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OSSERVATORIO CRITICO della germanistica - Lettere e Filosofia

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II - 5<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>Alla voce Bibliothek redattada Wolfgang Adam perl’agile Lexikon derAufklärung, Deutschlandund Europa, curato daWerner Schneiders (München1995) si legge una osservazionedi grandissimointeresse rientrante nell’ambitodelle cosiddette “condizionimateriali <strong>della</strong> comunicazione”:premesso che ilmedium privilegiato attraverso cui si diffondonole idee dell’illuminismo è costituitodai testi a stampa, Adam specifica che nelSettecento questa funzione viene assolta inprevalenza da testi brevi. Quanto rileva ilgermanista tedesco forse più competente inmateria di biblioteche del XVII e XVIII secolocorrisponde alla lode di Lichtenbergagli amanti del formato in sedicesimo (contrappostiai succubi dei trattati che equiparanoautorevolezza e voluminosità): lodeprogrammatica in un’epoca che correlavaSprachkürze e Denkweite. Ideare dunque,come ha fatto Matthias Wehrhahn con i“Vergessene Texte des 18. Jahrhunderts”,una collana di testi settecenteschi rigorosamentebrevi da affiancare al “Kleines Archivdes achtzehnten Jahrhunderts”, la collanacurata da Christoph Weiß in collaborazionecon Reiner Marx per l’editore Röhrig di St.Ingbert, appare un’ottima scelta. La materiaprima non difetta certo. I numeri finorausciti per i tipi <strong>della</strong> editrice Revonnah sonoGiulia CantaruttiMatthias Wehrhahn (curatore),“Vergessene Textedes 18. Jahrhunderts”, 1-8e 10, Hannover, Revonnah,1996-98, pp. 28, pp. 44, pp.32, pp. 28, pp. 50, pp. 36,pp. 40, pp. 36 e pp. 31, DM12.00 ciascunonove: i primi otto (1996-98)e il decimo (1998). Ne sonoannunciati altri cinque. Gliintenti delle due collanesono comuni: proporre testicapaci di fare riscoprire – o,nel caso di inediti, di farescoprire – al lettore di oggiautori e tradizioni che appartengonoal paesaggiodell’Aufklärung, troppospesso impoverito finoall’irriconoscibilità dalla mediazionestoriografica successiva; in altri termini, ridarea questo paesaggio la ricchezza e varietàcromatica che gli è propria. L’operazioneè nel miglior spirito dell’illuminismo:non le si può che augurare un successo analogoa quello riscosso dal “Kleines Archiv”,giunto ormai al trentaquattresimo volumecon eccellenti risultati anche ai fini dell’allargamento<strong>della</strong> cerchia dei lettori. Le duecollane condividono, oltre che il programma,anche la formula, che prevede che i testisiano sempre seguiti da una sinteticapostfazione. I tre principali collaboratori dei“Vergessene Texte”, Wehrhahn stesso, cuisi devono il primo, terzo e ottavo numero,Alexander Kosenina (autore del quarto edecimo numero), Martin Rector (curatoredel secondo numero e, assieme a Wehrhahn,del quinto) sono anche collaboratori del“Kleines Archiv”.La differenza fra le due collane, palesenell’aspetto grafico, è rappresentata dallaUniversità degli Studi di Trento<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>


2<strong>OSSERVATORIO</strong> O <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>mole dei testi: i “Vergessene Texte” constanomediamente di trentun pagine, presentandosinon come volumi ma comeopuscoletti, semplici Hefte dalla copertinadi carta écru. Seguono la più spartana tradizionedelle opere che possono rinunciare alvalore <strong>della</strong> veste, accostandosi per esiguitàdi commercializzazione al “Welfengarten-Jahrbuch für Essayismus”, che è il fiore all’occhiello<strong>della</strong> Revonnah. I “VergesseneTexte” come il “Welfengarten”, fondato nel1990 per un pubblico diverso da quello puramenteaccademico, sono infatti impreseamatoriali nel senso più positivo del termine,consone al richiamo <strong>della</strong> minuscolacasa editrice a Ferdinand Hardekopf e a KurtSchwitters: il volto del “Gegenpol desSchollendeutschen” (come Hiller definivaHardekopf, “Michelangelo des ‘kleinenFormats’”) è il simbolo <strong>della</strong> Revonnah;Revonnah, ovvero Hannover letto alla rovescia,è il nome scelto in allusione al giocolinguistico ironico ed efficacissimo istituitoda Schwitters fra Re-von-nah,“rückwärts von nah”, e il suo contrario,“vorwärts nach weit”. La scanzonata intelligenzadei due collaboratori alle grandi rivistedell’espressionismo berlinese è il migliorviatico per l’individuazione di percorsidiversi da quelli più battuti e la propostadi testi efficacemente alternativi aglistereotipi del XVIII secolo: che non è certo“tintengleksende Saeculum”. Che la criticanei confronti <strong>della</strong> erudizione libresca nonsia un monopolio dello Sturm und Drangemerge paradigmaticamente dal quarto numero<strong>della</strong> collana, Ueber Pedanterie undPedanten, als eine Warnung für dieGelehrten des XVIII Jahrhunderts, diJohann Georg Schlosser. La postfazione èdi Alexander Kosenina, <strong>della</strong> FreieUniversität di Berlino, già autore nel 1995del XXIII volume del “Kleines Archiv”,“Charlataneria eruditorum”. Satirischeund kritische Texte zur Gelehrsamkeit. LaNachbemerkung (pp. 21-28) al testo diSchlosser del 1787 mette in luce come lasatira <strong>della</strong> ciarlataneria (e cialtroneria)parruccona, di per sé assai antica, conosca5 CGproprio nell’età dell’Aufklärung una fiorituraparticolarmente vivace e una estrema varietàformale. Prezioso anche dal punto divista metodologico risulta l’inserimento deldiscorso nell’arco di tempo che va dal Cinquecentoal primo Settecento, nellafattispecie l’individuazione <strong>della</strong> convergenzafra le istanze espresse nel 1787 dalPopularphilosoph legato a Goethe, Klinger,Lavater, Lenz e Wagner e quelle espressecentonove anni prima da Ulrich Huber in DePaedantismo: un invito indiretto alla<strong>germanistica</strong> ad occuparsi dell’età diThomasius molto più di quanto sia finoraavvenuto.Il valore <strong>della</strong> Geselligkeit cui Schlosser richiamagli eruditi (usando, come rileva giustamenteKosenina, la pregnante formula“Genius der Geselligkeit”) trova una celebrazionescherzosa nei Schöne Spielwerke beymWein, Punsch, Bischof und Krambambuli diJohann Mattheus Dreyer, l’ottavo quaderno<strong>della</strong> serie. Le rarità dei Schöne Spielwerkedel 1763 non stupisce: la loro felice adesioneai dettami europei del genere più alienoalla gravité e più incline ai doppi sensi erotici(“Dem Degen / Viel Segen / Der Scheide /Viel Freunde”) ha provocato l’immediatointervento <strong>della</strong> censura amburghese, che liha mandati al rogo.Der schwarze Mann. Eine Posse in zweiAkten di Friedrich Wilhelm Gotter, a cura diMichael Rüppel, farsa che, inscenata aMannheim nel 1784, era stata recepita dalpubblico come – attesa e gradita – parodiadi Schiller e il saggio di un dichiarato ammiratoredel grande drammaturgo, AugustKlingemann, Ueber Schillers Tragödie:DieJungfrau von Orleans, riedito per la primavolta dopo il 1802 a cura di Gabriella Balassa,costituiscono rispettivamente il settimo e sestonumero. Rüppel contribuisce a correggerel’immagine tramandata da una“klassikerfixierte Germanistik seit dem 19.Jahrhundert” (p. 37) anche ricordando comeil successo di Iffland fosse in quell’epoca bensuperiore a quello dell’autore dei Räuber,Balassa sottolinea il favore incontrato daKlingemann come feracissimo autore di tea-


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>35 CGtro e il suo ruolo di pioniere per la modernaorganizzazione degli attori. Klingemann,che lega il suo nome alla vexata quaestio<strong>della</strong> paternità delle Nachtwachen vonBonaventura, viene caratterizzato in basea un “lebenslang andauerndes Schwärmenfür Schiller” unito a una altrettanto convintaadesione alla “Jenaer Frühromantik” (p.30). Assai opportunamente Balassa ricordal’educazione ricevuta al CollegiumCarolinum: sarebbe valsa però anche lapena accennare a un non meno importanteretroterra, il canone dei poeti e pittori <strong>della</strong>Frühromantik, rendendo conto al lettore deidue versi italiani posti come motto al saggiodel 1802, nonché del rimando a Dante(p. 14) e ad Ariosto (p. 27). Non a casoKlingemann, che Brentano chiama“geistiger Mechanicus” del romanticismotedesco, appare come colonna portante nellostudio di Irmgard Osols-Wehden,Pilgerfahrt und Narrenreise. Der Einflußder Dichtungen Dantes und Ariosts auf denfrühromantischen Roman in Deutschland(Habil. Schr. 1993 alla FU Berlin;Hildesheim 1998).Un altro grande uomo di teatro anch’eglientrato nella storia <strong>della</strong> letteratura comeauctor unius operae – e rimasto quindi,come nota Martin Rector, uno sconosciuto– è Gustav Friedrich Wilhelm Großmanndi cui nel 1996 il secondo numero dei“Vergessene Texte” pubblica i Briefe anHerrn K... in L... die Sailerische Bühne inDresden betreffend. Il loro pendant nel“Kleines Archiv” è rappresentato, semprenel 1996, dai Briefe über verschiedeneGegenstände der Bühne. Entrambe leriedizioni di questo poliedrico membro delMontagsklub, nato a Berlino e morto aHannover, grandissimo traduttore erielaboratore del teatro europeo in Germania,da Shakespeare a Goldoni si devono aRector, che fin dal 1989 ha curato l’articolosu Großmann per il Literaturlexikon diKilly dando poi uno stimolo determinatealla prima Großmann-Bibliographie moderna(di Axel Fischer, in “Das achtzehnteJahrhundert” 17, 1993, 2, pp. 134-165, speciep. 137). La postfazione riesce a dare unquadro sintetico <strong>della</strong> variegatissima attivitàdi Großmann e del ruolo esercitato dallacompagnia teatrale di Abel Seyler negli anniSettanta, presentando un testo che rende visibilinon solo la funzione del teatro “zurAufhelfung des allgemeinen Geschmacks”(p. 28), ma anche quella <strong>della</strong> corte diDresda, catalizzatrice degli incontri fra pittori,attori, musicisti e “geistreicheSchriftsteller” quali Garve, Sulzer, Ramler.Il dramma musicale di Christian GottholdContius uscito anch’esso anonimo nello stessoanno, il 1775, dalla medesima GerlachischeBuchhandlung, Wieland und seineAbbonenten, viene riportato nel terzo quaderno,che come il quarto rientra nel filonesatirico. Questo “musikalisches Drama halbin Reimverslein, halb in gebundener Redegestellt” che ha come appendice una esilarantelettera fittizia di Friedrich Nicolai “AnMonsieur Dyck zu Leipzig” (personaggiogià affermatosi autorevolmente come editoredal 1757 al 1765 <strong>della</strong> “Bibliothek derschönen Wissenschaften und der freyenKünste”) offre uno spaccato delle discussioniaccesesi attorno alle due grandi impresegiornalistiche dell’epoca, il “TeutscherMerkur” e la “Allgemeine deutscheBibliothek”. Wehrhahn caratterizza l’operettadel prolifico pastore per quello che è, una“zweitrangige Satire” (p. 30), ponendo intelligentementeil problema di quale ruoloabbiano in effetti svolto i numerosi scrittisatirici ignorati o scherniti dagli scrittori piùimportanti dell’epoca.Al ristretto numero delle figure cruciali delXVIII secolo appartengono Zimmermann,Engel, Garve, che appaiono rispettivamentenel quinto, primo e decimo numero dei“Vergessene Texte”. Quanto annunciato nelprospetto informativo <strong>della</strong> collana, “DieTexte stammen von Autoren, die alsRandfiguren der Aufklärung eingestuftwerden, aber in ihrer Zeit oft eine wichtigeRolle gespielt haben”, vale, in tutti e tre icasi, solo per i testi scelti. Johann GeorgZimmermann, di cui Rector e Wehrhahnripubblicano – come al solito integralmente


4<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>e senza modernizzazioni ortografiche – trecomponimenti poetici, Die Zerstörung vonLissabon, Die Ruinen von Lissabon,Gedanken bey dem Erdbeben 1755-1756torna ad attirare su di sé, negli ultimissimitempi, l’interesse degli studiosi più attenti:ne sono prova il Lesebuch edito nel 1995da Andreas Langenlacher e i volumi del“Kleines Archiv” citati nella postfazione daRector, ma anche il progetto di una edizionedelle lettere di Zimmermann (da partesvizzera) e dei documenti concernenti lacontroversia con Lichtenberg (da parte delmassimo esperto dell’epistolografialichtenberghiana, Ulrich Joost). Al convegnotenutosi a Wolfenbüttel di cui sono appenaapparsi gli atti a cura di Hans PeterSchramm, Johann Georg Zimmermann.Königlich großbritannischer Leibarzt 1728-1795 (Wiesbaden 1998), fondamentale perla riapertura del discorso critico su un personaggioun tempo celebrato come mediconelle corti di tutt’Europa, Martin Rector hapresentato la sua intelligente propostainterpretativa basata sulla poesia didascalicanon più ristampata integralmente dal 1756:Die Zerstörung von Lissabon – che va assolutamenteletta assieme all’apparato dinote, così lussureggiante rispetto al testo daindurre Zimmermann a giustificarne nellaVorrede l’eccezionale ampiezza – ripetenella sua struttura il modello <strong>della</strong> ‘rinascita’pietista. Il Mittner, sia detto per inciso,dedica allo svizzero una riga; ma anche rispettoalle più recenti letture <strong>della</strong>Zerstörung von Lissabon in chiave di esperienzadel sublime, Rector apporta un elementodi riflessione originale, illuminandoil punto di partenza di un itinerario che dopolo scoppio <strong>della</strong> Rivoluzione francese sarebbesfociato nella più violenta dichiarazionedi guerra all’Illuminismo.La stessa attenzione alla pressoché sconosciuta,interessantissima fase degli esordiqualifica la scelta compiuta da Wehrhahnnel volume che inaugura la collana: diJohann Jacob Engel, personaggio crucialenelle due metropoli dell’illuminismo tedesco,Lipsia e Berlino, celebre come editore5 CGe autore di “Der Philosoph für die Welt”, vieneinfatti proposto un discorso giovanile, laRede zum Beschlus der auf der BützowischenAkademie bisher angestellten Friedens-Feier.La fondamentale bibliografia degli scritti die su Engel apparsa in “Das achtzehnteJahrhundert” (14. 1990, H. 1, pp. 79-120) acura di Alexander Kosenina, seguita due annidopo sulla stessa rivista dai supplementi acura di Wehrhahn e Kosenina, segnalano lararissima operetta: la Rede tenuta alla fine<strong>della</strong> guerra dei Sette anni costituisce il primodocumento dell’ideale del reggente illuminatonutrito da Engel. Wehrhahn, curatorenel “Kleines Archiv” assieme a Kosenina<strong>della</strong> riedizione del romanzo engeliano HerrLorenz Stark e, sempre nel 1991, del catalogo<strong>della</strong> mostra su Engel organizzata dallaFreie Universität di Berlino si rivela conoscitoreespertissimo del poliedrico illuministaanche nell’annunciare l’edizione di “Vierausgeschiedene Texte aus dem ‘Philosoph fürdie Welt’ von 1775 und 1777” per iltredicesimo numero dei “Vergessene Texte”.La perla di questa collana, per riprendere l’anticaimmagine <strong>della</strong> Perlenschnur che ritroviamonel titolo di una edizione di Engel all’internodi una antologia del 1810-12, è costituitadal decimo numero, curato daAlexander Kosenina: gli Aphorismen aus demNachlaß di Christian Garve. L’alacre quantooriginale allievo di Schings, che ha editol’epistolario di Engel e, prima ancora, nel1989, ha studiato Platner e la sua incidenzasu Wezel e Jean Paul, si qualifica per l’ottimaconoscenza <strong>della</strong> cerchia dei personaggipiù legati al filosofo di Breslavia che intendevamettersi al servizio <strong>della</strong> “Philosophiedes Lebens”: Garve, che vedeva in Engell’unico fra i suoi amici capace di capire perfettamentei suoi intenti nonché di favorirnel’attuazione (lettera a Mendelssohn del 13aprile 1771) e aspettava con impazienza gliAphorismen di Platner (lettera a Weiße del24 settembre 1797) viene scoperto come unodegli “Aphoristiker der Spätaufklärung” inbase a due volumi del suo Nachlaß conservatinella Biblioteca Universitaria <strong>della</strong> cittàoggi appartenente alla Polonia. Il rimando


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>5allo “ungehoberer Schatz, der an GarvesGeburts- und Sterbeort Breslau verwahrtlegt” (p. 26) è tanto più apprezzabile quandosi pensi che neanche l’autore <strong>della</strong> piùrecente monografia su questo illuminista,Claus Altmayer (Aufklärung als Philosophie.Bürgerliches Individuum undÖffentlichkeit bei Christian Garve, St.Ingbert 1992) va al di là dei testi a stamparaccolti da Kurt Wölfel nei GesammelteWerke garviani. La familiarità di Koseninacon le fonti, in particolare con la BibliotekaUniversyteka we Wroclawiu, scandagliatagià per la stesura <strong>della</strong> monografia del 1989,Ernst Platners Anthropologie undPhilosophie (che a p. 146 cita due lettere diPlatner a Garve risalenti al 1772) permetteil raggiungimento di un risultato analogo aquello ottenuto da Ursula Isselstein con isuoi studi del 1993 su Rahel LevinVarnhagen: aprire alla Aphoristikforschungun terreno vergine. Nel caso di Garve, il cuiNachlaß è “strukturell [...] am ehesten mitdemjenigen Jean Pauls vergleichbar” (p.29), la scoperta di Kosenina è di particolareimportanza ai fini <strong>della</strong> riflessione sul rapportofra Excerpta e riflessioni proprie, testoe commento. La predilezione del Settecentoper le “Kleinformen” ottiene con lanuova collana una ulteriore convincenteconferma.Giulia CantaruttiGian Franco Frigo, Paola Giacomoni,Wolfgang Müller-Funk (curatori), Pensarela natura. Dal Romanticismo all’ecologia.,Milano, Guerini Studio, 1998, pp. 337, L.46.000Non è evidentemente possibile riassumerein poche righe i diciotto contributi di cui ècostituito questo ricco e significativo volume,nel quale sono raccolti gli atti di un convegnotenutosi all’Università di Trento nelnovembre del 1996. D’altra parte anche l’introduzione,che compare sia in italiano che5 CGin tedesco, offre un riepilogo orientativo chepuò già di per sé dispensare da un tale compito,mentre i nove saggi in lingua tedescasono preceduti da riassunti alquanto articolatiin italiano, che rappresentano qualcosadi più degli scarni abstracts delle riviste internazionali.Questa recensione cercherà perciò, nel limitedel possibile e anche a costo di semplificazioniche non rendono certamente giustiziaall’intrinseca complessità dei singolisaggi, di individuare almeno alcune delle domandefondamentali riguardanti l’ideazionee al’organizzazione del convegno, mettendoin luce, oltre alle idee guida comuni oalmeno parallele presenti nei diversi contributi,anche quelle voci “fuori dal coro”, chelungi dal rappresentare un limite o undemerito del libro, costituiscono piuttostol’espressione e la garanzia dell’attualità e<strong>della</strong> complessità del problema affrontato,che non ammette risposte univoche e quindiscontate.A ben guardare già nel titolo del volume,ovvero nel doppio titolo in italiano e in tedescodello stesso, che non compare peròsulla copertina, ma solo in terza pagina, siesprimono due concezioni diverse e almenoin parte contrastanti del rapporto tra uomoe natura, che ritorneranno poi significativamenteall’interno del volume, con sfumaturee valutazioni differenti, nei diversi contributi.Nel titolo italiano la natura appareinfatti come oggetto di un verbo all’infinito,il “pensare”, che presuppone un soggettoimplicito che non può che essere l’uomo.Poiché però l’atto del “pensare”, in quantoespressione di un’attività razionale, è statointerpretato all’interno di una riflessione filosoficadegli ultimi decenni e sulla scorta<strong>della</strong> nota teoria <strong>della</strong> “dialetticadell’illuminismo” come sinonimo di controlloe oppressione, questo titolo suggeriscein qualche modo un rapporto unilateraledi dominio dell’uomo sulla natura. Piùambiguo, ma proprio per questo anche piùricco e forse più corrispondente all’effettivocontenuto del volume, risulta invece iltitolo tedesco “Konzepte der Natur”, diffi-


6<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>cilmente traducibile in italiano. “Konzept”non significa infatti in tedesco né “concetto”,né tanto meno “concezione”, ma indicainvece una sorta di schizzo, di immagineprovvisoria, e proprio per questo ancheun progetto o un programma. Nel titolo tedescoabbiamo quindi, oltre all’idea diun’immagine non ancora definitiva e fissataper sempre <strong>della</strong> natura, cioè di una suaprogettualità intrinseca, anche l’idea di unapluralità di tali immagini o progetti, che bensi adatta ad esprimere le diverse concezioni<strong>della</strong> natura elaborate in ambito romantico.A ciò si aggiunge la significativa ambiguitàdel genitivo, che può essere interpretatocome “oggettivo” ma anche come“soggettivo”, facendo cioè <strong>della</strong> natura nonpiù soltanto l’oggetto, ma anche e forsesoprattutto il soggetto di quei “Konzepte”,vale a dire di quelle immagini provvisoriee mutevoli o di quei progetti.Proprio in una simile pluralità e in una simileintercambiabilità tra soggetto e oggetto<strong>della</strong> conoscenza <strong>della</strong> natura sembra consistereinfatti, al di là delle differenze specifichenei singoli autori, il carattere generalee la peculiarità delle concezioni “romantiche”<strong>della</strong> natura, che si esprimonosoprattutto in due “discorsi” distinti e tuttaviastrettamente correlati, vale a dire dauna parte all’interno di un pensiero “biologico-epistemologico”,dall’altra nel pensiero“estetico”. Attorno a questi due poli siorganizza in effetti la maggior parte dei saggiraccolti in questo volume e non è certoun caso che l’autore più frequentemente nominatoe indagato all’interno <strong>della</strong> raccoltasia proprio Schelling, in cui entrambe questetendenze del pensiero romantico giocanoun ruolo assolutamente fondamentale.Per quanto numerosi siano i rinvii alla dimensioneestetica nelle riflessioni sul pensiero“biologico” e viceversa, nessuno deilavori di questo volume approfondisce tuttaviain maniera specifica lo strettissimorapporto esistente tra questi due “discorsi”per molti aspetti paralleli e complementari.Alla nascita e allo sviluppo del “pensiero5 CGbiologico”, con i suoi riflessi sulla teoria <strong>della</strong>conoscenza, è dedicato il saggio Individuo eambiente. L’eredità del romanticismo di FrancescoMoiso (pp. 63-89), in cui si ripercorrel’evoluzione di un pensiero in parte opposto,in parte però anche parallelo a quellomeccanicistico dell’illuminismo, rappresentatoqui soprattutto da La Mettrie, che attraversoDiderot, Wolff, Goethe e soprattuttoSchelling giunge fino a Müller e Uexküll. Caratteristicafondamentale di questo pensieroè il superamento del concetto di “individuo”in natura, che diventa solo un momento transitorio,una sorta di coagulazione temporaneaall’interno di un processo naturale in perpetuodivenire. Una simile relativizzazionedell’individuo e l’affermazione di un rapportod’intercambiabilità tra individuo e ambienteconduce però, sul piano epistemologico, a sostenereanche un rovesciamento del rapportotra soggetto e oggetto <strong>della</strong> conoscenza, cosìche la natura stessa può diventare, da puro esemplice oggetto, soggetto conoscente. Il tramitedi questo scambio, vale a dire lo strumentoconoscitivo per eccellenza di una naturaintesa come continuo divenire, è rappresentatoperò non a caso - già in Fichte e poisoprattutto in Schelling - dall’“immaginazioneproduttrice”, la quale è per certiversi espressione immediata dell’attività creatriceo metamorfica <strong>della</strong> natura stessa. Solola “Einbildungskraft” permette infatti una “visionedall’interno” <strong>della</strong> natura, che è ancheuna “visione acentrica” e in un certo sensopluralistica, perché “l’immaginazione <strong>della</strong>natura”, intesa come genitivo soggettivo, producediverse “immagini del mondo”.È evidente come il concetto stesso di “immaginazione”conduca direttamente dal discorsobiologico a quello estetico, anche sequesto aspetto non viene affrontato da Moiso.Al problema <strong>della</strong> fantasia come mezzo diindagine filosofico-estetica <strong>della</strong> natura accennainvece Giampiero Moretti nella sualettura di Hölderlin attraverso Heidegger - laquale è allo stesso tempo una rilettura diHeidegger attraverso Hölderlin (La questione<strong>della</strong> natura nell’opera di Hölderlin allaluce <strong>della</strong> “storia dell’essere”, pp. 103-110)


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>75 CG- riportando il discorso a Fichte, a Novalise soprattutto a Hölderlin (cfr. 104-106). Seanche Eve-Marie Engels, nelle sue riflessionisui problemi <strong>della</strong> bioetica, con riferimentoal romanticismo (Problemstellungenund Strukturmerkmale der heutigenBioethik. Eine Analyse mit Blick auf dieRomantik, pp. 295-314) esemplifica propriosu Schelling le caratteristiche principali delpensiero romantico sulla natura, è però soprattuttoGian Franco Frigo a mostrare conesemplare chiarezza, nel suo saggio Tra malinconiae redenzione umana: il destino<strong>della</strong> Natura in Schelling (pp. 125-135),quel parallelismo tra la Natura, intesa comeinfinita produttività, e lo Spirito, tra la coscienzae i prodotti naturali. Anche per Frigoil termine medio tra Natura e Spirito èrappresentato non a caso dalla “Einbildung”,che egli non traduce però con iltermine “fantasia”, bensì piuttosto come“uni-formazione” in riferimento alla Naturae come “in-formazione” in relazione inveceall’attività ordinatrice <strong>della</strong> coscienzaumana. All’interno di questa visione <strong>della</strong>natura l’uomo rappresenta bensì il gradinopiù alto, il “culmine <strong>della</strong> creazione” e inun certo senso anche il “salvatore <strong>della</strong> Natura”,senza diventarne però mai il padroneo il dominatore, ma rimanendo piuttostosempre uno strumento <strong>della</strong> stessa.All’interno di questo discorso sulsuperamento <strong>della</strong> soggettività può esserericondotto almeno per certi aspetti anche ilsaggio di Wolfgang Müller-Funk sulla “malattiaromantica” da Novalis a Bernhard(Romantische Krankheit von Novalis bisThomas Bernhard, pp. 133-166). Anchequella “nobilitazione” <strong>della</strong> malattia comepremessa o fonte di produttività artisticaoperata da Novalis, che anticipa di moltoun tema centrale del decadentismo europeo,è stata condotta infatti non solo sulla base<strong>della</strong> teoria <strong>della</strong> malattia di John Brown,ma anche a partire dalla rivalutazione <strong>della</strong>malattia come parte integrante <strong>della</strong> naturasostenuta proprio da Schelling, il quale vedevanella malattia, in accordo con la sua“visione drammatica” <strong>della</strong> natura sottolineataanche da Frigo, una conseguenza necessariadel processo naturale di individualizzazione.La malattia significa infatti inquesta prospettiva già in Novalis un’aperturaa ciò che è estraneo al soggetto e puòdiventare quindi, se accettata, addirittura lostrumento di una nuova “antropodicea”. Èperò soprattutto nell’opera giovanile diBernhard Amras, interpretata da Müller-Funk come una sorta di ri-scrittura o sovrascrittura<strong>della</strong> concezione <strong>della</strong> malattia diNovalis, che la malattia diventa definitivamenteuno strumento di superamento <strong>della</strong>soggettività e quindi anche espressionedel decadimento del soggetto moderno.Un processo di superamento dell’identità euna riconduzione del soggetto all’interno<strong>della</strong> natura viene riscontrato da Luca Illetterati(La scissione come problema. Sul rapportouomo-natura nel pensiero di Hegel,pp. 167-186) anche negli scritti del più grandecritico <strong>della</strong> modernità, di colui che conmaggior chiarezza ha visto cioè nell’esperienza<strong>della</strong> lacerazione tra uomo e natura equindi nel “rapporto di dominio”, diassoggettamento e di violenza dell’uomosulla natura il segno distintivo <strong>della</strong> modernità,vale a dire in Hegel, il quale fin daisuoi scritti teologici giovanili si è sforzatodi trovare dei modelli alternativi di rapporto,in cui ricomporre questa frattura. PoichéHegel non crede però alla possibilità diun “ritorno all’antico”, egli cerca un mododiverso di “pensare la natura” che non siaassoggettamento, ma piuttosto riconoscimento<strong>della</strong> natura nella sua “specificitàontologica” in quanto “tutto vivente”. Eglinon ritrova un simile modo di “pensare” lanatura né nella relazione “pratica” dell’uomoverso la natura, che rimane una “relazionedi dominio”, né nella “considerazioneteoretica”, che non riesce invece a superarel’estraneità <strong>della</strong> natura, bensì solamentein una “considerazione concettuale” <strong>della</strong>natura, la quale, più vicina alla relazioneteoretica che a quella pratica, riconosce perònella natura una manifestazione di quellastessa Idea di cui sono espressione anche laragione e il pensiero. Nell’Idea si


8<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>ricongiungono quindi in questo modo il soggettoe l’oggetto <strong>della</strong> conoscenza, che diventanoper così dire intercambiabili. Inquesta prospettiva anche il titolo italiano dellibro acquista dunque un altro significato euna nuova giustificazione, poiché anche il“pensare la natura” non significa più un attodi dominio, bensì al contrario un diventareparte dell’Idea, di cui la natura stessa èespressione e di cui il soggetto non è e nonpuò diventare padrone, poiché egli stessovive solo al suo interno o nel suo orizzonte.Non solamente il riferimento alla “fantasia”come organo conoscitivo specifico di questoapproccio “romantico” alla natura, bensìanche il carattere olistico, più volteevidenziato nei diversi saggi, di questo tipodi conoscenza, che considera la natura comeun tutto, come un grande organismo, in cuiogni cosa può essere ad un tempo centro eperiferia, soggetto e oggetto, in modo da superareanche l’idea stessa del soggetto unitariocome unica istanza conoscitiva e diconseguenza il principio stesso di identità edi non contraddizione, su cui si basa ognitipo di conoscenza razionale, rimanda evidentementea una “dimensione estetica” deldiscorso. La “conoscenza estetica” - che nonha assolutamente nulla a che fare con quelfenomeno più tardo, tipico <strong>della</strong> fin de siècle,che è l’“estetismo” - indica infatti, secondola definizione che ne ha dato Baumgarten,il fondatore stesso dell’estetica come disciplinafilosofica, un tipo di conoscenzaintuitiva, simultanea e concreta del tutto edelle sue parti, che rappresenta per ciò stessoun’alternativa alla conoscenza razionale,il cui limite maggiore consiste proprionel suo necessario e inevitabile ricorso all’astrazione.Proprio l’immagine del velo di Iside, di cuiFabrizio Desideri indaga i differenti significatipresso Kant, Schiller e Novalis (LaDea velata: coscienza e natura in Kant,Schiller e Novalis, pp. 91-102), può diventareallora il simbolo di questo nuovo approccio“estetico” alla natura. Il velo puòessere interpretato infatti in un certo senso5 CGcome il simbolo stesso del simbolo poetico ocome la metafora <strong>della</strong> metafora: solo attraversoquella che i linguisti chiamanol’“opacità” del segno poetico, queste figureretoriche interrompono infatti, attraendo sudi sé l’attenzione, quell’apparente trasparenzae univocità del flusso che dal significanteporta direttamente al significato, per rimandarecosì ad un senso più profondo, eternamentealtro, dell’oggetto o <strong>della</strong> natura. Sein Kant il velo simboleggia solol’inconoscibilità dell’“in-sé” <strong>della</strong> natura, chesi dà tutt’al più come negatività nella categoriaestetica del sublime, già in Schiller mapoi soprattutto in Novalis questo limite diventafondamento produttivo <strong>della</strong> conoscenza,di una conoscenza, tuttavia, che non è maidefinitiva, perché nell’immagine del velo lanatura si palesa proprio nell’atto del nascondersie si nasconde nell’atto del palesarsi.Non è dunque un caso se proprio questa stessaimmagine del “velo” ritorna anche nel pensieropoetologico di Leopardi, indagato daAlberto Folin (“Ed io che sono?” Figure<strong>della</strong> “natura” in Giacomo Leopardi, pp.187-204). Anche per Leopardi, infatti, che hariconosciuto l’inadeguatezza e l’illusorietà<strong>della</strong> conoscenza razionale, l’unico rapportopossibile con la natura è quello “estetico”dell’“inganno poetico”, di un pensare cioè peraffetti o per immagini, di un pensiero mitico,che si ferma sì all’apparenza delle cose, consapevoleperò che tale apparenza non è menzogna,bensì piuttosto l’unica dimensioneaccessibile alla conoscenza umana, dietro laquale la natura si disvela celandosi e mostrandosisi nasconde.E’ evidente che un simile approccio alla naturanon può più produrre una visione unicae unitaria <strong>della</strong> natura, ma tutt’al più delleimmagini, delle “figure” appunto o, come lechiama Luciano Zagari nel suo saggio, delle“icone <strong>della</strong> natura” (Icone <strong>della</strong> natura nellaletteratura dell’età di Goethe, pp. 205-228). Già il fatto stesso che Zagari scelga diillustrare visioni diverse, in sé concluse e indipendentil’una dall’altra non tanto <strong>della</strong>natura in sé, bensì piuttosto del rapporto trauomo e natura, quale appare nel primo Faust


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>9di Goethe, nei Lehrlinge zu Sais di Novalis,nel Runenberg di Tieck, nelle ultime “poesie<strong>della</strong> torre” di Hölderlin, nel PeterSchlemihl di Chamisso e infine nel Woyzeckdi Büchner, va inteso qui come un precisogiudizio sulla pluralità irriducibile non solodelle concezioni, ma anche degli approcci- ora immediato, ora ermeneutico, magicoo estetico - alla natura elaborati in epocaromantica. Se almeno in Novalis e in parteanche in Chamisso viene rappresentata unapossibilità di incontro con la natura, è comunquesoprattutto nelle poesie del tardoHölderlin che questo incontro avviene secondoZagari nella maniera più immediata,come disvelamento e dispiegamento“sensibile e incontrovertibile <strong>della</strong> Natura”non solo nelle immagini ma anche nell’ordinestesso delle parole o nell’evocativitàdel singolo termine poetico. In questo puntoil saggio di Zagari si incontra così felicementee significativamente con il lavorogià ricordato di Giampiero Moretti, secondoil quale la natura si disvelerebbe inHölderlin nella sua “mobile essenza” proprionell’atto stesso <strong>della</strong> sua nominazioneda parte <strong>della</strong> “parola poetica”.5 CGSe tanto i saggi sul pensiero “biologico”quanto quelli sull’approccio estetico allanatura interpretano in maniera tutto sommatopositiva le concezioni romantiche oidealistiche <strong>della</strong> natura, le quali sarebberocomunque, pur nella loro diversità, in contrastocon ogni logica di dominio e di sfruttamento,due contributi contenuti in questovolume criticano invece con decisione proprioqueste interpretazioni tanto del pensiero“biologico” che di quello “estetico”.László F. Földényi afferma ad esempio, inun tedesco purtroppo non privo di errorigrammaticali e sintattici (Die entzweiteNatur. Die neuzeitlichen Sackgassen derNaturinterpretationen, pp. 111-123), cheanche il pensiero olistico <strong>della</strong> natura tipicodel romanticismo non rappresenta in realtànient’altro che l’altra faccia <strong>della</strong> medagliadi un pensiero scientifico tendenteal puro e semplice sfruttamento <strong>della</strong> natura.Anche la “deificazione” o estetizzazioneromantiche <strong>della</strong> Natura condurrebbero cioèsecondo l’autore a una violentazione <strong>della</strong>stessa che risulta esattamente parallela aquella dell’approccio tecnico. Una similevisione <strong>della</strong> natura, che tende a cancellareil soggetto con la sua perculiarità, nasconderebbeinoltre secondo Földényi una tendenzamasochistica di questo soggetto, chepersegue inconsapevolmente la propriaautodistruzione. Il fatto poi che proprio latecnica, di cui l’utopia romantica è stata percerti versi complice, abbia realizzato nelmondo moderno quel desiderio romanticodi totalità del mondo, in cui anche il soggettosi perde e si annulla, viene interpretatoda Földényi come espressione di una sortadi ironia romantica.Un’argomentazione per certi versi parallelaa quella di Földényi, nel senso che esprimeuna critica all’idea secondo cui le concezioniromantiche <strong>della</strong> natura sarebbero portatricidi valori alternativi rispetto alle concezioniscientifiche moderne, è anche quelladi Cornelia Klinger (Das Buch der Naturwird unlesbar. Zur Trennung von wissenschaftlichemund ästhetischem Naturbegriffin der Moderne, pp. 229-243), la quale siconcentra tuttavia soprattutto sul pensieroestetico. Per l’autrice anche il pensiero esteticonon rappresenta infatti né una compensazione(Ritter), né tantomeno un’alternativaalla concezione per così dire utilitaristicadelle scienze esatte. Vi è al contrario, secondoKlinger, una stretta complicità tra i dueapprocci alla natura, in quanto il rapporto“estetico” da una parte ha in sé qualcosa disentimentale ed è quindi espressione di unaperdita già avvenuta, dall’altra presupponeil dominio già avvenuto sulla natura. Anchequesta tesi non è in verità del tutto nuova edè stata già esemplificata riguardo soprattuttoalla categoria del “sublime” (Böhme;Begemann). Klinger dimostra però anche un“primato del soggetto” tanto negli scritti delprimo Friedrich Schlegel, quanto e soprattuttonell’idealismo magico di Novalis, incui vi sarebbe comunque una “preponderanzadell’Io rispetto al mondo, dello spirito ri-


10<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>spetto alla Natura”, che appare nettamentein contrasto con quanto è stato affermato neisaggi precedenti.Sul significato più profondo <strong>della</strong> categoriadel sublime ci si potrebbe forse attendere ditrovare qualcosa nel saggio di PaolaGiacomoni (Il fascino del selvaggio. L’invenzioneestetica delle Alpi in epoca romanticae oltre, pp. 245-259) oppure anche nelcontributo di Brigitte Mang (Natur undLandschaft im Wandel - Gärten derAufklärung von der Romantik zur Ökologie,pp. 261-272). Il primo saggio si limita peròa ripercorrere alcuni momenti in gran partegià noti <strong>della</strong> scoperta <strong>della</strong> montagna - cheè comunque più opera del Settecento e quindidell’Illuminismo che non del romanticismo(la stessa autrice rileva giustamente cheil sublime muore in epoca romantica, adesempio in Hegel) - senza interrogarsi sulsignificato profondo di questa “invenzioneestetica delle Alpi” e senza cercare quindidi interpretare la categoria del sublime vuoicome espressione di una “ragione comprensiva”,e quindi come apertura verso il nuovoe l’estraneo (Marquard), vuoi comeestensione del dominio <strong>della</strong> ragione oltre isuoi limiti prefissati (Böhme). Una rispostaa simili quesiti non viene fornita nemmenodal contributo di Brigitte Mang, la quale silimita in fondo a descrivere il passaggio dalgiardino alla francese al giardino all’inglesein quelli che l’autrice definisceripetutamente, con un’espressione poco feliceche toglie ogni preciso significato storico-letterarioal concetto di “Romanticismo”,i “giardini romantici dell’Illuminismo”.5 CGRimane da considerare, in conclusione, ladomanda forse più importante, che ha percosì dire guidato l’ideazione e l’organizzazionedel convegno di Trento e che si esprimesoprattutto nel sottotitolo del volume,vale a dire la questione dell’attualità delleconcezioni romantiche <strong>della</strong> natura. Vi è, inaltri termini, vi può o forse vi deve addiritturaessere un rapporto tra la visione ecologicamoderna <strong>della</strong> natura e quella sviluppatainvece in epoca romantica? Nonostantele numerose analogie tra le due concezioni<strong>della</strong> natura, non solo l’introduzione ma anchela maggioranza dei saggi tendono a negare,con argomenti diversi, la possibilità,l’auspicabilità o anche solo l’utilità di un simileritorno a una concezione romantica <strong>della</strong>natura.Proprio il saggio di Paolo Rossi ( Dedalo e illabirinto: l’uomo, la natura, la tecnica, pp.27-43), posto non a caso in apertura del volume,ha evidentemente la funzione di fugarequalsiasi dubbio sulla possibilità di un simileritorno al passato. Il contributo, che trattamolto di ecologia e poco di romanticismo,mette in guardia infatti esplicitamente da certetentazioni regressive o “primitivistiche”, propriedi parte <strong>della</strong> cultura sia tedesca che italianadegli ultimi decenni, le quali tendono aidentificare l’Illuminismo con una razionalitàstrumentale che persegue solamente il dominio<strong>della</strong> natura e rigettano perciò anchele importantissime conquiste operate dall’epocadei Lumi nel campo <strong>della</strong> tecnica, maanche <strong>della</strong> politica e del vivere civile. Controtali tentazioni, definite pericolose e assurde,Paolo Rossi sostiene quindi la necessitàdi una filosofia dell’autolimitazione volontariae <strong>della</strong> responsabilità, che sappia servirsianche degli aspetti positivi <strong>della</strong> tecnica.Al saggio di Paolo Rossi fa eco anche Eve-Marie Engels, la quale nega che sia possibileun ritorno alla concezione romantica <strong>della</strong>natura soprattutto per quanto riguarda labioetica e individua invece, in un certo sensosorprendentemente, proprio nel successivoDarwinismo quell’unità dell’uomo con lanatura che può permettere forse di fondare labioetica su nuove basi. Non solo Földényitrova già paradossalmente realizzata attraversola tecnica quella unità tra uomo e naturasognata dai romantici, ma anche CorneliaKlinger nota come il rapporto tra uomo enatura sia radicalmente cambiato dal romanticismoad oggi, poiché il soggetto modernoè diventato per alcuni versi più forte, più potente,in grado addirittura di distruggere lanatura, dall’altro però è contemporaneamen-


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>115 CGte più debole, in quanto più dissociato equindi in balìa <strong>della</strong> natura stessa.Rispetto alla domanda sull’attualità dell’idearomantica di natura è significativainoltre anche la risposta almeno indiretta diDietrich von Engelhardt (Naturwissenschaftim 19. Jahrhundert oder die Spannung vonFreiheit und Verantwortung in der Sicht derNaturforscher, pp. 45-62), il quale ricercasignificativamente gli esempi di quella disponibilitàa riflettere sulla responsabilità<strong>della</strong> scienza che è assente e andrebbe quindiriscoperta anche nella discussione scientificamoderna, non tanto nelle riflessionidei romantici, bensì proprio in quelle dellescienze positivistiche dell’Ottocento, nateper molti versi proprio in opposizione dichiarataalla “Naturphilosophie” romantica.Nemmeno le importanti riflessioni diManfried Welan (Vom Schutz der Natur zumRecht der Natur?, pp. 273-283), che sostengonola necessità di una passaggio dalla protezione<strong>della</strong> natura ad un “diritto <strong>della</strong> Natura”,in cui questa compaia come soggettoe non solo “oggetto” giuridico, né le riflessionidi Peter Strasser sui diritti degli animali(Tierrechte - ein Schnittpunkt zwischenAufklärung und Romantik, pp. 285-293) oinfine l’affascinante affresco <strong>della</strong> storia dell’umanitàdisegnato da Thomas Macho (DieErfindung der Haustiere. Die technischenBedingungen romantischer Tierbilder, pp.315-337) a partire dalla prospettiva insolitadel rapporto dell’uomo con gli animali, cheripercorre il passaggio dalle primeaddomesticazioni fino allo sfruttamentodegli animali come forza-lavoro e più tardicome riserve alimentari, per giungere infineall’estetizzazione degli stessi nei pets oultimamente negli animali virtuali, nessunadi queste prospettive permette di riconoscerela possibilità e nemmeno la necessitàdi un ritorno alla concezione romantica <strong>della</strong>natura.Da un punto di vista puramente editorialesi può infine rimpiangere la mancanza diun indice dei nomi nonché delle indicazionidel nome dell’autore e del titolo del saggioin testa alla pagina, poiché questi piccoliaccorgimenti tecnici sarebbero senz’altroserviti a rendere più agevole l’orientamentoin un volume così ricco e complesso.Alessandro CostazzaGoethe scienziato, a cura di Giulio Giorelloe Agnese Grieco, Einaudi, Torino 1998, pp.558, £. 54.000Il maggior pregio di questo volume, che raccogliegli atti di un convegno tenutosi aCastelgabbiano nel maggio del 1994 per lecure dell’Associazione ScientificaGoetheanistica Italiana, è anche quello piùfacile da apprezzare: il fatto di aver attiratol’attenzione su uno dei temi più trascuratidalla Goethe-Forschung del nostro paese,vale a dire la produzione scientificagoethiana. Questo merito – cui si aggiungepure quello di aver affrontato la delicata questionecon ampiezza e impegno indubbi – èaltresì compensato da vari problemi di diversanatura, primo fra tutti quellodell’impostazione generale del volume. Viè infatti una contraddizione evidente tra ildesiderio degli organizzatori del convegnodi “riattualizzare” in chiave steineriana “laWeltanschauung del grande poeta in ambitonaturalistico, umanistico e psicologico”(p. VII) e il tentativo dei più seri autori delvolume di definire l’oggetto delle loro trattazionicon gli strumenti di una cautafilologia, attenta a inserire la scienzagoethiana entro l’orizzonte storico da cuiscaturisce. E questa contraddizione ha conseguenzemanifeste sull’eterogeneità deicontributi presenti nel volume, i quali seguonostrade diverse e spesso opposte traloro, ora insistendo sulla novità e il carattereanticipatorio <strong>della</strong> scienza di Goethe, ora– più propriamente – mettendone in risaltoil legame profondo con la cultura scientificae filosofica del suo tempo.Questa incertezza di impostazione, che infondo riflette – seppure in modo estremo –


12<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>le contraddizioni presenti nella Goethe-Forschung specificamente dedicata all’indaginedegli scritti scientifici, implica unasostanziale ambiguità nell’impostazione delvolume il quale, non operando una sceltadi campo né presentando una valutazionecritica <strong>della</strong> contraddizione stessa, contaminale diverse impostazioni analitiche lasciandolesemplicemente coesistere l’unaaccanto all’altra con grave danno per la“leggibilità” dei risultati. Chi affronta il volumeè infatti costretto a scegliere ciò chegli interessa scartando il resto per non doveressere costretto ad affrontare i paradossiche scaturiscono da accostamentiimprovvidi (come si può, ad esempio, mettereinsieme un Goethe “anticipatore” <strong>della</strong>meccanica quantistica con il Goethespinoziano presentato da Carlo Sini? O,peggio ancora, come si conciliano il Goethe“kantiano” presentato da Paola Giacomonicol Goethe “traviato” da Kant – e da Schiller– di cui parla Hermann Schmitz (pp. 125-146) E, quel che è peggio, proprio la necessitàimposta al lettore di “scartare” unaposizione a favore di un’altra annulla completamentequello che sarebbe il potenzialepregio dell’impostazione aperta scelta dalvolume, vale a dire l’individuazione di chiaviche permettano il confronto dialettico trai diversi punti di vista e le diverse analisi.In buona sostanza si oppongono nel librodue atteggiamenti – l’uno storicofilologico-filosofico,l’altro scientificoastorico-antroposofico– che si escludonoa vicenda e non pervengono ad alcun realeconfronto. In questo senso la mancanza diqualsiasi dibattito all’interno del volume,che registra pur sempre gli atti di un convegno,è, qui, lacuna particolarmente grave.Anche perché potrebbe persino insinuarsiil sospetto che le posizioni filologicamentefondate siano state inserite nel volume ad“autorevole” sostegno di quelle meno fondatee senza un vero legame di necessitàcon l’impostazione del convegno.Tutte queste incertezze e contraddizioniemergono, del resto, fin dall’introduzionedi Giulio Giorello e Agnese Grieco che apre5 CGil volume. Anche sorvolando su ingenue estucchevoli “presentazioni” come quella cheintroduce il secondo paragrafo dell’introduzione(“I dolori del giovane Werther, manifestodel sentimento romantico dell’amore eal tempo stesso sua lucida e spietata critica[…]”, p. 4) o quella che apre il terzo paragrafo(“La passione per lo studio <strong>della</strong> naturanon abbandonerà mai Goethe: nasce nell’età<strong>della</strong> giovinezza, entro l’atmosfera familiarepietista, segnata dalla figura <strong>della</strong> madre, inun ragazzo di salute cagionevole che riusciràa fare suo il detto Muori e risorgi! […]”) siincontrano spesso incongruenze tali da lasciareinterdetti. L’eccellente saggio di FrancescoMoiso, ad esempio – di gran lunga il miglioredell’intero volume insieme a quello diPaola Giacomoni – prodigo nel dimostrarele profonde, spesso sorprendenti relazioni<strong>della</strong> Naturwissenschaft goethiana col pensierodegli illuministi francesi e degli scienziatiloro contemporanei, viene accostato all’interventodi von Engelhardt e chiamato atestimonianza <strong>della</strong> “piena originalità” diGoethe “rispetto al sapere deglienciclopedisti”; laddove lo stesso interventodi von Engelhardt, tutto dedicato ai rapportitra la scienza goethiana e quella romantica,viene citato a dimostrazione <strong>della</strong> sostanzialeautonomia di Goethe dallo “stile di ricercadei romantici” (pp. 8-9 e note 16 e 18). Ilbello è che, poche pagine dopo, si legge: “Ea nostro avviso Goethe è anche un esempiodi una epistemologia romantica attenta all’intimaconnessione tra filosofia <strong>della</strong> scienza estoria <strong>della</strong> scienza […]” (p. 12).Più sostanzialmente, sempre nel contesto dell’introduzione,il senso <strong>della</strong> criticaantinewtoniana di Goethe viene letto comeattacco ai paradigmi <strong>della</strong> scienza settecentescanel senso <strong>della</strong> teoria delle rivoluzioniscientifiche di Kuhn (p. 12). Ciò potrebbe essereilluminante se non che, proprio conKuhn, ci si potrebbe chiedere quale sia la rivoluzioneprovocata dalle scoperte goethiane,quale significativo mutamento di paradigmiabbia prodotto la critica a Newton e qualenuovo quadro d’insieme essa abbia generato.A questa domanda non c’è risposta espli-


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>135 CGcita nel prosieguo del discorso e l’unica,implicita precisazione, ricavabile così dall’introduzionecome da alcuni contributi delvolume, è: la rivoluzione prodotta daGoethe è conseguenza <strong>della</strong> progettazionedi una scienza qualitativa di contro alla tendenzaquantitativa delle scienze moderne.Risposta insufficiente (poiché nessuna rivoluzionein senso qualitativo si è ancoraprodotta, appunto, nelle scienze moderne)e, in sé, tendenziosa, poiché proviene da unalettura univocamente steineriana degli scrittiscientifici di Goethe nei quali si vuol scoprirel’originario impulso che deve condurreall’avvento <strong>della</strong> scienza qualitativa nelmondo (post)moderno.Tutto questo è già di per sé sconcertante.Ma le perplessità aumentano man mano chesi procede nella lettura dei contributi. Perfare solo un esempio, Martin Basfeld (pp.71-90) si preoccupa prima di tutto di mostrarela compatibilità delle tesi scaturentidall’eresia scientifica goethiana con quelle<strong>della</strong> meccanica quantistica e, citando numerosefonti, ritiene di riuscirci. Questosembra un buon argomento a sostegno dell’interpretazione“rivoluzionaria” <strong>della</strong>scienza di Goethe. Solo che, allora, non sicapisce più bene cosa sia l’eresia goethianastessa, giacché la meccanica quantistica nonè nata contro la scienza moderna, ma da essae in funzione di essa. Basfeld osserva, poi,che il “contenuto concettuale” del fenomenooriginario goethiano è “molto più riccorispetto alla spiegazione dei colori del cieloattraverso la dispersione <strong>della</strong> luce”. Perché?Non c’è risposta. O meglio, la rispostaè demandata alla parafrasi di alcuni concettigoethiani: “Anzitutto Goethe può mostrareche il colore appare sempre al confinefra chiaro e scuro, non appena intervienein questo confine una mediazione materiale.Questo accadere del colore dipendesensibilmente dalle condizioni <strong>della</strong>corporeità e può essere manipolato in sedesperimentale […].”. Dov’è la maggior “ricchezzaconcettuale”? Quando poi Basfeldabbandona questo incerto terreno entranell’antroposofia (che è per lui l’unica antropologiapossibile) di cui ritiene cheGoethe abbia anticipato non pochi tratti. Esarebbe ben difficile dimostrare il contrario,dal momento che proprio l’antropologiasteineriana da Goethe ha preso le mosse.Goethe avrebbe, insomma, anticipato sestesso. Né si creda che il contributo diBasfeld sia anomalo rispetto alla qualità delvolume. Si guardino, per fare alcuni altriesempi facilmente moltiplicabili, gli interventidi René Thom (pp. 253-297) o BrianGoodwin (pp. 426-455) oltre a quello, giàcitato, di Hermann Schmitz (pp. 125-146).Anomali sono piuttosto i già citati saggi diPaola Giacomoni e Francesco Moiso, chericonsiderando la posizione storicoepistemologica<strong>della</strong> scienza goethiana fornisconoun contributo fondamentale alla ricerca.Peccato per la sede che li ospita.Un’ultima considerazione merita la scarsaqualità delle traduzioni dei contributi e <strong>della</strong>cura redazionale. Particolarmente arduaè la lettura dell’intervento di von Engelhardt(tradotto da Lucia Parlato) di cui si può offrire,in chiusura, un frammento di trascrizione“semi-paleografica”. Qui, oltre airefusi sottolineati e alle scelteterminologiche, si fa notare una notevoleinventiva nell’uso <strong>della</strong> punteggiatura:“Tra Goethe, i naturalisti e i medici del Romanticismo,così come tra il poeta e iNaturphilosophen speculativi Schelling ed(sic!) Hegel, ci furono numerosi contatti personalie scientifici. Per Goethe questi rapportisono di particolare importanza, poichégli comunicano la sensazione che i suoi lavoridi naturalista stanno ottenendo una certarisonanza e quella che tra i ricercatori naturalie i medici ci sono persone a lui vicine econ lui in sintonia. Dice Goethe in una letteraa Steffens, ringraziandolo per l’invio del(sic!) Beiträge zur inneren Naturgeschichteder Erde:All’epoca in cui in cui (sic!) imboccai quellache per me era l’unica via possibile perstudiare la natura, mi trovai del tutto solonel vasto mondo, quindi tanto più mi devosentire piacevolmente ricompensato, se trovocompagnia in giovani che avanzano vi-


14<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>vacemente sullo stesso terreno e devo avereuna fiducia ancora più pura nel loro concordarecon me, quando arrivano da regionidel tutto lontane, arricchiti di inattesi tesori,per incontrarmi senza alcun appuntamento,(sic!)Steffens, che non aveva una grande opinionedell’ottica di Goethe, mentre ammirava isuoi scritti sulla metamorfosi delle piante,ci descrive così nell’autobiografia Was icherlebte il suo soggiorno a Jena tra la fine difebbraio e l’inizio del marzo 1799: ‘Goetheaveva un grande desiderio di comunicare,per lui si trattava di convincere giovani naturalisti<strong>della</strong> giustezza delle proprie opinioni.Quel paio di giorni trascorsero in unintrattenimento continuo di scienza naturale’” (pp. 34-35).Luca CrescenziEmilio Bonfatti e Maria Fancelli (curatori),Il primato dell’occhio. Poesia e pittura nell’etàdi Goethe, Roma, Artemide Edizioni,1997, pp. 278, £. 50.000Fenomeno squisitamente novecentesco è iltentativo di superare i limiti del mezzoespressivo mediante il ricorso a strumenti oespedienti formali propri di un’arte differente,in una moderna ricerca di un assoluto,ormai inafferrabile come totalità organicama intuito nella somma di frammenti disparati.L’aspirazione alla fusione delleespressioni artistiche in un incrinatoGesamtkunstwerk, da Kokoschka aKandinsky, da Schönberg a Lasker-Schüler,da Schlemmer a Barlach, è riferimento d’obbligodi una moderna sperimentazione dagliesiti profondamente innovativi. In talecontesto le diverse arti appaiono come sistemidi significazione segnica in grado diinteragire fra loro, ovvero di prendere o darea prestito espedienti formali, pur nella sostanzialedisomogeneità degli strumentiespressivi.La sperimentazione del primo Novecento è5 CGil punto d’approdo di una sinuosa e appassionanteriflessione su rapporti e relazioni frale arti, nella fattispecie fra parola e immagine,fra segno linguistico e figurativo, che si èdipanata, con coinvolgimento di letterati epensatori, dal Settecento in poi: dallessinghiano saggio sul Laokoon il dibattitoestetico ha visto nel raffronto fra “le arti sorelle”un momento forte <strong>della</strong> riflessione teoricache, nel passaggio dalla postulazionedel primato di un’arte sull’altra al revival dell’anticoprecetto “ut pictura poesis erit” e allerelative polemiche asserzioni hegeliane, harecato un contributo fondamentale alla genesidell’estetica moderna.Il volume, a cura di Emilio Bonfatti e MariaFancelli, dal titolo Il primato dell’occhio. Poesiae pittura nell’età di Goethe, dedicato aGiuseppe Bevilacqua in occasione del suosettantesimo compleanno - che raccoglie neisuoi quattordici saggi la versione, in diversicasi ampliata, delle relazioni tenute in occasionedel convegno di studi dal titolo Poesiae pittura nell’età di Goethe (Firenze, SanMiniato 1995) - indaga i differenti aspetti assuntidalla riflessione teorica e dalla prassiartistica, i risvolti estetici e letterari del fittodibattito che, muovendo dalla trasformazionedel gusto e <strong>della</strong> funzione dell’immaginebarocca nella riflessione dell’Aufklärung, approdaa quell’operazione di appropriazionee utilizzo di suggestioni di gusto squisitamentepittorico da parte <strong>della</strong> narrativa dei romantici.Tale percorso attraversa la Goethezeit inun proficuo intrico di riflessioni che si muovononelle direzioni più diverse, a partire daun nucleo comune rintracciabile nella dialetticafra percezione visiva e conoscenza, esterioritàcolta mediante lo sguardo e interiorità,forme naturali e loro trasfigurazione artistica.Gli apporti giungono dalle discipline più diverse:la fisiognomica che, nel suo trasformarsiin quella che Lessing definisce più appropriatamente“moralische Semiotik”, stabilisceun inedito e più saldo legame fra immaginee parola, come si evince dallo studiodi Emilio Bonfatti che ripercorre gli scritti diThomasius e Rohr e la correzione les-


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>155 CGsinghiana nella ricezione dell’opera diLavater (Il ritratto fra fisiognomica e“semiotica morale”, pp. 35-49); la psicologiache negli studi del medico e pittoreCarl Gustav Carus, scandagliando il rapportofra interiorità e mondo esterno, framicrocosmo e macrocosmo, approda allapostulazione dell’inconscio come forma reconditadell’attività psichica; ciò accade inun fitto intreccio di indagine medica (che sipropone come strumento particolare <strong>della</strong>più vasta indagine <strong>della</strong> natura) ed esiti erisvolti filosofici delle osservazioniempiriche nello spirito <strong>della</strong> concezioneromantica <strong>della</strong> Naturphilosophie (StefanoPoggi, La fisiognomica dell’anima: CarlGustav Carus, pp. 51-83); l’estetica con lasua variegata riflessione sul concetto diNachahmung, dal dibattito settecentesco sulnesso arte-natura alla lessinghiana teoria delgenio artistico (Ingrid Hennemann, Aspetti<strong>della</strong> ricezione di Charles Batteux in Germania,pp. 85-111). Questo studio diHennemann rilegge con chiarezza e profonditàil classico di Batteux, Beaux arts réduitsà un même principe, rilevando la modernitàdelle sue osservazioni per i futuri percorsiestetici (“les expressions, en général, nesont d’elles mêmes, ni naturelles, niartificielles: elles ne sont que signes”) e gliequivoci che da Herder a Goethe, ad AugustWilhelm Schlegel segnarono la comprensionedell’opera tradotta in tedesco daBertram e da Johann Adolf Schlegel nel1751. Viene inoltre messo in luce il debitocontratto dai teorici tedeschi nei confrontidi spunti e particolari asserzioni dell’operadi Batteux, come nel caso di Winckelmanne <strong>della</strong> distinzione fra “quel nachahmen cheè semplice ritrarre (in stile olandese) e quelnachahmen che è raffigurazione idealizzante”(p. 99), o come nel caso di Lessing che,a differenza di altri, apprezzò l’originalitàdel pensiero del francese in merito alla precedentetrattazione del concetto <strong>della</strong>Naturnachahmung, pur muovendo un passoindietro nella distinzione operata fra “presuntanaturalità” dei segni pittorici e “presuntaarbitrarietà” <strong>della</strong> parola (p. 101) rispettoalla equiparazione di Batteux dei diversimezzi espressivi in base alla loro comunematrice segnica.A partire dalla concezione goethiana del“Bild”, affidata alle parole delle Maximenund Reflexionen, Harald Steinhagen ricostruisce,in un denso e ben articolato saggio(“Bey mir ist das Auge vorwaltend”.Theoretische Überlegungen zur gegenständlichenBildlichkeit bei Goethe, pp. 131-141) di rilievo anche per le interessanti implicazioni<strong>della</strong> parte conclusiva con la suaipotesi di interpretazione del procedimentodi scrittura simbolica come paradigma di unfuturo realismo di “utopische Provenienz”,il procedimento poetico goethiano a partiredall’elaborazione <strong>della</strong> “Erscheinung” sensibilenella “Idee” <strong>della</strong> medesima: la rappresentazionesimbolica del dato percepitodal soggetto si svincola da ogni equivoco diordine mimetico, in quanto il “Bild” non siconfigura come “Abbild”, anzi, mediantel’elaborazione creativa dell’occhio, garantiscela ricreazione dell’essenza <strong>della</strong>“Erscheinung” per il tramite <strong>della</strong> realizzazionedei suoi nessi con il tutto e di organicocoordinamento delle sue parti.Nello studio dedicato da Elena Agazzi alladifferenziata interpretazione delle “NozzeAldobrandine” (Le nozze Aldobrandine:simbologia e rito da Winckelmann aBöttiger, pp.113-129) si profila quella significativatrasformazione <strong>della</strong> fruizione dell’operad’arte da una prospettiva storico-erudita,come era stato per Winckelmann, allaricezione filtrata da una sensibilità prettamenteestetica come sarà per i romantici.Alla letteratura romantica nei suoi rapporticon le arti figurative sono dedicati studi chericostruiscono l’elaborazione di topoi letteraria partire dalla loro valenza figurativa(Uta Treder, Madri, madonne e marmi, pp.159-190; Rita Svandrlick, Funzioni del ritrattofemminile nell’opera di E. T. A.Hofmann: Das öde Haus, pp. 225-238), cheanalizzano la teorizzazione <strong>della</strong>trasferibilità dei mezzi espressivi <strong>della</strong> pitturae <strong>della</strong> poesia (Claudia Corti, Blake,Goethe e le arti sorelle, pp. 191-201), che


16<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>sondano il nesso fra forme di percezione edi composizione formale (Patrizio Collini,“Weltuntergangserlebnis” e “Neues Sehen”in Franz Sternbalds Wanderungen, pp. 239-248), ovvero che dettagliatamente esaminanola funzione che diversi referenti figurativiassumono nell’opera di un autore, fino aicasi in cui la narrativa stessa viene a nascereda un soggetto pittorico rispetto al qualeessa si pone in rapporto di contiguità e disuccessiva espansione (Matteo Galli, DesVetters Eckfenster. Summa figurativa di E.T. A. Hoffmann, pp. 203-224). In tale campod’indagine s’inoltra l’appassionante saggio“Das Gothische durch den Geist”. K.F. Schinkel e il romanticismo (pp. 249-270)dedicato da Michele Cometa alla rievocazionedel fitto e stimolante intreccio fra letteraturae architettura (intesa sia come realtàcostruttiva sia come spunto pittorico), che,con svariate implicazioni estetiche epoetologiche, filosofiche e politiche, pervasel’ambiente berlinese <strong>della</strong> prima metà dell’Ottocento:attraverso l’analisi <strong>della</strong> funzioneassunta dall’architettura gotica nell’operafigurativa dell’architetto e pittoreKarl Friedrich von Schinkel, nonché dei rapportitematici esistenti fra la pittura di questoartista, noto principalmente come esponentedel classicismo architettonico tedesco,e squarci narrativi di autori del tardo-romanticismo,a Schinkel vicini sia per rapportidi amicizia che per affinità esteticoideologiche,come fu il caso di Arnim eBrentano, Cometa approfondisce aspettifondamentali dell’estetica romantica, quali,per esempio, la concezione del paesaggiofantastico come alimento di sentimentireligiosi ed etici, di “höhere moralischeTendenzen” (cit. di K. F. Schinkel, p. 264),ovvero i risvolti ideologici di quel tentativodi fusione fra classico e moderno, di quelsincretismo fra spirito greco e spiritogermanico che accomuna l’impostazione dinumerosi suoi dipinti e diversi spunti poetici,quali l’ambientazione del capitolointroduttivo <strong>della</strong> Gräfin Dolores di Arnim.L’impiego di elementi pittorici nella scritturapoetica e di strutture narrative o di5 CGfigurazione allegorica nella pittura si rivelafortemente significativo per gli esiti politici<strong>della</strong> riflessione in merito alla crisi dell’epocae alla sua rinascita.“Le arti sorelle” nell’evoluzione delle reciprocherelazioni e interazioni tracciano il percorsodi sentieri che esulano dal territorio<strong>della</strong> pura speculazione estetica, dal qualeesse pur muovono e che fecondano sensibilmente,trasformandosi in un occhio privilegiatoper l’osservazione <strong>della</strong> genesi ematurazione dei nodi cruciali di un’interaepoca.Grazia PulvirentiGerhard Kaiser, Faust o il destino <strong>della</strong> modernità,a cura di Aldo Venturelli, trad. diLuca Crescenzi, Milano, Guerini e Associati,1998, pp. 142, £. 24.000“Faust vuole dapprima essere assoluto, quindiagire in modo assoluto”. Con questa frasepregnante, sintetica variante dell’affermazionegoethiana a Eckermann secondo cui “laprima parte del Faust è quasi del tutto soggettiva(...) mentre nella seconda appare unmondo più elevato, ampio, chiaro e privo dipassione”, Gerhard Kaiser esprime nelle primepagine del suo volumetto un’idea guidache sotto la sua quasi scontata formulazionedischiude problematici orizzonti interpretativie costruisce proiezioni nel presente.Innanzitutto occorre osservare che l’accentuatotasso ermeneutico del saggio di Kaisere l’insistente attrazione di Faust come “rappresentantedell’umanità” nelle articolazioniideologiche <strong>della</strong> modernità discendono daun esemplare e originale impianto saggisticoraramente praticato. Il testo di Kaiser, pubblicatonel 1994 con il titolo Ist der Menschnoch zu retten?, più accattivante di quellodell’edizione italiana, si compone infatti didiciassette brevi capitoli, ognuno dei quali èun’incisiva, talora provocatoria, incursionecritica nell’opera goethiana, seguiti da treExcursus esplicativi dei fondamenti ermeneuticied ‘epistemologici’ dell’autore. Al


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>17lettore è delegato il compito di diluire ildenso concentrato critico del testorecuperando, anche filologicamente, il percorsofaustiano dalla cui intensafrequentazione Kaiser rileva alcune fondamentalicostellazioni.Dato per scontato il superamento <strong>della</strong> prospettivadel Faust “quale monumento <strong>della</strong>grandezza germanica”, o secondo Heinrichvon Treitschke, come “raffigurazione simbolica<strong>della</strong> storia patria”, sgombrato quindiil terreno dai “pregiudizi”, Kaiser applicala definizione goethiana del Faust come“opera incommensurabile” per così dire almotore <strong>della</strong> tragedia, cioè a quell’inesauribile“energia antropologica” del protagonistache, incarnando l’essenza dell’umanità,si colloca “entro la nuova costellazionedi natura, economia e tecnica che conducealla moderna società industriale e allesue degenerazioni”. La categoria <strong>della</strong> modernità,che si rivela come crisi del soggettocalato ormai nella natura in un rapportosentimentale, caratterizzato dalla scepsi,dall’egocentrismo, dall’autoreferenzialità,diviene nell’indagine di Kaiser il paradigma<strong>della</strong> transizione, storicamente databile frail 1770 e il 1830, dall’homo encycliosall’homo oeconomicus nella possibileprefigurazione di un homo novus. Da questopunto di vista ci sono significativetangenze con l’evoluzione dei Bildungsromanegoethiani. E’ fuor di dubbio,come osserva Kaiser, che “quanto maggioreè la sensibilità sismografica del poeta (...)tanto più profonda è la comprensione delletendenze epocali fondamentali, ma anchel’intuizione degli sviluppi che si preparanosullo sfondo”, tuttavia la conclusione cheFaust “in quanto rappresentante <strong>della</strong> modernità- sia - l’ultimo rappresentante dell’umanità”in forza <strong>della</strong> dinamizzazione edell’“accelerazione esponenziale” dell’impulsovitale dell’uomo più che discutibilerisulta troppo sbilanciata sul nostro presente,come attestano i riferimenti all’“esplorazionedell’energia atomica”, alla “scoperta<strong>della</strong> codificazione genetica” o ai rapportifra letteratura ed ecologia. La dimensione5 CGallegorica <strong>della</strong> tragedia, il poliprospettivismoche discende dal canone di operaclassica alimentano certamente la tentazionedi definire sequenze di anticipazioni rafforzandola suggestione sillogistica secondocui “se Faust è rappresentante dell’umanità,se è rappresentante <strong>della</strong> modernità,allora noi siamo Faust”. Occorre infatti tenerpresente che le potenzialità e le proiezionidi Faust nella Moderne non solo derivanodalla specificità storica fra Sette e Ottocento,ma si inscri-vono nella grande sintesipoetica di passato e presente come ricordalo stesso Goethe nel 1826: “Ma l’operanon poteva essere compiuta se non nellapienezza delle epoche perché si svolge nell’arcodi tremila anni, dalla caduta di Troiaalla distruzione di Missolungi, in manieracerto fantasmago-rica, ma nel rispetto piùcorretto dell’unità di luogo e di azione”. Sidovrebbe allora più opportunamente affermareche Faust rappresenta l’umanità inquanto riassume e sopporta la storia di unacultura occidentale alla luce di una sensibilitàesistenziale ed estetica ormai consapevole<strong>della</strong> distanza del soggetto dalla natura,spesso radicalizzata proprio a seguito diquelle strategie che dovrebbero consentirneil recupero.Fra “le strutture e polarità di fondo” delFaust, come Aldo Venturelli definisce nellapostfazione gli elementi costitutivi e le coordinate<strong>della</strong> lettura di Kaiser, c’è la costellazionedello Streben di cui il criticopresenta nei primi capitoli un’articolatafenomenologia valorizzandone quellatrasformatrice energia antropologica “comeimpulso indomabile al dominio su se stessie sul mondo”. La tensione e l’azione infinitadell’uomo sono interpretate da Kaisercome un ‘esistenziale’ che da un lato potenzia“un Prometeo più sofferente e fondamentalmentepiù nichilista”, dinamizzando eproblematizzando nel progetto divinol’esperienza di Giobbe, dall’altro, “comeaspirazione umana che mette in dubbio l’esistentein nome delle sue alternative”, si contornadi condizioni esistenziali, “inquietabilitàe inquietudine”, errore e colpa,


18<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>autorealizzazione e autodistruzione, ben fissateda Mefistofele nel Vorspiel auf demTheater: “Ein wenig besser würd er leben,/Hättst du ihm nicht den Schein desHimmelslichts gegeben;/ Er nennts Vernunftund brauchts allein,/ Nur tierischer als jedesTier zu sein.” La compenetrazione di Strebene Irren (“Es irrt der Mensch, solang erstrebt”) diviene così la modalità di esisteredi Faust ma anche la motivazione <strong>della</strong> suascommessa col diavolo, e non del pattocome secondo tradizione, di esorcizzare lastasi e l’appagamento dell’attimo (“Werd’ich beruhigt je mich auf ein Faulbett legen,/So sei es gleich um mich getan!”). PerKaiser lo Streben è cifra <strong>della</strong> colpa e lavita fantasmagorica di Faust, “imitazioneparodistica di Cristo”, significa l’assunzionesu di sé del dolore, la consapevolezzadell’irredimibilità e la condanna a una freneticaperegrinazione. Kaiser nota giustamentecome nel non compimento dell’attimo,anzi nella sua costante distruzione sipossa cogliere l’”esperienza dell’insensatezza”propria del mondo moderno i cuidecorsi sono “senza fine e senza scopo”. Suquesta linea interpretativa si potrebbe aggiungerecome in certe parti del poema lavisione antiascetica e nichilistica di Faust,la sua insofferenza di fronte agli eventi prevalganosulla stessa volontà di conoscere“was die Welt/ Im Innersten zusammenhält”.Molto interessanti sono le osservazioni diKaiser a proposito dello Umschlagdialettico dello Streben non dominabile edisorientante di Faust nella tensione religiosadell’epilogo che lo avvolge e lo redime.Lo Streben goethiano, mirando alla conoscenzae alimentandosi nel flusso dell’esperienzanon nega la dimensione etico-religiosae non si pone, come il principio distruttoredi Mefistofele, in alternativa al bene eall’amore che con l’intervento <strong>della</strong> MaterGloriosa nel finale costituiscono anzi l’approdoe il “ritorno al fondamento creatoredell’esistente”. È significativo a questo propositoil richiamo di Kaiser al Wanderlied(1821) di cui tuttavia occorre citare entrambii versi conclusivi <strong>della</strong> prima strofe: “Und5 CGdein Streben, seis in Liebe,/ Und dein Lebensei die Tat!”. Qui appare esplicito lo strettoconnubio di tensione <strong>della</strong> ricerca, previstada Dio, e azione. L’adesione e l’abbandonoall’energia dello Streben comporta l’erroree la colpa ma anche la redimibilità di una “forzacreatrice e potenza d’amore che crea ilmondo e tuttavia è nel mondo”. Un rilevantee impegnativo contributo alla discussione èdato dal capitolo Può salvarsi l’uomo?Streben e amore. Simbologia dei sessi e redenzionein cui Kaiser scioglie il nodo deitermini antitetici: colpa, dedizione e redenzione.Se, come abbiamo visto, la colpa è connaturataallo Streben e alla vocazione all’esperienzanon si può non condividere laposizione di Kaiser secondo cui l’attivismodi Faust denota una hybris finalizzataall’autorealizzazione e al superamento dellimite. “Lo scatenamento dello Streben” implicanon solo “l’oblio <strong>della</strong> dedizione”, masoprattutto l’incompatibilità del principio<strong>della</strong> Entsagung che nei Wanderjahre delimitail campo dell’azione calamitandola sulterreno <strong>della</strong> unilateralità. A differenza delBildungsroman Kaiser ritiene che “la redenzionedi Faust stia nell’integrazione del suoStreben con ciò che egli stesso ha rimosso: l’amore come dedizione”. Le precedenti manifestazionidell’amore nelle figure femminili,le Madri, Galatea, la Mater Gloriosa,anticiperebbero secondo l’ipotesi di Kaiseril definitivo intervento dell’Eterno femmininodi Gretchen, compensazione <strong>della</strong> colpevoleaspirazione all’Assoluto dettata dallaparte maschile del divino. La salvazione el’immortalità di Faust nella sua entelechiatraggono più probabilmente alimento da unapotenza dell’amore che faccia da antidoto alculto di un onnisciente individualismo autoreferenziale.I capitoli centrali del testo di Kaiser hannoper oggetto due grandi costellazioni tematiche:la natura e l’economia. Il rapporto diFaust con la natura, più che nelle dinamichedel poema, dall’identificazione fallita con loErdgeist, alle arcadiche e rivitalizzanti immersioninel mondo degli elfi, è affrontatosul piano delle trasformazioni prodotte dalla


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>19tecnica che rendono contraddittoriol’accostamento all’elemento naturale semprepiù violato e denaturato come attesta ilseguente passaggio: “Quanto più l’uomotoccava e violentava la natura, tanto più lanatura intatta gli diventava sacra. Unamaterializzazione di questi struggimenti fuil paesaggio ideale del giardino inglese che,concepito nel XVIII secolo, liquidò il parcofrancese”.Maggiore spazio è dedicato all’inquadramentocritico dell’universo economico introdottonelle prime scene <strong>della</strong> secondaparte del Faust come teatro nel teatro mediantela rappresentazione del corteocarnevalesco, preludio alla messinscenadell’invenzione <strong>della</strong> cartamoneta. Pur noncondividendo la tesi meccanica di HansChristoph Binswanger, secondo cui la magianel Faust è “travestimento allegorico<strong>della</strong> creazione economica di plusvalori chenon possono essere spiegati con il lavoro”,Kaiser riconosce a Goethe la giusta valutazionedel rapporto fra rivoluzione industrialee immissione di buoni del tesoro e, fattoancora più importante, la premonizione delcircolo virtuoso, fonte di catastrofi monetarie,di realtà produttiva e denaro. Alla constatazione,per quei tempi paradossale, chei biglietti di banca potessero essere una forzademiurgica e la fantasia <strong>della</strong> speculazionesuperare le leggi economiche, Goethe-fa notare Kaiser- oppone la tradizione, caricadi simboliche ambivalenze, dell’oronella Canzone del re di Thule ovvero nelportagioie fatto trovare a Gretchen. L’auradel metallo prezioso è ancora inserita nelladimensione dell’idillio, quella stessa che piùavanti sarà definitivamente distrutta dallostesso Faust con l’uccisione di Filemone eBauci e del Viandante.Denaro, creazione di intelligenza artificiale,cinica imprenditorialità mascherata diutopia sociale, conflittuale rapporto con lanatura, questi sono alcuni dei grandi temiche, rivelando le capacità premonitrici diGoethe, sollecitano il lettore contemporaneoa un dibattito riconducibile in definitivaalla facoltà <strong>della</strong> Vernunft e soprattutto5 CGai suoi modi operandi. Nella prospettivadell’ ermeneutica storica proposta da Kaiser,che attualizza strutture di base <strong>della</strong> civiltàoccidentale, sembra purtroppo restare in secondopiano proprio la sfera dell’arte chene permette la rappresentazione. Dal carrocarnevalesco Faust, mascherato da Pluto, dio<strong>della</strong> ricchezza, congeda “zur Einsamkeit”l’auriga, il Knabe Lenker che, figurazione<strong>della</strong> poesia, la definisce “Verschwendung”.Creatività e prodigalità poetiche caratterizzanoin seguito il destino infausto diEuphorion la cui vocazione all’ispirazionee alla lotta si dissolve come la bellezzafunesta <strong>della</strong> madre Elena. Goethe stessorimuove le figurazioni <strong>della</strong> poesia sebbeneil Knabe Lenker, ricordando l’arpista neiLehrjahre, si reputi “unermeßlich reich” e“dem Plutus gleich”, ma in realtà nel caosdelle manipolazioni finanziarie la sua ricchezzanon è monetizzabile. Il bando <strong>della</strong>poesia e <strong>della</strong> bellezza come oggetto dell’artedi Goethe sembra dettato dallatentacolare affermazione <strong>della</strong> sfera economicanella quale si traduce anche lo Strebendi Faust. Kaiser osserva che “se è vero cheil Faust ha un occhio per la modernità, veroè anche che il suo sguardo cade pure sullapoesia stessa”. E’ lo sguardo acuto delnocchiero Linceo che, abbagliato dalla bellezzadi Elena, trascura il suo compito diguardiano e alla rapacità <strong>della</strong> preda sostituiscela contemplazione del bello, il godimentodell’oggetto senza interesse. Del restoForciade stessa, rivelando a Elena la fineche le avrebbe riservato Menelao, ne dà anchela motivazione: “Unteilbar ist dieSchönheit; der Sie ganz besaß,/ Zerstört sielieber, fluchend jedem Teilbesitz”. L’allusionealla “Anmut” affranca il bello dal possessorendendolo universalmente, liberamentefruibile e rappresentabile dalla poesianella sua “Verschwendung”.Sono richiami e raccordi questi non presentidirettamente nell’opera di Kaiser, ma che,grazie alla sua tessitura ermeneutica, riescespesso a evocare coinvolgendo il lettoreinattesi percorsi interpretativi. Di fronte allavastità e alla portata dei temi che il Faust


20<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>tramanda alla Moderne vale però semprela pena ricordare, come opportuno contrappeso,le parole di Goethe a Eckermann, validenon solo per i Tedeschi ma per tutti noi:“I Tedeschi sono, del resto, gente assai bizzarra!Con i loro pensieri profondi e le loroidee che cercano e infilano ovunque, si rendonola vita più difficile di quanto dovrebbeessere. Via, abbiate dunque una buonavolta il coraggio di abbandonarvi alle impressioni,di lasciarvi ricreare, di lasciarvicommuovere, elevare, istruire, infiammaree animare verso qualche cosa di grande”.Fabrizio CambiClaudia Sonino, Esilio, diaspora, terra promessa.Ebrei tedeschi verso Est, Milano,Bruno Mondadori, 1998, pp. 262, £ 24.000“L’aspetto dell’ebreo polacco è orribile”, affermaHeine nella relazione del suo viaggioin Polonia pubblicata col titolo Über Polennel 1822. Neppure il “WadzeckscheWochenblatt” ridotto in poltiglia, scrive ancoraHeine, potrebbe procurare maggiore ribrezzodi quella massa di straccioni abituatia vivere in luride stamberghe e a parlareun gergo (lo jiddisch) più lacerante del “nobilediscorso di un ginnasiale entusiasta deicampi sportivi e <strong>della</strong> patria”. Quest’ironiasferzante cede però il passo a un sentimentodel tutto diverso, capace di riconoscere,sotto la veste esteriore, anche l’intima nobiltàdi un popolo che aveva tenuto vivo illume del sapere in un mondo - quello deiterritori slavi ad Est dell’Oder - rurale e incolto.Certo, le forme di vita degli ebreiorientali appaiono ad Heine, rispetto al livello<strong>della</strong> cultura europea, inadeguate, ancoratea una religiosità medievale, superstiziosa,stravagante come il pittoresco abbigliamentoe l’aspetto stesso degli ebreiorientali. “Tuttavia”, scrive ancora Heinecapovolgendo di fatto il giudizio iniziale,5 CG“nonostante il barbarico berretto di pellicciache gli copre il capo e le ancor più barbaricheidee che quel capo riempiono, apprezzol’ebreo polacco molto di più che non qualcheebreo tedesco che pone il suo Bolìvar incapo e il suo Jean Paul dentro il medesimo.Nel suo duro isolamento, il carattere dell’ebreodi Polonia divenne un tutto unitario[...]”. Di fronte alla spersonalizzazione e allacontaminazione <strong>della</strong> vita nella diaspora occidentale,gli ebrei orientali rappresentanoagli occhi di Heine l’esempio vivente diun’identità unitaria, di una fedeltà a radicireligiose e culturali per cui avevano accettatodi abbandonare, dopo secoli, i territori tedeschi.Le pagine di Heine, nella loro apparente contraddittorietà,anticipano i termini del complessorapporto dell’ ebraismo di lingua tedescacon il mondo degli ebrei orientali, “fratellie stranieri”, come dice il titolo di un altroimportante studio su questo argomento(Stephen.E. Aschheim, Brothers andStrangers: The East European Jew in Germanand German Jewish Consciousness, 1800-1923, Madison, University of WisconsinPress, 1982). Un incontro spesso conflittualema da cui scaturiranno, soprattutto nel primidecenni del Novecento, grandi esperienzeletterarie (si pensi a Kafka, a Roth, o aBroch).In questo universo ci conduce ora il libro diClaudia Sonino con il supporto di una bellascelta antologica di scritti di Heine, TheodorLessing, Arnold Zweig, Döblin e Roth. Sullosfondo <strong>della</strong> lezione di Claudio Magris,Esilio, diaspora, terra promessa prende inesame le relazioni di viaggio di alcuni grandiintellettuali ebrei di lingua tedesca, dipanandoun percorso lucido e articolato che haproprio nel viaggio, nel transitare, il suo centro,l’idea portante. Non tanto l’ebraismoorientale in sé è infatti l’oggetto ultimo diquesto prezioso studio, quanto il viaggio aritroso o l’approdo a un mondo la cui verità èincrollabile, tanto che, come scriveva FranzRosenzweig, “potrebbe essere nascosta nelguscio di una noce e interi tomi potrebberosoltanto nuovamente offuscarla”; e tuttavia,


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>215 CGa sua volta, è legata alla condizione di esilio,di separazione, di transitorietà rispettoal tempo, allo spazio, alla storia.La prima parte dello studio di Claudia Soninoricostruisce con ampio respiro il dibattitoavvenuto nella cultura ebraico-tedescaa partire dall’Ottocento sulla questionedegli ebrei orientali; un confronto fraBildungsbürgertum ebraico e Ostjudentumche assumerà nuove, significative valenzealla luce <strong>della</strong> crisi dell’assimilazione e <strong>della</strong>cultura di fine Ottocento. Riassumendo esemplificando: dall’epoca dell’Haskala,l’illuminismo ebraico, fino alla nascita delmovimento sionista, l’atteggiamento prevalentenel mondo ebraico occidentale è quelloumanitario, volto a soccorrere, servendosianche degli strumenti culturali dell’Occidente,un popolo esposto a periodiche violenzee vessazioni, prostrato da un degradonon solo materiale, ma anche fisico, culturale,spirituale. Questo atteggiamento, fondatosu elementi in parte oggettivi, comedimostrano le disincantate considerazionidel filosofo Theodor Lessing in margine alsuo viaggio in Galizia del 1906, degeneròspesso, a livello popolare, in un complessodi pregiudizi e stereotipi in cui la presuntasuperiorità culturale si intreccia con il timoreper qualcosa che è avvertito ormaicome “altro”, socialmente e psicologicamentedestabilizzante. Gli ebrei orientali chea causa dei pogrom e delle guerre trovaronoa più riprese riparo in Occidente non rappresentavanoinfatti soltanto una minaccia,concreta o potenziale, per l’equilibrio fra lecomunità ebraiche assimilate e il mondo circostante.Essi erano l’immagine vivente diun passato di miseria che si voleva nellamaggior parte dei casi cancellare; ma ancorpiù erano l’espressione di un’identità che,per quanto rimossa e talvolta apertamentedisprezzata, rimaneva così unitaria - comequasi cent’anni dopo Heine avrebbe dettoKafka nel suo Discorso sulla lingua jiddisch- da mandare in frantumi quella posticcia otroppo labile del presente.Non è un caso che la riscoperta del mondoebraico orientale avvenga a partire dagli ultimianni dell’Ottocento, sulla spinta deinazionalismi di fine secolo, e ancor più <strong>della</strong>crisi <strong>della</strong> nozione di soggetto e di identitàdel mondo occidentale, che la cultura ebraicadi lingua tedesca coglie e amplifica dallapropria condizione di insularità esradicamento. Il viaggio verso Est si porràallora come un percorso alla ricerca di unVaterland, che è, per alcuni di questi autori,“terra del padre”, delle radici familiari e dell’infanzia;ma che, in senso lato, rappresentala terra dei padri, delle origini, <strong>della</strong> perdutaidentità con e nel popolo ebraico. Comeosserva Claudia Sonino, nei primi decennidel Novecento il viaggio in Polonia vienecosì a sostituire idealmente il viaggio inPalestina, ricerca di una patria del cuore edello spirito alternativa a quella nel tempoe nello spazio voluta dei sionisti.Claudia Sonino sottolinea giustamente l’importanzadel pensiero nietzschiano, in particolare<strong>della</strong> categoria del dionisiaco, nelledescrizioni di questi viaggiatori: nell’ideadi una incessante metamorfosi, di un grembooriginario, di un abbraccio collettivo, entusiasticoed estatico, in cui la frantumazionedell’io borghese viene ricomposta e superata.Il mondo ebraico orientale è musica,gestualità, infinità di voci, brulichio diuna vita che travalica di continuo la dimensionesoggettiva. Ritroviamo in questi raccontidi viaggio le sensazioni e sentimentiche suscitò in Kafka l’incontro con il teatrodegli attori jiddisch di Lemberg. Si vedanole bellissime pagine che Döblin dedica allacoralità pulsante <strong>della</strong> Varsavia ebraica o alpellegrinaggio dei chassidim alla corterebbe di Gòra Kalwaria: “una massa nerache si agita in modo quasi mostruoso - centoteste, cento spalle le une vicino alle altre,fitte fitte -, che si trascina, si snoda, unaschiera di formiche. E dalla parte oppostavengono loro incontro altre persone, altreguardano in giù dalle finestre delle casette,salutano”. Un movimento circolare in cuiconfluiscono i momenti fondanti <strong>della</strong> vitaebraico-orientale: il lavoro, lo studio, la preghiera,l’antico dolore nel giorno di YomKippur, quando nel cimitero i lamenti


22<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>“come singoli pennacchi di fumo si levanoin alto e diventano una nube densa”. Questa“massa nera”, questa “nube densa”, questofiume opaco e indifferenziato è tuttaviapercorso da un movimento che va dall’oscuritàalla luce. Anzi qui “l’oscurità è luce”,scrive Döblin con parole che sembrano tratteda una parabola di Kafka. Gli stereotipi deldegrado, <strong>della</strong> promiscuità e <strong>della</strong> sporciziadegli ebrei orientali, subiscono così, nei testiesaminati da Claudia Sonino, una radicaletrasvalutazione, divengono gli indici diuna sacralità che sta al di là, che sfida lecategorie razionali e morali del pensiero occidentale.Sulla promiscuità <strong>della</strong> vita degliebrei orientali è infatti impresso il sigillo diuna regalità spirituale, di una temperie morale,come ammetterà Theodor Lessing purmantenendo una posizione fortemente criticanei confronti di quel mondo. Il fluireindifferenziato <strong>della</strong> vita degli Ostjuden tendeall’ascesi, all’alto. L’alto, di contro, sembravoler scendere, diffondersi in ciò che èbasso. “Se il Buon Dio venisse a Lemberg”,scriveva Roth, “percorrerebbe la Via delleLegioni a piedi”. Come insegnavano ichassidim “lo spirito e la strada” non siescludono affatto; anzi nel colloquio con ilprossimo “si può trovare la via verso Diocome con lo studio <strong>della</strong> Torah e la preghiera”.Se da un lato, dunque, vige in questomondo un costante trascendimento dell’individuonel grande corpo collettivo, dall’altro assistiamo, soprattutto nelle pagine diDöblin e Roth, alla riscoperta di un io che,lungi dall’essere annullato, diviene il puntodi incontro fra la coscienza collettiva e l’Assoluto.Un io empirico e trascendentale aun tempo, entità indistruttibile, fucina dellospirito, che porta in sé, come ci dice Döblin,“futuro, nascita, creazione”. Un io che parla,discorre e, soprattutto, racconta. In particolareil viaggio di Döblin si configuracome una riscoperta del grande spirito ebraico<strong>della</strong> narrazione, di quell’ “interrogare eraccontare” di ascendenza talmudica chetrova la sua massima espressione nella spiritualitàdelle comunità chassidiche e chelascerà un’ eco nei “discorsi senza fine”5 CGdegli ebrei di Berlin Alexanderplatz. Sarà anzil’esperienza del viaggio in Polonia, secondoClaudia Sonino che riprende qui una tesi diGert Mattenklott, a determinare il recupero<strong>della</strong> funzione dell’io narrante alla base delgrande romanzo di Döblin, in apertacontrotendenza rispetto alla teoria delledepersonalizzazione <strong>della</strong> funzione narrantesostenuta in quegli anni dalla NeueSachlichkeit.Il fascino dell’ ebraismo orientale evocato inquesti racconti di viaggio nasce dall’irripetibile unicità delle sue voci, dei suoi gesti,di quei volti a cui Arnold Zweig dedicòun affascinante studio dal titolo Dasostjüdische Antlitz (1920), riprodotto qui, inparte, con i bellissimi ritratti di HermannStruck. E tuttavia questo mondo, così concretoe vivo, tende a trasfigurarsi, nelle paginepiù significative dei nostri autori, in un’entità ideale, in una “forma” metafisica emetastorica. “Non sono una nazione sono aldi là <strong>della</strong> nazione, forse la forma anticipata,futura <strong>della</strong> nazione” scriverà dei suoi ebreierranti Joseph Roth. Ciò che è presente econcreto richiama anche sempre un’assenza,un tendere, un non ancora. L’ essenza più intimadi questo popolo pare anzi risiedere proprionella circolarità di presenza e assenza,di promessa e silenzio, di riverbero divino etestimonianza dell’esilio in terra <strong>della</strong>Shekhinà. La Galizia di Roth diviene così,come scrive Claudia Sonino in una delle paginepiù belle del suo libro, “patria del provvisorio,il luogo <strong>della</strong> transizione, del transitoe insieme dell’eterno ritorno, del sempreuguale”. Transitorietà ed eternità siricongiungono, come nel circolo nietzschiano,nella dimensione dell’errare, dell’essereviandanti attraverso la storia. L’ebraismoorientale descritto da Roth non è affattoun’entità statica. Roth coglie in tutta la suaampiezza il potere disgregante del confrontocon la modernità, consapevole che il mondodell’infanzia galiziana, in quanto entità storica,sta per scomparire, che forse anzi è giàscomparso. Ma l’errare dell’ebraismo orientale,per quanto segnato dallo smarrimento edalle ferite <strong>della</strong> storia, conserva pur sempre


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>23un nucleo indistruttibile, la brace ardente diun’identità sempre pronta a rinascere, unatenacia che attraversa la storia e lo spazioma non si consuma entro questi confini perchéla sua origine è altra.All’immagine reale si sovrappone dunqueun’ elaborazione mitica che, in forma più omeno evidente, accomuna tutti gli autoripresi in considerazione e che costituisce unodei temi conduttori del saggio di ClaudiaSonino. Lo stesso Arnold Zweig, d’altrolato, considerava l’ebraismo orientale cheegli stava celebrando un’entità scomparsa,mitica, un’ immagine dell’ Altro, destinataa sopravvivere come alterità irriducibile allamodernità (Sonino). Per altro verso il libro<strong>della</strong> Sonino sembra però suggerirci anchel’idea opposta: che cioè l’incontro con l’ebraismo orientale rappresenti anche il tentativodi riscoprire l’io nell’altro, di risalireattraverso l’altro alle radici più profonde<strong>della</strong> propria identità, in cui ricomporre edare un senso alla lacerazione del presente.Il momento dello smarrimento che la modernitàrappresenta, crediamo, non è sbrigativamenteliquidato e lasciato alle spalle.La Galizia di Roth lascia trasparire in filigranal’immagine dell’impero asburgico;descrivere Lemberg è pretesto per parlaredi Vienna. Allo stesso modo, però, l’animaerrante dell’ebraismo orientale non è meranegazione <strong>della</strong> fuga senza fine dell’ebreoviennese Roth. Quella fuga trova semmainell’errare degli ebrei orientali il proprio“baricentro metafisico” che la proietta, aldi là del mondo mitico degli Ostjuden, versoquello che Claudia Sonino definisce “ilnucleo più profondo del mistero ebraico”,l’errare come “essere a casa nel mondo”,in cui “la nostalgia per l’altrove diventa familiaritàcon il vicino e con il lontano”.Claudia Sonino coglie con grande sensibilitài risvolti di questo “essere a casa nelmondo” nell’amore ebraico per ciò che èminimo e provvisorio, per la sacra pienezzadel quotidiano. Ma il suo libro chiama inrealtà in causa le matrici più profonde <strong>della</strong>spiritualità ebraica enunciate dal titolo: esilio,diaspora, terra promessa, termini che5 CGquesto saggio ci invita a rimeditare non tantoin senso dialettico, o temporale, ma piuttostocome non esclusione, come simultaneità,come reciproca implicazione.Guido MassinoJeremias Gotthelf, Due storiedell’Emmental, con una nota di HermannHesse e una di Robert Walser, trad. di MattiaMantovani, prefaz. di Luigi Forte, Locarno,Dadò (“Il Cardellino” 9), 1997, pp. 87, s.i.p.Jeremias Gotthelf, Elsi, la strana serva, trad.di Elisabetta Dell’Anna Ciancia, Milano,Adelphi (“Piccola Biblioteca” 424), 1999,pp. 126, £. 15.000A meno di un anno e mezzo di distanza l’unodall’altro escono in Italia due volumettigotthelfiani, ognuno contenente due storiedi cui una, Elsi, la strana serva, in comune.Si tratta di prodotti molto diversi tra loro,l’uno pubblicato dal piccolo Editore Dadò,attento alla cultura e alla letteratura elveticae in particolare ticinese, l’altro dalprestigioso Adelphi, che già nel 1996 avevaospitato nella stessa collana Il ragno nero,riproposto nella traduzione, qua e là ritoccata,effettuata da Massimo Mila nel 1945.Fino a qualche decennio fa Gotthelf era scrittorepressoché obsoleto; su di lui gravava ilpeso di caratterizzazioni come Volkserziehere Heimatdichter dall’angusto orizzonte.Sebbene successivamente la sua opera abbiasubito un processo di rivalutazione, eglirisulta comunque essere tuttora, in àmbitogermanofono come in Italia, autore pocoletto e piuttosto raramente oggetto di studispecialistici. Rispetto al lucido classicismodi Keller e al monumentalismo estetizzantedi C. F. Meyer - per citare i suoi più noticompatrioti nella letteratura dell’Ottocento- il suo nome evoca la realtà limitata delmondo agreste, anzi, a ben guardare, di unacerchia ristretta di contadini, quelli dellemontagne bernesi. Proprio alla Ortsge-


24<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>bundenheit gotthelfiana fa riferimento giàil titolo del volumetto edito da Dadò Duestorie dell’Emmental. E’ certo difficile immaginareun racconto che meglio di Joggelicerca moglie, il primo del libro, si presti adillustrare la ‘locality’ gotthelfiana, ossia gliusi e i costumi delle vallate bernesi e la formamentis di coloro che qui vivono. Perquesto ancoramento ad una realtà circoscritta,per l’interesse esclusivo verso ilmicrocosmo degli umili l’autore bernese èstato talvolta accostato a Verga; Pietro Citati(si veda Gotthelf, il profumo delle valli,“La Repubblica”, 12.3.1999) è invece piùpropenso a rinvenire in Thomas Hardy unpossibile fratello spirituale di Gotthelf. Sel’autore inglese condivide con lo svizzero“l’assoluta forza di adesione al mondo contadino”,mentre invece Verga sembra a Citativoler indagare scientificamente, “comeun entomologo, le piccole creature di AciTrezza”, di una fondamentale componentedell’universo di Hardy non si rileva quasitraccia in Gotthelf, e cioè dell’erotismo. Ditale assenza Joggeli cerca moglie costituisceuna delle testimoniaze più significativee più spassose. Pur trattandosi di unaBrautwahlgeschichte, nella storia non trovanoposto concetti rapportabili al camposemantico amore/erotismo. Ben altri sono icriteri ai quali Joggeli informa la propriaricerca <strong>della</strong> donna da sposare: egli ha bisognodi una presenza femminile “che lo aiutia gestire le faccende <strong>della</strong> fattoria” (p. 40),dunque, molto pragmaticamente, di una mogliepulita, ordinata, oculata, equilibrata egrande lavoratrice, in sostanza -edipicamante - di una donna “come la suamamma buonanima” (p. 40). Osserva KarlFehr (Jeremias Gotthelf. Poet und Prophet- Erzähler und Erzieher, Bern, Francke,1986) che nelle Brautwahlgeschichten diGotthelf “von Schönheit und von erotischenReizen wenig oder nichts, von ansehnlichenBesitztümern und vom Umgang mitGeschirr, Mensch, und Vieh und vomVerhalten in der Küche viel die Rede ist.[...] Der Appell des Erotisch-Sexuellen wirddabei nicht etwa ängstlich umgangen,5 CGsondern schimmert als selbstverständlicherUnterton in diesen Spielen der Anziehung undAbstoßung durch.” (p.148). Nel racconto vienesì descritto l’approccio di Joggeli ad Anne,che poi sposerà (“cominciò subito a fare ilcascamorto, allungò le mani, cercò di abbracciarela ragazza e di baciarla. Si beccò un ceffonetale che vide le stelle [...]”, p. 37), maalla base di tale interesse per la donna si rilevanomere motivazioni empiriche di funzionalitàdi Anne nel contesto lavorativo <strong>della</strong>fattoria. Joggeli, attento osservatore, sin dalprimo apparire <strong>della</strong> ragazza non è colpitodalle sue caratteristiche fisiche intrinseche,bensì percepisce del suo aspetto esteriore soltantociò che sembra alludere a virtù domestiche(“aveva i capelli ben lavati e la camicettae le mani pulite”, p. 34). Più oltre, ladonna è rappresentata in totale simbiosi conl’ambiente che la circonda; ella si identificacon la sfera domestica e per questo verrà sceltacome moglie da Joggeli. Il tentativo delprotagonista, alla fine del racconto, di ‘insidiare’la ragazza non è che una messa allaprova, così come la rottura <strong>della</strong> ciotola <strong>della</strong>tte, i modi volutamente scortesi ed arroganti,le lamentele per dover mangiare pane mistoa segale piuttosto che pane bianco. Tuttoha uno scopo empiricamente conoscitivo:Joggeli vuole ‘testare’ le abitudini, le attitudini,la pazienza e le capacità di Anne primadi proporsi a lei nelle vesti di “un contadinodi bella presenza” (p. 40).La Schlauheit contadina di cui Gotthelf provvedeJoggeli, così come tanti altri personaggi,è lontanissima non solo dalle sottigliezzee dalle complicatezze introspettive <strong>della</strong> narrativanovecentesca e del fin de siècle (“Jamese Proust gli sarebbero parsi animali fantasticidi un pianeta incomprensibile”, osserva Citati),ma anche dalla psicologia del ‘robusto’Hardy. Il lettore è confrontato con una tecnicache si basa su chiaroscuri decisi; il raccontoprocede infatti per contrasti,contrapposizioni e chiasmi. Più che di psicologiafemminile è lecito parlare ditipizzazione: l’impeccabile Anne è individuatacome moglie per contrarium grazie al confrontocon “niedrige, moralisch tiefstehende,


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>255 CGja schmutzige, sogar physisch schmutzigeFrauenwesen” ( Werner Günther, NeueGotthelf-Studien, Bern, Francke, 1958, p.48). Nella lucida Nota del traduttoreMantovani afferma che Joggeli cerca moglie,ad una prima lettura forse debole e “nonprivo di [...] concessioni ad un maschilismoa dir poco irritante” (p. 15), ad un’analisipiù attenta “si trasforma in uno spaccatosociale dal tono amaramente disincantato”(p. 16). Sembra essere esattamente questoil senso dell’opera: proprio i tratti più peculiarie più urwüchsig di un modus vivendidi cui l’autore parrebbe sottolineare l’autenticità,svelati da una tecnica dirispecchiamento dal sapore naturalistico senon fosse per l’umorismo di cui RobertWalser ben individuò l’ascendenza jeanpauliana,palesano la disarmante stereotipizzazione<strong>della</strong> forma mentis dei personaggi,inducendo a nutrire qualche dubbio sull’essenzapiù profonda <strong>della</strong> Weltanschauungqui espressa. Il racconto poggiatutto sull’ambivalenza di osservazioniautoriali come ad esempio quella con cui siconclude la narrazione: “Ah, se le ragazzesapessero che un magnano del genere potrebbesbirciare ad ogni istante la porta <strong>della</strong>cucina, [...] , si comporterebbero in manierapiù educata ogni giorno dell’anno e silaverebbero da mattina a sera!” (p. 41).Degno di nota è il fatto che il Gotthelf propostonei due volumi sia quello dei raccontipiù tradizionalmente realistici e che non sipunti, come un tempo era d’uso, su storiedalla forte connotazione onirico-visionaria(appena in questa direzione si muove forseMareili delle fragole) onde rivalutare l’autore.Proprio Joggeli cerca moglie, raccontoche, come nota Forte nell’introduzioneal volume Dadò, “odora di stalla e di campagna,di terra e di sudore” (p. 13), e in cuiè difficile riscontrare metafore che non sianodi una insistita materialità e sensorialità,potrebbe essere di particolare interesse peril lettore italiano. Osserva Robert Walser inuno dei due scritti stampati in appendice che“ci si sente pienamente sazi” (p. 84) dopoaver letto le frasi di Gotthelf. Col suo abitualeacume Walser coglie il dato essenzialedell’arte gotthelfiana, cioè la sua corpositàe corporeità, sia a livello di contenuti che discrittura. Di Marei e Rösi, le ragazze dallatemibile spaccatura tra Schein e Sein (elegantie composte in pubblico, sciatte e sgarbatein casa), si legge che esse “si addicevanoad una fattoria così come un capello siaddice ad un minestra, una cimice al letto el’aceto alla panna montata” (p. 33). Riprendendol’osservazione walseriana, si può affermareche Gotthelf qui provoca con la suamagistrale scrittura, piuttosto che sazietà, disgustodel cibo.Completamente diverso è il tono <strong>della</strong> secondastoria Elsi, la strana serva, di intentodidattico più velato e per questo forse piùvicina al lettore moderno, racconto storico(nell’episodio finale viene rievocata la battagliadi Grauholz combattuta dagli svizzericontro i francesi nel 1798) tenuto in particolareconsiderazione da Keller, che lo paragonòa Hermann und Dorothea di Goethe.Elsi, figlia di un proprietario terriero, si recain incognito a servizio presso una famigliabenestante e rifiuta dapprima, per non rivelarele proprie origini, le attenzioni dell’innamoratoChristen per poi ammettere il proprioaffetto e morire in battaglia insieme alui. Rispetto ad Anne di Joggeli cerca moglieElsi appare figura di notevole spessorepsicologico, indimenticabile miscuglio diabnegazione, pudore, orgoglio ed umiltà, lacui vera natura si palesa nell’episodio finale.Alla lineare, scorrevole e sempre corretta traduzionedi Mattia Mantovani, che mai usaun registro stilistico più elevato di Gotthelf,Elisabetta Dell’Anna Ciancia affianca nell’edizioneAdelphi con impegno, coinvolgimentopersonale (come si evince dallaNota <strong>della</strong> traduttrice) e, non da ultimo,coraggio la propria versione di Elsi, la stranaserva, il cui tratto peculiare è l’uso deldialetto ticinese a rendere le espressionimundartlich o mundartlich gefärbt dell’originale.L’idioma ticinese viene usato anchenel secondo racconto del volume Adelphi,Mareili delle fragole, struggente storia del-


26<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>l’umile fanciulla raccoglifragole contrapposta,grazie alla tecnica <strong>della</strong> Rahmenerzählung,all’arrogante materialismo cittadino.Come è noto, opere letterarie contenenti brani,battute, espressioni o termini propri diun dialetto, o ad esso in qualche modoriferibili, costituiscono uno spinoso problema<strong>della</strong> Übersetzungswissenschaft. Utilizzareun dialetto possibilmente equivalente<strong>della</strong> lingua d’arrivo o optare per una traduzionepriva, a livello linguistico, di colorelocale? Le versioni di Mantovani realizzanofelicemente questa seconda possibilità,spiegando talora la particolare valenza di alcunitermini dell’originale in note a piè dipagina. Egli è consapevole del fatto che lasua opzione rischia di far perdere all’originale“gran parte <strong>della</strong> sua immediatezza e<strong>della</strong> sua vivacità” (p. 17), esclude però lapossibilità di usare il dialetto ritenendo cheesso potrebbe provocare “effetti grotteschi”(p. 17). Dell’Anna Ciancia definisce anchelei, in prima istanza, “impraticabile per definizionela via del tradurre da dialetto a dialettodato il particolarissimo mondo che ognivernacolo racchiude ed evoca” (p. 119), nonè però disposta a “batter la strada di una tranquillae inoffensiva trasposizione in lingua”(p. 119) per ”quanto di essenziale” (p. 119)in essa si perde. Piuttosto, la traduttrice ritienequi di poter individuare una terza viaricorrendo ad un dialetto ticinese, quello <strong>della</strong>valle di Bedretto, lontano dagli idiomilombardi e “ricco di suggestive sonorità arcaiche”(p. 120) atte a richiamare i dialetti<strong>della</strong> Svizzera germanofona, per certi aspettivicini, come è noto, al medio tedesco. Il dialettodi Bedretto viene utilizzato, in corsivo,ogniqualvolta compaiono termini,sintagmi o frasi rapportabili al Berndeutschdelle campagne <strong>della</strong> capitale. Non essendole espressioni in dialetto, o almeno granparte di esse, di facile comprensione per illettore italiano, Dell’Anna Ciancia corredail volume di Note (pp. 122-126) nelle qualii termini ticinesi vengono tradotti in italiano.In merito a questa operazione si impongonoalcune riflessioni.5 CGOsserva Jiri Levy (Die literarischeÜbersetzung. Theorie einer Kunstgattung,Frankfurt a. Main/Bonn, Athenäum, 1969)che il traduttore, sostituendo il dialetto <strong>della</strong>lingua di partenza con uno <strong>della</strong> lingua d’arrivo“keineswegs ein Lokalkolorit schaffen,sondern das Gegenteil erreichen [würde]: erwürde das Werk in irgendeinen Teil seinereigenen Heimat lokalisieren” (p. 102). Nelcaso specifico del dialetto ticinese, non essendola realtà che esso richiama, in senso distretta geografia politica, quella patria -seppure italofona -, chi traduce ritiene evitatal’italianizzazione a favore dellostraniamento. In ogni caso, l’effetto risultantenon è troppo dissimile da quello rilevabilenei testi, ai quali Levy si riferisce, in cui siassiste alla sostituzione del dialetto <strong>della</strong> linguadi partenza con uno <strong>della</strong> lingua d’arrivo.La zona di Bedretto potrà forse condividerequalche usanza con le campagne bernesi,ma questo non incide sostanzialmente sullainterferenza che si viene a creare tra lingua eciviltà: i personaggi <strong>della</strong> Valle dell’Emmentalfiniscono per parlare un dialetto ticinese. Daquesto procedimento deriva talvolta, come osservaLevy, una “Karikierung der Personen”(p.102) che può essere eventualmente appropriataper talune commedie comico-brillanti.Questo tono non appare però adeguato perpersonaggi tragici come Elsi e Mareili; magaririsulterebbe meno inopportuno per unafigura come Joggeli. L’uso di tale idioma d’oltralpecomporterebbe, a ben guardare, ancheuna diversa ambientazione delle vicende, chesarebbero da collocare nel contesto d’originedel dialetto. Con ciò non si intende certo direche questa sarebbe la soluzione giusta. Si ritieneperò che l’idea di mantenere il colorelocale (= delle montagne bernesi) affidandosial dialetto di Bedretto sia illusoria.Non si intende qui trattare la questione <strong>della</strong>non coincidenza tra dialetto e socioletto nellaSvizzera germanofona, in cui l’uso diSchriftdeutsch o di Mundart non è legato avarianti sociologiche ma situazionali. In altritermini, il dialetto non è ‘marcato’ socialmentema è parlato da tutti in contesti informali.In Italia la cosa si pone in termini differenti


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>27(il dialetto equivale, tendenzialmente, a unidioma privo di prestigio sociale) ed il lettoreè piuttosto disorientato laddove inMareili delle fragole un personaggio dalceto elevato come la ‘signorina del castello’,figura descritta peraltro come “un angelobianco e bello”, “un’apparizione” (p.93) pronuncia parole come “ángiul difrágui”, “c’èra la mè pìsna” (p. 93), “c’èpìsna curiùsa, c’è tùsa strámba” (p.100).Un ulteriore elemento merita particolare attenzione.La critica sembra concordare sulfatto che la lingua usata da Gotthelf siaun’ibridazione di Mundart e Hochdeutsch.Laddove egli utilizza il dialetto, non si trattadi una forma pura ma di “ein derhochdeutschen Lautform angepaßtes Idiom;es muß sich eine Art Stilisierung gefallenlassen” (Günther, p. 216); “Hochdeutschund Berndeutsch sind eingeschmolzen zueiner völlig neuen sprachlichenPhysiognomie” (Günther, p.215). WalterMuschg (Gotthelf. Die Geheimnisse desErzählers, München, Beck, 1931) parla di“Konglomerate aus Schriftdeutsch undDialekt” (p. 418). Nel testo dell’edizioneAdelphi questi due àmbiti linguistici vengononettamente separati ed allontanatil’uno dall’altro: da un lato il registrostilistico letterariamente elevato <strong>della</strong>Hochsprache, dall’altro, in corsivo, il dialettoticinese, di cui tratti soprasegmentalisottolineano l’oralità. Il testo italiano rischiadi muoversi in una direzione opposta rispettoa quella indicata dalla scritturagotthelfiana.La soluzione proposta da Adelphi risulta inpiù d’un luogo alquanto artificiosa. Una frasecome “Entweder schaffte es sich selbstenSchutz oder räumte das Gaden wieder, oderes stieg durchs Ofenloch in die untere Stubehinab” ( Jeremias Gotthelf, Erzählungen,nach dem Text der von R. Hunziker und H.Bloesch besorgten Gesamtausgabe, herausgegebenund mit einem Nachwort versehenvon Heinz Helmerking, München, Winkler,1976, p. 13) viene resa, allo scopo di renderconto del particolare àmbito domestico-architettonicogotthelfiano, con tre5 CGespressioni dialettali: “Elsi si difendeva dasola, obbligandoli a sgomberare lac’ambrèta, oppure, dal böcc ‘t la pìgna, sicalava nella stüa” (p. 23). Proporre per unaparola come “Ofenloch”, che non offre difficoltàtraduttologiche e il cui significatocontestuale è chiaramente inferibile dallafrase stessa, un sintagma dialettale come“böcc ‘t la pìgna”, di cui si rinviene poi latraduzione nelle note alla fine del volume,sembra essere un’operazione che suscitaqualche perplessità, così come utilizzare“stüa” per il comunissimo termine “Stube”,per poi illustrare nelle note il significato<strong>della</strong> parola (“stanza comune riscaldata daun stufa”, p. 122) aggiungendo in un’osservazionemetalinguistica che “è l’equivalentedialettale del tedesco Stube” (p. 122). Nonostanteil procedimento evidenzi l’accuratezza<strong>della</strong> verifica linguistica, non ci si puòsottrarre alla sensazione di trovarsi in un circolovizioso. Sembra più ragionevole, comesi rileva nel volume Dadò, effettuare una traduzioneche riproponga nei suoi elementi laZusammensetzung “Ofenloch” per poi fornirein una nota a piè di pagina ulteriorichiarimenti (“Elsi si difendeva da sola, scappavadalla stanza oppure, passando attraversola bocca <strong>della</strong> stufa, si calava nel localesottostante”, p. 55). Un po’ forzate appaionotalora espressioni come ad esempio “fè iròp impréssa” (p. 31) per “pressieren” (ERp. 18), cioè avere fretta, verbo largamentediffuso non solo in Svizzera, ma nell’interafascia germanofona meridionale.Laddove Dell’Anna Ciancia utilizza l’italiano‘standard’, dà prova ripetutamente difluidità, eleganza e Einfühlungsvermögen.La sua traduzione appare più volte particolarmenterispettosa del significato etimologicodel termine tedesco, ad esempio nellaresa di “Es drängte ihns, ihm die Botschaftselbst zu bringen” (ER p. 29) con “Ebbel’impulso di portargli lei stessa la notizia”(p. 47) al posto del più prevedibile “Fu spintadal desiderio di portargli lei stessa la notizia”(p. 74) di Mantovani. Apprezzabile adesempio anche “L’angoscia di Elsi salì allestelle” (p. 49) per “Elsi ward es


28<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>5 CGhimmelangst” (ER p. 31); sia questa traduzioneche la più metafisica versione diMantovani “Elsi fu invasa da un’immensaangoscia” (p. 76) si richiamano al camposemantico <strong>della</strong> ‘cosmicità’ cui“himmelangst” fa riferimento ed appaionoperciò entrambe molto più adeguate delloscontato e “Elsi fu presa da una profondaangoscia”, come si rileva nella traduzionedi Dora Burich Valenti (Jeremias Gotthelf,Il ragno nero e altri racconti, introduzionedi Elena Bruno Valperga, Torino, UTET,1985, p. 132). Ancora, Dell’anna Cianciaben riesce a rendere in italiano l’inversioneche si registra nel periodo tedesco. Per “Amfünften März wars, als der Franzos ins Landdrang” (ER p. 29) si legge in Adelphi “Fu ilcinque marzo che i francesi invasero il Paese”(p. 47), mentre Mantovani preferisce lapiù neutra costruzione “I francesi penetrarononella regione il cinque marzo” (p. 75).Ma è nella pagina iniziale che si ha mododi apprezzare, nel corso dell’intera descrizionepaesaggistica al presente, tale abilità<strong>della</strong> traduttrice e questo sin dall’incipit“Ricca di belle vallate è la Svizzera, [...] “(p. 11) per “Reich an schönen Tälern ist dieSchweiz , [...] “ (ER p. 5).La tendenza a posporre il soggetto diventain qualche caso, si direbbe, un vezzo <strong>della</strong>traduttrice; ne risulta una versione di grandeeffetto, la cui forza retorica supera l’originale.Per la canonica costruzione “Elsistürzte mit der Wut einer gereizten Löwinauf die Franzosen ein” (ER p. 32) si leggein Adelphi: “Con la furia d’una leonessaferita Elsi si gettò sui francesi” (p. 51), mentrein Dadò viene rispettata la sequenza deltedesco (“Elsi si precipitò sui francesi conla furia di una leonessa ferita”, p. 78).L’intero episodio finale <strong>della</strong> battaglia è descrittonel volume Adelphi con termini ricercatie forme di registro stilistico elevatoe spesso altertümlich che, come sopra spiegato,contrastano fortemente con l’oralitàdel dialetto. Si preferisce il participio “veduto”(p. 48) a ‘visto’, viene mantenuto ilgerundio dell’originale anche laddove essorisulta in italiano piuttosto inusitato ed erudito(per “de[r] beginnende Kampf”, ER p.30, si legge “la battaglia incipiente”, p. 48),al posto di singole parole vengono usatisintagmi (“Moos” è reso con “terreno acquitrinoso”,p. 48; “rasch” con “senza indugio”,p. 48, mentre in Dadò si legge “palude”, e“immediatamente”, p. 76). I soldati bernesi“terribilmente sprovveduti” (p. 46) (“mitheilloser Blindheit geschlagen”, ER p. 30)nell’edizione Dadò, vengono in Adelphi “colpiti[...] da un’inaudita cecità” (p. 49); nelvolume <strong>della</strong> UTET essi erano “inguaribilmenteaccecati” (p.132).Alla base di versioni così differenti sono darinvenire, senza ombra di dubbio, concezionimolto diverse dell’autore Gotthelf e dell’attivitàdel tradurre.Anna FattoriGünter Oesterle (a cura di), Jugend. Einromantisches Konzept? Stiftung fürRomantikforschung, vol. II, Würzburg,Königshausen und Neumann, 1997, pp. 358,DM 58John Neubauer, Adolescenza fin-de-siècle,trad. di Fulvia Galli <strong>della</strong> Loggia, Bologna,Il Mulino, 1997, pp. 301, £ 45.000Che il Settecento abbia scoperto l’infanzia èoramai un luogo comune <strong>della</strong> storia <strong>della</strong>pedagogia. Può accadere però, come tuttisanno, che ad un certo punto uno di questiluoghi comuni diventi straordinariamenteproduttivo nell’incontro con altre disciplinee in precisi momenti critici, aprendo prospettivefondanti di più ampio respiro. E’ questoil caso del concetto di infanzia, che in ambitogermanistico ha ripetutamente risvegliato,negli ultimi anni, l’interesse storico-letterario,diventando oggetto di interessantiriletture del romanticismo.E’ noto come il romanticismo, quello tedescoin particolare, abbia trovato nelle idee di“originarietà” e “innocenza”, idee strettamentecorrelabili alle prime fasi <strong>della</strong> vita


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>29umana, delle vere e proprie leve con cui scalzarela tradizione e le sue forme, sentitecome vuote costrizioni, e con cui definirela propria modernità. L’identificazione deiprimi anni <strong>della</strong> vita con l’ “età aurea”, conun’epoca armoniosa non ancora turbata dalladissoluzione <strong>della</strong> crescita, permise ai romanticidi compiere una proiezione idealisticae poeticamente quanto mai produttivadel passato sul futuro, chiudendo con una“infanzia alla seconda potenza” (Novalis)il cerchio del tempo storico.Al vivace dibattito cui si è accennato, il volumeuscito a cura di Günter Oesterle dà unimportante contributo differenziandoconcettualmente e figurativamente fra infanziae giovinezza. Si tratta di un’operazionetutt’altro che facile, anche a causa <strong>della</strong> stessaconfusione terminologica romantica e ditutta l’epoca, durante la quale i termini venneroimpiegati in maniera spesso indistintaper indicare in blocco l’intero periodo <strong>della</strong>vita antecedente il passaggio all’età adulta.Se una differenziazione netta, simile a quellacui siamo abituati noi, fra infanzia ed etàgiovanile (o, meglio, adolescenziale) per ragionidi carattere storico-sociale e anche perconsiderazioni pedagogiche non ha ancoraun senso alla fine del Settecento, un’indeterminatezzacritica di fronte ai diversi momenticoncettuali rischierebbe di oscurarela significativa ambiguità di un modello chesi pone a paradigma <strong>della</strong> modernità e allostesso tempo fonda la propria diversità nelpassato (infanzia). Tanto più parlando di unmovimento che sembra voler assumere insé i paradigmi ontologici stessi <strong>della</strong> gioventù(“Il genere poetico romantico è ancorain divenire; anzi questa è la sua essenzapeculiare, che può soltanto eternamentedivenire e mai essere compiuto” recita il famosoframmento 116 di Schlegel). E’ comese il succo <strong>della</strong> discussione si concentrassesul punto interrogativo del titolo, a cui,giustamente, il volume non intende dare unarisposta definitiva, puntando invece a penetrarenei momenti costitutivi e formativi delledue immagini (infanzia e giovinezza) inriferimento alle definizioni e alle5 CGraffigurazioni che il periodo dà di sé. Il “periodo”,si badi, e non tanto il “romanticismo”,perchè quest’ultimo ha, nel volume,la stessa funzione del punto interrogativo efunge da discriminante cronologica, più cheda effettiva definizione di qualsivogliaunitarietà. Così, ad esempio, un primo importanterisultato - fra i tanti - dell’interrogazionein atto in queste pagine, è il confrontocritico fra il linguaggio “giovanile”dell’enfasi generazionale dello Sturm undDrang e la sua coloritura di assoluto poeticoad opera del romanticismo. (D’altronde,la necessità di una ridiscussione di certe categoriestoriografiche è stata ben messa inevidenza dal recente lavoro di GiulianoBaioni dedicato al Giovane Goethe).In una molteplicità di punti di vista (estetici,antropologici, di storia culturale e delleidee), il ventaglio dei contributi vacronologicamente dalla metà del Settecentoal tardo romanticismo, comprendendoautori come Tieck, Fouqué, Hoffmann,Grimm, Rahel Levin Varnhagen, naturalmenteil Goethe del Wilhelm Meister, e temicome il motivo del ringiovanimento, del ricordoe del viaggio nei luoghi dell’infanzia,come l’atteggiamento patriotticoottocentesco di contro a quello cosmopolitailluminista e una definizione al femminiledell’età giovanile; in più una panoramicafrancese e un ponte verso i successivi sviluppinell’analisi degli atteggiamenti romanticinei Wandervögel (contributi di Ewers,Bormann, Neumann, Brüggemann,Brandstetter, Richter, Hahn, Hudde, Käser,Michaud, Clasen, Steinlein).Al punto di incrocio dei due studi oggettodi queste righe potrebbe essere posto il quadroPubertà di Edward Munch, citato da entrambinelle rispettive sezioni - ristrette matutt’altro che marginali per la visione d’insieme- dedicate alle arti figurative. Nellosguardo ansioso <strong>della</strong> giovane ragazza raffiguratasi legge, nel volgere del secolo XIX,l’incertezza circa la propria identità e la propriaposizione al limitare di un mondo (interiore?esterno?) sentito come minaccio-


30<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>so, ma anche la rinnovata pregnanza e attualità<strong>della</strong> figura nell’incontro fra le istanzedell’individualità e quelle <strong>della</strong> sua situazionesocio-culturale. Così, se ilcortocircuito romantico fra gioventù e poesiarimane, nel corso dell’Ottocento, tutt’alpiù come lieve bagliore di un topos del passato,la ridefinizione <strong>della</strong> modernità di finesecolo porta con sé anche una nuova interpretazionedell’età giovanile. Il senso di crisidell’identità e <strong>della</strong> sostanzialità dell’io, che,fattosi via via più marcato raggiunge a cavallodei due secoli un punto di massimatensione, trova nella figura dell’adolescenteuna costellazione concettuale e figurativaideale. Concentrandosi sui segni <strong>della</strong>propria identità (fisica, psichica e sociale),entro cui il dato biologico del risveglio sessualediviene momento fondante e allo stessotempo sintesi di tutti i possibili conflitti,la figura compie il passaggio dal concettoromantico e ottocentesco di “gioventù” aquello moderno di “adolescenza”. Quelloche abbiano visto essere un momento significativo<strong>della</strong> “giovinezza romantica”, cioèil suo assolutizzare le proprie peculiarietà aespressione estetica del moderno, si specializzaora, con procedimento ribaltato, interpretandograzie a categorie estetiche le qualitàsalienti dell’età e del suo rapporto conla maturità. Scrive Hall, il più influente teoricodell’adolescenza, all’inizio del secolo:“per un completo apprendistato alla vita, lagioventù ha bisogno di riposo, svaghi, arte,leggende, avventure romantiche, idealizzazionee, per dirla in una parola umanesimo”.E’ vero che dietro alla libertà e ai bisogniin tal modo riconosciuti sta, neppuretroppo nascosto, l’intento di “equipaggiare”i giovani per fini dichiaratamente dettatidell’età adulta, ma il confronto fra principiestetici e principi razionali che così siviene a creare nella figura ancora ambiguae (almeno parzialmente) senza parola dell’adolescentetocca nodi importanti dellosforzo di definizione di sé del periodo.Il volume di Neubauer, che si presenta quasicome una ideale prosecuzione <strong>della</strong> discussionesollevata nel volume collettaneo5 CGtedesco (il quale, per altro, si chiude propriocon uno sguardo in avanti dello stesso autore),segue questo processo di appropriazionee ridefinizione dell’immagine adolescenzialelungo strade diverse ma collegate fra loro dainnumerevoli crocevia. Il materiale, presentatoin una serie di capitoli di taglio quasimonografico, è molto ricco e va dalla letteratura(Joyce, Musil, Th. Mann, V. Larbaud,Alain-Fournier, Hesse, M. Barrès, R. Kipling,F. Molnár ecc.) e dalle arti figurative, allescienze psicologiche e sociali, senza trascurarei luoghi (strade, camere) e le istituzioninate per accogliere e plasmare la nuova età(scuola, gruppi e movimenti giovanili). Nellavarietà ed eterogeneità degli spunti, il discorsoè sorretto da una trama fortesottostante che, seppure non sempre ben delineatae malgrado l’esposizione talvolta troppoveloce e dispersiva, dà unità alla ricerca.Così, se dopo una serie di capitoli dedicatialle raffigurazioni letterarie e artistiche dell’adolescenza,lo studio pare allontanarsi daldiscorso estetico per rivolgersi agli ambiti <strong>della</strong>realtà sociale e scientifica, questa svolta èsolo apparente, o, meglio, è parziale e finalizzata,in quanto costante e prioritaria rimanel’attenzione per le costruzioni metaforichetramite cui l’adolescenza viene caricata - neitesti letterari certo, ma anche in quelli psicopedagogicie nelle forme istituzionali - disenso e capacità espressive. L’esempio classicoè quello delle descrizioni freudiane deicasi clinici, la cui tecnica narrativa è stata giàpiù volte oggetto di approfondite analisi (quiil caso di Dora); ma ricordiamo anche le paginededicate alla psicologia dell’adolescenzadi Hall, spesso basate su figure letterarie,o all’analisi delle rappresentazioni di sé messein atto da Wandervögel e scout. Discorso artisticoe discorso socio-psicologico diventanocosì, nelle due parti in cui si può idealmentedividere questo studio (entrambe concluseda un capitolo di respiro più generale),trama nascosta, “sottotesto” l’uno dell’altro,nello sforzo di disegnare i complessi percorsilungo i quali, intorno al 1900, la pubertà,cioè il dato biologico sempre esistito, si è trasformatoin “adolescenza”, in una età <strong>della</strong>


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>31vita dalla specifica collocazione sociale eculturale.Donatella MazzaGabriella Rovagnati, ‘Umwege auf demWege zu mir selbst’. Zu Leben und WerkStefan Zweigs. Bonn: Bouvier, 1998(Abhandlungen zur Kunst-, Musik- undLiteraturwissenschaft; Bd. 400), 282 S.,Preis nicht bekanntFür Robert Musil, das zeigen einigeabschätzige und von Neid nicht ganz freieBemerkungen in den Tagebüchern, gehörteStefan Zweig gemeinsam mit ThomasMann, Lion Feuchtwanger und EmilLudwig eindeutig zur privilegierten Klasseder ‘Großschriftsteller’(Tagebücher; Bd. 1,S. 973). Musils Verachtung gegenüber denliterarischen Hervorbringungen dieserBestsellerautoren, denen sogar noch im ExilErfolg beschert war, verleitet ihn zu einerArt von Publikumsbeschimpfung: „Wennich bedenke, welche Erfolge ich mitangesehen habe! Von Dahn u[nd]Sudermann bis George und Stef[an] Zweig!Und da erklären sie es für Snobismus oderDekadenz, wenn man das Publikumverschmäht“(Tb; Bd. 1, S. 931)Dieser von Musil beargwöhnte verlegerischeErfolg hält in Stefan Zweigs Fallbis heute an und macht ihn zu einem derauflagenstärksten und immer noch vielgelesenen deutschsprachigen Autoren des20. Jahrhunderts. Der Verlag S. Fischerkümmert sich mit wechselnder Intensität umdas literarische Erbe Zweigs. So erscheinendie Taschenbuchausgaben seiner Werke seiteiniger Zeit in neuer und ansprechenderAufmachung und seit 1995 ist auch eineEdition der Briefe von und an Zweigerhältlich.Wie ist es aber um die Stefan-Zweig-Forschung bestellt? Dem anhaltenden undin den letzten Jahren wieder zunehmendenPublikumserfolg stand, wie so oft, die5 CGMißachtung wenn nicht gar offeneGeringschätzung seitens der Germanistikgegenüber. Allenfalls die ‘Schachnovelle’hat Eingang in den Kanon und universitäreLektürlisten gefunden, während man denübrigen Werken Zweigs einen oberflächlichen,rührseligen und geschwätzigenTon nachsagt. Vielleicht haftet dem Erfolgbei der Leserschaft etwas Beunruhigendes,Banales, allzu Anrüchiges an, als daß sicheine ernsthafte Beschäftigung des Literaturwissenschaftlersmit Zweig lohnen würde.Die Diskrepanz zwischen dem Interesse derLeser und dem Desinteresse der Forschungveranlaßte Donald A. Prater, den Autor einerimmer noch wegweisenden Biographie überZweig, zu dem Resümee: „Für denGermanisten scheint der Dichter (StefanZweig; C.N.) kaum mehr zu existieren.“(Prater;S. 9) Offensichtlich teilt auchGabriella Rovagnati diese wenig schmeichelhafteBestandsaufnahme: „Nach einerPeriode großer Berühmtheit geriet diefließende und pathosüberladene ProsaZweigs fast ganz und für drei Jahrzehnte inVergessenheit“(Rovagnati; S. 11). Erschienenanläßlich von Zweigs hundertstemGeburtstag im Jahr 1981 etlicheMonographien und Sammelbände, darunterdie deutsche Ausgabe von PratersBiographie, so scheint dieses umfang- undfacettenreiche Werk tatsächlich erst seiteinigen Jahren wieder ein steigendes Interesseinnerhalb der Germanistik zu erfahren,betrachtet man die zunehmende Zahl vonPublikationen zu Zweig, anhand der‘Germanistik’ oder der ‘Bibliographie derdeutschen Sprach- und Literaturwissenschaft’.Von einer Zweig-Renaissancezu sprechen, wie es Rovagnati tut(Rovagnati; S. 12), geht aber vielleicht etwaszu weit. Es handelt sich vielmehr um dielängst fällige wissenschaftliche Aufarbeitungdieses umfangreichen Werkes, diedem Rang Zweigs als eine „derbedeutendsten Stimmen der Wiener Kulturder Jahrhundertwende bis zum ZweitenWeltkrieg“(Rovagnati; S. 12) angemessenist.


32<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>Das Buch von Gabriella Rovagnati ist nunallerdings nicht das Ergebnis der von ihrselbst behaupteten und womöglichkurzlebigen Wiederentdeckung Zweigs,sondern die Summe ihrer langjährigenkritischen Beschäftigung mit diesem Autor.‘Umwege auf dem Wege zu mir selbst’versammelt eine Reihe von aufschlußreichenAufsätzen (Zu denen es leiderkeinen Drucknachweis gibt. Und da wirschon bei den Schönheitsfehlern sind: Einegenauere Lektorierung durch den Verlaghätte dem Buch sicherlich nicht geschadet.).Dabei stehen vor allem zwei Aspekte imVordergrund: die schriftstellerische Entwicklungdes jungen Zweig sowie seineliterarischen und privaten Beziehungen zunamhaften Figuren des europäischenGeisteslebens und insbesondere zuitalienischen Autoren wie Aleramo, Pirandellound Borgese.Die erste Hälfte des Buches - und darin liegteines seiner wesentlichen Verdienste -wendet sich den frühen Werken des nochunausgegorenen und frühreifen, vielleichtallzu stark von Hofmannsthal inspiriertenjungen Zweig zu. Dabei versucht RovagnatiKonstanten innerhalb des Gesamtwerkesauszumachen und setzt sich dabei eingehendmit dem frühen lyrischen und dramatischenSchaffen Zweigs auseinander. Allerdingsnehmen sowohl die frühen als auch diespäteren poetischen und dramatischenVersuche in der Forschung und in derRezeption beim Publikum allesamt ehereine Randstellung ein und treten eindeutighinter seine Prosawerke zurück.Die Aufsätze zu den Jugendwerken zeigenuns einen jungen und begabten Schriftstelleraus einem wohlhabenden jüdischenElternhaus im Wien der Jahrhundertwende,der sich an verschiedenen Gattungenversucht und erste Achtungserfolgeeinheimst. Da sind die formvollendeten aberwenig originellen und allzu sehr anVorbildern wie Hofmannsthal oder denfranzösischen Symbolisten orientiertenGedichte der Sammlung ‘Silberne Saiten’,mit der sich Rovagnati in dem Aufsatz „Auf5 CGden Spuren des ‘JungenWien’“ beschäftigt.Da sind die Übersetzungen von GedichtenBaudelaires, Verlaines oder des heute beinahevergessenen Emile Verhaeren, zu dem Zweigeine intensive Freundschaft unterhielt. DieÜbersetzungen, mit denen sich der Essay„Der Lehrling als Vermittler“ befaßt,erscheinen als stilistische Fingerübungen. Dasind die von der klassischen griechischenLiteratur inspirierten dramatischen Versuchewie ‘Tersites’ oder das vom Naturalismusbewegte Drama ‘Das Haus am Meer’, vondenen der Aufsatz „Eklektisches Experimentieren“handelt. Und schließlich übt sichder junge Zweig an stark psychologisierendenErzählungen wie ‘Praterfrühling’, ‘VergesseneTräume’ oder ‘Ein Verbummelter’ aus denJahren 1900 und 1901. Diese frühen WerkeZweigs lassen in Rovagnatis Darstellung(„Auf dem Weg zum Erfolg“; „ZwischenEssay und Novelle“; „Jenseits der Flegeljahre“)einen nach seinem eigenen Stil undder ihm gemäßen Form suchendenSchriftsteller erkennen, der sich buchstäblichauf ‘Umwegen zu sich selbst’ befindet, zumTeil wohl auch auf Abwegen. Der geschicktgewählte Titel von Rovagnatis Buch stammtaus Zweigs Autobiographie ‘Die Welt vonGestern’ und diente dort als Überschrift überein Kapitel, das sich mit der Entstehungseiner dramatischen Versuche befaßt, die vonmehreren Todesfällen und relativ geringerResonanz beim Publikum überschattet waren.Ein Glanzstück innerhalb von RovagnatisAufsatzsammlung stellt die motivgeschichtlicheUntersuchung „Der Dämon desHotels. Das Hotel in Stefan ZweigsNovellen.“ dar. Die Autorin beschäftigt sichdabei mit einem innerhalb der Literatur weitverbreiteten Chronotopos - um MichailBachtins Terminologie zu benutzen. Nacheinem kurzen Exkurs in die Novellentheoriewendet sie sich der Eigenart des Hotels alseinem außerhalb des Alltäglichen liegendenund damit für eine ‘unerhörte Begebenheit’bestens geeigneten Ambiente zu. Geradeanhand des Hotels in Erzählung (ThomasMann „Der Tod in Venedig“; KatherineMansfield „In a German Pension“) und No-


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>33velle könnte Bachtins Behauptung überprüftwerden, wonach „In der Literatur derChronotopos für das Genre von grundlegenderBedeutung [ist]“(Bachtin: Formender Zeit im Roman; S. 8) Verfolgt man dieArt der Darstellung und die Funktion desSchauplatzes Hotel durch einige von ZweigsNovellen, so scheint tatsächlich einebesondere Affinität zwischen demAufeinandertreffen zahlreicher Personenaus verschiedenen gesellschaftlichenSphären und Nationen, dem Verhältnis vonÖffentlichkeit und Privatheit, dem Konfliktvon Schein und Sein, Anonymität underzwungener Nähe und der Gestaltung von‘unerhörten Begebenheiten’ zu Novellen zubestehen.Zweig siedelt seine ‘Hotel-Novellen’selbstverständlich in den Quartieren dergehobenen Gesellschaft an, die ihm bestensvertraut waren. Überdies kann manfeststellen, daß er sich tatsächlich miteinigen seiner Novellen in der Welt derSommerfrischler vor dem Ersten Weltkriegbewegt. Wodurch Zeit und Raum in einenges Wechselverhältnis treten. „Das Hotelinteressiert Zweig aber nicht nur ausautobiographischen und soziologischenGründen, sondern vor allem auspsychologischen: Das ungewohnte Ambientebefreit von den gesellschaftlichenEinschränkungen und Konventionen, die zuHause strenge Geltung haben, aber inanderer Umgebung ins Wanken geraten.“Ein in heftiger Liebe zu einer polnischenAristokratin entbrannter Kellner stürzt sichvor den Zug, mit dem die Angebetete in ihreHeimat zurückkehrt (Der Stern über demWalde). Ein alternder Herr stachelt ausLangeweile und Eitelkeit ein sechzehnjährigesMädchen zu heftiger Schwärmereian (Erstes Erlebnis). Ein Zwölfjährigererlebt, wie seine Mutter sich auf einAbenteuer mit einem Baron auf Schürzenjagdeinläßt (Brennendes Geheimnis). Einebrave Ehefrau brennt mit einem jungenFranzosen durch (Vierundzwanzig Stundenaus dem Leben einer Frau). Diese sind nureinige von Zweigs Novellen, in denen das5 CGHotel zur Stätte der Begegnung zwischenwildfremden Menschen wird. Die Protagonistengeben außerhalb ihrer gewohntenUmgebung ihren mühsam unterdrücktenGefühlen freien Lauf. Aber „das Hotel istdurch eine Ambivalenz gekennzeichnet:einerseits ist es ein Ort der Befreiung vonden Fesseln des Alltags, andererseits stelltes selbst die Fesselung wieder her, sei es inder Enge der Privat-räume, sei es gar alsGefängnis, wie in der Schachnovelle.“(Rovagnati;143)Den zweiten Schwerpunkt von RovagnatisBuch bilden Zweigs Beziehungen undFreundschaften zu Kollegen. Am Anfangund gleichzeitig im Mittelpunkt steht dabei„Die schwierige Beziehung zu Hofmannsthal“.Rovagnati zeichnet die beinahe blindeVerehrung Zweigs für Hugo vonHofmannsthal nach, die bei letzterem aufwenig Gegenliebe stieß, sei es für denMenschen, sei es für den SchriftstellerZweig. In fast naiver Weise sah Zweig überdie Vielzahl von mehr oder weniger offenenÄußerungen der Geringschätzung durchHofmannsthal hinweg. Ähnliches ist auchin Praters Zweig-Biographie nachzulesen.(Prater; S. 178 ff.) Aus Rovagnatis Aufsatzergibt sich der Eindruck, daß Hofmannsthalsich nur dann mit Zweig abgab, wenn diesVorteile für ihn brachte. Zum Beispiel sprachHofmannsthal gegenüber dem Leiter desInselverlages, Anton Kippenberger, dieWarnung aus, daß Werke wie die von Zweigdas Niveau des Verlages senken würden, ließsich aber von Zweig bibliographischeAngaben für einen Balzac-Essay geben. DieAutorin verweist auf eine ganze Reiheähnlicher Episoden.Zweigs Kontakten zu italienischen Autorengeht Rovagnati in einem Aufsatz über dieFreundschaft zu Sibilla Aleramo nach, dievornehmlich in (bisher unveröffentlichten)Briefen und einigen persönlichenBegegnungen Ausdruck fand. Interessantsind dabei insbesondere die Bemühungenvon Aleramo, sich Zweigs ausgezeichneteliterarische Beziehungen zu Nutze zu


34<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>machen, um ihre Werke ins Deutscheübersetzen zu lassen und an Verleger zuvermitteln. Zweig erweist sich dabei alsuneigennütziger, wenn auch wenigerfolgreicher Vermittler.Ausgewogener war Zweigs Verhältnis zuGiuseppe Antonio Borgese, mit dem ihneine langjährige Freundschaft verband undzu Luigi Pirandello. Die Verbindung zuPirandello kam über den in Deutschland undItalien gleichermaßen berühmten SchauspielerAlexander Moissi zustande, der sichfür Zweigs Übersetzung des Stückes „Nonsi sa come“ einsetzen sollte.Rovagnati beschreitet mit ihren Aufsätzennicht die ausgetretenen Pfade der Forschungüber Zweigs Hauptwerke, sondern nähertsich dem Schriftsteller eher von derPeripherie der Jugendwerke und seinenwenig bekannten Beziehungen zu italienischenIntellektuellen. Das ist aufschlußreichund vermittelt dem Leser neueEinblicke in Zweigs schriftstellerischeEntwicklung. Man hätte sich aber geradeaufgrund der Qualität der in „Umwege aufdem Wege zu mir selbst“ gesammeltenAufsätze von der Autorin etwas mehr überzentrale Texte innerhalb von Zweigs Werk,also seine Biographien über literarische undhistorische Persönlichkeiten, seine Essaysoder eine kritische Analyse der „Welt vongestern“, gewünscht.Christoph NickenigVictor Klemperer, LTI. La lingua del TerzoReich.Taccuino di un filologo, prefaz. di MicheleRanchetti, trad. di Paola Buscaglione,Firenze, La Giuntina, 1998, pp. 355, £.30.000Nel 1945, ormai sessantaquattrenne, VictorKlemperer s’iscriveva alla KPD. A un’etàin cui solitamente ci si ritira, si attende, èdifficile ricominciare, Klemperer sceglieva5 CGla Germania - lui, ebreo, che in Germaniaera stato perseguitato e aveva perduto tutto -, sceglieva l’Est, poi la DDR, in cui venivarichiamato a coprire cariche ufficiali (oltre aoccupare la cattedra di romanistica, dapprimaa Greifswald, poi a Halle e infine a Berlino,fu deputato del primo parlamento emembro <strong>della</strong> Deutsche Akademie derWissenschaften), e inaugurava il suo “ritornoalla vita” con la pubblicazione, nel 1947,di LTI. Notizbuch eines Philologen che, classicosempre ristampato nella Germania Democratica,viene ora presentato in edizioneitaliana. Klemperer, ottavo figlio di un rabbinodi Landsberg, dal 1915 docente di letteraturafrancese all’università di Dresda,aveva compiuto una parabola comune a tantaborghesia ebraica (anche se poi meno comunefu l’uscita da quella parabola) che avevacreduto di trovare in sé la forza <strong>della</strong>propra integrazione, finendo per sentirsi piùtedesca dei tedeschi in un paese che, uscendodalla prima guerra mondiale, era percorsoda fremiti sempre più spasmodici di inquietudinee di intolleranza. L’avvento delnazionalsocialismo dimostrò come fosseillusoria ogni sicurezza di quella borghesiae ne mutò orribilmente i destini. Klempererfu privato <strong>della</strong> sua cattedra nel 1935 in seguitoalle leggi razziali e poté scampare aicampi di sterminio solo grazie alla moglie,Eva Schlemmer (alla quale LTI è dedicato),un’“ariana” di famiglia altolocata. Nella prospettivaaperta su Auschwitz e sulle camerea gas, il destino di Klemperer può sembrareaddirittura quello di un privilegiato: allontanatoda casa nel 1940, fu internato a Dresdain uno dei “Judenhäuser”, gli edifici destinatialla reclusione degli ebrei che costituivanouna forma più attenuata di discriminazionerispetto alla violenza dei lager, e dal1942-43 fu costretto al lavoro forzato (soprattuttoin fabbriche di carta, ironia del destinoper lui, letterato che ai libri aveva dedicatotutta la sua vita). Nel 1945, in seguito albombardamento di Dresda, Klemperer riuscìa fuggire e, abbandonata la città, condusseuna vita da profugo, nascondendosi dovecapitava, fino alla fine <strong>della</strong> guerra.


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>35È difficile inquadrare LTI in una categoriastabilita: saggio, studio scientifico, libro dimemorie. Il testo di Klemperer è tutto questo,ma soprattutto è un’opera che vive <strong>della</strong>contraddizione già espressa dal suo sottotitolo:“taccuino di un filologo”, risultatodell’incontro tra una mente sistematica, organizzatrice,e la casualità dei materiali chesi assommano in un processo di accumulazione,LTI scaturisce dal conflitto tra l’ordineche l’occhio osservante dello scienziatoè abituato a scoprire nel magmaindifferenziato <strong>della</strong> realtà e il caos d’altrosegno che, suscitato dal nazismo, è irriducibilea quella categoria di ordine. La leggedel fenomeno osservato - il dilagare ora palese,ora strisciante, di una lingua alterata -è la brutalità, la sopraffazione, che agiscesia sul tessuto linguistico sia sulla realtà, sull’unoin quanto sull’altra. A tale offensiva,Klemperer tenta di porre un argine in cui iltentativo ermeneutico si ritira spesso al gradozero e cede il posto all’osservazione, allatestimonianza, come in consonanza con iltitolo <strong>della</strong> prima parte pubblicata dei suoidiari, relativa agli anni che vanno dal 1933al 1945: Ich will Zeugnis ablegen bis zumletzten. Se i diari propongono tuttavia unatestimonianza globale, LTI si concentra suun aspetto specifico che, anche alla luce<strong>della</strong> fulminante epigrafe di FranzRosenzweig - “Sprache ist mehr als Blut” -posta al principio del saggio, acquista unvalore forte di esperienza totalizzante, diaperto e specifico appello al logos contro labarbarie. Nel rivendicarne il primato,Klemperer afferma il momento unificante<strong>della</strong> parola come fondante di un’unità verarispetto al coacervo di pulsioni oscure e ditragici inganni che nel nazismo si raggrupparonointorno al termine ‘sangue’ e chel’autore scontò su se stesso, sulla propriapelle, in una calata progressiva e ineluttabilein un inferno in cui la lingua, ogni lingua,aveva rischiato di ammutolire per sempre.Klemperer fu filologo e studioso di rango,ma invano si cercherebbe in LTI (“Linguatertii imperii”, crittogramma che nella sua5 CGlapidaria ed enigmatica aridità segna il distacco<strong>della</strong> lingua del nazionalsocialismodalla misura umana e la sua riduzione a formulavuota, scollata dalla vita e dalle proprieradici profonde) l’impostazione del saggioerudito, o tantomeno il tentativo di disporrele osservazioni sul progressivo capitolaree disfarsi <strong>della</strong> lingua tedesca nellasintesi di una teoria unificante. Nato inparalello ai Diari e da essi estrapolato quasicome loro cristallizzazione tematica, LTIsegue piuttosto un andamento casuale, registraepisodi e annota riflessioni cheruotano intorno al perno <strong>della</strong> lingua, ma cheintorno a esso formano come un diagrammadi vicende umane, di esperienze, di emozioni.Occupando il linguaggio, la macchinanazionalsocialista occupa le menti e larealtà: talvolta con arroganza clamorosa evolgare, come negli eclatanti proclami diregime, e tuttavia con viscosità meno pericolosadi quando è subdolo insinuarsi incoloro che vogliono tenersi estranei, eppureassorbono dalla montante marea nazistaespressioni che, inavvertite, sono altrettantipicchetti rivelatori di un territorio conquistatoe asservito, come l’episodio narrato nelcap. XIII, Nomi: “Un preside di scuola superiore,che era andato in pensione piuttostoche iscriversi al partito, era solito raccontarmile prime prodezze del nipotino,Isbrand Wilderich. Gli chiesi quale fossel’origine di quel nome e mi sentii rispondereesattamente così: “Era il nome di un appartenentealla nostra Sippe venuta dall’Olandanel XVII secolo”. Per il solo fattodi aver usato la parola Sippe quest’uomo,che grazie al suo fervido cattolicesimo avevasaputo resistere alla seduzione nazista,dimostrava chiaramente di essere stato infettatodal nazismo”. La lingua diviene cosìlo sfondo mobile sul quale di volta in voltasi svolgono i drammi privati degli affetti,come in molti dei capitoli che scandisconoil libro: nel cap. XVIII, Io credo in lui, adesempio, dove viene descritto il meccanismopsicologico (che è in primo luogo meccanismolinguistico) capace di spingere personecome Paula B., “donna ragionevolissi-


36<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>ma”, di larghe vedute e di ampia cultura, atrasformarsi in cieco e incrollabile apostolodel regime; o nel cap. VI, Le prime tre parolenaziste, in cui il tradimento di un amiciziaviene misurato con l’irrompere nellaconversazione di un vocabolario mutato estravolto che la deforma e la involgarisce,rendendo impossibile ogni comunicazioneautentica. Di pari passo vanno gli altri drammi,quelli pubblici <strong>della</strong> retorica di regime,come nel breve, memorabile cap. XII, Segnidi interpunzione, in cui il carattere ortograficofondante dell’apparato persuasivonazionalsocialista non è individuato, comesi sarebbe istintivamente portati a credere,nel punto esclamativo, bensì nelle virgolette,ribattezzate “virgolette ironiche”, comestrumento capace di una duplice azione:innanzitutto di “mettere da parte”, diemarginare, di rendere diverso ciò che racchiudonoe di creare così una barriera traquanto si vuole omologare e quanto vi sioppone; e in secondo luogo, in espressioniquali “«vittoria» rossa”, “«maresciallo»Tito”, “poeta «tedesco»” (in relazione aHeine), di gettare un’ombra di incertezza,di dubbio, di innescare una tendenziositàtutta rivolta a “trascinare nella polvere l’avversario”.Questa edizione italiana è corredata daun’introduzione breve, ma intensa e preziosa,di Michele Ranchetti, mentre la traduzionedi Paola Buscaglione è nel complessobuona, anche se qualche distrazione affioraqua e là: come quella, vistosa, cheinficia un po’ la logica dell’aneddoto concui si conclude il già rammentato XIII capitolo,Nomi: qui Klemperer racconta dell’accorgimentocon il quale si salvò la vitaverso la fine <strong>della</strong> guerra, al momento <strong>della</strong>fuga da Dresda, modificando con due minuscolitratti di penna il proprio nome suidocumenti d’identità e trasformandolo in“Kleinpeter”. Nella versione italiana la frase“Ein Punkt genügte, um aus dem “m” ein“in” zu machen, und ein Millimeterstrichverwandelte das erste “r” in ein “t”. Sowurde aus Klemperer: Kleinpeter” diviene,con poca coerenza, “Bastò un punto per fare5 CG<strong>della</strong> “m” un “in”, un trattino millimetricocambiò la prima “e” in una “t” e Klempererdivenne Kleinpeter”. Qualche nota in più altesto, inoltre, non avrebbe guastato: LTI sinutre di una ineludibile specificità tedesca,tanto linguistica quanto culturale, e il fitto incrociodi riferimenti, se non contestualizzato,rischia talvolta di sfuggire a un lettore nonspecialista.Alessandro FambriniPasquale Gallo (a cura di), Die Fremde. Formedell’interculturalità nella letteratura tedescacontemporanea, introduzione di GiuseppeFarese, Fasano, Schena, 1998, pp.164,£ 25.000La letteratura contemporanea per certi versisembra voler tracciare la “carta di un nuovomondo”. È, questa, una speciale declinazionedel mestiere di cartografo che il caraibicoDerek Walcott affida ai nuovi poeti. Di sé scrivein una poesia “sono solo un negro rossoche ama il mare,/ ho ricevuto una solida culturacoloniale,/ in me possiedo un che di olandese,di negro, di inglese, / e non sono nessuno,ovvero sono una nazione”. La nuova nazionenon si trova su alcuna carta geografica,ma ne disegna una nuova, interiore.Nelle zone più remote dell’ Occidente, nellefeconde enclavi di tradizione coloniale, è inatto già da tempo questa mescolanza di cultureche di ciascuna tuttavia mantiene i caratteridistintivi, in una nuova unità nella differenza(si pensi appunto alla produzione letterariacaraibica, ma anche a quelle indianadi lingua inglese, o maghrebina di lingua francese).Nei paesi <strong>della</strong> vecchia Europa il fenomenoè più recente, legato a forzose migrazioni,indotte dalla guerra o dalla povertà.Dalla necessità nasce presto la virtù di nuoveletterature miste. In lingua francese forsel’esempio più alto è quello di Agota Kristof:una ungherese che scrive in francese e vivein Svizzera.


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>37Il panorama (inter)culturale <strong>della</strong> letteraturatedesca viene illustrato ora molto benedal volume curato da Pasquale Gallo, chesin dal titolo richiama l’attenzione su nuovepossibilità di vivere e scrivere in terrastraniera. Gino Chiellino, Franco Biondi,Salvatore A. Sanna, Cordelia Evardson, gliautori considerati in questo volume, esponentidell’etrogeneo gruppo <strong>della</strong> “Literaturder Fremde”, propongono un modello letterarioche contiene e supera le definizioniparziali di “Ausländerliteratur”, o“Gastarbeiterliteratur”, o ancora “Migrationsliteratur”.La particolare accezione<strong>della</strong> “Fremde” dà luogo a una produttivadiversità .Nasce così una nuova generazione di scrittori,non più, come nel caso delle letteraturedei paesi ex-coloniali, dove il popolo “colonizzato”assume linguaggi e immagini daicolonizzatori e li innesta sul proprio tronco.Qui sono i più poveri, gli immigrati nonper volontà espansionistica ma per necessitàeconomica o politica, ad arrivare nelleterre forti d’Europa e a rinnovarne, per certiaspetti, il panorama culturale.“Quanto il sentirsi estraneo, esterno, diverso,non sia solamente una categoria psicologicao socio-politica ma abbia risvoltiinsospettati anche nella sfera linguistica edestetico-letteraria” è l’assunto in base alquale Pasquale Gallo ha raccolto testi letterarie saggi in questo volume. E cosìCarmine (Gino) Chiellino mette insieme (initaliano, la sua lingua madre usata in saggima non nella produzione letteraria, scrittain tedesco) un interessante drappello di “parolemigranti”. Esse testimoniano glispostamenti di significanti e significati tradiverse lingue: tra l’jiddisch e il tedesco, maanche tra l’inglese, lo spagnolo, il tedescoe i dialetti meridionali: un segno di memorialinguistica che ricorda la intensa comunicazionetra cultura tedesca ed ebraicoorientale,tra le culture dei paesi meta diemigrazione e le zone del meridione italianoda cui partivano e a cui tornavano i lavoratoricon la valigia di cartone.Le parole migranti creano nuovi e plurimi5 CGsignificati, il segno si carica di energia versoil passato <strong>della</strong> lingua madre, verso il presente<strong>della</strong> terra straniera e verso un futurodi contaminazione poetica. “Per la Germaniaè da tenere presente che il progetto fondamentale<strong>della</strong> “Literatur der Fremde” èquello di scardinare il linguaggio letterarioimpostato sul concetto di identità di appartenenza,sfruttato come fonte di consensotra autore e lettore, i quali si identificanonella loro appartenenza ad una costante indefinibile:l’essere tedeschi”- puntualizzaancora Chiellino. Si tratta di una questionedi grande importanza culturale e politica,come ben spiegherà Domenico Mugnolo nelsaggio Lingua, letteratura e identità nazionale,che in un grande affresco storico-letterariomostra, tra l’altro, le connessioni trail mito <strong>della</strong> lingua tedesca come strumentodell’ideologia nazionalsocialista e lo sviluppodi una nuova consapevolezza linguisticatra gli scrittori dell’esilio. La lingua profanatadai bruciatori di libri viene salvata daipoeti che all’estero le restituiscono autenticità.La nuova “Literatur der Fremde” in questosenso sposta in avanti l’orizzonte <strong>della</strong> linguatedesca: essa appartiene anche a non tedeschi.Anzi, la terra straniera, la linguaestranea, sono la stretta entro cui la voce delpoeta non più ospite (Gast) né immigrato(Gastarbeiter) trova l’ espressione più libera.“Il tedesco di Chiellino - scrive Gallo - èora la lingua <strong>della</strong> differenza, del mutamentodalla passività all’azione, dallo sbigottimentoalla provocazione”. Chiellino, comeper altri versi Franco Biondi, cerca di “pensarel’io in avanti”: “ich schreibe keinDeutsch//meine Sprache gehorcht euchnicht/ sie denkt mich nach vorne”. È questoil senso del “prendersi l’estraneità”, “sichdie Fremde nehmen”: non più limite, macondizione perché si dia poesia. Una condizionesempre precaria, esposta al pericolodi perdersi, sottolinea Biondi, ma sostenutadalla fiducia di chi sceglie una posizionescomoda e radicale: quella al di fuori dalcerchio protettivo <strong>della</strong> “lingua madre”. Inquesto modo sarà possibile “abitare la lin-


38<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>gua” - scrive Ulrike Reeg, sarà possibileconcepire la “Fremde” non più in terminidi “vita in terra straniera”, bensì in forma di“categoria mentale”: “Fremderfahrung”.Quella “Fremderfahrung” di cui da sempresono stati portatori gli ebrei <strong>della</strong> diaspora,come ricorda Giuseppe Farese nella sua introduzione.E da questa esperienza del diversoin senso lato muove anche la poesiadi Salvatore A. Sanna. Nella sua lirica, comemostra Lucia Perrone Capano, i luoghi dell’originee la terra straniera non sono piùcontrapposti, ma attivano nella lorocompresenza un nuovo sistema segnico.Sanna, a differenza degli altri “poeti <strong>della</strong>Fremde”, scrive in italiano. Un italiano leggeroed essenziale che si specchia nel testoa fronte tedesco, che consiste nel dialogocon l’altra lingua. La chiave <strong>della</strong> sua poesia,scrive Lucia Perrone Capano, è la leggerezzadei segni. È questa loro agilità checonsente il passaggio come tra gli interstizidelle due culture, per cui la poesia riesce aricomporre, più che contrapporre. Nel nastro<strong>della</strong> doppia lingua il poeta riesce ainanellare impressioni fugaci e quotidiane,dando forma a un paesaggio di presente ememoria: strategia poetica ed esistenzialedi chi vuole costruirsi una “casa nelle parole”.Certo, la strada intrapresa da questi poeti<strong>della</strong> “Fremde” se a volte riesce ad esprimerein modo geniale la condizione di chiarriva e parla in un luogo non suo, conneologismi plurisemici come la “Augsbürgerung”di Chiellino analizzata da PasqualeGallo nel suo saggio, altre voltemostra il proprio limite in una certaconvenzionalità. Il tono di Chiellino è a volteeccessivamente gnomico, a volte si ha l’impressionedi una urgenza di dolore, di esistenzaancora troppo vicina alla scrittura perchéquesta riesca a darsi una forma che nonsia confessione in versi.“nur/ aus der Fremde in die Fremde/ weißsich / der Fremde/ willkommen/ anderswogeht das leben weiter”: sono versi da Sichdie Fremde nehmen di Gino Chiellino, e potrebberotrovare luogo in una raccolta di5 CGRose Ausländer. E <strong>della</strong> poetessa di CernowizChiellino condivide pregi e limiti: parla chiaro,troppo chiaro <strong>della</strong> condizione di chi vivein terra straniera, ma non fa nulla per “darealle parole l’ombra”, ovvero, fuori dall’immaginecelaniana, la consistenza di un potentesegno poetico. E convenzionale appareproprio il riferimento a Celan, a suo modoanch’egli poeta <strong>della</strong> Fremde, ma in sensoopposto, dato che non abbandonò mai lalinguamadre: “es tut sich gut sich in einemVers von Paul Celan zu verlieren/ un dannmit den Farben von Gjielosch/ aus demSchooss des weien Sees/ jenseits der hohenBerge auftauchen”.Anche l’estetica <strong>della</strong> leggerezza che LuciaPerrone Capano ha acutamente riconosciutoin Sanna si muove sul pericoloso confine dell’inconsistenzae del ricorso al cliché: “Fossile<strong>della</strong> specie umana/ vai per i boschi seguendo/il magico numero del ritorno/ Orfeomonocorde, la tua lira/ ha il suono d’un anticostrumento/ che l’androgino futuro non intende(…)”. C’è come un’aura di dejà vu inquesti versi. I topoi <strong>della</strong> letteratura restanogli uni accanto agli altri, senza attivare davveroqualcosa che “si possa pensare in avanti”.L’impressione che resta dopo aver letto questolibro è che i saggi critici di Gallo, PerroneCapano, Mugnolo, Reeg e degli stessi poetipossiedano un interesse e uno spessore maggiorerispetto alle prove poetiche.Al momento, mi pare di poter concludere, glistimoli più interessanti di questa letteraturasembrano risiedere soprattutto nell’aspettosocioculturale. La strada poetica, l’abitazione-parola,è ancora in costruzione. Va resomerito comunque al lavoro di Pasquale Gallo,che con grande intelligenza critica ha raccoltoe vagliato gli elementi che inscrivonola Germania nella “carta del nuovo mondo”.Camilla Miglio


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>39INTERNET: Literarische Texte im InternetDas sogenannte ‘Internet’ stellt bekanntlicheine völlig unsystematische und anarchischstrukturierte Ansammlung von Daten dar,die keiner Kontrolle unterliegen. Dieses‘Chaos’ mag für den Anfänger eherbeängstigend sein, doch zugleich bietet esauch Chancen, wenn man über die richtigenHilfen verfügt, um an die gesuchtenInformationen zu gelangen. Die fehlendeKontrolle und die Möglichkeit, kostenfreioder preiswert Informationen im Internet zupublizieren, hat dazu geführt, daßMaterialien im Internet bereitstehen, die indieser Form kaum je in Buchform möglichgewesen wären – und zwar nicht nur wegender medialen Möglichkeiten, sondernbereits wegen des Preises. So finden sichzum Beispiel in aller Welt Menschen, dieihre Freizeit opfern, um die Originaltexteihrer ‘Lieblingsautoren’ elektronisch zuerfassen und im Internet zur Verfügung zustellen.Den ‘Klassiker’ unter den Textsammlungstellt das “Projekt Gutenberg” dar. Im Jahre1994 als Privatinitiative begonnen, hat essich inzwischen zur wahrscheinlich größtenSammlung literarischer Texte im Internetentwickelt, und die deutsche Variante wirdinzwischen vom kommerziellen InternetanbieterAOL betreut. Parallel dazu könnendie im Internet-Standardformat vorhandenendeutschsprachigen Texte für ca. 40 DMauf CD-ROM über die Homepage bestelltund mit einem Internet-Browser und denneuesten Versionen einiger Textverarbeitungengelesen werden. Neben derSammlung internationaler, vor allemenglischsprachiger literarischer Texte (http://www.promo.net/pg/) ist für germanistischeZwecke speziell das deutschsprachigeAngebot von Interesse. Ein Verzeichnis mitfast allen Servern, auf denen sich (Teil-Sammlungen des “Projekts Gutenberg” –z.B. in anderen Sprachen und in anderenDatenformaten (für Handheld PCs, im PDF-Format, als ftp-downloads usw.) - befinden,steht ebenfalls bereit (http://www.5 CGgutenberg.org/). Auf der deutschsprachigen“Homepage” (http://gutenberg.aol.de/gutenb.htm) findet sich auf der linken Seiteeine alphabetisch geordnete Liste von über240, meist deutschsprachigen Autoren, doches finden sich auch Übersetzungen (z.B.Werke von Aesop, Boccaccio, Ibsen, Zola).Diese Liste läßt sich durchsuchen, und beim‘Klicken’ auf einen Autor erscheint auf demrechten Teil des Bildschirms die Startseitefür den jeweiligen Autor. Zu jedem Autorfindet sich zunächst ein Bild des Autors, einekurze Biographie, ein knappes Werkverzeichnisund eine Liste von onlineverfügbaren Werken, auf die man dannklicken kann, um zum Anfang desjeweiligen Werks zu gelangen. Bei längerenWerken sind diese aufgeteilt in mehrereTeile, so daß erstens die jeweilige Passagedes Texts schneller auf dem Bildschirmerscheint und zweitens die Möglichkeitbesteht, beispielsweise bei einem Dramasofort zum zweiten Akt zu gehen. DieSammlung findet ihre Begrenzungen bei denCopyright-Bestimmungen. Urheberrechtlich‘frei’ sind Texte, deren Autorenoder auch Übersetzer vor mindestens 70Jahren gestorben sind, oder Texte, derenAbdruck vom Verlag oder vom Autorgenehmigt wurde, was allerdings selten derFall ist oder höchstens einige Gedichte oderkurze Erzählungen betrifft. Diese strikteSelbstkontrolle verhindert dementsprechendauch die Aufnahme von Texten, die durchausim Internet zu finden sind, deren rechtlicherStatus jedoch nicht sicher ist. Dementsprechendliegt der Schwerpunkt aufAutoren vom Mittelalter (z.B. Hartmann vonAue, Walther von der Vogelweide, Wolframvon Eschenbach) bis zum Anfang des 20.Jahrhunderts (z.B. Hofmannsthal, Holz,Kafka, Morgenstern, Panizza, Rilke, Trakl,Wedekind). So finden sich nicht nur Autorenwie Lessing, Goethe, Schiller, Moritz,Kleist, Büchner oder die ‘romantischen’Schriftsteller, die auch auf den bekanntenLiteratur-CD-ROMS (siehe OsservatorioCritico, I, 1, S. 19-21 und I, 2/3, S. 30-34)erhältlich sind, sondern zum Beispiel auch


40<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>Werke von Bräker, Freytag, Gutzkow,Hamann, Herder, Pfeffel, Platen undScheerbart. Einen wesentlichen Schwerpunktstellt zudem die Literatur der FrühenNeuzeit und Frühaufklärung dar, z.B.Autoren wie Grimmelshausen (Simplicissimusund andere simplicianischeSchriften), Gottsched (beide), Gryphius,Logau, Lohenstein, C. Reuter, Sachs,Schnabel und Opitz unter anderem mit einerFaksimile-Wiedergabe des Buchs von derdeutschen Poeterey von 1624. Neben den‘Klassikern’ finden sich also auch wenigerbekannte Werke, die zudem manches Malin Buchform kaum noch erhältlich oderkaum erschwinglich sind.So beeindruckend diese Textsammlung auchsein mag, so sehr leidet sie unter dem selbenMangel, der den meisten Internetsammlungenzueigen ist: Im Gegensatz zuqualitätsvollen CD-ROMs fehlt im Internetfast immer die Möglichkeit zur Volltextrechercheund zu kombinierten Suchmöglichkeiten.Es ist also notwendig,zunächst den entsprechenden Text oderTextteil auf den PC zu laden, um dann diesenmit der Suchfunktion der Browsersoftware(z.B. “Bearbeiten/Suchen” oder “edit/find”)zu durchsuchen. Wenn nur Textteile geladenwerden können, aber der komplette Textdurchsucht werden soll, gibt es nur zweiMöglichkeiten: Entweder müssen alleTextteile nacheinander durchsucht werdenoder es müssen die Teile zunächst allenacheinander gespeichert (am besten als“plain text” mit der Endung “txt”) und dannin einer Textverarbeitung zusammengefügtwerden.Die für das Projekt Gutenberg beschriebenenProbleme finden sich auch bei denfolgenden Angeboten, die in der Regel vorallem aus Verzeichnissen von Literatur imInternet bestehen und nur ein Teil desAngebots selbst bereitstellen. Hierbeihandelt es sich also um Suchhilfen fürLiteratur im Internet, bei denen in der Regelalphabetische Autorenverzeichnisse amAnfang stehen, von denen aus man sich zuden einzelnen Werken ‘weiterklicken’ kann.5 CGDie University of Virginia stellt eineumfassende und sehr empfehlenswerteinternationale Sammlung von Texten (http://viva.lib.virginia.edu/wess/etexts.html) undeinen eigenen Startpunkt für deutschsprachigeTexte (http://viva.lib. virginia.edu/wess/germtext.html) zur Ver-fügung. Eshandelt sich um ein sehr umfassendes und gutstrukturiertes Verzeich-nis von Autoren, derenTexte sich an unter-schiedlichen Stellen imInternet befinden, an die man dann perMausklick gelangt. Zu-sätzlich werdenweitere Textsammlungen aufgelistet.Ähnliche Verzeichnisse finden sich auch vonder Universität Hannover (http://grassgris.de/bibliotheken/buecher.html)und vonder deutschen Buchhändlervereinigung(http://nautilus-online.de), die generell onlineverfügbare, also auch nicht-literarische Textenachweist. Beide Verzeichnisse sind imVergleich zum Angebot der University ofVirginia für den Bereich der deutschsprachigenLiteratur eher fragmentarisch,doch bilden sie eine gute Ergänzung.Einen recht eigenen Charakter zeichnet einvon Helmut Schulze zusammengestelltesAngebot mit dem Titel “Sammelsurium”(http://www.geocities.com/~aristipp/texte/samsur.htm) aus. Hier finden sich – nebeneinigen kurzen Prosatexten und einerAnthologie zum Thema “Küsse und Küssen”– fast ausschließlich Gedichte, darunter eineverdienstvolle, umfassende Sammlung vonGedichten des Expressionisten AugustStramm. Wenn Schulze auch zu den anderenAutoren in der Regel nur ein oder zwei Textezur Verfügung stellt, so beeindruckendennoch die Liste der Autoren, die auchwenig bekannte Schriftsteller von der FrühenNeuzeit bis zum Anfang dieses Jahrhundertsumfaßt, sowie einige Raritäten in derSammlung. Der gleiche Autor stellt zudemeine sehr ausführliche und empfehlenswerteListe von “Literatur-Links” zu Textendeutschsprachiger Autoren zur Verfügung(http://www.geocities.com/~aristipp/litlinks/litlinks.htm), die für den Bereich derdeutschsprachigen Literatur durchaus mitdem Angebot der University of Virginia


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>41konkurrieren kann. Hier finden sich auchdie recht seltenen Texte von Autoren, fürdie das Copyright noch gilt, doch derenTexten aus unterschiedlichen Gründendennoch online publiziert werden konnten.Allerdings handelt es sich hierbei fastausschließlich um Gedichte oder kürzereTexte. So finden sich hier z.B. Texte vonBöll, Bobrowski, V. Braun, Brecht,Brinkmann, Canetti, Celan, Enzensberger,Feuchtwanger, Fried, Frisch, Gernhard,Handke, Härtling, Th. und H. Mann, H.Müller, Papenfuß-Gorek, Rühmkorff, B.Strauß, R. und M. Walser sowie von Autorendes DADA und aus dem Bereich der WienerGruppe.Die Begrenzungen der Textauswahl imInternet, die nichtsdestoweniger vonCopyright-Bestimmungen herrührt, hat denpositiven Nebeneffekt, daß für die früherenJahrhunderte eine durchaus beeindruckendeSammlung von Texten bereitsteht. Spezielldie Frühe Neuzeit ist überdurchschnittlichgut vertreten, wodurch dem Mangel anerschwinglichen Buch-Ausgaben abgeholfenwerden soll und tatsächlich für vieleBereiche auch einigermaßen abgeholfenwird – trotz meist unklarer Editionsprinzipienund fraglicher Verläßlichkeit. Sofindet sich neben dem oben genanntenOpitz-Reprint und den zahlreichenfrühneuzeitlichen Texten in den bishergenannten Sammlungen zum Beispiel auchGeorg Philipp Harsdörffers “FünffacherDenckring der Teutschen Sprache” (http://userpage.fu-berlin.de/~cantsin/harsdoerffer/denckring/denckring.cgi), undmanche Universitätsbibliotheken stelleneinige ihrer alten Drucke (z.T. nurauszugsweise) online als Faksimile bereit– so zum Beispiel Mannheim (http://www.uni-mannheim.de/mateo/epo.html)und Bielefeld (http://www.ub.unibielefeld.de/diglib/rara.htm).In diesemZusammenhang erwähnenswert sind auchdie zwei wesentlichen Werkverzeichnissezur Literatur der Frühen Neuzeit, also das“Verzeichnis der im deutschen Sprachraumerschienenen Drucke des 16. Jahrhunderts”5 CG(“VD16”) als retrospektive Nationalbibliographiefür den Zeitraum von 1501 bis1600 (http://avanti.hab.de/hab_db/vd16_start.html) und das einfacher zubedienende “VD17”, also das “Verzeichnisder im deutschen Sprachraum erschienenenDrucke des 17. Jahrhunderts” (http://www.vd17.bsb.badw-muenchen.de/). Hierfinden sich keine vollständigen Texte,sondern Datenbanken, anhand deren nichtnur Autoren und Titel gesucht werdenkönnen, sondern sich auch die Titel und z.T.auch die Vorreden nach Stichwortendurchsuchen lassen. Das Titelblatt undandere wichtige Seiten (z.B. Vorrede) sindjedoch in der Regel als Faksimile vorhandenund lesbar. Eine höchst gemischte, aber sehrbrauchbare Sammlung von elektronischenTexten, die zudem auf seriösen Editionenbasieren, findet sich auf der Homepage der“Deutsches Wörterbuch von Jacob undWilhelm Grimm-Arbeitsstelle” an derAkademie der Wissenschaften in Göttingen(http://webdoc.sub.gwdg.de/ebook/adw_dw/inhalt.htm), so neben einigen ‘Klassikern’(Moritz’ Anton Reiser, Novalis’ Heinrichvon Ofterdingen, Heines Harzreise undNordsee) z.B. auch J. v. Saaz’ DerAckermann aus Böhmen, BrantsNarrenschiff, das Faustbuch von 1587,Gottscheds Biedermann, Schnabels InselFelsenburg, Gellerts Leben derschwedischen Gräfin von G***, die Monats-Gespräche, über allerhand, fürnehmlichaber Neue Bücher von Christian Thomasiussowie Ausschnitte aus dem DeutschenMuseum von 1778 und der DeutschenVierteljahrs Schrift von 1843. DieLadezeiten sind recht lang, da hier – andersals im “Projekt Gutenberg” – die Texte stetsnur als Ganzes geladen und gespeichertwerden können.Die Recherche nach Texten zeitgenössischerAutoren gestaltet sich in der Regel etwasschwieriger. Für die erste Recherche könnendie oben genannten “Literatur-Links” vonHelmut Schulze und die “Erlanger Liste”empfohlen werden, zudem mit Einschränkungenauch andere germ-nistische


42<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>Startseiten (vgl. Osservatorio Critico I, 1,S. 21-25). In der “Erlanger Liste” finden sichentsprechende Verzeichnisse in mehrerenBereichen: Der Bereich “ElektronischeTexte” verzeichnet allgemein Textsammlungenund weitere Kataloge zuliterarischen Texten im Internet (auch zurinternationalen Literatur und spezielleVerzeichnisse zu Fabeln, Märchen, Satire,Parodien, Lyrik usw.), der Bereich“Epochen” bietet reichhaltige “links” zuInformationen über einzelne Epochen undAutoren, unter denen sich auch literarischeWerke und auch Homepages von Autoren(z.B. Jelinek, R. Goetz) befinden. DerBereich “Pixel Pegasus” beinhaltet unteranderem Links zu Literaturmagazinen undLiteraturprojekten. Weitere Hinweise,speziell auf Hypertext-Literatur und aufZeitschriften im Internet finden sich amEnde des Bereichs “Elektronische Texte”.Desweiteren für neuere Texte zu empfehlensind Recherchen in “OLLi”, also “OliversLinks zur Literatur” (http://www.swbv.unikonstanz.de/olli/index.html),und vor allemdie “Bibliomaniac List” (http://www.lipsia.de/~hesse/) mit zahlreichen Links zuliterarischen Themen und auch zu aktuellenTexten. Trotz dieser hervorragendenVerzeichnisse und Textsammlungen sindnoch nicht alle Texte im Interneterschlossen. So fehlt in den Verzeichnissenz.B. häufig die Homepage der “SüdtirolerAutorenvereinigung”, auf der sich Texte vonSabine Gruber, Kurt Lanthaler, Sepp Mall,Josef Oberhollenzer und Anita Pichlerbefinden (http://www.provinz.bz.it/sav/).Nur in sehr wenigen Fällen darf denelektronischen Editionen Vertrauengeschenkt werden, was den richtigen undvollständigen ‘Abdruck’ der Texte angeht.So fehlen fast durchgängig Hinweise auf diebenutzten Editionen und Quellen, und nurselten verraten die elektronischen Texte dieArbeit eines akribisch arbeitenden Editorsund professionellen Korrektors. Nichtsdestowenigerbieten sie ein überaus hilfreichesArbeitsmittel und eine notwendigeErgänzung für die CD-ROM-Editionen von5 CGliterarischen Texten, bei denen meist derSchwerpunkt auf den ‘Klassikern’ liegt. ImInternet finden sich dagegen zusätzlicherstens zahlreiche Texte aus der FrühenNeuzeit und zweitens von weniger bekanntenVerfassern und vor allem von neuen Autoren.Damit eröffnet das Internet gerade dort großeChancen, wo Buchverlage das verlegerischeRisiko scheuen: Während der Buchmarkt(und auch das Internet) zum Beispiel mitimmer neuen Goethe-Ausgaben überschwemmtwird, bietet das Internet nochimmer Möglichkeiten für eine ‘kleineLiteratur’ und für eine Kultur der Ränder,stellt also vielleicht auch – nicht nur was diefrüheren Texte angeht – inzwischen einverläßlicheres ‘kulturelles Gedächtnis’ dar alsein profitorientierter und zunehmendrisikoscheuer Buchmarkt.Nachtrag: Die im ersten Osservatorio Critico(I, 1, S. 21-25) genannten “Links” vongermanistischen Startseiten von Universitätenhaben sich in zwei Fällen geändert, so beider “Erlanger Liste” (http://www.phil.unierlangen.de/~p2gerlw/ressourc/liste.html).Die aktualisierte Liste zu Reinhard KaisersLiterarische Spaziergänge im Internet.Bücher und Bibliotheken online (Frankfurt/Main: Eichborn-Verlag, 2. Aufl. 1997) wirdzudem scheinbar regelmäßig mit neuenDateinamen versehen, so daß die Benutzerden Umweg über die Homepage (http://www.eichborn.com/home.htm) gehen solltenund damit gezwungen sind, die Werbung desVerlags zur Kenntnis zu nehmen. Allerdingsfinden sich so auch leichter die verschiedenenNachträge zur Buchfassung. – Hingewiesensei noch ergänzend auf die inhaltlichherausragende und gut strukturiertegermanistische Startseite an der Universityof Wisconsin/USA (http://polyglot.lss.wisc.edu/german/links.html).Ingo Breuer


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>43SEGNALAZIONIRivisteSaggiItalo Michele Battafarano, Die im Chaosblühenden Zitronen. Identität und Alteritätin Goethes Italienischer Reise, Bern, Lang,1999, pp. 262, sFr. 58Bruno Berni, Letteratura danese in traduzioneitaliana. Una bibliografia, Quadernidi “Studi Nordici” 1 - 1999, Pisa - Roma,Istituti editoriali e poligrafici internazionali,1999, pp. 78, con dischetto, £. 30.000Michele Cometa, Guida alla <strong>germanistica</strong>.Manuale d’uso, Roma-Bari, Laterza, 1999,pp. 277, £. 28.000John W. Kiser, Stefan Zweig. Morte di unuomo moderno, trad. di Maria LiberataD’Orazio e Gherardo Lazzeri, prefaz. di EliWiesel, nota di Marion Sonnenfeld, Firenze,LoGisma, 1999, pp. 90, £. 12.000Luigi Reitani (a cura di), Luci lune luoghi.Antologia <strong>della</strong> poesia austriaca contemporanea,Milano, Marcos y Marcos, 1999,pp. 733, £. 58.000Fernanda Rosso Chioso, Metchild vonMagdeburg. Poesia e struttura, Bologna,CLUEB, 1998, pp. 170, £. 24.000Cultura tedesca 10 - Dicembre 1998Letteratura e immigrazione a cura di GiovanniScimonelloIntroduzione: Giovanni Scimonello,Multietnicità e creatività linguistica. La“Ausländerliteratur” nella Repubblica Federaledi Germania..Interventi: Franco Biondi, Sprache,Literatur und Anwesenheit; Gino Chiellino,La nascita <strong>della</strong> memoria biculturale; Hans-Dieter Bahr, Die Sprache des Gastes- DieSprache zu Gast; Immacolata Amodeo, DieÄsthetik der Differenz im Werk FrancoBiondis; Virginia Cisotti, L’”Appellstruktur”dei testi di Fruttuoso Piccolo; GiovanniScimonello, “Heimat” e “Fremde”nella lirica di Gino Chiellino.Saggi: Hartmut Böhme, HistorischeVoraussetzungen und gegenwärtigePerspektiven der Kulturwissenschaft; KlausR. Scherpe, Kanon, Text, Medium.Kulturwissenschaftliche Motivationen fürdie Literaturwissenschaft; Marco Milli,Friedrich Nietzsche: un caso di antisemitismo;Gaetano Biccari, Con Brecht, oltreBrecht. Momenti di estetica brechtiananel teatro e nel cinema del primo Fassbinder.Un confronto, con alcune riflessioni sul“Katzelmacher”; Giuseppe Cengiarotti, Laportabassa. Praga dell’Ottocento tra storiae mito.Recensioni.Maria Sechi (a cura di), Ritratti dell’altro.Figure di ebrei in esilio nella cultura occidentale,Firenze, Giuntina, 1997, pp. 171,£. 24.000Aldo Venturelli, Musil. Frammenti di un’altravita, Padova, Edizioni Messaggero Padova,1998, pp. 159, £. 18.0005 CGStudi germanici (n. s.) Anno XXXV, 2-3,1997 - 102-103Claus Riessner, Der Dichter der Kaiserchronik,ein Rompilger sui generis; CarloGhisalberti, Italia e Austria tra le rivoluzionidel 1789 e del 1848; Angelo Ara, Austriae Italia dalla rivoluzione del 1848 alla Primaguerra mondiale; Clemens-Carl Härle,Staat, Kriegsmaschine, Affekt. Kleists Prinz


thn von Horvá44<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>Friedrich von Homburg; Maria Luisa Roli,Allegorie dell’io nelle Feldblumen di Stifter;Gianni Bertocchini, Teoria e pratica <strong>della</strong>novella. Sulla Vollendung der Liebe diRobert Musil; Camilla Miglio, La stella delBauhaus. L’utopia umanistica di OskarSchlemmer; Valentina Di Rosa, Lo spettacolo<strong>della</strong> rivoluzione. Appunti sul teatropolitico di Piscator nel decennio 1919-1929;Reinhold Grimm, Schrankenlose Intertextualität?Zur Übersetzbarkeit von BibelundShakespearezitaten.Note - rassegne - profili: Sabine Pamperrien,“The time is out of joint (...)”. Zu HeinerMüllers Hamletmaschine und zuShakespeares Hamlet; Bruno Berni, Notesulle prime traduzioni italiane di KarenBlixen; Vanda Perretta, Testo e testi nelleLezioni di Francoforte.Recensioni.Studi Nordici III - 1996 (Merete Kjøller inmemoriam)Studi: Joakim Garff, “Den misdannede” -Kierkegaard og dannelskulturen; Ivan Z.Sørensen, “Det vidunderlige” hos Ibsen ogKierkegaard - og i italiensk oversættelse;Jørgen Stender Clausen, Georg Brandes ogItalien. Indflydelse og reception II; JuttaBoisen Møller, The works of Peter Høeg;Ole Togeby, Functional Grammar - “On itsits a dog”; Sven Lange, En datorstöddlingvistisk-lexikografisk textanalysmetodtillämpad på Hjalmar Söderbergs roman“Doktor Glas”; Yrja Haglund, Svenskaspråket i italiensk mun - Prioritering iuttalsundervisningen i svenska.Recensioni.Bilder der Gertrud Kolmar; Giuliana Pistoso,Il mio incontro con GertrudIl mondo <strong>della</strong> cultura: Gert Mattenklott,Gertrud Kolmar. Versuch eines Portaits;Virginia Verrienti, Gertrud Kolmar, “l’ebrea”I mondi <strong>della</strong> scrittura: Vanda Perretta, “Eskomme mein Freund und esse”; AntonellaGargano, Le ‘metamorfosi’ di Gertud Kolmar;Margherita Cottone, Su alcune metafore <strong>della</strong>lirica di Gertrud Kolmar; Franco Buono,Lo “Stemma di Kolmar”. Per una lettura delPreussisches WappenbuchBibliografia (a cura di A. Gargano)Studia Austriaca VII - 1999Wolfgang Nehring, Werfels “Paulus unter denJuden”. Drama - Legende - Bekenntnis?;Giuseppe Dolei, Una tragedia annunciata.Stefan Zweig ed Erasmo da Rotterdam; AlbertoDestro, Kassner e Rilke; EmanuelaVeronica Fanelli, Troppo intelligente per essereun poeta? Robert Musil, Franz Blei e lacrisi del sistema letterario; HermannSchlösser, Literarische Dorferneuerung.Einige Beobachtungen zur Poetisierung desLändlichen in kleineren österreichischenTexten der achtziger und neunziger Jahre;Fausto Cercignani, I turbamenti dell’allievoTörless e la conquista <strong>della</strong> “prospettiva interiore”;Wendelin Schmidt-Dengler,Doderer und das Verbrechen; Gabriellad’Onghia, Heimito von Doderer. “Il casoGütersloh”; Anton Reininger, Heimito vonDoderer. Apperzeption - Vorsehung - Glück;Mirella Carbone, La Sicilia di Imma vonBodmershofTraduzioniProForma. Quaderni di <strong>germanistica</strong> 1Gertrud Kolmar la stranieraLe esperienze del mondo: Marina Zancan,L’esperienza, la scrittura; JohannaWoltmann, Überleben im Werk. Die Rettungdes dichterischen Werks Gertrud Kolmars;Marion Brandt, Orte; Ruth Tesmar,Onyxnacht und Rosennebel - die farbigen5 CGFriedrich Achleitner, Plottegg in arrivo, acura di Matilde De Pasquale, Roma, Empiria,1999, pp. 67, £. 18.000Trudi Birger, Ho sognato la cioccolata peranni, trad. di Maria Luisa Cesa Bianchi,Casale Monferrato, Piemme, 1999, pp. 223,£. 24.000


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>45Heinrich Böll, Cane pallido, trad. di GiovannaAgabio, Torino, Einaudi, 1999, pp.141, £. 22.000Heinrich Böll, Opere scelte, a cura e conun saggio introdutivo di Lucia Borghese,Milano, Mondadori, “I Meridiani”, 1999,vol. I, pp. 1169, £. 85.000Paul Celan, Conseguito silenzio, a cura diMichele Ranchetti, trad. di MicheleRanchetti e Jutta Leskien, Torino, Einaudi,1998, pp. 101, £. 18.000Wilhelm Dilthey, Esperienza vissuta e poesia,trad. di Nicola Accolti Gil Vitale, Genova,Il melangolo, 1999, pp. 475, £. 40.000Jacob e Wilhelm Grimm, Fiabe, trad. diTommaso Landolfi, a cura di IdolinaLandolfi, Milano, Adelphi, 1999, pp. 97,£.12.000Ödön von Horváth, Teatro <strong>della</strong> colpa. Assassinioal vicolo del Moro. Don Giovanniritorna dalla guerra. Il Giorno del Giudizio,a cura di Teodoro Scamardi, Bari, EdizioniB.A. Graphis, 1998, pp. 161, £. 25.000Klaus Mann, La peste bruna. Diari 1931-1935, prefaz. di Marino Freschi, trad. diMateilde De Pasquale, Roma, Editori Riuniti,1998, pp. 343, £. 45.000Thomas e Heinrich Mann, La montagna deldisincanto. <strong>Lettere</strong> 1900-1949, a cura di RobertaPersichelli, Milano, Archinto, 1999,pp. 229, £. 38.000Erich Mühsam, Dal cabaret alle barricate,a cura di Alessandro Fambrini e NinoMuzzi, Milano, Elèuthera, 1999, pp. 220,£. 24.000Birgit Vanderbeke, Alberta riceve un amante,trad. di Riccarda Novello, Venezia,Marsilio, 1997, pp. 97, £. 20.0005 CG


46<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>Università degli Studi di Trento - Dipartimento di Scienze Filologiche StoricheCollana Labirinti, diretta da Fabrizio Cambi34. Francesco Bartoli, Figure <strong>della</strong> melanconia e dell’ardore. Saggi di ermeneuticateatrale (1998), £. 30.000.I saggi, dislocati su circa un ventennio di attività, sono stati raccolti attorno a tretemi principali che danno origine alle tre sezioni del libro. Nella prima, che comprendequattro articoli attorno a temi artaudiani, Bartoli indaga le corrispondenze fra teatro epittura grazie ad una non comune familiarità con l’una e l’altra prassi compositiva. Idue studi che compongono la seconda sezione, accanto al «teatro muto» <strong>della</strong> pittura,convocano altre rischiose marginalità fra poesia e musica. La terza parte, costituita dadodici saggi, s’apre e si sofferma sulla marionetta come topos del teatro del Novecento,indi percorre «paesaggi fantastici in scena» e termina con figure simboliche dannunziane.Chiudono il volume una Notizia bio-bibliografica a cura di Umberto Artioli e unaPostfazione di Roberto Tessari.35. Theodor Storm, ‘Immensee’ e altre novelle (1998), a cura di Fabrizio Cambi, £.30.000.La scelta di sette famose novelle, qui presentate in una nuova traduzione con apparatocritico, consentono di ridisegnare la parabola dall’idillio biedermeieriano, in cuidominano il ricordo e il sentimento doloroso dell’irrevocabilità del passato (Immensee,Rose tardive), a novelle che hanno per tema l’irresolutezza amorosa (Nel castello, Violatricolor), il grottesco o il meraviglioso, magistralmente rappresentati in chiaverealistica, (Casa Bulemann, La fata <strong>della</strong> pioggia), fino al noto racconto de L’uomo dalcavallo bianco, straordinaria epopea del destino, che, come scrisse Thomas Mann,trasmette «quell’elementare potere che lega la tragicità <strong>della</strong> vita degli uomini al segretoselvaggio <strong>della</strong> natura».37. Friedrich Hebbel, Schnock. Un dipinto olandese (1998), a cura di AlessandroFambrini, £. 25.000.Schnock, una delle rare prove narrative di Friedrich Hebbel (1813-1863), che quiviene presentata in prima traduzione italiana, è definita dal suo autore «dipinto olandese»:dichiarazione di genere, che indica programmaticamente una traccia jeanpauliana,ripercorribile nella asistematicità del testo, nella sua comicità eccentrica, nel linguaggioimmaginifico, nell’uso <strong>della</strong> digressione e <strong>della</strong> divagazione.5 CG


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>47Osservatorio Critico <strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>anno II, n. 5Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche - Trento 1999Direttore Responsabile: Massimo EgidiRedazione: Fabrizio Cambi, Alessandro Fambrini, Fulvio FerrariComitato esterno: Alessandro Costazza, Luca Crescenzi, Guido Massino, Lucia Perrone Capano,Aldo Venturelli, Roberto VenutiProgetto grafico: Roberto MartiniImpaginazione: C.T.M. (Luca Cigalotti)Editore: Maria Pacini Fazzi Editore - LuccaPeriodico quadrimestrale (febbraio, giugno, ottobre)Abbonamento annuale (tre numeri): £. 25.000Abbonamento estero: £. 36.000Numero singolo e arretrati: £. 10.000Modalità di abbonamento: versamento sul conto corrente postale numero 11829553 intestatoa: MARIA PACINI FAZZI - LUCCA, specificando nella causale sul retro ABBONAMENTOANNUALE A ‘<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong> DELLA GERMANISTICA’, e indicando nome,cognome, via e numero, c.a.p., città, provincia e telefono, oltre al numero di partita i.v.a. per glienti, istituzioni, aziende che desiderano la fattura.Manoscritti di eventuali collaborazioni e libri da recensire vanno indirizzati ai componenti<strong>della</strong> redazione presso il Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche,via S.Croce 65, 38100Trento (tel. 0461/881718, 0461/881723 o 881739; fax. 0461/881751; e-mailfcambi@gelso.unitn.it).Amministrazione e pubblicità: MARIA PACINI FAZZI EDITORE S.R.L., piazza S. Romano16 - casella postale 173 - 55100 Lucca; tel. 0583/55530 - fax 0583/418245; e-mailmpf@pacinifazzi.itStampa: Tipografia Menegazzo - viale S. Concordio 903 - LuccaFebbraio 1999periodico in attesa di registrazione presso il Tribunale di LuccaISSN5 CG


<strong>OSSERVATORIO</strong> <strong>CRITICO</strong><strong>della</strong> <strong>germanistica</strong>INDICERecensioniGiulia CantaruttiMatthias Wehrhahn (curatore), “Vergessene Texte des 18. Jahrhunderts” 1Alessandro CostazzaGian Franco Frigo, Paola Giacomoni, Wolfgang Müller-Funk (curatori), Pensare lanatura. Dal Romanticismo all’ecologia 5Luca CrescenziGoethe scienziato, a cura di Giulio Giorello e Agnese Grieco 11Grazia PulvirentiEmilio Bonfatti e Maria Fancelli (curatori), Il primato dell’occhio. Poesia e pitturanell’età di Goethe 14Fabrizio CambiGerhard Kaiser, Faust o il destino <strong>della</strong> modernità 16Guido MassinoClaudia Sonino, Esilio, diaspora, terra promessa. Ebrei tedeschi verso Est 20Anna FattoriiJeremias Gotthelf, Due storie dell’EmmentalJeremias Gotthelf, Elsi, la strana serva 23Donatella MazzaGünter Oesterle (a cura di), Jugend. Ein romantisches Konzept?John Neubauer, Adolescenza fin-de-siècle 28Christoph NickenigGabriella Rovagnati, ‘Umwege auf dem Wege zu mir selbst’. Zu Leben undWerk Stefan Zweigs 31Alessandro FambriniVictor Klemperer, LTI. La lingua del Terzo Reich 34Camilla MiglioPasquale Gallo (a cura di), Die Fremde. Forme dell’interculturalità nella letteraturatedesca contemporanea 36Ingo BreuerINTERNET: Literarische Texte im Internet 39Segnalazioni 43Università degli Studi di TrentoII - 5Lire 10.000

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