strong> l’esperienza di un adulto che risignifica<br />
<strong>la</strong> vita. Le antenne del<strong>la</strong> farfal<strong>la</strong> simbolizzano <strong>la</strong> funzione del<br />
pensare con <strong>la</strong> capacità di percepire, di cogliere, e<strong>la</strong>borare<br />
i messaggi che provengono dal mondo esterno, sono anche<br />
messaggi sensoriali che vengono captati dal<strong>la</strong> bocca, dalle<br />
narici, dal<strong>la</strong> pelle e poi sono veico<strong>la</strong>ti nel<strong>la</strong> mente che<br />
è lì operosa, pronta a metabolizzare. È un <strong>volto</strong>-pensiero<br />
(le antenne) e un <strong>volto</strong>-sensualità (le <strong>la</strong>bbra carnose, il naso<br />
annusatore, gli occhi penetrativi). Suggerita in quelle linee<br />
sottili è l’immagine di una percezione di sé leggera,<br />
ma netta, dove appaiono aspetti di femminilità adombrati<br />
nel<strong>la</strong> farfal<strong>la</strong> che racchiude però anche sottolineature<br />
di virilità evidenziate, per esempio, nel<strong>la</strong> forma del naso.<br />
<strong>Il</strong> maschile e il femminile, dunque, artisticamente sve<strong>la</strong>ti da<br />
Munari in questo bel sogno di sé che raffigura il suo ritratto.
Per contrasto all’evanescenza del ritratto di Munari, ecco imporsi con forza tragica una serie di bellissime<br />
sculture che rappresentano le maschere. Maschere che vivono una vita propria e che hanno <strong>la</strong> capacità<br />
di comunicare con grande intensità, quasi con sfida, le emozioni che connotano l’umano e lo fanno senza<br />
pudore, con una immediatezza e sincerità che, toccando profondamente, crea sconcerto, sgomento. Sono<br />
maschere-specchio, maschere rive<strong>la</strong>trici, maschere impudiche perché sve<strong>la</strong>no impietosamente invece che<br />
occultare le più segrete innervazioni dell’anima. L’opera di Giovanni Battista Alloati, in partico<strong>la</strong>re,<br />
richiama le maschere del teatro greco, di cui conserva <strong>la</strong> tragicità e l’essenzialità dell’emozione che vuole<br />
rappresentare. Di grande impatto è anche <strong>la</strong> <strong>maschera</strong> di Bertozzi Casoni che ricorda il <strong>volto</strong> di un dio<br />
egizio, <strong>volto</strong> dal ghigno ironico e giudicante; ma potrebbe essere uno schiavo che guarda con disprezzo<br />
e superiorità il suo padrone. <strong>Il</strong> gioco di ombra e luce, di pieno e vuoto, di duro e morbido sembra proprio<br />
adattarsi a rappresentare un mondo di emozioni, senza remore, ma con un senso di sfida e con coraggio,<br />
con <strong>la</strong> forza del sapersi <strong>la</strong> personificazione del<strong>la</strong> verità.
Con trasalimento profondo incontro le pieghe<br />
profonde del<strong>la</strong> <strong>maschera</strong> di Pietro Me<strong>la</strong>ndri<br />
ed Enrico Mazzo<strong>la</strong>ni che rappresenta il <strong>volto</strong><br />
segnato di un uomo drammatico, si indovinano<br />
i pensieri tormentati e cupi che ne hanno graffiato<br />
l’anima<br />
e il corpo, è una <strong>maschera</strong>-<strong>volto</strong> che par<strong>la</strong>, che<br />
racconta una storia difficile, si sente l’odore del<strong>la</strong><br />
tristezza, ogni riga del viso è una frase dolorosa,<br />
il cavo e il concavo sono valli di <strong>la</strong>crime<br />
e montagne di faticosità. Lo sguardo bucato appare<br />
severo, deciso, gli occhi vuoti hanno visto tutto<br />
e contengono un sapere pesante, ma assieme al<strong>la</strong><br />
dolorosità si sente una ricchezza infinita, una<br />
pienezza che potrebbe essere declinata con diverse<br />
modalità espressive, in versi, in musica,<br />
in immagini e che sembra trattenuta in quel<strong>la</strong><br />
apparente staticità del<strong>la</strong> forma: dietro il ghiacciaio,<br />
un vulcano. Scoprirò poi con grande emozione che<br />
<strong>la</strong> <strong>maschera</strong> che mi aveva comunicato una<br />
sgomenta vibrazione sonora rappresenta l’uomo<br />
Beethoven.
Molti altri e tutti di una straordinaria bellezza sono i volti<br />
e le maschere esposti nel<strong>la</strong> mostra: come dimenticare<br />
<strong>la</strong> raffinata dolcezza di Wally Toscanini o l’abbagliante<br />
sinuosità di Talia di Ercole Drei, o <strong>la</strong> composta signorilità<br />
di Bianca Giardini di Biancini o il misticismo del San<br />
Francesco di Arrigo Minerbi? O come non essere solleticati<br />
dall’inquietante Malinconia di Me<strong>la</strong>ndri? E come non essere<br />
turbati dal<strong>la</strong> stupenda mostruosità delle cartapeste di Duilio<br />
Cambellotti?
Grande fascino emana Talia, <strong>la</strong> bellissima scultura di Drei<br />
che raffigura una giovane donna il cui corpo nudo, dalle<br />
membra tornite e armoniche, comunica una radiosa<br />
sensualità. <strong>Il</strong> sorriso è appena accennato, le braccia che<br />
sembrano in movimento, volteggiano con leggiadria: l’uno<br />
sopra il nobile capo e l’altro si offre come valido appoggio<br />
a un mento volitivo e pensoso. Pare che le mani abbiano<br />
il compito di contenere una mente affol<strong>la</strong>ta di pensieri.<br />
Se il corpo canta <strong>la</strong> luminosità del vivere, lo sguardo<br />
è un po’ meno rive<strong>la</strong>tore, sembra ve<strong>la</strong>re un intimo segreto,<br />
Talia forse vuole proteggere <strong>la</strong> sua mente da occhi<br />
indiscreti: si tratta di una proibita fantasia d’amore? Oppure<br />
è un disagio affettivo o addirittura un dolore? Drei adombra<br />
gli ambivalenti pensieri del<strong>la</strong> giovane nelle due maschere<br />
che sembrano appese per caso sul tronco a cui Talia<br />
si appoggia con abbandono, ma che rive<strong>la</strong>no in sordina<br />
i suoi sentimenti conturbanti, dove una <strong>maschera</strong> dà voce<br />
al<strong>la</strong> tristezza e l’altra al<strong>la</strong> gioia. Qui addirittura le maschere<br />
sono come paradossalmente “<strong>maschera</strong>te”, sono gli oggetti<br />
misteriosi che rive<strong>la</strong>no in incognito il mondo interno del<strong>la</strong><br />
giovane donna e che solo il desiderio di entrare in intimo<br />
contatto con lei può scoprire. Talia, bellissima creatura<br />
marmorea, <strong>la</strong>scia impronte di carne e sangue insieme al<br />
desiderio di possederne l’anima, di spogliar<strong>la</strong> oltre <strong>la</strong> nudità<br />
apparentemente spensierata e trasmette, a chi <strong>la</strong> osserva<br />
in profondità, un’angoscia del vivere e un appassionato<br />
bisogno di entrare in contatto con il suo segreto. Se gli<br />
tsunami emotivi possono evocare l’inferno, ecco un <strong>volto</strong><strong>maschera</strong><br />
che ci traghetta direttamente nelle bufere<br />
luciferine: Caronte, un’inquietante terracotta che serpeggia<br />
nel<strong>la</strong> sa<strong>la</strong> con autorevolezza e vigore.<strong>Il</strong> viso sofferto, di<br />
diabolico ha le corna e i capelli che si attorcigliano come<br />
serpentelli, ma l’espressione e le fattezze ricordano <strong>la</strong> fatica<br />
del vivere dell’uomo tout-court ed è proprio questo<br />
stridore tra l’immagine mitica atemporale del diavolo<br />
e <strong>la</strong> scultura, che ritrae invece le sembianze dell’uomo<br />
moderno, a creare sconcerto e una risonanza dolorosa<br />
nell’anima. È facile rispecchiarsi in lui. Chi è in realtà<br />
<strong>la</strong> persona Caronte? Un angelo mancato? Un diavolo<br />
estromesso dall’inferno? Un essere vagante al<strong>la</strong> ricerca<br />
del suo posto? Ma Caronte è anche semplicemente<br />
il “traghettatore”, l’accompagnatore nei passaggi di vita,<br />
non solo dal<strong>la</strong> vita al<strong>la</strong> morte, ma anche viceversa<br />
e, favorendo <strong>la</strong> nascita, introduce l’anima nel neonato;<br />
a livello intrapsichico farebbe da mediatore tra Conscio<br />
e Inconscio. È considerato guida delle anime e in questo<br />
senso <strong>la</strong> sua funzione è paragonata da Racamier a quel<strong>la</strong><br />
del terapeuta che aiuta gli adolescenti nell’attraversamento<br />
del guado dall’infanzia all’età adulta. Nel<strong>la</strong> visione dantesca<br />
è condannato a traghettare per sempre in un andirivieni<br />
senza sosta anime perse che conoscerà una volta per non<br />
rivedere mai più, è un demone furioso e solo, senza <strong>la</strong><br />
possibilità di creare legami. Etimologicamente diavolo<br />
è colui che separa: è forse questa terribile solitudine<br />
a imprimergli nel viso quell’infinita tristezza. L’occhio del<br />
Caronte di Romanelli è sì di bragia, ma è abbassato, mesto,<br />
forse brucia dentro, forse è questo sguardo infuocato, ma<br />
spento dal<strong>la</strong> disperazione che angoscia maggiormente.<br />
Probabilmente non alza gli occhi per non conoscere e non<br />
farsi riconoscere. Se ci fosse un incontro di sguardi sarebbe<br />
insopportabile <strong>la</strong> separazione. Caronte può rappresentare<br />
<strong>la</strong> difficoltà a trovare il nostro posto, <strong>la</strong> nostra incapacità<br />
di creare legami, il nostro arrabattarci senza sosta senza<br />
trovare un perché, <strong>la</strong> frustrazione del venire a patti con<br />
i nostri limiti, il nostro bruciare dentro. E forse non<br />
trovando posto né in cielo né tra gli inferi, è proprio sul<strong>la</strong><br />
terra che noi lo ospitiamo e lo perpetuiamo e lo sgomento<br />
che suscita è per questo apparirci tremendamente umano.
È con fatica che mi separo da questo dialogo con i quadri<br />
e le sculture che raccontano le loro storie appassionanti.<br />
Entrare nel mondo dell’arte apre a nuovi e imprevedibili<br />
scenari, stimo<strong>la</strong> <strong>la</strong> funzione mitopoietica del<strong>la</strong> mente, offre<br />
<strong>la</strong> ricchezza di un legame che permette il contatto con i<br />
propri contenuti emotivi espressi simbolicamente dall’opera<br />
artistica. In partico<strong>la</strong>re le opere de “<strong>Il</strong> <strong>volto</strong> e <strong>la</strong> <strong>maschera</strong>”<br />
suscitano intensi sentimenti, perché suggeriscono quanto di<br />
più intimo è fatto l’uomo, sve<strong>la</strong>no <strong>la</strong> bellezza e <strong>la</strong> ricchezza<br />
delle emozioni con anche tutto il quid di angoscia e dolore<br />
di cui sono impastate.<br />
È vero che ogni re<strong>la</strong>zione è trasformativa, porta<br />
a cambiamenti e induce a generare nuovi pensieri: questo<br />
incontro è stato per me <strong>la</strong> scoperta del<strong>la</strong> Maschera non più<br />
pensata come bugia avvilente l’uomo e distruttiva del<strong>la</strong><br />
mente, ma anche come metafora, difesa necessaria per<br />
digerire dolori intollerabili in certi momenti del<strong>la</strong> vita,<br />
riconoscendo che come dice Schopenhauer “intorno a ogni<br />
spirito profondo cresce continuamente una <strong>maschera</strong>”.<br />
Luisa Mariani<br />
psicoanalista freudiana-bioniana
<strong>Il</strong> linguaggio di Minerbi<br />
Che cosa ci dicono, come ci par<strong>la</strong>no le sculture di Arrigo Minerbi? Noi le guardiamo e anch’esse<br />
ci guardano. In questa re<strong>la</strong>zione, guardare-essere guardati, si colloca sempre l’opera d’arte. Quello che<br />
ci comunica è, per dir<strong>la</strong> con Lacan, nell’ordine del reale, in un’asse che non è di ciò che può essere detto.<br />
E’ l’atto, l’opera artistica che lo scolpisce, lo dipinge, lo scrive come poesia. Qualcosa che ci interroga,<br />
luogo da cui nasce <strong>la</strong> domanda.<br />
Arrigo Minerbi ha una formazione artistica esemp<strong>la</strong>re, antica: nasce come artigiano, maneggia, conosce<br />
<strong>la</strong> materia che vive di luci e di ombre, di evoluzioni e di tagli. Tuttavia si impone e impone anche una<br />
riflessione questo ebreo che ha conosciuto <strong>la</strong> persecuzione razziale e che compie l’atto proibito per<br />
eccellenza: rappresentare il sacro. Un ebreo assimi<strong>la</strong>to? Per dir<strong>la</strong> con Hannah Arendt, o piuttosto un ebreo<br />
che ha cercato, sottovoce, senza troppi c<strong>la</strong>mori, di cercare nel suo essere ebreo <strong>la</strong> possibilità<br />
di rappresentare l’indicibile del sacro e dunque l’indicibile dell’uomo.<br />
Corre, come quasi sempre negli artisti il tema ricorrente di una soffusa malinconia, quasi un ripiegarsi sul<strong>la</strong><br />
miseria umana, molto bel<strong>la</strong> in san Francesco, dove è detta <strong>la</strong> spoliazione di sé, <strong>la</strong> liberazione del prestigio<br />
dell’io, l’attitudine d’amore in quel<strong>la</strong> testa chine e in quello sguardo che si trapassa.<br />
Poi <strong>la</strong> donna e <strong>la</strong> madre ben distinte: da una parte Eleonora Duse, sfuggente, allusiva, enigmatica,<br />
a ricordare che, come insegna Lacan, una donna è sempre ‘altra’, strutturalmente diversa non solo per<br />
l’uomo, ma anche per se stessa. Dall’altra <strong>la</strong> madre, non coincidente con <strong>la</strong> donna: madre dolente, madre<br />
dell’amore per il Figlio che è il mistero stesso dell’essere madre.<br />
Giuliana Kantzà<br />
psicoanalista <strong>la</strong>caniana
Chi è e cosa rappresenta Caronte?<br />
Dante è appena all’inizio del viaggio, ma vuol<br />
sapere subito il significato che gli si presenta davanti<br />
agli occhi. La risposta del Maestro è pacata: l’allievo<br />
deve abituarsi a non avere fretta, deve osservare<br />
senza voler subito capire tutto. Così Dante, e noi<br />
con lui, iniziamo a conoscere <strong>la</strong> disciplina del<strong>la</strong><br />
ricerca, che consiste nel guardare, meditare,<br />
ascoltare le emozioni che le immagini ci<br />
provocano, senza cedere al primo impulso del<strong>la</strong><br />
curiosità che vuol sapere e capire subito e, peggio<br />
ancora, giudicare.<br />
Allor con li occhi vergognosi e bassi,<br />
temendo no ‘l mio dir li fosse grave,<br />
infino al fiume del par<strong>la</strong>r mi trassi.<br />
Ed ecco verso noi venir per nave<br />
Un vecchio, bianco per antico pelo,<br />
gridando: “Guai a voi, anime prave!<br />
Non isperate mai veder lo cielo:<br />
i’ vegno per menarvi a l’altra riva<br />
ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo.<br />
[Inf. III, 79-87]<br />
Chi è e cosa rappresenta Caronte? <strong>Il</strong> traghettatore che<br />
conduce all’altra riva sembra esprimere l’aspetto possente<br />
dell’energia vitale che investe l’uomo quando, sfuggito<br />
all’ignavia, si abbandona al flusso del<strong>la</strong> libido che lo<br />
dominerà secondo <strong>la</strong> forma dell’istinto. Caronte è un<br />
vecchio (“bianco per antico pelo”), antico come l’umanità<br />
quando emerse dall’incoscienza dell’Eden. Appare ur<strong>la</strong>nte<br />
e minaccioso su una barca che galleggia sull’acqua, quasi<br />
a rappresentare l’umanità trascinata e sconvolta dal flusso<br />
impetuoso delle passioni. Riconosce però immediatamente<br />
che Dante è vivo e lo invita a non confondersi coi morti.<br />
E ‘l duca a lui: “Caron, non ti crucciare:<br />
vuolsi così colà dove si puote<br />
ciò che si vuole, e più non dimandare.”<br />
[Inf. III, 94-96]<br />
Ma quell’anime, ch’eran <strong>la</strong>sse e nude,<br />
cangiar colore e dibattero i denti,<br />
ratto che ‘nteser le parole crude.<br />
Bestemmiavano Dio e lor parenti,<br />
l’umana spezie e ‘l loco e ‘l tempo e ‘l seme<br />
di lor semenza e di lor nascimenti.<br />
Poi si ritrasser tutte quante insieme,<br />
forte piangendo, a <strong>la</strong> riva malvagia<br />
ch’attende ciascun uom che Dio non teme.<br />
[Inf. III, 100-108]
Dante sente nascere una grande pietà per questa umanità<br />
tribo<strong>la</strong>ta. Dante è all’inizio del viaggio, non<br />
è distaccato ancora dalle emozioni e reazioni umane<br />
immediate; l’identificazione con quanto gli si presenta<br />
è molto facile. Se Dante non fosse così umano noi non<br />
potremmo seguirlo.<br />
Caronte dimonio, con occhi di bragia, loro accennando,<br />
tutte le raccoglie,<br />
batte col remo qualunque s’adagia.<br />
[Inf. III, 109-111]<br />
Fino a che l’uomo, con ripetute esperienze, non impara<br />
ad armonizzarsi con l’onda dell’energia vitale, avrà sempre<br />
Caronte minaccioso davanti a sé. L’inconscio ha proprio<br />
questa funzione compensatoria: il medesimo problema<br />
si ripresenta nei sogni e nel<strong>la</strong> vita fino a che l’uomo non<br />
ne ha preso coscienza e non lo ha superato nel<strong>la</strong> esperienza<br />
concreta. Spesso, quando si presenta l’opportunità<br />
di affrontare i nostri malesseri psichici – per esempio<br />
attraverso terapie analitiche – scappiamo subito via<br />
rifugiandoci nel<strong>la</strong> nevrosi e nell’autocommiserazione,<br />
piuttosto che affrontare <strong>la</strong> responsabilità di noi stessi.<br />
Adriana Mazzarel<strong>la</strong><br />
psicoanalista junghiana
Caronte, busto in terracotta dipinta a freddo color bronzo, opera attribuibile a Romanelli<br />
Quando acquistai questa scultura <strong>la</strong> collocai all’ingresso del<strong>la</strong> mia abitazione. Immediatamente capii che era<br />
una presenza ingombrante, in quanto po<strong>la</strong>rizzava tutto lo spazio di quell’ambiente. In breve tempo potei<br />
notare che gli ospiti, entrando, erano sempre un poco impauriti, inquieti e timorosi a causa di quell’opera.<br />
E ricordo mio nipote bambino che quando entrava, correva per attraversare l’ingresso allontanandosi il più<br />
in fretta possibile da quello sguardo. Anche Dante prova lo stesso timore quando si trova di fronte<br />
a Caronte, figura che gli incute paura. E per sostenere questa presenza deve fare appello a una volontà più<br />
totale e più forte, che possa aiutare il suo io personale. Egli capisce che per compiere il viaggio stesso dovrà<br />
affidarsi a un nuovo principio di salvezza: <strong>la</strong> morte dell’io individuale attraverso quel<strong>la</strong> del Cristo<br />
portatore del<strong>la</strong> fede. Per salvarsi Dante non dovrà affidarsi al “legno” di Caronte, ma a quello del<strong>la</strong> croce<br />
(morte-rinascita), per poter risorgere nell’Essere Assoluto. <strong>Il</strong> legno di Caronte – <strong>la</strong> barca – è quello che l<br />
o traghetta per compiere il viaggio infernale; il legno del<strong>la</strong> croce è quello che gli dà <strong>la</strong> fede per poter<br />
compiere l’intero viaggio fino all’Essere Supremo.<br />
Sergio Baroni
Paolo e Francesca – distacco dal<strong>la</strong> corporeità<br />
L’ episodio di Paolo e Francesca, che occupa tutto il V<br />
canto dell’Inferno, illustra drammaticamente come l’amore<br />
vissuto solo sul piano dell’istinto, del desiderio e del piacere<br />
possa perdere e condurre a morte. Già <strong>la</strong> descrizione<br />
dell’ambiente è foriera dello stato in cui si trovano coloro<br />
che sono in balìa delle passioni.<br />
Prima che Dante li immorta<strong>la</strong>sse, Paolo e Francesca furono<br />
personaggi senza storia di una vicenda tragica, che, se pur<br />
realmente vissuta, sbiadì come tante altre nell’indifferenza<br />
del<strong>la</strong> cronaca del tempo e non uscì dai limiti di un banale<br />
adulterio e di un ancor più banale “delitto d’onore”.<br />
E’ Amore il protagonista del<strong>la</strong> vicenda, Paolo e Francesca<br />
ne sono “preda”; un amore che riguarda sempre <strong>la</strong> persona,<br />
il piacere, il possesso.<br />
La bufera infernal, che mai non resta,<br />
mena gli spirti con <strong>la</strong> sua rapina;<br />
voltando e percotendo li molesta.<br />
Quando giungon davanti a <strong>la</strong> ruina,<br />
quivi le strida, il compianto, il <strong>la</strong>mento;<br />
bestemmian quivi <strong>la</strong> virtù divina.<br />
[Inf. V, 25-36]<br />
La scena rievocata è immersa in un mondo senza più spazio<br />
né tempo, che ricorda l’innocenza e l’incoscienza dell’Eden.<br />
Nel<strong>la</strong> sua innocenza, Francesca crea una situazione di<br />
suggestione magica tale da trasformare Paolo in un essere<br />
senza volontà, trascinato da lei, tremante di desiderio per<br />
lei. Ora, attaccato a Francesca, sa solo piangere, mentre lei,<br />
che l’ha voluto possedere (“questi, che mai da me non fia<br />
diviso”) trascina nel<strong>la</strong> dannazione anche il marito.<br />
Francesca si autocommisera continuamente: <strong>la</strong> colpa è tutta<br />
fuori, lei non c’entra. Incolpa amore, il libro e chi lo scrisse.<br />
Sembra di essere di fronte a una realtà sublime e unica,<br />
mentre è un evento chiaramente collettivo. Tutta <strong>la</strong> vicenda<br />
di Paolo e Francesca può essere considerata, dal punto di<br />
vista psicologico, come una storia d’amore dovuta a una<br />
reciproca proiezione di Animus-Anima. Infatti i due amanti<br />
sono nello stato di dannazione non perché hanno rinfranto<br />
un codice morale, ma perché non si sono resi responsabili<br />
di questo amore con un atteggiamento più adulto e maturo.<br />
Questo avrebbe implicato l’uso del ben dell’intelletto, che i<br />
dannati hanno perduto; se avessero usato questa tipica<br />
funzione dell’uomo, Paolo e Francesca non sarebbero<br />
nell’inferno.<br />
Intesi ch’a così fatto tormento c<br />
Enno dannati i peccator carnali,<br />
che <strong>la</strong> ragion sommettono al talento.<br />
E come li stornei ne portan l’ali<br />
Nel freddo tempo, a schiera <strong>la</strong>rga e piena,<br />
così quel fiato li spirti mali<br />
di qua, di là, di giù, di su li mena;<br />
nul<strong>la</strong> speranza li conforta mai,<br />
non che di posa, ma di minor pena.<br />
[Inf. V, 37-49]<br />
Adriana Mazzarel<strong>la</strong><br />
psicoanalista junghiana
Angelo Biancini, Paolo e Francesca, scultura a bassorilievo<br />
in terracotta invetriata. Anni 60
Paolo e Francesca, bassorilievo in ceramica, opera di Angelo Biancini<br />
L’artista Angelo Biancini nel<strong>la</strong> sua opera raffigura Paolo e Francesca travolti dal<strong>la</strong> bufera infernale, luogostato<br />
senza luce, dominato da venti contrari che creano tempesta, <strong>la</strong> quale trascina gli spiriti che si sono<br />
<strong>la</strong>sciati vincere dal<strong>la</strong> passione. Nel<strong>la</strong> loro vita hanno seguito il piacere, in morte <strong>la</strong> loro anima gira per<br />
l’eterno a vuoto, imprigionata in un gorgo tempestoso. I guardiani di questo girone – i diavoli – sono<br />
completamente nudi e qui l’artista ne ha messo in evidenza uno che mostra, mettendoli in primo piano, i<br />
genitali, a sottolineare il peccato del<strong>la</strong> lussuria.<br />
Con quest’opera ci troviamo di fronte a una partico<strong>la</strong>re iconografia del<strong>la</strong> coppia di amanti Paolo e<br />
Francesca, perché fino ad allora tutti gli artisti nel corso dei secoli li avevano sempre raffigurati di fronte a<br />
Dante e Virgilio. Qui invece <strong>la</strong> scena precede l’incontro e il colloquio con il poeta e <strong>la</strong> sua guida e al loro<br />
posto c’è un diavolo-fauno.<br />
Sergio Baroni
Le parole del<strong>la</strong> scultura<br />
<strong>Il</strong> linguaggio del<strong>la</strong> pittura e del<strong>la</strong> scultura è il linguaggio del corpo, del corpo che rivive del<strong>la</strong> linfa vitale dell’arte e del silenzio; e le<br />
parole non possono fare altro se non ridestare dal silenzio degli occhi e dei volti, degli sguardi e dei gesti, i significati che l’artista ha<br />
voluto esprimere e i significati che ciascuno di noi, con le diverse sensibilità e le diverse attitudini che sono in noi, ri-conosce nelle<br />
opere d’arte nelle quali ciascuno di noi si rispecchia. Ovviamente, come in ogni esperienza umana, ci possono essere discordanze fra i<br />
significati che l’artista ha inteso esprimere e quelli che nascono in noi; e in questa misteriosa circo<strong>la</strong>rità ermeneutica è il fascino senza<br />
fine di ogni opera d’arte”. Eugenio Borgna, "Come in uno specchio oscuramente", Giangiacomo Feltrinelli Editore, Mi<strong>la</strong>no, 2007.<br />
Spesso nel visitare luoghi d’arte mi sono trovata a guardare come se ascoltassi, con <strong>la</strong> distanza e il coinvolgimento, l’attenzione e il<br />
rispetto dovuti a ogni persona che arriva nel mio studio. Nel visitare <strong>la</strong> galleria di Sergio Baroni in occasione del<strong>la</strong> preparazione del<strong>la</strong><br />
mostra "<strong>Il</strong> <strong>volto</strong> e <strong>la</strong> <strong>maschera</strong>", l’ascolto è stato, come spesso, gruppale. Ascoltavo Sergio che<br />
mi illustrava con passione e sedimentata competenza ogni scultura mentre mi giungevano anche certi silenziosi discorsi dei bei pezzi<br />
esposti. Come non sentire il silenzio apparentemente determinato del<strong>la</strong> Malinconia di Pietro Me<strong>la</strong>ndri? Come non riconoscere <strong>la</strong> traccia<br />
inquietante di uno stato d’animo che non trova espressione? Esperienza umana che è difficile ascoltare, che fatica a ritrovare paro<strong>la</strong>. <strong>Il</strong><br />
contorno del viso che dichiara presenza e gli occhi, senza sforzo socchiusi, che dicono assenza. La piega del<strong>la</strong> bocca appena accennata<br />
non conosce sorriso. Non c’è spiraglio in questo viso. Lo avvertiamo che tutto è sospeso in un’assenza di tempo, in un’immobilità<br />
necessaria. Nel guardare questa ceramica di Me<strong>la</strong>ndri ho pensato che l’artista abbia avuto pietà di Medusa, intuendone e mostrandoci il<br />
<strong>volto</strong> malinconico. Medusa punita per aver osato nascondere il proprio <strong>volto</strong> nell’egida di Atena e condannata per questo. Medusa che<br />
non può più rinunciare al<strong>la</strong> propria <strong>maschera</strong> tremenda. Pietro Me<strong>la</strong>ndri, mi chiedo, ci ha proposto un <strong>volto</strong> o una <strong>maschera</strong>? Ed è<br />
possibile pensare un aspetto senza incontrare l’altro? E come possiamo pretendere di sapere quale sia il più vero? Di tutt’altra natura il<br />
rumoroso silenzio del<strong>la</strong> coppia di mascheroni di Giovanni Battista Alloati. <strong>Il</strong> giovane e il vecchio proc<strong>la</strong>mano spaventati <strong>la</strong> loro attesa.<br />
Sopracciglia contratte in sgomento, pupille in attesa di uno sguardo, bocca aperta per <strong>la</strong>sciar uscire parole non loro. “Par<strong>la</strong> attraverso di<br />
me”, sembrano suggerire, ‘ascolta attraverso di me queste parole’, sussurrano perentori. Due età del<strong>la</strong> vita, diversa tenuta musco<strong>la</strong>re,<br />
stesso stato d’animo. “Potrei par<strong>la</strong>re per lui”, ho pensato guardando il vecchio. “Sicuramente<br />
in qualche momento sono stata come lui” ho pensato guardando il giovane. Decisamente maschere che prestano a volti sconosciuti<br />
emozioni universali.La scultura che si trova all’ingresso del<strong>la</strong> galleria ci obbliga a incontrare subito l’aspetto più inquietante e al<br />
contempo rassicurante del rapporto fra <strong>maschera</strong> e <strong>volto</strong>. <strong>Il</strong> manichino che con dita meccaniche tiene con garbo una <strong>maschera</strong> di bel<strong>la</strong><br />
donna, al posto del <strong>volto</strong> propone un teschio sorridente. Se appoggiassimo quel<strong>la</strong> <strong>maschera</strong> al posto del viso, avremmo sconfitto le<br />
nostre paure? E nello spazio fra <strong>la</strong> <strong>maschera</strong> e il teschio “noi” che scelte vogliamo fare? Nel<strong>la</strong> società che abitiamo e che ci abita, molte<br />
cose stanno mutando in modi vertiginosi. Siamo sempre più sollecitati a incarnare lisce e seducenti maschere sorridenti e diffidati dal<br />
mostrare il teschio. Per fortuna non sono solo il disagio, l’emarginazione e <strong>la</strong> ma<strong>la</strong>ttia a ricordarci <strong>la</strong> nostra fragile impermanenza, <strong>la</strong><br />
nostra vulnerabilità. Quando ci pensa l’arte ci sentiamo tutti riconosciuti.<br />
Silvana Koen<br />
psicoanalista, gruppoanalista
Opere in mostra
Giovanni Battista Alloati<br />
(Torino 1878 - Torino 1964),<br />
Coppia di mascheroni in terracotta,<br />
h cm 25. Anni 30.
Libero Andreotti (Pescia 1875 - Firenze 1933),<br />
Testa in cera raffigurante giovane donna, 1926.<br />
E' un'opera inconsueta, perché il modello in gessso è stato<br />
coperto dal<strong>la</strong> cera e in seguito cesel<strong>la</strong>to. Reca <strong>la</strong> firma sul<br />
retro in basso e <strong>la</strong> data di esecuzione.
Mirko Basaldel<strong>la</strong> (Udine 1910 - Cambridge 1969)<br />
<strong>Il</strong> guerriero, scultura in bronzo.<br />
Anni 40 - 50.
Bertozzi e Casoni,<br />
Mascheroni in ceramica, Produzione Cooperativa Ceramica<br />
d'Imo<strong>la</strong>, 1998, realizzati per "Abitare il Tempo" (Verona);<br />
etichetta di carta originale Imo<strong>la</strong>rte, autentica verbale degli<br />
artisti.
Mario Bertozzi (Forlinpopoli 1927)<br />
Testa femminile in bronzo, 1963.<br />
E' un soggetto piuttosto partico<strong>la</strong>re per Bertozzi, artista conosciuto soprattutto per le iconografie del toro e del gallo.
Lino Berzoini (Ficarolo 1893 - Albiso<strong>la</strong> 1971),<br />
Maschera in ceramica.
Angelo Biancini (Castel Bolognese 1911 - 1988),<br />
Atleta vittorioso, busto in bronzo, modello per <strong>la</strong> statua allo<br />
Stadio Olimpico di Roma (odierno Foro Italico) a<br />
rappresentare <strong>la</strong> provincia di Trapani.
Angelo Biancini (Castel Bolognese 1911 - 1988),<br />
Contessina Zanelli Quarantini.<br />
Biancini riceve <strong>la</strong> committenza per un grande monumento<br />
funerario in bronzo, da collocare nel cimitero<br />
dell'Osservante di Faenza, dal<strong>la</strong> famiglia Zanelli Quarantini.<br />
Nel contempo, compie diversi ritratti di fanciulli<br />
appartenenti a questa famiglia. Questo è il ritratto di Maria<br />
Grazia Zanelli Quarantini a 13 anni. In quest'opera l'artista<br />
guarda al<strong>la</strong> grande arte quattrocentesca italiana.
Angelo Biancini (Casetl Bolognese 1911 - 1988),<br />
Cavalier Aldo Zambrini, testa in bronzo. Zambrini era<br />
direttore geenrale del<strong>la</strong> Bianchi e direttore sportivo del<strong>la</strong><br />
Casa "Bianchi", al<strong>la</strong> cui squadra bianco-celeste apparteneva<br />
Fausto Coppi.
Angelo Biancini (Castel Bolognese 1911 - 1988),<br />
Bianca Giardini, testa in bronzo, 1949.<br />
Lo scultore prende a modello questa figura femminile<br />
e mostra di essere ormai slegato dai canoni tradizionali<br />
imposti dal<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ssicità dell'anteguerra.
Angelo Biancini (Castel Bolognese 1911 - 1988), Studio di<br />
una testa di bimba, 1940 circa. Sono molti i ritratti di<br />
bambini eseguiti da Angelo Biancini, anche in altri<br />
materiali, come marmo e ceramica. Quest'opera non<br />
presenta un grande <strong>la</strong>voro di cesel<strong>la</strong>tura; l'autore ha voluto<br />
<strong>la</strong>sciar<strong>la</strong> simile al prototipo.
Ercoled Drei (Faenza 1886 - Roma 1973), Canefora,<br />
ceramica bianca a grandi craquelures, firmata all'interno.<br />
Anni 30.<br />
Nel<strong>la</strong> pagina a fianco: Angelo Biancini (Castel Bolognese<br />
1911 - 1988), Testa di bimba in bronzo con nastro dei<br />
capelli a patina scura. Partico<strong>la</strong>re il contrasto tra <strong>la</strong> patina del<br />
bronzo lucente e <strong>la</strong> patina opaca che crea un gioco<br />
chiaroscurale. Anni 50.
Ercole Drei (Faenza 1886 - Roma 1973), Wally Toscanini,<br />
busto in terracotta. Anni 30.
Ercole Drei (Faenza 1896 - Mi<strong>la</strong>no 1956), Talia,<br />
Musa del<strong>la</strong> Commedia, statua in marmo, Anni 50.
Tolomeo Faccendi (Grosseto 1905 - Grosseto 1970),<br />
Ritratto virile in terracotta, firmato (probabile autoritratto).
Pietro Me<strong>la</strong>ndri (Faenza 1885 - Faenza 1976),<br />
La Malinconia, <strong>maschera</strong> in ceramica smaltata, 1932.<br />
"Si tratta di una rara opera autografa di Pietro Me<strong>la</strong>ndri<br />
risalente al 1932, nota come "La malinconia" e pubblicata<br />
sul<strong>la</strong> rivista "Domus" nel maggio 1933. <strong>Il</strong> modello potrebbe<br />
richiamare alcune creazioni di Carlo Lorenzetti, scultore<br />
veneziano di cui Me<strong>la</strong>ndri utilizzò diverse p<strong>la</strong>stiche<br />
("Diana", "Cupido"), ma direi piuttosto che possiamo<br />
annoverare l'opera fra le creazioni originali dello stesso<br />
Me<strong>la</strong>ndri, al pari del<strong>la</strong> "Maschera del vento", del<strong>la</strong> "Testa di<br />
Medusa" e di diverse altre - riferibili allo stesso periodo. "<br />
Emanuele Gaudenzi, critico d'arte.<br />
Nel<strong>la</strong> pagina accanto: Domenico Matterucci (Faenza<br />
1914-1991), <strong>maschera</strong> funeraria di Barbara Manfredi in<br />
ceramica, modello tratto dal famoso monumento sepolcrale.<br />
Anni 60.
Opera a doppia mano di Pietro Me<strong>la</strong>ndri (Faenza 1885 -<br />
Faenza 1976) ed Enrico Mazzo<strong>la</strong>ni (Senigallia 1876 -<br />
Mi<strong>la</strong>no 1968), Ritratto di Beethoven, scultura in maiolica<br />
smaltata, 1926, Manifattura Me<strong>la</strong>ndri-Focaccia.
Roberto Terracini (1900 - 1975),<br />
Autoritratto (?) a forma di <strong>maschera</strong>. Anni 50-60.
Arrigo Minerbi (Ferrara 1881 - Padova 1960), Crisalide,<br />
<strong>volto</strong> di donna in marmo bianco di Carrara.
Arrigo Minerbi (Ferrara 1881 - Padova 1960),<br />
Santa Cecilia, <strong>volto</strong> in terracotta.
Arrigo Minerbi (Ferrara 1881 - Padova 1960),<br />
Eleonora Duse, busto in marmo bianco di Carrara.
Arrigo Minerbi (Ferrara 1881 - Padova 1960),<br />
San Francesco, busto in terracotta, Anni 30.
Arrigo Minerbi (Ferrara 1881 - Padova 1960),<br />
Volto di Cristo, partico<strong>la</strong>re in marmo del monumento<br />
del<strong>la</strong> cappel<strong>la</strong> funebre del<strong>la</strong> famiglia Marzotto a Valdagno<br />
(Vi).
A. Pasterra, San Francesco, <strong>volto</strong> in gesso, Anni 30. Opera<br />
di influenza wildtiana.
Caronte, busto in bronzo attribuibile a Romanelli.<br />
Anno 1922.
Francesco Wildt (Mi<strong>la</strong>no 1896 - Mi<strong>la</strong>no 1931), Giovane<br />
dormiente, busto in marmo di Candoglia. Anni 20-30.
Si fa presente che il catalogo contiene esclusivamente le<br />
opere delle collezioni Sergio Baroni e non quelle prestate<br />
da altre gallerie in occasione del<strong>la</strong> mostra.<br />
Foto by Andrea Satta<br />
Antichità Baroni Srl Via Madonnina 17, Mi<strong>la</strong>no