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Arte e Restauro

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Rivista Bimestrale di <strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> n°1 - Marzo/Aprile – Aut. Trib. Di Vibo Valentia n°2 R.P. del 07/02/2012 - Distribuita in Omaggio<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong><br />

Edito dall’Accademia di Belle Arti “Fidia”- Stefanaconi (VV)<br />

Aut. Trib. Vibo Valentia n°2 del 07/02/2012 - n°1<br />

Direttore - Imperio Assisi


CONVITTO NAZIONALE DI<br />

STATO<br />

“G. FILANGIERI”<br />

VIBO VALENTIA Tel. 0963547667 -<br />

Fax. 0963541193<br />

Scuole Annesse<br />

Primaria e Secondaria<br />

Residenzialità Alunni Convittori<br />

Servizi Pomeridiani<br />

Semiconvittuali<br />


SOMMARIO:<br />

4 EDITORIALE<br />

di Michele Licata<br />

5 ANCHE PER CARITA “PARENTALE” STAVOLTA<br />

DIFENDO “I PIZZITANI”<br />

L’ANTICA “OSPITALITÀ” E “ONESTÀ DEL POPOLO DI PIZZO”<br />

di Imperio Assisi<br />

9 LA FONDAZIONE MIRO’<br />

di Giuseppe Neri<br />

13 LA FAVOLA CHE NON C’E’<br />

di Rosetta Pititto<br />

17 RESTITUZIONI 2001 - 2011<br />

Dieci anni di attività del nucleo Carabinieri tutela patrimonio<br />

culturale di Cosenza<br />

di Francesca Cannataro e Valentina Cosco<br />

21 CORPO ELETTRONICO<br />

di Simona Caramia<br />

25 I QUATTROCENTO ANNI DEL LICEO “M. MORELLI”<br />

di Domenico Sorace<br />

27 APPUNTI DI FILOLOGIA TESTUALE E RESTAURO<br />

DEL CINEMA<br />

di Roberto Pasanisi<br />

Dove puoi trovare la rivista in omaggio:<br />

Edicola di: F. Selvaggio<br />

Piazza Municipio - Vibo Valentia<br />

Atri :<br />

Galleria d’<strong>Arte</strong>:<br />

Erinys Art Gallery via E. Gagliardi, 71<br />

ACCADEMIA DI BELLE ARTI “FIDIA”<br />

“ARTE e RESTAURO”<br />

Bimestrale edito da:<br />

Accademia di Belle Arti “Fidia”<br />

Contrada Paieradi 89843 Stefanaconi (VV)<br />

Tel. 0963/262952 fax 0963/262015<br />

redazione.arteerestauro@accademiafidia.it<br />

Direttore:<br />

Vice Direttore:<br />

Imperio ASSISI<br />

Michele LICATA<br />

Coordinatore editoriale e Art direction:<br />

Dimitri LICATA<br />

Stampa a cura del laboratorio di Grafica<br />

ABA FIDIA<br />

Aut. Trib. Vibo Valentia n°2 del 07/02/2012<br />

In copertina: scultura in terracotta di Michele Licata


Informatic@Center<br />

di Panuccio Domenico<br />

Vendita e assistenza PC-Hardware - Software - Accessori Computer<br />

Via Popilia 15 - Vibo Valentia - Tel. 096343569 - cell.<br />

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<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 4<br />

Emporio Musicale Vibonese<br />

via Matteotti n°16 Tel. e Fax. 0963547292<br />

Vibo Valentia


Editoriale<br />

Con la pubblicazione del secondo numero della<br />

rivista, desideriamo che la nostra voce oltrepassi i con-<br />

fini Provinciali e Regionali, considerato l’interesse che<br />

ha suscitato negli addetti ai lavori e in coloro che rin-<br />

graziamo, hanno voluto inviare i loro articoli per la<br />

pubblicazione. Tutto questo ci spinge a continuare il<br />

nostro impegno con maggiore passione e dedizione.<br />

La nostra responsabilità, inoltre, sarà rivolta<br />

verso i tanti giovani e per dimostrare loro che anche in<br />

questa terra martoriata da avvenimenti mostruosi e non<br />

dignitosi, si possono realizzare sogni e passioni. Ed è<br />

giusto prendere esempio da coloro i quali non hanno<br />

voluto lasciare questa terra e continuano a operare alle<br />

volte anche in silenzio, ma con la dignità di essere<br />

consapevoli della propria meridionalità e calabresità. E<br />

che tutto quello che fino ad ora è stato realizzato e<br />

fatto per loro e per la loro crescita.<br />

Lottare qui nella propria terra per un posto di<br />

lavoro è un impegno che tutti dobbiamo assumerci per<br />

costruire un domani migliore, in una dignità professio-<br />

nale e personale.<br />

Qualche giorno fa abbiamo presentato il primo<br />

numero della rivista con tutti i collaboratori, e lo ab-<br />

biamo fatto con grande entusiasmo, purtroppo i soliti<br />

personaggi e responsabili dei giornali, qualcuno invita-<br />

to personalmente, si sono astenuti dall’essere presenti,<br />

o inviare un collaboratore, preferiscono,forse, che nei<br />

loro giornali vengano evidenziati i noti e “più impor-<br />

tanti” fatti di cronaca nera.<br />

Non ve dubbio che il nostro è un territorio fra-<br />

gile, questi atteggiamenti lo rendano ancora di più<br />

fragile e vulnerabile e questa è una delle cause che<br />

allontanano i giovani dalla terra di origine e ad andare<br />

via. Come avevamo già evidenziato nel primo numero,<br />

la pubblicazione della rivista “ARTE E RESTAU-<br />

RO” oltre a quanto già detto, due scopi principali.<br />

Primo, far conoscere l’<strong>Arte</strong> moderna e contem-<br />

poranea, anche con brevi nozioni storiche e promuove-<br />

re le iniziative che sono messe in atto da Musei, Pina-<br />

coteche, Gallerie e Associazioni.<br />

Secondo è pubblicizzare le opere da restaurare<br />

e restaurate, nel contempo aprire un dibattito sul come<br />

intervenire attraverso un restauro conservativo atto a<br />

preservare nel tempo la memoria storica - artistica<br />

delle opere, numerose, di questo territorio.<br />

Vogliamo comunicare due importanti eventi di restau-<br />

ro che a breve saranno realizzati nei laboratori<br />

dell’Accademia di Belle Arti Fidia.<br />

La prima è un’opera di grande pregio artistico e<br />

di devozione di tutta la comunità vibonese, apparte-<br />

nente alla chiesa di Maria SS. Rosario e all’ Arcicon-<br />

fraternita, il “Cristo Morto” scultura in legno policro-<br />

mo tra le più importanti esposte alle venerazione dei<br />

cittadini nella manifestazione del Venerdì Santo.<br />

La scultura realizzata in legno pregevole di<br />

noce, il quale pur essendo un legno molto forte e duro,<br />

l’umidità e la corrosione degli insetti xilofagi, ne han-<br />

no compromesso la struttura e la conservazione.<br />

L’altra è una Scultura policroma in pregevole<br />

legno di tiglio, opera del Maestro De Lorenzo Dome-<br />

nico, Antonio, Francesco, Saverio, originario di Trope-<br />

a come si legge nel documento di battesimo ritrovato<br />

nell’archivio diocesano di Tropea. La scultura datata<br />

1801 rappresenta la Madonna delle Grazie e si trova<br />

nella Chiesa di Maria SS. delle Grazie in Arena (VV).<br />

Michele Licata<br />

Laboratorio <strong>Restauro</strong> Pittorico<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 5


<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 6


L’antica “ospitalità” e “onestà” del popolo di Pizzo<br />

A Pizzo, stupenda e storica Città della nostra<br />

meravigliosa Calabria, affondano le mie “radici” per<br />

parte materna. Quando Dio creò questa località, era<br />

senz’altro in vena di “ divina elargizione” e non si<br />

risparmiò di dotarla di ogni più rara bellezza.<br />

Per distinguerla dalla massa dei paesi costieri<br />

del Lametino, la posizionò su un cucuzzolo di terra<br />

arenaria, a strapiombo su un mare cristallino, che<br />

sembra baciarla e cullarla perennemente.<br />

Per “divina distrazione”, dotò, però, gli<br />

abitanti del luogo di un dialetto così unico, con ac-<br />

cento e intonazione così graffianti, da far spavento<br />

perfino alle più “racchie” cornacchie. Venale peccato,<br />

subito rimediato, con l’assegnare a tutte le ragazze del<br />

posto una “grazia” tanto singolare da “calamitare”,<br />

fin dai tempi remoti, tutta la gioventù maschile dei<br />

Paesi circostanti.<br />

Da Mileto, garantisco personalmente, si parti-<br />

va con sgangherate biciclette o con lo “sbuffante”<br />

trenino delle Ferrovie Calabro-Lucane.<br />

Sostare a Pizzo significava andare in “estasi”<br />

per una fragranza di salsedine, di gialle ginestre che<br />

quasi lambivano la battigia marina, bearsi del perenne<br />

sole, della rarità di trovare qui un dolce e raro zibibbo<br />

o della possibilità di assistere alla disumana e cruenta<br />

“mattanza” dei tonni, imprigionati nella “camera”<br />

della morte.<br />

La tonnara di Pizzo era una delle più attive<br />

del circondario, merito delle antiche famiglie dei Calli-<br />

po e dei Sardanelli. Pizzo,insomma, era un piccolo<br />

compendio delle bellezze dell’Universo.<br />

Una terra, così divinamente e naturalmen-<br />

te“dotata”, dovrebbe essere abitata solo da gente<br />

senza macchie e senza dolo. E invece NO. Proprio<br />

NO!!. Qualche “peccatuccio” i Padri Napitini<br />

ANCHE PER CARITA’ “PARENTALE”<br />

STAVOLTA DIFENDO I “PIZZITANI”<br />

di Imperio Assisi<br />

l’avranno certamente commesso, altrimenti non po-<br />

tremmo spiegarci perché sono stati loro affibbiati gli<br />

“infamanti” “epìteti” di: “Pizzitani mangiagarge”;<br />

“Pizzitani ammazza Re”; “Pizzitane ciangiuline” o<br />

“prefiche a pagamento”, e covo di donne, in parte,<br />

di “facili costumi”.<br />

Quanto al primo spregiativo epiteto:<br />

“mangiagarge”, il più grande e serio studioso del<br />

dialetto calabrese, Gerhard Rohlfs, si limita a dire:<br />

“soprannome dato agli abitanti di Pizzo”, ma, per non<br />

intaccare la suscettibilità degli abitanti, più non dice e<br />

rinvia alla ricerca dell’etimologia della parola<br />

“gargia” il cui significato ci farebbe pensare che i<br />

nostri Napitini erano (absit iniuria verbo), persone<br />

che “parlono assai”, dalla “grande avida e criticona<br />

gola”, dalla “gargia o branchia” sempre aperta.<br />

I miei Nonni materni, di puro sangue pizzitano,<br />

invece, mi dicevano che il “marchio” si riferiva alla<br />

golosità dei Pizzitani nel mangiare il pesce appena<br />

pescato, ancora vivo, specialmente le fresche alici,<br />

avidamente divorate o meglio “ingozzate” assieme<br />

all’intera lisca.<br />

Castello “Murat” Aragonese Pizzo Calabro (VV)<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 7


La Storia non ha ancora lavato l’onta orribile dei Piz-<br />

zitani per aver ammazzato un Re, senza colpa grave,<br />

senza averlo prima sottoposto a un giusto, serio,<br />

“regale” processo.<br />

Era il 13 ottobre 1815 e in una triste cella del maniero<br />

Aragonese venne fucilato Re Gioacchino Murat, dopo<br />

una breve prigionia di neppure 15 giorni. A testimoni<br />

del “finto” processo furono chiamati dei “vastasi”,<br />

ignoranti fino al punto di autentificarsi con un marca-<br />

to segno di croce. Quella di “Pizzitani regicidi” è un’<br />

onta che, a distanza di duecento anni, neanche le pe-<br />

renni “chiare e dolci acque” della fontana “cento<br />

cannelle” hanno potuto ancora lavare. Accettate,<br />

quindi, miei cari quasi compaesani, questa disonore-<br />

vole storica “patacca” da appendere al gonfalone dei<br />

vostri “fasti e nefasti”.<br />

Accettate con storico “scorno” e umiltà la nemesi sto-<br />

rica che vuole che le colpe dei Padri ricadano quasi<br />

sempre sugli innocenti figli.<br />

E veniamo alla più blasfema e, per me, “immeritata”<br />

calunnia attribuita alle graziose donne pizzitane, fal-<br />

samente bollate come ciangiuline, (prefiche) a paga-<br />

mento, oltre che di “facili costumi”.<br />

Da giovane, mi recavo a Pizzo, come già detto, per<br />

motivi parentali, presso il laboratorio di sartoria della<br />

Nonna materna, Gregorina La Torre (detta pure “a<br />

Cichirra?), laboratorio affollatissimo di statuarie<br />

ragazze, senza trucco e senza parti del corpo rico-<br />

struite o gonfiate. Tutta roba genuina, come mamma<br />

la fece”. Ebbene, i molti tentativi di approccio<br />

“falliti” mi autorizzano a dire che trattasi solo di …<br />

calunnie, assolutamente infamanti e immeritate.<br />

L’epìteto di “Perfide puttane”, che troviamo in un<br />

poemetto erotico definito dalla gioventù maschile del<br />

tempo “capolavoro” è, a mio avviso, frutto di chi, a<br />

quei tempi, pur andando a Pizzo sovente per<br />

“comprare amore”, sarà rimasto a “bocca asciutta”.<br />

Uno di questi “virtuali puttanieri” potrebbe essere<br />

stato l’illustre poeta Vibonese, Vincenzo Ammirà,<br />

autore di quel “clandestino” poemetto erotico che<br />

celebra i meriti di una carnosa calabrisella di facili<br />

costumi, di nome “CECIA”.<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 8<br />

Pizzo Calabro (VV) alla fine degli anni 50<br />

L’opera, proibita dalla legge, ma conosciuta intera-<br />

mente a memoria da tutti i giovani, s’intitola “LA<br />

CECEIDE” un’antesignana della universale “Bocca<br />

di Rosa” del grande Fabrizio De André. Alla morte di<br />

questa grande “BENEFATTRICE”, dice Ammirà,<br />

tutta la gioventù maschile calabrese prese parte al<br />

FUNERALE.<br />

Erano presenti: POVERI, RICCHI, PROFESSIONI-<br />

STI, PREVITUNCOLI, tutti dietro al feretro per<br />

l’estremo addio a chi, in vita, aveva fatto tanto bene.<br />

Al funerale, dice il Poeta, parteciparono pure “tricentu<br />

pizzitane chi tutte a paga furu mi si: le chiù celibri<br />

puttane di lu perfidu paisi”. Assolutamente NO! Le<br />

donne di Pizzo non sono tali, né il Paese era così mal-<br />

vagio. Si sa che “fama volat” e che trecento<br />

“benefattrici” del sesso maschile al proprio funerale<br />

rappresentano un record invidiabile per qualsiasi sia<br />

pur castissima pacchianella.<br />

In Calabria non esiste forestiero che, visitando la<br />

stupenda Pizzo, magari dopo aver visitato il Castello,<br />

Piedigrotta, la Chiesa di San Giorgio, San Francesco,<br />

dopo aver ammirato dallo “spuntone” un tratto di<br />

costa incantevole, non ripeta i versi del nostro Ammi-<br />

rà. “…apri l’occhi Cecia mia, apri l’occhi ca lu vi-<br />

di… stu spettaculu di natuta, tuttu,tuttu é pe<br />

tia...”.


Le prefiche di Pizzo erano conosciute in tutta la Cala-<br />

bria; erano denominate “ciangiuline” perché, previo<br />

“vil denaro”, si recavano in “missione di pianto”<br />

ovunque si sentisse il bisogno di omaggiare i “meriti”,<br />

si fa per dire, del “caro estinto”, che esse,magari, mai<br />

avevano conosciuto o visto. Ci pensavano i necrofori<br />

a dare elementi biografici, assolutamente esemplari,<br />

anche quando l’estinto ne aveva combinato una più del<br />

diavolo. Al via, e al suono struggente della banda,le<br />

prefiche pizzitane che seguivano il feretro,partivano<br />

con i pianti a dirotto e tanta era l’immedesimazione<br />

che invano avresti detto che si trattava di dolore a<br />

pagamento e non di straziante viva partecipazione al<br />

dolore di un familiare. Che provette attrici le nostre<br />

prefiche pizzitane. Da giovane “tentai” più volte di<br />

“sfruculiare” mia Nonna sul perché alla bella città di<br />

Pizzo venivano “affibbiate” tante cattive nomee.<br />

La risposta, a difesa dei suoi paesani, era sem-<br />

pre la stessa ma mai motivata e convincente: “Cu nci<br />

misi a brutta nomea, avi mu ncia caccia”; “Roba<br />

disprezzata è tantu amata e desiderata”; “sciò, sciò,<br />

cu di fora veni ccà, e non nci resta, u faci prestu u<br />

sindi va..”. E, purtroppo, cara Nonna, le<br />

“disonorevoli medaglie” non sono state ancora divel-<br />

te dal gonfalone dell’albagia pizzitana. Ma per farti<br />

stare in pace nell’aldilà, ti dico che della tua Pizzo si<br />

dirà ancora tanto male e si spargerà anche tanto fan-<br />

go, ma nessuno mai potrà negare che i tuoi paesani<br />

sono stati “ospitali e onesti” fino all’inverosimile.<br />

Ecco la prova mia indimenticabile Nonna!!.<br />

Interno Chiesetta di “Piedigrotta” Pizzo Calabro (VV)<br />

Particolare di “Ichthus” Pesce della Chiesetta di “Piedigrotta”<br />

Pizzo Calabro (VV)<br />

Nel 1784, appena un anno dopo l’orribile terremoto<br />

che distrusse buona parte della Calabria, un certo abate<br />

Giovanni Battista Fortis, insigne naturalista, fra i più<br />

conosciuti in Italia e in Europa, dovendo andare da<br />

Napoli in Sicilia, fu costretto a sostare a Pizzo dove<br />

ebbe modo di studiare il fenomeno dei terremoti e le<br />

conseguenti rovine che il sisma aveva prodotto.<br />

“Pizzo, scrive il nostro viaggiatore e geologo, era<br />

distrutta da capo a fondo, per quanto ne dicono le<br />

descrizioni degli ultimi disastri di Calabria. Era una<br />

città baronale abitata da circa cinquemila persone, il<br />

popolo addetto alla navigazione la rendeva l’Emporio<br />

di quelle contrade; Il terreno su di cui giace è di tufo<br />

arenario e pochissimo consistente per conseguenza<br />

nel caso d’un terremoto gagliardo. Nove persone sole<br />

vi perirono, secondo la relazione pubblicata dal Cav.<br />

Vivenzio. Anche Pizzo mi ha fatto amico dei Calabre-<br />

si, appunto perché le prime impressioni decidono<br />

delle nostre affezioni. Io vi ho trovato un onestissimo<br />

albergatore che mi colmò d’attenzione e mi fece<br />

pagare così poco che io credevo sempre ch’egli aves-<br />

se errato nei conti a suo danno. Nel partire dalla di<br />

lui casa prima del giorno, essendo ancora mezzo ad-<br />

dormentato, lasciai il mio orologio appeso nella stan-<br />

za.<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 9


Io mi trovavo di già lontano da Pizzo,diretto verso la<br />

“sporchissima” Monteleone, quando me ne avvidi e<br />

nell’atto che mi disponevo a ritornarmene indietro,<br />

fui raggiunto da un “famiglio” del buon uomo, che<br />

mi aveva seguito correndo, per ordine del suo padro-<br />

ne me lo riportava. Ora va a trovare tanta rettitudine<br />

e cortesia nei grandi alberghi della colta Italia.Quel<br />

buon albergatore si chiama BRUNO DI MARCEL-<br />

LO. Possa egli un giorno venire a sapere ch’io gli<br />

sono grato ! Ed esso e la sua buona famiglia si con-<br />

fermeranno nell’esercizio delle virtù ospitali e della<br />

probità”.<br />

Il nostro geologo paragona la familiarità e<br />

l’onestà della famiglia di Bruno Di Marcello a quella<br />

unica che gli era stata dimostrata presso l’albergo di<br />

Ponte nei Grigioni.<br />

Miei cari Napitini, certamente sarete ancora denomi-<br />

nati “mangiagarge”;<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 10<br />

le donne di Pizzo saranno pure “ciangiuline” e, quin-<br />

di, provette “prefiche”; saranno ineguagliabili per<br />

bellezza e,quindi “esca” per la novella gioventù<br />

maschile di tutto il Vibonese; storicamente siate stati<br />

è vero implacabili e insensibili “ammazza Re”… ma<br />

siate orgogliosi che la vostra “ospitalità” e la vostra<br />

“onestà” sono riconosciute e codificate da diversi<br />

secoli.<br />

Per consolarvi, miei cari quasi paesani, vi<br />

dico che ogni Comune ha la sua infame macchia. Di<br />

Mileto, ad esempio, si dice che era il paese delle tre<br />

“P”: Preti, Porci e Pignatari… e gli abitanti della<br />

storica Monteleone, oggi Vibo Valentia, venivano ap-<br />

pellati: “CARDIJARI” e “MUNDIZZARI”; gli abi-<br />

tanti di Soriano sono da secoli immemorabili “bollati”<br />

con l’onorifico “epìteto” di “MUSTAZZOLARI”, e<br />

gli abitanti di Tropea: “nobili pezzenti”.<br />

Tramonto a Pizzo Calabro (VV)


Dedicare la propria attività alla contemporaneità<br />

dell’arte è stato il verbo di Mirò, quando decise di cre-<br />

are nella Barcellona, già aperta alla pittura di Picasso,<br />

la Fondazione, mentre lo stesso Comune di Barcellona<br />

organizzava una retrospettiva dell’artista. Siamo nel<br />

1968, in occasione dei 75 anni di Mirò. Incoraggiato<br />

dall’amico Joan Prats, Mirò mise a disposizione del<br />

pubblico permanentemente le opere private, di sua<br />

proprietà, e il disegno vero era quello di aprire la fon-<br />

dazione agli artisti contemporanei, creare un centro<br />

vivo, nella Barcellona ormai preziosa perché vivaio di<br />

artisti “nuovi”, con le grandi tendenze dell’arte del<br />

secolo XX. Luis Sert, amico di Mirò, nel 1932 proget-<br />

tò l’edificio che doveva ospitare la Fondazione. Il Co-<br />

mune cedette molte aree fabbricabili e si fece carico<br />

dei costi di costruzione. Lo stesso Sert, intanto, ospita-<br />

va nell’ Esposizione Universale d’<strong>Arte</strong> Contemporane-<br />

a di Parigi “Guernica” di Picasso.<br />

Entrata Parco Fondazione “Mirò” Barcellona (Spagna)<br />

LA FONDAZIONE MIRO’<br />

di Giuseppe Neri<br />

“Montsserat” di Gonzalez, “La Fontana di Mercurio”<br />

di Alexander Calder e “Il mietitore” di Mirò. Ma, la<br />

Fondazione ottenne i riconoscimenti dovuti nel 1975.<br />

Dagli abbaini, a forma di cilindro penetra verticalmen-<br />

te la luce solare, così vengono fugate le ombre e non<br />

influiscono sulle opere d’arte esposte. Interni ed ester-<br />

ni sono motivati con cemento bianco per dare<br />

all’ambiente i ritmi della contemplazione e per dare al<br />

colore delle tele molto risalto, nel biancume che signi-<br />

fica anche ordine, pulizia, bellezza, candore. Ventitrè<br />

opere di Mirò vengono cedute in deposito dalla Gal-<br />

lery K. AG, quindi la Fondazione si arricchisce di<br />

11.000 pezzi, 217 dipinti, 178 sculture, 9 opere tessili,<br />

molte ceramiche, 8000 disegni, bozze e appunti del<br />

maestro Mirò. Tutta la donazione è stata fatta dallo<br />

stesso artista, mentre Jean Prats, amico intimo di Mi-<br />

rò, regala quasi tutte le opere in suo possesso, per dare<br />

alla fondazione il preziosismo dovuto.<br />

Mirò – Paysage au lapin et à la feur<br />

(Paesaggio con coniglio e fiore).<br />

Olio su tela, cm 129,9 x 195,5<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 11


Una sinfonia di colori nelle sale si aggiunge<br />

allo splendore dei capolavori, per cui lo spettatore ri-<br />

mane incantato dalla soavità e bellezza dell’arte con-<br />

temporanea. Certo visitare la fondazione, senza avere<br />

studiato i movimenti dell’arte del XX secolo,<br />

La pittura, la vita degli artisti spagnoli, i loro<br />

insuccessi e successi, non permette di capire, di gusta-<br />

re, di conoscere quel quadro intenso di vita della pittu-<br />

ra spagnola del XX secolo. Accostarsi alle Fondazioni<br />

significa studiare prima le collezioni ivi depositate e<br />

l’estesa produzione che si concentra nella vita dei mo-<br />

delli espositivi.<br />

Infatti, nella Fondazione Mirò si possono vede-<br />

re dipinti, fotografie, sculture, oggetti di balthus, Bis-<br />

sier, Duchamp, Ernst, Gonzales, Lam, Llorens Artigas,<br />

Manolo, Man Ray, Masson, Matisse, Moore, Penn,<br />

Penrose, Tanguy, Torres Garcia, opere di artisti<br />

dell’altra “generation”, Adami, Brossa, Català Roca,<br />

Chillida, Guston, Monterwell, Newmann, Rauschem-<br />

berg, Saura, Tapies.<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 12<br />

Mirò – Artigas, Plaque (Placca),<br />

recto e verso, 1945 Ceramica smaltata,<br />

cm 24 x 27 x 6,5<br />

Miró Interno olandese II, 1928<br />

Olio su tela, 92 x75<br />

Nel 1976 Aimè Maeght cede un’importante<br />

collezione di incisioni di artisti contemporanei.<br />

Non avrebbe voluto Mirò creare un monumento<br />

in memoria della sua vita e delle sue opere, ma solo un<br />

“dinamismo” dell’opera, un centro d’arte dinamico,<br />

infatti, dal 1980 al 1997, la Fondazione si arricchisce<br />

di: opere grafiche complete, pittura, scultura, ceramica,<br />

tappezzeria, teatro, tele su “Equilibrio nello spazio”,<br />

arte tantrica, tapies, pittura nordamericana, suggestioni<br />

olfattive.<br />

La prima parte dell’edificio ospita i Primi dise-<br />

gni di Mirò: Palma de Maiorca, Eremo, Pavone, Ser-<br />

pente, Esercizio di tatto, quindi l’ambiente familiare:<br />

Mont–roig, vita di Padrelbes. Bellissimo, ricco di sug-<br />

gestioni pittoriche, Il ritratto di una bambina, donato<br />

da Joan Prats, così La Fattoria, capolavoro della<br />

“tappa dettagliata” che segna un vero momento di pas-<br />

saggio nel percorso artistico di Mirò poiché contiene i<br />

germi della produzione successiva, l’ammirazione per<br />

gli astri, il rispetto del lavoro agricolo, l’interesse per<br />

la domesticità, le curiosità per gli insetti e per gli ani-<br />

mali domestici. In altre sale vi è l’atmosfera del perio-<br />

do parigino: La terra lavorata Paesaggio catalano, Il<br />

guanto bianco, altri capolavori che danno una svolta<br />

alla sua opera ed esplorano nuovi percorsi espressivi.


Si susseguono la serie di paesaggi, chiari di luna, rosso<br />

di rondini che esprimono la libertà espressiva e la<br />

lettura globale di una realtà interpretata da Mirò in<br />

modo ormai moderno, astratto, contemporaneo, ma<br />

vivo per la solidità e la grandezza dell’uso dei colori,<br />

dietro cui si nasconde l’inquietudine della sua vita e<br />

del ramo grande dei pittori spagnoli, da Picasso a<br />

Dali’.<br />

Mirò – Paysage (La Lièvre) [Paesaggio (La Lepre)], autunno 1927.<br />

Olio su tela, cm 129,6 x 194,6<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 13


<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 14


Le favole son tutte belle, per ognuna il magico finale<br />

Vissero Felici E Contenti, che i bimbi aspettano ansio-<br />

si e preoccupati, perché non può non tornare in vita<br />

Cappuccetto Rosso o Pollicino smarrire la strada del<br />

ritorno, la carrozza diventare zucca, Pinocchio ed il<br />

suo babbo finire in pasto alla balena e, addirittura, non<br />

far comparire un angelo buono, laddove c’era un male-<br />

fico diavoletto. Le favole raccontano di fate pazienti,<br />

maghi prodigiosi, baci del risveglio, l’incantesimo che<br />

si scioglie e la morte che si trasforma in vita.<br />

Che ne sanno i bimbi del pianto e del dolore, per loro<br />

le favole sono sogni, i sogni non hanno soldi, son fatti<br />

apposta per regalare sorrisi e tenere sorprese, racconta-<br />

re la vita per come loro la vedono a quella età, con gli<br />

occhi dell’innocenza e della fiducia. La favola culla il<br />

sonno che arriva, ma non prima e non senza sentire il<br />

fantastico Vissero Felici E Contenti, e con la voce che<br />

s’impasta di sonno continuano a chiedere Ancora An-<br />

cora!<br />

Dormono quando tutti gli eroi sono stati messi al sicu-<br />

ro ed il buio della notte si tingerà di colori scintillanti.<br />

Ce n’è una di favola, che ancora non hanno imparato a<br />

conoscere, dove non troveranno il finale magico, nel<br />

momento giusto e nel posto giusto.<br />

Si stupiranno, spaventandosi, e continueranno a ripete-<br />

re Ancora Ancora, sperando che la mamma lo tiri fuori<br />

in fretta, come il mago fa uscire fuori dal suo cilindro<br />

un coniglietto, che prima non c’era.<br />

Occorrerà rassicurarli, rispondendo ai loro perché, che<br />

vanno avanti come interminabili filastrocche, spiegare<br />

che le favole, talvolta, sono un po’ bizzarre, non se-<br />

guono lo stesso clichè, stanno un po’ con la testa<br />

all’ingiù, cominciano nel modo in cui dovrebbero fini-<br />

re e finiscono nel modo in cui dovrebbero cominciare.<br />

Una favola nuova, insomma, che cammina per altre<br />

LA FAVOLA CHE NON C’E<br />

di Rosetta Pititto<br />

Marc Chagall – La Mariée (1950).<br />

vie, sorprende e mostra, sottrae e ridà, trasforma e con-<br />

fonde. Favola che non somiglia a nessun’altra, quasi<br />

una favola che non c’è. Perché Dayana non è una favo-<br />

la, ma la favola stessa. Dayana, la piccola principessa<br />

non c’è, o meglio, c’è più di una volta.<br />

Favola straordinaria, prodigiosa, delicata e leggera,<br />

quasi eterea. Che apre dicendo “Visse Felice e Conten-<br />

ta”, ma non chiude con “C’era Una Volta”. Bimba già<br />

principessa, inghiottita dall’acqua insieme al suo papà,<br />

che le è scivolato di mano, in un’inutile disperata pre-<br />

sa, proprio mentre si pavoneggia con il vestito di gala<br />

al gran ballo, quasi fosse una donna.<br />

Mamma, mamma!!<br />

Pensa al suo vestito, ormai rovinato, con qualche<br />

strappo, perché è rimasta impigliata. Si sforza di tenere<br />

gli occhi aperti, attorno è tutto buio, sente voci lontane<br />

e confuse, rumori assordanti e non riesce ad emettere<br />

un solo grido.<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 15


Marc Chagall Belarus 1887-1985 (After) Sirène<br />

gli occhi aperti, attorno è tutto buio, sente voci lontane<br />

e confuse, rumori assordanti e non riesce ad emettere<br />

un solo grido.Proprio come nei suoi sogni più brutti,<br />

quando la paura le toglieva il fiato, Mamma, mamma!<br />

Dove sono gli altri, perché nessuno mi viene a cerca-<br />

re? Dov’è il mio papa?<br />

Dayana si agita, cerca di non lasciarsi sopraffare dalla<br />

forza dell’acqua, che la sta risucchiando.<br />

Non morirà in quel modo, sa che arriverà la fatina buo-<br />

na, quella che risolve tutto, lei crede, eccome, ai mira-<br />

coli delle favole. Forse che il lupo cattivo non era stato<br />

ucciso dal cacciatore e Pinocchio riportato in vita da<br />

una bacchetta magica? Quante volte aveva sentito<br />

quelle favole, quante volte aveva aspettato Visse Feli-<br />

ce E Contenta.., che puntuale era arrivato.<br />

La principessa Dayana è una bambina buona, dolce ed<br />

obbediente, perché per lei non dovrebbe funzionare?<br />

Ripensa alla sua vita, alle persone che più la amano, ai<br />

suoi giocattoli, alla sua casa, al sicuro ed al riparo di<br />

tutto, ed ha voglia di piangere.<br />

Mamma, mamma!!<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 16<br />

Comincia ad avere paura la principessa, oltre che tanto<br />

freddo, e le forze le stanno venendo meno.<br />

Riprova a chiamare qualcuno, ma non esce alcun suo-<br />

no, qualcuno che si prenda cura di lei e le faccia ritro-<br />

vare il suo papà, perché i grandi sono come la fata<br />

turchina, e con lui vicino niente di brutto le può acca-<br />

dere.<br />

Mamma, mamma!!<br />

Dayana piange sommessamente, cerca di stare sveglia,<br />

sa che non si deve addormentare.<br />

Chi la può tirare fuori di là se si dovesse addormenta-<br />

re?<br />

Per fortuna ci sono le magie delle favole e le torna in<br />

mente il risveglio della bella addormentata, che la tran-<br />

quillizza.<br />

La riassale la paura, ha tanta paura la principessa sola,<br />

vorrebbe essere lontana da quell’inferno freddo e buio,<br />

non vede l’ora di tornare a casa e raccontare a tutti che<br />

anche lei ed il suo babbo sono usciti sani e salvi dalla<br />

bocca della balena.<br />

Marc Chagall “La Promenade” La Passegiata.<br />

Olio su tela cm 170 x 163,5


Non ha importanza se nessuno le crederà, le favole si<br />

ascoltano per come sono, senza dubitarne, senza sciu-<br />

parle, agli incantesimi non si fanno domande: avven-<br />

gono e basta.<br />

Mammina, tu mi crederai, vero? Sì, qualche volta una<br />

bugia l’è scappata, tutti i bambini dicono piccole bu-<br />

gie, ma le mamme sanno leggere nei cuori dei propri<br />

figli senza sbagliarsi mai.<br />

Mamma, mamma, tu mi stai cercando, lo so!<br />

Io non morirò e ci ritroveremo! Ecco, sento la tua vo-<br />

ce, m’infonde coraggio, mi dice che ce la farò, che<br />

tornerò da te, perché senza di me non potresti vivere.<br />

Avverto il tuo calore, riconosco il tuo profumo e le tue<br />

mani che mi accarezzano, con quelle parole che mi<br />

sussurri sempre: Sei La Mia Principessa!<br />

Mamma, perdonami, non volevo farti soffrire!<br />

Ero felice di fare quel viaggio.<br />

Mi hai visto euforica nei preparativi della partenza,<br />

cercando di non dimenticare nulla.<br />

Sei stata brava a nascondere la tua apprensione, non<br />

volevi farmi pesare quanto ti sarei mancata, si trattava<br />

di pochi giorni soltanto ed al rientro ti avrei raccontato<br />

ogni cosa.<br />

Piccola principessa al ballo!<br />

Marc Chagall “La Maison bleue” La casa Azzurra.<br />

Olio su tela cm 66 x 97<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 17


Proprio come Cenerentola, a mezzanotte a casa, ma la<br />

tua carrozza è diventata zucca!<br />

Scivola sempre più in basso, si sente imprigionata in<br />

una massa d’acqua di cui non regge la forza.<br />

La principessa triste teme che la fatina buona non arri-<br />

verà più, che le favole sono un’invenzione degli adulti<br />

e che la realtà sia un’altra cosa.<br />

Allontana la strega cattiva, l’orco minaccioso ed i fol-<br />

letti malefici e rientra nella favola.<br />

Non ce la fa più a tenere gli occhi aperti, vuole dormi-<br />

re soltanto.<br />

Per vincere il sonno comincia a parlare, parla con la<br />

sua mamma, il suo papà, la sua amica del cuore, con i<br />

suoi peluches, è libera di parlare con chiunque le ven-<br />

ga in mente per farsi coraggio, tanto nessuno le rispon-<br />

derà, piccola principessa!<br />

Mamma, mamma! Quel nome, quel volto, mentre la<br />

vita, l’abbandona lentamente e dolcemente.<br />

( … )<br />

Osserva smarrita, la principessa alata, deve avere dor-<br />

mito tanto, forse ore o giorni, il tempo si è fermato.<br />

Prova a tirarsi su, ma sta volteggiando leggera, come<br />

fosse una piuma.<br />

Respira una pace infinita tutt’intorno, la pace di una<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 18<br />

Marc Chagall “L'Ecuyere” La Cavallerizza<br />

Olio su tela 100 x 82<br />

Marc Chagall “Moi et le Village” Io e il Villaggio<br />

Olio su tela cm 191,2 x 150,5<br />

collina silenziosa, l’avvolge la luce del cielo color<br />

zaffiro, che si tocca con la terra.<br />

Cresce nel suo cuore tranquillo una perfetta beatitudi-<br />

ne, una gioia sconfinata, che va aldilà di ogni umana<br />

comprensione sentendosi pervasa da una felicità bellis-<br />

sima, che né rime e parole riusciranno mai a descrive-<br />

re.<br />

Un profumo che stordisce, il profumo dell’aria nelle<br />

terse mattine d’estate, e tutto è così fresco e chiaro.<br />

Piccolo angelo, la principessa Dayana, che non cono-<br />

sce più costrizioni, ed eterea fluttua tra le nuvole e<br />

l’azzurro.<br />

Deve volare ora, e senza indugiare oltre in quello spet-<br />

tacolo che la stordisce e l’incanta, per ricongiungersi a<br />

sua madre, già in pena.<br />

E’ importante rassicurarla che niente le sia successo,<br />

piuttosto qualcosa di impenetrabile le è accaduto.<br />

L’inizio di una nuova vita.<br />

Vola alto, molto alto, dove solo gli eletti possono arri-<br />

vare, per poi rientrare, e spassosamente riuscire, dalle<br />

pagine di una favola sublime, perché nessuno meglio<br />

di lei, ora sa, che i miracoli sono come le magie delle<br />

favole.<br />

Difficile credere, ma accadono.


Restituzioni 2001 - 2011<br />

Dieci anni di attività del nucleo Carabinieri tutela patrimonio culturale di Cosenza<br />

“Il recupero più importante mai fatto è quello che deve<br />

ancora avvenire”. È questa l’affermazione d’intenti<br />

alla base del quotidiano operare del Comando Carabi-<br />

nieri Tutela patrimonio culturale. “Restituzioni 2001 –<br />

2011. Dieci anni di attività del Nucleo Carabinieri<br />

Tutela patrimonio culturale di Cosenza”, mostra ap-<br />

pena inaugurata a palazzo Arnone, a cura di Fabio De<br />

Chirico – Soprintendente per i Beni Storici Artistici ed<br />

Etnoantropologici della Calabria – nasce dalla volontà<br />

di rendere visibile il percorso effettuato fino alla resti-<br />

tuzione alla collettività delle opere tutelate, recuperate<br />

e restituite dal Nucleo Carabinieri Tutela patrimonio<br />

culturale di Cosenza. Un lavoro silenzioso e attento<br />

che si svolge su tutto il territorio nazionale e sul quale,<br />

questa esposizione, ha voluto accendere i riflettori.<br />

di Francesca Cannataro e Valentina Cosco<br />

L'iniziativa, superando il momento puramente<br />

celebrativo, suggella la stretta collaborazione tra la<br />

Soprintendenza per i BSAE della Calabria e il Nucleo<br />

TPC di Cosenza e vuole, inoltre, testimoniare l'alacre<br />

lavoro condotto per preservare e tutelare i beni cultura-<br />

li calabresi, non solo dagli attacchi delle più agguerrite<br />

consorterie criminali, ma anche dalla "leggerezza" con<br />

cui essi spesso si considerano, paesaggio compreso.<br />

Tredici le opere d’arte, diverse per tipologia e<br />

pertinenza territoriale, che resteranno in mostra nella<br />

Galleria Nazionale di Cosenza, fino al 6 maggio. Ope-<br />

re testimoni silenziose e al contempo eloquenti del<br />

grave danno che la collettività avrebbe subito in caso<br />

del loro mancato recupero.<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 19


I manufatti esposti documentano, infatti, nel loro insie-<br />

me e nella diversità della loro natura, l’attività svolta<br />

sul territorio calabrese dai Carabinieri del Tpc di Co-<br />

senza, comandati dal Capitano Raffaele Giovinazzo.<br />

Ci parlano e raccontano le storie di tutela, recu-<br />

pero, salvaguardia, che hanno restituito alla collettività<br />

un patrimonio altrimenti perduto.<br />

Ogni reperto, ogni dipinto, ogni opera esposta è<br />

la storia di un illecito commesso e di un’offesa subita<br />

dal patrimonio culturale calabrese e nazionale, ma è<br />

anche il racconto di un felice ritrovamento.<br />

Ammirando i capolavori restituiti e raccolti in<br />

questa mostra, si ha l’immediata percezione che tassel-<br />

li importanti della nostra storia sono stati salvati.<br />

Il progetto scientifico, curato dalle dottoresse<br />

Francesca Cannataro e Valentina Cosco attraverso<br />

l’esposizione di una selezione dei più importanti beni<br />

culturali recuperati nell’ambito di alcune operazioni<br />

condotte dal Tpc di Cosenza, vuole essere un concreto<br />

approccio volto a testimoniare aspetti delle realtà so-<br />

ciali locali e universali, un “archivio della memoria”<br />

con valore documentario di dieci lunghi anni di attivi-<br />

tà.<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 20<br />

Askos delle murgie di Strongoli (KR)<br />

unguentario bronzeo raffigurante una sirena<br />

Stele di horo sui coccodrilli<br />

ex voto egizio<br />

Restituzioni 2001-2011 vuole assolvere anche<br />

al più elevato compito di far crescere nei cittadini la<br />

consapevolezza di quello che rappresenta il patrimonio<br />

artistico e culturale per la Nazione, sottolineando allo<br />

stesso tempo le difficoltà che pure permangono, nel<br />

custodire, nel tutelare, nel salvaguardare la ricchezza<br />

del nostro Paese.<br />

I beni culturali costituiscono l’identità di un<br />

popolo: minare il patrimonio archeologico, storico,<br />

artistico e paesaggistico di una nazione significa inflig-<br />

gere a quest’ultima una ferita permanente, produrre<br />

danni di assoluto rilievo che vanno al di là della mate-<br />

riale perdita delle opere sottratte alla fruibilità delle<br />

genti, in quanto esse sono indispensabili alle genera-<br />

zioni future per meglio comprendere il filone storico,<br />

culturale e sociale da cui provengono.<br />

Il patrimonio culturale, quindi, quale espressio-<br />

ne più alta del popolo che lo ha creato, va tutelato da<br />

tutti i cittadini..


Ritenendo che non esista tutela, soprattutto quella ter-<br />

ritoriale, senza condivisione e piena consapevolezza<br />

della società civile, si è pensato di esporre tredici ope-<br />

re d'arte eterogenee per materia e provenienza, testi-<br />

moni silenziose e al contempo eloquenti del grave dan-<br />

no che la collettività avrebbe subito se non fossero<br />

state mai recuperate.<br />

Tra i capolavori in mostra, si annoverano: la<br />

cinquecentesca tavola raffigurante la Madonna in tro-<br />

no con Bambino di Pietro Negroni, altre due tavole,<br />

attribuite rispettivamente ad ignoto pittore di scuola<br />

negronesca e al Cavalier Francesco del Cairo, annove-<br />

rabile tra i più interessanti esponenti del barocco lom-<br />

bardo, la Natura morta con pavone e tacchino di Paolo<br />

Porpora che rappresenta al meglio uno dei generi pitto-<br />

rici di maggiore successo della pittura napoletana del<br />

Seicento, La fuga in Egitto di Francesco de Rosa, detto<br />

Pacecco, testimonianza importante per una più corretta<br />

conoscenza di uno degli artisti più noti del panorama<br />

seicentesco napoletano, la Madonna del Riposo del<br />

Pascaletti e Minerva e Venere di Paolo de Matteis.<br />

“Madonna in trono con Bambino” di Pietro Negroni<br />

Anfora Calcidese con cavalcata di giovani<br />

Tra i recuperi di natura ecclesiastica è la magni-<br />

fica Pisside del Pellicano alla cui base è leggibile la<br />

dicitura “Arciprete Pellicano 1812”, realizzata in ar-<br />

gento, la pisside rievoca il simbolo eucaristico del pel-<br />

licano che si squarcia il petto per nutrire i suoi piccoli,<br />

allegoria del Cristo che sacrifica se stesso per salvare<br />

l'umanità.<br />

A documentare la decennale attività del Nucleo TPC<br />

di Cosenza vi sono anche alcuni manufatti di natura<br />

archeologica di grande pregio: la piccola Stele di Horo<br />

sui coccodrilli, una sorta di ex-voto, in basalto scuro,<br />

prezioso manufatto egizio, rappresentante, sul fronte,<br />

Horo fanciullo divino e, sul retro, in quattordici linee<br />

di testo geroglifico, un carme esorcistico; l’Askos del-<br />

le Murgie di Strongoli, piccolo unguentario bronzeo,<br />

che raffigura una sirena, la mitica creatura per metà<br />

umana e per metà uccello; l’Anfora calcidese con ca-<br />

valcata di giovani, di fattura magnogreca. Di rilievo<br />

anche le due cinquecentine: la philosophia di Bernardi-<br />

no Telesio e l’Hymnorum Sacrorum Liber, due prezio-<br />

si volumi a stampa.<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 21


ERINYS ART GALLERY<br />

Modern & Contemporary<br />

Via E. Gagliardi 71– tel. 0963.301233<br />

www.erinysartgallery.com - info@erinysartgallery.com<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 22


Corpo Elettronico, ultimo evento organizzato<br />

dalla Fondazione Rocco Guglielmo, presso il Com-<br />

plesso Monumentale del San Giovanni di Catanzaro, è<br />

«una mostra ragionata sul più sfuggente dei linguaggi<br />

artistici: il video» afferma Gianluca Marziani, direttore<br />

artistico della stessa Fondazione, «nello specifico della<br />

video-istallazione e di tutte le sue possibili implicazio-<br />

ni» precisa Andrea La Porta, curatore della rassegna. Il<br />

progetto nasce dalla volontà di fare chiarezza su un<br />

linguaggio giovane che dagli anni Sessanta vive una<br />

graduale ascesa.<br />

Tutta l’attenzione è rivolta all’arte elettronica<br />

italiana, cercando di restituire la vivacità e la comples-<br />

sità del nutrito scenario contemporaneo. Sedici i lavori<br />

in mostra, accomunati non da una tematica specifica,<br />

ma da una “intermedialità del medium”. Si evidenzia<br />

una riflessione lucida e razionale dei due curatori che<br />

tracciano le linee di una ricognizione esaustiva sulla<br />

videoart - se non nella selezione dei lavori, nella pun-<br />

tualità delle reali possibilità della virtualità -, anche<br />

attraverso seminari e informazioni mediatiche, come la<br />

creazione di un sito dedicato interamente alla mostra e<br />

agli artisti. Centrale appare l’esperienza totale della<br />

fruizione delle opere, legata anche alle peculiarità inte-<br />

rattive proprie della video-istallazione. Se tali lavori<br />

necessitano di una fruizione non-distratta, in virtù di<br />

una diversa sintassi spazio-temporale che costruisce la<br />

narrazione del video stesso, il legame percettivo tra<br />

pubblico e opera - tutto sbilanciato a favore di<br />

quest’ultima - si impone veementemente. Difatti, al<br />

sottotitolo della mostra “Videoarte tra materia, segno e<br />

sogno” dovrebbero essere integrati “spazio e tempo”,<br />

che scandiscono l’interrelazione dell’opera con<br />

l’ambiente circostante e con il possibile fruitore.<br />

CORPO ELETTRONICO<br />

di Simona Caramia<br />

Assistiamo al collasso del tempo cronologico,<br />

gli eventi si spazializzano, diventando tangibili in ter-<br />

mini architettonici; così ogni video-istallazione - in<br />

mostra - vive di una spazialità autonoma, dilatandosi e<br />

conquistando fisicamente la stanza che le è stata desti-<br />

nata. Ma l’innovazione - tecnologica - non può che<br />

avere le sue basi nella tradizione: le opere selezionate<br />

mostrano evidentemente la loro aderenza ai linguaggi<br />

classici dell’arte (la pittura e la scultura) e al contempo<br />

se ne allontanano, permettendo una esperienza percet-<br />

tiva più incarnata.<br />

Partendo dalla realtà, i sedici artisti (Alessandro Ama-<br />

ducci, Matteo Basilè, Alessandro Baveri, Bianco-<br />

Valente, Luca Bolognesi, Canecapovolto, Giuseppe<br />

Colonnese, Sandro Cuccia, Theo Eshetu, Ehab Halabi<br />

Abo Kher, Masbedo, Antonello Materazzo, Andrej<br />

Mussa, Studio Azzurro, Gianni Toti, Zimmerfrei) rie-<br />

laborano nel video tempo e spazio canonici, esaudendo<br />

un tentativo di comunicazione universale che permette<br />

di cogliere ed identificare l’artisticità nella capacità<br />

immaginifica di rielaborare soggettivamente il feno-<br />

meno oggettivo.<br />

A seguire i pensieri critici di alcuni studenti<br />

dell’Accademia di Belle Arti Fidia, Domenico Barba-<br />

lace, Sabrina Donato, Giuseppe Politi, che hanno<br />

analizzato attentamente la mostra “Corpo Elettroni-<br />

co” e le opere (video monocanale o video-<br />

istallazioni) .<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 23


Alessandro Bavari<br />

Il suo video, Metachaos, propone una visione simulta-<br />

nea di due ambienti che coesistono parallelamente.<br />

Da un tunnel in primo piano, che sembra risucchiare<br />

anche il fruitore suscitando in lui ansia, si giunge ad un<br />

ambiente apparentemente calmo, bianco, leggero come<br />

i corpi che lo abitano. Parallelamente a ciò vive un<br />

ambiente macabro, un mondo nero: si avverte un<br />

“sentimento di distruzione”. La musica è coerente a<br />

tutto ciò che succede. Dal vuoto cadono tre corpi pron-<br />

ti all’attacco e pian piano spuntano da essi delle punte,<br />

come fossero radici nere che forano, distruggono<br />

Fotogramma del Video “Metachaos” di Alessandro Bavari<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 24<br />

l’ambiente bianco, penetrando con violenza in ogni<br />

spazio, dando vita ad un unico mondo buio. Tutto di-<br />

venta molto violento: anche la musica, più veloce,<br />

porta all’agitazione. Dei fili neri prendono possesso di<br />

questa nuova realtà, in cui i corpi mutano continua-<br />

mente, si agitano come formiche. Tutto si muove<br />

velocemente come se fosse animato da una tempesta:<br />

la realtà scoppia, si scioglie in un mare in burrasca.<br />

Alla fine il caos regna.<br />

Domenico Barbalace


Masbedo<br />

Questa video-istallazione, Schegge d’incanto in fondo<br />

al dubbio, permette al fruitore di vivere una vera e<br />

propria esperienza sensoriale, poiché egli viene coin-<br />

volto in uno spazio d’azione, nel quale è imposto<br />

dall’artista un tempo già definito. L’opera colpisce in<br />

particolar modo per l’impatto tecnologico e cinemato-<br />

grafico di altissimo livello che sorregge un racconto di<br />

grande significato: il malessere sociale. Il video si di-<br />

vide in due parti che ruotano rispettivamente intorno<br />

ad una figura maschile e ad una femminile. Il primo<br />

individuo è un uomo che lotta convulsamente, ma in-<br />

vano, con un paracadute nero che il vento continua a<br />

gonfiare. La seconda figura è una donna ritratta<br />

nell’atto di trainare faticosamente comuni pezzi di<br />

mobilia mediante un fascio di cavi, che rischiano altri-<br />

menti di perdersi negli abissi. L’azione giunge al suo<br />

culmine quando la donna riesce ad approdare su una<br />

roccia deserta, dove accende un segnale di pericolo.<br />

Particolare della video installazione “Schegge d’incanto in fondo al dubbio” di Masbedo<br />

Contemporaneamente fumo rosso si alza dal luogo in<br />

cui l’uomo continua a dibattersi tra le funi del paraca-<br />

dute: in quel momento, l’uomo si in ginocchia e resta<br />

immobile, perplesso davanti al paracadute, ormai<br />

sgonfio. Non esiste un conflitto diretto tra i due, ma<br />

piuttosto un rapporto d’inconciliabilità delle lotte indi-<br />

viduali, l’impossibilità di condivisione delle ambizioni<br />

e dei fardelli con cui la società investe tutti, uomini e<br />

donne. I Masbedo lasciano allo spettatore la risoluzio-<br />

ne del dubbio riguardo alla volontà femminile, che a<br />

tratti pare voler salvare, a tratti abbandonare, i simboli<br />

del focolare domestico. È evidente, invece, il rapporto<br />

di causa-effetto innescato dal segnale rosso di dolore<br />

che la donna lancia metaforicamente all’uomo:<br />

quest’ultimo abbandona il paracadute e la sua lotta, per<br />

rimanere fermo e inerme, senza punti di riferimento.<br />

Giuseppe Politi<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 25


Matteo Basilè<br />

La sua video-installazione, The Saint are coming, si<br />

avvale di una fotografia molto essenziale. In tutto il<br />

video si ritrovano giochi prospettici e di riflessione,<br />

che ingannano l’occhio del fruitore attraverso<br />

l’accostamento di alcune immagini, che si susseguono<br />

in un ritmo frenetico, dando al fruitore una sensazione<br />

di irrequietezza. Le figure che ci vengono proposte<br />

sono l’incarnazione della società: una società vecchia,<br />

seppur ingentilita, legata a stereotipi; una società che<br />

decide di svelarsi e di abbandonare i soliti costumi,<br />

impressionando, come nel caso della donna evidente-<br />

mente troppo anziana con i capelli tinti di colori sgar-<br />

gianti, che soffre, poiché vittima di una realtà che non<br />

le appartiene. Ricorre un ritorno alla mitologia con un<br />

Minotauro che combatte una guerra ormai persa e un<br />

Icaro metallico che arde proprio come nel mito delle<br />

ali in cera. Incorniciata tra linee spigolose di marmo,<br />

fa l’ingresso una “papessa”, richiamo storico<br />

all’inganno, alla quale si sovrappongono alternativa-<br />

mente le immagini di un occhio riflesso e di un forte<br />

colore rosso, che creano un distacco improvviso:<br />

Particolare della video installazione “The Saint are coming” di Matteo Basilè<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 26<br />

la distrazione che ci investe è tale da dimenticare ciò<br />

che stavamo osservando. Ci invade così un forte senso<br />

d’ansia, la musica e allo stesso modo le immagini<br />

cambiano ritmo e frequenza, diventando più aggressi-<br />

ve. Ci investe la presenza forte di una donna nera, ri-<br />

coperta completamente di polvere bianca: l’immagine<br />

è un chiaro emblema della società passata, in cui il<br />

colore diverso della pelle era denigrato. Così proprio<br />

lei - ricoperta di polvere bianca - sembra adattarsi alla<br />

nostra cultura. Basilè rivolge una denuncia per far ri-<br />

flettere il fruitore, ponendo l’attenzione a quelli che<br />

sono sempre stati considerati scarti della società, ulti-<br />

mi tra gli ultimi, uomini a cui viene tolto un futuro e<br />

una dignità; il fruitore riceve una nuova visione<br />

dell’arte: dove c’è posto davvero per tutti, dove la don-<br />

na di colore “colorata” tiene in braccio una vita umana<br />

nata disagiata. I loro volti non chiedono altro che<br />

“pietà”. Ulteriore suggestione il mare messo a<br />

“riflettere con se stesso”, proprio come l’uomo deve<br />

essere coerente con il suo vivere e deve riflettere per<br />

poter vivere bene.<br />

Sabrina Donato


I QUATTROCENTO ANNI DEL LICEO “M. MORELLI”<br />

Quest’anno il Liceo Classico “Michele Morel-<br />

li” di Vibo Valentia celebra i suoi quattrocento anni di<br />

vita. Un traguardo importante, che rivela la vocazione<br />

culturale e formativa attorno a cui si è schiusa la vicen-<br />

da della nostra comunità.<br />

Ho frequentato quella scuola nel magma iroso<br />

e talvolta estremo degli ultimi anni settanta, anni di ter-<br />

rorismo ed ideologismo, di rivoluzioni tentate ed evolu-<br />

zioni sognate, di dualismi irreparabili ed irriducibili, di<br />

ripensamento globale dell’occidente culturale ed etico.<br />

E ne rammento il vigore creativo, l’impietosa ed entu-<br />

siasmante difficoltà, le contraddizioni formative e gene-<br />

razionali che il periodo implicava. Ho spesso pensato al<br />

filo che lega la mia non più breve vita ai cinque anni<br />

vissuti al “Morelli” di Vibo Valentia. Ebbene, ho moti-<br />

vo di credere che quell’esperienza abbia profuso buona<br />

parte degli elementi che, nel tempo, si sarebbero rivelati<br />

decisivi e, forse, dirimenti.<br />

Ed invero, dedicarsi agli studi classici non ha<br />

valenza puramente formativa, ma rivela un progetto<br />

complessivo, che riguarda l’Uomo ed il valore etico,<br />

estetico e filosofico della vita<br />

Il liceo Classico non prepara ad un professione,<br />

poiché non ne ha l’attitudine; né disegna una prospetti-<br />

va concreta e visibile, poiché la sua scena formativa ed<br />

etica è fondata sul contrario, l’invisibile.<br />

Dunque, chi sceglie il Liceo Classico sa di ave-<br />

re di fronte una prospettiva paradossale e, per certi ver-<br />

si, parossistica: legarsi a matrici e ragioni che non hanno<br />

il crisma della certezza, né della verità. Sa, in altri ter-<br />

mini, di dover accettare il principio per cui la vita non è<br />

destino, ma cammino, e si avvale di schiuse logiche ed<br />

assiologiche che ne costituiscono, ad un tempo, il fasci-<br />

no ed il dramma supremo.<br />

DI VIBO VALENTIA<br />

di Domenico Sorace<br />

Questa fu la promessa iniziatica del<br />

“Morelli”; questo fu il raccolto che ne ebbi.<br />

Una promessa, come ogni studente sa,<br />

intrisa di fascino e dramma, di proposizione e ne-<br />

gazione, d’illusione e delusione, di approdi e par-<br />

tenze.<br />

E tuttavia, in questa effusione<br />

d’incertezze, in questo esplorare laico ed inquieto,<br />

ogni approdo, ogni fuga lasciano traccia di sè, si<br />

depongono nell’anima, fecondandola, ferendola,<br />

consolandola.<br />

In definitiva, al netto di aoristi, deponenti,<br />

perifrastiche, ablativi, casi, declinazioni, difettivi,<br />

direi che il dono più prezioso del “Classico” è<br />

l’indomito ed incomprimibile desiderio di solleva-<br />

re il velo dell’opacità, di ragionare sull’uomo ed il<br />

suo destino, di cercare Dio, magari semplicemente<br />

per ricusarlo, perderlo, blandirlo, sognarlo.<br />

E così, nel cammino dei nostri anni, tra le<br />

fatiche del vivere, nel pericoloso pencolare tra pau-<br />

ra e dolore, libertà e felicità, affiorano i mondi che<br />

ci furono compagni. Ritorna l’Ulisse ingegnoso,<br />

che attraversa un’intera vita per tornare da dove era<br />

partito; ritroviamo l’ardore degli eroi, le cui mem-<br />

bra scavate dalla spada raccontano il grido<br />

dell’onore e della dignità; ritorna la cupa torre di<br />

Recanati, dalle cui feritoie lo sguardo tremulo ma<br />

vivo del giovane Giacomo tesse le più limpide ed<br />

inclite parole, e si ritrovano le urne ed i cipressi di<br />

Foscolo che, sapide, ci avvertono di quanto dolore<br />

e quanta dignità risieda nella malìa del vivere.<br />

E ci si accorge, nel correre vorticoso degli<br />

anni, che per essere migliori occorre esserlo da<br />

giovani. Come capitò a Leopardi, che scrisse le sue<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 27


cose più fresche a ventanni, a Boccioni, che dipinse il<br />

futuro alla stessa età, agli eroi del risorgimento e della<br />

resistenza, da Mameli a Morelli, dai Rosselli ai Cervi<br />

e, per restare ai nostri tempi, a Steve Jobs e Steve Vo-<br />

zniak, che, all’alba del loro terzo decennio, reinventa-<br />

rono il mondo, avendo la visione limpida del futuro.<br />

Ecco perché è doveroso rendere omaggio,<br />

dopo 400 anni di lezioni, al Liceo Classico “Michele<br />

Morelli”, una scuola che – pur negli inevitabili limiti<br />

degli uomini e dei tempi che l’attraversano - ha ac-<br />

colto ed accoglierà migliaia di giovani, schiudendo<br />

loro il lato carsico della vita, le porte libere dell’etica,<br />

l’esercizio audace della verità, rendendo possibile il<br />

gioco più audace e divertente, quello di pencolare peri-<br />

colosamente tra essere e non essere, tra spazio e tem-<br />

po, tra luce ed ombra, tra divino e laico, nel supremo<br />

segno della libertà e della bellezza.<br />

Liceo Ginnasio “M. Morelli” di Vibo Valentia<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 28


APPUNTI DI FILOLOGIA TESTUALE<br />

E RESTAURO DEL CINEMA<br />

Già gli anni ’70 e ’80 sono stati un periodo di crisi del<br />

cinema a più livelli: non solo economica, ma anche per<br />

quanto riguarda la sperimentazione formale; un cine-<br />

ma che sempre meno si manifesta come linguaggio ed<br />

esperienza estetica originale sul mondo, divenendo<br />

sempre più uno spettacolo per le masse affamate dello<br />

status socio-culturale derivante dal consumo di arte, di<br />

quell’arte definita da Walter Benjamin «feticcio-<br />

merce».<br />

«Uno degli arcani di cui il meretricio [della modernità]<br />

divenne depositario solo con l’avvento della grande<br />

città, è la massa. La prostituzione inaugura la possibili-<br />

tà di una comunione mistica con la massa. Ma<br />

l’avvento della massa è contemporaneo a quello della<br />

produzione di massa». (Walter Benjamin, Angelus<br />

Novus. Saggi e frammenti [1955], tr. it., Torino, Einau-<br />

di, 1981, p. 137). «In verità, la civiltà industriale-<br />

burocratica che è risultata vittoriosa in Europa e in<br />

Nord-America ha creato un nuovo tipo di uomo che si<br />

può descrivere come l’uomo dell’organizzazione, co-<br />

me l’uomo automa, e come l’homo consumens [o oe-<br />

conomicus]. Egli è, per di più, homo mechanicus; con<br />

ciò intendo un uomo-aggeggio, profondamente attratto<br />

da tutto ciò che è meccanico e orientato contro ciò che<br />

è vivo. [...] Il nostro scopo principale è di produrre<br />

cose, e nel corso di questa idolatria per le cose, noi ci<br />

trasformiamo in beni di consumo. Le persone vengono<br />

trattate come numeri. [...] L’approccio agli uomini è<br />

astratto, intellettuale. Ci si interessa alle persone come<br />

ad oggetti, alle loro proprietà comuni, alle regole stati-<br />

stiche del comportamento di massa, non agli individui<br />

viventi. Tutto questo si accompagna al crescente ruolo<br />

del sistema burocratico. In giganteschi centri di produ-<br />

zione, in città giganti, gli uomini vengono amministrati<br />

come se fossero cose; [...]<br />

di Roberto Pasanisi<br />

Ma l’uomo non è destinato ad essere una cosa, se di-<br />

venta una cosa viene distrutto, e ancor prima che que-<br />

sto avvenga, egli è disperato e vuole uccidere la vi-<br />

ta.» (Erich Fromm, Psi coanalisi dell’amore. Necrofi-<br />

lia e biofilia nell’uomo [1964], Roma, Newton Com-<br />

pton Editori, 19849, pp. 74-75 passim). Cfr. anche<br />

l’apologo chapliniano di Modern Times (1936), non-<br />

ché quelli - letterarî - di Aldous Huxley (Brave New<br />

World, 1932), George Orwell (1984, 1950), Ray Bra-<br />

dbury (Fahrenheit 451, 1953), Roberto Vacca (La<br />

morte di Megalopoli, 1974) e - cinematografici, epoca-<br />

li espressioni del"immaginario collettivo’ - di Stanley<br />

Kubrick (A Clockwork Orange, 1971), Douglas Trum-<br />

bull (Silent running, 1971), Boris Sagal (The Omega<br />

man, 1972), Richard Fleischer (Soylent green, 1973) e<br />

Norman Jewison (Rollerball, 1975).<br />

Particolare di una pellicola danneggiata<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 29


Il gusto popolare, diceva Gramsci, «si è formato non<br />

alla lettura e alla meditazione intima ed individuale<br />

della poesia e dell’arte, ma nelle manifestazioni collet-<br />

tive, oratorie e teatrali» (Letteratura e vita nazionale,<br />

Torino 1966, p. 68): quello del pubblico giovanile, in<br />

particolare, che è divenuto in questi ultimi anni signifi-<br />

cativa parte in causa, anche per il suo accresciuto pote-<br />

re economico diretto, si è costituito attraverso i mass<br />

media e gli universi culturali della musica giovanile,<br />

rock specialmente. «Si osservi come norma generale<br />

che quanto più freddo è il messaggio, secondo la defi-<br />

nizione di McLuhan, e più scarsa è la sua precisione,<br />

più iterativo dev’essere il messaggio per compensare<br />

il “rumore” della comunicazione.» (Román Gubern,<br />

Immagine e messaggio nella cultura di massa [1974],<br />

Napoli, Liguori, 1976, p. 191).<br />

In tale quadro, solo la filologia letteraria può insegnar-<br />

ci non più a leggere e interpretare soltanto un testo<br />

filmico, ma a possederlo nella sua interezza e<br />

ricostruirne una sua pur incerta ermeneutica.<br />

Tuttavia, sia nel cinema che in letteratura, la copia<br />

tramanda sì il testo, ma anche le sue corruzioni e alte-<br />

razioni, dato che ogni copia contiene degli errori.<br />

Una prima suddivisione di massima può svolgersi lun-<br />

go tre paragrafi:<br />

- L’omissione: ovvero un testo può essere incompleto<br />

in quanto presenta delle parti mancanti concernenti<br />

singole specifiche di testo; ma nelle omissioni diffuse<br />

il testo è corrotto nella sua completezza e nella sua<br />

linearità.<br />

A destra particolare di una pellicola prima del restauro; a sinistra dopo l’intervento di restauro<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 30<br />

- L’interpolazione: ovvero l’aggiunta, localizzata o<br />

diffusa che sia, di elementi non presenti nel testo origi-<br />

nale. Le interpolazioni nei testi letterari sono dei meri<br />

errori, delle sviste; nel testo cinematografico, invece,<br />

la maggior parte delle interpolazioni sono delle scelte<br />

volute, che vanno a colmare delle lacune presenti, fino<br />

ai casi di interpolazioni accidentali e, perfino, di pitto-<br />

grafie, ovvero di ripetizioni.<br />

- L’alterazione: riassume tutte le altre corruzioni che<br />

non toccano la quantità del testo, ma la sua qualità.<br />

Esistono quindi varie tipologie di errori: gli errori di-<br />

retti che si verificano all’atto della prima copia; gli<br />

errori indiretti, ovvero quando ci troviamo di fronte a<br />

copie esatte di testi tuttavia già corrotti; errori critici,<br />

che sono dei tentativi di emendare un testo riconosciu-<br />

to come corrotto che, però, producono delle ulteriori<br />

corruzioni testuali.<br />

Una differenza di fondo tra il testo letterario e il testo<br />

cinematografico è che nel cinema la copia non è con-<br />

sultabile e leggibile, ma diventa a sua volta supporto<br />

per quell’altro testo che è la proiezione. Insomma il<br />

testo del film è quello depositato sulla pellicola, un<br />

testo di cui la proiezione e il pubblico sono parte inte-<br />

grante. Il film come testo per il pubblico è soggetto ad<br />

altre corruzioni che non sono classificabili in una filo-<br />

logia tradizionale, romanza o classica che sia.<br />

Codeste altre alterazioni le possiamo dividere in altre<br />

tre tipologie: quelle ‘sociali-spettacolari’, dove la peg-<br />

giore delle ipotesi è che un testo restaurato non possa<br />

essere visto per il cattivo funzionamento dei sistemi


cinetecari;<br />

quelle ‘mediologiche’, che derivano dalla trasmissione<br />

di un testo attraverso altri canali (ad esempio televisio-<br />

ne e home video) che sono diversi da quelli originaria-<br />

mente previsti; quelle ‘industriali’, causate da una<br />

scorretta immissione sul mercato: ad esempio, una<br />

titolazione arbitraria rispetto all’originale.<br />

La preservazione di un film si divide fra attiva e passi-<br />

va. La ‘preservazione attiva’ raggruppa tutte le prati-<br />

che e procedimenti, dall’esame alla selezione tecnica:<br />

conservazione e aggiornamento delle schede, sorve-<br />

glianza dei siti e classificazione del materiale custodi-<br />

to. Infine si ha il restauro tecnico, trattamento superfi-<br />

ciale , duplicazione e controllo della qualità.<br />

Invece la ‘preservazione passiva’ è sintomo di deposi-<br />

to e storage; si tratta di custodire i materiali d’archivio<br />

in ambienti ottimali e di non esporli a rischi meccanici.<br />

Il restauro si distingue dalla ricostruzione in quanto<br />

questa è funzionale alla presentazione pubblica di una<br />

certa pellicola, e si compendia con il rifacimento del<br />

montaggio.<br />

Il restauro può essere ‘tecnico’, ovvero l’eliminazione<br />

dei difetti o dei danni di tipo chimico;<br />

oppure ‘redazionale’, vale a dire l’intento di riportare<br />

il movie alla sua forma originale – e comprende come<br />

cruciale la ricostruzione delle parti mancanti.<br />

Ogni tipo di intervento deve essere reversibile; il che<br />

significa che ogni documento deve essere a sua volta<br />

documentato. Gli obiettivi che un restauratore deve<br />

porsi, nel momento in cui opera su una pellicola, sono<br />

fondamentalmente tre: la volontà dell’autore; riportare<br />

la pellicola alla sua prima proiezione pubblica; e la<br />

resa dello stato della ‘copia testimone’. La materia<br />

filmica è composta da tre strati: ‘substrato di<br />

base’ (supporto), ‘emulsione’ (dove si rivelano i foto-<br />

grammi) e ‘vernice’. Un intervento restaurativo inter-<br />

viene sulla materia e non sulle immagini. Uno dei<br />

campi di intervento del restauro è, ad esempio, la<br />

‘lacuna’, ovvero un’interruzione di tessuto figurativo e<br />

narrativo: essa può essere puntuale, locale o estesa.<br />

Il restauro cinematografico deve provvedere non solo<br />

alla restituzione del film, ma deve ristabilirne anche la<br />

funzionalità.<br />

Il restauro è dunque il riconoscimento dell’opera d’arte<br />

in quanto tale: essa viene riconosciuta nella sua consi-<br />

stenza fisica e nella sua duplice polarità, estetica e<br />

storica.<br />

A destra particolare di una pellicola prima del restauro; a sinistra dopo l’intervento di restauro<br />

<strong>Arte</strong> e <strong>Restauro</strong> 31


DIPARTIMENTO ARTI VISIVE<br />

CORSI DI LAUREA TRIENNALI I LIVELLO<br />

PITTURA - SCULTURA - GRAFICA<br />

DIPARTIMENTO PROGETTAZIONE E ARTI APPLICATE<br />

SCENOGRAFIA<br />

CINEMA<br />

ARTI VISIVE E DISCIPLINE DELLO SPETTACOLO<br />

LAUREA BIENNALE II LIVELLO<br />

PITTURA - SCULTURA - SCENOGRAFIA<br />

CORSO QUINQUENNALE IN RESTAURO<br />

LAUREA DI II LIVELLO - ABILITANTE<br />

PFP 2<br />

Manufatti Dipinti su Supporto Ligneo e Tessile. Manufatti Scolpiti in Legno. Arredi e Strutture Lignee.<br />

Manufatti in Materiali Sintetici Lavorati Assemblati e/o Dipinti<br />

PFP 5<br />

Materiale Librario e Archivistico. Manufatti Cartacei Pergamenacei. Materiale Fotografico,<br />

Cinematografico e Digitale<br />

MASTER<br />

Psicologia dell’arte e della letteratura - I Livello (Online)<br />

Psicocritica: la psicologia applicata alla critica letteraria - I Livello (Online)<br />

Psicologia informatica - I Livello (Online)

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