Introduzione alla poesia "La vita solitaria". Testo ... - Biagio Carrubba
Introduzione alla poesia "La vita solitaria". Testo ... - Biagio Carrubba
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<strong>Introduzione</strong> <strong>alla</strong> <strong>poesia</strong> "<strong>La</strong> <strong>vita</strong> solitaria".<br />
Leopardi scrisse il canto "<strong>La</strong> <strong>vita</strong> solitaria", che chiuse l'esperienza dei primi idilli, tra l'estate e<br />
l'autunno del 1821. Lo spunto iniziale del canto, presumibilmente, indica che Leopardi scrisse la<br />
<strong>poesia</strong> ricordando un suo soggiorno nella casa di campagna di famiglia nella tenuta di San<br />
Leopardo, presso Recanati. Molti passi dello Zibaldone del 1821 si rifanno al tema della "<strong>vita</strong><br />
solitaria" che era presente da tempo nella mente di Leopardi come si evince dai molti altri<br />
riferimenti letterari, insiti nel canto. Molti versi, infatti, fanno riferimento ad opere letterarie di<br />
Monti, di Pindemonte, di Parini e di Foscolo e riprendono, anche, versi di Odae adespotae che<br />
Leopardi aveva tradotto nel 1816. Il tema, inoltre, esprime il contrasto tra la <strong>vita</strong> della campagna e<br />
la <strong>vita</strong> delle città. Ma io, <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong>, credo, che Leopardi abbia voluto esprimere il suo amore<br />
per una natura ritenuta ancora, soprattutto benigna. Questo sentimento di amore verso la natura<br />
cambierà radicalmente nel 1824. Nel canto la natura è soprattutto benigna, anche se in certi versi<br />
Leopardi già comincia a fare vedere la natura come madre matrigna ed indifferente verso gli<br />
uomini; dal 1824 in poi, nelle opere di Leopardi, scomparirà completamente il volto benigno della<br />
natura e rimarrà solo il volto maligno di essa.<br />
<strong>La</strong> Vita solitaria è composta da 107 versi e fu pubblicata per la prima volta nel "Nuovo<br />
Ricoglitore" del 1826.<br />
<strong>Testo</strong> della <strong>poesia</strong> “<strong>La</strong> <strong>vita</strong> solitaria”.<br />
<strong>La</strong> mattutina pioggia, allor che l'ale<br />
Battendo esulta nella chiusa stanza<br />
<strong>La</strong> gallinella, ed al balcon s'affaccia<br />
L'abitator de' campi, e il Sol che nasce<br />
I suoi tremuli rai fra le cadenti 5<br />
Stille saetta, <strong>alla</strong> capanna mia<br />
Dolcemente picchiando, mi risveglia;<br />
E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo<br />
Degli augelli susurro, e l'aura fresca,<br />
E le ridenti piagge benedico: 10<br />
Poiché voi, cittadine infauste mura,<br />
Vidi e conobbi assai, là dove segue<br />
Odio al dolor compagno; e doloroso<br />
Io vivo, e tal morrò, deh tosto! Alcuna<br />
Benché scarsa pietà pur mi dimostra 15<br />
Natura in questi lochi, un giorno oh quanto<br />
Verso me più cortese! E tu pur volgi<br />
Dai miseri lo sguardo; e tu, sdegnando<br />
Le sciagure e gli affanni, <strong>alla</strong> reina<br />
Felicità servi, o natura. In cielo, 20<br />
In terra amico agl'infelici alcuno<br />
E rifugio non resta altro che il ferro.<br />
1
Talor m'assido in solitaria parte,<br />
Sovra un rialto, al margine d'un lago<br />
Di taciturne piante incoronato. 25<br />
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,<br />
<strong>La</strong> sua tranquilla imago il Sol dipinge,<br />
Ed erba o foglia non si crolla al vento,<br />
E non onda incresparsi, e non cicala<br />
Strider, né batter penna augello in ramo, 30<br />
Né farf<strong>alla</strong> ronzar, né voce o moto<br />
Da presso né da lunge odi né vedi.<br />
Tien quelle rive altissima quiete;<br />
Ond'io quasi me stesso e il mondo obblio<br />
Sedendo immoto; e già mi par che sciolte 35<br />
Giaccian le membra mie, né spirto o senso<br />
Più le commova, e lor quiete antica<br />
Co' silenzi del loco si confonda.<br />
Amore, amore, assai lungi volasti<br />
Dal petto mio, che fu sì caldo un giorno, 40<br />
Anzi rovente. Con sua fredda mano<br />
Lo strinse la sciaura, e in ghiaccio è volto<br />
Nel fior degli anni. Mi sovvien del tempo<br />
Che mi scendesti in seno. Era quel dolce<br />
E irrevocabil tempo, allor che s'apre 45<br />
Al guardo giovanil questa infelice<br />
Scena del mondo, e gli sorride in vista<br />
Di paradiso. Al garzoncello il core<br />
Di vergine speranza e di desio<br />
Balza nel petto; e già s'accinge all'opra 50<br />
Di questa <strong>vita</strong> come a danza o gioco<br />
Il misero mortal. Ma non sì tosto,<br />
Amor, di te m'accorsi, e il viver mio<br />
Fortuna avea già rotto, ed a questi occhi<br />
Non altro convenia che il pianger sempre. 55<br />
Pur se talvolta per le piagge apriche,<br />
Su la tacita aurora o quando al sole<br />
Brillano i tetti e i poggi e le campagne,<br />
Scontro di vaga donzelletta il viso;<br />
O qualor nella placida quiete 60<br />
D'estiva notte, il vagabondo passo<br />
Di rincontro alle ville soffermando,<br />
L'erma terra contemplo, e di fanciulla<br />
Che all'opre di sua man la notte aggiunge<br />
Odo sonar nelle romite stanze 65<br />
L'arguto canto; a palpitar si move<br />
Questo mio cor di sasso: ahi, ma ritorna<br />
Tosto al ferreo sopor; ch'è fatto estrano<br />
Ogni moto soave al petto mio.<br />
O cara luna, al cui tranquillo raggio 70<br />
2
Danzan le lepri nelle selve; e duolsi<br />
Alla mattina il cacciator, che trova<br />
L'orme intricate e false, e dai covili<br />
Error vario lo svia; salve, o benigna<br />
Delle notti reina. Infesto scende 75<br />
Il raggio tuo fra macchie e balze o dentro<br />
A deserti edifici, in su l'acciaro<br />
Del pallido ladron ch'a teso orecchio<br />
Il fragor delle rote e de' cavalli<br />
Da lungi osserva o il calpestio de' piedi 80<br />
Su la tacita via; poscia improvviso<br />
Col suon dell'armi e con la rauca voce<br />
E col funereo ceffo il core agghiaccia<br />
Al passegger, cui semivivo e nudo<br />
<strong>La</strong>scia in breve tra' sassi. Infesto occorre 85<br />
Per le contrade cittadine il bianco<br />
Tuo lume al drudo vil, che degli alberghi<br />
Va radendo le mura e la secreta<br />
Ombra seguendo, e resta, e si spaura<br />
Delle ardenti lucerne e degli aperti 90<br />
Balconi. Infesto alle malvage menti,<br />
A me sempre benigno il tuo cospetto<br />
Sarà per queste piagge, ove non altro<br />
Che lieti colli e spaziosi campi<br />
M'apri <strong>alla</strong> vista. Ed ancor io soleva, 95<br />
Bench'innocente io fossi, il tuo vezzoso<br />
Raggio accusar negli abitati lochi,<br />
Quand'ei m'offriva al guardo umano, e quando<br />
Scopriva umani aspetti al guardo mio.<br />
Or sempre loderollo, o ch'io ti miri 100<br />
Veleggiar tra le nubi, o che serena<br />
Dominatrice dell'etereo campo,<br />
Questa flebil riguardi umana sede.<br />
Me spesso rivedrai solingo e muto<br />
Errar pe' boschi e per le verdi rive, 105<br />
O seder sovra l'erbe, assai contento<br />
Se core e lena a sospirar m'avanza.<br />
3
Parafrasi e costruzione diretta della <strong>poesia</strong> "<strong>La</strong> <strong>vita</strong> solitaria".<br />
1ª strofa.<br />
<strong>La</strong> mattutina pioggia mi risveglia, mentre la gallinella saltella nel pollaio sbattendo le ali, mentre il<br />
contadino s'affaccia al balcone, mentre il sole, che sorge, fa passare i suoi deboli raggi fra le gocce<br />
della pioggia che cade sopra la mia capanna;<br />
ed io mi alzo e saluto con gioia le piccole nuvole, il primo cinguettio degli uccelli, le aperte<br />
campagne e l'aria fresca;<br />
poiché io vidi e conobbi voi, disgraziate mura cittadine, là dove l'odio è inseparabile al dolore;<br />
ed io vivo addolorato e morirò in tal modo, deh subito!<br />
Benchè ora la natura mi mostra nessuna o poca pietà in questi luoghi, un tempo essa fu molto<br />
generosa con me! E tu, o Natura, non guardi i miseri; tu, disprezzando gli affanni e le sciagure, sei<br />
asser<strong>vita</strong> solo <strong>alla</strong> felicità. Sia in cielo che in terra nessuno è amico degli infelici, e, a loro, non<br />
rimane nessun altro rifugio che il suicidio.<br />
2ª strofa.<br />
Alcune volte mi siedo in un luogo solitario, sopra un'altura, al margine di un lago, circondato da<br />
piante silenziose. Qui, quando il meriggio si dispiega nel cielo, il sole riflette la sua tranquilla<br />
immagine sul lago, né erba né foglia si muovono al vento e quando non si ode, né da vicino né da<br />
lontano, voce né movimento, né si vede onda muoversi e nè si sente cicala stridere, né uccello<br />
battere le ali sui rami, né farf<strong>alla</strong> sussurrare, allora una profondissima quiete domina sulle rive;<br />
tanto che io, stando seduto immobile, dimentico quasi me stesso e il mondo; e già mi pare che il<br />
mio corpo si liberi d<strong>alla</strong> mia anima e mi pare che, né spirito né sensazioni riescano più ad animarlo<br />
e mi pare che la stasi prolungata del mio corpo si assimili al silenzio del luogo.<br />
3ª strofa.<br />
Amore, amore, sei volato via lontano dal mio cuore, che un giorno fu caldo, anzi rovente. <strong>La</strong><br />
sciagura lo ha stretto con la sua fredda mano ed esso si è tramutato in ghiaccio nel pieno della mia<br />
gioventù. Ricordo il tempo che tu, amore, mi scendesti nel cuore. Era quel dolce ed indimenticabile<br />
tempo, quando questo infelice spettacolo del mondo si apre <strong>alla</strong> vista del giovane e gli appare in<br />
forma di paradiso. Allora il cuore palpita nel petto al ragazzo che è pieno di speranze ancora<br />
intatte, non deluse; e il misero mortale già si prepara al lavoro di questa <strong>vita</strong> come fosse danza o<br />
gioco. Ma non appena mi accorsi di te, o amore, ecco che già la sfortuna aveva spezzato il mio<br />
vivere, cosicché non altro restò ai miei occhi, se non il piangere sempre. Se qualche volta mi trovo<br />
per le campagne assolate, o durante la silenziosa aurora, o quando i tetti, le colline e le campagne<br />
brillano al sole, incontro lo sguardo di una bella fanciulla; o quando nella tranquilla quiete di una<br />
serata estiva contemplo la terra solitaria, soffermandomi davanti alle ville e sento il sonoro canto di<br />
una fanciulla che lavora nelle solitarie stanze e aggiunge con le sue mani nuovo lavoro al lavoro del<br />
giorno, allora questo mio cuore insensibile ritorna a palpitare; ma, ahi, torna subito al duro torpore,<br />
poiché ogni sentimento soave è diventato estraneo al mio cuore.<br />
4ª strofa.<br />
O cara luna, le lepri danzano al tuo tranquillo raggio; e, <strong>alla</strong> mattina, il cacciatore si lamenta perché<br />
trova le orme false e sparpagliate che lo sviano dalle tane; salve, o benigna regina delle notti. Il tuo<br />
raggio scende nocivo fra gli alberi e fra le valli o dentro case abbandonate o sulla lama del pallido<br />
ladrone, il quale, con le orecchie tese, ascolta il rumore delle ruote, il calpestio dei cavalli o il<br />
fruscio dei passi sul silenzioso sentiero; poi all'improvviso con il suono delle armi, con la voce<br />
rauca e con il volto truce e minaccioso egli gela il cuore del passeggero, e in un battere d'occhio lo<br />
lascia semivivo e nudo. <strong>La</strong> tua bianca luce scende nelle vie cittadine ed è sfavorevole all'amante<br />
adultero, che, rasentando le mura delle case e seguendo le ombre degli edifici, s'arresta e ha paura<br />
4
delle lucenti lucerne e delle finestre aperte. (Il tuo raggio) Scende nemico a tutte le menti malvagie.<br />
Invece, per me, la tua vista sarà sempre benevola perché mi illumina non altro che lieti colli ed ampi<br />
campi. Benché io fossi innocente, io solevo accusare il tuo bel raggio, quando nei luoghi abitati mi<br />
esponeva allo sguardo degli altri, o quando scopriva gli altri al mio sguardo. Ora, invece, sempre lo<br />
loderò, quando, o luna, ti vedrò passare tra le nuvole, o quando tu, serena dominatrice del cielo<br />
stellato, contemplerai questa piangente terra umana. Tu vedrai me, spesso muto e solitario errare nei<br />
boschi o per le verdi rive, o mi vedrai sedere sopra le erbe, e mi vedrai assai contento, se mi rimarrà<br />
tanta forza nel cuore per sospirare, per sperare e per vivere.<br />
Sintesi della <strong>poesia</strong>.<br />
Nella prima strofa il poeta si risveglia al leggero suono della pioggia e saluta il nuovo giorno con<br />
fiducia e nuova speranza poiché conosce il dolore, e l'odio che lo accompagna, che si nascondono<br />
nella città.<br />
Anche il poeta vive la sua quotidianità in modo angosciato e in questo modo prevede morrà. <strong>La</strong><br />
natura, anche in quei luoghi campestri, non ha pietà per il poeta; ma Leopardi dice che essa un<br />
giorno fu assai generosa con lui. <strong>La</strong> natura distoglie gli occhi dalle miserie e dalle disgrazie umane<br />
ed è asser<strong>vita</strong> soltanto <strong>alla</strong> felicità. Su questa terra nessuno è, infatti, amico degli infelici e ad essi<br />
non rimane che il suicidio.<br />
Nella seconda strofa talvolta il poeta si siede presso un laghetto circondato da alberi taciturni e vede<br />
il sole riflettersi sulle acque del lago e quando non si sentono né le onde incresparsi né il battere<br />
delle ali degli uccelli e si vede lo svolgersi del pomeriggio, allora una profonda quiete domina quel<br />
luogo. In questa sospensione del tempo, il poeta quasi dimentica sé stesso e il mondo e gli pare che<br />
il suo corpo si liberi dall'anima e che nessuna sensazione lo animi e gli sembra che l'immobilità del<br />
suo corpo diventi un tutt'uno con il silenzio del luogo.<br />
5
Nella terza strofa Leopardi si rivolge all'amore che un tempo gli aveva riscaldato, anzi arroventato,<br />
il cuore. Ora invece il cuore del poeta si è agghiacciato e Leopardi ricorda quando l'amore gli era<br />
disceso in cuore così come accade a tutti i giovani a cui la <strong>vita</strong> sembra una danza o un gioco. Ma,<br />
subito dopo che l'amore gli era disceso in cuore, la sfortuna gli aveva troncato la <strong>vita</strong> stessa e a lui<br />
non rimaneva che piangere sempre. Soltanto quando incontra qualche leggiadro volto di ragazza o<br />
quando ascolta un melodioso canto di una fanciulla che lavora di notte, il cuore del poeta ricomincia<br />
a battere ma si ferma subito dopo perché ogni movimento dolce e soave è diventato, ormai,<br />
estraneo, al suo cuore.<br />
Nella quarta strofa il poeta si rivolge <strong>alla</strong> luna sotto il cui raggio le lepri giocano nelle selve dove la<br />
mattina il cacciatore si lamenta per le ingannevoli tracce che non gli fanno trovare le tane. Il poeta<br />
rivolgendosi <strong>alla</strong> luna pensa che il suo raggio sia nocivo al brigante che, la notte, con le armi e il suo<br />
torvo volto assale il povero viaggiatore e lo lascia spoglio dei suoi beni. Il raggio della luna è<br />
nocivo anche all'amante vile che, rasentando i muri degli alberghi e delle case e nascondendosi<br />
nell'ombra, fugge via d<strong>alla</strong> finestre spalancate ed illuminate.<br />
Il raggio della luna scende nocivo per tutti gli uomini malvagi ma non per il poeta perché a lui la<br />
luna, con il chiarore del suo raggio, mostra campi spaziosi e colline liete.<br />
Anche per Leopardi, una volta, però il raggio della luna era nocivo perché lo esponeva agli sguardi<br />
altrui e esponeva gli altri ai suoi sguardi. Il poeta sarà sempre grato <strong>alla</strong> luna sia che essa passi tra le<br />
nuvole o che essa contempli la misera sede degli uomini. <strong>La</strong> luna vedrà il poeta, solitario e muto,<br />
sempre vagare tra i boschi e tra le verdi rive o seduto sopra l'erba e lo vedrà abbastanza contento se<br />
gli rimarrà la forza e il fiato per potere sospirare.<br />
Il tema della <strong>poesia</strong>.<br />
Il tema del canto è la "solitudine", così come si evince dalle molte pagine scritte da Leopardi sul<br />
tema nello Zibaldane per tutto il 1821. Per Leopardi la solitudine ha un effetto benefico per gli<br />
uomini perché riconcilia i loro sentimenti con la semplicità e la bellezza della natura. Secondo<br />
Leopardi gli uomini, sopraffatti ormai d<strong>alla</strong> scienza e d<strong>alla</strong> civiltà, sono diventati troppo aridi e<br />
distanti d<strong>alla</strong> <strong>vita</strong> felice. A conferma di questa perdita di felicità Leopardi porta come esempio la<br />
favola di Psiche e nello Zibaldone così scrive su questo tema:
Il messaggio della <strong>poesia</strong>.<br />
Il messaggio del canto, è essenzialmente positivo perché esso esprime, ancora per poco, una<br />
concezione positiva della natura. Infatti, sappiamo che l'anno di svolta nel quale Leopardi<br />
comincerà ad avvertire la natura come madre matrigna è il 1824. Quindi tra il 1821 e il 1824<br />
Leopardi alterna momenti di pessimismo e di sfiducia contro la natura a momenti di ottimismo e<br />
fiducia verso essa. Le più belle pagine dello Zibaldone, quasi un inno dedicato <strong>alla</strong> natura, sono le<br />
pagine 3814 – 3815. Il poeta, conoscendo l'odio ed il dolore che si nascondono nella città, in questo<br />
canto afferma di apprezzare la <strong>vita</strong> solitaria delle campagne e preferisce la solitudine del lago al<br />
dolore e <strong>alla</strong> tristezza della <strong>vita</strong> della città. Il poeta si immerge nel silenzio assoluto della natura che<br />
scorre silenziosamente nella <strong>vita</strong> agreste. Al poeta, che si immerge in questa profondissima quiete<br />
naturale, sembra quasi che il suo corpo si liberi d<strong>alla</strong> sua anima e che lui si identifichi con il silenzio<br />
del luogo. Il messaggio del canto è essenzialmente positivo per due motivi: la <strong>poesia</strong> dà una<br />
immagine positiva della natura e della luna che illumina la terra abitata da gente piena di dolore; il<br />
secondo motivo di positività del canto è dato dal fatto che esso esprime la forza, la fiducia e la<br />
speranza, nella <strong>vita</strong> e nella natura, che ancora il giovane Leopardi mostra.<br />
<strong>La</strong> tesi della <strong>poesia</strong>.<br />
<strong>La</strong> tesi del canto afferma che la <strong>vita</strong> solitaria aiuta gli uomini a riprendere fiducia in sé stessi e a<br />
riprendere forza per ricominciare a vivere e a lottare per vincere l'odio della città e per allontanarsi<br />
da esso. Il poeta stesso, passeggiando per i campi soleggiati e ascoltando il canto notturno di una<br />
fanciulla, si ricrea, si rigenera e prende coraggio per ritornare a vivere nella tristezza di Recanati.<br />
L'abbandonarsi <strong>alla</strong> natura, il riprendere forza ed il rigenerarsi per rientrare nella città si evidenzia<br />
in una pagina dello Zibaldone del 20 febbraio 1821:
Analisi della forma.<br />
Il genere della <strong>poesia</strong>.<br />
Il canto “<strong>La</strong> <strong>vita</strong> solitaria” è l'ultimo idillio nella accezione leopardiana.<br />
<strong>La</strong> metrica della <strong>poesia</strong>.<br />
Il canto è scritto in endecasillabi sciolti in quattro strofe.<br />
Il linguaggio poetico della <strong>poesia</strong>.<br />
Il lessico del canto è parecchio prosastico perché segue il filo conduttore dell'esile trama del canto:<br />
il risveglio del poeta all'inizio del giorno, l'oblio del poeta nel silenzioso meriggio, il ricordo<br />
dell'amore che, per breve tempo, il poeta immaginò nel suo animo ed infine la descrizione della luce<br />
lunare che scende nemica al brigante, all'adultero e a tutte le menti malvagie. Invece il poeta<br />
apprezza il raggio lunare e la luna che illumina la terra piangente perché Leopardi ritrova se stesso e<br />
dentro se la calma, la serenità e la forza per sospirare e per trovare il vigore e la forza necessaria per<br />
potere ritornare <strong>alla</strong> scontro quotidiano della città. Il lessico, dunque, è molto ragionativo ma non<br />
privo di una sapiente e suasiva descrizione interiore ed esteriore.<br />
Il tono emotivo della <strong>poesia</strong>.<br />
Il tono emotivo del canto è, come al solito, melanconico e triste perché esprime i veri sentimenti del<br />
poeta che vive dentro di se sentimenti di assoluta infelicità e tristezza. In questo canto sono evidenti<br />
i riferimenti al suo stato d'animo come egli scriveva in diverse lettere del periodo ad i suoi amici. In<br />
particolare si possono ricordare la lettera a Brighenti del 28 agosto 1820, quella a Giordani del 6<br />
marzo 1820 e anche la riflessione scritta nello Zibaldone nella pagine 1673 e 1674 dell'11 settembre<br />
1821 nelle quali il poeta esprime tutto il suo profondo dolore per la sua <strong>vita</strong> infelice. Il canto,<br />
comunque, rivela un agro malanimo verso la <strong>vita</strong> della città e verso una illusoria giovinezza.<br />
<strong>La</strong> lexis della <strong>poesia</strong>.<br />
<strong>La</strong> lexis della <strong>poesia</strong> è molto ricca di figure retoriche: molti enjambements, un chiasmo, la<br />
dislocazione a sinistra del complemento oggetto, la dislocazione a destra del soggetto, molti<br />
latinismi e molti riferimenti letterari ad opere italiane e latine di autori come Virgilio e Petrarca.<br />
8
<strong>La</strong> bellezza della <strong>poesia</strong>.<br />
<strong>La</strong> bellezza della <strong>poesia</strong> non è molto evidente e vistosa: anzi molti critici hanno messo in luce la<br />
mancanza di unitarietà del canto e molti altri hanno riscontrato una scarsa unità tonale dell'idillio<br />
diviso in quattro stanze poco omogenee tra loro anche se Contini ha messo in luce una rigorosa<br />
partitura fonica.<br />
Io, <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong>, credo che il canto sia importante perché rappresenta un momento riflessivo del<br />
percorso giovanile di Leopardi che afferma di avere fiducia nella <strong>vita</strong> solitaria. Il canto è<br />
importante, secondo me, soprattutto perché credo che il suo errare finale dentro la natura, solo e<br />
muto, sia solo un'illusione giovanile del poeta; sarebbe stato, per il giovane Leopardi, un errore<br />
relegarsi nella <strong>vita</strong> solitaria ma per fortuna la sua combattività lo porterà fuori, prima a Roma e a<br />
Bologna, poi a Pisa, a Firenze e infine a Napoli.<br />
Io credo che la <strong>vita</strong> solitaria sarebbe stata per lui una illusione e uno sbaglio giovanile. Per fortuna<br />
Leopardi aveva una forte indole sociale combattiva che lo portò prima a Firenze dove conobbe<br />
Fanny Targioni Tozzetti per la quale provò un fortissimo sentimento d'amore che poetò nel ciclo di<br />
Aspasia; successivamente la sua forte indole socievole lo portò a Napoli con il suo amico Antonio<br />
Ranieri dove, ancora una volta, espresse la sua alta voce poetica contro la natura, indifferente al<br />
dolore umano e creatrice di ingiustizie irrisolvibili. Infatti, la natura, nella sua lenta evoluzione<br />
genera figli e figliastri creando negli uni una <strong>vita</strong> sopportabile e a volte felice e negli altri una <strong>vita</strong><br />
insopportabile e molte volte infelice.<br />
Scritto da <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong> nel 1999.<br />
9
A destra il Professore <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong>; a sinistra la moglie Gina Rizza.<br />
10
Carmelo Santaera.<br />
Letto, riveduto, corretto e completato da <strong>Biagio</strong> <strong>Carrubba</strong> e Carmelo Santaera il 15 agosto 2009.<br />
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