10.07.2015 Views

Il piacere di fare del bene di Vittorino Andreoli ... - Giovaniminimi.it

Il piacere di fare del bene di Vittorino Andreoli ... - Giovaniminimi.it

Il piacere di fare del bene di Vittorino Andreoli ... - Giovaniminimi.it

SHOW MORE
SHOW LESS

Trasformi i suoi PDF in rivista online e aumenti il suo fatturato!

Ottimizzi le sue riviste online per SEO, utilizza backlink potenti e contenuti multimediali per aumentare la sua visibilità e il suo fatturato.

<strong>Il</strong> <strong>piacere</strong> <strong>di</strong> <strong>fare</strong> <strong>del</strong> <strong>bene</strong><strong>di</strong> <strong>V<strong>it</strong>torino</strong> <strong>Andreoli</strong>Fare <strong>del</strong> <strong>bene</strong> può, a prima vista, apparire un desiderio universale, il primo nella scala deivalori <strong>di</strong> ciascuno uomo, e invece non è affatto così. Prevale, in realtà, il <strong>piacere</strong> <strong>di</strong> dominare,<strong>di</strong> mostrare il proprio potere, <strong>di</strong> essere riconosciuti come forti, almeno più <strong>del</strong> propriointerlocutore, o <strong>del</strong> gruppo o <strong>del</strong> luogo in cui ci si trova in quel momento. Insomma, il <strong>piacere</strong>si lega <strong>di</strong> più alla potenza, al gusto <strong>di</strong> <strong>fare</strong> semplicemente perché si può. Nella forma attuale, ilpotere si esprime attraverso il denaro posseduto, che permette <strong>di</strong> comperare tutto, e allora ilpotere lo si esibisce attraverso simboli visibili, che ostentano anche senza dovere spiegare. Isimboli <strong>del</strong> potere vanno dal modo <strong>di</strong> abbigliarsi, tutto griffato, all’auto con cui si arriva,all’atteggiamento, al portamento. Presenza insomma che si impone. Tra i simboli <strong>del</strong> potere,c’è anche il modo <strong>di</strong> parlare, con un certo sussiego, e certamente la <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> sapercomandare. Questo modo <strong>di</strong> essere si contrappone a chi invece ama <strong>fare</strong> <strong>del</strong> <strong>bene</strong>,manifestarlo, <strong>di</strong>stribuendo sorrisi, apprezzamenti, senza paura <strong>di</strong> mescolarsi con chi è troppolontano dalla propria posizione sociale, e dunque senza la preoccupazione <strong>di</strong> mantenere le<strong>di</strong>stanze gerarchiche.La contrapposizione è tra il potere che non ha bisogno <strong>di</strong> nessuno, in cui anzi l’altro serve permostrarsi attraverso gesti <strong>di</strong> forza che lo rendono succube o gregario, e la fragil<strong>it</strong>à, che è unacon<strong>di</strong>zione esistenziale in cui si ha bisogno <strong>del</strong>l’altro, e dunque si mandano segnali <strong>di</strong><strong>bene</strong>volenza, <strong>di</strong> voglia <strong>di</strong> dare ma anche <strong>di</strong> ricevere, poiché il fragile sa <strong>di</strong> non poter <strong>fare</strong> contosolo su se stesso. <strong>Il</strong> fragile è <strong>di</strong>sposto a dare e a ricevere aiuto. La fragil<strong>it</strong>à ha la stessa formulache permette l’amore, e dunque il bisogno <strong>di</strong> legarsi all’altro, perché da soli si è perduti,bisognosi sempre <strong>di</strong> un supporto umano. Questo dualismo è particolarmente leggibile nellacultura dominante, la quale appare all’insegna <strong>del</strong> nemico, per cui – fino a prova contraria –chi si avvicina può <strong>fare</strong> <strong>del</strong> male, può inserirsi negativamente nel proprio dominio con ilprogetto <strong>di</strong> scalzarlo. La cultura <strong>del</strong> nemico sostiene la lotta e, se si passa dal singolo ai gruppie alle nazioni, la guerra. Mentre chi ama <strong>fare</strong> il <strong>bene</strong> segue la cultura <strong>del</strong>la cooperazione, chevuol <strong>di</strong>re operare insieme e sincronicamente per uno scopo comune, non ant<strong>it</strong>etico né inantagonismo.È veramente incre<strong>di</strong>bile l’ignoranza che domina sul <strong>bene</strong> e sul <strong>fare</strong> <strong>del</strong> <strong>bene</strong>. Proprio perché sipensa che si tratti <strong>di</strong> una posizione prescelta dai deboli, da chi è timoroso. E così si ignora lafelic<strong>it</strong>à che se ne ottiene, la gioia che si prova nel <strong>fare</strong> un sorriso e nel riceverlo proprio da chiinvece, sentendosi guardato in cagnesco, dovrà mostrare tutta la sua capac<strong>it</strong>à <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa e <strong>di</strong>offesa. È incre<strong>di</strong>bile constatare come le relazioni in<strong>di</strong>viduali cambierebbero se la bontà ne<strong>di</strong>ventasse il motore principale, e dunque se si r<strong>it</strong>enesse che, fino a prova contraria, chi siavvicina viene per portare gioia e per riceverla. E non si tratta <strong>di</strong> un atteggiamento ingenuo, <strong>di</strong>chi si immola sul piano <strong>del</strong>la bestial<strong>it</strong>à umana, credendo <strong>di</strong> trovarsi in un para<strong>di</strong>so terrestre, enon in una valle <strong>di</strong> o<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> vendetta.È ampiamente <strong>di</strong>mostrato che la seren<strong>it</strong>à e la bontà hanno maggiore efficacia sul piano <strong>del</strong>lerelazioni rispetto alla lotta, che lascia sovente rancori e voglia <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>carsi: un circoloperverso che continua a caricarsi sempre più <strong>di</strong> energia negativa, che si fa nemica. In una etnia<strong>del</strong>l’Amazzonia, gli Yanomami (popolo in via <strong>di</strong> estinzione), ha dominato per molto tempo lacru<strong>del</strong>tà come elemento <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinzione e <strong>di</strong> forza. Colui che poteva esibire nel propriocurriculum <strong>di</strong> aver ammazzato <strong>di</strong> più, era r<strong>it</strong>enuto capace <strong>di</strong> dare sicurezza, e <strong>di</strong> conseguenzaera particolarmente desiderato dalle donne. Quin<strong>di</strong> poteva scegliere tra le donne più forti, che


totalmente <strong>di</strong>verso, <strong>di</strong> cui il sacerdote con la sua dottrina e soprattutto con il suo stile èesempio.E a me, scusate se insisto, torna sempre in mente suor Maria Laura che, chiamata al telefonoalle 10 e mezza <strong>di</strong> sera da una ragazza che le raccontava <strong>di</strong> essere incinta e <strong>di</strong> aver assolutobisogno <strong>di</strong> aiuto, senza chiedere null’altro si fa in<strong>di</strong>care dove si trova, e la raggiunge. Maproprio lì tre ragazze la uccidono con un pugnale. Appartenevano a una setta satanica. Ementre sta morendo tra le f<strong>it</strong>te <strong>del</strong>le pugnalate, trova il tempo e le parole per perdonare. Cioè,anche in quel momento <strong>di</strong> straziante, inimmaginabile dolore, il dolore <strong>di</strong> un corpo lacerato amorte, suor Maria Laura trova l’istinto <strong>del</strong> <strong>bene</strong> e <strong>del</strong> perdono, in<strong>di</strong>cando la via <strong>del</strong> riscatto.Come ogni persona consacrata, il sacerdote deve essere l’uomo <strong>del</strong> <strong>bene</strong>: non solo perprincipio o per dovere, ma per gioia, perché prova <strong>piacere</strong> nel <strong>fare</strong> il <strong>bene</strong>, essendo incapace <strong>di</strong><strong>fare</strong> il male. Anzi, se lo facesse, lo sentirebbe prima <strong>di</strong> tutto contro se stesso, in quanto uomo, eancor più in quanto uomo <strong>di</strong> Dio.Io mi fermo a questa <strong>di</strong>mensione, che poi è la <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> questo mondo, e per essa l’uomoche fa il <strong>bene</strong>, in quanto uomo, sperimenta una gioia sconfinata. <strong>Il</strong> che è una prova peraffermare che gli umanesimi sono possibili, anche in un tempo travagliato. Non posso entrareinvece in quella <strong>di</strong>mensione ulteriore che viene dalla fede, e in particolare dalla or<strong>di</strong>nazione.Tuttavia so che se un sacerdote non raggiunge anche sul piano umano l’esperienza <strong>del</strong> <strong>bene</strong>, enon sperimenta la gioia stessa <strong>del</strong> <strong>bene</strong>, non potrà essere un buon sacerdote. Rischia <strong>di</strong> <strong>fare</strong> ilburocrate che contabilizza, ma non contagia. Se invece il <strong>bene</strong> <strong>di</strong>venta fonte <strong>del</strong>la gioia vissuta,allora lo si compirà anche in maniera gioiosa. E una simile esperienza si farà epidemica,poiché trasmettendo il <strong>bene</strong>, aumenterà la voglia <strong>di</strong> farlo. Quanto è bello poter <strong>fare</strong> il <strong>bene</strong>senza una ragione, semplicemente perché il <strong>bene</strong> è paga al <strong>bene</strong> stesso, perché è meravigliosofarlo. Ecco chi è il sacerdote: un uomo vero che vuole il <strong>bene</strong> vero, un uomo che si perde per lafelic<strong>it</strong>à degli altri.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!